Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.180 del 25/10/73 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE OBERTO


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
L'ordine del giorno reca al punto primo: "Approvazione del verbale della precedente seduta".
Il processo verbale dell'adunanza dell'11 ottobre '73 è stato distribuito ai Consiglieri. Vi sono osservazioni da fare sul testo? Nessuna? Allora ne pongo in votazione l'approvazione, per alzata di mano.
E' approvato.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente


PRESIDENTE

Punto secondo dell'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente".
Sono in congedo il Vicepresidente Fassino, che partecipa ad un viaggio in Russia, il Consigliere Garabello, il Consigliere Giovana e l'Assessore Visone.
Devo dare partecipazione al Consiglio di due lettere, inviate alla Presidenza dai Consiglieri Nesi e Viglione.
Il Consigliere Nesi, in data 17 ottobre, scrive: "Il cambiamento di maggioranza verificatosi nel Comitato regionale del mio partito e la precisa richiesta che in questo senso mi è stata rivolta dalla nuova maggioranza hanno comportato le mie dimissioni da presidente del Gruppo consiliare del Partito socialista italiano.
Nel darne a Lei, ai Vicepresidenti ed ai membri dell'Ufficio di Presidenza doverosa comunicazione, desidero Ringraziarla per la stima e il riguardo sempre dimostrati nei confronti della mia persona, che mi auguro non verranno meno nelle mie nuove funzioni.
Con i sensi della più alta considerazione e con viva amicizia mi abbia... Consigliere Nesi".
Il Consigliere Viglione, in data 18 ottobre, scrive: "Illustre Presidente, il Gruppo del Partito socialista italiano accogliendo le dimissioni del presidente dotti Nerio Nesi, ha nominato presidente il sottoscritto. Aldo Viglione".
Il Consiglio vorrà pertanto prendere atto che presidente del Gruppo consiliare del Partito Socialista Italiano è ora il Consigliere Viglione.


Argomento:

Documenti - Assegnazione a commissioni


PRESIDENTE

Informo che sono stati presentati i seguenti documenti: la proposta di legge n. 111 del Consiglio regionale del Piemonte al Parlamento per il consolidamento dei mutui contratti dai Comuni e dalle Province, formulata dai Consiglieri Vecchione, Berti e Raschio in data 11 ottobre; in data 15 ottobre l'ho assegnata alla 8^ Commissione consiliare la proposta di legge n. 112, per la istituzione di una anagrafe tributaria dei componenti il Consiglio Regionale piemontese, presentata dar Consiglieri Carazzoni e Curci in data 16 ottobre, che è stata assegnata alla stessa data alla 1^ Commissione consiliare la proposta di legge n. 113 relativa al servizio di ragioneria della Regione Piemonte, presentata dai Consiglieri Carazzoni e Curci in data 16 ottobre ed assegnata alla stessa data alla 1^ Commissione consiliare infine, questa mattina è stata presentata una proposta di legge di iniziativa dei Consiglieri Zanone, Fassino, Gerini, Rossotto, avente per oggetto "Interventi della Regione per gli impianti di smaltimento dei rifiuti solidi". Mi riservo di esaminarla, per assegnarla, probabilmente ancora nella giornata di oggi, alla competente Commissione.
Non avrei altre comunicazioni da fare. Nessuno chiedendo la parola si passa al punto terzo dell'o.d.g.


Argomento: Giunta, organizzazione e funzioni - Presidente della Giunta Regionale

Adempimenti di cui all'art. 32 dello Statuto per la elezione del Presidente della Giunta e della Giunta Regionale


PRESIDENTE

A norma dell'art. 32 del nostro Statuto, si deve procedere alla nomina del Presidente con votazione per appello nominale; successivamente si procederà alla votazione dei componenti della Giunta: per la prima votazione è necessaria la maggioranza assoluta dei voti dei Consiglieri assegnati alla Regione, per la seconda la maggioranza semplice, con votazione della lista collegata a quella del Presidente.
Per poter andare innanzi, vorrei sentire se qualche Gruppo ha delle proposte da fare circa la presentazione. Chiede di parlare il Consigliere Viglione. Ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

Colleghi Consiglieri, la crisi del Governo Regionale piemontese apertasi formalmente con le dimissioni del Presidente Calleri, ma sostanzialmente con il ritiro dell'appoggio repubblicano alla coalizione di centro-destra, non ha ancora trovato ad oggi una soluzione.
D'altronde, il rovesciamento della situazione politica che si propone alla Regione Piemonte, se tale ha da essere nella sua effettiva realtà richiede sì rapidi interventi, decisioni immediate per l'obiettiva difficoltà di un contesto economico-sociale piemontese, ma, nello stesso tempo, anche delle pause di riflessione e di meditazione, non affrettate linee programmatiche ma reali scelte di fondo che si inquadrino e si collochino nel contesto nazionale, ne sorreggano gli obiettivi, siano i pilastri portanti di una vasta azione per le riforme di struttura della società italiana e regionale.
Dunque, il Partito socialista italiano è pronto a riprendere alla Regione Piemonte la collaborazione con le altre forze di centro-sinistra per la formazione di un governo che si ponga in questa ottica e soddisfi queste esigenze. Non, quindi, di un qualsiasi governo, cui tenderanno certo tutte le forze conservatrici, per mantenere, com'è prassi e costume l'immobilismo più assoluto, il privilegio, le rendite di posizione, lo sfruttamento parassitario di ogni risorsa del Paese e dello Stato. Il Partito socialista italiano non è certo per un governo di copertura, non intende affatto sostituire meccanicamente i liberali, come vorrebbe taluno ma intende intessere un nuovo dialogo democratico, provocare una inversione di tendenza assai netta, rovesciare una situazione piemontese, non ignota di certo anche ai meno provveduti, che è stata antesignana di una svolta antiriformatrice.
Decisioni immediate si impongono, è vero, ma in quale quadro, con quale politica, con quali forze? Ecco il momento di riflessione, ed anche riteniamo, di chiarimento, anzi, di estremo chiarimento. Ne si può far questo senza un'analisi di tutti i fatti che hanno accompagnato la vita regionale di questi due anni con la svolta conservatrice, il distacco da ogni realtà del Paese, il sottogoverno come metodo costante l'autoritarismo personale come scelta, il dialogo con le forze popolari interrotto, il rapporto con le forze sindacali a livello di piccoli settori, più come forma di copertura che di reale confronto per le grandi linee di indirizzo socio-economico della nostra Regione.
Se non si parte da questo dato e si ritiene la caduta del governo di centro-destra come un fatto meramente contingente, forse tattico, forse ancora per una formale adesione ad accordi romani che già venivano contestati il giorno dopo la loro assunzione, allora veramente ci si pone in un quadro gravemente errato, allora veramente il nostro discorso è inutile, il nostro incontro lontano.
Il Centro-Destra, dunque, è totalmente fallito. E' fallito nelle sue prospettive politiche, economiche, sociali, strategiche ed anche storiche.
Quello che va sotto il nome più comunemente noto di binomio Andreotti Malagodi si è disfatto nel breve volgere di meno di due anni, tal che i fautori democristiani, Forlani-Andreotti, hanno anche tagliato i ponti rifiutando la partecipazione al nuovo Governo.
Questo tentativo, che non è di oggi ma investe una tematica assai più vasta dell'ultimo decennio, si poggiava sull'allarmismo economico, che fu un ignobile tentativo di addossare ogni risultanza negativa alle classi lavoratrici, a porre in forse ogni più favorevole normativa per i lavoratori, a contrastare, con la violenza e spesso con i mezzi di informazione, partecipi di questo allarmismo economico, ogni adeguamento salariale, a far pagare ai lavoratori tutti il prezzo di fatti speculativi di scelte errate oppure di acquisizione di profitti da rapina.
Si giunse alla tensione come fatto costante, come elemento determinante di pressione psicologica, creando nelle famiglie e nella società uno stato abnorme di vita.
Infine, la parte più reazionaria di questo schieramento giunse al terrore. Non ricorderemo, perché sono troppo presenti a voi tutti, i fatti di Milano, Padova, Roma, Genova, Reggio Calabria. E siamo ben coscienti che il disegno di parte di questo schieramento reazionario era ben più lontano e tendeva a cambiare l'intero quadro istituzionale del nostro Paese, per imporre una svolta autoritaria che ricacciasse cent'anni indietro le conquiste democratiche e sociali del nostro Paese.
E in ultimo questa strategia non poteva non accompagnarsi ad un disegno tendente a distruggere un corretto sistema economico, a mettere costantemente in forse la stabilità economica, il potere d'acquisto dei salari, a distruggere il piccolo risparmio, portando alle estreme conseguenze il processo inflativo.
Forse non siamo ancora esattamente documentati, e la storia ce lo dirà di quale sconquasso si sia trattato; di come un certo capitale, cosiddetto di rapina, abbia tratto enormi profitti; come di altro capitale parassitario abbia tratto nuova linfa con la svalutazione monetaria; come di altro capitale non competitivo, o meglio straccione, abbia nuovamente trovato campo d'azione o succhiato dalla stessa svalutazione quantità impensabili di denaro. Ma chi ha pagato il prezzo di tutto ciò? I contadini, gli operai, i pensionati, i piccoli risparmiatori, che hanno trovato nel passato governo non certo un sostegno.
E ancora, questo processo tendeva a ridurre ulteriormente i margini di operatività del quadro di avanzamento sociale, a svuotare le riforme contestandole, impugnandole continuamente di fronte alla Magistratura ed alla Corte Costituzionale, disattendendole, creando artatamente anche nelle classi medie l'opinione che la causa dei mali economici del nostro Paese fosse in stretta dipendenza dalla strategia delle riforme.
Ma questo disegno non è passato: non è passato in campo nazionale e non è passato in campo regionale, come oggi vediamo con le dimissioni del Presidente della Giunta. Ed ho detto in precedenza che il Centro-Destra è anche fallito storicamente. Mi si permetterà anche questo riferimento storico: la caduta della destra ed il rifiuto anche allo stesso trasformismo è una delle costanti del nostro Paese, dove le classi popolari, con le lotte e la Resistenza hanno acquisito una responsabilità ed un ruolo dai quali non si potrà certo ricacciarle.
Ecco il quadro che ci permettiamo di sottoporre alla discussione, alla meditazione, ed infine alle nuove scelte che si debbono fare.
E' un tipo nuovo di rapporti. Di qui appare non soltanto importante ma emblematica l'esperienza che il nostro partito è chiamato ad affrontare. Ci collochiamo su queste grandi nuove linee che hanno il presupposto di una netta inversione di tendenza, di un tipo nuovo di rapporti con tutta l'opposizione, in specie con i compagni comunisti, aperta a contributi costanti non solo di queste forze politiche, ma delle organizzazioni sindacali che si collocano come interlocutori costanti per le grandi scelte del Paese e della Regione. Insomma, un nuovo e più vitale processo democratico e partecipativo fra la Regione e le grandi masse popolari.
Chi pensasse di uscire dalla crisi della Regione programmando organici di vertice, od anche di sotto-vertice, di intese personali o di colpi di mano nelle notti insonni di certi personaggi, e sia soltanto preoccupato di far varare qualche leggina per giungere al termine della legislatura sappia che su questa strada non potrà di certo trovare le forze socialiste disponibili ad un dialogo e ad un incontro. Ben altro ci vuole nel contesto della realtà piemontese.
Il discorso passa invece ad un vero dialogo tra le forze politiche che rappresentano le forze popolari, ad un collegamento di massa, ad una partecipazione viva e costante fra gli Enti democratici, i sindacati, come abbiamo già detto, e tutti i cittadini. Bisogna ritrovare, o sollecitare il consenso a linee politiche operative, perché senza questo consenso unico dato di fondo verificabile, non vi può essere soluzione alla crisi.
Sì, è vero, si potrà formare un altro governo, che fra qualche mese verrà a dirci che è fallito, riaprendo una ennesima crisi alla Regione Piemonte che ormai nulla invidia, su questo piano, ad altre tanto criticate Regioni contribuendo a squalificare le forze politiche.
All'obiettivo democratico e partecipativo che è il vero motivo della Regione, che diventa in tal modo valido e perenne interlocutore, con tutte le forze che operano nella realtà piemontese, deve di certo accompagnarsi una politica diretta a sorreggere questo nuovo rapporto, un indirizzo socio economico programmato, che serva a costruire una società più civile ed avanzata, che tenga conto che soltanto attraverso la strategia riformatrice si potrà raggiungere questo risultato.
Su queste basi il PSI è disposto ad una immediata trattativa, ed a concluderla assai rapidamente. Come è esattamente detto nella relazione introduttiva del Convegno regionale di fine settimana del PSI in Guarene: "A livello piemontese si apre il discorso - squisitamente politico - di una verifica delle forze politiche e sociali realmente disponibili per una nuova impostazione che rappresenti un reale rinnovamento e che affronti con decisione i problemi da risolvere".
Si tratta di individuare, da un lato, una base programmatica ed una piattaforma e di iniziative e di azione a livello del movimento operaio e dei suoi strumenti (partiti, sindacati, cooperative, organizzazioni di massa), una piattaforma che non voglia riprendere interpretazioni (come quella del partito-guida, del sindacato-cinghia di trasmissione) che l'esperienza ha condannato; ma ricercare un fondamento comune di elaborazione, di approfondimento continuo nello studio di strategie e di tattiche che portino realmente avanti il movimento operaio piemontese e che contrastino le azioni freddamente lucide e programmate delle classi dominanti.
Per il perseguimento di questo obiettivo sarà necessario garantire la reale omogeneità negli intenti, garantirsi contro ogni compromissione contro ogni particolarismo, contro ogni gruppo di potere e contro le stesse accentuazioni di patriottismo di partito. In secondo luogo, va ricercata un'alleanza, la più vasta possibile, della classe operaia con i ceti disponibili per una politica volta sia allo sviluppo sociale e civile del Paese che ad una elevazione del livello di benessere, ma tale da garantire una più equa distribuzione di redditi tra le classi sociali, e da evitare la distorsione dei consumi, tipica delle società opulente.
Sappiamo, colleghi Consiglieri, che le linee che vi abbiamo proposto per la rapida soluzione e della crisi non sono certo di poco conto, n tutte realizzabili nell'arco dei diciotto mesi che ci separano dal termine della legislatura. Ma l'obiettivo è ben altro. Non ci turba di certo il termine dei diciotto mesi, né intendiamo che questo sia nuovamente richiamato per fare della Regione un'attività riduttiva. La vita della Regione ha davanti a sé lunghi decenni, sino all'esaurimento del suo compito; l'impostazione attuale è un'impostazione che durerà in questi decenni, che sarà la base di ogni futura politica regionale. E questo processo formativo della Regione deve ancora iniziare. Il Piano, che è il vero e primo strumento democratico attraverso il quale si operano le grandi scelte, si trova ancora nella fase preliminare, l'informazione carente, la partecipazione è forse quella che ha fatto maggiori passi, ma siamo ben lungi da una situazione soddisfacente, le deleghe, che sono lo strumento attraverso il quale avviene la verifica del decentramento, nemmeno ancora alla fase di studio, salvo una proposta di carattere generale.
Queste sono le ipotesi che noi offriamo oggi a tutte le forze politiche presenti nel consesso regionale per un confronto e una verifica, perch soltanto attraverso questo confronto e questa verifica potrà sorgere un governo regionale che soddisfi le esigenze che prima abbiamo enunciato.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Curci. Ne ha facoltà.



CURCI Domenico

Signor Presidente, ritenevamo che la sua domanda che ha preceduto l'intervento del Consigliere Viglione fosse rivolta a conoscere se da parte di qualche Gruppo si fosse in grado di presentare il documento programmatico e la lista degli Assessori da eleggere.



PRESIDENTE

Difatti, ho dato la parola al Consigliere Viglione, che l'aveva chiesta, nella persuasione che intendesse formulare una proposta concreta in merito.



CURCI Domenico

Abbiamo ascoltato, invece, da parte del Consigliere Viglione un intervento di polemica disponibilità del suo partito.
Questo ci fa presumere che nessun Gruppo sia oggi in grado di adempiere alle formalità previste dall'arti 32 dello Statuto. Che dopo quindici giorni di crisi ufficiale, e trenta giorni di crisi virtuale, oggi avremmo avuto fumata nera era scontato, dopo le notizie che abbiamo appreso dalla Stampa; era scontato soprattutto dopo le vicende dell'altra sera al Consiglio comunale di Torino, dove gli accordi romani fra i quattro partiti del Centro-Sinistra sono saltati in seguito alla caparbietà - o alla tenacia, a seconda dei punti di vista - di un sindaco socialista, del quale è stato detto che si trova ormai fuori dall'orbita del Partito socialista stesso, pietoso o ipocrita eufemismo per significare che l'on. Secreto se ne infischia degli ordini del suo partito e fa quel che gli pare meglio. Le impuntature del sindaco Secreto hanno impedito altresì che venisse rispettato il baratto delle cariche stabilito a Roma, per cui la poltrona che ella, signor Presidente del Consiglio, ha posto a disposizione del suo partito, con tempestività per lo meno eccessiva, compiendo un gesto che e stato definito un atto di correttezza politica, di correttezza verso il suo partito, forse, ma non certo verso questo Consiglio, che quella poltrona le aveva affidato, oggi si trova ad essere provvisoriamente occupata, come provvisoriamente occupata è la poltrona del Sindaco di Torino, in attesa che entrambe vengano rese libere per titolari designati.
Ora, noi ci domandiamo - e non è la prima volta che lo facciamo in quest'aula, se, presi come siete dalla lotta a coltello per gli interessi delle vostre correnti o dei vostri Gruppi, non vi, rendete conto dell'effetto che tutto ciò produce sulla pubblica opinione; se non vi accorgete che ciò che voi chiamate, e la stampa pietosamente definisce "dialettica democratica", in realtà è considerato dalla pubblica opinione e, se mi consentite, dalla nostra parte politica, che sempre più largamente la va rappresentando - per quello che effettivamente è, cioè una manifestazione della vostra cupidigia di potere; che ciò che voi chiamate e la stampa pietosamente definisce, "verifica delle posizioni", è considerato dalla pubblica opinione, e dalla nostra parte politica, per ci che sotto questa espressione si nasconde, e cioè i vostri sforzi per mantenervi in equilibrio sulla fune del potere; se voi considerate che ci che voi chiamate, e la stampa definisce, "confronto programmatico", è considerato dalla pubblica opinione, e dalla nostra parte politica, uno scontro per l'accaparramento delle poltrone più doviziose. Ci domandiamo insomma, se vi rendete conto dello schifo che dalla pubblica opinione sta salendo, e che minaccia di sommergerci.



