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Dettaglio seduta n.160 del 29/05/73 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE OBERTO


Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

La seduta è aperta Comunico i congedi della seduta consiliare del 29 maggio 1973: Bianchi Calsolaro, Carazzoni, Fassino, Simonelli, Nesi. I congedi sono concessi.


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

Passiamo al punto primo dell'ordine del giorno "Approvazione verbali precedenti sedute". I processi verbali sono stati distribuiti ai signori Consiglieri prima della seduta. Vi sono delle osservazioni? Nessuno chiedendo di parlare considerare approvati, senza riserve, i verbali.


Argomento:

Interrogazioni (rinvio)


PRESIDENTE

Passiamo al punto secondo "Interpellanze e interrogazioni".
Interrogazione Rivalta, Berti, Besate del 10/5/1973. "Tentativi di costituzione di una rete mafiosa per controllare ed assumere subappalti dei lavori del traforo del Frejus". Risponde l'Assessore Falco.
Mi dicono che è pervenuta per errore, è quindi rinviata ad altra seduta.



RIVALTA Luigi

Non abbiamo capito perché è rimandata.



PRESIDENTE

Non è pronta per la risposta, è stata una trasmissione errata.



BERTI Antonio

Ci hanno persino telefonato per avvertirci.



PRESIDENTE

Io non sono in grado di dire altro che questo: ho ricevuto una comunicazione ufficiale in base alla quale mi accingevo a far discutere l'interrogazione. Mi si dice che c'é un errore, prendo atto dell'errore.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Interpellanza dei Consiglieri Revelli e Lo Turco sulla situazione occupazionale dell'azienda Praxis di Pocapaglia


PRESIDENTE

Interpellanza Revelli, Lo Turco del 17.4.73 "Iniziative con la direzione dell'azienda Praxis di Pocapaglia per la soluzione della crisi in difesa dell'occupazione". La parola all'Assessore Visone per la risposta.



VISONE Carlo, Assessore al lavoro

Signor Presidente, signori Consiglieri, in riferimento all'interrogazione presentata dai Consiglieri Revelli e lo Turco circa il fallimento della Praxis di Pacapaglia, azienda che ha un'articolazione oltre che a Pacapaglia anche a Milano, posso riferire che ancora stamattina, assieme all'Assessore Paganelli, è stata ricevuta una delegazione di sindacati e di lavoratori, con un rappresentante dell'Amministrazione provinciale di Cuneo.
Poiché l'azienda è fallita, la situazione è nelle mani, com'é ovvio, di un curatore fallimentare. Già prima del fallimento erano state avviate trattative, era stata interessata anche la GEPI, la quale, pur dichiarando la sua disponibilità per l'esame del problema, non aveva portato avanti l'esame della situazione per la mancanza di un partner valido, in quanto la GEPI interviene se trova un partner per la conduzione dell'azienda.
La Giunta si è tenuta in stretto contatto con il competente Assessorato della Regione Lombardia interessato alla questione: sembra che ci sia un contratto di affittanza per nove mesi stipulato dal curatore con un'azienda che produce apparecchiature consimili a quelle della Praxis, però sono ancora da verificare i termini in cui l'intervento deve avvenire: da quanto mi risulta non vi sono garanzie riguardo al livello occupazionale e stamattina, è stato concordato che le organizzazioni sindacali chiederanno un incontro all'azienda con la partecipazione del Comune di Pocapaglia dell'Amministrazione provinciale di Cuneo e della Regione per approfondire il problema.
Ancora ieri erano in corso trattative, però l'amministratore delegato della società interessata alla Praxis, che sarebbe la Galazzi, è in Giappone e fino al suo ritorno la situazione non può essere sbloccata in quanto la persona delegata alla trattativa ha un mandato, che però non gli consente di accettare quanto viene offerto.
Mi risulta che in questi giorni i tecnici della Galazzi dovevano venire a Pocapaglia per controllare gli impianti, la forza occupazionale, i tecnici che ci sono ancora, avendo, una parte di essi già lasciato l'azienda. Non dimentichiamo che l'azienda, nelle sue due articolazioni di Pocapaglia e di Milano, occupava circa 220 persone, 50/60 delle quali risulterebbero aver già trovato altre sistemazioni.
Domani sarò a Roma per alcune questioni inerenti a Castor, Praxis ecc., andrò anche alla GEPI per approfondire il discorso e vedere se c'é la possibilità di concretizzare un accordo con la Galazzi, la quale sarebbe tutt'altro che aliena dal chiedere un intervento della GEPI stessa. Con le organizzazioni sindacali siamo intesi che ci risentiamo e, nel mentre dichiaro la disponibilità della Giunta ad essere presente alle ulteriori trattative che dovrebbero aver luogo a Milano nei prossimi giorni.



PRESIDENTE

Il Consigliere Revelli chiede di parlare, ne ha facoltà.



REVELLI Francesco

Dichiaro che non sono soddisfatto della risposta perché non c'é niente di nuovo rispetto alle cose che sapevamo già. In secondo luogo l'Assessore non ci ha parlato dei livelli di occupazione, ci ha detto che una cinquantina di tecnici, di lavoratori tra Milano e Pocapaglia......



VISONE Carlo, Assessore al lavoro

L'hanno detto i sindacati stamattina.



REVELLI Francesco

Ma qui c'era un mandato preciso alla Giunta di prendere contatti direttamente con l'azienda, anche perché questo tipo di contratto di affittanza si presenta come una grossa operazione poco chiara.



VISONE Carlo, Assessore al lavoro

Vorrei chiedere al Consigliere Revelli se sa che c'é di mezzo un curatore fallimentare e se non conosce la legge fallimentare vada a leggersela.



REVELLI Francesco

Ma ti sei accertato di notizie ben precise che ti erano state riferite proprio su questo tipo di contratto di affittanza? Avresti dovuto saper rispondere in modo un po' diverso.
In secondo luogo mi pare che a livello delle forze che se ne sono occupate ci sia un atteggiamento molto pericoloso e le esperienze che abbiamo avuto in provincia di Cuneo (ad esempio nel caso della Richard Ginori di Mondovì) ci insegnano.
L'Assessorato alla Regione, se interviene deve farlo su un terreno estremamente chiaro, senza facilitare nessuna opera né di compromesso, n di mediazione di tipo politico per salvare qualcuno che ha nome e cognome e che è responsabile di queste cose. Questa chiarezza doveva esserci già oggi, visto che l'interpellanza è stata presentata molto tempo fa, invece nessuna risposta è venuta sull'ordine del giorno che i sindacati avevano presentato e che è stato approvato in un'assemblea aperta all'interno della fabbrica, presenti tutte le forze politiche.
Quindi il discorso sulla GEPI è estremamente contradditorio e quello sulla Galazzi altrettanto; speravamo che oggi qualche notizia in più potesse essere data. Non vorrei che anche i sindacati si lasciassero menare per il naso in questa situazione come in altre.


Argomento:

Documenti - Assegnazione a Commissioni


PRESIDENTE

L'interpellanza è discussa. Passiamo al punto terzo "Comunicazioni del Presidente".
Informo che è stata presentata da parte dei Consiglieri Bono, Fabbris Ferraris, Raschio, Revelli, Rivalta la proposta di legge per l'incremento del turismo nella Regione Piemonte; hanno chiesto l'esame, ai sensi dell'art. 44 dello Statuto, da parte intanto della Commissione.
Informo che in data odierna l'ho affidato alla VII Commissione, per ragioni di competenza.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni - Bilancio - Finanze - Credito - Patrimonio: argomenti non sopra specificati

Osservazioni della Commissione di controllo sulle norme relative all'autonomia contabile del Consiglio Regionale


PRESIDENTE

Passiamo al punto quarto dell'ordine del giorno "Continuazione del dibattito sui problemi della sanità e dell'assistenza".
Chi chiede di parlare? Consigliere Berti.



BERTI Antonio

Chiedo solo un attimo di tempo perché credevo che si discutesse dell'ordine del giorno e non ho sottomano il materiale.



PRESIDENTE

Se non avete difficoltà potremmo passare al punto quinto ma unicamente per una comunicazione del Presidente della Commissione di controllo.
Informo che la Commissione di controllo ha rimandato le norme che il nostro Consiglio aveva approvato relativamente all'autonomia contabile del Consiglio Regionale. Alcuni rilievi sono di carattere meramente formali e credo largamente accettabili da parte del Consiglio. Ve n'é però uno di fondo, sul quale ho chiesto il parere della I Commissione, che non so se abbia potuto riunirsi. Se il Presidente della Commissione ci vuole informare, eventualmente aggiorniamo la trattazione dell'argomento alla prossima seduta.



GARABELLO Enzo

Signor Presidente, non appena ricevuta la sua comunicazione ho provveduto a convocare la Commissione, poiché però mi è giunta di venerdì l'ho convocata per domani in seduta ordinaria. Pertanto esprimo per ora soltanto il mio punto di vista sulla lettera del Commissario di Governo.
Vi sono quattro semplicissimi rilievi, uno dei quali riguarda soltanto un errore dattilografico, gli altri sono delle precisazioni di natura formale sui quali credo la Commissione non avrà nessun motivo di opporsi.
Vi è però una premessa che influisce sulla decisione della Commissione di controllo sugli atti della Regione e quindi sul visto del Commissario di Governo, che riguarda appunto il titolo che concordemente la Commissione e poi anche in Consiglio Regionale si era deciso di omettere ed è quello relativo alle forniture ed ai contratti.
Ora, poiché nel testo approvato e diventato ufficiale per il Consiglio vi sono dei riferimenti su acquisti e lavori, viene eccepito che mancando la regolamentazione sulla definizione dei contratti per queste forniture di lavori o di materiale in economia, il regolamento non è completo. E' stato risolto quindi negativamente un dubbio che noi avevamo avuto e sul quale pensavamo si potesse, almeno temporaneamente, soprassedere.
Come comunicavo all'inizio, la questione è domani all'ordine del giorno e spero che la Commissione sia in grado di definirla positivamente per i piccoli rilievi marginali e per questo capitolo. Se ciò avverrà, nella prima seduta portiamo il documento a suo tempo approvato perché possa essere completato.



PRESIDENTE

Avendo un certo carattere d'urgenza sarei veramente grato se la Commissione potesse farlo ed io lo aggiorno per la prossima seduta.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Ordine del giorno per la difesa dell'occupazione alla ditta Castor-Zanussi


PRESIDENTE

Informo che è pervenuto questo testo, accompagnato da un ordine del giorno, con carattere d'urgenza.
L'ordine del giorno si appoggia a questo documento: "Il Comitato Intercomunale per la difesa dell'occupazione, preso atto dell'ordine del giorno approvato dal Consiglio Regionale 29 novembre 1972 delle raccomandazioni del Consiglio Regionale alla Giunta in data 16 gennaio 1973, nonché del documento impegnativo trasmesso alla Giunta il 19 febbraio 1973 considerato che il 13 marzo 1973 è stato siglato, con la garanzia del Ministro del Lavoro on. Coppo, un accordo fra le organizzazioni sindacali e il gruppo Zanussi che prevedeva una riconversione produttiva nell'ambito della meccanica leggera nello stabilimento Castor di Rivoli e l'impegno di mantenere il livello occupazionale considerato che, come risulta dalle recenti pubbliche dichiarazioni del Presidente del gruppo, rag. Mazza, l'attività produttiva del gruppo Zanussi non ha subito flessioni, ma registra anzi un buon andamento considerato che, in aperta contraddizione con tali pubbliche dichiarazioni ed in aperta violazione degli accordi siglati il 13 marzo 1973, la Zanussi ha proposto un piano di ristrutturazione per il quale: a) la riconversione produttiva non viene individuata nell'ambito della meccanica leggera, ma in quello della meccanica medio pesante e nell'ambito della produzione automobilistica b) in tal modo si accentua il già grave fenomeno di monoindustria caratteristico dell'economia piemontese, andando in direzione opposta a quella prevista dallo stesso IRES c) contrariamente agli impegni assunti, al fine di portare avanti questo processo di ristrutturazione, vengono attaccati i livelli occupazionali e tutte le maestranze della Castor sono posti a cassa integrazione a decorrere dal 4 giugno 1973 d) si esclude il riassorbimento di tutta la manodopera operaia e impiegatizia con espressa esclusione della manodopera femminile.
Preso atto del giudizio negativo espresso dal consiglio di fabbrica e dalla Federazione lavoratori metalmeccanici e dello stato d'agitazione delle maestranze del gruppo rilevato che il Consiglio comunale di Rivoli e la Giunta municipale di Grugliasco hanno già deliberato ordini del giorno in cui si denuncia questo grave inadempimento del gruppo Zanussi; esprime solidarietà con i lavoratori e riconferma tutte le iniziative precedentemente assunte chiede al Consiglio Regionale di far proprio il presente documento impegna il Presidente della Giunta e la Giunta stessa, sulla base delle precedenti deliberazioni assunte dal Consiglio Regionale ed accettate dalla Giunta, ad intervenire con urgenza e con fermezza presso il Ministro del Lavoro, quale garante degli accordi del 13 marzo 1973 perché vengano rispettati integralmente gli accordi stessi".
Il documento reca la firma del Sindaco della città di Rivoli, che firma a nome del Comitato intercomunale per la difesa dell'occupazione.
A questo documento si appoggia l'ordine del giorno urgente che reca le firme: Lo Turco, Garabello, Viglione, Beltrami: "Il Consiglio Regionale del Piemonte, preso atto della nota del consiglio di fabbrica della Castor-Zanussi, preso atto della deliberazione del Consiglio comunale di Rivoli 25 maggio 1973, preso atto della deliberazione della Giunta municipale del Comune di Grugliasco 26 maggio 1973, preso atto del documento 28 maggio 1973 del Comitato intercomunale per la difesa dell'occupazione richiamate le proprie precedenti deliberazioni del 29 novembre 1972, 16 gennaio 1973 e 19 febbraio 1973, fa proprio il documento del Comitato intercomunale per la difesa dell'occupazione e conseguentemente impegna il Presidente della Giunta e la Giunta stessa, sulla base delle precedenti deliberazioni assunte dal Consiglio Regionale ed accettate dalla Giunta, ad intervenire con urgenza e con fermezza presso il Ministero del Lavoro quale garante degli accordi del 13 marzo 1973 perché vengano rispettati integralmente gli accordi stessi".
Mi è parso di aver sentito poco fa dall'Assessore Visone che domani ha tra gli altri impegni romani, anche quello di un incontro a livello ministeriale per trattare questo argomento per cui, se credesse di fare una dichiarazione circa l'accettazione da parte della Giunta dell'ordine del giorno, gli darei la parola.



VISONE Carlo, Assessore al lavoro

Signor Presidente, signori Consiglieri, in riferimento a quest'ordine del giorno dichiaro che sostanzialmente, a nome della Giunta, lo accetto ma mentre ritengo pienamente accettabile la seconda parte ho alcune riserve sulla prima perché ci si richiama a dei documenti che io ho visto adesso per la prima volta. Io so, per esempio, che per quanto riguarda la Cassa integrazione stanotte c'é stato uno slittamento; c'è stata una riunione a Roma, finita alle 4,30 di stamani, che la Giunta piemontese aveva provocato in quanto era stato tempestivamente informato il Ministero del Lavoro all'inizio della settimana scorsa dei movimenti che c'erano alla Castor in riferimento all'accordo sottoscritto, presso il Ministero del Lavoro, dalla Zanussi e dalle organizzazioni sindacali.
Le notizie che io ho avuto verso l'una e trenta sono state alquanto frammentarie, per cui mi sono riservato di passare domani al Ministero del Lavoro per approfondire l'argomento. Quindi, mentre per quanto concerne l'ultima parte sono pienamente d'accordo, sulla prima parte gradirei incontrarmi con i firmatari per alcune osservazioni.



PRESIDENTE

Concordano? Bene, allora faremo un'interruzione dei lavori e si vedrà di perfezionare questo punto; ciò che conta è l'impegno finale credo, il resto ha un valore senz'altro, ma meno rilevante.


