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Dettaglio seduta n.192 del 16/01/74 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE


Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

Dichiaro aperta la seduta Punto primo "Comunicazioni del Presidente"


Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Beltrami, Giovana, Nesi.


Argomento: Bilanci consuntivi (generale e del Consiglio Regionale)

b) Apposizione visto del Commissario del Governo alla legge regionale del 22/12/1973 sull'esercizio provvisorio del bilancio per l'anno 1974


PRESIDENTE

Il Commissario di Governo ha apposto il visto alla legge regionale del 22/12/1973 concernente: "Esercizio provvisorio del bilancio per l'anno 1974". Nell'apporre il visto, il Commissario del Governo ha comunicato altresì il consenso del Governo alla dichiarazione d'urgenza della legge in parola.


Argomento: Interventi per calamita' naturali - Calamità naturali

c) Risposta scritta a interrogazione


PRESIDENTE

L'Assessore Petrini ha inviato risposta scritta ad interrogazione del Consigliere Calsolaro relativa ai "danni provocati in Pramollo dal nubifragio del 30 settembre '73".


Argomento:

d) Documenti pervenuti alla Presidenza


PRESIDENTE

Sono pervenuti alla Presidenza i seguenti documenti: dalla città di Cuneo, il testo di un manifesto murale affisso da quell'Amministrazione, in cui, in relazione alla difficile situazione economica, "si sollecita la Regione a voler rapidamente attuare la pubblicizzazione dei trasporti su strada al fine di realizzare un servizio sociale razionalizzato ed adeguato alle attuali esigenze nonché a farsi urgente carico di un'azione conoscitiva sulla consistenza a livello regionale dei depositi di combustibili e ad attuare un piano di rifornimenti armonizzato e prioritario per servire in modo costante e nella stessa misura tutta la popolazione" dalla Provincia di Asti un ordine del giorno sulla crisi zootecnica, in cui, tra l'altro, "si sollecita l'esame a breve termine del Piano zootecnico governativo, da discutersi e concertarsi insieme alla Regione, e si chiede che siano incoraggiate con adeguati finanziamenti tutte le iniziative a livello regionale e provinciale dirette all'incentivazione degli allevamenti locali" Mi si comunica che ha chiesto congedo anche il Consigliere Curci.


Argomento: Programmazione: argomenti non sopra specificati

Presentazione programma organico della Giunta e relativa discussione (seguito)


PRESIDENTE

Si apre ora il dibattito sul programma della Giunta. Ha chiesto di parlare il Consigliere Minucci. Ne ha facoltà



MINUCCI Adalberto

Signor Presidente, signori Consiglieri, mi trovo a giudicare, a nome del mio Gruppo, un documento, quello che ha presentato ieri il Presidente della Giunta, Oberto, di non facile interpretazione, non solo per l'ampiezza e la complessità che lo caratterizzano ma anche per gli scompensi, e a mio avviso anche le disuguaglianze interne di forma e di contenuto, tra punti trattati con un certo grado di chiarezza, di impegno e con spunti di analisi a mio avviso nuovi e altri non privi invece di ambiguità, e scarsamente approfonditi, o semplicemente rispondenti ad una logica tradizionale e qualche volta, almeno dal mio punto di vista inaccettabile.
Dò tuttavia atto volentieri al Presidente Oberto ed alla nuova Giunta che il documento programmatico presenta, nel complesso, non poche novità di rilievo, rispetto al passato, e sostanzialmente un approccio più positivo di metodo e di merito, ai grandi e drammatici problemi della Regione e del Paese. Novità che mi sembra di poter cogliere soprattutto nello spirito informatore del clima politico e dei rapporti tra le forze che sono rappresentate nel Consiglio, e in primo luogo nel rapporto fra maggioranza e opposizione. Questo spirito emerge non soltanto nella caduta, a mio avviso visibile, soprattutto nella prima parte generale del documento, o nell'attenuarsi di vecchie pregiudiziali - ormai, del resto, così anacronistiche che è difficile rinverdirle in qualsiasi documento -, in alcune affermazioni generali di buona volontà, nel riconoscimento del ruolo e del contributo specifico dell'opposizione comunista, che pure sono, a mio avviso, parole importanti, che non credo pronunciate, diciamo, per amore di quieto vivere o per leggerezza, in un momento politico grave come quello che stiamo vivendo; emerge anche, e direi particolarmente, in alcune impostazioni concrete del discorso programmatico, laddove, mi sembra di poter osservare, si accetta serenamente il confronto sul merito dei problemi, qualche volta si recepisce anche, sia pure parzialmente, il nostro modo di vedere questi stessi problemi o di presentare le proposte concrete.
Questo ci stimolerà, se la prassi cui la nuova Giunta si ispirerà sarà quella implicita nel documento programmatico, ad approfondire sempre più e ad evidenziare meglio di quanto siamo stati in grado di fare finora il carattere costruttivo e unitario della nostra azione e a far emergere costantemente la concretezza e insieme l'organicità della nostra iniziativa, delle nostre proposte nel Consiglio e nella realtà regionale.
Non ci nascondiamo, tuttavia, che la costruzione di un nuovo clima politico, in primo luogo di un nuovo rapporto fra maggioranza e opposizione, di una linea che sia in grado veramente di impegnare tutte le grandi forze popolari presenti nel Consiglio, e, ripeto, nella società regionale, in un'opera che tenda a superare, limitando al massimo i traumi prevedibili, una crisi così acuta come quella che investe la società italiana e la società piemontese, richiedo non soltanto delle linee programmatiche, diciamolo francamente, dal nostro punto di vista ancora più chiare di quelle che sono contenute nel discorso della Giunta, ma anche una precisa metodologia e una determinata concezione e funzionalità degli strumenti a disposizione della Regione.
Torno di sfuggita su un tema che abbiamo già trattato tante volte, ma penso che questo sia un momento di meditazione importante, sia perché nasce una nuova Giunta, sia per i propositi che essa manifesta, sia per la situazione obiettiva in cui nasce, per rimeditare il rapporto tra Consiglio e Giunta stessa, tra assemblea ed Esecutivo, per approfondire insieme il ruolo degli strumenti di cui il Consiglio dispone, a cominciare dalle Commissioni consiliari, il rapporto tra Regione e Comunità locali, Comuni per individuare soluzioni che siano insieme di sviluppo della funzionalità dell'efficienza, e di sviluppo della democrazia regionale. E su questo piano credo che il documento programmatico della Giunta presenti ancora notevoli carenze, o, laddove si parla di questi temi, nebulosità che sarebbe bene dissipare.
Per noi, il discorso sull'efficienza, oggi così urgente, sulla capacità operativa delle istituzioni democratiche, e in primo luogo della Regione preoccupazione che ci è sembrato di avvertire in tutto il corso dell'esposizione del Presidente della Giunta, e inscindibilmente legato al problema della democrazia, del funzionamento degli organi democratici della Regione. Non vi sono scappatoie. Del resto, in questi anni abbiamo fatto qualche esperienza di efficientismo che non tiene conto della reale ragione di funzionalità delle assemblee democratiche, cioè appunto quello del rapporto politico corretto.
Il riconoscimento del nostro ruolo di partito di opposizione, di partito operaio, che è contenuto, con certi termini, naturalmente, non i nostri, indubbiamente, ma di cui diamo atto, non ci interessa a fini di parte: non abbiamo bisogno di attestati, che del resto servirebbero a poco ci interessa invece come problema politico di tutto il Consiglio Regionale cioè come un nodo su cui è in discussione la capacità di agire e di operare della stessa istituzione regionale.
Io sono sempre più convinto - e l'esperienza delle Regioni di questi anni accentua questa convinzione - che le Regioni riusciranno ad assolvere fino in fondo alla funzione per cui sono nate e che si sta ancor più attualizzando in un momento come questo......



(Voci dal pubblico)



PRESIDENTE

Prego vivamente il pubblico di non interloquire in alcun modo, poich il regolamento non lo consente. Sono grato ai presenti di esser venuti ad assistere ai nostri lavori, ma li devo invitare caldamente al rispetto delle norme che regolano la nostra assemblea. Voglia proseguire Consigliere Minucci.