PRESIDENTE

Prima di dare la parola ad altri Consiglieri, vorrei pregare il Consiglio di prendere atto di una mia brevissima dichiarazione.
Mi riservo di dare a suo tempo chiarimenti al Consiglio stesso quando sia ad hoc convocato, o se ne ravvisi l'opportunità, sull'atteggiamento che ho ritenuto di assumere come uomo che, appartenendo ad un partito, crede nella necessità di rispettare correttamente la disciplina di partito. A me è stato chiesto non di dare le dimissioni ma di dichiararmi disponibile per eventuali dimissioni: ho risposto in senso affermativo, ma con questa esplicita riserva scritta (mi spiace di dovermi assentare alle 11 dall'aula, altrimenti avrei potuto precisare meglio la mia posizione): "Fatto salvo il diritto e il dovere del rispetto alla istituzione", vale a dire a questo Consiglio Regionale.
Respingo pertanto - limitandomi per il momento a questo - l'addebito di mancanza di correttezza verso il Consiglio: la mia testa può contare molto per me e poco per altri, ma la testa del Presidente del Consiglio della Regione Piemonte, che è ancorata ad un atto statutario, non può essere assolutamente oggetto di trattative senza che il Consiglio stesso ne sia notiziato, da chi ha il dovere e l'obbligo di farlo.
Chi chiede di parlare? Il Consigliere Minucci. Ne ha facoltà.



MINUCCI Adalberto

Ho indugiato qualche istante a chiedere la parola nella speranza che prima di me si iscrivesse il Consigliere Gandolfi: penso infatti che se c'è, sul piano individuale, un collega interessato a chiarire le ragioni almeno quelle tecniche, di questa crisi, sia proprio il Consigliere Gandolfi.



GANDOLFI Aldo

Scusa, ma io sono già intervenuto in proposito.



MINUCCI Adalberto

Hai dato chiarimenti in abbondanza sui giornali, ma io sono sempre dell'avviso che le spiegazioni debbano essere fornite in seno all'assemblea.



GANDOLFI Aldo

Ed infatti mi sono espresso in Consiglio, in occasione del dibattito sulla gratuità dei libri di testo agli alunni delle scuole medie.



MINUCCI Adalberto

Non mi è parsa, quella, una dichiarazione atta a giustificare la crisi di Giunta, bensì una presa di posizione in rapporto ad una legge. Comunque sia, quella spiegazione per mio conto non era sufficiente: ne auspicavo una un tantino più seria. Appunto di una crisi si sta infatti discutendo, di un nuovo momento di paralisi nell'attività della nostra Regione: la quarta crisi, mi sembra, a parte una quinta che si può non considerare in quanto prevista esplicitamente dallo Statuto. Per parecchi mesi, per effetto di queste crisi, la Regione si è trovata a procedere senza una guida.
Non sempre queste crisi sono apparse motivate sufficientemente dal punto di vista della funzione e della dignità del nostro istituto. Quella precedente, se non sbaglio, fu giustificata dalla necessità di difendere l'autonomia degli Enti Locali se ben ricordo le dichiarazioni del Presidente Calleri. Vorrei sapere quale è la motivazione della attuale.
Ma quel che più colpisce è il fatto che in una Regione come la nostra le varie Giunte che si sono susseguite non si siano mai trovate di fronte a questioni di maggioranza numerica; anzi, sia le Giunte di centro-sinistra che la Giunta di centro-destra, per una fortunata circostanza, che non è molto frequente nelle altre assemblee elettive, possono disporre di maggioranze numeriche larghissime, che sotto questo profilo danno tutti gli affidamenti. Non c'è neppure il pretesto, diciamo così - non solo pretesto ma anche realtà di fatto - che al Consiglio comunale di Torino può spiegare talvolta difficoltà, contraddizioni, cadute in minoranza delle varie Giunte, e, così via. Eppure, ripeto, anche qui ci troviamo di fronte a delle crisi che, per il modo in cui vengono attuate e realizzate, per il tempo che assorbono, in cui la attività delle istituzioni rimane paralizzata, provocano un disagio, un malessere che nessuno di noi certamente può nascondersi.
A noi comunisti appare abbastanza chiaro che questo stesso fatto di crisi a ripetizione, di istituzioni messe in grado di funzionare solo approssimativamente, tenute a bagnomaria, precipitate in situazioni di crisi, proprio in casi come questo, dove appunto le maggioranze, almeno sulla carta, esistono, sono la conferma più lampante che si tratta di un riflesso, di un aspetto di una crisi più generale, che noi da tempo abbiamo definito la crisi della società italiana; una crisi che investe nel profondo anche il quadro istituzionale, e che si svolge al di là delle singole congiunture. Abbiamo avuto i boom produttivi, abbiamo avuto le congiunture di recessione, di stagnazione; adesso siamo ad una nuova congiuntura di ripresa; ma, nonostante questo, al di là dell'andamento economico, c'è un filo rosso che collega le varie vicende del Paese rappresentato da un continuo processo di aggravamento di una crisi generale, di quella che ormai viene chiamata anche dalla stampa internazionale "la crisi italiana"; una crisi che è in primo luogo di struttura, di assetto sociale, di rapporti sociali, di direzione politica e, come abbiamo visto anche nelle vicende quotidiane, anche crisi morale crisi di valori della nostra società.
Di qui il malessere e il riflesso organico di questa crisi anche all'interno delle forze politiche che in tutto questo arco storico sono state le principali responsabili della direzione del Paese, e naturalmente non potrebbe essere che così il fenomeno principale, sotto il profilo politico, che è la crisi, il malessere, se vogliamo, della Democrazia Cristiana. Perché, se è vero che questo periodo, a nostro avviso di portata storica, appunto così grave per la vita del Paese, si esprime attraverso una disarticolazione delle strutture economico-sociali e attraverso fenomeni di inefficienza dello Stato, degli apparati dello Stato (lamentati non solo da noi, o da sinistra: avete visto la pubblicistica, le polemiche i dibattiti di questi ultimi anni), ormai avvertiti acutamente anche da altri protagonisti della vicenda sociale e politica del Paese, dalle grandi forze industriali, per esempio, ecco, questa disarticolazione, questa inefficienza non possono non riflettersi acutamente all'interno del Partito della Democrazia Cristiana. Non solo perché questo partito da venti venticinque anni, ormai, si identifica con questo Stato, con questo assetto strutturale, ma perché la stessa realtà composita della Democrazia Cristiana si presta a che in modo acuto la crisi della società si rifletta al suo interno.
Noi abbiamo sempre rifiutato l'immagine schematica della Democrazia Cristiana che si limita a definirla il partito del grande capitale, il partito del grande padronato. Sappiamo che la Democrazia Cristiana è anche tante altre cose. Non è più soltanto il partito della Chiesa, non è più, se mai lo è stato, il partito del grande capitale, come qualcuno la chiama anche se certi aspetti di queste caratteristiche li ha, li conserva e sono molto forti -, ma è anche il partito delle classi medie e della loro crisi attuale, è il partito di masse operaie e contadine, e così via, è il partito di larghissime masse sociali cattoliche. E' evidente che proprio questa composizione così dialettica, questa contrapposizione, anche, non può non venire messa in discussione nel momento in cui la società e lo Stato con cui questo partito si è identificato entrano in un periodo di convulsioni così acute come quelle di oggi, che sono convulsioni, fra l'altro, che riguardano proprio i rapporti fra i vari settori della società, fra le varie classi, e così via. Del resto, credo che se un fatto interessante è emerso negli ultimi tempi, per esempio dall'ultimo Congresso nazionale della Democrazia Cristiana, è che i leader più responsabili di questo partito hanno cominciato ad avvertire essi stessi questo fenomeno hanno cioè capito che la D.C. sta attraversando una crisi che qualcuno ha definito di egemonia, di prospettiva, qualche altro ha detto una perdita di identità. Credo sarà una definizione sostanzialmente giusta.
Bisogna riflettere su tutto questo, bisogna vedere anche dove va a parare questo processo. Perché credo che nessuno che ragioni politicamente possa pensare che questa crisi, o questa perdita di identità, interessi soltanto i democristiani, o interessi soltanto un settore della politica italiana. In realtà, noi abbiamo visto che il tentativo di risolvere, con uno spostamento a destra dell'asse politico della D.C. e del Paese, secondo l'operazione Andreotti-Malagodi, per essere chiari, questa crisi di identità, cioè di ritrovare una funzione nazionale e una identità, una fisionomia specifica, una unità con uno spostamento a destra, non solo è almeno temporaneamente fallito ma nel breve spazio in cui è vissuto ha rivelato fino in fondo la sua pericolosità, non soltanto per il Paese, per la democrazia italiana, per il regime costituzionale italiano, ma per la stessa Democrazia Cristiana. Perché l'operazione Andreotti-Malagodi, al di là della facciata esteriore, al di là degli aspetti più immediati, ha fatto vedere quali abissi può scavare alla stessa collocazione della Democrazia Cristiana nel Paese una spinta in quella direzione.
D'altra parte, di fronte a questo sforzo per risolvere a destra la crisi della Democrazia Cristiana, non regge lo schermo dell'arco costituzionale in cui il Partito liberale si colloca; perché i problemi che sono al centro della crisi della società e della struttura economica del Paese sono problemi che ormai sfuggono alle possibilità di comprensione del Partito liberale. Non lo dico per mettere in discussione il valore intellettuale individuale dei colleghi liberali, per carità, o del Partito liberale in se stesso, ma come collocazione storica, come fenomeno storico.
Cioè, noi ci troviamo di fronte alla esigenza di andare verso uno sviluppo economico che nega i postulati stessi da cui è nato il Partito liberale. Da quando l'economia capitalistica (non solo in Italia, anzi, vorrei dire, in Italia in ritardo rispetto ad altri Paesi) ha imboccato la lunga fase di passaggio tra il vecchio individualismo economico ed una economia programmata, il Partito liberale è stato travolto, in tutti i Paesi, e non assolve più ad alcun altro ruolo che quello di una testimonianza culturale laddove riesce, oppure ad un ruolo di schermo, di forza sussidiaria, e quindi non è con la riscoperta del Partito liberale che si risolvono questi problemi. Non a caso abbiamo visto tutti acutamente, durante l'esperienza del Centro-Destra, che dietro questo schermo c'era la minaccia del Movimento sociale, del rapporto con le forze più reazionarie del Paese dell'avventura totalitaria. Questo, in realtà, è stato il Centro-Destra.
Io voglio dire con molta sincerità ai colleghi democristiani che, se è vero che c'è stata una presa d'atto che a destra non si può andare, perch il farlo non serve certamente al Paese ma non serve neppure alla Democrazia Cristiana, e che pertanto essi non possono ritrovare una loro funzione di egemonia, di unità in quella direzione, dobbiamo anche dire, sulla base della esperienza di questi ultimi mesi, che non basta neppure l'attivismo unitaristico Fanfani: non è andando in giro per le Province italiane facendo, cosa ammirevole dal punto di vista dello sforzo fisico, cinquanta assemblee di Comitati provinciali, che si ridà alla D.C. una funzione. Il problema è della scelta politica che viene fatta. E, se non sbaglio, se ho ben capito, questi lunghi viaggi dell'on. Fanfani, ed anche i fenomeni diciamo, interessanti di riorganizzazione del Partito che passano attraverso l'abolizione degli autisti ed altre cose del genere, servono soltanto a rinviare, a nascondere il problema vero, che è quello di una grande scelta; di una scelta per la D.C. e di una scelta per il Paese. Il problema è quello di aprire una fase nuova nella vita del Paese. E questo lo si può fare soltanto se si volta pagina, se si fa un'analisi seria della crisi di oggi e si imbocca una strada del tutto nuova.
Del resto, senza una scelta organica, davvero non si riesce neppure a dare un significato a misure parziali che pure possono essere in sé utili.
Pensiamo allo stesso provvedimento recente dell'aumento delle pensioni della scelta di elevare i redditi più bassi: è un provvedimento di grande utilità se viene visto collocato in una politica organica di sviluppo, in collegamento, per esempio, con un rilancio del mercato interno, ma un rilancio che può essere operato soltanto se misure di questo tipo vengono viste collegate a riforme strutturali, a nuovi indirizzi produttivi ed economici; altrimenti, resta un provvedimento che noi appoggeremo in ogni caso, perché va verso categorie che soffrono più di tutte, soprattutto in un periodo di inflazione, ma che non dà un rendimento sul terreno dell'inizio di una nuova fase economica.
Fenomeni paradossali, vorrei dire, come quello del colera a Napoli, del colera a Bari, che riproducono nel nostro Paese situazioni che ormai vengono debellate perfino nei più arretrati Paesi dell'Africa, che mettono il Medioevo a contatto con lo sviluppo industriale più avanzato, creando dei paradossi che credo ormai solo in Italia possano trovare espressione l'aggravarsi di una crisi agraria che ormai comporta, per fatti come la importazione di carni per tre miliardi al giorno, uno sbilancio pauroso nella bilancia commerciale dei pagamenti del Paese, che è una delle origini più acute del fenomeno inflativo, e al tempo stesso assistiamo alla distruzione delle stalle in Piemonte, nelle regioni dove la zootecnia ha un certo grado di sviluppo, Lombardia, Emilia e via dicendo (voi sapete che questo è uno dei fenomeni più gravi: in certe aree si è abbattuto perfino il 50 per cento dei capi di bestiame); sono tutti aspetti di una situazione di fronte alla quale ci chiediamo davvero dove stiamo andando, e se a tutto ciò si può porre riparo senza una svolta, senza un mutamento generale di indirizzo in politica economica e nella direzione politica del Paese.
Diciamo tutto questo non perché ci sembri di grande utilità per la nostra parte, in senso elettorale, una denuncia di questi fenomeni denunce come queste credo che ormai rischino perfino di lasciare il tempo che trovano, perché la coscienza della acutezza di questa crisi si è diffusa al livello delle grandi masse -, ma per vedere se al di là di ogni strumentalismo e di ogni gioco di parte è possibile avviare un discorso comune sulla via d'uscita da questa crisi.
Noi comunisti da tempo, come voi ben sapete, indichiamo alcune linee alcune tendenze di fondo che bisogna avviare per uscire da questa situazione di malessere. Abbiamo detto, con uno slogan (del resto, nella politica lo slogan serve a indicare, a chiarire) che è arrivato il momento di determinare un nuovo meccanismo di sviluppo economico; abbiamo indicato almeno le grandi coordinate che devono caratterizzare questo modello di sviluppo, soprattutto abbiamo collocato al primo posto l'esigenza di un riequilibrio territoriale, di un nuovo rapporto fra Nord e Sud; abbiamo posto in evidenza il problema dell'agricoltura, della necessità di una trasformazione strutturale e dell'assetto proprietario e contrattuale nelle campagne; abbiamo posto in evidenza il problema delle grandi riforme sociali come creatrici di un nuovo tipo di consumi sociali, che gradualmente assumano la priorità rispetto ai consumi privati. E quando ci si è detto: ma in questo modo cosa volete fare? Volete bloccare lo sviluppo dell'industria al Nord? volete bloccare io sviluppo di complessi come la Fiat, che producono, vivono, danno lavoro a centinaia di migliaia di persone, sulla base invece di uno sviluppo dei consumi privati? Perché questa è l'accusa che ci è stata mossa. Noi abbiamo detto: guardate che gli ostacoli, gli elementi che inceppano lo sviluppo attuale partono proprio dal fatto che si voglia mantenere a tutti i costi il vecchio meccanismo, che si voglia continuare a tutti i costi a marciare sui vecchi binari, senza mutare nella sostanza questo modello. In realtà, ormai tutti sono in grado di vedere che - e direi che quanto sta accadendo in queste settimane, in questi mesi, lo conferma -, andando sui vecchi binari attenendosi al vecchio modello di sviluppo, si può anche avere una ripresa produttiva. E neppure inconsistente: pensiamo al fatto - del resto gli ambienti economici e governativi se ne vantano molto - che in questi ultimi mesi si è registrato un aumento assai cospicuo della produzione industriale, se non sbaglio aggirantesi intorno al 14-15 per cento. Ma noi vediamo che una ripresa produttiva sulle vecchie basi non fa che restringere la struttura della produzione, la base produttiva del Paese non fa che rendere ancora più precario l'assetto del complesso in cui si svolge lo sviluppo industriale, non fa che acutizzare gli squilibri sociali e quindi le tensioni che da questi squilibri derivano. Questo è evidente a tutti. Basta pensare al fatto che oggi è ripreso il flusso migratorio dal Sud al Nord...



DOTTI Augusto

Ma non è affatto vero!



MINUCCI Adalberto

Evidentemente non ti sei informato: Fantino, tuo collega di partito, ha svolto una relazione al Comune di Torino fornendo dati dimostrativi.



DOTTI Augusto

Quelli che ho letto su "La Stampa"...



MINUCCI Adalberto

Dai troppo retta alla "Stampa": guarda piuttosto le cifre. Ci sono persino degli istituti di ricerca che si occupano di questo. Dal luglio di quest'anno il saldo attivo fra immigrazione ed emigrazione ha ripreso a salire nel Comune di Torino, non solo nella cintura. E in una relazione del tuo collega di partito, Assessore al Lavoro al Comune di Torino, Fantino sono state riportate le cifre fornite dagli uffici del Comune ed è stato denunciato questo fenomeno. Questa è la realtà. Va a vedere, del resto, se puoi, la gente che scende dai treni in arrivo dal Sud, con cui sono arrivato anch'io questa mattina, provenendo da Roma. E' evidente anche da ciò che è ripreso il flusso degli arrivi.
Ci sono, del resto, piccole e medie aziende in tutta l'area di Torino che conoscono il boom di una ripresa drogata dall'inflazione, che espongono cartelli con richiesta di mano d'opera. Non so se il collega Dotti sappia ma anche questo è stato scritto dai giornali - che, per la prima volta nella storia del Paese, sia pur come fenomeno ancora limitatissimo, proprio nella nostra Regione, in Val Vigezzo, sono apparsi i... turchi, assunti come operai per la costruzione della diga in Val Vigezzo.



BORANDO Carlo

Non si trovano più muratori.