Argomento: Assistenza e sicurezza sociale: argomenti non sopra specificati - Sanita': argomenti non sopra specificati

Continuazione del dibattito sui problemi della sanità e dell'assistenza


PRESIDENTE

Ritorniamo al punto quarto. Continuazione del dibattito sui problemi della sanità e dell'assistenza.
Si è iscritto a parlare il Consigliere Berti, ne ha facoltà.



BERTI Antonio

Su questo argomento prendo la parola dopo un altro mio intervento in occasione del bilancio che mi ha consentito di esprimere alcuni nostri orientamenti e alcune nostre proposte.
Infatti, nel corso del dibattito sul bilancio, abbiamo, tra le altre cose presentato alcune proposte e su queste attendevamo le risposte da parte della Giunta. Queste risposte sono venute e faremo alcune considerazioni in merito, tuttavia l'introduzione dell'Assessore (io premetto che parlo solo per i problemi della sanità) ha ampliato molto il quadro della situazione proponendo alla nostra attenzione un complesso di temi per esaurire i quali è necessario procedere con molta serietà e senza limiti di tempo. Con questo non voglio dire che io parlerò tutto il pomeriggio, ma che sarà bene che questo incontro prosegua in Commissione o ancora in Consiglio affinché tutte le questioni poste possano avere l'approfondimento necessario per dare concretezza e serietà al dibattito e all'introduzione stessa alla quale riconosciamo un certo impegno probabilmente dovuto al fatto che è la prima volta, dopo tanto tempo che l'Assessore ne parla e non poteva fare a meno di portare tutto questo materiale alla nostra attenzione.
Con questo mio intervento, tenuto appunto conto che noi abbiamo già esposto una nostra linea e alcune proposte, cercherò di cogliere quanto ritengo politicamente più importante della relazione, ponendo al centro dei nostri obiettivi quello di orientare il dibattito essenzialmente alla fissazione delle iniziative e degli impegni che la Giunta e il Consiglio vogliono assumere subito.
L'Assessore è partito dalla crisi drammatica degli ospedali. Ne abbiamo sentore anche oggi, ci sono ospedali in crisi, personale che sciopera, lo leggiamo sui giornali; l'ospedale di Cirié ieri, l'ospedale di Santa Croce di Moncalieri oggi, ed è probabile che di questo passo avremo delle fermate in vari nosocomi del Piemonte in relazione al fatto che il personale non riceve gli stipendi di maggio. Prendiamo atto di questa crisi, che non è del resto una cosa nuova e diciamo che è giunta ad una situazione di estrema difficoltà e tensione La settimana scorsa tutti i Capigruppo e credo anche il Presidente hanno ricevuto la lettera dell'ospedale di Ivrea il quale chiedeva a tutte le forze politiche del Consiglio Regionale, alla Giunta, all'Assessore (al quale ha chiesto personalmente un incontro) d'intervenire in qualche modo per evitare questa crisi che viene a ricadere essenzialmente sulle spalle degli utenti, dei malati.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

La interrompo solo un momento per dirle che c'è una delegazione degli ospedali della FIARO che chiede d'incontrare i Capigruppo o la Commissione consiliare nel corso della seduta.



BERTI Antonio

Allora avremo modo di vedere che cosa è possibile fare subito; io credo che non si possa fare altro che invitare le banche ad intervenire per concedere quelle anticipazioni che gli ospedali chiedono.
Ma il problema non è questo, a me interessa mettere a punto che non ci si può fermare alla presa d'atto dello stato di crisi, l'Assessore partito di qui per rappresentare di fronte a noi, di fronte all'opinione pubblica uno degli aspetti più gravi della sanità, noi vogliamo invece ribadire che il problema non si può esaurire soltanto con questa presa d'atto delle difficoltà che s'incontrano. L'Assessore dice di non sapere quale sbocco dare immediatamente, lo vedremo più avanti, ma in una sede come questa anche se la cosa è già stata fatta altre volte, proprio in rapporto alla drammaticità della situazione, bisogna andare a monte della crisi, vedere quali ne sono le cause, quanto meno denunciarle, sintetizzarle affinché sia chiaro a tutti, all'opinione pubblica, agli operatori sanitari, ad ogni forza politica, da dove occorre partire e quali sono i responsabili della situazione.
In un precedente dibattito noi abbiamo individuato (ma non siamo soltanto noi) l'arco delle forze che denuncia le cause della situazione.
Questo è il risultato della confluenza degli interessi, delle scelte della classe dirigente, delle baronie sanitarie, dei gruppi politici ad essa collegati; c'é una responsabilità estremamente precisa da cui occorre pur partire se si vogliono mettere in atto delle iniziative capaci di modificare lo stato delle cose.
L'Assessore ha anche fatto il quadro dei medici provinciali, degli ufficiali sanitari presenti nella nostra Regione e devo dire che è veramente preoccupante e grave. Per quanto riguarda i medici provinciali non affermo una verità assoluta, ma mi sembra che in Lombardia il problema lo abbiamo affrontato eliminandoli e costituendo organismi diversi per intervenire nel campo della sanità. Non conosco a fondo questa iniziativa l'ho appresa soltanto ieri, mi riprometto di approfondirla perché credo che il problema dei medici provinciali possa essere affrontato in modo diverso mentre quello degli ufficiali sanitari è una cosa drammatica, essi costituiscono un punto importante anche per quelle equipes che la Giunta vuole costituire per intervenire in determinati settori, per esempio quello dell'ambiente di lavoro.
Dico queste cose con estrema sinteticità per non ripetere denunce che altre volte il sottoscritto in questo Consiglio ha fatto. Ma non possiamo introdurci in questo dibattito senza denunciare le responsabilità politiche dei governi che hanno governato il Paese da 15 anni a questa parte: incapacità politica, immobilismo dei governi e non volontà politica di scontrarsi con forze responsabili del caos e della disorganizzazione nel campo ospedaliero e sanitario, prendendo invece provvedimenti a monte per sovvertire completamente e istituire quel servizio sanitario nazionale che è stato oggetto di grande dibattito e interesse da parte dei vari componenti sociali e professionali del nostro Paese e non ha ancora visto nascere nessuna iniziativa concreta.
Colgo l'occasione per ricordare al Consiglio che anche quando ci si è proposti d'intervenire in qualche modo, è stato fatto in modo assolutamente sbagliato ed inorganico. Pur nei limiti di questa estrema sinteticità mi riferisco alle responsabilità politiche e alle proposte che sono state avanzate da varie componenti politiche, in particolare dalla nostra. Credo che una delle prime sedute del Consiglio Regionale abbia proprio riguardato i problemi della sanità, con un dibattito su una mozione presentata dal nostro Gruppo a proposito del Titolo II del decretone. In quella seduta, il sottoscritto esprimeva una grossa critica all'impostazione del famoso decretone, rilevandone i limiti e una contraddizione molto seria esistente tra il contenuto del Titolo II governativo ed una politica di riforma del settore in questione. In sostanza ricordavo la necessità di procedere senza ripetere gli errori del passato (quelli compiuti nell'ottobre del '67 quando il Governo, con suo decreto legge n. 968, stanziava 476 miliardi di lire per il cosiddetto ripianamento di alcune gestioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie). Noi denunciavamo allora che non veniva preso alcun provvedimento contestualmente ad una serie d'iniziative che eliminavano alla base le cause del deficit delle mutue. Tuttavia, di fronte a questa prima esperienza, il CIPE, per quanto riguarda il disavanzo degli istituti mutualistici, ha calcolato che entro il 31 dicembre 1970 il disavanzo raggiunga la cifra di 1100 miliardi di lire, cifra accumulata nel giro di due anni, dopo che le mutue avevano ricevuto 467 miliardi; allora secondo alcune voci, il disavanzo sarebbe stato in realtà molto più alto intorno ai 1500 miliardi, e così è, probabilmente, anche superiore.
Ho qui uno studio del Ministero della Sanità "Valutazione sugli aspetti finanziari della riforma sanitaria" in cui queste considerazioni sono state fatte e riprese in parte anche dalla relazione dell'Assessore. In realtà abbiamo di fronte un deficit mutualistico di quasi sei miliardi per il 1980 ed il Ministero della Sanità, in base alle sue ricerche, propone dei costi per la riforma, di cui tuttavia non parlo in questa sede per non discutere di problemi troppo generali, ma mi propongo di riprenderla in un altro momento.
Noi, in quella mozione, chiedevamo al Consiglio di pronunciarsi contro questo secondo intervento del Governo col decreto teso a coprire i deficit delle mutue, senza ancora operare in un contesto capace di eliminare, come dicevo prima, a monte, le cause molto gravi che determinano lo scompenso sanitario, il deficit delle mutue, il caos in poche parole.
Ci sono quindi delle responsabilità molto precise che occorre avere presenti. Credo che le stesse componenti politiche che governano il Paese non possono obiettivamente non riconoscere che gravissimi errori politici sono stati compiuti nel passato, errori che hanno consentito agli ospedali e alla sanità in generale di marciare su un binario di efficienza aziendale (quando tutti affermano invece essere, quello della salute, un servizio sociale) e alle baronie sanitarie, agli speculatori dei farmaci delle posizioni che oggi riscontriamo in una situazione che viene drammaticamente denunciata.
Questo lo diciamo, perché sia chiaro da che parte stanno le responsabilità e che cosa occorre fare per agire nella direzione giusta.
Anche l'Assessore ha avuto alcuni accenti critici nei confronti della situazione, egli ha ricordato la drammaticità di quanto avviene negli ospedali, ne ha denunciato alcune cause e si mostra sinceramente preoccupato di quanto sta avvenendo. Tuttavia l'Assessore poi che cosa fa? Leggo a pag. 3 della prima parte del suo discorso dove si rifà, per quanto riguarda gli ospedali, soprattutto alla difficile situazione dell'edilizia ospedaliera, in particolare pone l'accento sul problema dell'edilizia ospedaliera che è rimasta ferma da diversi anni in Piemonte, cita le cifre dell'IRES indicate in 74 miliardi per l'area torinese, dice che ne ha potuti spendere soltanto sette (questi sono soldi venuti dal Governo) per completare alcuni articoli, pare quasi rammaricarsi di non poter spendere tutti i 74 miliardi (forse mi sbaglio) e infine lamenta una certa difficoltà nel movimento per cui non esistono molti progetti, non esistono i presupposti per procedere celermente alle nuove costruzioni.
Quindi mi pare che a fronte di una denuncia della situazione ospedaliera e sanitaria oggettivamente valida, l'Assessore nella sua introduzione, mentre - probabilmente per motivi politici che coinvolgono la sua parte che ha governato il Paese in questi anni e che porta il peso maggiore delle responsabilità - non fa nessuna ricerca e denuncia a monte della situazione, lamenta il fatto che non si sia potuto marciare in questa direzione per quanto riguarda l'edilizia ospedaliera e infine propone di lavorare per incrementare la costruzione di nuovi ospedali in provincia di Torino, nel Piemonte in generale.
Badate, noi non siamo prioritariamente contro gli ospedali, noi abbiamo posto l'accento sulla prevenzione che è un aspetto importante per diminuire le carenze degli ospedali, ma nessuno può accusarci di essere insensibili di fronte a ciò che avviene negli ospedali. Chi ha avuto, in questi giorni la possibilità di sentire quel drammatico servizio televisivo di Gigi Ghirotti, il giornalista de "La Stampa" colpito da tumore, ha preso ancora atto della situazione non soltanto dal punto di vista umano del giornalista che viene a denunciare quello che sente nel momento in cui è consapevole della propria malattia, ma anche dal punto di vista dell'ammalato come oggetto passivo, non umanamente trattato; c'è una denuncia sconvolgente, io non so chi di voi l'ha sentita, tutti i giornali ne stanno parlando e credo che maggiore convergenza con la denuncia che andiamo facendo in questo Consiglio non potesse esserci.
Avvocato Armella, io so che lei è convinto personalmente non soltanto di questo; il problema dell'edilizia ospedaliera posto a questo punto, con questa forza, con il riferimento ai 74 miliardi previsti dall'IRES previsti in rapporto ad una visione politica della nuova medicina non giusta, è presentato in modo sbagliato. Noi non siamo d'accordo, oggi il problema è un altro. Certo, occorre procedere ad una razionalizzazione degli ospedali, occorre intervenire per modificare quanto è possibile produrre nuovi interventi edilizi, ma contemporaneamente devono essere avviati agli interventi per la prevenzione, anche a livello d'edilizia, ed iniziative capaci di fare operare in modo nuovo agli ospedali, cioè non come degli strumenti staccati, autonomi. Non a caso la riforma sanitaria prevede per il futuro che gli enti ospedalieri siano eliminati e la gestione di questi confluisca nelle unità sanitarie locali, proprio perch si tratta di un servizio e non d'imprese con bilanci aziendali che puntano sull'aumento delle rette per averne sempre di più. Il servizio sociale pu anche essere in deficit, purché risponda alle esigenze che tutti i cittadini richiedono.