MINUCCI Adalberto

Rispondo in questo senso alla garbata ironia del Presidente Oberto quando attribuisce al nostro programma il senso di un "discorso della Corona in attesa". Mi spiace di aver dato l'impressione di aspirazioni monarchiche in ritardo, anche perché mi sembra che le stesse vicende più recenti della nostra regione confermino che l'epoca dei reami, o più semplicemente delle contee, o dei regimi assoluti, è in netto declino. Il nostro è il discorso di una forza che vuole incidere sul governo della società senza attendere niente e ancor prima di ricevere delle corone, o comunque delle responsabilità in forma ufficiale. Il nostro è cioè il discorso di una svolta politica nel Paese, che oggi a noi sembra giunta a maturazione.
Per ciò che concerne il merito dei problemi, io ritengo che nel discorso programmatico siano offerti alcuni terreni per un confronto più ravvicinato e positivo, sia su questioni generali sia su alcune questioni settoriali. Ci interessa la forza con cui si assume la politica di piano come base, come fondamento di tutta l'attività della Regione; ci interessa il proposito di presentare entro breve termine, entro marzo, se ricordo bene, la variazione al bilancio preventivo '74, affiancata da un documento programmatico riferito appunto al piano quinquennale di sviluppo e corredato di alcuni progetti prioritari: ci interessano anche alcuni elementi importanti per ciò che riguarda la strumentazione del piano che viene delineata nel documento. E ci sembra di una certa importanza anche la fissazione di alcune priorità che vengono indicate, in primo luogo l'agricoltura, i trasporti pubblici, la difesa dell'ambiente, l'istruzione la sanità e così via.
Non mi soffermo a valutare in concreto, nella specifica indicazione che viene data dal documento programmatico, questi vari settori, lo faranno i miei colleghi di Gruppo. Desidero soltanto trarre spunto da questo clima nuovo che la Giunta sembra postulare per esporre alcune preoccupazioni generali sulla situazione in cui viene presentato questo programma. Cioè mi si consenta un richiamo e alcune considerazioni sulla gravità estrema della situazione economica, sociale e politica in cui la nuova Giunta si appresta ad operare. E, guardate, lo faccio non per calcare l'accento su questo elemento di gravità, perché mi sembra che anche dal documento della Giunta traspaia la consapevolezza del momento che stiamo vivendo, ma perch sono convinto che il nodo vero che è di fronte a noi, e su cui devono confrontarsi in primo luogo le forze politiche, è quello dell'analisi della vera natura della crisi che stanno attraversando l'economia e la società italiana e quello del saper esprimere una volontà politica effettiva di affrontare i nodi veri di questa crisi.
Il Presidente della Giunta ha parlato di difficoltà, se non di impossibilità, di formulare delle previsioni, ed ha criticato anche coloro che non hanno saputo prevedere. Subito dopo ha rivolto un appello, per la verità, mi consenta l'appunto, un po' rituale, a non fare processi alle responsabilità del passato. Ora, io per primo riconosco che la previsione sulla situazione economica attuale, sullo sviluppo possibile dei processi in atto, è difficile, perché pesano sull'economia italiana e piemontese dei fattori largamente imponderabili, che sono soprattutto da riferirsi alla crisi internazionale. Non a caso, uno dei fattori di accelerazione del malessere economico del nostro Paese è stato proprio un fattore esterno alla società italiana: la crisi del petrolio, la crisi energetica, i riflessi di questi ultimi mesi, di queste ultime settimane. Ed è indubbio che questa crisi, nei suoi connotati internazionali, avrà un'evoluzione forse anche rapida, drammatica, non certo prevedibile, neppure forse a breve termine; un'evoluzione che, comunque, dipenderà solo in minima parte dal nostro intervento, dalla nostra capacità di incidere, anche se, dico subito, vi sono degli atti anche urgenti di politica estera che possono dare al nostro Paese un'incidenza maggiore di quanto abbia avuto su questa evoluzione generale.
Ma l'altro elemento su cui deve fondarsi una possibilità di previsione è rappresentata dal fatto che una crisi come quella che stiamo vivendo è fortemente subordinata a scelte immediate di politica economica. E questo dipende in larga misura da noi. Credo, anzi, vada sottolineato con forza che proprio per i suoi connotati specifici, su cui cercherò di soffermarmi sia pure in modo molto conciso e schematico, la crisi economica che sta vivendo il Paese è fortemente sensibile a qualsiasi misura che venga presa a breve termine sul terreno appunto della politica economica.
Si dice: non facciamo un processo al passato. Facciamo però almeno entro i limiti in cui siamo, credo, tutti convinti che la storia in qualche modo ci deve insegnare. E in qualche modo la lezione della storia pesa sul presente e sul futuro.
Oggi assistiamo ad un precipitare della crisi economica, della crisi strutturale del nostro Paese. Ma si deve riconoscere - e mi sembra che qui in quest'aula, poco fa lo riconobbe il collega Rossotto, di un partito così distante dal nostro - che noi comunisti avevamo formulato, invece, delle previsioni, non soltanto negli ultimi mesi ma anche in anni assai lontani che la realtà si è incaricata di mostrare del tutto corrispondenti al vero.
Io ricordo due momenti in cui c'è stato, fuori da quest'aula prima e poi anche in quest'aula, uno scontro politico attorno appunto all'analisi dei processi economici e della realtà economica regionale e nazionale. Un primo momento di scontro fu attorno alla nostra denuncia - che data ormai da oltre dieci anni - del pericolo rappresentato dal carattere monondustriale e monoculturale dell'economia piemontese: il fatto, cioè che uno sviluppo sostanzialmente unilaterale dell'industria meccanica e dell'industria automobilistica in particolare a spese dell'agricoltura e a spese anche di altri settori economici avrebbe finito con il rappresentare un grave fattore di crisi e di precarietà e che, siccome tutte le branche industriali sono soggette, se si sviluppano unilateralmente, ad un certo punto a conoscere un impasse e addirittura una crisi, noi avremmo dovuto una volta o l'altra, pagare il prezzo di uno sviluppo economico così squilibrato. Su questa base abbiamo criticato la strategia delle cosiddette aree forti, su cui è stata impostata tutta l'attività, non solo dei centri privati ma anche dei centri pubblici di decisione della nostra Regione. Mi fa piacere sentire oggi tanti economisti illuminati prendere atto che l'economia italiana è stata cacciata in un vicolo cieco grazie anche a questa teoria delle aree forti. Ma non possiamo dimenticare, non per fare il processo al passato ma perché tutti imparino la lezione, che proprio questi economisti, e tanti esponenti pubblici, e tante amministrazioni a cui questi esperti hanno fatto capo, hanno suonato serenate incredibili sulla bontà, sulle meravigliose prospettive offerte dalle forti, da un processo di integrazione che conducesse certe aree industriali e certi settori industriali del nostro Paese ad integrarsi sempre più con l'area centro occidentale dell'Europa, a spese del Mezzogiorno, a spese dell'agricoltura italiana.
Dobbiamo dircele queste cose, se non vogliamo inibirci la possibilità di capire i processi che abbiamo vissuto e anche quelli cui stiamo andando incontro.
Un secondo momento di questo scontro, non solo politico ma anche culturale, è stato qui, in quest'aula, all'inizio, al decollo della Regione Piemonte, in modo specifico nel primo dibattito che abbiamo fatto sul documento di piano. Noi abbiamo allora insistito sul concetto che ormai non ci trovavamo più soltanto di fronte ad un modello di sviluppo squilibrato squilibrante, ingiusto, ma ad un modello di sviluppo che già denotava tutti i segni di una crisi incipiente, di un inceppamento, e abbiamo affermato che ormai eravamo all'inizio della fine del ruolo traente dell'industria automobilistica, durato per un ventennio e più, nell'economia italiana. E abbiamo ribadito ancora una volta la necessità di una diversificazione economica e industriale nella nostra Regione, sulla priorità dell'agricoltura, sulla necessità di una politica di investimenti che tendesse a riequilibrare non soltanto il territorio regionale, ma vedesse l'equilibrio nuovo del territorio regionale in funzione di un equilibrio nazionale, in direzione in primo luogo del Mezzogiorno. Abbiamo riaffermato l'esigenza di avviare un meccanismo che desse la priorità ai consumi sociali su quelli individuali. Abbiamo posto l'accento sulla necessità di avviare una programmazione economica i cui veri protagonisti fossero i poteri pubblici, non più affidata, quindi, soltanto alle scelte dei grandi gruppi privati.
Queste previsioni si sono rivelate fondate. Basta andare a rileggere i documenti, andare a vedere tutte le iniziative di lotta che il movimento operaio, non solo torinese ma italiano, sulla base di questa linea ha condotto avanti in questi ultimi anni. Perché queste previsioni si sono rivelate giuste? Lungi da noi l'intento di rivendicare speciali meriti di preveggenza o di capacità di analisi scientifica. Non è una questione individuale, se volete. Anzi, sappiamo che in generale i partiti che sono al potere sono sempre più corteggiati dagli esperti, dispongono di tante belle tabelline di statistica che i partiti all'opposizione non hanno.
Certo, pesa il fatto che in noi vive una concezione della politica come scienza che non sempre ritroviamo non dico nei singoli componenti degli altri partiti ma negli altri partiti in generale. Noi ci sforziamo di fare riferimento ad una classe sociale che in questa fase della storia ha indubbiamente una tendenza a porsi in modo unitario di fronte ai processi sociali, a misurarsi con tutta la realtà economico-sociale e a farsene interprete.
Ma non ci interessa davvero la constatazione che abbiamo visto giusto o l'analisi del perché abbiamo visto giusto. Quel che ci importa di dire intanto, è questo: se noi avessimo fatto a tempo, anche come poteri pubblici piemontesi, come Regione piemontese, certe drastiche scelte partendo da un'esatta interpretazione della crisi in atto ormai da anni scelte nelle direzioni che il movimento operaio ha indicato, in primo luogo in direzione di una ripresa dell'agricoltura, di un'espansione dei consumi sociali, di un riequilibramento dell'economia nazionale, oggi ci troveremmo a fronteggiare una crisi certamente drammatica, certamente determinata da fattori internazionali non controllabili, ma con una struttura molto più solida, e con capacità di pagare prezzi minori infinitamente superiore a quella che abbiamo oggi. Invece, si è fatta la scelta opposta. E voglio ricordare, non per fare il processo al passato, che proprio nel momento in cui il modello di sviluppo, qui in Piemonte, in una delle regioni-cerniera di questo vecchio meccanismo oggi in crisi, cominciava ad apparire in declino, qui si è fatta una scelta che andava politicamente nella direzione opposta, si è fatto il centro-destra, ci si è appoggiati ad una forza politica che rappresenta, sia pur dignitosamente - non pongo certo problemi di dignità sotto questo profilo -, una concezione dello sviluppo economico del tutto opposta a quella che emerge dai processi di oggi. Perché, come dicemmo allora, se è vero che si può superare la crisi storica che sta travagliando l'economia italiana soltanto andando verso una programmazione democratica, verso un nuovo ruolo dei poteri pubblici, non si può imbarcare in una maggioranza il Partito liberale, che se ha una ragion d'essere - a meno di trasformismi credo impensabili nella storia politica - è proprio quella di fondarsi sulla priorità delle scelte private, sul rifiuto di una reale politica di piano.
Oggi si tratta di interpretare a fondo la natura di questa crisi.
Certo, c'è stato un passo avanti nella comprensione, non certo nella realizzazione, quando anche da parte ufficiale, da parte dell'attuale Governo nazionale, si è riconosciuto che è in crisi, che è giunto ad una fine senza possibilità di ripresa, il cosiddetto vecchio modello di sviluppo. L'ammissione è così importante che appena è stata fatta, in un documento ufficiale, si è tentato di ritrattarla, ricominciando con la vecchia solfa: non dite parole così astratte, così velleitarie, ricorrete come al solito a quel sano pragmatismo che ha portato i vari La Malfa da un'emergenza all'altra, da un provvedimento congiunturale all'altro, da un piano disorganico all'altro, fino alla situazione di oggi.
Io ritengo che sia invece da valorizzare questo riconoscimento, che ormai è acquisito dall'opinione pubblica generale, dalla coscienza dei cittadini che seguono le vicende economiche e politiche. Un modello di sviluppo è entrato ormai irrimediabilmente in crisi, e si può uscire da questo impasse soltanto dando avvio ad un nuovo sistema, ad un nuovo meccanismo.
Ma, detto questo, tra le forze che partono da questo comune riconoscimento, non bisogna illudersi che sia fatta chiarezza, né sulla natura della crisi, né, tanto meno, sulle misure necessarie per uscirne.
Anzi, noi riscontriamo, leggendo i giornali in questi giorni, ascoltando i discorsi degli uomini politici, degli uomini di Governo, della maggioranza che spesso si prendono le mosse dall'analisi del carattere gravissimo generale, della crisi, se ne dipinge un quadro da Apocalissi, se ne parla come di una crisi universale, per arrivare a dire che cosa possiamo farci noi, poveri tapini? Lasciamo che le cose vadano come devono andare adottando, al massimo, qualche provvedimento d'emergenza. E la conclusione che si trae dall'imminenza del diluvio è di rinfrescare la vecchia predica secondo cui siamo tutti sulla stessa barca e dobbiamo fare sacrifici. Non viene nemmeno in mente di porre sul tappeto la questione se il timoniere debba proprio rimanere lo stesso: perché, dopo che ci ha portato nelle secche in tempo di bonaccia, proprio non vedo come potrebbe liberarcene ora che il mare sembra così tempestoso. Sotto questo profilo, il discorso è disperato, ma non è serio.
In realtà, io credo si debba analizzare con estrema attenzione quali collegamenti vi siano fra la crisi internazionale e la crisi italiana vedere soprattutto che cosa dei processi internazionali pesa in modo così drammatico sulle vicende dell'economia nazionale ma anche distinguere i caratteri peculiari e diversi della crisi della società italiana.
Certo, si dice, oggi ha un'incidenza centrale non solo la crisi energetica, non solo la crisi del petrolio, ma un fenomeno più generale che è il mutamento delle ragioni di scambio fra Paesi produttori di materie prime e Paesi come il nostro caratterizzati da un'economia di trasformazione industriale. Questo è vero. Ma anche questo fenomeno era largamente prevedibile e previsto. Però non c'é solo questo. La crisi, a mio avviso, riguarda il meccanismo profondo dell'economia industriale in un Paese come il nostro. Non possiamo scaricare su fattori esterni le cause vere. Tant'è che questa crisi si era già delineata, e con sintomi spesso clamorosi, molto prima che i Paesi arabi scoprissero che il petrolio poteva anche esser fatto pagare di più. E' una crisi che noi ritroviamo all'interno di quel sistema, di quella struttura industriale che ha caratterizzato tutti i Paesi capitalistici, ivi compreso il nostro, da decenni. Anche le manifestazioni più acute della crisi di oggi, il deficit energetico, il deficit alimentare, sono direttamente riferibili alle caratteristiche più proprie di questo sistema industriale. Crisi energetica, sì: ma le sue ragioni di fondo vanno ricercate in un'attitudine di questo sistema a fare strame delle risorse, a cominciare dalle risorse naturali, a far sì che lo spreco, non soltanto dell'energia ma anche del patrimonio naturale, fosse assunto, ciecamente, come un fattore dello sviluppo. Un sistema che ha fatto della prevaricazione dell'industria sull'agricoltura un altro dei suoi pilastri, fino al punto che oggi l'agricoltura viene messa in condizione di non poter esprimere nessuno dei suoi potenziali produttivi. Sono dunque caratteristiche di fondo del sistema industriale capitalistico quelle che hanno portato alla crisi di oggi, altro che gli sceicchi.
D'altra parte, oggi ci troviamo di fronte all'avvio di un processo di superamento di questa situazione, che, sia pure in modo traumatico, già si delinea nelle economie occidentali più avanzate, che deve farci riflettere anche sulle conseguenze politiche, sulle prospettive che tutto questo determina. Ad esempio, è vero che in alcuni Paesi, come gli Stati Uniti paesi più industrializzati del nostro, all'avanguardia del sistema occidentale, noi già assistiamo da anni - l'avevamo rilevato anche in quest'aula - al progredire di nuove industrie traenti, che passo passo si sostituiscono all'industria automobilistica, all'industria dei beni di consumo durevoli. Si tratta delle cosiddette industrie dell'avvenire, per usare un termine da rotocalco ma chiaramente espressivo. Si parla di elettronica, di industria aerospaziale. Tutto questo che cosa significa? Significa, per un'economia potente come quella americana, un nuovo ruolo dello Stato nell'economia. E' vero, l'I.B.M. è diventata la più grande società capitalistica, per giro d'affari, nel mondo: i suoi profitti credo eguaglino, o poco ci manca, il fatturato complessivo della Fiat. Ha ormai in mano il 70-75 per cento del mercato dell'elettronica in tutto il mondo ed è in grado di condizionare, attraverso, tra l'altro, l'elaborazione dei programmi, il monopolio dei programmi, lo sviluppo di tutto il calcolo economico nei Paesi occidentali. Ma è anche vero che nel '71, su 5.000 grandi calcolatori che agivano nella pubblica amministrazione americana 4.200 erano adibiti all'amministrazione militare, in funzione di programmi militari finanziati dallo Stato. Se volete, in un modo a mio avviso del tutto abnorme, del tutto deplorevole, è anche questa una testimonianza del ruolo che l'amministrazione pubblica si assume di fronte ai nuovi sviluppi dell'industria.
E se andiamo a vedere poi un'infinità di altri esempi, anche nel nostro Paese, ci appare sempre più chiaro che dalla stretta di oggi si va ad un nuovo modello industriale soltanto se si passa da uno sviluppo diretto dai piani dei gruppi privati a uno sviluppo completamente diretto e governato dai piani dei poteri pubblici. E' questa, del resto, un'ammissione che fanno ormai anche i più grandi capitalisti del nostro Paese, i fratelli Agnelli, quando dicono che non sono più in grado di programmare il proprio sviluppo sulla base della vecchia strategia del laisser faire, ma chiedono allo Stato, all'amministrazione pubblica di delineare i programmi di questo sviluppo. Questa è la vera svolta che sta di fronte a noi: il passaggio ad un'economia programmata, diretta dai poteri pubblici. Guardate anche come pesa oggi, nelle incertezze che si riversano poi direttamente sull'economia torinese e piemontese, questa vicenda della crisi dell'automobile! Si dice: per uscirne, bisogna far decollare subito un'industria moderna del trasporto pubblico. E c'è chi spara ogni giorno, sui giornali: bisogna fare diecimila pullman in più, centomila in più, duecentomila in più; fare tanti vagoni, perché il servizio ferroviario sia più soddisfacente; e così via.
Ma cosa vuol dire tutto questo? Voi vedete la differenza. Mettetevi dal punto di vista della Fiat: in passato, poteva programmare lo sviluppo dell'industria automobilistica sulla base di un rapporto con il mercato, ed allora i suoi uffici studi bastavano davvero a prevedere quanti clienti nuovi privati l'automobile avrebbe avuto negli anni a venire. Se però vuole fare davvero un programma di sviluppo nel campo dei pullman, del trasporto su gomma in strada, delle ferrovie e così via, deve avere dallo Stato indicazione di piani: dev'essere lo Stato a dirigere gli ordinativi, a garantire una domanda nuova per l'industria.
Ecco le scelte che stanno di fronte a noi. E' evidente che questo equivale ad un mutamento di fondo della politica economica e della funzione dello Stato nell'economia nazionale. Oggi, anzi, io credo che si debba prendere atto che anche la Regione Piemonte può incidere, sia pure in misura non definitiva o totale, nel senso di aiutare gli stessi grandi gruppi industriali ad uscire dallo stato di incertezza in cui questa crisi li ha posti.
Se ci riferiamo sempre al caso della Fiat, il gruppo industriale che più direttamente ci interessa, vediamo che i suoi gruppi dirigenti sono oggi combattuti da logiche diverse e da contraddizioni profonde, che non riescono a controllare Da un lato c'è una spinta che nasce dalle cose e dalla domanda della società italiana verso una nuova politica industriale una spinta che obbedisce ad una logica di gruppo industriale: si parla di diversificazione, di nuovi settori produttivi da espandere, e così via: se ne parla, perché in realtà ancora non si vede niente di tutto questo.
Dall'altro lato, c'è invece una spinta che agisce sulla base degli interessi che la Fiat ha come società finanziaria, interessata oggi ad una ridistribuzione del potere ma non ineluttabilmente interessata ad una nuova politica di sviluppo, ad una nuova politica industriale. Ecco allora che le interessa stipulare accordi con società statali, come l'EFIM, come altre nel settore del trasporto pubblico e anche in altri settori, ma solo per ridistribuire quello che esiste, senza rischiare niente, senza dar vita a nuovi impulsi per lo sviluppo produttivo in generale.
Ora, questa scelta che sta di fronte al più grande gruppo industriale italiano dipende anche da noi, dipende anche dalla nostra capacità di andare davvero, così come viene preconizzato nel discorso programmatico della Giunta, verso un piano del trasporto pubblico che offra un nuovo quadro di riferimento alle industrie, pubbliche e private.
Noi oggi, per esempio, avvertiamo che un'altra contraddizione di fronte a cui sta la Fiat è fra il suo carattere di società multinazionale e il suo carattere di gruppo che opera invece all'interno dell'economia italiana.
Certo, ha un bel piangere la Fiat su questo passivo, del resto molto discutibile, che presenterebbe il bilancio del suo settore automobilistico.
Ma di che si tratta? Qual è il trucco? Vi si produce qualche decina di migliaia di auto in meno, si dice, riferendosi all'annata 1973. Ma alla Fiat di Barcellona si sono prodotte 300 mila vetture in più. Noi vorremmo allora fare i conti in generale. Che cos'è questa società multinazionale che ha stabilimenti, imprese, ormai in tutto il mondo, in tutti i Continenti? Il problema è invece di vedere come si colloca oggi la Fiat nell'economia italiana, come può contribuire ad un mutamento della struttura industriale che superi l'impasse, la crisi attuale. Ecco allora anche qui il ruolo nostro, la funzione nostra, la funzione dei poteri pubblici, e, se volete, la funzione della Regione Piemonte.
Credo che uno dei limiti più gravi del programma della Giunta sia quello di aver dato, diciamo, un contentino ai meridionalisti con un cenno un po' di prammatica al Mezzogiorno, che però non ritroviamo in tutto lo sviluppo del discorso. C'è però un cenno interessante, là dove si dice che bisogna discutere con la Fiat i suoi impegni di investimento nel Sud. Voi sapete che la Fiat oggi si sta rimangiando questi impegni, sta prendendo tempo. Io prego la Giunta - e credo che questo impegno debba valere per tutto il Consiglio Regionale - di riconvocare, nelle forme che si riterrà meglio, o come Giunta, o come I Commissione incaricata dell'elaborazione del piano, il gruppo dirigente della Fiat per discutere qui se gli impegni assunti nei mesi scorsi di fronte alla Regione sono destinati ad essere stracciati o possono essere una delle premesse di un nuovo tipo di sviluppo industriale del nostro Paese.
Chiedo altresì che vi sia un intervento - già ieri il mio compagno Sanlorenzo aveva posto questo problema, quando era giunta la prima notizia del dramma dei lavoratori della Lancia - della Giunta con il quale essa si faccia non solo interprete ma protagonista attiva di questa vicenda discutendo e con i padroni della Lancia e con i sindacati il significato di questo provvedimento, in che cosa consista la "temporaneità" della decisione di riduzione dell'orario di lavoro. Migliaia di famiglie della nostra Regione vengono a trovarsi in una grave situazione: perché il passaggio alla cassa integrazione vuol dire per seimila operai venti trentamila lire di salario in meno, in una situazione caratterizzata da un processo inflativo che porta ogni giorno ad un aumento dei costi intollerabile. Io credo si debba avere una capacita contrattuale, che significa poi, nel nostro caso, volontà politica di contare in questa vicenda. Credo si debba appoggiare la richiesta dei sindacati che i padroni della Lancia, che profitti ne hanno accumulati a decine di miliardi negli anni passati (e del resto, non pongono un problema di crisi dei profitti perché, come avrete visto, nell'ultimo numero della rivista economica americana "Fortium" si parla di crisi del petrolio, ma si dice anche che guarda caso, il '73 è stato l'anno del boom delle compagnie petrolifere; e vorrei andare a vedere anche i bilanci della Fiat sotto questo profilo) integrino il numero ci ore non previsto dalla cassa integrazione. Se davvero la crisi è temporanea non devono essere i lavoratori a pagarne il prezzo, perché questo significherebbe farlo pagare a tutta la società piemontese, a tutta l'economia piemontese.
Decisiva, sotto questo profilo, può essere anche una pressione nostra anche qui siamo un soggetto politico i cui atti pesano al di là delle concrete misure che possiamo assumere giorno per giorno - perché mutino le coordinate della collocazione internazionale del nostro Paese. L'abbiamo detto tante volte, qualche volta siamo stati persino accusati paradossalmente, curiosamente, di amore per l'autarchia. In realtà, abbiamo sempre visto quale vicolo cieco rappresentasse un collegamento unilaterale del nostro Paese con la aree industrializzate dell'Europa. E oggi mi sembra che proprio la crisi petrolifera e la crisi delle materie prime rafforzi il nostro discorso secondo cui l'Italia deve tendere, nel momento in cui qualifica la sua presenza nell'Europa - non vogliamo certo rotture nel processo di unificazione europea, anzi vogliamo farlo progredire, ma in forma del tutto diversa da come è stato realizzato finora - con i Paesi produttori di materie prime, con i Paesi arabi in primo luogo; e non solo per una convenienza immediata circa la necessità di avere rifornimenti di petrolio, perché questo è intanto un problema importante, ma anche perch siamo convinti che da un nuovo rapporto con i Paesi produttori di materie prime possono venire nuove domande alla nostra industria, anche all'industria torinese e piemontese. Perché lo scambio materie prime prodotti industriali può essere una delle chiavi attraverso cui i Paesi occidentali risolvono i loro problemi rispetto al bisogno di sviluppo di espansione industriale di questi Paesi. E voi capite il significato che tutto questo può avere. Intanto, una domanda nuova per la nostra industria in secondo luogo il fatto che un collegamento nuovo sul terreno degli scambi commerciali con i Paesi del Mediterraneo, con i Paesi arabi, pu voler dire davvero la creazione di grandi opportunità per un insediamento industriale nel Mezzogiorno, per rilanciare queste aree economiche anche dal punto di vista della razionalità geografica e logistica.
Noi siamo convinti che la crisi italiana non ha soltanto questi connotati strutturali così acuti, del resto, e riconosciuti da tutti. Essa è diversa anche per altre ragioni dalla crisi internazionale, presenta delle qualità diverse che vanno tenute in conto. Certo, un modello industriale che sia fondato sull'espansione dei consumi superflui è stato pagato particolarmente caro da un Paese come il nostro, dove neppure i consumi primari sono stati ancora soddisfatti, dove metà del Paese è stato tagliato fuori dallo sviluppo moderno, dove il bisogno, spesso anche di pane, ma certo di case, di istruzione, non è stato soddisfatto. Tutto ci non poteva non creare ragioni ulteriori di irrazionalità nello sviluppo. Ma noi siamo convinti che la specificità, la novità, la diversità della crisi italiana sta soprattutto in fattori che non sono soltanto economici e strutturali ma sono essenzialmente sovrastrutturali. Si è importato questo tipo di industria, la si è imposta in Italia senza realizzare minimamente quel processo di razionalizzazione sociale che altrove è stato invece una delle caratteristiche dominanti dei decenni scorsi. Per cui i nuovi ceti industriali si sono sovrapposti a vecchi ceti che non hanno cambiato la loro collocazione, che anzi hanno perduto la loro funzione, in una curiosa stratificazione di cose vecchie e nuove che oggi hanno portato ad un infoltimento dei settori parassitari e improduttivi della nostra società ad una sedimentazione di fattori irrazionali che pesano sullo sviluppo.
Tanto è vero che se andiamo ad analizzare i dati degli ultimi censimenti quello che colpisce sulle tendenze di fondo della società italiana è il fatto che gli stati produttivi si riducono sempre più mentre aumenta a dismisura il numero degli strati, della gente che vive in occupazioni improduttive o addirittura senza un'occupazione. E qui io credo vada individuata una delle matrici di quella crisi morale, ideale e politica che è tipica del nostro Paese.
E' proprio questo fattore che fa sì - lo dico non certo con intenzioni propagandistiche ma con il massimo di sincerità - che mentre noi possiamo pensare che gli Stati Uniti ed altri Paesi industriali potranno uscire dalla crisi di oggi senza mutare, se non per aggiustamenti relativi e marginali, i meccanismi del potere, i sistemi di potere, gli equilibri politici, possiamo prevedere, proprio sulla base di questo tipo di analisi della società italiana, che in Italia non si verrà fuori da questa crisi senza modificare profondamente gli equilibri politici e il sistema di potere.
Vorrei dire, del resto, agli amici e colleghi della Democrazia Cristiana, che negli ultimi tempi con sempre maggiore serietà, per lo meno in molti settori di questo partito, si interrogano sulle prospettive, sulla situazione della D.C. che occorre individuare proprio in questa stratificazione sociale così anomala, così diversa da quella di altri Paesi industriali, così contraddittoria, una ragione, se non quella fondamentale della crisi di identità, come si suol dire, che oggi sta vivendo la Democrazia Cristiana. Proprio perché con il suo interclassismo la D.C. ha inteso corrispondere a questa articolazione, così complicata, della società italiana. E se è stato possibile in una fase di espansione, e nel momento in cui funzionavano certi miti, sia interni che internazionali, fungere da connettivo o da forza di mediazione fra queste forze sociali diverse, oggi dobbiamo prendere atto, e debbono prendere atto per primi i colleghi della D.C., che la crisi di questo modello di sviluppo e di vita sociale non pu che tradursi in contraccolpi alla struttura interna, al modo d'essere del loro stesso partito. Questo è il vero problema di fronte al quale si devono porre se vogliono trovare nuove ragioni di sintesi, di presenza sociale e politica nel Paese, se vogliamo uscire dalla crisi di identità che questo partito sta vivendo. Io credo, cioè, che il rapporto fra le linee politiche, la composizione del loro partito e la via d'uscita in un nuovo meccanismo di sviluppo, che dia una nuova collocazione ad una serie di strati sociali sia il vero problema che oggi si pone alla D.C. ed anche a tutti noi, anche alla forza di opposizione che noi rappresentiamo, perch le sorti della D.C., le scelte della D.C. non ci sono certo indifferenti in quanto da esse dipenderà molto della vita democratica, delle possibilità di sviluppo del nostro Paese.
Noi affrontiamo questi problemi con la convinzione che negli ultimi anni la classe sociale che noi tendiamo a rappresentare, la classe operaia ha saputo farsi sempre più protagonista di scelte e di lotte che non riguardano solo lei stessa ma tutti i settori della società: la battaglia per le riforme, la battaglia per collegarsi a strati sociali diversi tende sempre più a collocare la classe operaia come un nuovo punto di aggregazione, un nuovo punto di unità del Paese, dell'economia, della società italiana. E lo diciamo senza alcuna iattanza, perché non pensiamo che questo nuovo protagonista che si presenta oggi sulla scena nazionale debba o possa essere rappresentato soltanto da noi, né tanto meno che la classe operaia possa da sola risolvere i problemi dello sviluppo: sentiamo cioè il problema di un rapporto fra questa classe e le altre classi sociali del Paese.
E' qui il vero problema, di cui tanto spesso si discute, in modo del tutto improprio, sulla stampa nazionale, del compromesso storico, di una nuova intesa su un programma di trasformazione e di sviluppo della società italiana, che abbia come principali, certo non esclusivi, protagonisti, i comunisti, i socialisti e le forze cattoliche democratiche, la stessa Democrazia Cristiana.
Una necessità decisiva è però quella di lavorare subito, perché si avvii un processo che da un lato superi gli elementi più traumatici della crisi di oggi e dall'altro aiuti a mettere in moto un meccanismo come quello che tendevo a delineare e che è di creazione di un nuovo tipo di sviluppo e di un nuovo modello a vita e di consumo nel nostro Paese.
Credo che sotto questo profilo l'ostacolo principale cui ci troviamo di fronte, oltre a quello delle volontà politiche, che ovviamente presiede a tutti, sia quello dello Stato, o della sua efficienza reale, delle sue funzioni, e, diciamolo, della sua inefficienza attuale, della struttura statuale in generale. Il discorso, quindi, riguarda soprattutto noi, come nuovo settore della struttura statuale. Oggi avanzano delle tesi neo centralizzatrici, chiamiamole così, che io giudico estremamente pericolose.
Ho letto, e si è discusso nelle troike, nei vari salotti ministeriali della necessità di trovare nuovi fondi d'investimento; si parla addirittura di nuove pressioni fiscali, come se finora i contribuenti fossero stati trattati con mano leggera. Ma il problema non è tanto quello di comunicare ai giornali che si sono trovati 500, 1.000, 3.000 miliardi in più, il problema vero, lo sappiamo tutti, è quello di avere uno Stato capace di investire intanto, le somme di cui dispone, è cioè di accelerare i meccanismi di spesa, di renderli effettivi, e questo comincia ormai ad essere il vero dramma dell'amministrazione pubblica italiana.
Quando sento dire che per superare questo impasse, per accelerare la spesa a favore del Mezzogiorno, dell'agricoltura, dei trasporti cioè per affrontare i problemi di emergenza, bisogna tornare ad una concezione accentratrice, bisogna inventare un meccanismo "estremamente snello", mi vengono o brividi. Perché significa, caro Presidente, che davvero la lezione della storia non conta per nessuno, e non conta neppure la lezione dell'esperienza quotidiana. Ma che cosa è stato lo Stato italiano, finora se non un meccanismo estremamente accentrato? E questa terribile inefficienza, che ha portato a fare dei cosiddetti residui passivi uno dei miti della nostra vita economica e politica che cosa è stato, se non proprio un meccanismo terribilmente accentrato? Andiamo a vedere anche i settori in concreto: le Ferrovie dello Stato, ad esempio. Che cosa c'è di più accentrato delle Ferrovie dello Stato? Eppure, sappiamo che hanno 2.600 miliardi da spendere e non sono riuscite a spenderli.
Il problema è dunque anche qui di trovare una via che unisca, saldi integri efficienza e democrazia. E l'unica via che oggi ci si apre per andare avanti su questo terreno è quella di rispettare davvero l'impegno costituzionale da cui sono nate le Regioni. Perché il solo, vero, grande strumento di efficienza, di funzionalità e anche di accelerazione della spesa oggi è costituito dalle Regioni. Dicendo questo non faccio soltanto una polemica o una rivendicazione nei confronti del potere centrale: la faccio anche qui dentro. Perché abbiamo visto in questi anni come anche a livello delle Regioni si possano avere dei residui passivi, si possa non spendere i soldi che si hanno. Ecco il primo terreno di incontro, di confronto, e, se volete, di sfida democratica che noi rivolgiamo alle forze della maggioranza e alla Giunta.
Vogliamo discutere seriamente, in questi giorni, in queste settimane il meccanismo attraverso cui la spesa della Regione può essere accelerata nei settori che vengono indicati dal vostro stesso programma? Vogliamo vedere come ci muoviamo subito, come spendiamo subito per risolvere il dramma della zootecnia nella nostra Regione? Vogliamo vedere come ci possiamo muovere subito per dar vita a quei progetti, all'interno del programma quinquennale di sviluppo, su cui subito si possono fare dei passi avanti, degli investimenti, delle realizzazioni? Queste le domande che rivolgiamo. Vogliamo confrontarci già in questa sede, ma poi passare in sede più operativa ancora, e andare a vedere, problema per problema, come affrontare questo nodo di fondo? Proprio perché ho polemizzato contro gli specialisti dell'emergenza dico ora che ritengo giusta l'impostazione che viene data nel documento programmatico di vedere anche i problemi di emergenza nel contesto del piano regionale. Da questo principio non dovremmo mai demordere, perch altrimenti torneremo a commettere errori catastrofici. Credo che all'interno di una visione organica, i punti che oggi debbono costituire il terreno di un impegno immediato sono quelli venuti fuori dal vostro discorso, anche dalle mie sottolineature: trasporto pubblico in primo luogo, agricoltura, edilizia sociale. E credo che passi seri, come quarto punto di emergenza, dovremmo fare per una politica nuova nel campo della piccola e media industria e dell'artigianato. Il vostro programma contiene alcune proposte: qualcuna francamente ci sembra nebulosa; discutiamone siamo disposti ad un confronto costruttivo. Ma io ritengo che se oggi noi possiamo assolvere ad una funzione di stimolo della produzione dell'occupazione, della diversificazione industriale, uno dei campi di fondo su cui dobbiamo puntare sia proprio questo, di un ruolo nuovo della piccola e piccolissima impresa.
Un'ultima questione che ci propone l'emergenza è quella che viene dalla tematica dell'inflazione dei prezzi. C'é un impegno, da noi richiesto: quello di avere un'iniziativa regionale e un comitato di controllo regionale. Cerchiamo di assolvere rapidamente questo impegno, con la consapevolezza che tutti, credo, abbiamo che i processi di inflazione avranno nelle prossime settimane dei risvolti terribili, se non interveniamo in tempo. La pioggia di richieste di aumento di prezzi al Governo centrale è impressionante e spesso con ordini di quantità che sono davvero tali da far rabbrividire. Ora, io credo che quella che ha adottato il Governo nazionale sia proprio una linea da non seguire: quella di andare ad un certo punto a comunicare che è stata accettata la richiesta di aumento di questa o di quell'altra impresa, senza far conoscere all'opinione pubblica niente delle varie componenti del prezzo, del processo di formazione dei prezzi. Penso che invece si debba partire proprio di qui, da una conoscenza rigorosa di questo processo di formazione. Su questa base si possono poi assumere anche delle misure concrete, atte a bloccare, o quanto meno a controllare, il processo di inflazione Io penso cioè che noi dovremo avviare quanto prima un'iniziativa anche clamorosa, su cui puntare molto le carte della Regione se vogliamo acquistare non solo in fatto di credibilità rispetto alle grandi masse ma anche incidere sulla situazione di oggi.
Se noi affronteremo la crisi con questa volontà, credo che davvero, se anche la crisi non diverrà meno grave, avremo una grande occasione per cambiare, per avviare un processo di trasformazione, in senso giusto democratico, avanzato, della società italiana; ed anche una grande occasione di confronto, di intesa fra le grandi forze popolari su cui indubbiamente oggi grava la principale responsabilità dell'azione per portar fuori il Paese dalla situazione preoccupante in cui i suoi ceti dirigenti l'hanno trascinato. Un'occasione duplice per noi Regione; perch è indubbio che questo è un banco di prova su cui la Regione può misurarsi fino in fondo e vedere se le attese, le aspirazioni, gli ideali regionalisti, che hanno sempre teso a fare della Regione un soggetto nuovo della politica, della vita economica e sociale delle grandi masse, erano davvero ben riposte.
Dipende, ripeto, dalla volontà di tutti noi. Noi comunisti siamo pronti a questo grande appuntamento. Vogliamo vedere fino in fondo se altre forze sono disposte ad affrontare un discorso che in ogni caso dev'essere un discorso di coraggio.