MINUCCI Adalberto

E' appunto l'assunto che sto cercando di dimostrare a Dotti. Ecco che cosa vuol dire mantenere il vecchio meccanismo di sviluppo, non avviarsi a scelte nuove. Ma, vedete, c'è di più: non soltanto viene conservato ed aggravato un mercato del lavoro che è ormai al colmo dell'irrazionalità...
In Piemonte, proprio nell'area torinese, non si trova mano d'opera industriale dequalificata, e neppure mano d'opera qualificata per certe specializzazioni. Il mercato del lavoro è in piena tensione: ci sono industrie, ivi compresa la Fiat (l'avrete letto sui giornali) che tempestano l'Ufficio del lavoro di richieste perché si facciano arrivare migliaia di altri lavoratori. Sono cose che penso tutti sappiate. Forse solo Dotti non le sa... C'è di più, dicevo: in una area industriale, in una regione dove nell'ultimo decennio sono di nuovo emigrati centinaia di migliaia di lavoratori dal Sud e dalle campagne, con le tensioni ed i costi che sappiamo, e dove la popolazione attiva si è ridotta del 10 per cento il tasso di attività sul complesso della popolazione è passato dal 49 al 39 per cento all'incirca: si cercano i turchi per fare le dighe, ma ci sono decine di diplomati che non sanno dove andare a lavorare, ci sono centinaia di migliaia di donne che non trovano modo di svolgere una attività lavorativa. Non lo dico come denuncia, lo dico come tentativo di individuare dei nodi su cui tutti assieme potremo lavorare. Che cosa vuol dire dare lavoro a centinaia di migliaia di donne se non andare appunto verso una espansione dei consumi sociali, verso riforme, verso la soluzione di problemi di struttura nella nostra Regione, e che diano la possibilità a questo tipo di forza lavoro di inserirsi organicamente nella produzione? Questi sono i problemi di fronte ai quali ci troviamo. E, vedete, se c'è una cosa che oggi aggrava il tutto è che a questi problemi, che hanno una lunga storia - li abbiamo denunciati tante volte - ma oggi si presentano in forma più acuta, se ne aggiungono di nuovi. Alla nostra denuncia qualcuno ci aveva risposto: in compenso, la Fiat va bene, e dà lavoro. Ebbene, oggi anche la Fiat denuncia una crisi, come emerge chiaramente dalle dichiarazioni del presidente Agnelli, in cui si parla di 150 miliardi di deficit. Perché? Perché in un meccanismo di sviluppo che restringe sempre di più le sue basi, che si rivela sempre più asfittico che non ha più il mercato del lavoro funzionale che aveva nel ventennio passato, anche i settori trainanti, quelli che hanno fin qui svolto un ruolo di punta, e che, se volete, hanno potuto sfruttare a loro vantaggio gli squilibri del passato, oggi si trovano di fronte ad un ostacolo, ad una fase nuova in cui hanno bisogno di cambiare, hanno bisogno di un quadro di riferimento economico nuovo, hanno bisogno di un mercato del lavoro nuovo devono, cioè, affrontare una svolta.
Questo è il punto in cui ci troviamo, e che io ho riassunto molto schematicamente, perché sono convintissimo che tutti i Colleghi possono ampliare questo quadro con maggior chiarezza ancora di me, sono in grado di aver presenti tutti i problemi che questo sottintende. Oltre tutto, noi abbiamo colto, fin dall'inizio, credo (ricorderete le discussioni che facemmo a suo tempo) il nesso dialettico profondo che unisce nei suoi effetti il complesso dell'economia italiana all'economia piemontese in particolare. Cioè, abbiamo colto quella logica unitaria per cui questo tipo di modello economico, così come crea una separazione crescente, sempre più drammatica, fra il Nord e il Sud, fra la città e la campagna, crea un distacco crescente fra l'area metropolitana e industriale di Torino e il resto della Regione. Alla emarginazione del Sud, dell'agricoltura, si intreccia la emarginazione di intere aree economiche della nostra regione delle vallate, di intere province, ormai, nel nostro Piemonte, per cui siamo convinti - ecco perché siamo, oltre tutto, se volete, meridionalisti cocciuti in modo persino ossessivo - che alla risoluzione dei problemi meridionali è collegata la risoluzione dei problemi del nostro Piemonte, in quanto si tratta non di due cose distinte ma di due aspetti dello stesso fenomeno e dello stesso meccanismo, due aspetti che richiedono entrambi un mutamento di tendenza, un mutamento di indirizzo.
Le stesse considerazioni che facciamo per il Sud, che non basta impiantare una fabbrica in un'area abbandonata del Mezzogiorno per risolvere i problemi economico-sociali di quella zona, perché spesso una fabbrica installata senza essere inquadrata in un piano, nella visione di un tessuto organico, economico-sociale e culturale, può determinare un aggravamento degli squilibri, accrescere i fenomeni di spopolamento e di distruzione delle vecchie piccole economie su cui si è retta quella zona valgono per le nostre aree di emarginazione al Nord: il fatto, per esempio che la Fiat si sia dichiarata disposta, in occasione della consultazione per il Piano regionale, a creare nuovi impianti anziché nell'area metropolitana di Torino o in altre Regioni del Paese, in queste aree di emarginazione delle vallate torinesi, che so io?, nel Cuneese, non ci soddisfa né ci rassicura, perché ci rendiamo ben conto - e tutta l'esperienza fatta sta a dimostrarlo - che in queste zone di emarginazione occorre ricostruire un tessuto unitario, che sia fondato sulla trasformazione dell'agricoltura, su uno sviluppo nuovo del terziario, sulla collocazione delle piccole categorie economiche (artigianato, piccole industrie e così via) in una visione di piano.
La parola decisiva in materia davvero compete a noi, davvero compete alla Regione, alle sue capacità di fare politica economica, di orientarsi secondo una visione programmata dello sviluppo.
Se questo è vero, signor Presidente e Colleghi, io credo che ritornando a parlare di politica, dopo aver tentato almeno di fare una puntata in campo economico - i problemi che ci stanno di fronte siano quelli che da tempo sono all'ordine del giorno e su cui la coscienza, più o meno diffusa, se volete, si è fatta largo in tutte le forze politiche, e occorre dire, anche nella opinione pubblica più vasta. E cioè, il fatto che se è vero che questa crisi della società italiana richiede una riorganizzazione organica e complessiva, richiede ineluttabilmente un ampio, non breve, processo di trasformazione, che può essere drammatico e addirittura traumatico solo se non viene diretto, se viene ancora una volta affidato alle cosiddette forze spontanee del mercato, ma può essere invece un grande fatto di progresso, di civiltà e di democrazia se viene diretto consapevolmente dalle forze politiche, dalle istituzioni democratiche.
Se così è, comprendiamo che per uscire dalla crisi secondo questo disegno di trasformazione democratica occorre il consenso, l'adesione, la partecipazione delle grandi masse popolari, dei principali protagonisti dello sviluppo, in un Paese come il nostro dove chi lavora è in sempre minor numero rispetto a chi non lavora, e chi lavora per produrre ricchezza è addirittura una infima minoranza, anche rispetto a chi lavora con altre funzioni (perché in Italia, ormai, a produrre ricchezza sono rimasti sei milioni di persone, su diciotto milioni che lavorano, di cinquantacinque milioni di abitanti). Senza il consenso, l'adesione, la partecipazione di queste forze decisive, non si trasforma il Paese, o, se lo si trasforma, lo si trasforma in peggio, e con gravissimi traumi. Pensate, ad esempio, ad un settore oggi all'ordine del giorno come quello, del commercio al dettaglio e della distribuzione. Noi dobbiamo riuscire a collocare, attraverso un piano organico, questa categoria, oggi così sospesa a mezz'aria - una categoria oppressa dai costi irrazionali di questo settore distributivo e che, d'altra parte, deve vivere, e, io dico, deve vivere meglio di quanto abbia vissuto finora - in una nuova struttura: ma come effettuare questa operazione senza il suo consenso, senza una sua partecipazione, senza indicare i punti di riferimento nuovi cui deve attenersi per assolvere al suo ruolo nella vita economica e sociale? Sul terreno politico questo cosa vuol dire? Questo abbiamo già avuto occasione di dirlo in questa sede, non per ragioni di bottega, di parte ma, se volete, con la visione oggettiva che ci può dare una analisi storica: il nodo politico della questione è il rapporto fra maggioranza e opposizione, fra Democrazia Cristiana, Partito socialista, Partito comunista e altre forze democratiche. E' il rapporto con i comunisti, con il movimento operaio organizzato e con i sindacati. Mi fa piacere che il compagno Viglione abbia sottolineato questo aspetto, che è l'aspetto dominante della vita politica italiana Non si può uscire dalla crisi se non si stabilisce un rapporto nuovo con i comunisti e con il movimento che essi rappresentano: questo è il grande problema del consenso a livello politico.
Che cosa voglio dire, con questo? Abbiamo oggi di fronte un esempio come quello del Cile. Anche lì un grande sforzo di trasformazione per uscire dal medioevo economico, sociale e culturale e dalla subordinazione all'imperialismo, cioè per ritrovare le vie dell'indipendenza nazionale uno sforzo drammatico, difficile, che ha conosciuto grossi successi e grandissime difficoltà in questi tre anni, ma che è poi stato spezzato nel sangue. E voi sapete bene perché è stato spezzato nel sangue. Lasciamo a coloro che si imbevono di dottrinarismo la questione delle scelte - via democratica, via armata e così di seguito - come se tutto questo fosse predeterminabile a tavolino, come se non ci fossero già stati dei grandi maestri di rivoluzioni reali a dire che queste sono discussioni sul sesso degli angeli, che dei grandi processi di trasformazione sono protagoniste le masse, non il cervello più o meno sano di chi pretende di dirigerle stando all'esterno di esse. Il problema vero è che in questo processo di trasformazione sul terreno della democrazia politica si è creata una spaccatura di fondo tra classe operaia e classi medie, da un lato, e movimento operaio, unità popolare, cioè i partiti politici del movimento operaio e la Democrazia Cristiana dall'altro. Questa rottura di fondo è la vera base del dramma, della tragedia cilena.
Ci può sorprendere questo fatto? No, perché noi siamo stati protagonisti, proprio negli ultimi anni, di vicende che con quella cilena hanno molte analogie, pur in un contesto del tutto diverso. Anche in Italia, parliamoci chiaro, dal '68 in poi sono stati fatti tentativi a ripetizione per provocare una spaccatura irreparabile tra classe operaia e ceti medi, tra movimento operaio e democrazia cristiana. Che cosa sono stati, per esempio, i movimenti tendenti a creare un blocco sudista contro il Nord, o nordista contro il Sud, per cui si vede a Reggio Calabria l'armatore Matacena, che fa i miliardi con i traghetti, andare a braccetto con il disoccupato, o con il lavoratore da lui stesso sfruttato, in opposizione ai privilegiati del Nord, e a Torino l'operaio della Fiat andare a braccetto con Agnelli, uniti nell'ostilità contro il Sud movimenti diretti in certi casi, e comunque patrocinati, dai fascisti del Movimento Sociale, se non il tentativo di determinare una frattura verticale irreparabile, naturalmente interclassista, fra due grandi settori del Paese? Questo disegno non è passato, e non passerà - anzi, secondo me è gia in via di rapido svuotamento -, perché l'Italia è un paese in cui le forze della democrazia sono molto forti, e le forze dell'antifascismo sono sempre vigili. A che cosa miravano i tentativi di mettere in piedi delle "maggioranze silenziose"; di dare, diciamo, una carica poujadista ai ceti medi, per staccarli e contrapporli ai lavoratori, alla classe operaia soprattutto nelle città del Nord, se non a creare questa spaccatura? Che cosa è stata sul piano politico, l'operazione Andreotti, diretta a spostare a destra la Democrazia Cristiana, se non il tentativo di aprire questa divisione fra le grandi masse popolari? Una volta che questa spaccatura si è determinata, allora si che i colonnelli e i generali possono salire in cattedra, ergersi a nuovi protagonisti della vita del paese, mentre non hanno alcuna possibilità di operare se un popolo è unito, se c'è un minimo comun denominatore sul terreno democratico nella difesa della democrazia in un popolo e fra le forze politiche che lo rappresentano. Questo rischio permarrà, e si ripresenterà più acuto che nel passato, fino a che non riusciremo a dare una risposta positiva ai drammi del Paese, ad imboccare davvero una nuova strada. Dobbiamo esserne tutti consapevoli, dobbiamo sapere che nel momento in cui discutiamo la crisi della nostra Regione, la soluzione da dare alla questione stessa della Giunta, il problema del rapporto fra le forze democratiche, fra le maggiori forze politiche, è il problema di fondo.
Non crediate, Colleghi, che, dicendo questo, io pretenda di avere la verità in tasca, voglia dire che se non vi affiancate a noi, se non ci date ragione, sbagliate tutto. Né, e voi lo sapete bene, avanziamo la pretesa: nella Giunta che farete vogliamo esserci anche noi. Quello che noi vogliamo è che si crei un clima politico tale da rendere possibile un terreno di confronto, se volete di polemica aspra quando è necessario, ma anche di incontro positivo sui problemi reali della nostra Regione e del Paese nella comune convinzione che soltanto l'unità e la convergenza tra le grandi forze popolari e democratiche può risolvere questi problemi, e pu risolverli appunto senza condannare il Paese ad una tensione che alla lunga potrebbe diventare insopportabile.
La nostra proposta concreta, che facciamo come inserimento nostro nel dibattito su questa crisi, è appunto quella di chiedere a tutti i Gruppi politici democratici di riflettere a fondo su questa questione. Questa crisi non sarà stata inutile se dalla nascita del nuovo centro-sinistra sortirà uno sforzo comune per trovare un terreno di confronto e di collaborazione attorno ai problemi concreti, e nella franchezza massima, il che vuol dire funzionamento del Consiglio Regionale, suo ruolo funzionamento delle Commissioni, rapporto con l'organo di governo del Consiglio, con la Giunta, su basi di chiarezza, di correttezza, di reciprocità di autonomia e di funzioni. Questo consentirà di uscire dalla situazione che si è creata nelle ultime settimane, che, certo non ci dà grandi speranze di andare in una direzione nuova, cioè di un dibattito tra le forze politiche che ricomporranno la maggioranza di centro-sinistra, che si svolge, se ho inteso bene quanto scrivono i giornali - ma nei giornali ai quali dà tanto credito a Dotti in fatto di statistiche, io non credo molto...



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SANLORENZO



DOTTI Augusto

Mi sono riferito ai giornali in quanto hanno riportato le statistiche del Comune di Torino. Anche l'"Unità" le può riportare.



MINUCCI Adalberto

Non ti inquietare, non ho affatto intenzione di aprire una polemica personale.



DOTTI Augusto

Voglio solo farti notare che hai detto cose sbagliate.



MINUCCI Adalberto

Ho detto la verità, affidandomi persino al giudizio e ai dati forniti da un tuo collega di partito, Assessore autorevole al Comune di Torino. In ogni caso, Dotti, ti chiedo scusa se ho potuto far apparire la mia sottolineatura come una polemica personale con te, che non era assolutamente nelle mie intenzioni.
Il problema è questo, che secondo me una trattativa come quella che è stata portata avanti finora, da cui sono emersi alcuni dati che francamente possono interessare molti, ma possono anche...



DOTTI Augusto

Non posso tollerare di essere trattato da imbecille. Io mi sono riferito ai dati del Comune di Torino, riportati per mesi e mesi, da cui risulta che il saldo migratorio fra chi arriva e chi parte è in diminuzione.



MINUCCI Adalberto

Questo era vero fino al luglio scorso.



PRESIDENTE

Consigliere Dotti, se lei ha delle obiezioni da muovere nessuno le vieta di prendere la parola. Consigliere Minucci, prosegua.



MINUCCI Adalberto

I Colleghi mi daranno atto che non ho preso per imbecille, mai, né il collega Dotti né altri Colleghi, ché anzi ho un profondo rispetto per tutti. Non si tratta di imbecillità, ma probabilmente di non conoscenza, ed io, proprio per il rispetto che ho per lui, desidero dire al collega Dotti che mentre negli ultimi anni c'era stato un flusso migratorio intenso, con un saldo decisamente attivo nelle tre cinture industriali di Torino ma con un calo nel centro urbano, nel Comune di Torino, negli ultimi mesi, da luglio in poi, vi è stato un saldo attivo (nel mese di settembre è stato di 1700 persone) persino nel Comune di Torino. Questo il fatto nuovo, che ho cercato di sottolineare nel mio intervento.
Dicevo, prima di fare questa digressione, che il problema ora è di abbandonare quel tipo di trattativa che porta i partiti a trovarsi a discutere chi dev'essere Presidente del Consiglio, chi deve essere sindaco di Torino eccetera. Abbiamo avuto modo di costatare, d'altronde, che mantenendosi su questo piano, è anche difficile portare avanti le cose perché se si da rilievo appunto ai gusti personali della gente si trova che qualcuno, una volta eletto sindaco, desidera continuare ad esserlo, e non vuol saperne di cedere la sua poltrona.
Noi non abbiamo compreso bene dalla lettura dei giornali di che cosa si sia discusso nel corso di queste vicende, in fatto di scelte politiche, di programmi. Se di programmi si è parlato, saremmo lieti di esserne informati, a meno che ci sia il top secret su queste discussioni. Non vorrete mica presentarci le solite tre paginette con qualche frase generica sui problemi di fondo della Regione, senza la esposizione di un vero e proprio programma? Non vi sembra giunto il momento di aprire una discussione programmatica di tipo nuovo, intanto in Consiglio Regionale, di richiedere su questo l'apporto, il contributo, la collaborazione delle forze del Consiglio, di aprire una consultazione con le grandi forze rappresentative della Regione? Voi sapete che il nostro Gruppo consiliare ha avviato una consultazione con tutti i soggetti politici e sociali che intendono parteciparvi. Posso dirvi - questo è il segno di una attesa e di una domanda politica che è ormai acuta nella nostra Regione - che già in questi primissimi giorni di consultazione abbiamo avuto l'adesione e la richiesta di essere consultati da decine di Consigli comunali, in molti dei quali siamo in minoranza, da tutte le organizzazioni sindacali e sociali, che vogliono discutere anche con un Gruppo d'opposizione, conoscendo naturalmente la forza di questo gruppo, che cosa deve fare, la Regione nei prossimi diciotto mesi, ad esempio. Non crediate che voglia essere una iniziativa di parte o propagandistica: la mettiamo a disposizione di tutto il Consiglio, e saremmo lieti, anzi, se tutti i Gruppi democratici vi partecipassero, cioè se il programma della nuova Giunta fosse il risultato di una rapida, ma effettiva, consultazione.
Ci rimangono solo diciotto mesi prima che si concluda questa legislatura. Quali sono le scelte prioritarie che vogliamo fare? Forse avremo solo il tempo di fare due o tre cose, se vogliamo farle bene. Prima di tutto, definire il Piano regionale di sviluppo, la cui deliberazione ha ormai una scadenza prossima. Quale lezione traiamo dalle consultazioni fatte e dall'acutizzarsi dei problemi economico sociali? Come andremo verso il regime delle deleghe e dei comprensori? Come opereremo oggi, subito, di fronte alla crisi agraria, così acuta, che sta travolgendo alcuni settori come la zootecnia? Come ci avvieremo ad una politica organica della scuola che non si limiti al pur notevole, secondo noi, ma del tutto parziale quindi insufficiente in quanto tale, provvedimento per i libri, cioè verso una politica scolastica nuova e organica? Ecco i nodi.
Su queste poche questioni possiamo trovare quella base del consenso che possa permettere alla Regione di operare davvero e di avviare a soluzione i problemi? In caso affermativo, signori Colleghi e signor Presidente, credo che anche questa crisi possa avere effetti salutari, possa cioè dare a tutti noi la capacità di affrontare con visione nuova i problemi della nostra Regione e di risolverli nell'interesse delle grandi masse popolari.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Zanone. Ne ha facoltà.