Da questo punto di vista, per quanto riguarda gli ospedali l'Assessore ha parlato di un'indagine in corso intesa a dare elementi per una strutturazione di tutte le specialità e le elenca, incaricando i clinici gli specialisti, qualcuno dei baroni che noi affermiamo essere in gran parte responsabili del caos. Io mi chiedo quale indirizzo nuovo può venire da queste persone che certamente, sul piano professionale, hanno indubbie qualità, l'ho già detto altre volte, io non sono di quelli che buttano la croce addosso soltanto ai primari, non sono come Scalfaro, che nell'assemblea dell'Alfieri di domenica scorsa ha denunciato come responsabili tutti i primari, le baronie sanitarie, ecc. io dico che la colpa è del sistema in generale e che la responsabilità è delle forze politiche che non l'hanno modificato, per cui i baroni difendendo essenzialmente i loro interessi non hanno potuto dare quel contributo di qualità utile a stabilire un sistema nuovo nel campo della sanità e degli interventi ospedalieri.
Per quanto non negativa questa indagine in assoluto poiché tutto ci che si muove in direzione della ricerca, dell'approfondimento è valido, il problema secondo me va visto nel quadro degli obiettivi e delle finalità se cioè le ricerche sono indirizzate sulla strada giusta, perché se così non è finiscono per essere fini a se stesse e non danno quei risultati che chi ha promosso l'indagine si proponeva.
L'Assessore parla di una Commissione consiliare, intende forse riferirsi alla Commissione permanente del Consiglio? Vorrei una risposta precisa, se è possibile, anche perché più avanti si fanno delle proposte che noi giudichiamo positive, ma si tratta di sapere in che misura la Commissione è coinvolta e in che misura invece la responsabilità è affidata al Comitato regionale di cui si parla nell'ultima parte della relazione Armella.
Il discorso sulle varie specialità dell'Assessore, a nostro giudizio non può fare ignorare che c'é un rapporto diretto tra quanto si compie oggi in direzione degli ospedali per una loro ristrutturazione finalizzata al servizio sanitario (sottolineo, una ristrutturazione finalizzata al servizio sanitario) e quanto propone la riforma ospedaliera. Non si pu operare per un rafforzamento delle gestioni autonome degli ospedali e nello stesso tempo per una riforma sanitaria che l'ospedale colloca al servizio delle unità sanitarie locali. Quindi, riconfermo, occorre una ristrutturazione degli ospedali finalizzata al servizio sanitario nazionale, non più quella delle divisioni e dei primariati ad essa collegati come le unità di ostetricia, ginecologia, pediatria, che sono settori d'intervento omogenei, bisogna puntare ad ospedali che superino le divisioni territoriali e di zona, provinciali, regionali, che superino le specializzazioni settoriali (l'ospedale polmonare, l'ospedale per gli infarti, ecc.) per arrivare ad un tipo d'ospedale generale altamente qualificato e fondato su un nuovo rapporto interdisciplinare subordinato alle restanti strutture sanitarie extra ospedaliere. Ecco il nesso diretto che a questo punto si stabilisce tra l'ospedale, la sua gestione e gli strumenti esterni, ecco la gestione sociale, l'unicità di cui parla l'Assessore: chi dispensa deve essere anche quello che paga. Per ottenere questo non si può più procedere ad una strutturazione degli ospedali basata sulle formule attuali, al limite razionalizzando i posti letto e facendo una divisione specifica di cronicari o di lungo degenti, no, oggi chi vuole veramente misurarsi con le esperienze che avvengono in altre parti del mondo, non può, nel momento in cui si propone di fare delle cose nuove, non cogliere l'esigenza fondamentale di superare l'attuale struttura dell'ospedale e di proporre uno studio per dipartimenti ospedalieri nelle forme che ho detto e che ho scritto anche.
Io non sono un esperto in materia, quello che dico lo so perché faccio delle ricerche sui libri che trattano la materia e perché sono interessato a che la Regione in questo campo come negli altri produca qualcosa di nuovo. E per far questo come misurarsi con le forze nuove? Io non ho paura di sbagliare, l'ho detto l'altra volta e lo sostengo oggi con maggior forza, occorre sperimentare forme nuove d'intervento, rifacendosi alle esistenti esperienze più avanzate E più ci penso e più sono convinto, che il superamento delle divisioni degli ospedali per zone territoriali, ecc. è valido se rapportato alle finalità della riforma. Se così non difficilmente si superano le difficoltà attuali.
La questione del resto, non so se sono riuscito a chiarirlo, è, a mio avviso, strettamente collegata al sistema di contabilità di cui parla l'Assessore a pag. 5 della sua relazione e al come porvi rimedio; c'è un nesso molto stretto fra una ristrutturazione degli ospedali che vada verso una forma nuova, verso il servizio sanitario e l'introduzione di moderne macchine per contabilità. Noi non siamo d'accordo che la formazione di un piano ospedaliero possa venire soltanto da quei gruppi di specialisti che l'Assessore ha messo insieme, esistono altre componenti che, anche se molto meno qualificati sul piano tecnico e specifico, ma volontariamente preparate, ricercando quello che c'é di nuovo in ogni parte del mondo possono dare dei risultati positivi da sottoporre naturalmente a verifica.
Uno dei limiti maggiori è proprio dato dalla 132, pubblicizzata come una legge di riforma mentre in realtà non lo è stata perché ha puntato ancora sugli ospedali e non nella forma in cui occorreva puntare.
Oggi chi non vuole muoversi in una direzione di riforma sanitaria, di piano sanitario, prende lo spunto dalla legge 132 che parla solo di piano ospedaliero, mai abbastanza deprecata perché è una legge che si preoccupa essenzialmente del momento curativo quando ormai dappertutto si parla di tre momenti importanti prevenzione, cura e ricupero.
Noi proponiamo uno studio, l'Assessore organizzi un convegno di qualità sul problema dell'ospedale generale fondato sul dipartimento, se verrà dimostrato che la nostra è una linea sbagliata sono pronto a ricredermi, ma propongo che ci si misuri con quello che può essere l'elemento conduttore del piano ospedaliero che la Regione vuole fare.
L'Assessore poi si è arreso di fronte alle difficoltà dicendo che in una situazione di estrema drammatica tragicità come questa è impossibile trovare uno sbocco immediato, riconosce che bisogna trovarlo, ma non lo indica. Io direi che di drammatico, oltre la situazione, c'é anche quest'affermazione dell'Assessore: la situazione è drammatica, ma non sappiamo come uscirne se non rifugiandoci nella riforma sanitaria. Difatti nel suo interessante intervento dedica una parte notevole alla riforma sanitaria proposta dal Governo. Devo dire che l'Assessore mostra di credere alle iniziative del Governo (forse è l'unico che ci crede in Italia) in un momento in cui il Governo sta precipitando.
Io non so quanto lei conosce dei piani di Governo, le versioni sono state moltissime; la tecnica andreottiana è di gettare all'opinione pubblica in forma indiretta, attraverso anticipazioni più o meno segrete diverse proposte di riforma per dimostrare che ci si interessa del settore in realtà per buttare del fumo cui non corrisponde nessun arrosto, per confondere le idee su quello che effettivamente il Governo intende fare a questo proposito. Noi ci auguriamo che da questa crisi politica esca un Governo che voglia, tra i vari compiti importanti, porsi seriamente questo anche in relazione alla drammaticità della situazione che è stata qui denunciata.
Io non voglio rifare un discorso che ho fatto altre volte perché sarei troppo lungo e tedierei certamente il Consiglio; Assessore, lei che mostra di credere al progetto di legge del Governo per la riforma sanitaria, per l'istituzione del servizio sanitario nazionale e che lo assume come possibilità unica per uscire dalla situazione, badi, anche noi diciamo che si esce dalla situazione con delle modifiche profonde al sistema sanitario ma diciamo anche che occorre intanto provvedere a misure transitorie che si muovano nella direzione giusta. Guai a noi se di fronte a questa situazione stessimo qui con le braccia conserte ad aspettare che tutti i problemi si risolvano col servizio sanitario nazionale. La cosa è talmente semplicistica da diventare insensibilità e responsabilità politica quando la si assume come unico mezzo per uscire dall'imbarazzo.
Lei ha avuto elementi di critica nei confronti del progetto di riforma che nessuno di noi conosce se non per delle anticipazioni giornalistiche; è stato presentato al Consiglio dei Ministri da Coppo e da Gaspare, ma noi come Regione non siamo stati messi al corrente della questione. Comunque lei ha avuto degli accenti critici, ma in sostanza ha dimostrato di condividerne alcuni orientamenti.
Io, affinché rimanga agli atti di questa discussione e all'attenzione dell'Assessore e delle forze politiche, mi limito a citare il documento di tutte le Regioni del 10 febbraio 1973. Nonostante la migliore disposizione collaborativa delle Regioni, non è stato possibile realizzare l'auspicato e sollecitato rapporto organico con il Governo, né d'altra parte i progetti via via elaborati dai Ministeri interessati hanno mai avuto un carattere di ufficialità, tanto da poter rappresentare un punto di riferimento e di confronto con gli orientamenti espressi dalle Regioni. La situazione non è pertanto migliorata, con il succedersi dei Governi. Più avanti il documento (ed è l'ultima cosa che cito a proposito di questo argomento) dice che la legge sulla riforma sanitaria non può presentarsi solo come una legge tecnica che innova taluni contenuti strutturali, modifica certe competenze e ripartisce diversamente le risorse finanziarie destinate al settore, essa deve essere contestualmente e soprattutto una legge quadro di principi, una legge cioè di riferimento legislativo che deve dare il via all'innovatrice ed originale attività legislativa delle Regioni cui spetta di riempire di contenuti il quadro di riferimento disposto dal legislatore sanitario.
Da questo punto di vista il progetto del Governo è assolutamente inaccettabile, e lo dicono le varie Regioni riunite, proprio perch mantiene la distinzione, il dualismo di competenze fra Stato e Regioni fissa per le Regioni tutta una serie di particolarissime competenze ed interviene in un campo che rende completamente nulle le loro richieste.
Noi vorremmo che questo dibattito si concludesse con un ordine del giorno in cui, fra le altre cose, sia affermata la posizione della Regione Piemonte, in coerenza con gli orientamenti delle altre Regioni, contro il ventilato progetto del Governo e con la fissazione di alcuni principi base attraverso cui fare una nuova legislazione sanitaria.
La parte più interessante, più concreta, in risposta alle proposte che noi avevamo fatte nel dibattito sul bilancio, è la seconda. Qui l'Assessore ha accettato di suddividere il territorio del Piemonte in circoscrizioni sanitarie. Noi prendiamo atto di questo impegno e del fatto che non è possibile perdere altro tempo (uso le parole dell'Assessore) e formuleremo delle proposte circa il modo per giungere alla formulazione di queste circoscrizioni, suggeriamo di partire dagli studi della Provincia di Torino, che a noi sembrano molto interessanti, fatti per i settori dell'assistenza psichiatrica; a mio avviso i criteri sono validi anche per definire le circoscrizioni sanitarie in generale che suddividono la provincia di Torino in 43 zone, 22 delle quali in provincia e 21 in città.
Questa è una esperienza concreta, sono studi compiuti.
Sugli ospedali psichiatrici, su cui si è pronunciato anche l'Assessore noi chiederemo, nel quadro delle indicazioni che sono state fatte, un esplicito sostegno alle iniziative della Provincia di Torino che punta sulla creazione di servizi territoriali, variamente articolati e come anticipazioni delle unità locali dei servizi sanitari e sociali.
Per il resto, nel momento in cui la situazione ci sarà trasmessa interverremo anche in altre forme, ma per il momento, per i compiti di vigilanza che l'Assessore ha ricordato e che ci sono stati affidati sarebbe interessante, come presa di posizione, seguire l'orientamento della Provincia di Torino.
Uno degli impegni prioritari che l'Assessore ha qui posto in luce è quello dell'intervento nella fabbrica. Io non aggiungo niente poiché su questo argomento abbiamo già molte volte espresso degli orientamenti e degli impegni precisi: è stato considerato prioritario nel primo bilancio con una somma di 500 milioni, è stato assunto come impegno importante nel secondo bilancio con altri 500 milioni, c'è il documento che conclude il lavoro Giunta-sindacati che dimostra che in questo senso ci si muove e la testimonianza l'abbiamo dalle dichiarazioni rese qui dall'Assessore. Noi prendiamo atto che con questo dibattito, oltre a tutte le altre cose che si possono fare, parte una delle iniziative che noi consideriamo più importanti e più qualificanti della Regione, anche per la premessa da cui è partito l'Assessore per specificare l'impegno della Regione in questo senso, per me molto importante e della quale desidero dargli atto.
Noi le chiediamo, Assessore Armella, di riconoscere ufficialmente il documento che è emerso dagli incontri, in pratica ce l'ha già fatto con le sue dichiarazioni, ma eventualmente in un ordine del giorno si affermi che la Giunta assume ufficialmente le conclusioni di quel documento perché c' una grande attesa nelle organizzazioni sindacali. Abbiamo, per motivi diversi, perduto del tempo, devo dire che c'è anche scarsa domanda da parte dei Comuni, occorre quindi anche un'opera di sollecitazione in questa direzione. Noi siamo disponibili, per quanto ci è possibile, per la messa in atto di questo intervento così importante.
Si è parlato di un Centro regionale a livello scientifico e di un Centro di medicina sociale già istituito in occasione dell'intervento per l'IPCA. Io desidero fare, possibilmente, un discorso costruttivo: che la Giunta può istituire un Centro di medicina sociale lo abbiamo saputo nel momento in cui l'Assessore ce lo ha comunicato.
Credo che la questione debba avere un'altra dimensione e investire con una deliberazione il Consiglio Regionale.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