PRESIDENTE

Il Presidente della Giunta ha chiesto di poter fare una comunicazione.
Ne ha facoltà



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

In relazione al discorso che ha fatto il Consigliere Minucci inserendolo nel contesto del tema generale del dibattito, e relativo in modo particolare e specifico al problema della Lancia allargato al tema della Fiat, ritengo opportuno fare una comunicazione, in maniera che i Consiglieri che interverranno successivamente, avendone conoscenza, possano collocare i loro interventi in questa ottica di una realtà che sta maturando.
Questa mattina vi è stato un incontro informale della Giunta (cioè non una convocazione specifica della Giunta); in un secondo tempo gli Assessori che vi avevano partecipato si sono incontrati con alcuni Capigruppo, con i quali si è esaminato, ancora informalmente ma abbastanza approfonditamente il problema che deriva dall'annuncio della situazione particolarmente delicata e grave che tocca seimila degli ottomila dipendenti della Lancia i quali, come è stato sottolineato, vedrebbero il loro salario mensile decurtato di una cifra oscillante fra le 20 e le 25 mila lire. Si sono fatte delle prospettive di intervento. Il tutto dovrà avere un'ulteriore rapidissima elaborazione.
Non ho però mancato di prendere, in questa mattinata particolarmente laboriosa, contatto con l'ing. Sguazzini, il dott. Viano e l'ing. Gobbato della Lancia, presente anche il dott. Baro, dirigente dell'Unione Industriale, per acquisire da fonte diretta precisi elementi che potranno essere ulteriormente esaminati e valutati. Successivamente mi sono fatto premura di chiedere anche un colloquio, che ho avuto intorno a mezzogiorno naturalmente alla sede della Regione, con un alto dirigente della Fiat. E' venuto l'ing. Gioia, con il quale si è parlato del problema specifico della Lancia - essendo la Lancia strettamente legata alla Fiat - ed anche, in termini almeno di acquisizione di notizie previsionali, di quella che pu essere la sistematica dei lavori che la Fiat intende proporre all'esame successivo anche nostro. Entrambi i complessi dirigenziali hanno riconosciuto apertamente l'opportunità di tenere in futuro direttamente informata la Regione di quello che di buono e di meno buono possa accadere nei loro complessi, il che certamente è un accreditamento che credo sia giusto la Regione abbia. Vi è stato poi ancora un contatto con il signor Grossi, rappresentante della Federazione metalmeccanica, con il quale ho ulteriormente approfondito il discorso alla luce delle comunicazioni fatte dal rappresentanti del due complessi aziendali.
Seguendo la linea emersa nei colloqui precedenti, e accedendo a quella che attualmente è stata indicata come linea di coscienza politica nell'intervento del Consigliere Minucci, ho sentito l'esigenza di chiedere alla Fiat un incontro, che è verosimilmente prevedibile abbia luogo venerdì sera, intorno alle 18.30 - ne avremo conferma ancora nel corso di questa seduta - con la partecipazione di alti dirigenti e responsabili della Fiat alla sede della Regione. Vi si esaminerà questo problema in tutto il suo insieme, che è particolare ma che è soprattutto di carattere generale.
Tutti hanno ancorato l'argomento previsionale al discorso che è a monte: che cosa si intende fare nel quadro della politica nazionale in rapporto al problema dell'approvvigionamento del carburante, del petrolio della benzina eccetera, perché le previsioni sono ancorate ad una scelta. E la linea della Regione se venerdì sera concorderemo in questo senso con i colleghi della Giunta, sentiti ovviamente i Presidenti dei Gruppi, sarà di chiedere che il Governo sblocchi rapidamente la situazione con una scelta e una determinazione che elimini confusioni ed incertezze e ci permetta di premere ulteriormente sulle due aziende perché possano esprimere previsionalmente i loro programmi.
Alla riunione sarà invitato anche il Presidente della I Commissione.
Successivamente ritengo che il Presidente del Consiglio vorrà far riprendere quelle consultazioni che erano del resto previste prima ancora del verificarsi della crisi energetica a livello di I Commissione, per portare avanti il discorso ed avere la verifica di quello che era il piano a suo tempo verificato alla luce dei fatti nuovi.
Mi auguro di poter confermare ancora nel corso della seduta questo incontro per venerdì sera, precisandone anche i termini e le modalità. Mi e parso opportuno fare subito questa comunicazione, come ho detto, perch coloro che devono ancora intervenire ne possano tenere il debito conto.



PRESIDENTE

Ringraziamo il Presidente della Giunta per le sue comunicazioni.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Zanone, ne ha facoltà.



ZANONE Valerio

Signor Presidente, signori Consiglieri, nelle brevi ore che sono state assegnate per l'esame del documento programmatico, il Gruppo liberale ha esaminato con la dovuta attenzione il programma della nuova Giunta e riteniamo di dover dare atto ai presentatori del documento di aver compiuto uno sforzo apprezzabile per mettere insieme un repertorio sulle iniziative da assumere nella parte residua di questa legislatura.
Non a caso ho parlato di un repertorio perché il primo difetto di questo pur ampio documento programmatico, che balza agli occhi anche ad una lettura superficiale, e lo scarso grado di coordinamento fra le sue diverse parti. Se mi è consentita un'immagine, di cui spero il Presidente della Giunta non vorrà aversi a male, questo documento è paragonabile al caso di chi, essendo improvvisamente chiamato a compiere un viaggio imprevisto butta nelle valigie tutto quello che può servire e, come sappiamo, in queste circostanze si finisce per mettere nelle valigie qualcosa di superfluo e di non metterci altro che invece tornerebbe utile.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

E' un atto di previdenza mettere tutto nella valigia.



ZANONE Valerio

Il che squilibra però il contenuto del bagaglio! Non c'é dubbio che il documento, nel complesso, ha degli aspetti di discontinuità e di eterogeneità. Ci sono anche, nella presentazione del programma, dislivelli sensibili, salti di quota da una parte all'altra, per cui la distribuzione della trattazione non è molto equilibrata. Voglio limitarmi ad un esempio (se ne potrebbe fare più di uno): il discorso sui piani di settore, che è essenziale, viene liquidato in poche righe, mentre si dedicano un paio di cartelle a iniziative per attività di promozione turistica in cui si scende a dettagli che sono meramente esecutivi. Altri esempi analoghi si potrebbero fare con facilità, quindi non è questo un rilievo che vada alla persona dell'esimio collega avv. Debenedetti.
Tuttavia, nell'eterogeneità di questo documento a noi pare di dover cogliere alcuni elementi di rilievo sui quali il Gruppo liberale dichiara di consentire, anche perché corrispondono e raccolgono indirizzi che a suo tempo abbiamo in questa medesima sede sostenuto.
Il primo elemento positivo, seguendo l'ordine della trattazione, è senza dubbio il riconoscimento della pluralità di iniziativa politica e legislativa del Consiglio, per cui il programma della nuova Giunta non esclude non solo l'apporto critico, ma anche l'apporto costruttivo dei gruppi politici che non fanno parte dell'attuale maggioranza. Questo apprezzamento positivo mi induce a spendere una parola anche sul trattamento che la nuova maggioranza ha ritenuto di riservare, nel corso del suo programma, ai diversi gruppi di opposizione. Direi che chi se la cava meglio, relativamente parlando, e il Partito comunista, al quale si dedica qualche formula di natura complimentosa, anche se piuttosto ovvia come la considerazione che il PCI "è la forza di sinistra più cospicua esclusa dal governo regionale" Devo confessare che non sapevo ce ne fossero altre.
Per quanto riguarda invece il Partito liberale, se abbiamo ben capito dovremmo ritenerci soddisfatti dell'impegno che qui viene espresso ad un'adeguata risposta alle "rilevanti proposte di altro settore".



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Era per evitare l'equivoco dei liberali di sinistra!