ZANONE Valerio

Signor Presidente, signori Consiglieri, il Gruppo liberale intende in primo luogo confermare, in questa prima riunione del Consiglio dopo le dimissioni della Giunta, il giudizio espresso al momento in cui le dimissioni furono notificate dalla stampa: questa decisione ha aperto una crisi che non si può non definire una crisi al buio. Infatti la volontà dichiarata dai partiti di centro-sinistra, di costituire in tempi brevi una Giunta di centro-sinistra organica è smentita, almeno fino a questo momento, dalla riunione di oggi; i Gruppi che dovrebbero costituire questa nuova maggioranza non hanno presentato la mozione e le candidature previste dallo Statuto.
E' una crisi al buio in un duplice senso: non soltanto nel senso della soluzione, che forse sarà meno facile del previsto, ma anche nel senso dei motivi che alla crisi hanno condotto.
Per spiegarmi circa questo secondo aspetto farò ricorso ad una citazione dalla nota intervista che nel mese di agosto il Presidente Calleri rilasciò alla rivista "Nuova società". In quella intervista il Presidente Calleri dichiarava testualmente: "E' stata sempre nostra preoccupazione - della Democrazia Cristiana piemontese - accentuare gli aspetti programmatici rispetto ai problemi di formula. Credo che il cosiddetto 'nuovo modo di far politica' consista soprattutto in questo: il problema e di contenuti e di programmi".
Noi chiediamo allora alla Giunta dimissionaria: per quale contrasto sui contenuti essa è caduta? quale divergenza c'è stata nell'ambito della maggioranza sui programmi? quali novità sono alla base del programma della nuova maggioranza che si sta cercando di costituire? Le risposte a queste domande interessano particolarmente, mi sia consentito dirlo, il Gruppo liberale, perché il Gruppo liberale ha dato per oltre due anni alla Giunta dimissionaria un appoggio politico esterno che garantendo la stabilità del Governo regionale, lasciava peraltro alle forze di maggioranza, e fra esse anche al Gruppo liberale, una possibilità di articolazione autonoma sui contenuti. Credo si possa riconoscere da parte di tutti che il nostro è stato un consenso motivato, critico, mai un consenso indiscriminato e pregiudiziale. Così è accaduto che sulle singole scelte programmatiche, ad esempio sulla recente legge per la gratuità dei libri scolastici, che ha avuto una larga risonanza nell'opinione pubblica nell'ambito della stessa maggioranza uscente, si sia potuta manifestare una articolazione positiva, un confronto positivo fra posizioni e valutazioni diverse. Ma il confronto è stato positivo, in quella come in tante altre occasioni, proprio perché si articolava sulla concreta politica delle cose superando lo schematismo degli schieramenti. Nel dibattito sulla legge ricordata si è potuto, ad esempio, misurare una diversità di orientamenti personali e di gruppo che ha dimostrato quanto sia approssimativa, generica ed in molti casi anche fuorviante la classificazione usuale di destra o di sinistra.
Questa crisi, come del resto le altre che l'hanno preceduta dal '71 fino ad oggi, ha, a, nostro avviso, il difetto grave di non coincidere con nessun fondamentale problema di scelta programmatica. La Giunta Regionale a quanto dimostra il primo triennio della nostra cronistoria, e caduta per le ragioni esterne meno prevedibili, dalla Giunta del Comune di Caluso alle sentenze sulla incompatibilità, mai per questioni di programma su cui fosse possibile misurare in termini reali le diverse posizioni dei diversi Gruppi politici.
Vorrei fare una brevissima cronistoria di queste crisi della Regione: la prima, nel marzo '71, fu dovuta ad una ragione istituzionalmente impeccabile, vale a dire all'entrata in vigore dello Statuto, che poneva problemi di ricomposizione e di riconferma dell'Esecutivo; ma si protrasse ben oltre i termini previsti, per la difficoltà di far quadrare i conti all'interno della maggioranza organica di centro-sinistra.
Il centro-sinistra che fu allora precariamente costituito durò, se ben ricordo, all'incirca tre mesi, e nell'estate del 1971 ebbe inizio una seconda crisi, che fu aperta dalla Democrazia Cristiana con il proposito dichiarato (cito testualmente la mozione che diede luogo alla formazione della Giunta) di "rimuovere ogni ambiguità dal quadro politico", vale a dire di contestare le scelte di alleanza frontista con il Partito comunista compiute dal Partito socialista in alcune Amministrazioni comunali della regione.
Si formò allora, con l'appoggio esterno del nostro partito, una Giunta a tre, che restò in carica fino al gennaio di quest'anno; quando una terza crisi, provocata dalla nota polemica sulle incompatibilità amministrative fu risolta con la riconferma dello stesso tripartito, che chiese ed ottenne in questo Consiglio, e non altrove, l'appoggio determinante del Gruppo liberale.
Desidero ricordare che anche in occasione della crisi di gennaio in quest'aula fu affermato da molti, e fra essi dal Capogruppo democristiano collega Bianchi, che la crisi non comportava alcun dissenso programmatico.
Ma bisogna notare anche che questa penultima crisi, come quella di cui oggi dobbiamo discutere, era complicata e ingarbugliata dalla connessione diretta che essa aveva con lo scompiglio che regna da un anno nell'Amministrazione Comunale del capoluogo.
E' nata ora una nuova e misteriosa dottrina politica, quella della "contestualità delle maggioranze", che ha fra i suoi docenti il prof.
Orsello ed altri eminenti cattedratici delle segreterie centrali dei vari partiti. Ma, come ad esempio ricordava il Consigliere Nesi nel numero di luglio del Notiziario del Consiglio Regionale, il centrosinistra, almeno in Piemonte, è una formula difficile, e forse per questo, come tutte le formule difficili...



NESI Nerio

Devo riconoscere che non è stata una grande trovata, la mia...



ZANONE Valerio

Non sarà stata una grande trovata, ma fa sempre piacere poter citare una valutazione su cui si possa essere d'accordo. E d'altronde, le cose ovvie non cessano di esser vere per il solo fatto di essere di facile constatazione.
Come per tutte le formule difficili, vi è quindi la necessità di far ricorso ad aggettivazioni di significato piuttosto arduo. Aveva fatto da poco il suo tempo la teoria del centro-sinistra irreversibile: bisognava passare alla teoria del centro-sinistra contestuale. Nella intervista gia citata alla rivista "Nuova Società" il Presidente Calleri ha posto in termini di contestualità il problema di quei comuni in cui i socialisti, di fronte alla alternativa della Giunta di sinistra o di centro sinistra hanno optato per la prima. Ma si consideri, signori Consiglieri, lo slittamento che è avvenuto di fatto mentre veniva prendendo piede la dottrina della contestualità: la Democrazia Cristiana, che nel 1971 non aveva esitato ad aprire una crisi regionale in seguito all'accordo intervenuto fra i socialisti ed i comunisti a Caluso o a Nichelino, oggi ha accettato, non a Nichelino, e neppure a Caluso, ma a Torino, una Giunta presieduta da un sindaco socialista eletto con i voti determinanti del Partito comunista, in opposizione ad un candidato democristiano.
Noi riteniamo quindi piuttosto improbabile che una eventuale futura Giunta Regionale di centro-sinistra organico riesca là dove fallì la Giunta Regionale del centro-sinistra organico del 1971, cioè consegua quella delimitazione più chiara fra la maggioranza e l'opposizione comunista che noi abbiamo sentito qui richiesta qualche riunione fa dal collega repubblicano e che stamane è stata prontamente respinta dal collega socialista. Ho già avuto occasione allora di replicare al Consigliere Gandolfi che il nuovo centro-sinistra regionale, se e quando si facesse difficilmente potrebbe sottrarsi al condizionamento quotidiano da parte comunista, che del resto è la regola, la condizione della esistenza quotidiana del governo nazionale presieduta dall'on. Rumor.
Poiché questo discorso sui comunisti è stato anche stamane il tema dominante della discussione, devo dire che da parte nostra non si vuol agitare il problema del comunismo e dello anticomunismo come uno spauracchio polemico. Noi non disconosciamo, ai fini della valutazione prioritaria che assegniamo, in quanto liberali, al metodo democratico, n la rilevanza numerica e politica che il Partito comunista ha in questo consiglio né il contributo fattivo ed impegnato che i Colleghi comunisti arrecano all'attività della Regione, e che, a mio avviso, è essenziale per una dialettica efficace fra la maggioranza e l'opposizione; ma non possiamo neppure tacere, per il rispetto che dobbiamo alle nostre idee ed anche a quelle dei comunisti, la differenza radicale che ci separa nella scelta sui valori e sui principi della democrazia, ancor prima che sulle questioni di grande strategia politica ed economica che sono state citate dal Consigliere Minucci.
Signor Presidente, io non distoglierò il discorso dal livello locale che ci compete per aprire, ad esempio, delle polemiche che potrebbero sembrare pretestuose sullo stato della libertà democratica nei regimi comunisti. Però non posso tacere...



MINUCCI Adalberto

Dopo che Bignardi ha appoggiato il golpe cileno...



ZANONE Valerio

Bignardi non ha appoggiato affatto il golpe cileno. Io lo conosco bene è un uomo che non saprebbe organizzare un golpe: posso assicurarti in questo senso.



MINUCCI Adalberto

Ma appoggiarlo sì.



ZANONE Valerio

Comunque, se il parlamentarismo ha un significato, osserverò che la posizione ufficiale del Partito liberale emersa dal dibattito alla Camera sui fatti del Cile attraverso le dichiarazioni dell'on. Badini Confalonieri, in accordo con la Direzione centrale del nostro Partito, non conteneva alcun apprezzamento, conteneva anzi una esplicita condanna del colpo di stato militare, nel pieno rispetto di quello che deve essere il giudizio dei liberali su fatti come questi. Per quanto mi riguarda personalmente, ho anche scritto su alcuni giornali che coloro che non sono capaci di protestare contro la soppressione delle libertà in Cile fanno bene a star zitti anche sulla soppressione delle libertà in altre parti del mondo.
Questa sensibilità ai problemi delle liberta democratiche, che sono minacciate, insidiate, non soltanto nel Cile ma in altre parti del mondo oggi come sempre, a mio avviso non trova però un riscontro ugualmente pronto nel Partito comunista. Voglio dire, per schiettezza, che quando, ad iniziativa dei Gruppi repubblicano e liberale, si è proposto che questo Consiglio esprimesse solidarietà all'appello dei dissenzienti sovietici, la reazione del Capogruppo comunista è stata di insofferenza e di malcelata irritazione. In realtà, noi non dobbiamo disconoscere le differenze che ci dividono, non possiamo ignorare il solco che separa queste due diverse concezioni della democrazia, e mi pare che questo sia pregiudiziale anche rispetto a quelle valutazioni che sono state avanzate poco fa dal collega Minucci.
A Minucci vorrei anche obiettare, per quanto riguarda la validità o attualità del liberalismo, che, come il Governo Andreotti non era un governo a maggioranza assoluta liberale, così mi parrebbe anche un po' eccessivo identificare tutto il liberalismo nel Governo Andreotti. Vorrei far carico al Consigliere Minucci di aver coinvolto in uno stesso giudizio complessivo cose di livello molto diverso; di aver coinvolto in un medesimo giudizio, ad esempio, le sorti del Partito liberale italiano, che possono non essere attualmente fra le più brillanti, con le sorti del liberalismo che egli giudica storicamente superato come movimento di idee, come dottrina politica ed economica. Su questa prospettiva di ampiezza storica mi sentirei di sostenere una ampia discussione con il collega Minucci: credo che non mancherebbero argomenti probanti per sostenere che dal Canada alla Gran Bretagna alla Svizzera, il liberalismo non è ancora morto nel mondo.
Comunque, a dividerci, prima ancora di queste scelte strategiche di trasformazione sociale, di controllo sullo sviluppo economico, sono differenze preliminari che, anche se non è il caso di ricordarle qui data la loro notorietà, non possono essere disattese, circa i concetti di democrazia, di legalità, di potere delle maggioranze e di garanzie per le minoranze. Sono scelte fondamentali, che qualificano due indirizzi politici nettamente diversi, come è nettamente diversa la democrazia liberale della cosiddetta democrazia popolare. Queste diversità fondamentali si riflettono anche nelle prassi amministrative più modeste, si riflettono anche nella nostra modesta gestione politica quotidiana. Per questo, a nostro avviso anche a questi livelli, da parte delle forze che noi riteniamo democratiche deve esservi, si, verso l'opposizione comunista, un rapporto di dialogo, di confronto reale, ma non di confusione o di connivenza. Noi ci auguriamo che la maggioranza che si formerà alla conclusione di questa crisi abbia questa capacità di autonomia.
Per quanto ci riguarda, il metodo di comportamento che seguiremo non sarà diverso da quello che abbiamo fin qui seguito: se la nuova Giunta proporrà provvedimenti che corrispondono a interessi oggettivi della comunità regionale quali noi li interpretiamo, non mancheremo di dare di volta in volta un consenso motivato, così come confidiamo che la nuova Giunta non vorrà essere pregiudizialmente chiusa a quelle proposte che potranno venire dal nostro Gruppo. Certo, se la situazione politica risultasse tale da motivare una nostra opposizione, si tratterà pur sempre di una opposizione costruttiva, ragionata, così come è stato critico e ragionato il nostro appoggio alla Giunta uscente. Non c'è per noi un grosso problema di correzione della linea e dell'indirizzo, nel passaggio da un appoggio critico ad una opposizione ragionata. Nell'un caso come nell'altro, la linea seguita dal Gruppo liberale sarà comunque quella di restare commisurata alla sostanza delle decisioni in gioco più che a manovre di posizione che sappiamo essere non eliminabili ma che l'opinione pubblica considera ormai con una indifferenza che a mio avviso è anche legittima.
A giudicare dall'intervento del capogruppo socialista, avv. Viglione noi siamo alla vigilia di grandi sommovimenti. Viglione è partito stamane con un attacco a fondo alla Giunta uscente, che ha accusato, se ho ben capito, di immobilismo, di difesa dei privilegi, di riduzione del governo a sottogoverno, di esercizio personalistico del potere. E' lecito dunque attendersi che la nuova Giunta, alla quale il capogruppo del partito socialista si dichiara disponibile, sia composta e sostenuta da forze del tutto diverse da quelle che hanno sostenuto la Giunta uscente. Perché, cari Colleghi, sarebbe davvero singolare, dopo l'esordio del Capogruppo socialista di questa mattina, vedere la nuova Giunta insediarsi più o meno con gli stessi uomini che siedono ora sui banchi dell'Esecutivo.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Gandolfi. Ne ha facoltà.