E' stata una dizione impropria.



BERTI Antonio

Ne prendo atto.
Noi non escludiamo a priori il Centro regionale e il Centro di medicina sociale, poniamo tuttavia una condizione, che tutto questo non vanifichi l'affermazione che poi lei fa a fine pagina di tenere unita la possibilità di controllo e di intervento che è la posizione essenziale oggi per uscire da questa situazione. Temiamo, se non intervengono altri strumenti di controllo, d'intervento, che muoversi solo in quella direzione finisca per vanificare di fatto questo che è un impegno importante.
In definitiva noi fisseremo il ruolo della Regione in questo modo: alla Regione toccano compiti d'impostazione generale, di coordinamento, di finanziamento, diciamo che la Regione deve delegare ai Comuni singoli e associati il compito di attuare con la creazione di livelli politici e tecnici di controllo e intervento a loro subordinati. Se ciò non si realizza, finiranno, credo, per prevalere gli enti ai vari livelli.
Infine, per le unità di base, che è uno degli impegni del documento Giunta-sindacati, noi le chiederemmo (è una richiesta anche dei sindacati con i quali mi sono consultato) di non stabilire un limite di otto unità di base ma fissare il lavoro per la costituzione di 25/30 unità, di cui almeno 12/15 a Torino, perché siamo convinti che la messa in opera d'iniziative di questo tipo, che può avere un iter molto più rapido là dove ci sono già delle iniziative in corso, possa immediatamente mettere in moto un interesse che può consentirci di arrivare ad un livello di unità di base certamente più elevato delle 8 di cui si parla.
Proporremmo ancora, poiché i livelli di cui si parla sono molti: distretto, unità di base, unità sanitaria locale, unità dei servizi sanitari e sociali ecc., se è possibile fissare una iniziativa, anche questa di studio, un convegno, non so, veda lei quello che è possibile fare, ottenendo il contributo anche di altre forze sindacali e politiche per approfondire il criterio di unità locale, cioè la sua articolazione territoriale, distretto e unità di base, le sue strutture edilizie (ecco che mi rifaccio all'inizio) ambulatorio, poliambulatorio, personale articolazione settoriale, servizi scolastici, del lavoro, ecc. compiendo una o più esperienze campione.
Infine (ho finito e mi scuso per la lunghezza, ma per quanti sforzi abbia fatto purtroppo non so essere molto sintetico e poi i temi proposti sono tanti e così importanti per cui qualcosa andava pur detto) uno dei problemi più importanti è la formazione del personale, c'é del personale paramedico ed operatori specializzati sanitari ed assistenziali. Se noi non affrontiamo immediatamente le iniziative per corsi di formazione professionale ai livelli che ho qui indicato, anche se marciassimo a pieno regime nelle altre direzioni, probabilmente non otterremmo, anzi certamente non otterremmo dei risultati. Quindi noi chiediamo, attraverso una legge o altre iniziative, che la Regione assuma l'impegno di promuovere attraverso corsi, borse di studio, tutto quello che è possibile, la formazione del personale necessario.
Come finiremo questo dibattito? Con un ordine del giorno in cui si dà mandato alla Giunta oppure l'Assessore dirà che presenterà, entro un certo periodo dl tempo, delle delibere o una proposta di legge in questo senso? Noi indichiamo appunto un ordine del giorno per gli aspetti di carattere politico che investono anche il Parlamento, il Governo, affinché tutto questo complesso d'iniziative trovi una sua precisa regolamentazione che può essere discussa prioritariamente da quella consulta regionale che è urgentissima e che può certamente fornire quei contributi di cui ho parlato, ma di cui ha parlato anche l'Assessore.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Rossotto, ne ha facoltà.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la relazione dell'Assessore Armella e la conoscenza dei gravi problemi che stanno paralizzando l'attività degli enti ospedalieri, la constatazione che, ritardi - e qui non vorrei entrare in polemica sulle cause di questi ritardi perché sono già ben note le denunce che per anni da parte del partito che io rappresento, sono state mosse in questo senso - ed interventi corporativistici e clientelari hanno posto il sistema sanitario del paese in condizioni di totale inefficienza e disaggregazione, impone a noi la necessità di agire con la massima tempestività.
La giustificazione di tale nostra azione trova fondamento, non solo nella situazione di scollamento oggi esistente nel settore, nella circostanza che il problema sanitario è uno dei pilastri di una vera politica sociale quale, indipendentemente da ideologie ed etichette tutte le forze politiche dichiarano di voler attuare, nella non demagogica necessità, di fronte alle pressanti richieste dell'opinione pubblica (caso principe le allarmanti e cicliche inchieste e denunce giornalistiche) e alle precise istanze dei sindacati dei lavoratori o degli imprenditori nella non demagogica necessità di prendere la parola per non dire, con parole, idee che rimarranno solo parole, ma perché in base ed in forza dell'art. 117 della Costituzione esiste una competenza primaria regionale nel campo della sanità.
Che poi, per una superata concezione culturale di cosa sia una medicina moderna nel suo triplice aspetto preventivo, curativo e riabilitativo, il Governo centrale, nell'emanare il decreto delegato n. 4 del 1972, abbia inteso il termine costituzionale "assistenza sanitaria ed ospedaliera" come giustificativo per mantenere nella sua competenza attività e funzioni non assistenziali in cui cioè prevalga il profilo della tutela della salute pubblica, con ciò impedendo una più omogenea nostra possibilità d'azione concreta, è al momento attuale, se vogliamo tracciare le linee operative d'intervento, fatto di inutile polemica.
Un dibattito che, come ha invitato l'Assessore, deve essere fonte di stimoli, d'indicazioni, d'individuazioni di linee operative non può che enunciare tali lacune e rinviare, per la loro soluzione, ad altre più specifiche azioni di lotta rivendicativa del ruolo regionale in questo campo.
Ritengo opportuno, prima di entrare nel merito e suggerire alcuni obiettivi, tracciare il quadro ed i contorni legislativi ed istituzionali nel quale siamo chiamati ad operare.
Al momento attuale ogni azione nel settore sanitario non pu prescindere dalle circostanze che, nel contingente, gran parte delle funzioni assistenziali sono gestite dagli enti pubblici erogati dall'assicurazione sulle malattie, perché le stesse non essendo di stretta competenza statale non ci sono state trasferite.
Quanto grave e quali ostacoli una tale situazione ingeneri ad un avvio di una concreta azione che possa vedere le Regioni come strumento essenziale per ristrutturare lo stato da mero produttore di diritto e di garanzie formali in stato democratico ricco di contenuti sociali e di libertà, in cui l'elemento partecipativo e di conseguente responsabilizzazione del cittadino è essenziale, e ovvio ad esso emerge anche nella relazione dell'Assessore.
Il mantenimento di un tale modulo mutualistico-assicurativo non fa che aggravare i problemi nella misura in cui l'intervento pubblico, recependo in questo senso l'istanza e le esigenze sociali, espande la propria azione e si evidenziano, in concreto, tre aspetti fondamentali delle disfunzioni: 1) l'impossibilità per organismi burocratici e verticistici, privi del controllo partecipativo degli utenti il servizio, di soddisfare gli effettivi bisogni della popolazione 2) il frazionamento dei campi d'intervento dei singoli organismi rivolti a categorie di assistiti (dipendenti statali, pubblici, privati autonomi) o a tipi di malattie (tubercoloso, infortuni, maternità) 3) la limitazione del singolo operatore sanitario dipendente dei vari organismi, a gestire e curare quella porzione di rischio che il suo organismo tutela, con la conseguente grave duplicazione d'interventi costi, frustrazioni ed incomprensioni, causa di ulteriore sfiducia negli utenti.
Il caso più significativo di una tale impostazione è quello del mancato riconoscimento da parte degli enti mutualistici, in ciò obbligati dal Ministero del Lavoro, delle rette ospedaliere approvate e ritenute congrue da un altro organo dello Stato.
Da ciò, da questo attuale stato d'incubo Kafkiano non si poteva certo uscire con la semplice costituzione delle Regioni, si poteva e si pu trovare un rimedio, con la tanto attesa legge della riforma sanitaria a legge cornice. L'ultima versione, a meno che ne esistano altre, quella all'esame delle forze vive del Paese, come Einaudi definiva sindacati e confederazioni, a parte alcuni elementi che possono essere oggetto di modifiche migliorative, se potrà divenire operante da già una chiara risposta al problema.
A parte l'augurio che una tale riforma possa in concreto divenire operante, dal suo esame e dal suo confronto con i precedenti schemi troviamo ormai definiti in concreto alcuni punti fondamentali e qualificanti tipo e formula di Governo democratico non potrà non recepire.
La loro individuazione, che mi permetterò di fare, è essenziale per accertare cose come, in attesa di detta auspicata riforma, noi Regione si debba oggi in concreto fare per evitare che domani, quanto oggi sia fatto sia fatica sprecata invece che premessa di una immediata azione.
La Regione, in questa proposta riforma, viene al assumere un ruolo fondamentale; sovvertendo l'impostazione della legge 132 del 1968, nel campo ospedaliero scompaiono gli enti ospedalieri e gli ospedali, quelli specialistici e quelli regionali e provinciali, saranno amministrati direttamente dall'Amministrazione regionale. Se questa diretta e pesante responsabilità dell'Ente Regione non saprà cogliere quelle linee dipartimentali che l'unicità di gestione consentirà, così come Berti ha anticipato, ma ripercorrerà l'iter ignaro di gestione burocratico, il fallimento della riforma non sarà colpa della legge cornice, ma di noi che dobbiamo attuarlo.
Gli enti mutualistici cesseranno la loro attività, troveranno finalmente operativa le unità sanitarie locali di cui tanto si è parlato e che in molti politici ed in quasi tutta la cittadinanza appaiono ancora come uno di quei nuovi strumenti di creazione, di poltrone, carrozzoni di serie C, attraverso i quali si vuole non riformare, ma sistemare i clienti parenti ed avversari.
Se come giustamente osservava l'Assessore Armella la prima pesante gestione che cadrà sulle spalle della gracile istituzione regionale, povera di mezzi e di uomini, sarà quella più disseminata e già in causa, quella ospedaliera, è indubbio che la Regione Piemonte non può attendere la scadenza dei termini di legge per operare.
La nostra funzione attuale è nel prossimo futuro in attesa della riforma sanitaria, certi che tanto ci vorrà ancora tempo prima che la stessa si attui non può e non deve essere una gestione, la più diligente possibile, dell'attuale stato fallimentare, cercando con abilità di porre rimedio agli errori che si evidenziano; deve all'opposto essere una programmata azione, compatibile con i limitati mezzi nostri e degli enti locali, sottoposti, atta a predisporre l'istituenda unità sanitaria locale.
Se nell'attribuzione delle competenze in materia ospedaliera possiamo fallire per motivi finanziari, per lo stato d'insolvenza in cui si trovano creditori (gli ospedali) e debitori (le mutue), noi corriamo il rischio di fallire o di determinare il caos al livello di base se, nel breve o più lungo tempo che rimane, rinunciamo ad operare per realizzare, individuare qualificare le unità sanitarie locali.
In merito già si nota tra gli studi dell'IRES, recepiti anche nel suo rapporto preliminare al piano di sviluppo regionale, e il progetto di riforma sanitaria, una grave contraddizione sull'ampiezza di tale unità.
Mentre l'IRES fa riferimento ad una popolazione di 50.000 utenti il progetto governativo parla di un ordine di 100/200 abitanti.
Ora quando opereremo sceglieremo la strada IRES o quella nazionale o ci orienteremo verso una soluzione mediatrice? Questo è un primo quesito.
Sono note, non ancora spente in questa aula le polemiche sul metodo e sul modo come si identificarono le zone omogenee poste a base delle comunità montane, sono note ai colleghi le lunghe discussioni in Commissione per restringere ed allargare quelle zone; è certo che quelle discussioni furono condizionate dall'incalzare delle scadenze imposte dalla legge per avere avuto poco tempo a disposizione, per meglio e con più serenità affrontare l'argomento.
Nel caso di specie, non trattandosi di una solinga determinazione di confini, ma di individuazioni e determinazioni di ospedali zonali: ambulatori, condotte mediche e ostetriche, dispensari tubercolari ed oncologici, farmacie, nuclei di assistenza alla maternità o all'infanzia gabinetti radiografici, centri di prevenzione infortunistica, malattie sul lavoro, il tutto in relazione a territori e popolazioni e poiché a tutt'oggi comuni, province e associazioni private operano per datore di servizi sanitari a volte anche in contrasto e in concorrenza fra di loro situazioni di estremo bisogno che in una visione della riforma sanitaria possono apparire inutili ed antieconomici, è necessario che questo lungo lavoro, questa grande rivoluzione sociale che si chiamerà servizio sanitario nazionale venga da noi che siamo i primi soggetti responsabili idoneamente preparati.
La grande novità del servizio sanitario nazionale non consisterà nell'assistenza sanitaria gratuita, che sarà erogata a tutti i cittadini come il più delle volte viene presentato, poiché già oggi malamente tale servizio è goduto dal 90 per cento della popolazione attraverso l'inefficiente sistema mutualistico. La novità costituita, dalla diretta partecipazione e responsabilizzazione, attraverso il Comitato di Gestione dell'Unità sanitaria locale, organo operativo democratico della Regione delle forze sociali e del Paese.
Se vogliamo che questo tentativo possa realizzare i suoi fini appieno e nel volgere di breve tempo, con il minimo di tempi morti, dobbiamo operare per sensibilizzare al problema la base fin da oggi.
Operare non vuol solo dire l'esame del problema al nostro livello o a quello più asfittico dei partiti o quello più ampio dei confronti con i contradditori, utili se non altro per un arricchimento culturale da parte nostra; operare non vuol dire l'indagine e le rilevazioni dei dati e la loro armonizzazione, altro elemento essenziale per meglio conoscere la realtà sulla quale dovremo incidere; operare, nel significato che voglio intendere, è responsabilizzare pubblici amministratori, operatori sanitari forze imprenditoriali e sindacali al problema.
Più volte noi politici sentiamo la diffidenza o il cumulo d'accuse che qualunquisticamente o con ben centrati obiettivi di discredito generalizzato verso la classe politica proprio da queste componenti sociali vengono, a compenso della nostra fatica, a gratificare la nostra azione.
Ascoltiamo in tutte le rivendicazioni sindacali e corporative la richiesta di una seria riforma sanitaria di cui la Regione non sia solo la controparte politica che è legittimata al dialogo, ma la protagonista della riforma stessa.
Ebbene colleghi Consiglieri, come in precedenza annunciavo, io non so se lo schema di riforme sanitarie così rapidamente bollato dal collega Berti, approntato dall'agonizzante Governo di centralità o centro-destra sarà un giorno operante; è certo che in esso esistono elementi di riforme radicali e fornite di effettivo rilancio di una soluzione dei problemi che rendono sempre più drammatico il conflitto sociale, impediscono il realizzo di quel salario reale, fondamento di una più equilibrata dinamica contrattuale tra imprenditori e lavoratori, elementi che qualsiasi Governo che realmente, a parte le formule, voglia essere democratico e aperto socialmente non può rinunciare.
Ciò vuol dire che il ruolo che la Regione sarà chiamata ad esercitare ruolo di guida, d'indirizzo di coordinamento, non può trovarci impreparati solo perché oggi un vecchio sistema, incapace a sostenere gli impulsi di spese per sopperire alle nuove esigenze e spappolato dalle istanze corporative (che non ultimi i decreti delegati di attuazione della legge 132 del '68 hanno generato) sta imponendo a noi oneri e istanze alle quali nella loro globalità, non possiamo rispondere. Sapendo grosso modo su quali linee il domani del mondo della sanità si dovrà muovere facciamo già fin d'oggi una scelta perché le poche risorse di cui oggi disponiamo realizzano alcuni elementi essenziali in quella riforma.
Invece di esaminare in concreto alcune cifre quali esposte nel piano Ires e dall'Assessore Armella e trarre da questi dati conforto e stimolo all'azione, dopo aver ricordato l'appuntamento indubbio che avremo con una realtà nuova che dobbiamo aiutare ed evidenziarsi e ciò facendo aiuteremo tante altre energie oggi assopite che ci consentiranno a superare ostacoli oggi giudicati insormontabili, vorrei, riferendomi ad un accenno contenuto nella relazione dell'Assessore Armella ricordare il grave ed assillante problema del personale paramedico.
L'avv. Armella ha qui ricordato la grave carenza di tale essenziale componente per fare della medicina un servizio sociale che prevenga, curi e riabiliti e tale carenza rende indispensabile addestrare e recepire personale paramedico così recependo le esigenze che la ricerca e l'applicazione scientifica impongono.
Egli ha ricordato come tutta la campagna giornalistica a favore dell'emodialisi che denunciò e ingenerò nell'opinione pubblica la conoscenza della carenza di attrezzature indispensabili, ben dal lontano ormai 1971 aveva visto la nostra Regione disposta ad erogare contributi per sopperire a queste lacune.
La realtà è che molti, anzi gran parte di questi impegni di spesa sono diventati residui passivi, cioè parte di quella ignominia di pubblici amministratori che hanno pochi mezzi e a dimostrazione della loro inefficienza riescono a non spenderli tutti, e ciò si è verificato, in questo settore, in gran parte perché manca il personale paramedico idoneo.
Centri di emodialisi che non possono operare perché manca il personale centri di cardiologia ove i macchinari più avanzati tecnologicamente sono inoperanti per la carenza di ugual tipo di servizi e l'elencazione potrebbe continuare come lungo rosario che dimostra il sempre maggior distacco tra la realtà che si chiama il paese che lavora, soffre, urla, odia, avanza istanze, sperimenta nuove tecniche e la realtà impersonale, informe della burocrazia che è la tutrice dell'infantilismo e velleità di un mondo pubblico che appare come l'apprendista stregone di un mirabile cartone animato di Walt Disney nel titolo "Fantasia".
Ecco, nel personale paramedico un altro appuntamento che l'attesa riforma sanitaria e la realtà sociale in movimento danno alla Regione.
In occasione della discussione sul bilancio enunciai le necessità di istituire corsi di formazione professionale per fisioterapisti, per assistenti ergogeriatrici, geriatrici, ecc.; giorni fa in occasione della discussione del piano di ripartizione dei sussidi per gli asili nido ricordai la necessità di corsi per la preparazione degli operatori richiesti dalla nostra legge come addetti a questi asili, ora il campo si dilata e le categorie, le qualificazione aumentano in ordine geometrico: laboratoristi, analisti, tecnici radiologi, infermieri specializzati nell'opera di riabilitazione, tutto un mondo di occupazione qualificata per il quale, nonostante l'estrema esigenza e richiesta, nulla o quasi nulla visti i risultati si fa. E' inutile colleghi Consiglieri che nel ciclico dibattito sullo stato previsionale o consultivo noi ripetiamo pappagallescamente i dati percentuali degli addetti che hanno lasciato il settore primario o indichiamo, come indice di allarme, un'anomala espansione del terziario perché in esso si racchiudono fenomeni di sottoccupazione tipicamente riferibili all'attività terziaria stessa. Il settore paramedico è un terziario qualificato in evidente via di espansione a cui darà una spinta di richiesta occupazionale ingentissima la riforma sanitaria, così come in effetti già l'ha determinato, nei suoi limiti modesti, la legge ospedaliera 132 del 1968.
Anche in questo settore non possiamo rimanere, noi Consiglieri regionali, ancorati a compartimenti stagni, così come non può rimanere la Giunta Regionale.
Bisogna e s'impone con il concorso di operatori pubblici privati sindacali che la Regione si faccia partecipe o meglio protagonista di una totale revisione dell'istruzione professionale.
Quale logicità sottintende spendere soldi per dare ad un cittadino la qualifica di saldatore o fresatore quando questi poi finisce di fare il normale lavoro alla catena di montaggio o peggio ad incrementare il settore terziario atipico vendendo sigarette di contrabbando, a Porta Palazzo quando all'opposto il mondo del lavoro non richiede così gran numero di saldatori ma fisioterapisti ed altri con funzioni paramediche più qualificate? Ho ritenuto così di esprimere con note dettate all'ottimismo che pu diventare realtà se operiamo oggi per un domani diverso, alcune linee guida che nel campo sanitario è essenziale la Regione percorra. La drammatica situazione attuale, la carenza di moderne attrezzature ospedaliere, la difformità tra cifre e dati sulle eventuali unità sanitarie locali fa emergere concretamente che anche nel settore sanitario per l'arretratezza congenita di un paese fino al 1945 legato ad un'economia strettamente agricola, per la susseguente ondata immigratoria, per il generale miglioramento del tenore di vita, si è determinata una richiesta d'interventi di mole tale che obiettivamente sarebbe irresponsabile dire che faremo ogni sforzo per arrivare al livello ottimale.
Ciò dico perché i 450 miliardi previsti dall'Assessore Armella nella sua relazione come spese correnti del servizio in Piemonte e i 237 miliardi previsti dal Piano preliminare '72/75 Ires, come spese d'investimento generatrici di nuove spese correnti, non possano essere obiettivamente confrontate con il nostro bilancio che ammonta nel '73 a 63 miliardi.
Con il massimo degli impegni, con il maggior sacrificio che sarà possibile imporre agli amministrati sarà molto se entro breve tempo riusciremo a sdrammatizzare l'attuale situazione di caos; inizio questo per una continua lotta per migliorare strutture e servizi.
Per raggiungere questi obiettivi l'azione della Regione e della Giunta si deve articolare a vari livelli: quello nazionale, nei confronti del governo centrale, per ottenere sempre più larghi mezzi finanziari presupposto d'ogni intervento e per una sollecita attuazione della predisposta legge di riforma sanitaria; a livello locale con pieno accordo sulle proposte, dell'Assessore attraverso l'ausilio della commissione sanitaria, per una prima seria proposta di attuazione, attraverso il dialogo con le forze vive della Regione, di un primo studio di individuazione dei concreti interventi per realizzare le future unità sanitarie locali.
A livello di rapporto con gli enti locali, portatori legittimi di responsabilità nel campo sanitario, l'individuazione degli interventi specifici e per settore di competenza, per evitare inutili doppioni e nel contempo, attraverso l'aiuto alla realizzazione al loro livello, di consorzi sanitari tra comuni, dare avvio all'unificazione delle strutture di base dell'istituenda Unità sanitaria locale e all'armonizzazione di quei presidi esistenti esaltando quelli validi ed evitando inutili ulteriori spese per quelli che non avranno più ragione di esistere.
Operando su queste linee ritengo, con modestia che le parole che oggi qui diciamo potranno veramente aiutare a realizzare un salto di qualità nella vita sociale della nostra Regione.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Ordine del giorno per la difesa dell'occupazione alla ditta Castor-Zanussi (seguito)