ZANONE Valerio

"Oportet ut scandala eveniant". Ma a parte le variegazioni che esistono all'interno dei partiti, se stiamo agli schieramenti di gruppi mi pare che liquidata nel modo che si è detto l'opposizione comunista, esistano altri due gruppi di opposizione in questo Consiglio rappresentati dalla Destra nazionale e dal PLI.
Non so se "i rilevanti apporti di altro settore" ai quali si riferisce il programma, siano rivolti alla Destra nazionale od al PLI. Devo dire che nel complesso, da queste espressioni un tantino nebulose, coglierei un'inclinazione a quella che l'on Moro, a suo tempo, definì "la strategia del cauto connubio", forse in esecuzione della massima cattolica del "nisi castae saltem caute". Ma poiché la parola "Liberale" non è ancora inclusa nell'elenco dei termini che offendono il comune sentimento del pudore credo che non sarebbe stato un reato farla comparire in modo esplicito nel documento presentato dalla Giunta.
Un secondo elemento Positivo contenuto nelle dichiarazioni programmatiche, consiste nell'assicurazione che la nuova Giunta da circa il pieno adempimento delle competenze del Consiglio. Noi siamo senz'altro persuasi che questa assicurazione sia positiva e dovesse essere qui espressa, tuttavia non vorremmo che questo esonerasse la Giunta dall'obbligo di presentare sempre, al Consiglio, proposte che siano chiaramente definite nel loro indirizzo.
Dico questo perché nella formulazione del documento e su punti essenziali per la vita della Regione, come le deleghe, come i comprensori il documento sembra ammettere che la Giunta non sa bene a quale santo votarsi. Abbondano citazioni del tipo "non abbiamo un per le deleghe" oppure "la realtà comprensoriale è da definire", o ancora "si dovrà in qualche modo, forse con norme transitorie, provvedere e così via. E questo stato di oscillazione raggiunge il vertice a pagg. 26 e 27 del documento in cui si propone una serie di sette "quiz"- così formulati; "chi gestirà il piano? Come lo si gestirà? Quale sarà il ruolo della Regione? Quali le attribuzioni e le funzioni delegate? A chi delegate? Il comprensorio sarà uno strumento valido? Che cosa sarà il comprensorio?" Vorrei dire - e mi scuso della leggerezza del discorso -: o istituiamo un concorso a premi, magari affidato a Mike Bongiorno o a qualche altro personaggio televisivo, in cui nomineremo nella Giunta i campioni che sapranno rispondere a queste domande tanto difficili, oppure è meglio che la Giunta proponga al Consiglio una risposta per queste domande che sono fondamentali per l'organizzazione del residuo arco di legislatura.
Invece rileviamo degli elementi positivi circa le procedure del piano.
Il collega Minucci, parlando poco fa, ha voluto insistere sul concetto di una posizione liberale che sarebbe incompatibile con una reale politica di piano. Noi saremmo pronti ad accettare questo confronto se non fosse che in base allo stesso documento che la Giunta ci presenta, di questo confronto si occuperanno i nostri successori in questa aula; perch l'impegno temporale, dilazionato alla fine del 1974, fa si che il piano di sviluppo regionale sarà un argomento di impegno per la seconda più che per la prima legislatura.
La politica di programmazione regionale quindi, di fatto, viene dirottata su articolazioni di minore ampiezza; sul bilancio preventivo del 1974; sui progetti operativi, circa i quali noi siamo consenzienti, con una perplessità, per quanto riguarda il riferimento a esperti e consulenti esterni ai quali dovremmo affidarci e sui quali attendiamo qualche indicazione meno generica; sui piani di area e di settore.
Certo, il piano di sviluppo regionale che nascerà dall'insieme di queste articolazioni, deve avere come sua dimensione e come suo protagonista non soltanto la Regione come ente, ma la Regione come comunità, andando quindi oltre le materie di stretta competenza dell'Ente Regione per investire la tonalità della comunità regionale, dei suoi Enti pubblici e delle sue forze sociali e economiche.
Ma proprio su questo punto si riscontra la carenza fondamentale di questo documento. Ci sembra che qui manchi, o sia per lo meno insufficientemente sviluppata, un'analisi capace di cogliere la situazione economica e sociale del Piemonte nella sua drammaticità ormai incipiente, e di proporre - per questa situazione che è e sarà prossimamente anche più drammatica - un disegno politico adeguato. Ci riserviamo di presentare una nostra linea quando i vari temi di questa situazione drammatica verranno ad essere affrontati in Consiglio. Per cogliere un'indicazione dell'intervento del collega Minucci che mi ha preceduto, abbiamo sentito anche poco fa in quest'aula qualche eco del nuovo modello di sviluppo, che è il concetto su cui si sta organizzando il dibattito politico relativamente alla situazione economica nazionale e quindi locale. Dobbiamo dire che, a parte l'ambiguità intrinseca di questa formula, comunque, il nuovo modello di sviluppo, se le sue priorità fossero soltanto quelle elencate dal Consigliere Minucci, cioè di un'assegnazione di priorità ad alcuni settori di intervento come il trasporto pubblico, l'agricoltura, l'edilizia sovvenzionata, la piccola e media industria, noi non ci porremmo in quella posizione così nettamente alternativa che il collega Minucci ha voluto prevedere per il nostro Gruppo; ma questo dibattito sul nuovo modello di sviluppo coinvolge in ogni caso dei problemi di lungo periodo, le trasformazioni che occorrono per passare comunque da un modello di sviluppo ad un altro non possono essere cogestite con problemi di drammaticità congiunturale. Farsi un'insegna di questa formula del "nuovo modello di sviluppo" per affrontare le difficoltà presenti, sarebbe una mistificazione. Sono lieto di essere con ci allineato con l'on Giorgio Amendola che mi risulta avere espresso, più o meno, lo stesso parere.
Potremmo, come Regione, stabilire obiettivi più modesti e che tuttavia sono anch'essi terribilmente difficili; ad esempio puntare su un trasferimento della domanda anche privata da un settore all'altro; non c'è dubbio che si è enfatizzato troppo sulla domanda per il trasporto privato rispetto a domande per altri settori, come quello della casa. Forse questa strategia darebbe oggi i maggiori affidamenti per quei fini di salvaguardia dell'occupazione che sono egualmente a cuore di tutte le forze politicamente responsabili, e su questo la Regione può intervenire anche oltre quei limitati interventi che finora ha esercitato, sia in via diretta, sia attraverso un'azione sulle infrastrutture, sia attraverso una pressione politica sugli altri Enti pubblici nazionali e locali.
Ma per rientrare nel discorso sul documento della Giunta, al quale intendo attenermi strettamente, credo occorra vedere con quali strumenti la Giunta intende procedere alla programmazione regionale. Senza entrare nel merito degli strumenti operativi settoriali, sui quali rinvio alle dichiarazioni che già il nostro Gruppo fece in questo Consiglio all'atto dell'elezione della nuova Giunta e a quanto dirà nel suo intervento il collega Rossotto, devo però rimarcare l'urgenza da un lato (per quanto riguarda gli strumenti di studio e di documentazione del piano) che si dia una sistemazione definitiva alle strutture interne dell'Ires, superando l'attuale gestione commissariale, il che credo corrisponda anche ad una legittima richiesta degli stessi ricercatori che svolgono la loro attività presso quell'istituto; dall'altro lato, che si approfondisca in termini brevi il ruolo che la Regione intende svolgere circa il progetto pilota dell'area metropolitana su cui dovremo prossimamente esprimerci in questa sede.
Non entro nell'esame dettagliato dei programmi dei singoli Assessorati.
Osservazioni su ciascuno di essi saranno espresse dai colleghi del Gruppo liberale che prenderanno la parola in questo dibattito. Per quanto mi concerne devo soltanto limitarmi anche qui a osservare un certo squilibrio nella trattazione. E' possibile individuare, per alcuni Assessorati, una linea che è già di indirizzo politico e che noi giudichiamo positivamente mi riferisco ad esempio al capitolo riguardante l'Assessorato per l'assistenza sociale sulle cui linee di indirizzo crediamo di dover consentire, mentre per altri Assessorati si tratta di compilazioni più o meno d'ufficio che politicamente - se mi è consentito dirlo - non sono di grande rilievo.
Ma per dare qualche indicazione sull'apporto costruttivo che il Gruppo liberale intende dare a questa discussione, vorrei brevemente soffermarmi in primo luogo sugli interventi nel settore della cultura. In questo settore la Giunta auspica nel suo documento suggerimenti e proposte dal Consiglio stesso e noi riteniamo di poterci impegnare a presentare quanto prima una proposta legislativa che ponga il problema del censimento e della salvaguardia dei beni culturali del Piemonte, iniziativa che ci sembra quanto mai attuale ed urgente.
Per quanto riguarda il settore dell'ambiente naturale, circa la gestione programmata delle risorse idriche e la formazione del piano delle acque, la Giunta denuncia difficoltà di natura conoscitiva. Credo - ne avevo anche interessato il Presidente della Giunta e potrò farlo con il nuovo Presidente e con l'Assessore - che sarebbe opportuno ricorrere agli studi già compiuti da quegli Enti o aziende pubbliche specializzati nella rilevazione del sottosuolo, che potrebbero agevolare e rendere più celere la definizione di un piano delle risorse idriche sotterranee della nostra regione. Questione alla quale si collega anche un problema locale ma comunque di importanza politica che forse sarebbe stato bene trattare in questo documento, vale a dire la captazione delle acque per le fonderie di Crescentino, connessa alle note obiezioni e opposizioni sollevate dall'acquedotto dei Comuni del Monferrato.
Per quanto concerne l'altro aspetto della politica delle acque, cioè gli inquinamenti idrici, credo si possa arrivare ben presto ad una definizione legislativa di questa materia, purché si superi l'attuale difficoltà costituita dalla compresenza di proposte che hanno impostazioni giuridico-amministrative diversamente orientate.
Vorrei aggiungere qualche parola sul settore delle foreste e della flora che è toccato solo marginalmente nel programma della Giunta. Per quanto riguarda la difesa della flora piemontese, l'iniziativa che fu a suo tempo assunta dalla Società Botanica è già in ritardo e potrebbe essere gestita con maggiore celerità, non coinvolgendo questioni di indirizzo politico troppo complesse e tuttavia riguardando un settore che, seppure marginale, è prezioso per la salvaguardia del patrimonio naturalistico della regione.
Vorrei anche raccomandare alla Giunta l'espressione di un sollecito parere sulla proposta di legge che il Gruppo liberale ha a suo tempo presentato per quanto riguarda le norme per la prevenzione e l'estinzione degli incendi forestali. Il collega Giletta, relatore di questa proposta di legge, ci ha l'altro giorno informati in Commissione che rispetto a duemila ettari di boschi che andavano normalmente distrutti in Piemonte negli anni scorsi, nel 1973 ve ne sono stati ottomila. Questo intervento potrebbe realizzare un altro punto di convergenza del Consiglio, al di là delle differenziazioni di carattere politico.
Infine vorrei lamentare che, per quanto riguarda la parte della tutela ambientale e delle norme contro gli inquinamenti, il documento della Giunta taccia su due problemi, anche questi di carattere locale e specifico, ma di grande intensità e che sono, l'uno il problema della captazione delle acque attraverso i canali di gronda dell'Enel in Valle Gesso, l'altro quello dell'ampliamento della centrale termoelettrica dell'Enel di Chivasso; sulla quale ultima questione desidererei essere informato sul modo in cui la Giunta Regionale intende esercitare le facoltà di proposte alternative che sono state riconosciute dalla recente legge statale per le nuove centrali termoelettriche.
Mi scuso di entrare in questi dettagli, ma si tratta di questioni che sono ad uno stato di discussione estremamente vivo presso le comunità locali interessate e su cui a mio avviso è bene che la Giunta Regionale e quindi il Consiglio prendano un indirizzo chiaro; anche perché si tratta di problemi sui quali la discussione è ormai da tempo avviata.
Infine, per quanto riguarda il settore dei parchi naturali, avremmo desiderato che la Giunta si ponesse il problema innanzi tutto da un punto di vista di programmazione regionale del territorio, ad esempio dichiarando se intenda o meno attenersi al vincolo del 5 per cento del territorio a suo tempo previsto dal piano nazionale per la costituzione di parchi e di riserve naturali, anche al fine di coordinare le molte iniziative locali che si svolgono su questa materia, ma che quasi tutte per mancanza di interventi operativi restano allo stato di discorsi e delle intenzioni.
Devo ricordare alla Giunta che da circa due anni questo Consiglio attende la presentazione della relazione sui biotopi naturali da salvaguardare.
Per quanto concerne i parchi interurbani dell'area torinese, mentre il documento della Giunta affronta il problema de La Mandria, già risolto dal Consiglio con la nota deliberazione, occorre ricordare che esistono insieme a La Mandria altri problemi che allora, quasi unanimemente, il Consiglio pose sullo stesso livello (Stupinigi, rive del Po e degli altri fiumi colline di Torino e di Rivoli).
Sono tutte questioni politiche, signor Presidente su cui sono impegnate le assemblee comunali, sono impegnate le comunità locali, i quartieri, le associazioni naturalistiche e sulle quali quindi la Giunta deve assumere un impegno preciso.
Il problema delle aree verdi destinate al tempo libero, quali sono quelle dell'area intercomunale, mi richiama alla questione degli impianti sportivi circa i quali vogliamo raccomandare al Consiglio l'esame della proposta di legge n. 119 del nostro Gruppo, che abbiamo visto con soddisfazione corrispondere pienamente all'indirizzo del documento presentato dall'Assessorato competente.
Credo di essermi dilungato un poco su questioni di dettaglio, penso che ciò possa avere tediato l'assemblea, ma abbia anche dato un contributo di proposte su alcuni temi specifici e penso che gli altri colleghi del Gruppo liberale che mi seguiranno faranno altrettanto, proprio per integrare un nostro parere che sia il più possibile politicamente oggettivo sul documento che ci è stato presentato.
Devo dire, per concludere, che con i suoi pregi e con i suoi limiti questo documento si svolge ad un livello più di amministrazione locale che di intervento politico sul complesso della realtà piemontese, la quale è una realtà economica, sociale e politica animata da tensioni profonde e da processi di mutamento molto forti. Non ignoriamo le limitazioni di tempo di poteri, di risorse che l'intervento dell'Ente Regione necessariamente deve avere, ma, avremmo forse desiderato un documento più compatt. Se la specificazione ha voluto essere invece un esercizio di concretezza, in questo l'accogliamo. Il giudizio sull'efficienza - perché la specificazione evidentemente richiede un giudizio di efficienza - lo darà il Consiglio, ma lo daranno soprattutto le grandi prove che si profilano per l'anno appena iniziato.



PRESIDENTE

Annuncio che mi è pervenuto ancora un ordine del giorno sul problema della Lancia di Chivasso, unitamente a quello per la Fiat e successivamente ne darò lettura.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Menozzi, ne ha facoltà.



MENOZZI Stanislao

Signor Presidente, signori Consiglieri, non so se potrò essere altrettanto bravo, in fatto di brevità, come lo è stato il collega Zanone che mi ha testè preceduto e chiedo, per questo, venia in anticipo, se dovessi abusare un tantino della pazienza di ognuno di loro.
Abbiamo ascoltato con molto interesse le dichiarazioni programmatiche espresse dal Presidente della Giunta Regionale, che giungono in un momento difficile per l'economia nazionale e regionale; le abbiamo sostanzialmente apprezzate e sostanzialmente le condividiamo. E' stato sottoposto alla nostra attenzione un documento organico che, partendo da una reale e precisa analisi della situazione, propone soluzioni di base, organiche e globali, prescindendo da rigide impostazioni, oggi non possibili, in una realtà caratterizzata da evoluzioni rapide e da mutamenti improvvisi e difficilmente prevedibili.
Ci pare veramente che ci si sia posti finalmente sulla giusta strada di agire in termini di terapia politica ed amministrativa e non soltanto di razionalizzazione e di maggior efficienza di determinati servizi. Si è dato, cioè, un giusto rilievo all'attività legislativa vera e propria della Regione e non anche e solo all'attività amministrativa, derivante dal trasferimento di funzioni statali. Positiva ci appare anche la correlazione tra bilancio e programmazione e corretta l'impostazione di finalizzare il bilancio alla realizzazione del piano.
Gli impegni finanziari che la Regione dovrà assumersi, non saranno e non dovranno essere dispersivi, episodici e disorganici, ma tesi alla realizzazione di un'organica politica di piano programmatico, studiato e predisposto, sia pur elastico ed adattabile alla realtà in movimento ed alla considerazione che stiamo esaminando non un piano di legislatura, ma uno scorcio residuo di essa ed in un momento in cui alcuni pressanti ed, in quanto tali, urgenti interventi potrebbero eccezionalmente indurre ad agire fuori dal contesto preindicato ed in situazioni di emergenza.
La Giunta ha indicato due grandi campi di azione: l'agricoltura ed il settore delle infrastrutture fisiche.
Per il settore primario, la difficile fase, che l'economia del Paese sta attraversando, ha fatto finalmente capire che l'agricoltura va salvata nell'interesse di tutti e soprattutto dell'industria e di questo ne sono convinti ormai tutti, partiti politici, organizzazioni sindacali e di categoria e opinione pubblica, ivi compresi coloro che, formulando pseudo ipotesi di efficientismo economicistico e tecnicistico, ed in soli termini industriali e commerciali, relegavano l'agricoltura a settore residuo o marginale, opponendosi quasi con petulanza, con accuse di corporativismo o settorialismo e di miopia politica, a quanti, come noi, continuavano a ribadire sulle caratteristiche di settore primario dell'agricoltura e sui pericoli gravi che da diverse valutazioni ne sarebbero derivati all'intera comunità nazionale e, per ciò stesso, anche all'industria che, in un Paese povero di materie prime, come il nostro, avrebbe finito per autodistruggersi.
Si sta finalmente risvegliando l'interesse generale per l'agricoltura e si sta finalmente capendo che un'agricoltura in crisi contribuisce in modo fondamentale e preminente ad inasprire i problemi sociali ed economici.
Alcuni tipici fenomeni di questo genere sono l'affollamento delle aree urbane, ove più facile può apparire un collocamento della manodopera creando nel contempo un patologico abbandono della campagna: ciò vuol dire porre i presupposti per preoccupanti fenomeni di sottoccupazione e di disoccupazione (e ne abbiamo avuto sentore anche in quest'aula ieri sera con una precisa denuncia del Vicepresidente Sanlorenzo su quanto sta verificandosi alla Lancia, ma è uno, purtroppo, dei tanti episodi che giornalmente vengono portati a nostra conoscenza), riduzione di disponibilità alimentari (ed anche in questo campo potremmo fare riferimento al rapporto di alcuni mesi fa di un autorevole istituto qual è la FAO, dove una volta ancora si è suonato l'allarme sui pericoli insiti in una sempre e vieppiù accentuata diminuzione di detti prodotti) e quindi ricorso alle importazioni che accrescono i pericoli dell'inflazione quando come nel momento attuale, superano ampiamente il livello di guardia della nostra bilancia con l'estero.
La Regione, che ha competenze primarie nel settore, deve assolvere a questa sua essenziale funzione e deve, conseguentemente, operare affrontando il tema della politica agraria nella sua interezza. Vasti sono i problemi da affrontare: riorganizzazione strutturale delle imprese agricole, orientamento delle produzioni e degli allevamenti, assistenza tecnica e professionale. Politica dei prezzi e delle strutture per il sostegno e l'aumento dei redditi, miglioramenti fondiari, attrezzature associative di commercializzazione e di trasformazione dei prodotti agricoli, credito di conduzione, perfezionamento della politica agricola comune, specie per l'organizzazione dei mercati e l'aggiustamento dei prezzi, l'esaltazione dell'azienda familiare diretto-coltivatrice incoraggiandola e sospingendola ad inserirsi più celermente nel processo associativo in ogni sua manifestazione, questi sono i fondamentali pilastri su cui si deve svolgere un'azione urgente ed incisiva. Ulteriori ritardi provocherebbero la paralisi completa dell'agricoltura ed i mali che ne deriverebbero sarebbero determinanti per tutti.
In questo quadro, assume particolare rilievo la chiara e precisa individuazione dell'imprenditore agricolo, individuazione che non è problema di dimensioni dell'impresa, ma di difesa dell'imprenditore agricolo vero e proprio, in quanto ci sono anche gli imprenditori presunti tali, fasulli o falsi......



(Applausi dal pubblico)



PRESIDENTE

Vi ho già ringraziati per la maturità che ha contraddistinto la vostra venuta qui, ma il regolamento non consente né approvazioni ne disapprovazioni.



(Voce dal pubblico)



PRESIDENTE

Non è burocrazia, non si può. Potete ascoltare attentamente e valutare.
Prosegua Consigliere Menozzi.



MENOZZI Stanislao

.....difesa dell'imprenditore agricolo vero e proprio che deve essere tutelato e rispettato nell'interesse comune. Un diverso modo di agire farebbe ricadere in una deprecabile confusione e aiuterebbe solo ed ancora una volta le grandi manovre della speculazione, aggravando in maniera irreparabile i problemi sul tappeto.
Il mondo agricolo, nelle condizioni in cui si trova, ha bisogno soprattutto di chiarezza e di realizzazioni organiche, che meglio si inseriscano nel contesto dell'economia comunitaria, in una visione integrale del problema in tutti i suoi aspetti e attraverso tutti i suoi fenomeni Non soltanto questioni economiche hanno contribuito all'esodo dalle campagne, ma anche questioni umane e sociali. A dare conferma di queste fondamentali esigenze, possiamo citare il giudizio del CNEL che, a conclusione di una serie di concrete proposte sullo "Stato e le prospettive dell'agricoltura italiana"- considera essenziale il problema innanzi tutto umano delle infrastrutture, ritenendo come l'esodo dalle campagne, oltre alle difficoltà insiste in un conflitto di generazioni e dalla disparità del reddito, sia dovuto alle carenze di servizi civili e sociali, che ha reso ancor più tormentata la vita delle zone agricole, argomento questo che non ci è nuovo, avendo avuto più volte, anche personalmente occasione di dibatterlo in quest'aula consiliare. E' necessaria un'opera di integrale e più moderna valorizzazione dell'economia agricola e immediatamente, avendo l'agricoltura funzioni insostituibili, deve essere adottata una politica di sostegno che affronti le difficoltà contingenti nei problemi produttivi ed economici, favorendo con interventi concreti il mondo agricolo anche in materia sociale e di sviluppo civile. Ecco il nostro riferimento fatto in precedenza alla necessità di agire, anche e subito, attraverso tutti gli strumenti attualmente possibili.
Ad ulteriore conforto delle necessità sopra indicate, ci sia consentito, stante la coincidenza puramente casuale che ci troviamo a discutere il programma di una nuova Giunta proprio all'inizio dell'anno nuovo, di abbandonarci ad un sommario consuntivo dell'anno testè conclusosi e ad una valutazione prospettica dell'anno, che ci sta di fronte.
Il 1973 è stata senz'altro un'annata negativa per l'economia. Alle deficienze strutturali di ieri, si sono aggiunti, sulle sue spalle, fattori di crisi internazionali, che si possono individuare, soprattutto, nel terremoto valutano, che ha fatto paurosamente tremare le stesse strutture comunitarie, con le diverse scelte operate dalle nazioni partners: infatti l'Italia ed i Paesi anglosassoni hanno scelto la via della fluttuazione autonoma delle proprie monete, uscendo così dal serpente monetario adottato dagli altri Paesi della Comunità Economica Europea.
Altri fattori di crisi internazionale sono individuabili nella crisi del settore energetico, che ci ha trovato del tutto impreparati, alla merc dei paesi produttori del petrolio e delle speculazioni delle "sette sorelle", monopolizzatrici della trasformazione e commercializzazione, e nel vertiginoso rialzo dei prezzi, che ha messo in serio imbarazzo tutti i settori produttivi, con gravi ripercussioni tuttora in essere anche nel settore occupazionale. Anche in conseguenza dei fatti internazionali, il Governo italiano ha dovuto adottare un primo provvedimento, del luglio 1973, di blocco dei prezzi di parecchi prodotti.
E' indubbio che da tutta questa situazione, l'agricoltura è venuta per pagare lo scotto più alto in quanto, mentre da una parte ha dovuto subire tutte le conseguenze negative inerenti alla scelta della politica monetaria italiana che, se ha in certo modo favorito l'industria, ha certamente danneggiato gravemente il settore primario, colpendo soprattutto i comparti lattiero-caseario, zootecnico, bieticolo e della cerealicoltura, dall'altra ha sopportato quasi interamente sulle sue spalle, facendo ancora una volta da materasso all'economia, il blocco dei prezzi e la svalutazione della lira. Infatti mentre si sono bloccati i prezzi, soprattutto dei prodotti agricolo alimentari, quando alla produzione essi conoscevano le valutazioni più basse, non vi sono però bloccati i prezzi dei mezzi tecnici necessari al settore primario, rendendo ancor più antieconomiche le produzioni agricole e facilitando ulteriormente la concorrenza dei prodotti dei restanti paesi comunitari, a cui per ironia venivano e vengono ancora riconosciuti "montani compensativi".