GANDOLFI Aldo

Signor Presidente, signori Consiglieri, il collega Minucci nell'iniziare il suo intervento, ha mosso il rimprovero a me personalmente di non aver voluto, in apertura di questo dibattito, illustrare le posizioni del Partito repubblicano, che hanno dato avvio a questa crisi.
Gli ho già fatto osservare, interrompendolo; che nel corso del dibattito sul problema dei libri di testo, cui egli non era presente, avevo non solo chiarito le ragioni di merito, di sostanza, del dissenso del mio Partito rispetto alle posizioni espresse dal Presidente della Giunta, ma anche, in garbata polemica con il Presidente della Giunta, illustrato le considerazioni politiche che il mio Partito aveva ritenuto di dover trarre dall'episodio dei libri di testo. Comunque, scusandomene con il Consiglio riprenderò brevemente l'argomento, in quanto mi sembra doveroso su questo punto da parte mia dare una risposta anche al rappresentante del Gruppo comunista.
Al di là delle considerazioni di merito e di sostanza, che cosa ha ritenuto di dover rilevare il Partito repubblicano nel provvedimento per la gratuita dei libri di testo per gli alunni delle scuole medie? Data l'esigenza da parte della Giunta di affrontare una problematica che investiva problemi molto gravi e molto grossi della nostra Comunità regionale, cioè come la Regione dovesse affrontare un'azione di ampio respiro, che rispondesse alle esigenze del momento, cioè alle esigenze di classi economicamente deboli colpite dall'inflazione, in aree congestionate, dove l'inflazione si faceva sentire in maniera più accentuata, come quella piemontese, fosse indice di debolezza, non di forza politica il mandare avanti un provvedimento di questo genere, quasi di contrabbando, sotto banco, con una procedura sbrigativa per cui in quarantotto ore prima la Commissione e poi il Consiglio si erano trovati a dover sostenere la discussione di questo provvedimento senza che esso fosse messo all'ordine del giorno in commissione, arrivando di fatto ad una convergenza fra la Democrazia Cristiana e il Gruppo comunista in Consiglio che non aveva, aspetti di organicità rispetto a questo ordine di problemi cioè che da un lato si poneva, come io ho rilevato, addirittura in contrasto con taluni indirizzi di politica economica che il centro-sinistra andava realizzando a livello nazionale; ma che poi si collocava, in quanto iniziativa singola e disorganica, al di fuori di alcuni dati che sono estremamente importanti se noi vogliamo, questo discorso, farlo realmente fino in fondo, che sono dati di carattere istituzionale, cioè di solidità della maggioranza, cioè di un rapporto che si esprima attraverso un programma di maggioranza organico, condiviso evidentemente da tutti i partiti che compongono la maggioranza, con un certo rapporto dialettico all'interno degli organi di Consiglio, nella comunità regionale, con una opposizione importante, rilevante come quella del Partito comunista, ma che poi avesse anche altri fatti di coerenza nel quadro dell'iniziativa regionale, senza i quali veramente noi rischiamo di prendere, come a nostro avviso si è verificato nel caso dei libri di testo, dei provvedimenti che hanno aspetti di disorganicità e che rischiano di pregiudicare per il futuro interventi di altro tipo della Regione.
Di fronte a questo ordine di problemi, quale deve essere il quadro di organicità della vita regionale? Mi sembra che non possiamo non concordare che deve essere il Piano di sviluppo regionale. Cioè, conclusasi la fase di maggior rilievo di carattere istituzionale della Regione, quella cioè del trasferimento delle funzioni e della realizzazione, dell'impostazione degli Uffici regionali, non c'e dubbio che la situazione particolare del Piemonte nel quadro generale della crisi economica e sociale che investe in Paese è un problema al quale bisogna dare rapidamente risposta con la predisposizione del Piano di sviluppo regionale, che solo può permettere con un confronto articolato, completo, una definizione di azioni di prospettiva che non abbiano questi caratteri negativi di disorganicità e di incoerenza.
Su questa strada dobbiamo riuscire a muoverci con sufficiente rapidità.
Non c'è dubbio, cioè, che quest'ultimo scorcio di legislatura regionale deve chiudersi non solo con una indicazione di questo tipo di volontà politiche e di indirizzi programmati della Regione, dopo un grosso confronto tra le forze politiche, ma con alcuni atti significativi che possano testimoniare l'effettivo imbocco di una via di organizzazione di interventi regionali secondo rigorosi criteri di priorità. Da questo punto di vista non c'è dubbio che il momento qualificante che noi dovremo riuscire ad affrontare nei prossimi mesi sarà la discussione di un Piano di sviluppo regionale che, con una prospettiva di medio e di lungo termine sappia indicare degli ordini di priorità e soprattutto interpretare il ruolo che devono avere gli interventi regionali in un momento come questo.
E' un momento, quello attuale, caratterizzato indubbiamente da alcuni fatti nuovi rispetto ai dati che avevamo di fronte ancora due anni fa quando questo discorso sul Piano regionale si era iniziato. Cioè, non c'è dubbio, ad esempio, che oggi l'ordine di priorità, in fatto di politica meridionalistica, che il Governo di centro-sinistra ha enunciato e sta articolando in un rapporto faticoso, ma mi sembra, per il momento costruttivo, con le Confederazioni sindacali, sia un problema che deve vederci ancora più attenti e più rigorosi di quanto lo siano stati in passato. Non c'è dubbio che il Piemonte, da questo punto di vista e in quest'ordine dei problemi, cioè delle priorità da dare agli interventi produttivi e alla creazione di nuovi posti di lavoro nel Mezzogiorno, dovrà adattarsi a fare delle rinunce, e anche grosse, in prospettiva. Non c'è dubbio che il discorso che noi già avevamo fatto nell'ambito di questa problematica, cioè di un indirizzo di sviluppo regionale che debba centrarsi soprattutto su uno sviluppo del settore terziario e della piccola e media industria va ripreso oggi in questa chiave, come soluzione alternativa, e con estrema decisione, nei confronti di quelle che possono essere proposte, invece, di espansione di insediamenti o di occupazione nei grandi complessi produttivi della Regione. Cioè, oggi abbiamo margini di intervento più limitati, variabili più difficili da controllare, da guidare all'interno del sistema regionale, dovendo accettare degli ordini di priorità che ci vengono dalle scelte che il Governo di centro-sinistra va facendo a livello nazionale. E quindi una politica di sviluppo e di equilibramento all'interno del territorio regionale è indubbiamente una politica più difficile e più complicata di quella che avremmo potuto fare se avessimo avuto a disposizione delle variabili di maggiore entità, di maggior potenziale strategico quali quelle che ci potevano venire dall'utilizzare i margini che l'industria automobilistica nel suo complesso per almeno una decina d'anni può ancora avere nel nostro Paese.
Quello che ci apprestiamo ad iniziare è certamente un cammino più difficile, più complicato, ripeto, politicamente più complesso e più lungo da portare avanti. Su questo ordine di problemi, peraltro, c'e un discorso che va articolato, che va chiarito tra le forze politiche, tra quelle che stanno discutendo un programma per, la prossima Giunta Regionale e quelle che stanno discutendo un programma per la prossima Giunta Regionale e quelle che definizione di una politica regionale. Cioè, non c'è dubbio che una politica di equilibramento territoriale, in presenza di questi margini ridotti e più difficili di iniziativa regionale, non può prescindere ancora da alcuni interventi di carattere infrastrutturale. Mi sembra che la campagna che, ad esempio, da parte comunista si va conducendo in questi mesi perché ci si arresti la politica delle infrastrutture, in Piemonte abbia dei contenuti di validità ma non sia completamente corretta. Cioè quello che va chiarito nell'ambito di questo discorso e che dobbiamo porre termine ad una politica di infrastrutture realizzata unicamente in funzione del polo torinese; dobbiamo, se vogliamo realizzare delle direttrici e dei poli di sviluppo alternativi in Piemonte, riuscire ad inquadrare nel prossimo Piano di sviluppo regionale una politica infrastrutturale che invece crei una organizzazione che vada a favore di altri poli o di altre direttrici di sviluppo. Quindi, d'accordo sulla necessità di porre termine a questo tipo di politica infrastrutturale, ma non ad una politica infrastrutturale tout-court: cioè, bisogna realizzare degli interventi strutturali (siano essi aree industriali attrezzate, aree di servizio interventi sul sistema ferroviario, e, perché no?, anche sul sistema viario), che però abbiano come direttrice fondamentale quella di realizzare gli assi di sviluppo in zone alternative a quella dell'area metropolitana di Torino.
Questo, naturalmente, è un discorso che va sostanziato di indicazioni precise e che non possiamo affrontare in questa sede. Ma mi sembra uno dei discorsi che dobbiamo riuscire a portare avanti se vogliamo dare delle prospettive di equilibramento, cioè di miglioramento reale, delle condizioni della nostra comunità regionale rispetto al meccanismo di sviluppo che si è realizzato in questi anni.
Poi, naturalmente, c'è tutto il discorso cui si accennava prima, dei problemi della comunità agricola nella nostra Regione, dell'organizzazione dei servizi e del quadro dei servizi nella nostra Regione, che può essere un aspetto - siamo perfettamente d'accordo con quanto diceva il collega Minucci - estremamente importante, e di estremo rilievo per un riequilibramento della situazione regionale, un riequilibramento dei redditi e delle possibilità di occupazione tra diverse zone della Regione.
Ma se questi sono i problemi che noi abbiamo di fronte, le forze politiche regionali hanno di fronte a sé problemi di coerenza, di rigore di comportamento altrettanto importanti. Il quadro allarmante che ci prospettava Minucci è reale, cioè noi ci troviamo effettivamente in una situazione in cui le prospettive del Paese possono essere effettivamente definite drammatiche, foriere di pericolose spaccature verticali nel Paese.
Noi dobbiamo riuscire in questo momento a conciliare una difficile lotta congiunturale con un discorso di prospettiva, che salvi per intero la possibilità di sviluppo del Paese all'interno del quadro costituzionale che la Resistenza ci ha consegnato. E' un discorso difficile, rispetto al quale a livello nazionale è stato presentato un quadro corretto di riferimento cioè una maggioranza di centro-sinistra che ha saputo esprimere un programma di governo e su questo si va misurando con l'opposizione, con le centrali sindacali, in un rapporto, ripeto, complesso, ma costruttivo, e che va migliorando il quadro generale politico e sociale del nostro Paese.
Un compito altrettanto grosso e grave lo hanno le forze politiche a livello locale. Quello cui si è assistito in questi ultimi mesi, specie in queste ultime settimane, al Comune di Torino non è certamente uno spettacolo edificante, che possa portare ad un miglioramento di credibilità e di efficienza della classe politica. Il fatto che i partiti di centro-sinistra abbiano ceduto, al Comune di Torino, di fronte ad un atteggiamento del tutto personalistico indica un quadro Politico di per sé già deteriorato e che ha in sé i germi di ulteriori crisi. Noi non sappiamo se il Sindaco di Torino abbia assunto il suo intransigente atteggiamento avendo alle spalle delle solidarietà o spinto da pressioni sotterranee. Certo, anche se si è trattato di una posizione esclusivamente personale, male hanno fatto i partiti di centro-sinistra a subire quella che di fatto è stata una imposizione di una persona che ha impedito l'evoluzione logica e corretta di rapporti tra le forze politiche. Cito questo episodio perché mi sembra sia importante che si cerchi, almeno in una situazione dove è politicamente possibile, come nel quadro politico regionale, di ricondurre la dialettica politica a rapporti di limpidezza, di correttezza, rapporti estremamente costruttivi: commetteremmo un grave errore lasciandoci forzare la mano da atteggiamenti o posizioni di rivalsa rispetto alla situazione che si è determinata all'interno del Consiglio comunale di Torino.
L'augurio che io credo il Consiglio Regionale debba farsi è che la trattativa che si sta sviluppando tra i Partiti di centro-sinistra possa avere lo sbocco che io indicavo, cioè una maggioranza organica in grado di stabilire su un programma un rapporto corretto, dentro e fuori il Consiglio, con tutte le forze che in Piemonte hanno interesse a dare uno sbocco positivo a questa situazione di crisi nella quale ci troviamo. Non c'è dubbio che la responsabilità maggiore da questo punto di vista spetta alla Democrazia Cristiana.
Devo ricordare che le mie dimissioni dalla Giunta , proposte dal Partito repubblicano, hanno preceduto le dimissioni della Giunta, avvenute per un voto deliberato dalla Direzione regionale della Democrazia Cristiana, la quale evidentemente ha valutato che esistessero i presupposti per dare un quadro politico più organico e più costruttivo alla vita regionale. Noi riteniamo che soprattutto dalla Democrazia Cristiana, in questo momento, a livello regionale, possa e debba venire un contributo costruttivo all'inquadramento di quei problemi di sviluppo del Piemonte che, come dicevo, devono diventare oggetto e risultato di quest'ultimo stadio della vita regionale.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bianchi. Ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, signori Colleghi, mi apprestavo, in questa seduta interlocutoria, a fare le mie "solite" qualche volta difficili dichiarazioni per superare le difficoltà che il nostro Statuto, con il rigore dei suoi termini, pone agli sviluppi delle crisi che, nella realtà si rivelano bisognevoli di tempi maggiori di quelli che avevamo concepito.
Mi accingevo infatti a comunicare al Consiglio Regionale che la Democrazia Cristiana, che non è per nulla in una situazione di vuoto e di buio, sta perseguendo una linea politica per la costituzione di una maggioranza ben definita, linea politica che non suona in termini discriminatori verso alcuno, e soprattutto non suona in termini discriminatori nei confronti di rapporti costituiti in occasione della precedente Giunta, ma tende a costituire, in una situazione di grave crisi economica, sociale, culturale e morale, come è stato qui sollecitato, più vasti e sicuri raccordi, non tanto in termini numerici e di schieramento ma meglio atti alla mobilitazione del consenso nel Paese a livello delle forze sociali e delle forze politiche, così come operano, in una importante frazione del Paese qual è la Regione Piemonte.
Al di là degli aspetti accidentali che, anche se importanti, a volte è troppo facile citare per svolgere una attività critica e polemica, noi preferiamo stare agli aspetti sostanziali e di fondo. E' indubbio che le forze politiche tutte nel nostro Paese attraversano una fase di difficoltà di crisi, di ricerca - come è stato detto bene, sotto questo profilo della proposta di identità. Il Paese affronta delle grandi trasformazioni e le forze politiche, che hanno a volte delle rigidezze, degli appesantimenti che impediscono movimenti rapidi atti a seguire l'evolversi delle situazioni, ne subiscono forti contraccolpi. Noi non possiamo negare che la crisi alla Regione Piemonte sia determinata nelle sue cause fondamentali, più da ragioni generali che involgono i problemi politici di tutto il Paese che non da situazioni specifiche di dissensi su particolari punti o modalità o metodologie di attuazione del programma regionale. Siamo in qualche modo tutti partecipi di un grande travaglio nazionale, e attraverso questo travaglio passiamo. Ma questo credo nobiliti, non svaluti, le ragioni della crisi. Il vecchio detto che far delle opere pubbliche o affrontare singoli problemi non costituisce il centro, il motore fondamentale del fare politica, vale ancora questa volta. Così come dobbiamo ricordarci, con realismo, che non possiamo evadere in dissertazioni meramente politiche dimenticando le realtà di ogni giorno e l'impegno che queste richiedono perché la politica si concretizzi e diventi qualcosa di comprensibile.
Certo, la Democrazia Cristiana sente di essere partecipe di una situazione di malessere, collega Minucci. Ma io ho colto nel tuo intervento un riconoscimento che non avevo mai colto in termini così espliciti nei confronti del mio partito, e cioè che il malessere della Democrazia Cristiana è determinato dal fatto che essa è così altamente rappresentativa della realtà nazionale, da dover recepire tutti i contraccolpi che derivano dai movimenti, dalle tensioni in atto nel nostro Paese, in quanto rappresentativa dei ceti medi, rappresentativa di vaste categorie popolari rappresentativa delle tensioni di una società in movimento. A questo riconoscimento implicito sono seguite delle osservazioni con esso un pochino contrastanti (ciascuno di noi, in una polemica garbata e pacata qual è quella che oggi ci unisce anziché dividerci si può lasciar andare a qualche ironia). Ebbene, a mio parere, l'attuale fase della Democrazia Cristiana (la ricerca unitaria, l'impegno organizzativo eccetera) non è una fuga sul piano dell'attivismo, sul piano dell'efficienza: è la volontà di un partito - che ha coscienza di quello che rappresenta nel Paese, che ha coscienza di quel che significherebbe per il Paese una sua crisi verticale di trasferire verso l'esterno il proprio impegno, di svincolarsi da quelle che sono le remore di lotte, di dialettiche interne che esistono in ogni forza politica, ma che sono distruttive quando superano certi limiti di rompere certi schemi che diventano paralizzanti rispetto all'azione politica, di ristabilire dei raccordi, dei contatti più autentici, ancora più autentici di quelli che ci vengono riconosciuti, e più tempestivi soprattutto, rispetto alla realtà nazionale, in poche parole è la volontà di assumere le proprie responsabilità nel momento in cui i problemi gravi battono alle porte del Paese.
La ricerca della nuova formazione di centro-sinistra al centro e alla periferia ha tutta una nuova impostazione e validità. Innanzitutto significa, come abbiamo detto, ricerca del concorso, della partecipazione della collaborazione di più vaste categorie sociali, e fra queste delle categorie popolari impegnate anche in quelle fasi produttive serie che, in una visione di Stato assistenziale, di Stato peronista, di Stato giustizialista, vengono sempre più compresse rispetto all'espandersi di categorie più o meno velatamente parassitarie. Ma anche tentativo di stabilire e mantenere un più stretto, più sicuro contatto, un vasto collegamento, nella linea della visione degasperiana delle condizioni in cui si può sviluppare una democrazia nel nostro Paese, che impedisca spaccature verticali.
Mi fa piacere poter ribadire che anche il rapporto con il Partito liberale è stato, e sarà domani diverso da quello che si prospetto - io parlai allora di un atteggiamento manicheo reciproco al momento della costituzione del primo centro-sinistra. Qui non c'è motivo di polemiche: io accolgo in modo molto positivo, molto favorevole le affermazioni del collega Zanone di voler mantenere un atteggiamento ragionato. Penso che nella intelligenza politica, egli e l'intero suo Gruppo comprendano come la Democrazia Cristiana non prenda le sue decisioni per manovra tattica, per scambiare un Gruppo con l'altro, per mantenere il potere, o per assicurarsi una posizione di egemonia. Se si guardasse alle ragioni accidentali, se si guardasse anche al di là delle intenzioni di questo o quel momento in cui si svolgono anche le dialettiche locali eccetera si potrebbe constatare che la Democrazia Cristiana, per la sua natura, per le sue responsabilità nativamente, direi, non può non ricercare anche le più faticose, le meno comode collaborazioni, pur di rispondere alle esigenze della guida del governo e dello sviluppo del nostro Paese.
Quando Minucci parla della Democrazia Cristiana, egli, da abile dialettico, parla del Partito comunista, perché parla dei problemi che incontra il Partito comunista nell'affrontare, nel riconoscere quanto la realtà del nostro Paese pone davanti alle sue responsabilità indubbiamente, quando un rappresentante comunista parla dei ceti medi, e della Democrazia Cristiana, che ne interpreta così larga parte, parla anche della propria politica nuova, o che tale vorrebbe essere, nei confronti dei ceti medi; quando parla del riconoscimento che dev'essere fatto del ruolo della Democrazia Cristiana nel nostro Paese, se ne rende conto molto realisticamente, come se ne rendeva conto la ridotta forza del partito comunista nel Cile partito che è poi stato trascinato alla rovina, contro le proprie valutazioni e contro i propri giudizi, sulla realtà. Ora, questa concretezza di giudizio, questa capacita di riconoscere la realtà nelle sue esigenze è già un dato in sé politicamente estremamente positivo.
Restano poi le altre valutazioni, quelle che in parte ha esaminato Zanone, di quanto questo sia il frutto di una maturità politica, di una capacità di giudizio critico, e di quanto sia anche la conseguenza e il frutto della rivalutazione, del ripensamento del ruolo del Partito comunista come forza politica all'interno della realtà italiana. Certo Minucci dice: bisogna porre i rapporti politici fra queste grandi forze su una nuova base. Se io fossi convinto che siamo già giunti ad un nuovo approdo... Il nuovo approdo qual è, quale potrebbe essere? Quello che concluda un, ciclo storico del nostro Paese. Il nostro Paese, dalla sua unità ad oggi, ha sempre avuto, dolorosamente, grandi masse popolari all'opposizione dello Stato. Mi viene in mente il libro di Spadolini sulla opposizione cattolica: prima per ragioni storiche che non starò ad illustrare a chi le conosce meglio di me, la opposizione delle grandi masse cattoliche allo Stato liberale; dal che derivarono molte remore ad un corretto sviluppo democratico nel nostro Paese; poi il faticoso approdo dei cattolici allo Stato italiano; quindi, l'opposizione delle forze socialiste massimaliste e delle forze comuniste. Una opposizione che ha poi accomunato contro lo Stato fascista - tutte le forze politiche di ispirazione popolare e democratica ed ha creato forse le basi per questo sviluppo ulteriore, perché si possa approdare alla accettazione di una piattaforma comune che non è soltanto la piattaforma legale della Costituzione.
L'amico Zanone ha accennato alla legalità. Ma la legalità non è ancora la democrazia, la legalità e un primo approdo, al quale si può arrivare in uno Stato anche estremamente autoritario, anche in uno Stato in cui la libertà non ha spazio. La legalità e una prima, essenziale conquista, per cui un cittadino sa almeno di che legge deve morire. La democrazia è un passo qualitativo molto più avanzato.
Se l'approdo cui si vuol pervenire è quello di una comune accettazione di metodi, di concezioni, di basi della nostra società, non in senso conservatore e statico ma nel senso di un comune patto - come qualcuno lo poteva accennare un tempo in modo improprio ed in modo equivoco dal punto di vista politico - di democrazia, di costume, di valori, di civiltà, ecco che allora gli incontri tra le forze politiche possono essere preparati. Ma la realtà internazionale, ma il raccordo internazionale, ma i giudizi che si danno su fatti che si svolgono nel mondo ci fanno apparire ancora come molto lontane queste mete. Ciò non ci impedisce, non ci ha mai impedito e non ci impedirà in futuro di stabilire dei rapporti sempre più corretti e sempre più fruttuosi fra tutte le forze politiche presenti in questo Consiglio e tra le forze politiche che rappresentano delle grandi masse popolari. Io non posso dimenticare i giudizi che un grande Pontefice defunto ha dato in ordine alla divaricazione che nel tempo opera, tra certe impostazioni ideologiche, e il modo di muoversi, di realizzarsi di forze che ad esse dicono di ispirarsi.
Certo, il partito comunista, pur in modo monolitico, troppo monolitico per non rendere pensosi e preoccupati, mostra di muoversi verso queste nuove realtà in modo molto più agile, qualche volta, di frazioni di altre forze politiche che pur hanno una tradizione, come potremmo dire?, più occidentale, più democraticamente articolata. Ebbene, se queste crisi, se le meditazioni che il dramma del Cile ci ha indotti a fare sulla fragilità della nostra situazione politica valgono a qualche cosa, dobbiamo dedurne che ci sono sempre, in uno Stato democratico, forti collegamenti fra una maggioranza che assume delle responsabilità ed una opposizione. E noi non li rifiutiamo, non rifiutiamo i confronti costruttivi, non solo così come sono avvenuti, storicamente, fra di noi in fasi particolari, ma anche collegamenti che vadano più in la nel giudicare situazioni storiche indicazioni per riforme, collegamenti per assumere responsabilità in momenti cruciali. Ma noi non ci nascondiamo, e del resto, se non altro per realismo, non si nascondono i comunisti, non si nasconde certamente Minucci, con la finezza della sua intelligenza politica, che non si tratta solo di far opera di persuasione nei confronti della Democrazia Cristiana o di altre forze politiche, ma si tratta di un lungo cammino che lo stesso Partito comunista deve compiere per superare la rigidità della sua struttura, per prescindere da certi suoi collegamenti e tradurre in termini esistenziali le sue valutazioni politiche. Ci sono delle valutazioni politiche che possono essere accolte, prese così come sono, espresse, come molto valide, e come positive. Nel momento in cui noi avessimo la precisa sensazione che queste si traducono anche in modi di vita, in atteggiamenti intimamente assimilati in ordine ai rapporti che devono essere assunti con le varie forze politiche e con le forze sociali, ecco, saremmo passati alla seconda fase quella che consolida definitivamente la democrazia italiana: alla fase della comune accettazione di una base morale, civile, e non solo giuridica, quella su cui si sono fondate le grandi democrazie. Perché le grandi democrazie - quella inglese, quella americana - sono proprio contraddistinte da questo fatto: una vasta base comune, un ampio collegamento tra le forze apparentemente contrapposte, nelle questioni più importanti, e il dissenso su elementi non essenziali e determinanti.
Ma questa è l'indicazione di una prospettiva lunga per determinare la quale noi sentiamo di, dover rafforzare la nostra azione, di doverla calare più profondamente nel Paese, stabilendo contatti, rapporti non equivoci con le forze politiche. Per cui, quando qualche volta, da parte socialista, si è sostenuto di rappresentare nella maggioranza tutta quanta la sinistra noi abbiamo contestato questa impostazione. Se un centro-sinistra alla Regione si volesse impostare su una base di questo genere noi lo contesteremmo, sotto due profili: che un rapporto con l'opposizione, in quanto rapporto corretto, in quanto rapporto valido, in quanto rapporto che vede nella opposizione comunista anche le realtà sociali che dietro di questa sono, ogni forza politica, secondo il proprio vigore, è capace di costituirlo in modo diretto: accogliere l'opinione di una forma di delega indiretta equivarrebbe ad accettare mortificazioni di forze politiche che non è nostro intendimento operare. Quindi, noi puntiamo ad una maggioranza autonoma, ad una maggioranza solida, ad una maggioranza che presta ascolto attenta alle indicazioni delle altre forze politiche, che è attenta soprattutto alle indicazioni evolutive cui le forze politiche pervengano in una maggior civiltà in una disposizione a considerarsi con rispetto, e a confrontarsi con i problemi del Paese.
So che il Partito comunista, pur avendo come scopo fondamentale di arrivare al potere, non guarda, nella fase intermedia, alle rappresentanze nei luoghi di potere: guarda al potere reale; e un potere reale, in un Paese democratico, una opposizione giustamente collocata lo esercita. Noi non contestiamo l'esercizio di questo potere reale da parte delle opposizioni, di tutte le opposizioni. E credo che questo travaglio, che coinvolge forze storiche così importanti, sia tale e da non poter essere sottovalutato, collega Curci, parlando di "schifo". Certo, ci sono comportamenti umani di tutti i generi che possono ingenerare schifo. Certo io mi rendo conto che bisogna soprattutto operare affinché il golpe alla cilena non sia, nel profondo del subcosciente della gente, desiderato, o addirittura atteso come un castigo meritato: questo lo sappiamo e storicamente nel nostro Paese è già avvenuto. Ma non possiamo sottovalutare l'importanza e la nobiltà del travaglio in cui il Paese si trova.
Piuttosto, ciascuno di noi può fare, come singolo e come persona - e noi riteniamo che ci sia sempre una responsabilità personale - il proprio esame di coscienza per sentire se è all'altezza di un travaglio così grave o se il semplicismo, da un'altra parte lo scetticismo, non sono forme atteggiamenti che mettono al margine di una storia che cammina anche se noi non la vogliamo comprendere.