PRESIDENTE

Se il Consiglio consente tornerei per un momento a quell'ordine del giorno che è stato presentato nella forma definitiva, poi continuiamo la discussione, salvo che arrivino i rappresentanti della FIARO che hanno chiesto di essere ricevuti, per cui in quel caso sospenderei un momento la riunione per convocare i Capigruppo e i membri della Commissione Sanità.
L'ordine del giorno, nel testo nuovo e definitivo, è in questi termini: "Il Consiglio Regionale del Piemonte, con riferimento alle determinazioni già assunte in merito ai problemi della Castor-Zanussi, in data 20 novembre 1972, 16 gennaio 1973, 19 febbraio 1973 tenute presenti le dichiarazioni del Consiglio di fabbrica dei Comuni di Rivoli e di Grugliasco, del Comitato intercomunale per la difesa dell'occupazione a conoscenza del fatto che le nuove proposte avanzate dall'azienda in sede di Unione Industriale il 2 maggio '73 non corrispondono all'accordo stipulato il 13 marzo 1973 in sede ministeriale tra l'azienda stessa e le rappresentanze sindacali, in quanto la riconversione, come annunciata determinerebbe un notevole occupazionale, specie femminile ed impiegatizio mentre le prospettive di riconversione produttiva non orientandosi verso forme diversificate fanno prevedere ulteriori perdite di posti di lavoro preso atto in particolare del documento del Comitato intercomunale per la difesa dell'occupazione impegna il Presidente della Giunta e la Giunta stessa ad intervenire con urgenza e con fermezza presso il Ministero del Lavoro, quale garante degli accordi del 13 marzo 1973 perché vengano rispettati integralmente gli accordi stessi".
L'ordine del giorno reca le firme di: Lo Turco, Garabello, Beltrami e Viglione ed è stato dichiarato accettato dalla Giunta e dall'Assessore Visone.
Nessuno chiedendo la parola per illustrarlo, perché si illustra da s lo porrei in votazione. Chi lo approva è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato all'unanimità.


Argomento: Assistenza e sicurezza sociale: argomenti non sopra specificati - Sanita': argomenti non sopra specificati

Continuazione del dibattito sui problemi della sanità e dell'assistenza (seguito)


PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Viglione, ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, abbiamo ascoltato con interesse le due relazioni degli Assessori Vietti ed Armella. Non possiamo nasconderci e l'ha già detto anche il collega Berti, che sono apprezzabili essendo mutato l'orientamento che, soprattutto, l'Assessore Armella, aveva espresso nel corso della consultazione della IV Commissione. E' certo che le relazioni portano un contributo alla soluzione dello scottante problema che non è della sanità e dell'assistenza divisi (il dibattito oggi soffre di questa ipoteca, se così la vogliamo chiamare, della divisione nella discussione fra la sanità e l'assistenza, tant'è che pare ormai si siano formate due correnti, una di esperti dell'assistenza e una di esperti della sanità) ma della sicurezza sociale, la quale comprende tutto l'arco della vita umana. Carattere positivo dunque delle due relazioni anche se non del tutto soddisfacente. Se pensiamo infatti al ruolo che ha avuto la maggioranza della Regione Piemonte nel luglio del 1971, quale antesignana di una svolta a destra, con la rottura di un certo processo riformatore dobbiamo constatare che malgrado ciò qualche passo innanzi si è fatto.
Abbiamo ancora l'occupazione dell'ospedale di Moncalieri, cui ha fatto seguito quella del nosocomio di Ciriè, cui faranno seguito certamente quelle degli ospedali pilota come le Molinette ed altri, non vorremmo che fosse stato fatto questo passo innanzi, trascinati dagli avvenimenti di carattere popolare o di massa come si dice, che per una intima convinzione dei due Assessori. Ma non vogliamo avere riserve mentali, quindi lo accettiamo per quello che è e lo verificheremo nei fatti.
Diciamo che le due relazioni non sono però del tutto soddisfacenti perché tralasciano alcuni problemi fondamentali; il più importante è quello politico. Abbiamo ascoltato le linee direttrici di quello che dovrebbe essere l'intervento della Regione, ma il problema politico centrale determinante, per quanto riguarda la riforma del sistema, non è stato esaminato.
Vogliamo la politica delle riforme. Dalle due relazioni è parso che un certo inizio di questo processo riformatore sia venuto avanti, per ripetiamo, il problema della volontà politica della maggioranza è stato totalmente tralasciato e quindi è un fattore del tutto negativo che pesa inevitabilmente nella determinazione ultima di quelle che saranno le scelte che la Regione andrà a compiere. Non una parola è stata spesa dai relatori della maggioranza sull'attuale situazione politica nazionale sull'indirizzo che il governo Andreotti, o meglio Andreotti-Malagodi, oggi va portando innanzi, nonostante che quanto sta avvenendo nel Paese sia del tutto opposto a quello che è l'indirizzo che si va proclamando.
Allora se siete stati gli antesignani della svolta a destra del luglio del 1971 fermando il processo riformatore (perché il progetto di riforma sanitaria lo avevamo presentato fin dal 1969), se siete stati gli iniziatori in campo regionale dell'arresto di questo processo riformatore per ribaltarlo in campo nazionale, chiediamo se siete ciechi o in mala fede.
Una critica implicita nelle relazioni a quella che è stata la vostra condotta passata io non l'ho sentita. Voi accettate oggi, per la parte tecnica e non per la parte politica, l'indirizzo di riforma, ma se nello stesso tempo non formulate un'autocritica per tutti questi anni di immobilismo, non si farà mai un passo innanzi, non si coglierà mai alcuna occasione per fare veramente qualcosa di nuovo. Né avete speso una parola su quello che rappresenta oggi il governo Andreotti, cioè sull'esatto punto di rottura fra riforma e restaurazione. Quando parlate di riforme che non può fare la Regione, ma che voi attendete dal governo nazionale, delle forze di maggioranza che oggi governano il Paese, dovete esaminare anche le condizioni politiche, il quadro politico in cui collocate tutto questo; voi siete sfuggiti in gran parte all'attività della Regione per ribaltare in campo nazionale le responsabilità e le linee direttrici in cui dovrebbe muoversi il Governo.
Non avete esaminato tutto questo, non avete rappresentato questo punto di rottura fra riforma e restaurazione e quindi vi è il sospetto un'ipoteca che grava sulle vostre relazioni, sulle intenzioni che avete espresso.
Noi riteniamo che tutto questo sia una copertura che nasce oggi sotto la pressione delle condizioni ospedaliere, tutte le nostre parole forse domani o dopo domani non saranno servite a nulla perché nel momento in cui gli ospedali del Piemonte, o le istituzioni sanitarie del Piemonte salteranno, tutte le nostre parole non saranno servite assolutamente a nulla. E allora parliamo del governo regionale, visto che ad un certo momento si vuole ribaltare in campo nazionale quelle che sono le responsabilità. Ma come potrete preparare le condizioni di un'autentica riforma dell'assistenza e della sanità proprio voi che siete stati gli antesignani dell'arresto del processo riformatore? La nostra è stata l'unica Regione che ha iniziato questo processo che si è poi ribaltato in campo nazionale, perché la Lombardia, la Liguria e tutte le altre Regioni che erano al governo di centro-sinistra hanno mantenuto quella formula che voleva dire il mantenimento di questo processo riformatore. Voi invece nel luglio del 1971 avete ritenuto di agire diversamente. Quindi mancate anche di un appoggio popolare, che è essenziale per un'autentica riforma nel campo dell'assistenza e della sanità.
Manca totalmente un indirizzo programmatorio e ciò non soltanto nel campo della sanità e dell'assistenza campo nel quale siete costretti a presentare un giorno un indirizzo, alla Commissione il giorno dopo, sotto la spinta degli avvenimenti, tutt'altro indirizzo (che è quello che oggi avete espresso).
Quando si parla in campo regionale della sanità e dell'assistenza, in sostanza si vuole parlare della riforma in senso generale della sanità e dell'assistenza che non è soltanto una prestazione di servizio ma un modo nuovo di intendere il problema.
Riforma per noi significa gestione democratica della salute o meglio dell'intero arco della sicurezza sociale. Che cosa vuole dire? Vuol dire che non si è più soli né di fronte ai bisogni della vita, né di fronte alla malattia. Ma l'intera società è partecipe delle necessità e dei bisogni dei singoli.
Anche sotto questo aspetto è un problema politico e non potete limitarvi ad elencare una serie di strutture edilizie o di servizi sanitari che vanno riformate come si rileva nella relazione dell'Assessore. No, sono le grandi scelte che vanno fatte, quelle che il Paese va chiedendo e che sono scelte prioritarie. L'Assessore Armella accenna a 450 miliardi per la Regione Piemonte, a 5.000 miliardi per la sanità in campo nazionale, si parla di mille miliardi per l'assistenza e si accenna ad un arco che copre 6.000 miliardi con le risorse del nostro Paese, ma se non si parla di scelte prioritarie sarà impossibile trovare le risorse nel quadro confuso di una riforma, senza delle scelte che incidono profondamente nel tessuto della nostra società. Infatti non si tratta di elencazioni di piccole cose che debbono essere fatte, si tratta di investimenti colossali che debbono tener presente la scelta, della salute e dell'assistenza che prioritariamente, rispetto ad ogni altro problema, assorbono le risorse che non sono illimitate nel nostro Paese.
A questo punto bisogna fare un lungo discorso, sulle scelte: si vogliono quelle delle autostrade, dell'automobile, della consumistica, o si vogliono veramente quelle della salute, dell'assistenza, della scuola della casa che sono i beni durevoli, i cosiddetti consumi sociali per i quali ci battiamo? Se non si agisce nel quadro di questa autentica riforma democratica non si conclude nulla. Ha già detto in precedenza il Consigliere Berti che il decretone ha ripianato il deficit delle mutue, ha ripianato o ha tentato di ripianare? Abbiamo speso alcune centinaia di miliardi e oggi a che punto ci troviamo? 90 miliardi il Piemonte, 1.500 o 1.800/2.000 quant'é in campo nazionale, questo è il debito verso la salute che hanno le pubbliche istituzioni.
Le due relazioni, apprezzabili per le cose che hanno detto e per le opinioni che hanno espresso, che sono totalmente diverse dal processo che era iniziato nel 1971, sotto questo aspetto evidentemente sono manchevoli.
Anche sull'unità sanitaria locale e sull'unità locale dei servizi non si è spesa una parola da parte del Governo, si è detto che il sistema si articolerà attraverso le unità di base ma non si è detto che cosa rappresentano i due momenti dell'unità sanitaria locale e dell'unità locale dei servizi, sembrano due fatti staccati, per cui se questo processo andasse avanti per quanto attiene all'Assessorato all'assistenza e a quello alla sanità, avremmo un doppione che si manifesterebbe a livello di ogni servizio con l'unità sanitaria locale e l'unità locale dei servizi.
Non si tratta qui, colleghi Consiglieri, di costituire degli ambulatori (spesso si vede l'unità sanitaria locale attraverso una struttura edilizia per un gruppo di paesi, con degli ambulatori che dovrebbero provvedere ai malati o anche agli assistibili anziani) ma dell'incontro tra l'autentica riforma, la capacità della Regione di esserne interprete e la gestione di massa.
Vi è poi un argomento che è stato accennato solo vagamente ed è l'esclusiva attribuzione alle Regioni, per l'art. 117 dell'intera materia.
Sì, è vero, a volte abbiamo anche pianto nel dire che i decreti delegati non rappresentavano l'esatta interpretazione costituzionale, però al di là di questo, l'atteggiamento politico che avete tenuto è stato nullo, perch non c'é stato in Parlamento un processo nuovo da parte della maggioranza mi pare che gli unici decreti delegati sono stati emanati dall'ultimo governo di centro-sinistra, dopo di che non si è fatto assolutamente nulla.
Se vogliamo vedere a fondo il problema politico, dobbiamo ancora analizzarlo sotto altri aspetti. Una pubblicazione di questi giorni ha rilevato come il governo abbia sottratto mille miliardi (residui passivi al 1972) che andavano distribuiti alle Regioni e che sarebbero serviti anche per la sanità e l'assistenza; non potete ignorare, perché governate, che questi fondi sono stati sottratti con dei decreti di impegno di spesa.
Il problema è quindi politico, non tecnico e su questo punto avete taciuto del tutto, non avete speso una parola. La relazione tecnica la possiamo fare in ogni momento, rappresenta spesso la città del sole, ma non è con la cittadella delle buone speranze che si possono fare cose nuove.
Aspetteremo quindi le vostre risposte anche sull'atteggiamento che il governo mantiene nei confronti della Regione bloccando ogni iniziativa.
Proprio l'altro ieri il governo ha bocciato la legge della Lombardia per il prefinanziamento della casa, che pure è un servizio sociale e rientra nel campo generale della sicurezza sociale come noi la intendiamo, non solo dell'assistenza. Voi sapete che erano stanziati miliardi per il prefinanziamento della casa ed è stata impugnata alla Corte Costituzionale.
Ma ritorniamo al dibattito sulla sanità e sull'assistenza. In effetti l'Assessore, pur se in certa parte della sua esposizione assai apprezzabile, tuttavia, sotto la spinta della drammatica situazione degli ospedali, ha finito per trattare nella parte centrale il problema ospedaliero e ha rilevato come la situazione creditizia degli ospedali del Piemonte, di 90 miliardi, si ribalti poi sul piano nazionale in una misura che oggi nessuno è in grado di formulare.
Voi avete visto la situazione che si sta maturando, notizie di oggi dicono che la protesta degli ospedalieri non è soltanto per salario, ma è anche indirizzata verso le riforme e quindi si estenderà a tutto il Piemonte. E' illusorio credere di poterne uscire con dei palliativi, la soluzione viene soltanto con la riforma generale della struttura sanitaria e assistenziale, ma abbiamo visto come sia difficile avviare la riforma.
Voi parlate delle unità di base che dovrebbero prefigurare la riforma sanitaria, mentre noi intendiamo la riforma come primo passo verso la gestione democratica della salute, per avere la possibilità di essere un autentico processo riformatore, caratterizzato dall'elemento della prevenzione. Per sbloccare la situazione degli ospedali occorre realizzare un'autentica prevenzione negli ambienti di lavoro, e non parliamo soltanto della fabbrica, ma anche delle campagne dove spesso per le condizioni sociali in cui la gente vive sorgono fin dalla prima infanzia dei fatti che possono perdurare costantemente e pesano sull'intera società. Ed ancora bisogna rivolgere l'attenzione ad altri argomenti: non avete mai guardato il vecchio centro di Torino dove migliaia di immigrati vivono in vecchi caseggiati malsani, antigienici, dove i bambini non hanno né verde n spazio per giocare. Se non si elimina questa situazione come si eliminerà la malattia che tende ad ingenerarsi fin dalla prima infanzia, fin dalla nascita. Che misure prenderete per impedire che ciò avvenga? Non ce l'avete detto.
Il Consigliere Berti ha già accennato al personale paramedico. Il personale paramedico fino adesso è stato tutto a carico degli ospedali i quali si sono fatti parte diligente per creare internamente le scuole professionali, le scuole degli infermieri generici, le scuole di radiologia, di laboratorio. Sono tre anni che la Regione funziona, ma quali iniziative sono state prese? L'ospedale di Cuneo ha 245 posti di infermiere professionale e mi pare che ne siano ancora scoperti 170 o 180 perché non c'è personale. Quante infermiere professionali, al di fuori degli ospedali vi sono che diano una certa garanzia? Non ce ne sono, manca il personale paramedico. Dovete dirci come vorrete utilizzare le unità sanitarie locali affinché sugli ospedali non si abbatta tutta l'assistenza sanitaria; dovete dirci come questo processo avverrà, altrimenti l'unità sanitaria locale si limiterà ad essere soltanto quello che il medico condotto è oggi. Ma dovete dirci come indirizzate l'unità sanitaria locale.
Sul legame che vi sarà tra la ricerca, l'Università, l'elaborazione dei dati, la programmazione, le grandi apparecchiature moderne che servono per le indagini di massa, non molto è stato detto. E neanche sui nuovi impianti ospedalieri. Qui c'è un lungo discorso da fare.
Assessore Armella, quando siamo andati in Commissione per parlare del piano ospedaliero che cosa ci è stato risposto. Che il piano ospedaliero era ancora il vecchio piano che aveva fatto quella speciale Commissione nel '65/66 e che non rispecchiava assolutamente più le esigenze attuali.
Potevate fare qualche cosa per prefigurare la nuova riforma sanitaria invece dopo tre anni il piano ospedaliero non c'è, una Commissione cosiddetta di esperti non è stata ancora formata, si è chiesto specificamente in sede di IV Commissione che si costituisse un comitato che rappresentasse gli enti locali, che fosse democratico, invece si legge genericamente nella relazione dell'Assessore Armella che sarà costituito ma fino ad oggi del lavoro non è ancora stato fatto.
Ecco perché diciamo che l'intervento sulla sanità non ci soddisfa quanto scritto nella relazione è interessante, ma poco credibile per la semplice ragione che non emerge una precisa volontà politica.
Per ora limito il mio intervento alla sanità e mi riservo successivamente di intervenire anche per l'assistenza.