(Applausi dal pubblico)



PRESIDENTE

Prego di sgomberare la tribuna del pubblico.
Sospendo la seduta per cinque minuti e convoco i Capigruppo.



(La seduta, sospesa alle ore 17,05, riprende alle ore 18,10)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
La Presidenza, i Capigruppo, il Presidente della Giunta hanno ricevuto una delegazione dei giovani coltivatori. E' intervenuta con estrema chiarezza una spiegazione ed in conseguenza dell'impegno da parte di quanti sono nella tribuna di consentire, senza alcuna interruzione, la prosecuzione dei lavori, io revoco il mio precedente provvedimento e prego il Consigliere Menozzi di proseguire con il suo intervento.



MENOZZI Stanislao

Premetto, prima di continuare con il mio intervento, che lo faccio con animo veramente turbato. I motivi del turbamento non reputo opportuno esternarli in quest'aula, perché in parte facilmente recepibili e perch non intendo, oltre al mio animo, turbare ulteriormente l'animo altrui.
Stavo sostenendo che oltre tutto il nostro governo deve anche pagare i riconosciuti "montani compensativi" ai produttori di altri paesi della Comunità che esportano nel nostro e che conseguentemente provvede, per la parte di propria competenza (questo addirittura sa di beffa) a versare i propri oneri.
Una siffatta situazione non ha neppure, contrariamente a quanto comunemente si pensa, favorito l'industria, poiché lo squilibrio della bilancia dei pagamenti, soprattutto nel settore agricolo-alimentare, dove si raggiungono vertici valutabili in 2.200 miliardi sui 3.000 circa di scompenso totale, favorisce un processo di inflazione che distrugge anche il potenziale industriale, pur se l'industria non sempre ha dimostrato di sufficientemente valutare questi rischi con la notevole azione condotta di esportazione di propri manufatti con scambio di derrate agricole e alimentari. Ha, invece, principalmente favorito, nel settore zootecnico, la manovra speculativa dei "novi fratelli", baroni dell'importazione sviluppando, non un sano spirito di affetti familiari, ma, piuttosto, una consorteria di mafiosa memoria, con un'AIMA che, ahimè, ancora una volta ha svolto il ruolo di inerme spettatrice.
Ed è strano che soltanto sei o sette mesi or sono una gran parte dell'opinione pubblica individuasse nei produttori agricoli degli speculatori quando cercavano di realizzare dal frumento le 1.000/1.500/2.000 lire in più al quintale, che avevano realizzato in passato, su prezzi fermi al 1947. Non sempre l'opinione pubblica si accorge di quanto sta avvenendo da parte di quei nove fratelli, o più propriamente di quei "nove baroni" dell'importazione.
E mentre si assisteva e si assiste alla massiccia importazione di prodotti agricoli e zootecnici, che svilisce e umilia la nostra produzione la svalutazione della lira dal canto suo, ha provveduto a falcidiare i pochi sudati risparmi degli operatori agricoli e a sottoporli ad un crescendo vertiginoso di costi delle materie prime, quali il carburante aumentato del 100 per cento e, ciò nonostante, assegnato col contagocce dei fertilizzanti, cresciuti nella misura del 48 per cento, ultimamente decretato, dei mangimi, i cui prezzi sono andati veramente alle stelle, e della manodopera.
Tutto ciò ha provocato la falcidia del patrimonio bovino che è sempre stato un settore portante, riducendolo, in quanto a consistenza, ai livelli dei primi del novecento, quando la popolazione oggi è quasi raddoppiata ed i consumi pro-capite più che triplicati, pur non raggiungendo ancora i livelli di altri paesi progrediti.
In Piemonte, a fronte di 1.321.950 capi del 1959 siamo scesi al 1.000.000 del 1971 e la statistica del 193 ci fornirà indubbiamente degli ulteriori dati in diminuzione.
Ecco perché il parlare di razionamento, cosa che, tra l'altro, ci rattrista, per aver vissuto l'infausto periodo della "tessera", non è un discorso molto lontano dalla realtà, anche in riferimento al fatto che nel 1973, dai primi dati in nostro possesso, risultano essere state abbattute oltre 500.000 vacche, parecchie delle quali di alta genealogia.
Soltanto alcune sere or sono è stata messa in onda una trasmissione televisiva che ci ha dato la sensazione di quanto sta avvenendo nel senso indicato.
D'altra parte l'indice di incremento della produzione agricola del 1973, a fronte del 5 per cento di aumento circa registrato dai servizi e del 7,5 per cento mediamente dell'industria (con punte del 10 per cento circa dei mesi di ottobre e novembre), può valutarsi nell'ordine del 2 per cento, che, in termini monetari costituisce perdita netta, anche se non si può non sottolineare i miracoli compiuti in siffatta situazione, dagli imprenditori agricoli, e principalmente dall'impresa familiare diretto coltivatrice (che produce circa l'80 per cento della produzione lorda vendibile pur disponendo del solo 65 per cento delle superfici agrarie) che ha fatto registrare un anche se modestissimo, incremento della produzione, pur nel processo di esodo, di femminilizzazione e di senilizzazione delle campagne. Si deve tener conto, in queste valutazioni che, anche nel 1973, è continuata la carenza di finanziamenti pubblici all'agricoltura, che si protrae dal 1971, salvo interventi episodici e sporadici e in quanto tali, insufficienti.
Oltre ad avere sempre e soltanto sentito parlare di rifinanziamenti e di presentazione di piani generali e particolari (vedi carne), l'annata si è conclusa con un'ulteriore delusione, suscitata dal mancato recepimento nella legislazione italiana, delle direttive CEE, emanate nell'aprile del 1972.
Il 1974 è iniziato sotto un cielo caratterizzato dalle solite dense nubi del 1973, riprospettando gli stessi problemi, pur se si intravede un piccolo spiraglio di luce, fornito dall'annunciato rifinanziamento dei fondi di rotazione di cui alla legge 512 dell'agosto scorso, con la presentazione, ormai imminente, di un piano carne, per il quale dobbiamo batterci, con una maggiore dotazione finanziaria alle Regioni di cui al fondo comune, con un preannunciato intervento sempre nel settore carne, da parte della CEE, con l'eliminazione dei montani compensativi, anche se l'atteggiamento assunto proprio ieri a Bruxelles dal rappresentante francese suscita preoccupazioni, e con un possibile nuovo e più giusto allineamento del valore reale della lira verde nei confronti dell'unità di conto.
Dispensandoci dal fornire ulteriori indicazioni di carattere previsionale, la situazione impone senza tergiversazioni, che la classe dirigente comunitaria e nazionale manifesti appieno quella seria e decisa volontà politica necessaria per la soluzione tempestiva e completa dei problemi e che la Regione, dal canto suo, manifestando la stessa concreta volontà, possa lasciare credere e sperare su di una decisa e tempestiva azione, onde, già in questo breve scorcio di legislatura, che rimane prima del rinnovo elettorale, possa e voglia compiere passi qualificanti e risolutivi, atti a conferirle tutta la credibilità necessaria in così dedicato frangente.
Signor Presidente e colleghi Consiglieri, passando ora ad esaminare, in ordine di esposizione, alcuni punti del programma, mentre prendiamo atto del notevole sforzo compiuto e dell'impegno manifestato, ci sia consentito osservare che il programma medesimo non ha, in modo tassativo specificatamente indicato le scelte prioritarie, pur nella lodevole premessa, essendo pacifico che, pur essendo apprezzabile un'elencazione di problemi inevitabilmente esistenti, realtà ed obiettività vogliono che soltanto alcuni di questi, per esigenze di urgenza di intervento, per questioni di tempo e per limiti finanziari, possano essere affrontati e risolti.
Trasporti e comunicazioni. Senza affrontare la vasta tematica del settore, resa più drammatica dalla crisi energetica e dai conseguenti provvedimenti adottati e da adottarsi per la regolamentazione dell'uso dei mezzi privati, avendo la Giunta focalizzato principalmente la sua attenzione sul problema dei trasporti in aree urbane, non possiamo ignorare che vaste zone periferiche di montagna e di collina, rischiano, in conseguenza anche del divieto di circolazione festiva e domenicale e dei paventati provvedimenti di razionamento del carburante, di essere emarginate. Pertanto si impone un riesame dei cosiddetti "rami secchi" e cioè delle linee ferroviarie secondarie ed anche della revisione delle linee di trasporto pubblico su gomma; le aziende gestrici di questi trasporti, pubbliche e private, per ragione di costi, ignorano le zone indicate e, purtroppo, i comuni interessati non sono nelle condizioni finanziarie di intervenire.
Agricoltura. Il discorso generale lo abbiamo già affrontato.
Condividendo totalmente l'elencazione fatta, nel documento programmatico dei campi specifici di intervento e compiacendoci anche per il riferimento alla manifestazione dei coltivatori diretti piemontesi del 5 novembre scorso a Torino, ci limitiamo ad alcuni interrogativi e argomentazioni su questioni che reputiamo di fondo in quanto, oltre ai principi, investono anche la sostanza dei problemi.
Là, ove, sempre nel programma, si riafferma la triste realtà, che l'azienda coltivatrice è oggi in crisi profonda e che "per questo è proposito della Giunta destinare, con opportune garanzie, in armonia, del resto, con le direttive della CEE (numero 159), in via assolutamente prioritaria, ogni agevolazione e contributo a quanti sono i reali e veri professionisti agricoli; a coloro, coltivatori ed agricoltori, che traggono dall'esercizio dell'attività professionale agricola, la parte essenziale del loro reddito, che è reddito di lavoro", ci torna logico e naturale, per motivi di chiarezza ed a scanso di equivoci, porre la domanda, con quale strumento specifico l'Esecutivo intende perseguire quanto affermato strumento che, tra l'altro, non dovrà sottovalutare il discorso dell'autogestione della categoria.
E' indubbio che una semplice affermazione di principio, seppur apprezzabile, se non codificata concretamente, verrebbe per suscitare notevoli dubbiosità in tutti e principalmente nelle categorie interessati le quali, dal 1948 ad oggi, sono rimaste di fatto profondamente deluse da analoghe affermazioni di principio, che hanno costellato la legislazione agraria prodotta, ma rimaste troppe volte solo parzialmente applicate quando, addirittura, non sono rimaste che lettera morta. Difatti, andando a risfogliare tutta la legislazione agraria, non c'è legge più o meno importante e più o meno densa che non faccia riferimento alle aziende coltivatrici dirette. Poi la realtà, nella stragrande maggioranza dei casi è stata quella che vi abbiamo indicato, salvo nelle poche province (si contano sulle dita di una mano) dove, essendoci solo l'azienda diretta coltivatrice, il problema non si è posto. Sono emerse, comunque, altre difficoltà, dimostratesi tante volte insopportabili.
Calza a tal proposito il detto che chi è rimasto scottato dall'acqua calda, ha paura anche di quella fredda. Già in passato, in questa stessa aula, avevamo sollecitato l'attuazione di uno strumento idoneo allo scopo volto proprio a definire e valorizzare l'imprenditore agricolo come uomo ed in quanto tale, attraverso un riconoscimento ufficiale della professione avente i requisiti che la stessa Giunta ha individuato, definendolo "Albo Professionale". La nostra richiesta, come si era precedentemente verificato anche a livello nazionale, ha suscitato polemiche infondate e troppo spesso interessate, con accusa di mentalità corporativistica o settorialistica.
Sia implicito, visto che sulla dizione "Albo" si è creata una quasi idiosincrasia di mero carattere fonetico, che noi non siamo legati a nessuna dizione particolare, ma ciò che ci interessa è la sostanza del problema posto, che reputiamo essenziale ed anzi addirittura indispensabile, affinché la Regione possa, per il presente e per il futuro effettuare delle scelte precise di politica agraria e individuare, senza remore, i destinatari della medesima, devolvendo ad essi e solo ad essi le relative provvidenze e ridando, così, tranquillità, fiducia e credibilità nell'Istituto Regionale agli interessati in generale ed ai giovani in particolare, le cui fila si sono paurosamente assottigliate in campo nazionale e soprattutto in Piemonte. Grave errore politico, sociale, umano e morale sarebbe il non capire le ansie e le attese dei giovani coltivatori, ormai ridottisi, nella nostra Regione, a 1.500/2.000 unità circa, ma che, comunque, sono pur sempre giovani che sono rimasti legati alla terra per vocazione e non per costrizione e che, nello strumento che invochiamo, il quale non comporta peraltro, impegni finanziari per la sua realizzazione, vedono giustamente la speranza di un loro maggiore e migliore riconoscimento da parte dei pubblici poteri e, quindi, l'inizio loro riscatto.
Ripetiamo che non siamo legati a questioni di natura nominalistica interessa la sostanza, interessa lo strumento, perché a noi appare assai strano prefissarsi il raggiungimento di determinati traguardi senza indicarne il percorso e il mezzo o lo strumento attraverso il quale quel traguardo si vuole raggiungere. Lo si chiami poi, quello strumento, con qualsiasi altro nome italiano, od eventualmente arabo, indù, israeliano americano, o con inglesismi o francesismi in voga, a noi non interessa proprio niente.
Saremo degli ingenui, ma non riusciamo a capacitarci, dal momento che tutti sono concordi nel ritenere vitale l'aiuto all'azienda familiare diretto-coltivatrice e mezzadrile, singola o associata, del perché sino ad oggi non sia stato ancora possibile, ad eccezione di alcune Regioni attuare e generalizzare questo strumento.
E vorrei porre, signor Presidente e colleghi Consiglieri, un altro interrogativo: è vero che il '73 ci ha fatto registrare in campo zootecnico la perdita di oltre 500.000 vaccine, è vero che, parecchie stalle sono chiuse e altre se ne chiuderanno, ma la zootecnia è ancora in vita e su questa si spera di riprendere il cammino per soddisfare sempre meglio le esigenze del consumo. Chi è stato a resistere? Le imprese medie, quelle grandi a conduzione e a sfondo capitalistico? Sono state una volta ancora le imprese familiari dirette coltivatrici i cui soli operatori sono capaci di stringere i denti e di sottoporsi a certi sacrifici. Non è falsa retorica, non è vuoto sentimentalismo, se noi poniamo in primo piano ancora una volta l'impresa familiare diretto-coltivatrice, singola od associata quella verso la quale debbono essere rivolte le maggiori, per non dire esclusive, attenzioni, in questo delicato momento, dal Consiglio Regionale.
Per cui chiediamo che l'Assessore all'agricoltura, nella risposta ai vari interventi, ed il Presidente, nelle sue conclusioni sul dibattito programmatico, ci dicano cosa intendono fare e quali impegni precisi sono disposti ad assumersi in proposito.
Cooperazione ed associazionismo. Passando celermente ai restanti punti programmatici esposti, ci permettiamo ribadire soltanto la necessità di incominciare a monte, e qui mi appello non solo alla Giunta e all'Assessorato all'agricoltura, ma anche all'Assessore alla P.I. a dar vita ad un'intensa azione di formazione ed aggiornamento dei quadri dirigenti e del personale tecnico ed amministrativo, reputando il fattore umano, fattore essenziale per il rilancio prima ed il consolidamento poi della cooperazione in Piemonte come altrove. E' un sentiero obbligato.
Altrettanto impegno lo si deve dimostrare per dotare l'agricoltura regionale di tutti gli organismi possibili di trasformazione, di conservazione e di commercializzazione, atti a far fronte a due problemi fondamentali: 1) aumentare il potere contrattuale dei produttori agricoli 2) porsi su valide posizioni di difesa nei confronti dei grandi complessi economici e finanziari, i quali si sono inseriti massicciamente in altre regioni, ma non sono rimasti assenti nemmeno nella Regione Piemonte. Solo ieri paventavo, intervenendo sulla legge sul commercio, i pericoli di soffocamento di un ceto medio che corre il rischio di trovarsi sbarrata la strada dello sviluppo e del progresso. Ebbene, se il discorso vale per altre componenti del ceto medio, vale principalmente per il settore agricolo, per i produttori agricoli e per le imprese familiari coltivatrici dirette.
I grandi complessi stanno inserendosi, come dicevo, nei vari settori produttivi (zootecnico, vitivinicolo, ortofrutticolo e in parecchi altri).
O mettiamo i produttori agricoli nelle condizioni di difendersi da certi assalti, oppure la via della proletarizzazione sarà decisamente aperta anche per le nostre campagne e noi, per le nostre convinzioni politiche oltre che sindacali, non siamo certamente disponibili a favorire una simile evenienza.
Case di abitazione Il Presidente, a conclusione di questo capitolo programmatico, disse: case per gli uomini e non solo per gli impianti, per gli attrezzi e per la terra. Ed è quanto noi qui ribadiamo, prendendone atto come di una garanzia, come di una sicurezza. Dobbiamo preoccuparci innanzi tutto di dare la casa ai coltivatori diretti, non tanto come strumento dell'azienda, ma come bene sociale essenziale ed indispensabile indipendentemente dalle dimensioni e dalla funzione dell'azienda medesima.
Per contro sosteniamo che quando il discorso in tema di miglioramenti fondiari cadrà sulla dotazione alle aziende delle infrastrutture rustiche delle stalle, dei ricoveri e di quant'altro le stesse richiedono, bisognerà rapportare il tutto all'efficienza, alle dimensioni ed ai compiti che assolvono le aziende medesime.
Sanità. Anche qui mi limito al compiacimento per aver voluto recepire ed inserire l'esigenza di concedere l'inabilità temporanea da infortunio anche ai coltivatori diretti, e non tanto per vedere risolto il problema di natura sociale, quanto per vedere facilitata, con un ulteriore passo innanzi verso l'allineamento con le altre categorie, una soluzione, che per motivi di giustizia, si rende estremamente necessaria.
Settore urbanistico. Altro punto del programma che noi consideriamo fondamentale per la sua importanza, è di avere finalmente considerata l'agricoltura come elemento primario e in quanto tale condizionante per ogni progettazione urbanistica ed ogni utilizzazione del territorio. Penso che sia già troppo tardi, ma se vogliamo porre argine al congestionamento verificatosi nelle città e al deserto che ormai viene caratterizzando vaste zone agrarie del nostro Piemonte, questa affermazione ha una notevole validità. E soprattutto unendo a ciò (e l'unione calza benissimo), in tema di decentramento industriale, la riaffermazione di un altro principio: non sia più il lavoro a dovere, in disagiate condizioni, rincorrere il capitale, ma sia il capitale ad essere investito e a seguire il lavoro ove esso si trova.
Sul commercio mi sento esentato dall'intervenire, in quanto soltanto ieri e nei giorni scorsi abbiamo avuto occasione di parlarne.
Sulla zootecnia abbiamo già sviluppato, nell'intervento di ordine generale, le nostre osservazioni; cogliamo solo l'occasione per insistere affinché i provvedimenti siano, innanzi tutto, improntati sulla rimonta e sull'allevamento, consapevoli come siamo che la sola produzione per il macello, prima o poi, porta all'estinzione della razza, soprattutto di una razza che regionalmente ci deve essere molto cara, la piemontese, le cui peculiarità sono note oltre i confini della nostra regione e anche oltre i confini dell'Italia.
E' vero che l'EFIM (altra sigla che costella il firmamento del nostro Paese) ha presentato un notevole piano dove prevede importazioni addirittura di milioni di vitelli da paesi dell'est europeo, dell'Africa del sud America; sarebbe tanta manna perché per invocare il potenziamento dell'allevamento bisogna disporre della materia prima, dei vitelli. Questa EFIM, però, suscita in noi anche parecchie preoccupazioni che non esterniamo oggi; ci limitiamo a ripetere quello che abbiamo già detto certi apostoli, certi benefattori sono pronti a squalificare e a ridurre la posizione dell'imprenditore a quella di subordinato e questo noi non lo possiamo accettare. In certo qual modo è comodo fornire ai produttori la materia prima, il vitello, le macchine, i mangimi e quant'altro necessita per l'allevamento del vitello, impegnarsi anche all'acquisto, al momento definitivo della sua maturità, quando i rischi rimangono a carico dell'allevatore, mentre gli viene tolta quella parvenza, che ancor oggi conserva, di imprenditore. Direi che non è proletariato, è sottoproletariato; sarebbe come se l'operaio venisse assunto dall'imprenditore ad una condizione: vieni e lavora, se i miei affari andranno bene ti pago, in caso contrario dimenticati della busta paga. E' indubbio che nell'attuale situazione, con le dimensioni che presenta la zootecnia nel nostro Paese, non si può condannare un piano come questo con due battute, ma non mancherà occasione di ritornare sull'argomento.
Per quanto concerne le risorse foraggiere chiediamo che il potenziamento sia dedicato oltre che ai pascoli montani, oltre che ai terreni abbandonati, anche ai pascoli di alto colle.
Risanamento delle cantine. Anche su questo ci limitiamo ad affermare che il risanamento non consente più dilazioni; delle 93 cantine esistenti in Piemonte nel 1965, ne sono rimaste una sessantina. Le restanti, in conseguenza di liquidazioni coatte, sono in prevalenza finite nelle fauci di grandi complessi finanziari italiani o stranieri, o a capitale misto (prevalentemente italo-svizzero). Questa è una prova che l'inserimento di grossi complessi è in atto anche nel nostro Paese, nel momento in cui per la viticoltura, che momentaneamente sembra attraversi un periodo di relativa soddisfazione per i produttori, vi è motivo di temere che tra non molto accusi nuovamente certi scossoni. Una sana cooperazione deve costituire la prima arma di difesa da affidare ai produttori agricoli.
Sul "credito agrario" già in occasione della discussione sul bilancio di previsione del 1973 eravamo intervenuti. Oggi ripetiamo, una volta ancora, l'esigenza di trovare il modo di superare lo scottante e delicato problema delle "garanzie reali", come sono riusciti a fare alcuni altri paesi presso i quali attingiamo consigli ed esempi quando ci torna comodo bisogna che incominciamo ad imparare a farlo, e che incomincino a farlo anche quando torna meno comodo, e soprattutto che, oltre alla Regione, il Governo italiano affronti, una volta per tutte, la questione, facendo in modo che il credito, col notevole tasso di solvibilità esistente tra la gente dei campi, diventi motivo per aiutare l'imprenditore serio e non basare soltanto su ciò che di reale in tema di garanzie il richiedente è in grado di fornire. A me pare che quest'ultima non sia la via migliore e la più idonea per aiutare gli imprenditori.
Concludo augurandomi che la Regione, mantenendo fede agli impegni assunti nel programma, che stiamo discutendo, voglia trasformare in strumenti validi quei sette o otto punti che ci siamo permessi di esaminare. Sarà, questa, una testimonianza della volontà operativa della Regione nei confronti dell'agricoltura e sarà la prova che ci si è resi finalmente conto, che, servendo l'agricoltura, non si servono solo i suoi benemeriti operatori, ma si serve tutta la comunità e la società piemontese e con essa quella italiana.