CURCI Domenico

Mi sono riferito alle reazioni degli uomini della strada.



BIANCHI Adriano

Gli uomini della strada in genere ricevono sollecitazioni dirette, a parte le sollecitazioni indirette dovute alle nostre incapacità operative.
Io mi auguro che in questi diciotto mesi che ci separano dal giudizio degli elettori, con una spinta, con uno sforzo, col coraggio dell'iniziativa sentendoci e confrontandoci e facendo tutti insieme le scelte successive nel consenso e nel dissenso, si possa presentare - e mi auguro che anche tu, Curci, sulla base di problemi concreti, e non di valutazioni o svalutazioni politiche che ci dividono in modo assoluto e radicale, possa qui dare dei contributi concreti alla soluzione dei problemi del nostro Paese, senza solo compiacimenti...!



MINUCCI Adalberto

Gli uomini della strada sì, ma gli uomini del marciapiede no, bisogna distinguere!



BIANCHI Adriano

... per le cose che vanno male. Perché il dramma del Cile ci ha insegnato anche un'altra cosa: come possano considerarsi mistificazioni anche le ideologie che vengano interpretate in modo intellettualistico, per cui si arriva al punto che anche gli operai del "Teniente" marciano su un Governo socialista. Le ideologie vanno rivissute, risentite e riverificate al livello delle realtà nel tempo e nel momento in cui devono essere applicate. E oggi da troppe parti, da troppi contatti che funzionano in certi modi si cerca di riproporre stolidamente nel nostro Paese un tipo di dialettica che dovrebbe portarci a quelle stesse conclusioni. Noi, anche con le scelte politiche che facciamo a livello nazionale e a livello regionale, vogliamo scongiurare questi pericoli. Questo non è un cedimento non è una abdicazione di fatto alla forza del Partito comunista, ma è l'affermazione della sicurezza della bontà delle nostre scelte, che non minacciano l'evoluzione e gli sviluppi del Partito comunista, che lasciano al Partito comunista ed alle forze sociali che esso rappresenta tutto lo spazio per far operare in termini democraticamente positivi la loro forza e la loro presenza. Nessuno ha da temere se questo processo si svolge in termini, corretti, nessuno ha da temere che in un momento di cedimento o altro si smarriscano intempestivamente le vie del consolidamento della nostra democrazia. Conosciamo i termini della lotta politica così come si è svolta in questo venticinquennio, e non siamo, per stanchezza o per mancanza di vigore morale, sul punto di cedere di fronte a sollecitazioni che non siano quelle di una attiva costruzione della democrazia nel nostro Paese.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Vera. Ne ha facoltà.



VERA Fernando

Non tenterò neppure di competere con i Colleghi che mi hanno preceduto i quali hanno portato in quest'aula tali e tanti argomenti, con tale ampiezza di considerazioni di carattere economico, politico, filosofico, di politica internazionale da elevare notevolmente il livello di questo dibattito. Mi limiterò ad alcune annotazioni.
Ho ascoltato con molto interesse, come credo tutti i Colleghi, il lungo discorso di Minucci, un discorso che quasi travalica i limiti delle mura di questo Consiglio Regionale e meriterebbe di essere accolto in un'aula ben più vasta, in un'aula parlamentare. Mentre seguivo il suo dire facevo un raffronto con la seduta del Consiglio comunale del capoluogo di questa regione cui ho assistito due sere fa, come alcuni altri Consiglieri regionali, svoltasi fra i lazzi, le risate del pubblico, dei giornalisti di qualcuno degli stessi Consiglieri, certamente non condividendo quelle che potevano essere le notazioni folcloristiche ma provando invece un senso di profonda pena, come credo debba provare chiunque abbia a cuore la credibilità dei partiti democratici, le prospettive, l'avvenire della democrazia in questa nostra città, in questa nostra regione. Proprio da questo raffronto fra il tono di questo nostro dibattito e il tono estremamente squallido del dibattito che si è svolto nel Consiglio comunale del capoluogo, è nato in me un timore. E' vero che il discorso del collega Minucci dà un tono particolarmente elevato al dibattito di questo Consiglio Regionale, ma non vorrei che al di là delle sue intenzioni, anzi contrariamente alle sue intenzioni, ai suoi obiettivi, questo rappresentasse anche una evasione da temi più spiccioli, più modesti, più squallidi, diciamo anche, della vita politica locale. In fondo, noi italiani abbiamo sempre avuto la tendenza a sottrarci ai problemi della realtà quotidiana per trasporli in un quadro talmente vasto che finisce poi con il servire di giustificazione e di alibi per le nostre debolezze, le nostre modeste capacità. Gli arabi sfuggono ai problemi irrisolti, alle contraddizioni, facendo le guerre, noi italiani fortunatamente non facciamo guerre, però dibattiamo (sono venticinque anni ormai che andiamo avanti così) grandi temi, come la guerra fredda, il Patto atlantico, il Vietnam eccetera, spesso dimenticando i problemi più piccoli, ma più importanti comunque irrisolti, di casa nostra.
Perché, Zanone, si può contestare, come tu hai fatto con una certa ironia, la nuova dottrina della contestualità, però è evidente che una contestualità tra quello che succede nel Comune capoluogo della nostra Regione e la Regione esiste, non fosse altro che una contestualità di uomini, una contestualità di forze, una contestualità di pressioni. Del resto, sappiamo benissimo quale stretto intreccio vi sia stato tra le vicende di questa nostra Amministrazione Regionale e le vicende dell'Amministrazione del capoluogo. Penso, quindi, che uno sforzo da parte di tutti debba essere fatto per evitare che gli equivoci, i personalismi le risse, in qualche caso, di cui tutti siamo responsabili - perch Gandolfi, nessun partito è completamente immune da colpe in questa vicenda inquinino ulteriormente la vita della politica piemontese, sia del capoluogo che della Regione, che l'uomo della strada ci accusi, sia pure assolutamente a torto, di scarsa credibilità (il più delle volte si tratta di giudizi indotti, come ricordava Bianchi; però, dato che la democrazia è fatta anche del giudizio di tutti, anche del giudizio degli uomini della strada, io penso che di questo giudizio noi dobbiamo preoccuparci e dobbiamo cercar di dimostrare che la democrazia non è soltanto queste cose che la democrazia è anche il sistema tutto sommato migliore per amministrare la cosa pubblica).
E' evidente che esistono molti problemi irrisolti fra i compiti dell'Amministrazione regionale piemontese. Abbiamo soltanto più diciotto mesi, lo ricordava prima il collega Bianchi. Questo, però, non ci deve indurre nella tentazione di anticipare, in questi nostri dibattiti, con una prospettiva abbastanza lunga, i comizi elettorali che faremo tra diciotto mesi. Questo, se mai, ci deve indurre a cercar di riempire in qualche modo questi diciotto mesi, dando alle popolazioni del Piemonte, almeno in parte almeno per quanto è nelle nostre capacità, una soluzione ai loro problemi.
C'è quindi un motivo di urgenza.
Se noi questa mattina, a quindici giorni dalle dimissioni della Giunta non siamo ancora in grado di presentare un programma, con nomi, con le strutture della nuova Giunta, questo non significa la crisi al buio, non significa che il centro-sinistra non c'è, che non c'è l'accordo tra i partiti, perché le trattative sono appena iniziate; però, d'altra parte dobbiamo tutti noi, e particolarmente noi che intendiamo costituire questa maggioranza, renderci conto che non è possibile trascinare per le lunghe questa vicenda e che è nostro dovere nel più breve termine possibile, senza le continue dilazioni, i ripetuti rinvii cui purtroppo le precedenti crisi ci hanno avvezzati, venire qui con un programma e con una Giunta che permetta alla Regione Piemonte di riprendere pienamente la sua attività.
Quando c'era stato l'inizio, l'accenno della crisi, con le dimissioni del collega Gandolfi da Assessore, con alcune dichiarazioni di partiti politici, il mio partito, proprio preoccupato che si causasse una lunga soluzione di continuità nella attività dell'Amministrazione, aveva prospettato in un suo documento una possibilità che probabilmente non contraddice a quella che può essere anche una certa logica politica, ma che risponde ad un certo buon senso, proponendo che la Giunta attendesse a rassegnare le proprie dimissioni che si fossero svolte e concluse positivamente le trattative fra i Partiti del centro-sinistra, in modo da avere pressoché contemporaneamente e le dimissioni della Giunta e la costituzione della nuova Giunta. Mi rendo perfettamente conto, ripeto, che ciò che prospettiamo contrasta con una certa logica politica; però avrebbe evitato il pericolo, che indubbiamente c'è, di trascinare questa vicenda di crisi per lungo tempo, con la paralisi dell'attività del nostro Consiglio Regionale.
Per quanto riguarda le prospettive che deve darsi la nuova Giunta, che evidentemente noi pensiamo debba essere una Giunta di centro-sinistra molte cose sono state dette dai colleghi che mi hanno preceduto. Io ritengo che occorra innovare, non nel senso che le Giunte che hanno preceduto questa siano totalmente da condannare - come, a quanto ho potuto dedurre da talune osservazioni, deve aver detto il collega Viglione, di cui non ho potuto seguire direttamente l'intervento -, ma nel senso che ci troviamo di fronte ad una terza fase di vita di questo Consiglio Regionale: dopo la prima fase, quella dell'attività statutaria, nobilissima, necessaria affinché la Regione si desse una sua carta statutaria, e la seconda, di una certa elaboratività amministrativa ed elaboratività legislativa, non sempre calata, per difficoltà obiettive di funzionamento, di presa di contatto con i poteri che il Consiglio e la Giunta Regionale avevano, in un quadro perfettamente organico, deve apersi ora una terza fase, quella in cui si affrontano sì i problemi che incombono con l'umiltà che deve ispirare nell'avvicinarsi al concreto, al quotidiano, a quello che assilla la popolazione, l'uomo della strada, però con una coscienza degli obiettivi politici, sociali, economici, sociologici che si intende realizzare, perch se manca questa coscienza, se non si inquadra tutto quello che facciamo in questi obiettivi, ho l'impressione che si avvii un discorso estremamente frammentano.
E' evidente che in questo discorso, di una definizione attraverso il Piano regionale degli obiettivi dell'attività della Giunta e del Consiglio il compito compete al Consiglio nella sua interezza. E in questo senso io ritengo che la definizione di una maggioranza non comprometta il confronto e l'apporto collaborativo che deve venire dalle forze politiche democratiche rappresentate nel Consiglio Regionale e che della maggioranza non fanno parte: sia dal Partito Liberale, nei confronti del quale esistono differenziazioni riguardo al modo di risoluzione di certi problemi sociali riguardo agli obiettivi, ma al quale ci avvicina la comune appartenenza ad un certo tipo di sistema democratico, sia da parte di una forza come quella del Partito comunista, dal quale divergiamo per posizioni ideologiche ben definite ma verso il quale non può mancare da parte nostra il riconoscimento di quello che tale forza rappresenta per una larga parte della classe lavoratrice né l'accoglimento di quelle soluzioni da esso proposte che rispondano ad aspettative ed attese logiche, che si calano in esigenze veramente presenti nella nostra società.
Da parte nostra non c'è l'intenzione di creare muri o barriere nei confronti dell'una o dell'altra opposizione, bensì il desiderio di aprire il confronto su quel piano di dialettica democratica che costituisce, poi il modo più sostanziale di realizzare nelle assemblee elettive il concetto di democrazia. Ripeto, quindi: urgenza di arrivare ad una soluzione che inquadri chiaramente gli obiettivi da raggiungere. Mi pare sia essenziale per il Consiglio elettivo di una Regione, cioè di questa nuova istituzione che ha rappresentato una novità fondamentale nella vita del Paese, quel senso di autonomia, pur nel collegamento ad un quadro nazionale di cui va evidentemente tenuto conto in una società come la nostra, che ha un'infinita serie di correlazioni e di interrelazioni, avendo al tempo stesso presenti le situazioni, le esigenze, le istanze della società regionale cui noi apparteniamo, perché se di questo non si tien conto è evidente che non ha più senso l'istituto stesso della Regione, non ha più senso l'autonomia regionale e sarebbe stato assolutamente inutile fare le Regioni. Poiché noi siamo convinti, invece, della validità estremamente positiva, e agli effetti della soluzione dei problemi della vita economica del Paese, e agli effetti della stessa democrazia del Paese, dell'istituto regionale, di quello che esso ha rappresentato negli ultimi anni della nostra vita politica e sociale, noi riteniamo che questo senso di difesa dell'autonomia regionale da parte di questo Consiglio e da parte della Giunta debba sempre essere presente, sia pure nel quadro delle correlazioni nazionali che la Regione, nell'ambito della società italiana, ha e deve avere.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Nesi. Ne ha facoltà.