PRESIDENTE

Mi è stato comunicato che è arrivata la delegazione della FIARO.
Sospendo quindi brevemente i lavori del Consiglio e convoco i Capigruppo per l'incontro con l'organizzazione.



(La seduta, sospesa alle ore 18, riprende alle ore 18,30)



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE OBERTO


Argomento:

Documenti - Assegnazione a Commissioni


PRESIDENTE

La seduta è riaperta.
Informo il Consiglio che è pervenuto un progetto di legge regionale presentato dai Consiglieri Nesi, Calsolaro, Fonio, Simonelli, Viglione in data d'oggi, che ha per oggetto: "Istituzione dell'Ente per lo sviluppo dell'artigianato piemontese".
Ritengo di assegnarlo ancora alla VI Commissione la quale, come appendice, rimane titolare del problema relativo all'artigianato e siccome questo si incardina sugli altri progetti, penso che valga la pena di collocarlo in quella sede e in questo senso dispongo.


Argomento: Assistenza e sicurezza sociale: argomenti non sopra specificati - Sanita': argomenti non sopra specificati

Continuazione del dibattito sui problemi della sanità e dell'assistenza (seguito)


PRESIDENTE

Desidererei sapere quali Consiglieri intendono intervenire sul dibattito aperto "sanità e assistenza", io ho iscritti i Consiglieri Fabbris, Conti e Viglione.
Se nessuno chiede di parlare dichiarerei chiusa la discussione di carattere generale.



VECCHIONE Mario

Non sono tutti in aula.



PRESIDENTE

Il Consigliere Beltrami si iscrive a parlare. Allora Viglione, Fabbris Conti e Beltrami.
La parola alla Consigliera Fabbris, poi Viglione, Conti e Beltrami.



FABBRIS Pierina

Colleghi Consiglieri, io credo che il discorso che stiamo facendo oggi sulla sanità e sull'assistenza sia molto importante ed io mi soffermer particolarmente su alcuni aspetti che riguardano l'assistenza non perch come ha detto Viglione, i due argomenti siano separati, ma perché penso che occorrano alcuni approfondimenti specifici.
Io credo che il discorso su questa materia non possa prescindere dalle osservazioni fatte da noi e da tutti gli altri Consigli Regionali circa i limiti dei decreti delegati, ma nemmeno dalla situazione generale nella quale operiamo.
Io non ho intenzione di entrare nel merito di questa tematica perché ci porterebbe molto lontani. D'altra parte è ben presente a tutti noi quale sia l'enorme complessità del settore nel quale operano oltre 40.000 enti che esercitano le attività più disparate che vanno dall'elemosina spicciola alla gestione di servizi di interesse collettivo e che dovrebbero essere invece gestiti dall'ente pubblico, dall'ente locale, come per esempio gli asili nido, le scuole materne, i doposcuola, gli istituti, l'assistenza in senso generale, cioè il servizio sociale.
Anch'io penso che sia impossibile parlare di riforma dell'assistenza prescindendo dai problemi generali, cioè dalla riforma della casa, della scuola, della sanità, dell'assetto del territorio, perché sono problemi risolvendo i quali è chiaro che si affronta una parte di quei bisogni dei cittadini che creano insoddisfazioni, problemi sociali.
E' anche impossibile, secondo me, parlare di bisogni sociali prescindendo dall'analisi delle recenti trasformazioni socio-economiche avvenute e tuttora in corso e dagli squilibri presenti nell'organizzazione e nella struttura della nostra società. Per risolvere alla radice il problema dell'intervento sociale facendo sì che esso diventi servizio, che soddisfi tutti i bisogni del cittadino, facendolo diventare un suo diritto occorre non solo risolvere ed affrontare il problema delle riforme in senso generale, ma bisogna coinvolgere una somma ingente di capitali per orientare lo sviluppo di una serie di servizi sociali affinché questo diritto del cittadino (al servizio) diventi una cosa reale.
Questi sono alcuni presupposti fondamentali dai quali mi sembra non possa prescindere il discorso generale sulla necessità di una riforma dell'assistenza che è una parte importante delle varie riforme per le quali il movimento operaio in primo luogo si è battuto, ed i vari movimenti politici concordano si debba raggiungere.
E' chiaro però che questo ci impone determinate scelte e oggi ci troviamo nelle condizioni di dover adempiere all'attuazione di impegni che ci sono stati trasferiti con i decreti delegati e nell'attuazione di questi impegni dobbiamo, a mio parere, fissare criteri e linee di carattere generale tenendo conto che si tratta di un intervento provvisorio, in attesa di quello che sarà l'espletamento pieno e completo delle funzioni della Regione prevista dalla Costituzione. Pur tuttavia, nell'ambito di questi limiti, per evitare che si creino dei vuoti tra quello che bisogna fare subito e quello che si dovrà fare poi, quando ci sarà la riforma bisogna fare in maniera che ciò che si fa subito sia fatto nell'ambito della linea generale che presuppone l'attuazione del servizio sociale.
Ed è su questo in particolare che io vorrei soffermarmi brevemente oltre ad alcune osservazioni che intendo fare su altri argomenti.
Nella relazione dell'Assessore Vietti si sottolinea la validità dei contenuti usciti dal convegno di Bergamo degli Assessori regionali sui decreti delegati che vanno verso una linea generale del settore dell'assistenza e verso la creazione di un servizio sociale. Tra questi principi e il modo di operare della nostra Giunta, così come risulta anche dalla prima parte della relazione che ci è stata consegnata, mi sembra che ci sia qualcosa che non funziona; cioè più che andare alla ricerca di una linea alternativa a quella dell'attuale sistema di erogazione di un servizio, si va alla ricerca di misure, di iniziative che vanno verso l'efficientismo dell'attuale sistema. Io mi permetto di insistere su questo perché - e ne abbiamo parlato recentemente in occasione della discussione sul bilancio 1973 - l'impegno previsto ad esempio al capitolo 1172 risulta essere l'unica spesa di investimento adottato dalla Giunta per quanto riguarda il settore degli anziani; essa si propone, con un investimento di 300 milioni, di dare un contributo trentacinquennale a Comuni, Consorzi Enti ecc. per migliorare le strutture per il soggiorno e l'assistenza agli invalidi e agli anziani bisognosi.
A me sembra che questo modo di operare non dimostri la volontà di ricerca di un'alternativa, ma al contrario si proponga il mantenimento dell'attuale servizio, magari meglio attrezzato, con strutture più moderne più funzionali, ma che tuttavia rimane sempre organizzato sulla base di Istituti.
Io mi rendo conto che c'é una parte dell'attuale struttura che non pu essere distrutta, però dal non distruggere al far sì che la cosa possa essere funzionale solo in via transitoria, impostando un'attività che mette in primo piano un intervento di questo tipo e non l'alternativo, diventa una contraddizione tra i principi che si assumono a livello politico e di orientamento e il modo di operare.
Questa è la prima osservazione che mi sento di fare e che viene dall'esame di una serie di altre attività che ci sono state trasferite dallo Stato. Per cui io mi permetto di fare una proposta in relazione ad un'iniziativa che era già stata presa a livello degli Assessori, di riprendere cioè i contatti con gli Assessori delle altre Regioni per sollecitare a livello nazionale la definizione di questa legge quadro che ormai, sappiamo tutti, è matura; conosciamo anche i progetti di legge esistenti, sappiamo che sono cinque, ne conosciamo i contenuti di cui una parte l'Assessore Vietti ce l'ha illustrata nella sua relazione. Io penso che non sarebbe male se ci fosse un dibattito, indipendentemente dall'attività del Consiglio, sui contenuti di questi progetti. Potrebbe essere un'iniziativa presa dalla Giunta, in collaborazione con i promotori dei progetti stessi per dibattere i contenuti sui quali si basa la riforma di questo importante settore. Penso comunque che il discorso meriterebbe che fosse ripreso a livello degli Assessori, continuando i contatti iniziati in occasione dei decreti delegati e poi interrotto dopo il convegno di Bergamo. Contemporaneamente mi sembra che sarebbe giusto portare a livello dell'attività di tutti i giorni gli orientamenti di questa nuova politica assistenziale per anticipare la creazione di un servizio che dà allo Stato il compito di fissare le linee principali entro le quali si deve erogare l'assistenza; fa della Regione l'Ente programmatore e soprattutto si cala nel Comune il momento attuativo.
E qui, a proposito del valore che viene ad assumere il Comune nel ruolo di gestore di tutto il servizio sociale, penso che un'altra iniziativa debba essere proposta, quella di arrivare rapidamente ad una legge di soppressione degli enti nazionali. Sappiamo tutti che ci sono delle intese politiche per arrivare al superamento degli enti. Io penso che il compagno Lo Turco, quando l'altro giorno parlava della convenzione con l'ONMI intendesse sollecitare un'iniziativa da parte della Regione nella duplice direzione: la prima nella ricerca dell'aiuto che la Regione può dare ai Comuni per stimolare l'ONMI ad arrivare alla democratizzazione del servizio e quindi ad una gestione da parte del Comune dei servizi che attualmente sono dell'ONMI; la seconda nella sollecitazione dell'Assessore, magari in collaborazione con gli Assessori delle altre Regioni, nei confronti della presidenza dell'ONMI nazionale per ottenere l'adozione di convenzioni che consentano una gestione nuova, democratica di questo tipo di servizio. Ma ciò che mi preme di sottolineare è che insieme con gli altri Assessori si faccia un passo nei confronti del governo per sbloccare l'attuale situazione e arrivare ad una decisione a proposito dello scioglimento degli enti. Noi diciamo che nell'applicazione della legge sugli asili nido vale la legge nazionale, vale la legge regionale, valgono i criteri che abbiamo stabilito, ma conosciamo benissimo la prepotenza dell'ONMI nazionale che pretende di dare il suo beneplacito alla funzionalità di tutte le strutture per l'infanzia. Mentre noi vogliamo agire in maniera che sia il Comune l'ente, il perno attorno al quale si incentra l'intervento sociale e abbiamo anche già delle iniziative in tale senso (vedi la legge sugli asili nido) se non riusciamo a sbloccare altre cose siamo continuamente in difficoltà ad operare concretamente. Quindi mi permetto di insistere sulla proposta di un'iniziativa coordinata con le altre Regioni per arrivare al superamento degli enti di carattere nazionale.
Nell'ambito dell'attività che andiamo svolgendo tutti i giorni, io desidero esprimere ancora alcune riserve sul modo in cui vengono erogate le somme per alcuni servizi e fare anche qui delle proposte.
Innanzi tutto vorrei parlare di un argomento che ci sta a cuore e che è di questi giorni: le colonie.
Già l'anno scorso siamo intervenuti per vedere di muoverci in una maniera diversa. Per essere breve sottopongo alla vostra attenzione quanto è stato fatto dal Consiglio Regionale della Lombardia: nel 1972 quell'ente (com'è stato fatto nella Regione Piemonte) ha risolto il problema delle colonie estive e invernali attraverso enti privati che hanno gestito il servizio. Contemporaneamente hanno posto allo studio il problema per il 1973: non so se l'Assessore è in possesso di questo documento, io posso fornirglielo, si tratta di una deliberazione della Giunta approvata dal Consiglio che determina i criteri e le modalità per l'erogazione dei fondi per l'assistenza estiva in favore dei minori per il '73, criteri con i quali si privilegiano le iniziative dei Comuni o loro Consorzi.
E' chiaro che tale intervento ha dei limiti, non lo escludo, voglio però sottolineare che, pur con certi limiti, la Regione Lombardia ha compiuto la scelta di impegnare direttamente i Comuni ad assumersi l'onore e l'onere di portare avanti l'attività delle colonie, quale momento della politica dell'ente locale verso l'infanzia. Che poi il Comune, se non ha una sua struttura, una sua attrezzatura, possa ricorrere agli enti privati questo è un altro discorso. Il problema di fondo è che intanto i Comuni investiti, impegnati, stimolati in questo compito che viene loro affidato dalla Regione, sono tenuti ad affrontare il discorso della colonia estiva in rapporto all'utilizzazione del tempo libero dei ragazzi nell'ambito dell'attività formativa, associativa dei bambini, nel periodo estivo. Tutto questo è strettamente collegato alla linea futura, in relazione a ciò che intendiamo creare di nuovo utilizzando quei pochi spazi, quei pochi mezzi che ci vengono forniti dai decreti delegati.
Non so se è già stata impostata l'attività per l'assistenza estiva; c'è però ancora da impostare il lavoro per l'assistenza invernale penso e quindi, mi permetto di fornire il documento della Lombardia all'Assessore ed inoltre di chiedere che si esamini la possibilità di modificare anche nella nostra Regione l'impostazione di questa attività. Inoltre chiedo che ogni decisione in materia (determinazione dei criteri, modalità per l'erogazione dei fondi ecc.) così come è stato fatto per gli asili nido venga assunta ufficialmente dal Consiglio dopo avere esaminato il materiale preparato dalla Giunta. Anche qui c'è un problema di funzionalità democratica del Consiglio. Non è giusto che, pur nelle difficoltà nelle quali ci troviamo ad operare, venga tutto stabilito attraverso l'impegno e le decisioni dell'Assessore o addirittura attraverso la delega dell'Assessore ai funzionari per impegnare, come è già capitato....



VIETTI Anna Maria, Assessore ai servizi sociali

A fare il mandato.