PRESIDENTE

Sono iscritti a parlare i Consiglieri Rossotto e Ferraris.
Il Presidente della Giunta ha chiesto di fare una dichiarazione. Ne ha facoltà.



OBERTO Gianni, Presidente della Giunta Regionale

Chiedo scusa, stamani io ho preso un impegno per le 19, ne ho informato i Capigruppo e pertanto alle 19 devo lasciare l'aula. Mi spiace soprattutto di non poter ascoltare l'intervento, dico chiaramente la parola, "liberale" (per non essere poi messo in croce dall'altro collega) che verterà immagino, essenzialmente sul problema dell'agricoltura. L'Assessore mi riferirà dettagliatamente, ma questo impegno l'ho preso e non posso rimandarlo. Non è una mancanza di riguardo.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Rossotto. Ne ha facoltà



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, signori Consiglieri, l'esame di questo documento presuppone una considerazione di ordine generale del tipo di crisi a cui la nostra società e la nostra Regione in modo particolare sono esposte.
Necessita, questa indagine, non per voler dilatare il tema della discussione, ma per rispetto di quelli che sono i principi fondamentali richiamati anche in questo documento, che ogni politica di programmazione regionale deve essere coordinata con quella nazionale e sappiamo benissimo quanto questa debba essere a sua volta collegata e coordinata con un'azione comune e più ampia a livello europeo.
Si impone un esame delle cause e della portata di questa crisi, con particolare riferimento all'intervento e ai problemi che il collega Minucci ha posto oggi, parlando ancora una volta del nuovo modello di sviluppo. E' stato qui detto dal collega Zanone che se il nuovo modello di sviluppo richiamando anche in ciò quei dubbi che l'on. Amendola aveva espresso nel Convegno dell'Eliseo su certe terminologie che poi nulla dicono di concreto, che se questo nuovo modello di sviluppo si identifica con quegli obiettivi limitati e chiaramente indicati qui oggi dal collega Minucci, non suscita alcun motivo di dibattito. Ma io credo che invece quando si parla di nuovo modello di sviluppo, qualcosa di chiaro è stato detto anche sotto questo aspetto: un diverso rapporto, per quanto si riferisce al problema della crisi energetica, coi paesi produttori, cioè un accordo diretto con i paesi arabi, un accordo generale e qui ho sentito che queste tesi sono state riprese molto chiaramente dal collega Menozzi il quale ha parlato con un certo linguaggio che è abbastanza comune oggi, della funzione delle sette sorelle, il loro sfruttamento e la loro speculazione.
Io credo che esistano due tipi di sviluppo: quello collegato all'economia libera di mercato nel quale si incardina la nostra società che può conoscere crisi cicliche, ma ha pure dimostrato, per la vitalità ed elasticità che in esso è insito, la possibilità di superarle, e l'altro è il nuovo modello di sviluppo che è quello di economie che sono sorte al di fuori del mondo occidentale e che trovano la loro personificazione nell'economia dell'Unione Sovietica e degli altri paesi satelliti.
E' indubbio che il discorso che oggi si é aperto sulla crisi energetica deve portare a delle chiare scelte: signor Presidente, quando lei stamattina nella riunione dei Capigruppo e oggi nelle comunicazioni facendo sue le parole degli stessi operatori economici che lei aveva consultato ha invitato il Governo ad uscire da una nota situazione di equivoco, non si tratta soltanto di scegliere tra il problema del razionamento o del doppio costo della benzina, o di un costo elevato della benzina, ma è un problema di scelta di campo che il nostro Paese deve compiere già a livello di politica estera, una scelta di campo che lo deve chiaramente collocare o di qua o di là per sapere in quale modo deve sviluppare la sua economia, in quale modo noi possiamo intervenire ed operare: o occidentali o orientali.
E mi pare che ciò, anche perché le sue dichiarazioni programmatiche sono collegate ad una scelta politica che si è fatta in sede nazionale alla quale si è dovuto coordinare questo tipo di Giunta Regionale, sia anche giusto trattarlo ed esaminarlo. Noi oggi viviamo a livello nazionale con il nuovo governo dl centro-sinistra, nel profondo equivoco anche sotto questo aspetto e questo equivoco noi lo paghiamo con le gravi situazioni che poi conosciamo e di cui l'ordine del giorno Lancia che è stato annunciato dal Presidente e di cui si era parlato questa mattina evidenzia.
Ad ogni modo questo programma non può risolvere, né rispondere alle sue premesse. Questo documento pecca di eccessivo perfezionismo; si è voluto con esso dire tutto, comprendendovi anche ciò che noi dobbiamo compiere sia in campo legislativo che amministrativo in aderenza alla volontà di altri. Qui c'è questa continua commistione nei rapporti singoli, tra specifici campi, confusione che è evidente e che quindi impedisce ad un certo momento di sciogliere il dubbio tra quelli che sono il nostro impegno d'attività e nostre elucubrazioni improduttive.
E' noto che la costituzione della Repubblica di Weimar è conosciuta come la più perfetta delle costituzioni e sappiamo pure quanto essa dur poco proprio perché era qualche cosa di perfetto calato in una realtà in completa ebollizione. E il nostro Paese è nella stessa condizione, come la violenza dei dissensi che sono giunti oggi dalla tribuna dimostra che nella carenza di appropriati provvedimenti che non sono stati presi ci troviamo oggi in questa seria situazione, con le campagne in rivolta e le aziende che mettono i lavoratori in cassa integrazione. Quindi mi pare più che a una ricerca di perfezionismo noi dobbiamo cercare di dare una concreta risposta ai problemi.
E quali sono i problemi? Noi sappiamo oggi che l'industria monoculturale che è stata la fonte di benessere economico della nostra Regione, conosce una crisi di cui pagherà lo scotto tutta quanta la collettività e ne pagheranno in prima persona coloro che sono suoi addetti.
Il problema, come dicevo prima, è di operatività. Invece non mi pare che da questo documento si possa trarre l'impegno di operatività, tanto è vero che a pagg. 12 e 13 si rimanda alle variazioni di bilancio e quindi alla presentazione di un documento programmatico che dovrà indicare chiaramente e concretamente quelli che possono essere gli obiettivi che vengono proposti all'attenzione del Consiglio.
Io ritengo che sia perdere troppo tempo aspettare questo documento programmatico e che queste scelte noi dobbiamo compierle e indicarle già fin da oggi. Scelte che come Gruppo liberale abbiamo indicate quando in un momento serio si mutava la maggioranza che avrebbe governato in questa Regione per due anni e assumemmo responsabilità dirette di fronte ad una crisi economica che era evidente e quella crisi fu vinta. Ebbene, abbiamo conosciuto quanto erano facili le accuse che venivano rivolte nei nostri confronti e quindi noi vogliamo essere concretamente operativi nella nostra proposizione di quello che secondo noi dovrebbe essere un impegno chiaro e preciso. Noi riteniamo che i punti sui quali devono incentrarsi l'azione le scelte prioritarie, devono risolvere i problemi dell'area metropolitana i problemi dell'edilizia, quelli dell'agricoltura. Parlo dell'agricoltura non perché oggi a seguire la nostra opera ci siano degli agricoltori attenti, perché sulla loro pelle si stanno pagando gravi errori compiuti negli anni passati da coloro che avevano la responsabilità di governare il paese, e perché è un problema essenziale.
Il collega Zanone ha già anticipato il nostro pensiero cioè che su questo argomento ci doveva essere un'azione non tendente a trasformare coloro che possono trovarsi disoccupati nel settore industriale in crisi in agricoltori, ma per poter far sì che l'agricoltura diventi finalmente efficiente e moderna, e che possa dare di per se stessa, senza il continuo aiuto assistenziale che poi viene fatto cadere paternalisticamente dall'alto, risposta alle esigenze di coloro che sono addetti ai campi.
L'area metropolitana. Si parla qui del progetto pilota e si vuole così enunciare che i problemi che verranno affrontati, studiati sono molto più ampi di quelli che il governo è disposto a finanziare. Ma io non ritengo che questo sia il problema che ci dobbiamo porre in questo momento; noi conosciamo quali sono i gravi problemi della nostra area metropolitana sappiamo anche quante speculazioni politiche e demagogiche e campanilismi politici delle singole amministrazioni che compongono quest'area metropolitana, hanno impedito un preciso discorso di ristrutturazione del tessuto metropolitano. Ecco un impegno che la Giunta deve assumersi, se vuol dare una risposta concreta con quelli che sono i mezzi e di ordinaria amministrazione e quelli che sono già stati da noi assunti in precedenza con i provvedimenti speciali a favore degli asili nido e altri settori, una scelta che deve essere prioritaria per intervenire su questo tessuto che è un tessuto che non consente più alcun ritardo perché se, come diceva il Presidente Oberto ieri, all'inizio del suo discorso, la collera dei contadini è scoppiata, io dico che sta per scoppiare la collera dei dipendenti dell'industria, sta per scoppiare la collera degli abitanti delle città, sta per scoppiare la collera di coloro che, dopo 27 anni di democrazia, non vedono chiare risposte a quelle che sono le loro fondamentali esigenze di cittadini.
E allora non è più tempo di studi, noi sappiamo dove possiamo e dobbiamo intervenire ed è in questa sede che dobbiamo dire chiaramente quello che vogliamo fare. Non è il caso di continuare a rimacinare i problemi, e questo vale sia per il problema dei trasporti, che per l'assistenza sociale per la quale oltre le parole che ha pronunciato il collega Zanone, dichiaro riconoscimento per il coraggio di una scelta per una moderna politica assistenziale che sappia debellare quelle che sono delle strutture vecchie del passato e sappia proporre chiaramente soluzioni a quelli che sono i problemi veri, reali, e ciò in maniera chiara, moderna e civile. E le cose da fare sono molte e noi abbiamo la possibilità di intervenire e specialmente abbiamo la possibilità di intervenire responsabilizzando coloro che giocando dietro, come dicevo prima, ai campanilismi di partito o di gestione delle loro singole amministrazioni non vogliono uscire da una certa gestione ristretta dei problemi che a loro competono.
Edilizia. Qui c'è un vecchio detto, sarà forse vecchio e allora non viene ascoltato, ma nelle cose vecchie c'è sempre un profondo senso di verità, esso afferma che quando l'edilizia riprende è volano per tutte le altre attività.
L'ha detto ora il Presidente Calleri.
Ebbene in un momento in cui c'é un arresto, c'è un inceppamento.



MINUCCI Adalberto

La nostalgia per le cose vecchie ti fa chiamare "Presidente" il Consigliere Calleri.