NESI Nerio

Signor Presidente, non avrei chiesto la parola in questa circostanza se alcune osservazioni che sono state fatte, soprattutto dal collega Minucci dal collega Bianchi e dal collega Zanone, non richiedessero, a mio parere qualche precisazione.
Comincerò con il replicare ad una osservazione che ha fatto or ora il collega Vera, il quale ha paragonato il livello della discussione nel nostro Consiglio Regionale a quello nel Consiglio Comunale di Torino.
Desidero dire, cioè, che io non sono così critico come il collega Vera, sul Consiglio Comunale di Torino. Credo che il livello dello scontro nel Consiglio Comunale di Torino sia più aspro perché più aspre sono le divergenze che nel Consiglio Comunale di Torino si riscontrano fra i partiti e all'interno dei partiti su alcuni problemi di importanza fondamentale, quale, ad esempio, il piano dei servizi, che certamente è una delle ragioni della crisi in atto al Comune di Torino. Ammetto però che qualcosa di vero vi sia nelle osservazioni del collega. E' chiaro che molti partiti non sono usciti bene dalla crisi al Comune, e la stessa popolarità che ha raggiunto il Sindaco di Torino è una popolarità negativa, cioè una popolarità scaturita dalla impopolarità dei partiti. Naturalmente ci sono partiti compromessi e altri non compromessi in questa vicenda.
Per venire all'oggetto specifico delle mie considerazioni, dirò che a mio avviso il collega Zanone, nel suo intervento, come sempre acuto, al richiamo alla mia osservazione alquanto banale, lo riconosco, che "il centro-sinistra in Piemonte è difficile" ha dimenticato di aggiungere un'osservazione che, lo ammetto, per la sua parte egli non poteva fare cioè che il centro-sinistra in Piemonte, così come in tutto il Paese, pur essendo difficile, anzi difficilissimo, e in questi momenti inevitabile.
Questo è il punto fondamentale al quale dobbiamo ancorarci se vogliamo comprendere la realtà del nostro Paese. E credo si possa dire che il Partito liberale, un partito che non credo, come altri colleghi, destinato a scomparire in tutta Europa, era stato valutato, anche dai suoi avversari forse più di quello che in realtà ha dimostrato di essere, soprattutto nella persona del suo Presidente, nel momento in cui ha assunto le maggiori responsabilità di Governo: dico questo senza affatto pretendere di dare giudizi né personali né tecnici, ma pensando di dare giudizi politici.
Il centro-sinistra è dunque, a mio parere, inevitabile.
Viviamo in un momento in cui, a quanto appare, si privilegiano gli schieramenti rispetto ai contenuti. Ci sono stati momenti diversi. Io ricordo come uno dei momenti più appassionanti della mia vita di militante quello della costituzione del primo centro-sinistra, quando si passavano mesi a discutere su una riforma (la legge urbanistica, la riforma delle società per azioni, la riforma della casa, la legge anti-trust): allora, si privilegiavano i contenuti rispetto agli schieramenti. Ora siamo invece in un momento del nostro Paese, e probabilmente di tutto il mondo, nel quale rispetto ai contenuti, all'oggetto, si da maggior peso agli schieramenti alla parte. E' un fenomeno che interessa non soltanto l'Italia, ma altri paesi: gli schieramenti che si sono delineati in molti conflitti riflettono le posizioni dei Paesi chiave, le cosiddette super-potenze derivano più da posizioni precostituite che dal contenuto stesso delle cose di cui si dibatte e per le quali in alcune parti del mondo, ci si batte.
Io credo che su questi punti noi dobbiamo anche discutere in questo Consiglio Regionale. Ed anche sulla grave questione che si è cominciata a discutere e che non riguarda soltanto il Partito socialista italiano e il Partito comunista italiano ma tutto il Paese, in rapporto ad aspetti fondamentali del futuro del movimento operaio italiano. Quello che si è aperto con le dichiarazioni fatte dal compagno Berlinguer su "Rinascita" riprese poi al Comitato centrale del suo partito dal compagno Chiaromonte e che è echeggiato, e ovviamente non poteva non essere così, nelle parole del collega Minucci e nelle parole del Capogruppo della Democrazia Cristiana collega Bianchi, costituirà forse il dibattito di fondo nei prossimi anni nel nostro Paese.
Credo che non sarà male dire alcune cose su questo dibattito. Anche perché è un dibattito nobile e serio, al quale la nostra generazione si sente impegnata, ma che è stato praticamente promosso dai giovani, perch hanno contribuito a provocare le discussioni, anche violente, (non ho difficoltà a dirlo), avvenute in molte parti d'Italia, ed anche qui a Torino, fra la Federazione giovanile comunista e la Federazione giovanile socialista a proposito della linea da seguire per gli aiuti al Cile, e che hanno portato poi a difficili mediazioni all'interno dei vari movimenti. E' un dibattito opportuno, perché, ripeto, a mio parere, su di esso si incentra la politica della Sinistra italiana, e non solo della Sinistra perché investe anche la Democrazia Cristiana. Il fatto che il più alto esponente del: Partito Comunista Italiano dichiari che non è al 51% che noi dobbiamo tendere ma ad un largo schieramento, che comprenda il movimento cattolico, e per esso il partito che ovviamente più d'ogni altra formazione lo rappresenta, cioè la Democrazia Cristiana, apre una serie di problemi che riguardano le tre grandi forze storiche del nostro Paese.
A questo dibattito si riallaccia il giudizio che si dà sul partito di maggioranza relativa, sul più grande partito del nostro Paese, sulla Democrazia Cristiana. Della quale io non direi che attraversa in questo momento una crisi di identità, ma direi il contrario: cioè che, proprio attraverso la ricerca di superare la crisi di identità mediante la mediazione, la dura mediazione, del Senatore Fanfani, tende, da confederazione di correnti, a diventare un po' più partito. Con la conseguenza di far assumere ad ogni corrente un ruolo ed una funzione idonei a coprire una parte dello schieramento del Paese, così da integrarle insieme, in un tutto unico che copra, o tenti di coprire, tutte le esigenze e tutte le classi sociali. Questo, a mio parere, è il tentativo che c'è in corso nella Democrazia Cristiana, seguito da noi, con vigile attenzione perché non possiamo rimanere indifferenti ad un fatto di questo genere, che presenta aspetti negativi evidenti.
Non ho certo la pretesa di dare giudizi definitivi ma intendo anzi sottolineare la complessità e l'articolazione dei fatti che stanno davanti a noi e che dovremo affrontare con umiltà. Con la stessa umiltà, tutti i partiti ed in particolare la Democrazia Cristiana, il Partito comunista e il Partito socialista debbono giudicare i fatti del Cile. Su questa questione, oggetto essa pure di valutazioni diverse anche all'interno del movimento dei lavoratori, fra il Partito socialista e il Partito comunista io non sarei propenso ad accettare la definizione che mi è sembrata essere alla base dell'intervento del collega Bianchi. Egli ha diviso le forze politiche che formavano "Unitad Popular", fra quelle che riconoscevano l'importanza della Democrazia Cristiana come rappresentante massima dei ceti medi e quelle che non la riconoscevano, attribuendo al Partito comunista cileno la rappresentanza delle forze che riconoscevano la Democrazia Cristiana come interlocutrice, al Partito socialista cileno la rappresentanza delle forze che non le riconoscevano questo ruolo. Credo di avere il dovere di respingere questa interpretazione, che a mio parere non favorisce niente, non solo in Cile ma neanche in Italia. E non è giusto nemmeno quello che è stato detto che interpretazioni diverse da queste facciano parte di un modo intellettualistico, da pensatori (da persone insomma, che pensano, ma non agiscono), di vedere i problemi del Cile.
Anzi, opinioni di questo genere potrebbero far passare in seconda linea lo scontro frontale che c'è stato in Cile con le forze del capitalismo nord americano, i problemi del rame e quegli altri problemi che, in realtà hanno portato alla situazione in cui ci troviamo in questo momento.
Signori Consiglieri, nuovi protagonisti, che non possiamo sottovalutare, si stanno affacciando, adesso in prima persona - e questa è la novità - alla ribalta politica, e creano un nuovo modo d'essere "politico" una filosofia politica nuova, sono i grandi imprenditori del nostro Paese.
Quando parlo di imprenditori non mi riferisco a quelli le cui attività sono in stretta connessione con aziende di cui non sono proprietari, perch quelli non sono interlocutori reali, bensì interlocutori che derivano la loro forza da quello che rappresentano, ed ai quali la forza può essere tolta da un momento all'altro dai committenti; mi riferisco a quelli che sono radicati nel potere reale del nostro Paese. A questo proposito, cito qualche frase del discorso rivolto ai quadri dirigenti della FIAT dal dottor Umberto Agnelli il 1° ottobre: "Avevamo ribadito - leggo testualmente - che era indispensabile che tutte le altre parti sociali (come parti sociali il dottor Umberto Agnelli intende i Governi, le forze politiche, le organizzazioni della cultura) procedessero ad un riesame urgente del loro ruolo, per evitare la paralisi del sistema. In questo quadro, il problema di chi all'interno della società debba pagare, ed in quale misura, il prezzo del progresso economico e sociale va riportato e risolto con gli strumenti che lo Stato, i partiti, le parti sociali hanno a disposizione". E conclude: "Il ritenere che le frustrazioni a livello politico possano essere compensate dall'utopismo all'interno della fabbrica è una scorciatoia semplificatrice e mistificatrice sul piano della logica e della pratica". Credo sia la prima volta che vengono formulate proposizioni ideologiche così nette: non si era sentito nulla di simile - neppure nell'incontro, che fu peraltro di notevole interesse, alla prima Commissione, con il Presidente della Fiat, avv. Giovanni Agnelli. Questo vuol dire che sta prendendo corpo - nelle grandi industrie - una idea politica generale, che tende a porsi, come rappresentanza diretta del sistema (e su questo chiamerei a riflettere il collega Zanone, che è uomo attento a queste cose) proprio in contrapposizione, in confronto, con le forze politiche che governano, teoricamente, questa Regione e il Paese.
Queste, signori, le osservazioni che io volevo fare in questo primo discorso pronunciato non come capo del Gruppo del mio Partito ma a titolo personale, e per la parte che rappresento. Da ciò discendono alcune considerazioni finali. Innanzitutto, considerazioni sulla situazione economica generale del Paese, la cui gravità non è una invenzione di questo o di quel piccolo, medio, grande imprenditore. Non starò a ripetere quanto già il collega Minucci ha detto sulla situazione drammatica in cui vive anzi, vegeta, l'Italia meridionale in questi giorni. Ma ci sono alcune questioni di carattere più strutturale alle quali vorrei soltanto accennare, sulle quali vorrei si soffermasse a meditare anche il Presidente della Giunta, sempre attento a queste cose. La corsa al gigantismo aziendale, mi pare abbia in questi anni segnato il passo e la stessa relazione del dotti Agnelli lo mette in evidenza, laddove denuncia con molta chiarezza il fallimento dell'accordo con la Citroen . (Dobbiamo abituarci anche a questo linguaggio dei managers, che è spesso più chiaro del nostro.) Noi, d'altra parte, non dobbiamo e non possiamo essere coinvolti nel mito della piccola azienda, che spesso è stato alla base anche di alcuni nostri errori. Io credo che la linea generale debba essere quella della massima occupazione e dell'intervento nell'Italia meridionale.
Da questo, poi, deve nascere tutta la problematica degli strumenti.
Naturalmente, se abbiamo la forza di dirigere noi stessi questi strumenti questo è il problema di fondo -, se la classe politica, se i partiti, se le maggioranze che si formano hanno la capacità di controllare realmente questi strumenti.
Per queste ragioni io credo - se posso permettermi di dare un suggerimento a coloro che saranno chiamati a diventare il programma di questo futuro centro-sinistra, che, ribadisco il mio giudizio, pur molto difficile a realizzarsi, sarà inevitabile - che dovremo fare poche cose, ma fondamentali, tali da colpire l'immaginazione della gente. Dissi già al collega Gandolfi che, pur rispettando l'opinione del Partito Repubblicano sulla questione della gratuità dei libri di testo, ritenevo che fosse necessario fare quella legge per una ragione di politica generale, che probabilmente sfuggiva alla visione, peraltro per certi versi non sbagliata, dei colleghi repubblicani Poche cose, dunque, ma importanti tra le quali il Piano regionale di sviluppo, i comprensori, la regolamentazione urbanistica e del territorio. Pochissime altre cose. Una volta che le avremo identificate, ci rimarrà soltanto un anno per attuarle. La vischiosità tecnica del modo di legiferare, al di là anche della volontà politica, se ci sarà - ma dovrà pur esserci se si arriverà ad una formazione di una Giunta di centro-sinistra - non ci concede molto tempo.
Non vorrei che le cose andassero per noi come per un illustre giornalista il quale dieci anni fa scrisse un titolo che è rimasto famoso: "Da domani siamo tutti più liberi", ma i fatti lo smentirono vistosamente pochi mesi dopo. Mi permetto, quindi, di consigliare di dedicarci, con serietà, a poche realizzazioni, ma molto chiare, che facciano dire alla gente: in questo anno la Regione ha operato, ed ha operato bene.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Presidente Calleri. Ne ha facoltà.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Signor Presidente, signori Consiglieri, nel suo intervento di questa mattina il collega Minucci ha fatto giustamente richiamo alla motivazione della crisi che si è aperta alla Regione. Su questo punto credo che la Giunta debba dare una risposta in termini di chiarezza ed anche in termini di analisi critica.
Vorrei subito dire, per il rispetto che tutti reciprocamente ci dobbiamo, che questa crisi non è stata certo aperta per le dimissioni, che pure hanno una certa rilevanza, presentate dal collega Gandolfi per divergenza di vedute su un provvedimento assunto da questo Consiglio Regionale, né si è aperta per un esame critico e negativo sull'attività della Giunta, come si potrebbe dedurre dall'intervento estremamente critico del collega Viglione, che non credo abbia di per sé recato un contributo all'approfondimento dell'eventuale programma della formazione di centro sinistra che si va delineando.
A mio avviso, dobbiamo essere molto più concreti e cogliere la realtà delle cose in ciò che realmente si è verificato nel nostro Paese e accettare, come io accetto, la diagnosi che qui è stata formulata, cioè di una crisi reale all'interno della società italiana che viene puntualmente rispecchiata a livello dei partiti politici (guai se così non fosse, dal momento che i partiti politici devono essere rappresentativi della realtà italiana); una crisi che passa all'interno dei partiti, sia di opposizione che di Governo; una crisi che porta a rimeditare tutto ciò che si è verificato nell'Italia repubblicana nel corso di questi ultimi venticinque anni, in fatto di progresso e di sviluppo economico, i traguardi raggiunti e i nodi che sono rimasti o da un lato irrisolti o, d'altro canto, sono stati posti proprio dal modo con cui questo sviluppo si è verificato.
Ebbene, i partiti politici registrano tutto ciò e cercano ovviamente di adeguarsi, di cogliere l'intima essenza di questa crisi, per rielaborare in una visione critica gli strumenti atti a far superare il loro stesso atteggiamento. Ed io credo che se, fatto un esame critico, la Democrazia Cristiana ha posto a livello nazionale, ed ha proposto anche a noi, il problema di un diverso assetto della maggioranza, ciò va visto con senso realistico, ed anche senza indulgere a dei nominalismi.
Ha indubbiamente ragione il collega Nesi quando dice: in certi momenti si privilegiano i motivi di schieramento rispetto ai motivi di contenuto.
Io non so se sia giusto o sbagliato operare così, personalmente per ritengo che questo comportamento abbia delle motivazioni storiche. Penso anche vi sia una spinta, che e verificata peraltro da tutta una larga letteratura che vi è non soltanto nel nostro Paese ma nel mondo, dove sembrano riemergere alcuni indirizzi che si riferiscono più ad una visione irrazionale del mondo che non ad una visione razionalistica, ispirata più a motivi di irrazionalità, di emotività che non a profonde ragioni di carattere razionale. Sono valutazioni che ciascuno di noi deve comunque fare e con le quali deve comunque misurarsi.
Dopo la liberazione abbiamo avuto tutti modo di vedere il fiorire di una letteratura che sopratutto in Italia, ma in tutti i Paesi europei, ha guardato ad una analisi storica che dava il momento del superamento del nazismo e del fascismo come un ritorno alla ragione. Chi di noi non ricorda quei saggi di Guido De Ruggero, dal titolo: "Il ritorno alla ragione"? Chi non ricorda come siano state portate all'attenzione di coloro che sono più attenti analisti delle situazioni economiche e politiche, quelle valutazioni che si riferivano a Julien Benda e alla "trahison des clercs" come ad un tradimento della ragione rispetto alle spinte di carattere emotivo ed irrazionale che sono pur sempre presenti all'interno della società? Personalmente, ritengo che privilegiare i nominalismi, privilegiare gli schieramenti sia di fatto un po' indulgere a questa linea di tendenza, sia forse voler prendere una scorciatoia rispetto ad un esame più profondo e più problematico di ciò che in realtà vi è all'interno delle società in stato di sviluppo avanzato, in quelle società in cui si verifica un così forte dualismo di sviluppo come nella società italiana. Forse, questo momento è un momento che è presente a tutte le forze politiche, ed è un momento che dobbiamo guardare tutti con grande rispetto. Anche se non lo condivido, io lo guardo con grande rispetto, ma lo guardo anche da un punto di vista critico, come credo debba essere fatto sia da coloro che di fatto privilegiano gli schieramenti, sia da coloro che non sono così indulgenti rispetto alle suggestioni degli schieramenti stessi.
Il centro-sinistra è, in questo quadro, largamente interpretato come un tentativo di patto sociale, o di mediazione tra le forze sociali all'interno del Paese. Ed io credo debba farci tutti meditare l'osservazione che il collega Nesi ci induce a fare, della presa di posizione in prima persona da parte di eminenti rappresentanti del mondo industriale, quasi a voler assumere essi stessi una qualità ed una leadership di sintesi politica nel confrontarsi con le forze sociali, come se essi rappresentassero un momento della dialettica democratica del Paese.
Perché vi è un significato dietro queste prese di posizione: quello della conclusione negativa di un'analisi rispetto alla capacità delle forze politiche di guidare il progresso del nostro Paese, che induce questi rappresentanti a proporsi come elementi di stimolo, di propulsione ma anche di traino dell'attività politica all'interno della società italiana, quasi limitando la realtà politica italiana ad uno scontro tra l'impresa interpretata in termini di assoluto concettuale, e l'altra parte sociale che pur vive all'interno dell'impresa, come se tutta l'economia, tutta la vita sociale del Paese dovesse articolarsi su questi due, pur importanti fattori.
Tutte le forze politiche, che sono rappresentative anche di ben altre e più vaste realtà, debbono meditare su questo fatto. E nel momento in cui ritengono che le autonomie locali, gli Enti Locali, ed ora le Regioni siano anch'esse interpretative, pur nell'ambito di specifiche competenze istituzionali, di realtà sociali, debbono meditare il loro modo di collocarsi nell'interno di queste istituzioni ed esaminare nel profondo la capacità che hanno di dare una risposta rispetto alle responsabilità che queste istituzioni hanno nei confronti del mondo che vi è attorno, nei confronti della società.
Se ci riferiamo a questi precisi obiettivi che le forze politiche hanno all'interno delle istituzioni, credo che possiamo, sì da un lato vedere la crisi della società italiana e ciò che nell'interno dei partiti si rispecchia di questa crisi e dobbiamo sì collegarla alla posizione generale all'interno del Paese, con i problemi reali che vi sono all'interno del Paese, ma credo che dobbiamo fare tutto questo con una visione che dia spazio non alle vedute emotive, al linguaggio massimalista, ma ai reali problemi di responsabilità che le forze politiche hanno nel dare una risposta a ciò che esse debbono fare all'interno delle istituzioni.
Alcuni giudizi, che hanno una loro grande validità storica, ma che attengono, io credo, più a perplessità, a preoccupazioni, a dubbi quali quelli che noi abbiamo qui sentito questa mattina in una analisi rapida certo, ma indubbiamente efficace - fatta dal collega Minucci in ordine all'interpretazione, ad esempio, della centralità come un tentativo di spaccatura verticale della società italiana in cui si perseguiva, da parte di talune forze politiche, il tentativo di separare le lotte della classe operaia, dei ceti operai, dagli interessi dei ceti medi e conseguentemente la necessità, per evitare una contrapposizione di questo genere, blocco contro blocco, di una mediazione fatta attraverso un'alleanza di partiti diversa da quella della centralità - sarebbero giusti se fosse stata quella oggettivamente la caratterizzazione della posizione della linea di centralità nell'interno del Paese. Io non sono né il difensore d'ufficio dell'On. Andreotti né il difensore d'ufficio della centralità: sono per uno che ha avuto qualche responsabilità in proposito qui, a livello regionale, che ha portato avanti questo discorso e credo, pertanto, sia doveroso da parte mia non sottrarmi ad una precisa presa di posizione in ordine a questo argomento. Nessuno di noi ha mai creduto a nulla di tutto questo e nessuno di noi è così ingenuo da pensare che, operazioni di questo genere si verifichino in una società in movimento come quella italiana dove tutte le componenti sociali portano avanti un loro discorso per la soluzione dei problemi interni del nostro Paese, con la loro parte di verità, il loro bagaglio di errori, dal momento che nessuna delle forze politiche è esente né dal portare avanti delle verità, né dal compiere obiettivamente degli errori.
Ma io credo che noi commetteremmo un errore se dessimo un giudizio di questo genere sulla base di un presupposto che non è sicuramente valido nella misura in cui noi riteniamo che le forze politiche significative del nostro Paese sono attestate su posizioni che certamente non sono quelle del blocco contro blocco, ma quelle di una articolazione rispettosa degli elementi di democrazia esistenti nella nostra Costituzione e tradotte dalla nostra Costituzione nelle istituzioni che governano il nostro Paese. Ed allora qual è, in definitiva, il problema che si pone alle forze politiche di maggioranza e di opposizione? E' il problema di un chiaro rapporto nei confronti dell'esterno, nei confronti del Paese, nei confronti dell'elettorato; è il problema dell'essere giustamente tutti in identità con se stessi, di non presumere di rappresentare qualcosa di diverso, di non voler essere qualcosa di diverso; è il problema di non confondere i ruoli assolutamente importanti che devono giocare nell'ambito delle istituzioni democratiche le forze politiche di maggioranza e le forze politiche di opposizione. Il che non vuol dire che sui fatti concreti, che sulla iniziativa politica non si possano verificare delle convergenze delle valutazioni uguali o similari; il che vuol dire soltanto che ciascuno deve rappresentare il proprio ruolo in coerenza con i presupposti della sua presenza politica nel Paese, proprio perché ciascuna delle forze politiche ha nei confronti del Paese il dovere e la responsabilità di essere identica a se stessa e di dire ciò che deve dire e di fare ciò che deve fare, e non presentarsi in un modo confuso e disarticolato.
Ecco, in un certo momento della vita del nostro Paese si è affacciata lo sappiamo tutti - a livello di opinione pubblica, la preoccupazione che non esistessero più, o venissero continuamente sfumati questi confini che pur ci devono essere per la chiarezza, che venissero cioè capovolti quelli che nella dialettica democratica sono alcuni presupposti di carattere fondamentale. Ed a questo è stata data una risposta. Io credo sia stata una risposta onesta nella concezione della chiarezza con cui si è posta all'interno della realtà del nostro Paese la linea di centralità che non ha voluto e non poteva ne doveva significare - nella realtà non ha mai significato - una spaccatura verticale tra ceti medi e classe lavoratrice.
Credo che noi, ragionando in questi termini, in termini di spaccatura verticale, veramente pietrifichiamo le forze sociali, non le mettiamo in grado di sfruttare quella articolazione che invece esse hanno, che è una articolazione assai più vasta, assai più variegata, assai più dinamica direi, di quanto una concezione di questo genere faccia risultare.
Naturalmente, è un'esperienza che non ha approdato a dei risultati, non ha smosso, non ha risolto alcuni problemi che pure la realtà italiana poneva ed è ovvio che i partiti, in un riesame della situazione, potranno proporsi altri obiettivi, o puntare i loro sforzi sugli stessi obiettivi.
Noi siamo in un quadro nazionale e dobbiamo tener conto di questi sforzi che, a livello di ogni partito, esistono: ci sono a livello della Democrazia Cristiana come a livello del Partito comunista, come a livello di tutti gli altri partiti. Nessuna linea è così esclusiva e nessuna linea non è suscettibile di modificazioni, di aggiornamento o di articolazioni diverse. Ma ciò che preme sopratutto è che sia portata avanti con chiarezza e nella distinzione dei compiti, che deve essere sempre chiara a livello di forze politiche proprio per la responsabilità che abbiamo nei confronti di ciò che rappresentiamo, nei confronti dell'elettorato che ci dà i consensi e nei confronti dell'elettorato che ci dà un mandato di rappresentanza.
Tutto questo discorso io mi son permesso di fare perché, aprendo la crisi secondo le modalità che abbiamo nel nostro Statuto e nel nostro Consiglio Regionale, non si fa che comunicare all'Assemblea una decisione della Giunta. Ma questi dibattiti mi pare abbiano significato solo se si precisano queste ragioni e le si collega a motivazioni di carattere politico più generale, in modo che le posizioni dei singoli partiti appaiano chiare.
Non posso ovviamente accettare una definizione sbrigativa della Giunta che ha rassegnato le dimissioni come quella di Giunta immobilista, Giunta che ha privilegiato le speculazioni, o altre amenità di questo genere, come qui sono state dette.
Ho motivo per ritenere che la crisi, che è stata portata in questo Consiglio Regionale, tragga le sue origini da ciò che ho detto: da una valutazione a livello nazionale che ha portato la Democrazia Cristiana a proporsi questo problema a livello dei grandi enti e che quindi non poteva non coinvolgere anche la Regione Piemonte. Rispetto a questo tipo di valutazioni fatte a livello nazionale e evidente che, l'averla calata così meccanicamente a livello di Regione, può trovarmi non perfettamente d'accordo; questo mio punto di vista l'ho manifestato nelle sedi opportune e non ho difficoltà a manifestarlo anche a livello di Consiglio Regionale per quelle ragioni che ho tentato brevemente di esporre qui.
Certamente, siamo di fronte ad un momento particolarmente difficile.
Saremo sicuramente chiamati ad affrontare alcuni problemi di carattere fondamentale, tra cui quello dell'approvazione del Piano regionale di sviluppo. Sono state lette alcune cose che credo siano ormai bagaglio e patrimonio comune per quanto riguarda l'analisi del nostro Piemonte. Io stesso ritengo che la Democrazia Cristiana non possa non ribadire quanto di fatto ha già portato avanti nei mesi scorsi, sia in questo Consiglio Regionale, sia in altre sedi, quando dibattiti di questo tipo sono avvenuti. E certamente la Democrazia Cristiana non può non collegare questa sua posizione all'interno della realtà piemontese, che è certamente quella di una decelerazione dello sviluppo nell'area metropolitana torinese, con la messa in movimento di strumenti che facciano passare da queste affermazioni di principio o poco più che di principio a concrete realizzazioni in questa direzione, mettendo cioè in movimento quegli strumenti che noi, come disegno di legge della Giunta ed altre forze politiche come contributo di iniziativa propria, hanno portato a livello di Consiglio Regionale parlando di Finanziaria regionale, di Enti di sviluppo tutti strumenti attuativi evidentemente di un Piano regionale di sviluppo e in stretta connessione con il Piano regionale di sviluppo per intervenire effettivamente, e anche per decidere, signori Consiglieri ed egregi colleghi, la direzione verso la quale far muovere il Consiglio Regionale del Piemonte per quanto riguarda questo nuovo tipo di sviluppo che noi vogliamo inserire nella realtà piemontese come contributo autonomo delle forze politiche piemontesi, di maggioranza o di opposizione non importa nel quadro dell'istituzione regionale.
In questo senso, il dibattito di oggi, seppur breve, seppur contenuto nei termini di una mattinata, può aver recato un contributo di chiarificazione, che io non ho alcuna difficoltà a cogliere anche per quanto riguarda l'elaborazione del programma.
Io credo che noi non dobbiamo avere esitazioni, nel momento in cui si dà vita ad una maggioranza, a discuterne anche a livello di Consiglio prima di essere giunti a conclusioni per quanto riguarda la formazione di una nuova Giunta. Proprio perché in un rapporto dialettico di questo tipo si possono non soltanto chiarire i presupposti di carattere programmatico su cui fondare la vita di una amministrazione, ma si possono anche chiarire in termini prioritari quali sono le cose che si debbono fare e qual è l'urgenza e l'impostazione da dare a queste cose che si debbono fare, o che si ritiene opportuno fare. In questa direzione, a mio parere, noi ci possiamo muovere e con estrema chiarezza, confrontando sul piano programmatico ciò che sul piano programmatico va confrontato, verificando le reali convergenze sul programma, superando in questo modo, per quanto può essere possibile, ma nella chiarezza e non nella confusione, il fatto di privilegiare, in un determinato periodo storico qual 'è questo, la politica degli schieramenti rispetto alla politica dei contenuti. A mio giudizio può proprio essere questo il momento in cui si corregge una tendenza che, secondo me ha, come ho detto prima, alcuni contenuti di carattere emotivo e non di carattere razionale.
In questo senso penso di poter concludere dicendo che la Democrazia Cristiana non ha certamente alcuna difficoltà a venire, prima di giungere alla formazione della Giunta, in questo Consiglio Regionale a parlare dei contenuti programmatici e delle priorità che si intende dare alla nuova formazione di Giunta che si va delineando.