FABBRIS Pierina

Il discorso è diverso. Comunque, indipendentemente da ciò, resta il fatto che noi, per esempio, in Consiglio non abbiamo mai parlato delle colonie. Sulle cifre spese veniamo resi edotti dal bilancio e dalle notizie pubblicate sul Bollettino Ufficiale, ma non abbiamo mai parlato di come sono state organizzate, da chi, per assistere quanti ragazzi, con quale attività ecc. Quali garanzie abbiamo che l'attività, per esempio, di carattere sociale formativa venga veramente realizzata? A quali difficoltà si trovano di fronte i Comuni se noi li investiamo di questa responsabilità. Io credo che anche questo debba essere un argomento da dibattere in futuro.
Un altro settore di attività sul quale desidero soffermarmi è quello che concerne l'assistenza agli anziani. E' un grosso problema che coinvolge sempre più l'impegno degli enti locali, perché appunto in questa direzione vengono esercitate pressioni sempre maggiori da parte non solo degli interessati ma anche di coloro che si trovano ad operare in questo campo di attività. Ed è un problema la cui entità ha tendenza ad accrescersi enormemente per sua natura, perché, come tutti sappiamo, cresce l'età media della vita.
Su questa questione ho già fatto qualche accenno a proposito della scelta che dobbiamo compiere fra il tendere a rafforzare il sistema delle case di riposo oppure l'avviarci verso una soluzione alternativa.
L'alternativa quale può essere? Dico "può" perché è evidente che ci troviamo ad operare in un campo in cui poche sperimentazioni sono state fatte, ed alcune con risultati poco soddisfacenti. Un primo obiettivo che si deve proporre la Giunta é, secondo me, quello di fare una legge che preveda provvedimenti incentivanti per tutte quelle iniziative alternative per l'assistenza agli anziani che vengono promosse soprattutto dai Comuni.
In questo ambito io credo che debba essere esaminata con l'Assessorato competente la possibilità di puntare non tanto alle grosse strutture in cui ospitare gli anziani quanto piuttosto alla determinazione di vincoli per cui, ad esempio, in ogni casa popolare, o in ogni gruppo di case che vengono edificate, creare dei mini-alloggi a prezzo accessibile, da destinare agli anziani per fare in modo che possano rimanere nell'ambito del proprio contesto sociale.
Inoltre, approfondire il discorso sull'attività di assistenza sociale e sull'impegno di organizzare servizi alternativi, significa anche affrontare la grossa questione del personale. Infatti a mano a mano che ci accostiamo ad esaminare i vari settori di attività (assistenza agli anziani assistenza ai minori, asili nido), ci accorgiamo che al momento di tirare le somme per cercar di prefigurare su quali basi e in qual maniera si deve strutturare il servizio, dobbiamo sempre fare i conti con la necessità di personale. Io penso pertanto che il dibattito si debba concludere con l'impegno del Consiglio di approvare prima dello scadere della sessione estiva una legge per la formazione del personale, di tutti gli operatori sociali che sono necessari per coprire le richieste che già oggi esistono per soddisfare i servizi esistenti e quelli programmati.
A proposito dell'indagine conoscitiva illustrata dall'Assessore, mi permetto di fare alcune osservazioni, ricalcando in parte quanto in questo senso ha già detto Berti. Mi sembra che questa indagine, a giudicare da quanto è stato detto qui, si proponga soprattutto l'obiettivo di esaminare la struttura delle attuali istituzioni, per darci un quadro di quanti sono gli istituti per i minori, per gli anziani, ecc e le notizie delle condizioni in cui si trovano; che non sia finalizzata verso la creazione di un tipo di servizio che vogliamo creare in alternativa in relazione all'orientamento che noi vogliamo portare avanti. Per quanto riguarda i minori, ad esempio, verso quale scelta ci rivolgiamo? La microcomunità? La creazione di centri di riabilitazione? La creazione di momenti riabilitativi all'interno delle attuali strutture? Le possibilità sono svariate. Sarebbe opportuno prevedere la creazione di uno strumento - non so bene quale, ma potrebbe essere una commissione, un gruppo di lavoro sul quale la Giunta possa contare non solo ai fini dell'indagine e per prefigurare determinate direzioni di attività, ma soprattutto per una verifica continua, della loro validità oltre all'elaborazione dei dati che vengono reperiti e delle esperienze che vengono fatte. Uno strumento di questo tipo sarebbe valido anche per indicare le tipologie di ricerca sulla natura, sui tipi di handicap oggi esistenti e sugli interventi da attuare per migliorare l'attuale situazione.
Credo intanto però che valga la pena di cominciare a sgombrare il terreno dalla grossa questione, che gonfia tanto il problema degli handicappati e che è costituita dai "disadattati", dedicando a questa un discorso a parte. Sappiamo benissimo infatti che non è logico considerare fra i disadattati coloro che soltanto non riescono, come non di rado i figli di immigrati, ad inserirsi compiutamente in un determinato contesto sociale. L'indagine fatta dal Comune di Torino l'anno scorso nelle scuole elementari ha portato a concludere che il 95 per i cento dei ragazzi che frequentavano le scuole per subnormali erano figli di immigrati, che con i subnormali non avevano niente a che fare. Ridimensionato pertanto questo problema togliendo la grossa parte costituita dai cosiddetti "disadattati" esso rimane sempre di proporzioni considerevoli. E' chiaro pertanto che si impone un discorso di prevenzione oltre che di cura e recupero. Non è il caso che mi soffermi a ribadire quanto è già stato detto da altri per quanto riguarda la medicina preventiva: aggiungerei solamente che è urgente promuovere nell'ambito delle iniziative della prevenzione un'indagine conoscitiva sulla natalità e maternità, che ci permetta di sapere quanti sono in Piemonte i nati vivi, quanti i nati morti, e qual è la causa della morte; quante sono le donne morte di parto, e qual è la causa della morte se questa causa ha o no qualche riferimento con le condizioni di lavoro con l'ambiente di lavoro; quale tipo di assistenza ha avuto la gestante durante il periodo di gestazione; quanti sono i nati morti nel primo anno di vita in Piemonte, possibilmente individuarne la causa; dove è maggiormente rilevante l'incidenza di nati morti, se nelle città, nelle campagne, nei piccoli centri o nei grandi centri; a livello di quali categorie sociali si registra in maniera particolare il fenomeno. E' una verifica che mi sembra importante al fine di individuare quale tipo di intervento è necessario per riuscire veramente a tutelare la maternità e nello stesso tempo a fare quell'azione di prevenzione che in parte ci pu consentire, ad esempio, di ridurre gli stessi handicap, in secondo luogo ci dà modo di intervenire tempestivamente e quindi di svolgere un'azione precoce di recupero che diversamente non sarebbe più possibile o quanto meno il risultato è certamente compromesso.
La risoluzione di questo problema dipende quindi in parte dalla prevenzione, in parte da una serie di altre misure, iniziative e strutture di cura e recupero per le quali è fondamentale la qualità e la quantità degli operatori. Fare oggi un'azione di riabilitazione seria è molto difficile per cui penso sarebbe importante che noi verificassimo qual è oggi la richiesta di prestazione di personale specializzato per l'attività di riabilitazione degli handicappati.
L'indagine conoscitiva di cui ci ha parlato l'Assessore a mio parere manca di tutto questo, perciò l'ho definita non adeguatamente finalizzata e piuttosto "burocratica", se mi si passa il termine poco felice. A questa indagine bisogna che cerchiamo di dare dei contenuti maggiori in relazione all'uso che vogliamo fare dei risultati e delle indicazioni operative che scaturiranno. Fin d'ora sappiamo che le elaborazioni più recenti sollecitano strutture aperte. La direzione in cui dovranno muovere i futuri interventi non può essere quella di nuovi istituti e nemmeno quella del miglioramento degli istituti attuali.
Anche di questa questione io credo che il Consiglio debba essere investito. Noi ci rendiamo conto, dibattendo questo tema, che il problema dell'assistenza è un problema molto grosso; e, se dovessimo approfondire ulteriormente l'argomento, ci renderemmo conto che se grandi sono i torti che sono stati fatti dal Governo alle Regioni nel passare solo parte dei poteri nelle materie di loro competenza, enorme è quello che ha fatto alle Regioni nel passare così poche competenze in questa grande materia che già altri l'hanno ricordato prima di me - interessa un campo che investe a livello nazionale tutti i ministeri e per il quale nel 1970 sono stati spesi oltre 1500 miliardi (almeno, questo era il dato ricavato dal bilancio dello Stato).
Un problema di questa entità non può non rappresentare un momento di discussione e di approfondimento nel nostro Consiglio. Chiedo, quindi, che questa discussione non si concluda qui ma sia il punto di partenza per un approfondimento ulteriore.
Soprattutto, chiedo che la Giunta esamini quale spazio dare alle proposte che sono state fatte alcuni mesi fa da parte delle organizzazioni sindacali proprio in materia di assistenza, con richieste specifiche per la creazione di nuovi servizi in favore degli anziani e dei minori. Infine chiedo che i risultati dell'indagine attualmente in corso vengano portati in discussione anche in Consiglio o quanto meno nella Commissione competente.
Prima di concludere, desidero dire qualcosa sulla proposta che ci viene presentata dalla relazione Vietti in merito alla sperimentazione che la Giunta avrebbe intenzione di realizzare. Francamente, a me pare che l'Assessore Vietti ci abbia detto in proposito troppo poco, in quella mezza paginetta scarsa che vi ha dedicato. E' l'unica iniziativa concreta sul piano della riforma dell'attuale sistema che la Giunta intenda realizzare.
La Giunta ci fa presente che esistono difficoltà , ma non le precisa.
Perché? Può darsi che discutendone insieme, tenendo conto di quello che è successo altrove, dell'esperienza che hanno acquisito altre Regioni troviamo la maniera di giungere al loro superamento. Credo valga la pena approfondire questo aspetto del discorso. Chiedo quindi che tutto il Consiglio venga informato adeguatamente in merito, o, tenendo conto dell'economia dei lavori, quanto meno la Commissione competente abbia la possibilità di approfondire questo discorso, per studiare anche come sia meglio muoversi e come e dove sia possibile farlo, quali forze occorra investire, arrivando se occorre all'impegno diretto, per giungere veramente a camminare sulla linea della creazione di strutture alternative all'attuale sistema di erogazione dei servizi sociali.
Se, a conclusione del dibattito, verrà stilato un documento, proporrei di dichiarare ben chiaro il proposito, proprio sulla scorta di quanto emerso dal dibattito, che sia il Consiglio Regionale a deliberare in futuro i programmi e gli interventi del servizio di assistenza ed i piani di riparto per l'assegnazione dei fondi per l'assistenza pubblica determinandone i criteri, le modalità di erogazione ed attuando il controllo di attuazione. Inoltre di affermare la necessità che il Consiglio provveda alla nomina dei presidenti e dei membri di competenza della Regione negli organi amministrativi delle istituzioni pubbliche di assistenza e di beneficenza e negli enti comunali di assistenza.
Il mio intervento si è limitato ai punti che mi è sembrato importante sottolineare. Certo, un argomento così aperto a varie problematiche come quello dell'assistenza sociale meriterebbe un discorso molto più ampio, con larga disponibilità di tempo. Dovremo pertanto continuare il dialogo, il dibattito iniziato oggi in Consiglio, per riuscire ad approdare a risultati positivi.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Conti. Ne ha facoltà.