ROSSOTTO Carlo Felice

Hai ragione: amo le cose che tu mi tolsi! La concentrazione di dover dire rapidamente dei concetti e recepire suggerimenti che amabilmente vengono detti, sono motivo del lapsus, anche se un po' di nostalgia per colui che fu il nostro Presidente, centrista esiste.
Il problema dell'edilizia lo conosciamo, fu anche oggetto di un dibattito tenuto nel giugno dell'anno scorso e allora noi Gruppo liberale ribadiamo il pieno appoggio, indipendentemente dalla loro validità giuridica, indipendentemente dal fatto che eravamo stati e siamo tuttora critici alla loro realizzazione, per l'attuazione degli attuali strumenti legislativi a favore di un'edilizia economica e popolare. Sappiamo quali sono i limiti ristrettissimi di manovra che essi consentono. Citavo a giugno che nel 1951 esistevano interventi del 25 per cento dell'edilizia pubblica, mentre oggi, dopo tanto scalpore, siamo scesi nell'ordine del 2/3 per cento. Quindi bisogna anche chiaramente dire, se si ha paura di parlare di quelle che sono le possibilità edilizie che vengono offerte dall'imprenditoria privata.
Queste non sono soltanto parole, sono chiare indicazioni che possono costituire l'impegno di considerare l'abitazione come un servizio e che questo servizio, di cui c'è grande richiesta, bisogna darlo e darlo con i mezzi finanziali che la nostra collettività può mettere a disposizione.
Poi c'è il problema dell'agricoltura, che è forse il più interessante.
Perché sentire il collega Menozzi che con tanta abilità ha parlato di tutto quello che bisognerebbe fare per risolvere i problemi dell'agricoltura obbliga di chiedergli perché e per quale motivo la forza politica a cui lui appartiene non ha, in tutti questi anni, realizzato queste cose, pur avendo avuto la possibilità di eseguirle. E qui c'è una responsabilità grave e totale delle componenti politiche che si sono assunte a livello nazionale e a livello locale la gestione del Paese e della Regione, responsabilità che non investe noi liberali.
Si è formato un governo di centro-sinistra e i carburanti, i fertilizzanti ed i mangimi, viene detto nel documento della Giunta Regionale, sono aumentati del 40/60 per cento, e pur conoscendo che nell'ambito dei fertilizzanti c'è una fortissima, se non totalitaria partecipazione alla produzione da parte delle aziende di Stato. Quindi mentre da un lato il Governo centrale proclamava il blocco dei prezzi all'opposto lo stesso ha lasciato aumentare carburanti, fertilizzanti e mangimi, determinando l'espansione dei costi e scaricando tutto l'onere di questa operazione sulle aziende agricole. Il Governo ha bloccato i prezzi ha messo i manifesti, per le strade, per le piazze d'Italia, poi ha lasciato che le sue aziende di Stato aumentassero i prezzi dei fertilizzanti. Ma quello che è più grave e che conferma l'insensibilità del Governo è che i fertilizzanti sono aumentati, quando non c'era ancora la crisi energetica e quindi il relativo collegamento con i costi dei prodotti petroliferi.
Ora, qui non si può solo prendere atto di questa situazione così come un qualche cosa di ineluttabile che è successo e che la Giunta si ritrova tra i piedi. La Giunta è l'identica espressione politica del Governo Rumor e non si può ora venire a dire che essa prende atto con rammarico di questo provvedimento. Ne prendiamo atto noi opposizione di questa situazione e la denunciamo nella sua gravità, ma chi ha la responsabilità di aver permesso questo squilibrio ne deve pagare politicamente le conseguenze. Non si pu arrivare con estrema facilità a blandire a destra e a sinistra e collocarsi nel centro perché il centro è sempre la posizione migliore, dalla quale si possono pretendere il maggior numero di applausi. C'é una responsabilità incontrovertibile, che non sarà dell'amico Menozzi, ma sarà degli amici dell'amico Menozzi.
E il blocco dei prezzi? Il blocco dei prezzi ha determinato il caos più completo. Mentre il blocco del prezzo della carne ha ridotto il guadagno degli agricoltori (mi pare che il vitello piemontese ha subito un ribasso di 400 lire al chilo, vivo, dall'anno scorso a quest'anno e la lira ha avuto la svalutazione che tutti ben conosciamo) queste cose la gente della campagna le ha valutate e a chi deve farne imputazione se non a coloro che hanno determinato questo tipo di gestione? Ma poi ci sono errori nel passato, errori nel presente, inadempienze ancora attuali che possono determinare ben più gravi conseguenze? Perch qui abbiamo sentito durante la riunione dei Capigruppo con i responsabili della Coltivatori diretti, chiedere che ci si impegni a non fare le autostrade e si facciano invece stalle sociali. Ci si rende conto che c'è un'assoluta disinformazione, perché questo è un discorso demagogico e disinformato, direi di quelli che vengono buttati qualunquisticamente sul piatto, quando ci sono difficoltà. Sappiamo quanti errori sono stati compiuti per disattenzione o volutamente; errori imputabili alla maggioranza che governa il paese e di cui anche questa Giunta se ne deve far carico. Parlo delle mancate approvazioni delle leggi che recepivano le direttive comunitarie 159/160/161 entro il 31 dicembre 1973 e che imponevano delle chiare e precise cose, che non parlavano di stalle sociali, ma che parlavano, se volevamo utilizzare gli 800 miliardi, cifra di tutto rispetto, messa a disposizione dalla Comunità Europea, 800 miliardi che sono poi nient'altro che i soldi che noi abbiamo contribuito negli anni passati a dare alla Comunità. Già per le precedenti inadempienze dei precedenti governi, di cui è facile anche ricordare la formula politica, si è determinato il privilegio dell'economia agricola olandese francese, tedesca, sulla nostra solo perché noi eravamo inadempienti. In ogni modo tutto questo che la nostra collettività ha pagato in prezzi concreti, è stato lasciato passare inosservato. Perché? Perché queste direttive comunitarie, se vogliamo un discorso collegato con un sistema di sviluppo che risolva, che crei delle alternative ad un tipo di attività industriale monoculturale che nella nostra regione si è creata, allora dobbiamo pensare di realizzare un'agricoltura efficiente. Ciò vuol dire che occorreva tempestivamente trasformare la legge italiana secondo i dettami delle direttive CEE, creare quello che il Codice Civile italiano non prevede; l'impresa agricola in cui ci sia il responsabile, perché non pu sembrare una battuta, le stalle sociali, le cantine sociali perché sono andate male? Perché ad un certo momento non c'era l'istituto giuridico che potesse permettere una gestione nell'errore e nel giusto, che è il presupposto per un'attività economica efficiente.
E allora anche nell'agricoltura si deve presupporre l'esistenza non di un'impresa nel senso che essa sia l'entità estranea a coloro che lavorano nei campi e che premi solo coloro che invece dispongono di capitali, ma che faccia sì che la collaborazione che si crea si possa trasformare in un qualcosa di giuridicamente valido che sia conforme a quello che la Comunità Economica Europea ha ritenuto retto indicare.
E poi quegli 800 miliardi, che forse più non avremo, servivano ad un'altra cosa, ad allontanare dalle campagne gli anziani. Noi oggi abbiamo ricevuto i giovani agricoltori che ci hanno imposto di dire chiaramente questa sera, che cosa faremo per loro e ciò chiesero con l'ingenuità classica di coloro che hanno della vita una visione ancora serena e questa serenità se la vedono posta in discussione per quelli che sono stati tutti gli inadempimenti che la classe politica che ha governato il Paese ha compiuto. Però bisogna allora ricordare chiaramente a costoro che lo sfoltimento delle campagne dagli anziani è un grosso problema e si ricollega a quell'altro che giustamente era stato centrato nell'esposizione sull'assistenza sociale, su quello che è il problema di assistere a domicilio coloro che sono inabili o che non possono più vivere da soli. E questo potrebbe, con minori costi, per la collettività, essere un contributo che direttamente viene di nuovo inviato alle campagne e i soldi c'erano e non si è fatto nulla per renderli disponibili, perché il 31/12/1973 è passato e nonostante le interpellanze, nonostante che esista anche agli atti del Consiglio di questa Regione un ordine del giorno presentato dal mio Gruppo per chiedere che il Consiglio Regionale si facesse interprete presso il Governo della necessità di approvare questa legge, nulla si è fatto e non si è discusso in merito.
E oggi il collega Menozzi ci deve dire: perché le direttive comunitarie non sono state legalizzate da coloro che hanno la responsabilità del governo? Forse le si ritiene non valide? Forse che l'agricoltura italiana non ha bisogno di 800 miliardi? L'ultimo problema che queste norme regolamentarono riguarda i collaboratori socio-economici. Non mi pare che in questi tre provvedimenti vi sia qualcosa che non sia in contrasto con gli interessi dell'agricoltura: la verità è che ciò si fa rispettando i principi di un'economia di mercato che è rivolta a dare risposte concrete e sociali e forse e proprio ciò che il centro sinistra più non può rispettare.
Infine ancora collegato al problema del piano e a quelli che sono i problemi dell'agricoltura, occorre parlare delle comunità montane. Non si può trattare questo argomento con tutta superficialità. Io capisco l'amore per la montagna del Presidente della Giunta, ma le Comunità montane sono qualcosa di concreto e di preciso; noi le abbiamo realizzate con legge e sappiamo che entro un anno devono presentare un piano i sviluppo. Ma noi Regione che cosa aspettiamo? Che questa gente che si trova oberata dalle nuove responsabilità, faccia il piano di sviluppo senza nostre concrete direttive? La Regione deve dire chiaramente che cosa è disposta a fare, in via prioritaria, per queste zone di montagna, proprio per consentire agli amministratori di valutare questo nostro aiuto o indirizzo.
Quando abbiamo realizzate le Comunità montane abbiamo detto che esse stavano a noi come noi eravamo nei confronti dello Stato e se lo Stato centrale nei nostri confronti era un padre avaro e che non ci dava fiducia noi dovevamo dimostrare nei confronti di questi nipoti dello Stato centralizzato una maggiore comprensione. Allora anche qui ci sono delle scelte da fare, dobbiamo dire chiaramente alle comunità in che modo siamo disposti ad aiutarle perché loro poi facciano, a livello della loro autonomia locale, delle scelte precise e concrete.
Nella ricostruzione di un'economia agricola moderna centrata sulla zootecnia è necessario tornare a riutilizzare i patrimoni prativi che la montagna offre. La Giunta di questo fa solo un riferimento generico quando parla delle necessità foraggiere, ma l'abbandono totale delle nostre montagne, le migliaia di ettari che costituivano vanto di quelle genti perché le avevano strappate alla roccia, perché le avevano, con le mani ripulite dei sassi, sono oggi abbandonate, campi destinati al trionfo dell'erica e delle felci. E per riportarle a sfruttamento bisogna dire chiaramente che noi diamo il nostro aiuto concreto.
Nella realizzazione di una politica forestale, che oltre preservare il suolo sia fonte di futura ricchezza. Mi pare che noi abbiamo ereditato dall'Amministrazione dello Stato tutto un patrimonio di valori concreti che sono i pochi militi addestrati per la tutela del patrimonio forestale per il quale troppo poco lo Stato ha fatto. Anche qui dobbiamo intervenire perché l'altro discorso in alternativa, è una chiara politica di turismo estivo ed invernale, che sia complementare, quasi part-time con quelle che sono le attività forestali, con quelle che sono le attività agricole zootecniche, come i paesi socialmente più evoluti ci insegnano. Basta andare nelle stazioni invernali o estive della Francia e della Svizzera per vedere concretamente come il problema è stato affrontato e risolto. E' un grosso problema che si ricollega come elemento essenziale al discorso per una vera politica di sviluppo delle nostre comunità montane.
Bisogna renderci conto di che cosa vuol dire turismo e quali sono le attrezzature che noi dobbiamo aiutare e realizzare, che devono essere attrezzature che creano per induzione un certo tipo di benessere e non soltanto l'albergo o la pensione dalle quali poi possono sorgere problemi di scarsa utilità specie, quando, come oggi si constata, l'industria alberghiera nei centri turistici è in crisi.
Bisogna dire infine chiaramente cosa e quanto noi possiamo fare per incrementare in queste zone i servizi sanitari e sociali, per realizzare le scuole e gli ospedali. Perché le Comunità non facciano i loro piani recependo tutto quanto quello che di bello e utile essi sognano e poi non può per mancanza di mezzi essere realizzato: se premiamo questa logica meriteremmo la loro disistima e sfiducia.
La brevità del tempo mi costringe a saltare altri punti sui quali per puntualmente, come Gruppo liberale, ritorneremo e che in parte sono stati già tratteggiati dal collega Zanone.
Ho ritenuto, d'accordo con i colleghi del Gruppo, richiamare un impegno urgente di intervento che si deve incentrare indubbiamente sull'area metropolitana che è ormai una polveriera di malumori e insofferenze, in un aiuto concreto ed efficace per l'edilizia e l'agricoltura; nei limiti del discorso che ho fatto oggi anche evidenziando le responsabilità politiche passate e in concreto precisando quello che possiamo fare.
E' un grosso sforzo che presuppone una diversa mentalità, volontà e azione politica, che se si realizzasse consentirebbe a tutti di diventare più liberi come in un paese libero deve essere la gente, libera dalle necessità, libera di poter operare concretamente con scelte libere degli operatori, perché il benessere si dilati e possa aiutare a dare risposte concrete ai problemi della nostra società.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FASSINO



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Ferraris. Ne ha facoltà.



FERRARIS Bruno

Signor Presidente, colleghi, in questo mio intervento, nel quale, data l'ora, cercherò di essere il più possibile conciso, prenderò le mosse da due constatazioni che sono contenute nella relazione della Giunta: vi si legge che "l'agricoltura è diventata la grande ammalata" e che "la collera contadina è esplosa".
Una prova dell'aggravarsi dello stato di tensione nelle nostre campagne l'abbiamo avuto proprio oggi. D'altronde, non è la prima volta che noi proponiamo all'esame questi problemi, preoccupati per lo stato di esasperazione che si va diffondendo nell'ambiente agricolo. Comprendo come quando si è già profondamente angustiati per la propria difficile situazione i lunghi discorsi possano sembrare vuote esercitazioni accademiche: la cosa migliore sarebbe certo un confronto concreto ed immediato sulle cose da farsi. Appunto un tale confronto mi propongo di fare in questo mio intervento, in rapporto alle proposte presentate dalla Giunta.
Prima però, desidero ricordare che, per quanto ci riguarda, ai discorsi di carattere generale abbiamo sempre fatto seguire la richiesta di iniziative concrete e precise sia sul piano legislativo sia sul piano operativo. In merito potrei ricordare, qui, le numerose proposte di legge che abbiamo presentato, almeno, in merito ai problemi fondamentali. Così come potrei ricordare le proposte e le sollecitazioni per una diversa e più incisiva azione operativa da parte della Giunta. Non si contano gli scontri su questo terreno fra il nostro Gruppo, in particolare chi vi parla, e l'Assessore all'agricoltura, o la Giunta nel suo insieme.
Prima di esprimere il mio giudizio sul programma della Giunta desidero però, riprendere quelle due affermazioni che ho citato all'inizio, sulla crisi e sulla collera contadina, in quanto ritengo che sia indispensabile partire dalle cause e dalle responsabilità - di responsabilità occorre infatti parlare - se si vuole per davvero compiere scelte nuove e muovere nella direzione giusta.
Nel programma della Giunta non ci si è addentrati molto nella ricerca delle cause che stanno alla base della critica situazione in cui versa l'agricoltura nazionale e regionale, ma ci si è limitati ad un esame rapido degli ultimi accadimenti. Certo, è innegabilmente vero che il blocco dei prezzi, come abbiamo già avuto altra volta occasione di dire, è stato fondamentalmente pagato dai contadini e dai dettaglianti. E' verissimo che il blocco non ha sortito i risultati che se ne attendevano. Anche perché è stato male impostato e peggio gestito, senza accompagnarlo con alcun provvedimento di controllo sui prezzi dei mezzi di produzione in agricoltura; va anzi ricordato che, al contrario, proprio mentre si decretava il blocco, che cristallizzava immediatamente i prezzi dei prodotti al consumo, anche quelli agricoli, si verificava per contro un aumento del costo dei prodotti industriali, in particolare dei mangimi, del che abbiamo discusso anche in questa sede. Si è subito aggravato lo squilibrio già esistente fra costi e ricavi in agricoltura. Infatti i prezzi dei prodotti agricoli, soprattutto quelli zootecnici e lattiero caseari, sono caduti del 20/15 per cento, e ciò a fronte di un aumento di pari misura dei prezzi dei mangimi. Subito dopo l'imposizione del "blocco" sono poi aumentati, con autorizzazione del Governo, i prezzi dei carburanti. E ora, mentre il blocco, di diritto e di fatto, è ancora in vigore, abbiamo avuto l'aumento del 48 per cento sui prezzi dei concimi. E' vero dunque, come ha già detto Rossotto, che qui è in causa, in primo luogo, la politica del Governo, la politica delle aziende di Stato ed aggiungo io, la politica della Federconsorzi. E sì, colleghi della D.C. e della Coldiretti, quando si parla del prezzo dei concimi, quando si parla dell'alto costo dei prodotti e delle macchine e dei prodotti d'uso in agricoltura, non bisogna dimenticare la parte che giocano interessi posizioni parassitarie e di speculazione quali quelle che vengono esercitate nel nostro Paese da tanti anni dalla Federconsorzi. Bisogna dire tutto, se si vuole cambiare tutto, o cambiare comunque ciò che è necessario cambiare per ricreare un equilibrio fra costi e ricavi in agricoltura.
Ma se questi sono i motivi ultimi, più vicini a noi nel tempo, che stanno alla base delle manifestazioni di malcontento nelle campagne quelle di cui siamo stati testimoni a Torino e quelle che si sono svolte in altre Province e Regioni, organizzate dall'Alleanza dei Contadini e dalla Coldiretti, quelle cui abbiamo assistito oggi, di esasperazione, di giustificata protesta -, non bisogna dimenticare né trascurare di individuare i motivi che stanno a monte. Oggi il Paese tutto e l'agricoltura in particolare stanno pagando a caro prezzo il fallimento di un modello di sviluppo sbagliato e di una politica agraria responsabile come ha già ben dimostrato nel suo intervento il mio compagno Minucci.
Infatti se è vero che questo anno passerà alla storia, negli annali della politica agraria, forse possiamo dire della politica economica, come l'anno del disastro zootecnico, con i 900 mila capi abbattuti, fra cui 500 mila lattifere, e quindi fattrici; se questo è l'anno in cui per l'approvvigionamento da carne si supereranno i quattro miliardi al giorno con un deficit che oltrepasserà i 2.400 miliardi; se questo è l'anno in cui come ha già sottolineato Menozzi - il patrimonio italiano è sceso ai livelli del 1908, tutto ciò non è dovuto soltanto ai grava fatti verificatisi quest'anno: una parte di questi disastri va fatta risalire alla politica precedente di emarginazione dell'agricoltura, per cui l'agricoltura, come il Mezzogiorno, sono stati considerati unicamente come un serbatoio di risorse umane e materiali a disposizione di una politica di rapina condotta dai grandi gruppi industriali e soprattutto dall'industria dell'automobile. Ci si illudeva che la Fiat sarebbe stata in grado di continuare, attraverso la produzione delle macchine e la loro vendita all'estero di garantirci la bistecca, e non soltanto la bistecca, per sempre.
Prendo atto, con piacere, che questa nostra denuncia traspare finalmente anche dalla relazione che accompagna il programma della Giunta.
Si ammette, infatti ad esempio, che tante terre fertilissime sono state rese improduttive con la costruzione di fabbriche e di autostrade, e ho sentito or ora Menozzi tornare a parlare dei cosiddetti "rami secchi", e riconoscere autocriticamente che la sua parte politica, dieci anni fa, al tempo del miracolo economico, quando noi comunisti, ad Asti come in tutte le province, ci battevamo contro il taglio dei "ramni secchi", ne sosteneva invece l'opportunità. Non si può, dunque, mettere tutti in uno stesso sacco o creare la notte in cui tutti i gatti sono bigi: occorre distinguere fra coloro che hanno voluto una certa politica e coloro che si sono battuti ieri e si battono ancor oggi per una politica diversa.
Credo che tutto ciò andasse detto, non soltanto per separare e precisare le responsabilità del passato ma per decidere consapevolmente di andate in una direzione nuova e diversa.
E qui credo vada ancora detto e denunciato che, anche in un momento come l'attuale in cui il problema della crisi agricola, soprattutto nel suo aspetto agricolo-alimentare è entrato di forza al centro del dibattito politico della nazione, è stato impugnato in prima persona dalle grandi centrali unitarie dei sindacati del lavoratori ed è stato posto dal nostro partito, come ha fatto anche in questa sede il mio compagno Minucci nel suo intervento, come una delle priorità per fare uscire il Paese dalla morsa della crisi, anche dicevo in un momento come l'attuale, vengono avanti posizioni devianti mistificatorie e profondamente sbagliate.
Mi riferisco ovviamente ai vari piani carne ed alle proposte dell'EFIM alle quali già altri colleghi si sono riferiti. Come la mettiamo giovani della Coldiretti e colleghi Consiglieri della Coldiretti con questi piani e con queste proposte? A nostro parere si tratta di proposte e di piani che tendono a sottrarre l'agricoltura ai contadini.
Si tratta di proposte e di piani elaborati secondo una logica ed in un'ottica che a ben guardare non risolve neppure i problemi del fabbisogno alimentare, ma che tende a risolverli senza i contadini e che se dovessero passare aggraverebbero ulteriormente le condizioni di vita e di lavoro dei contadini, emarginando ulteriormente la piccola e media azienda familiare che, come ha detto giustamente il collega Menozzi, nonostante non sia stata né aiutata né assistita, nonostante si sia fatto di tutto per farla andare male, ha saputo fronteggiare la congiuntura sfavorevole e produce tuttora il 70/80 per cento della residua produzione zootecnica italiana.
Al collega Rossotto che ha sollevato il problema delle direttive comunitarie vorrei quasi dire che è una fortuna se il Parlamento non ha ancora approvato il progetto presentato dal Governo di centro-destra Andreotti-Malagodi, per il recepimento delle direttive comunitarie, ed è grave comunque che l'attuale Governo non abbia sentito il dovere di abbandonare il disegno di legge Natali e di dare mandato al nuovo Ministro dell'Agricoltura di presentare un nuovo disegno di legge che si muovesse sulla linea della costituzione e nel rispetto pertanto delle prerogative legislative ed amministrative delle Regioni in agricoltura.
In questo senso si sono mosse e si stanno muovendo ora in Parlamento le più importanti componenti politiche per una radicale modifica del disegno di legge del precedente Governo, onde purgarlo dei suoi aspetti più smaccatamente antiregionalisti ed anticontadini, ma l'esito di quest'opera di bonifica è ancora incerto.
In quanto a quei 400 e rotti miliardi per l'agricoltura previsti da questo disegno di legge, sarà bene non farci soverchie illusioni, ben poco potrà andare, senza radicali modifiche, alle aziende contadine e ben poco è previsto nel complesso a favore del rinnovamento delle strutture aziendali: non più di circa 90/95 miliardi, sufficienti, si e no, a finanziare nel quinquennio i mutui per circa 160.000 aziende di tutta Italia, non adeguati neppure a risolvere i problemi dell'agricoltura in una Regione come la Lombardia.
In proposito io, qui, chiedo che si giunga al più presto ad un dibattito sulla mozione presentata dai colleghi liberali, non per approvarla, è ovvio, ma per consentire al Consiglio di prendere posizione nei confronti del progetto di recepimento delle direttive comunitarie ed un aperto sostegno nei confronti delle forze politiche che stanno lavorando nel Comitato ristretto per giungere ad una radicale modifica di quel progetto di legge. Incoraggiati in quest'azione, del resto, dal parere espresso dalla stessa Commissione Affari Costituzionali.
Fatte queste premesse, non ho difficoltà, a dare atto alla Giunta, che nella sua relazione programmatica ho trovato proposte che almeno sul piano delle intenzioni, colgono alcune fra le più importanti ed urgenti esigenze che salgono dal basso.
Proposte in tutto simili, almeno nei titoli, a quelle che noi veniamo da tempo sostenendo e che abbiamo ribadito in quel nostro programma che è stato definito qui dal Presidente della Giunta il "discorso della corona in attesa", ma che invece vuole essere ed è semplicemente un insieme di proposte concrete per un confronto ravvicinato, costruttivo ed operativo immediato.
Mi riferisco ovviamente ai problemi ed alle proposte di legge annunciate dalla Giunta per la zootecnia, per il risanamento delle -Cantine sociali e contestualmente almeno per noi per il rilancio ed il potenziamento della cooperazione, per i miglioramenti fondiari ecc. ecc.
Naturalmente vi sono altri problemi ed altre esigenze che non ho trovato nel programma della Giunta e che però devono essere affrontate quanto prima: mi riferisco al problema del sostegno e potenziamento a favore delle colture pregiate (reimpianto vigneti e frutteti), ai problemi della forestazione o rimboschimento, all'integrazione dei fondi a favore della formazione e dello sviluppo della proprietà coltivatrice.
Problemi concreti, esigenze reali sulle quali la maggioranza delle altre Regioni hanno già legiferato e per le quali noi riteniamo debba intervenire anche la Regione Piemonte prima della fine di questa legislatura, entro questi 500 giorni che ci restano.
Ma su queste esigenze io tornerò altra volta, il nostro Gruppo presenterà successivamente precise proposte di Legge.
Oggi nel corso di questo dibattito, data la gravità della situazione desidero invece insistere sulla priorità che dobbiamo dare alla zootecnia.
In merito esiste una nostra proposta di legge presentata 7 o 8 mesi or sono, nel marzo del 1973.
Come i colleghi ben sanno, si tratta di un vero e proprio programma pluriennale che attraverso uno stanziamento di 17-18 miliardi prevede un investimento di 70-80 miliardi in un quinquennio, per investimenti, a monte, nel corso, ed a valle dell'intero processo produttivo.
Nel senso che si affrontano i problemi dello sviluppo delle produzioni foraggiere, delle strutture zootecniche per arrivare ai problemi del risanamento e della bonifica del bestiame, al miglioramento delle razze ai problemi centrali e decisivi della commercializzazione, mediante contributi in conto capitale, concorsi sugli interessi o premi di allevamento.
Dopo i vari discorsi, e gli impegni assunti in passato sull'esigenza di varare un piano o programma per lo sviluppo della zootecnia da parte delle precedenti Giunta presiedute dal dott. Calleri. Ora prendiamo atto della precisa intenzione da parte della nuova Giunta - il progetto di legge non esiste ancora - di muoversi in questa direzione e quindi di misurarsi concretamente, con una sua proposta di legge, con le posizioni già da noi presentate.
Per la verità, esiste o meglio esisteva un impegno preciso assunto dalla Giunta precedente per discutere la nostra proposta di legge. Anzi quell'impegno prevedeva che essa avrebbe dovuto essere discussa prima della pausa feriale del 1973, poi si è dilazionato a dopo le ferie.
Ora si tratta di troncare ogni indugio. E' pertanto necessario che prima della conclusione di questo dibattito attraverso la replica dell'Assessore e del Presidente si giunga a fissare le date, la scadenza precisa entro la quale pervenne al varo di questo piano per la zootecnia.
Noi ci auguriamo pertanto di ricevere possibilmente entro la prossima settimana il progetto di legge della Giunta sulla zootecnia. Così come ci auguriamo di conoscere al più presto le risorse finanziarie che la Giunta stessa ritiene di poter destinare a sostegno delle principali proposte di legge che ha dichiarato di voler presentare per il settore agricolo.
Lo stesso discorso vale per quanto riguarda il problema del risanamento delle Cantine sociali, la loro ristrutturazione e lo sviluppo più in generale della cooperazione e dell'associazionismo.
In merito esiste pure una nostra proposta di legge per un programma pluriennale, che prevede un investimento di 2530 miliardi, articolato in modo da raccordarsi con i piani zonali di sviluppo agricolo, allo scopo di non ripetere gli errori dei passato.
Infine ci sono altri problemi ed altre esigenze urgenti che devono essere affrontate subito nel quadro dei miglioramenti fondiari, mi riferisco oltre al problema delle abitazioni rurali al problema dell'elettrificazione. Abbiamo ancora in Piemonte, in base alle indagini dell'Enel, 16 17 mila case prive di illuminazione.