PRESIDENTE

Egregi Consiglieri, non ho altri iscritti a parlare. Se nessuno più chiede la parola, la discussione è chiusa.
Poiché non si sono verificate le condizioni per adempiere a ciò che prevede l'art. 32 dello Statuto, il Consiglio sarà riconvocato entro termini previsti dallo Statuto stesso, cioè entro quindici giorni, con lo stesso punto all'ordine del giorno.


Argomento:

Interpellanze, interrogazioni e mozioni (annuncio)


PRESIDENTE

Prima di togliere la seduta, do lettura alle interpellanze e alle interrogazioni che sono state presentate: interpellanza del Consigliere Nerio Nesi: "A conoscenza delle valutazioni dell'Amministratore delegato della Fiat, Umberto Agnelli, espresse nel discorso tenuto il 1° ottobre ai direttori del Gruppo, secondo le quali le prospettive dell'industria automobilistica si stanno facendo difficili in dipendenza dell'inasprimento della concorrenza internazionale e dei forti aumenti del costo del materiale e della mano d'opera, in piccola parte ribaltati nei listini interpella il Presidente della Giunta per sapere quale sia il pensiero della Giunta stessa sulla reale situazione della Fiat" interpellanza pure del Consigliere Nesi, rivolta al Presidente della Giunta, "per sapere se risponde al vero la notizia che la Regione ha versato un contributo di 4 milioni per la Scuola di massofisioterapia geriatrica sita presso l'Istituto dei Poveri Vecchi in corso Unione Sovietica; l'interrogante desidera inoltre conoscere se corrisponda al vero la notizia di un esposto alla Magistratura da parte del Sindacato italiano massofisioterapisti nei confronti dei principali esponenti della scuola sopraddetta" interrogazione, ancora del Consigliere Nesi, rivolta al Presidente della Giunta e all'Assessore competente, "per sapere se corrisponda al vero la notizia che la Regione ha incaricato la Società Siteco di redigere un modello regionale di rete commerciale" interpellanza ancora del Consigliere Nesi, indirizzata al Presidente della Giunta e all'Assessore competente, "per sapere se siano a conoscenza dell'iniziativa della Società Generale Immobiliare tendente a costruire nel territorio del Comune di Borgaro una città satellite per oltre quarantamila abitanti" proposta di ordine del giorno del Consiglio Regionale che, "preso atto dei gravi ritardi cui sta andando incontro nel Parlamento nazionale il decreto legge per l'attuazione nel nostro ordinamento delle direttive comunitarie in materia di strutture agricole, propone di dar mandato alla Giunta di farsi interprete presso il Governo affinché cessino immediatamente opposizioni e ritardi" interrogazione del Consigliere Nesi, rivolta al Presidente della Giunta e all'Assessore competente, "in relazione all'alluvione che ha colpito in modo grave il territorio e la città di Carmagnola, in cui si chiede quali provvedimenti si intendano attuare per favorire le imprese commerciali ed artigiane più duramente colpite; quali interventi si intenda attuare, per studiare e porre in atto tutte le opere atte ad evitare il ripetersi di tali calamità" interpellanza presentata dal Consigliere Valerio Zanone, che, "appreso che in totale per l'intera Valle Vigezzo e la provincia di Novara - esclusi i comuni di Fumero ed Arvonio, per i quali non si hanno dati disponibili fra costruzioni ultimate, in via di completamento e progettate, si ha una cifra di non meno di 500 mila metri cubi negli ultimi tre anni, interpella la Giunta per conoscere, in attesa delle iniziative di spettanza della comunità montana, quali altre iniziative preliminari urgenti essa intenda assumere in modo autonomo e promuovere presso i Comuni interessati per uno sviluppo urbanistico razionale e organico della valle" interrogazione del Consigliere Zanone, che, "in riferimento alle condizioni di inquinamento atmosferico nel Chivassese, che risulta essere fra le zone più inquinate della Regione, chiede in via urgente alla Giunta che sia posta a disposizione del Consiglio Regionale e degli Enti locali interessati la relazione conclusiva della Commissione tecnica costituita fin dal settembre '72, d'intesa fra la Giunta Regionale, il Comune di Chivasso e l'Enel" interrogazione del Consigliere Garabello, il quale, "vista l'iniziativa assunta da associazioni ed enti di varia estrazione ideologica e politica che hanno organizzato una tenda di denuncia e proposta a Porta Nuova interroga il Presidente della Giunta per conoscere se abbia ritenuto opportuno prendere contatti con gli iniziatori della tenda per esaminarne le proposte, e in generale se intenda avanzare iniziative politiche e legislative concrete in materia di sicurezza sociale minorile interrogazione del Consigliere Aldo Viglione, rivolta al Presidente della Giunta e all'Assessore competente, "per sapere se siano a conoscenza del fatto che la ditta Benese, che fa servizio di autopullman sulla linea Cuneo-Acceglio, intende sopprimere due delle quattro corse attualmente programmate nei giorni festivi, e quali iniziative intendano assumere affinché questo evento non si verifichi" interrogazione dei Consiglieri Regionali Nerio Nesi e Corrado Calsolaro, rivolta al Presidente della Giunta Regionale e all'Assessore competente, "per sapere se sono a conoscenza che il Consiglio Comunale di Torino ha deliberato la installazione di un inceneritore di grande potenza nella località Bassa di Stura e a Nord-Est di Torino" interrogazione del Consigliere Calsolaro, rivolta al Presidente della Giunta e all'Assessore competente, "per sapere se siano informati del fatto che, a seguito del recente nubifragio, la strada comunale che unisce la parte alta del vallone di Pramollo con il fondovalle è rimasta interrotta in due punti, e precisamente in località Chiararetto e in località Ruata" interrogazione del Consigliere Valerio Zanone, che, "premesso che in sede di trasferimento alla Regione a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di agricoltura venne disattesa, fra altre richieste di trasferimento, anche quella della funzione relativa alla ricerca e sperimentazione scientifica, interroga la Giunta per conoscere se non intenda intervenire in favore dell'Istituto presso gli organi e gli uffici competenti, e se, in vista dei costituendi organi regionali per lo sviluppo agricolo, non ritenga opportuno avvalersi di questo istituto al fine di assicurare, attraverso il potenziamento dei mezzi e del personale un più efficace servizio di assistenza tecnica agli agricoltori".
Lette le interrogazioni e le interpellanze, la seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,15)



< torna indietro