CALLERI Edoardo

Tu stesso hai parlato, sull' "Unità" di 10.000, adesso ci vieni a dire che sono 16.000.



FERRARIS Bruno

Mi fa piacere apprendere che il collega Calleri legge l'Unità.
Sull'Unita ed in quel mio articolo parlavo di aziende agricole e queste sono 10.000, ora parlo invece di case, e queste sono 16.000 (perché l'Enel si è riferita a tutte le costruzioni, non solo quelle contadine). Senza tener conto della disparità che esiste in questo campo un indagine svolta in provincia di Asti ha portato a costatare che nella città di Asti per ogni contratto di illuminazione vi sono sei contratti promiscui; nei paesi vicini, invece, dove c'è ancora un po' di industria, per ogni contratto di illuminazione ve ne sono tre promiscui; nei paesi agricoli, il numero dei contratti per illuminazione è pari a quello dei contratti per uso promiscuo, il che vuol dire che il 50 per cento della gente non ha questo tipo di contratto e per usare elettrodomestici dovrà spendere 40-50 lire su cento in più del dovuto.



CARAZZONI Nino

C'è una nostra proposta di legge in merito.



FERRARIS Bruno

Mi dispiace, ma le nostre idee non possono collimare in materia.
Ed ora parliamo pure dell'albo professionale. Questo problema non è mai stato oggetto di esame concreto e di confronto fra le forze politiche. C'è in merito un'iniziativa di legge che si è persa, evidentemente, per strada perché coloro che l'hanno proposta devono averla lasciata cadere. In merito a questo problema noi abbiamo una posizione chiarissima: diciamo no a qualsiasi albo inteso come un qualcosa che non modifichi niente a qualcosa che voglia essere soltanto un altro carrozzone. Quando abbiamo precisato in un articolo sull'Unità questo nostro punto di vista, abbiamo detto che la proposta di legge dell'albo presentata da alcuni colleghi della Coldiretti ci sembrava una risposta sbagliata ad un'esigenza che riconoscevamo giusta quella di garantire la riserva dei finanziamenti ai coltivatori diretti anzi, desidero precisare ai coltivatori diretti, mezzadri e coloni.
Se è questa l'esigenza, il problema che si vuole risolvere la nostra disponibilità non può che essere piena.
Anzi in merito credo che si debba riconoscere che è proprio il nostro Gruppo che si è sempre battuto, che si batte da sempre per introdurre in tutte le leggi per l'agricoltura la riserva, la preferenza o la precedenza a favore dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni.
Del resto, in una delle ultime leggi approvate, per la precisione quella per l'anticipazione delle provvidenze statali a favore dei danneggiati dalle calamità, è stato proprio attraverso un emendamento presentato dal nostro Gruppo che si è inserita la clausola della "precedenza a favore dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni", in luogo della tradizionale clausola della preferenza che è sempre servita a poco, e cioè che ha mai impedito che il grosso dei finanziamenti pubblici finissero nelle tasche degli agrari e dei grossi proprietari.
Pertanto se ora la Giunta o la sua maggioranza ci presenteranno una nuova proposta di legge per l'albo che affronti e risolva correttamente questo grosso ed importante problema della riserva dei finanziamenti all'azienda contadina coltivatrice singola ed associata, cioè ai coltivatori diretti, coloni e mezzadri ed alle loro cooperative e forme associative posso dichiarare e dichiaro sin d'ora la piena disponibilità del Gruppo comunista.
Del resto si tratta di una disponibilità di sempre, anzi in merito anche con specifico riferimento "all'albo", esiste un preciso documento della direzione del nostro partito o meglio della sua Commissione Agraria centrale, la condizione è, e sarà quindi, solo quella di evitare carrozzoni, garantire sì la cogestione o partecipazione delle categorie alla gestione dell'Albo ma non a scapito del controllo pubblico che per noi resta essenziale.
Con riferimento all'Ente di Sviluppo Agricolo, è un problema aperto, ci sono ancora nodi da sciogliere.
In questo momento pur restando un problema importante non è certamente fra le questioni prioritarie o fondamentali, come le leggi per la zootecnia, per le Cantine sociali e per l'elettrificazione.
In ogni caso l'Ente di Sviluppo resta per noi uno strumento importante che va istituito. Si tratta di risolvere in modo corretto e democratico i nodi di cui dicevo sopra affinché sia garantita certo la partecipazione effettiva delle categorie, ma anche quella degli Enti locali alla formazione dei piani zonali di sviluppo agricolo.
Del resto nella stessa relazione programmatica, quando si parla di piani zonali si riconosce che essi devono corrispondere non solo agli interessi delle categorie direttamente interessate ma all'intera collettività, di qui quindi l'esigenza di affidare competenze particolari agli Enti locali, cioè alle assemblee elettive che rappresentano la generalità o la sintesi degli interessi generali. Si tratta infine di prevedere l'istituzione dei consigli o assemblee dei produttori. E' ai Comuni ed ai consigli dei produttori che a nostro avviso compete la scelta fondamentale degli indirizzi di base attorno ai quali costruire la formazione e la redazione dei piani zonali. Altro grosso nodo da sciogliere resta quello della direzione dell'Ente e i suoi rapporti con il Consiglio Regionale.
Ritornando alle questioni generali ed in rapporto ai problemi che abbiamo posto noi e che si è posta la stessa Giunta occorre stabilire come già ho detto prima, date precise, tempi, risorse adeguate, e affrontare in collegamento a questi problemi gli altri, sui quali non mi diffondo perch ormai è ora che concluda, che interessano la distribuzione, e quindi i mercati generali, le nuove strutture da creare nel settore della distribuzione. Sono, d'altronde, questioni che già ho avuto occasione di trattare ripetutamente.
Non posso concludere il mio intervento senza ritornare ancora sul capitolo dell'attività operativa della Giunta, e quindi di tutta la Regione. A me pare che, a parte l'attività legislativa sulla quale mi sono ampiamente diffuso, un problema immediato sia quello di come si muoverà da domani l'Amministrazione regionale, la Giunta, con il concorso del Consiglio, delle Commissioni, della Commissione Agricoltura, in rapporto ad alcuni grossi problemi che sono rimasti insoluti: il problema della Baraggia, ad esempio, il problema del Centro di Cussanio, il problema della Centrale del latte di Torino. Quale risposta la Giunta intende dare subito, alle organizzazioni dei produttori agricoli, dei coltivatori diretti - ai sindacati dei lavoratori - in ordine alle proposte che da due o tre anni esse portano avanti per giungere a mettere ordine sulla Centrale del latte di Torino, su questa struttura che non fa certo gli interessi, n dei produttori di latte, né dei lavoratori, né dei consumatori.
Si tratta di porre concretamente mano alle proposte già ripetutamente avanzate per la pubblicizzazione della Centrale del latte di Torino e per avviare la costruzione di un sistema regionalizzato delle Centrali del latte in Piemonte.
E così per quanto riguarda la "normativa regionale" rivendicata dalle organizzazioni di categoria per una regolamentazione delle condizioni per la cessione o vendita di certe produzioni agricole all'industria trasformazione: latte per uso non alimentare all'industria casearia; uve moscato all'industria spumantiera, ecc.
Infine come la Giunta intende muoversi subito per una rapida e corretta applicazione delle due leggi regionali - varate fra tante difficoltà - ad integrazione del fondo di solidarietà a favore dei danneggiati dal maltempo e dalle grandinate del 1972 e 1973? In proposito mi si consenta di ricordare qui i solenni impegni assunti da questa assemblea di fronte ad una contestazione altrettanto vivace come quella a cui ci è toccato di assistere oggi, mi riferisco a quella dei danneggiati dalle grandinate del giugno 1973.
Ci eravamo impegnati a far scattare le provvidenze statali e regionali entro il novembre 1973, ebbene a tutt'oggi né lo Stato né la Regione ha ancora erogato una lira ai danneggiati.
La legge regionale per le anticipazioni ha ormai ricevuto da tempo il visto del Commissario di Governo, quella a favore delle Cantine sociali lo ha ottenuto solo nel corso di questa settimana e su di essa non è ancora del tutto sciolta la riserva della CEE.
In ogni caso cosa si attende ad anticipare i provvedimenti dello Stato? E così cosa si attende ad erogare i 550 milioni previsti a favore delle Cantine sociali? Ecco a cosa mi riferisco quando parlo di attività operativa della Giunta.
Per la Baraggia, per il Centro di Cussanio, per la Centrale del latte di Torino per i danni della grandine non si tratta più di attività legislativa, in questi casi e su questi problemi è l'attività operativa della Giunta che entra in campo. Qui deve soccorrere la volontà, l'impegno ed anche la fantasia della Giunta e del nuovo Assessore all'agricoltura che può e deve ricercare il contributo la partecipazione delle organizzazioni di categoria ed anche del Consiglio e delle Commissioni consiliari, stabilendo e costruendo un rapporto nuovo e diverso dal passato.
Sarà anche da questa capacità e volontà di stabilire un rapporto nuovo e diverso fra Esecutivo e Consiglio Regionale che noi giudicheremo la nuova Giunta ma soprattutto che costruiremo insieme una Regione più aperta sensibile ed efficiente.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE



PRESIDENTE

Se nessuno ha obiezioni da muovere darei ancora la parola al Consigliere Bertorello, che aveva preventivato di svolgere il suo intervento nel pomeriggio, ma preferirebbe anticiparlo, per collegarlo agli altri già dedicati al tema dell'agricoltura, in considerazione anche dell'episodio che ha provocato l'interruzione della seduta.
Il Consigliere Bertorello ha facoltà di parlare.



BERTORELLO Domenico

Signor Presidente, il programma che la nuova Giunta Regionale ha presentato a questo Consiglio, che dovrebbe essere quello di fine legislatura, ci dà motivo di esprimere un giudizio per constatare se sono state recepite le istanze delle varie forze sociali per un nuovo tipo di sviluppo nel quadro organico nella Regione Piemonte.
Dobbiamo rilevare che, ad esempio, l'agricoltura vive un momento magico in quanto è sulla bocca di tutti, dopo che, per decenni, è rimasta tra l'indifferenza generale, in quanto tutti i mali della società nel suo sviluppo si risolvevano con l'industria; la campagna non era che il calderone di braccia inesauribile da cui attingere per buttare gli uomini come automi, nell'ingranaggio inumano della meccanizzazione. In seguito alle rivendicazioni delle categorie agricole si sono avute dal potere pubblico alcune leggi favorevoli specie dal punto di vista sociale incapaci però di vedere che in quel modo si demoliva la vitalità dell'agricoltura stessa asportandole le sue forze giovani, lasciandole solo la sua forza di inerzia.
Pur tuttavia qualcuno ha avuto il coraggio di aspettare, convinto che gli sbagli sarebbero venuti al pettine. Ora, pur nel coro plateale di sindacati, ministri e non ministri che parlano di agricoltura, dobbiamo registrare che, a parte certe ciarlatane esibizioni secondo le quali non siamo sulla via giusta perché non si vuole partire dalla base, cioè dall'uomo dei campi che deve essere il protagonista dell'agricoltura. Così ad esempio, in zootecnia non si capisce che è la vacca la base fondamentale per la risoluzione dei problemi, a meno che, stante l'attuale crisi, la Fiat non trovi il modo di far fare i vitelli sulle catene di montaggio.
D'altronde in questo stesso Consiglio Regionale, pur nell'identità di vedute sulla gravità del problema e sulle enunciazioni di principio, si dimentica o si vuol dimenticare che è l'uomo che attuerà il programma prestabilito. Gli vogliamo dare un minimo di riconoscimento? lo vorrei chiedere a chi ha detto di no all'albo professionale, chi crede di mandare a mungere le vacche? O si crede forse che coi soldi di qualche magnate si trovi il coloniale che si adatti a fare quel lavoro? O che creando il kolkoz alla maniera sovietica si risolve il problema? O forse con il part time, questa forza nuova che vive a cavallo a due attività, che specie nelle zone industriali diventa il padrone della piazza agricola avendo disponibilità finanziarie, in quanto si pesca da due parti? Siete tutti convinti che con questi metodi si risolve il problema? Io dico di no! Ebbene, signor Presidente della Giunta, adesso andremo in campagna a diffondere ciò che lei ha enunciato e cioè che ci sarà il prestito per fare la casa, la stalla nuova, la luce, l'acqua, comprare il bestiame risanato e le macchine, grosso modo, 30/40 milioni per famiglia, con un onere annuo di 3/4 milioni per risolvere il problema della produzione agricola che tanto ci interessa? Ma al coltivatore cuI chiediamo questo sacrificio, perch neghiamo il diritto di essere riconosciuto come tale da un documento ufficiale? Come si possono incoraggiare i coltivatori e poi lasciarli in balia del capitale privato e degli operai-contadini e dei giovani pensionati che ritornano in folta schiera a riprendersi la terra? La validità del suo programma, signor Presidente, che noi ci auguriamo venga realizzato, dipenderà dalle risposte che si saprà dare a questi interrogativi.
Non si vuole, con ciò, ritornare al corporativismo dell'Italia che fa da sé, ma si vuole essere protagonisti alla pari degli altri partners del MEC dello sviluppo agricolo, anche al fine di contribuire ad allontanare lo spettro della crisi alimentare dal nostro Paese.



PRESIDENTE

Si è conclusa questa prima parte della discussione. La ripresa degli interventi sul programma della Giunta è prevista per domani alle ore 9,30.


Argomento:

Interrogazioni e ordini del giorno (annuncio)


PRESIDENTE

Sono pervenuti un ordine del giorno ed un'interrogazione, entrambi presentati dai Consiglieri Bianchi e Calleri. Prego un Consigliere Segretario di dare lettura e dell'ordine del giorno e dell'interrogazione.



FRANZI Piero, Segretario

Interrogazione presentata il 16 gennaio '74 dai Consiglieri Bianchi e Calleri sulla grave sciagura ferroviaria in Rivalta Scrivia ordine del giorno presentato il 16 gennaio '74 dai Consiglieri Bianchi Calsolaro, Vera, Gandolfi, Berti, Garabello sulla situazione occupazionale alla Lancia di Chivasso.



PRESIDENTE

Desidero assicurare che stiamo raccogliendo, in merito alla sciagura di Rivalta Scrivia, una documentazione, con il proposito di riferirne nella stessa giornata di domani, se possibile.
La seduta è tolta e rinviata a domani



(La seduta ha termine alle ore 20,05)



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