CONTI Domenico

Signor Presidente, signori Consiglieri, capisco che la richiesta del dibattito da parte del Consiglio sui temi dell'assistenza sanitaria e dell'assistenza sociale abbia trovato gli Assessori già impegnati, tesi nello sforzo realizzativo di precedenti determinazioni della Regione e quindi in difficoltà a rispondere, preparando un'adeguata relazione, al Consiglio, in modo che avesse luogo un dibattito per lo meno organico. Di questa difficoltà ritengo si debba dare loro atto.
Queste relazioni contengono, comunque, dati interessanti di riferimento, che hanno una indubbia utilità per alimentare il nostro dibattito.
Per parte mia, farò alcune osservazioni, parte di carattere generale altre di carattere specifico, vuoi nel campo dell'assistenza vuoi in quello della sanità. Ho trovato difficoltà a leggere le due relazioni ed a collocarmi in sintonia per poter in qualche modo inserire un intervento perché non è stato precisato il quadro di principi e di determinazioni generali entro cui la Giunta Regionale intende muoversi.
Credo sia stato dato per scontato - ma mi sembra valesse la pena farlo a questo punto della situazione - un conveniente inquadramento sia dell'assistenza sociale che di quella sanitaria in un insieme di principi che evidentemente lungo il corso di questi mesi hanno subito degli approfondimenti, degli arricchimenti, perché se ne è dibattuto un po' ovunque e da un po' tutte le parti si sono portati contributi in questa direzione.
Per quanto riguarda il quadro dei principi e delle determinazioni politiche, vorrei soltanto portare un apporto di chiarimento. D'accordo sullo scopo del servizio sociale per quello che riguarda il rimedio, la cura, la prevenzione e la promozione: occorre però specificare meglio che cosa si intenda per aspetto promozionale. La Costituzione non dice soltanto che occorre eliminare gli ostacoli che si frappongono allo sviluppo della collettività, ma anche che i cittadini devono essere messi in condizione di assolvere i loro obblighi di solidarietà politica, sociale ed economica.
Questo mi sembra un aspetto interessante. In altre parole, l'aspetto promozionale consiste sostanzialmente nel mettere gli individui nella condizione di sviluppare se stessi facendo uso conveniente dei propri talenti in maniera responsabile dal punto di vista sociale.
Circa la natura del servizio sociale, vorrei ribadire che si tratta di "un servizio". Può apparire inutile accademismo soffermarsi sulle parole ma se è "un servizio" dev'essere svolto in modo da essere adeguato a coloro a favore dei quali è diretto, dev'essere in qualche modo posto sotto il loro controllo, deve raggiungere gli individui in modo specifico, non in modo generico, dev'essere, in sostanza, "un giusto servizio" e "un servizio giusto". La dimensione di "servizio" e non invece di una struttura manipolativa, sia pure con fini di miglioramento, ma in sostanza una struttura ed un'azione manipolativa dei clienti, mi sembrerebbe davvero in contrasto con il concetto di servizio. In ultima analisi, i destinatari del servizio sono l'elemento di rifornimento per giudicare della validità di tutta la gestione, di tutto il funzionamento, di tutta l'organizzazione. Se perdiamo di vista questo punto di riferimento credo che per tutto il discorso relativo, per esempio, alla gestione democratica, ai servizi aperti piuttosto che chiusi, non riusciremo a trovare veramente l'elemento di verifica sostanziale che la natura di servizio, che questi interventi devono avere.
Naturalmente, dev'essere un "servizio sociale". E, come tale, prima ancora che dagli ordinamenti, dev'essere garantito dal modo d'essere della società, dai suoi orientamenti, dai suoi propositi, dalla sua animazione dal suo contributo. Invano si è tentato di garantire i cittadini unicamente in base a strutture e strumenti: quello che veramente dà il senso della sicurezza è l'essere garantiti dalla società in quanto tale, in quanto comunità prima ancora che in quanto istituzione, che in quanto organizzazione. Occorre che la gestione dei servizi, comunque tutto quello che si farà nel campo dei servizi sociali, sia fondato sulla considerazione che la base fondamentale del servizio sociale è il modo d'essere della società di fronte a se stessa, di fronte ai suoi bisogni, sia di individui che di gruppi, che di comunità intera. Questo mi pare un punto di riferimento abbastanza sostanziale, anche per avviarsi a verificare tutte le proposte concrete che possono esser fatte in ordine, supponiamo, alla gestione dei servizi. Dev'essere, in sostanza, un servizio, com'é stato ribadito anche in sede internazionale, "dalla società alla società nella società". L'intervento dei poteri istituzionalizzati non deve assolutamente tradire questa esigenza. Interessa poco che l'intervento del potere istituzionalizzato sarà a livello regionale o a livello comunale: occorre che sia salvaguardata questa esigenza. In relazione a ciò avanzerò delle proposte pratiche. Altra cosa è quindi la funzione degli organi elettivi politici , comunque dei poteri istituzionalizzati, altra cosa è la funzione delle iniziative emergenti dal basso, che non si possono assolutamente stroncare ma che, rendiamoci conto, sono le uniche, o almeno quelle che in modo prevalente hanno concorso ad arricchire la consapevolezza e il dibattito e le soluzioni in ordine al problema, in genere, delle riforme, e dei servizi sociali in specie.
Quindi, sicurezza sociale per una società sicura, ecco il punto di verifica; società sicura per mezzo della sicurezza sociale, come metodo per i servizi sociali. Mi richiamo ad un'affermazione ricavata dal documento del gruppo di studio dell'ONU a Francoforte sul Meno: metodo fondamentale del servizio sociale, sia che si tratti di individui, di gruppi o di comunità, è quello di aiutare la persona ad avere maggiore fiducia in se stessa, ad essere capace di controllare meglio le proprie situazioni e di portarle ad una vita serena e soddisfacente.
A questo metodo fondamentale, secondo me, occorre aggiungerne altri pure emersi durante il dibattito. Per poterlo realizzare, è necessario affermare la natura sostanzialmente interdisciplinare del servizio, essendo questo orientato a risolvere casi concreti, specifici e non semplicemente generici; la realtà concreta di per sé ha sempre un'infinità di facce, che non si possono penetrare se non attraverso una mentalità per così dire interdisciplinare e attraverso una struttura operativa di tipo dipartimentale. Sono elementi che occorrerà tener presenti anche quando si passerà ad organizzare le Unità locali dei Servizi sociali.
Un altro criterio importante è quello della programmazione. I servizi sociali, sia per riferimento al piano globale, come variabile del piano sia in ordine al programma, come programma settoriale, vanno assolutamente programmati: diversamente non sarà possibile governare le interrelazioni che concorrono a formare un servizio sociale, non sarà possibile determinarne il ruolo specifico in ordine ad un progresso globale della comunità, non sarà possibile esaminare la validità dell'intervento del servizio sociale sotto l'aspetto del rapporto costi-benefici. Naturalmente tale programmazione andrà partecipata, come più volte abbiamo detto.
Però, perché la riforma dei servizi sociali in genere possa trovare un'attuazione soddisfacente, diventare essa stessa promotrice di riforme ulteriori, bisogna che si consegua nel contempo un certo modo d'essere della società, cioè bisogna che si realizzi una società nel suo complesso flessibile, attiva, responsabile, solidale, partecipe; quindi, niente interventi dall'alto, sia pure da parte del potere politico istituzionalizzato, niente soluzioni meramente tecnocratiche o burocratiche per ciò che riguarda il servizio sociale.
Altra questione rimarchevole, che è stata toccata più volte, in altre occasioni e anche durante questo dibattito: per la realizzazione dei servizi sociali, perni fondamentali sono il numero e la qualità degli operatori sociali; i quali, si badi bene, per quello che riguarda programmi di formazione, devono rispecchiare tutti i principi che andavamo affermando. Sottolineerò ancora questa esigenza di coerenza. Per superare delle prestazioni puramente specialistiche e settoriali ed arrivare invece ad operatori sociali che, pur avendo una specialità più che non una specializzazione, tuttavia si sanno muovere in un contesto dipartimentale programmato verso la soluzione di problemi concreti, si richiede un tipo di formazione del tutto particolare, non riscontrabile a livello dei modelli per esempio, forniti dai programmi, per quello che riguarda, tanto per fare un caso, le vigilatrici dell'infanzia e per quello che riguarda il personale paramedico come si possono trovare così attualmente, che hanno una valenza piuttosto tecnica, o tecnicistica, ma non hanno invece l'apertura culturale, sociale, operativa richiesta dai principi che dicevo prima.
I partecipanti al già menzionato gruppo di lavoro hanno riconosciuto unanimemente concordi, a proposito del personale, che quanto maggiore è il numero degli assistenti sociali professionali, o, se volete, degli operatori sociali professionali, esistenti, tanto più ampie sono le possibilità di impiego di personale volontario, la cui formazione nel futuro sarà sempre più differenziata, a seconda del Paese in cui si opera.
Fatta questa affermazione, che prego di tenere in attenta considerazione perché non ne ho trovato riferimento né nelle relazioni né nel dibattito consiliare, vorrei dire qualche cosa di particolare in rapporto al personale volontario.
Intanto, vorrei notare che si è formato addirittura un gruppo di lavoro, a livello ONU, che si occupa unicamente del volontariato in rapporto ai servizi sociali. Il problema ha la sua importanza, visto che ne se occupano non soltanto Stati depressi in fatto di sviluppo dei servizi ma pure Stati che dispongono per la sicurezza sociale di un'organizzazione abbastanza consistente.
Per conto mio, la possibilità di spazio per un volontariato nel campo dei servizi sociali rimane punto di verifica essenziale del tipo di partecipazione democratica e del grado di maturità in ordine ai problemi della sicurezza sociale da parte della comunità. Non dimentichiamo che ci troviamo nella Regione Piemonte, ove più che in ogni altra regione del mondo è sorto, da un secolo e mezzo a questa parte, proprio nel settore diciamo, dell'assistenza sociale in genere un complesso mirabile di iniziative di carattere volontario. Credo che sarebbe vano ogni nostro discorso se volessimo ignorare questa realtà, che è patrimonio della nostra gente, della nostra esperienza comunitaria, che è uno dei punti di riferimento per avere anche un aiuto a identificarsi secondo quella che possiamo definire una vocazione regionale nostra, quella che, tra l'altro ci ha dato anche un enorme credito all'estero sotto questo aspetto.
E' quindi necessario che il Consiglio Regionale del Piemonte consideri con un certo approfondimento - anche se non è possibile, data l'ora dilungarci molto su questo aspetto - l'argomento del volontariato. Quali ruoli si potrebbero assegnare al volontariato? Intanto, un ruolo pionieristico. Penso che nessuno di noi si illuda che la realizzazione di un servizio nuovo possa essere unicamente il frutto di una volontà politica da parte dei poteri politici istituzionali. Istituire un servizio non vuol dire ancora averlo assicurato: bisogna avere delle idee in ordine a questo servizio, bisogna avere della sensibilità rispetto ai problemi che questo servizio vuol soddisfare, bisogna avere una disponibilità, perché siccome ci si muove nel nuovo è difficile poter operare con strutture già consolidate, aperte in un modo piuttosto che in un altro: occorre una certa intraprendenza. Soprattutto, occorrono salde motivazioni di impegno, che facilitino il lavoro di gruppo e lo sforzo necessario per un'iniziativa di carattere pionieristico. Se si uccide il volontariato, secondo me non sarà possibile condurre convenientemente iniziative che abbiano un ruolo pionieristico, e, se volete, anche sperimentale.
Porto a conoscenza del Consiglio due iniziative, che sono espressione di questa sensibilità pionieristica.
Una ha un carattere, per così dire, confessionale, in quanto è stata promossa da un sacerdote. Si tratta del "gruppo Abele", che si occupa di gravi fenomeni della nostra realtà sociale, quelli che generano gli omosessuali, le prostitute, gli ex carcerati. Qui non si è parlato ancora di queste forme di comportamento anomalo - non voglio pronunciarmi in senso moralistico - da cui derivano questi fenomeni dolorosi che affliggono la nostra società, coinvolgendo tante persone. Questa iniziativa è mandata avanti da un sacerdote, come dicevo, con una sensibilità e con risultati che mi sembrano degni di considerazione.
Un'altra iniziativa è rivolta pure verso un campo in cui non esisteva nulla: è un'iniziativa che in parte ha già avuto attuazione sperimentale sotto certi aspetti; in parte è un progetto che però richiede di essere ricevuto ed appoggiato. Si tratta di un gruppo di medici, di psicologi, i quali, unicamente in forza della loro esperienza sanitaria e della loro sensibilità umana e sociale, in parte hanno già posto in essere, in parte hanno in programma di completare, un centro di cura per le nevrosi, cioè gli esaurimenti nervosi in forma non puramente lieve, per usare termini spiccioli, ed i disadattamenti. Sappiamo come di questo nessuno si occupi in modo particolare: non gli Ospedali psichiatrici, non i medici generici non gli ospedali. Eppure, il fenomeno, a quanto pare, è molto esteso: va dall'ambito dei lavoratori, per esempio, asserviti al lavoro automatizzato delle linee di montaggio, ma tocca anche livelli di lavoro superiori, fino a quello dirigenziale. Si potrebbe dire che è una piaga della nostra società, stando a quanto si sente affermare, anche se finora inchieste per accertare l'entità di questo male non sono state fatte. Ci sono poi gli alcolizzati, i drogati - un altro fenomeno per cui non esiste alcuna forma assistenziale, pur se sappiamo dai giornali come il flagello della droga stia dilagando anche fra gli adolescenti, i ragazzini; c'é il disadattamento giovanile. Cercherò poi di far conoscere all'Assessore, alla Commissione competente, quale lavoro si propongano di svolgere questi volontari. Ho voluto ora semplicemente accennare a queste iniziative, per chiarire come probabilmente, se stessimo soltanto, con tutto il rispetto ai poteri politici istituzionalizzati, se non ci fosse questo apporto di sensibilizzazione, tanti problemi non si evidenzierebbero adeguatamente e non troverebbero energie disponibili comunque per affrontarli con lo spirito di sacrificio che è necessario.
Altro ruolo del volontariato è il ruolo sperimentale. E' stato sollevato poc'anzi il problema: questa sperimentazione, per quello che riguarda l'Unità dei servizi sociali, con chi la si fa? Il mio parere è che la si debba fare in primo luogo con forze volontarie a cui, attraverso il dialogo, dare indicazioni per un arricchimento vicendevole di conoscenze in modo da svolgere una sperimentazione che abbia già una consistenza.
Altro ruolo che può assumere il volontariato è un ruolo complementare visto che, in definitiva, si tratta di provvedere a casi concreti, cioè a persone concrete, e non c'é alcuna organizzazione preventiva, per generosa che possa essere, che riesca a sviluppare tutto quel che occorre per soccorrere, risolvere, aiutare in casi concreti. Io spero che in Italia si portino avanti degli studi in proposito, mi pare anzi che qualcosa già si muova - ho sentito parlare di uno studio del CENSIS ordinato dallo CNEL proprio sulla natura dei servizi ed anche sull'onerosità, sul costo, la possibilità di realizzare effettivamente dei servizi sociali che svolgano quel ruolo che noi vorremmo realizzato; un ruolo, cioè, integrativo di quelle che sono le prestazioni che gli enti pubblici possono e debbono svolgere; e non soltanto complementare ma anche supplementare, di ricerca di spazi nuovi, aggiuntivi. Faccio notare che dipende soprattutto dalla qualità e dalla quantità del volontariato la validità di una partecipazione a livello di consiglio di gestione o di comitati di gestione. Soprattutto sotto questo aspetto, non nascondiamoci che tutti noi abbiamo preso largamente da persone, quindi volontari, interessati ai veri settori. E le forze che in qualche modo portano avanti il discorso assai spesso si alimentano al contatto con iniziative volontarie.
Credo di poter ancora affermare che è necessario che l'opera del volontariato abbia un carattere continuativo. Se guardiamo la geografia del volontariato, notiamo fra l'altro che il volontariato, intanto, ha perduto il suo carattere di dispensatore di beneficenza: ormai l'intervento si pone in termini di servizio, e di servizio sociale, di collaborazione, di partecipazione al servizio sociale; inoltre, non è più un fatto squisitamente femminile, come in passato, ed è cambiata soprattutto l'estrazione sociale del volontariato; fatto estremamente interessante poi, il volontariato è diventato un fenomeno che interessa vivamente i giovani. Vi sarebbe da aprire a questo punto un discorso molto ampio su questo argomento. Si può dire che forse le migliori acquisizioni che le stesse parti politiche in genere fanno nelle loro file le fanno proprio attraverso una milizia di volontariato sociale.
Comunque, occorrerebbe trattare il tema del volontariato nel contesto dello sviluppo comunitario, ricordando che il volontariato si identifica con la partecipazione dei cittadini. Nel contesto, invece, della pianificazione dei servizi sociali il volontariato si identifica con la loro flessibilità, con la loro capacità di estensione, con la loro capacità di articolazione e con le possibilità di vero e proprio controllo democratico.
A proposito della formazione professionale, non dimentichiamo che si tratta di una formazione professionale degli operatori sociali estremamente delicata. Perché il tipo di prestazione non si rivolge a cose, le quali possono ad un certo punto essere anche lasciate, bensì a persone. Anzi prima ancora che il tipo di formazione, va adeguatamente impostato il tipo di reclutamento. Evidentemente, quando si tratta di un orientamento per i servizi sociali, i fatti motivazionali per quello che riguarda l'attività professionale devono avere un congruo rilievo; altrimenti, fatalmente il servizio sociale diventerà un servizio burocratico, non importa se sotto il controllo degli enti locali o di qualche altro, perché non si sarà tenuto conto di quella plasticità, di quella adattabilità, di quella tempestività di intervento che soprattutto nell'aspetto motivazionale trovano alimentazione. Quindi, quando si parla di corsi di formazione professionale direi che bisogna parlare di orientamento professionale, che è un orientamento di vita. A questo ci portano anche le nuove concezioni dell'orientamento, che non si vuole più sia professionale o scolastico, ma semplicemente orientamento.
La necessità di definire, di continuare ad approfondire un quadro di principi, di cognizioni, di determinazioni generali viene poi messo in evidenza - già l'argomento è stato toccato dalla Consigliera Fabbris, ma lo riprendo, perché lo ritengo un punto importante - anche dal solo fatto delle indagini, delle ricerche. Le ricerche sono sempre finalizzate a un qualche cosa, non esistono ricerche neutre: sono ricerche fatte in base a principi e a ipotesi di lavoro per tradurre, per incarnare, questi principi. La realtà la si consulta sotto questo aspetto. Per cui, per non cadere in un elenco di dati che avranno pure la loro importanza ma di cui diventa difficile capire il significato, e poi soprattutto capire a che cosa servono in prospettiva, è necessario avere questa coerenza fra principi, determinazioni generali e ricerca.
In merito alla relazione sull'assistenza, osservo che i minori da una parte e gli anziani dall'altra sono un po' trattati in blocco, senza distinzioni né di età né di condizioni: non si è considerato che un conto è un minore ad una certa età che si trova, per così dire, emarginato o in pericolo di emarginazione per handicap individuali, altra cosa è un minore che si trova in difficoltà per ragioni di disadattamento. Occorreva quindi fare delle distinzioni, per esempio di età e di condizioni, anche per proporre poi adeguatamente degli interventi.
Sempre a proposito dei minori, tra i provvedimenti vedo soltanto considerati gli Istituti e la necessità di ristrutturarli, praticamente di svuotarli. Ma non comprendo il concetto di soluzioni alternative che anche la Consigliera Fabbris ha convalidato. Cosa si intende per soluzioni alternative? Se si intende l'offrire una più vasta gamma di servizi, di qualità diverse, in modo che l'utenza possa scegliere in proporzione ai suoi bisogni, riesco a capirlo: ma se si intende che si devono lasciar andare in rovina le strutture attualmente esistenti per crearne altre, non mi sento di condividere questa teoria. Perché noi abbiamo il dovere di non lasciar morire niente e nessuno, altrimenti diventeremmo noi la prima causa di emarginazione sociale, se non altro di quelli che si dedicano a questi servizi. Agli emarginati aggiungeremmo anche questi operatori, i quali evidentemente, davanti ad un avvenire che per loro significa morte, senza altra indicazione, non credo che possano trovare in questa prospettiva alimentazione per essere inseriti, relazionati e non emarginati. Senza contare che colpiremmo gli stessi assistiti, i quali si sentiranno dei disgraziati che hanno fatto una scelta infelice e che adesso sono costretti a subirne le conseguenze.
Io raccomanderei di stare molti attenti, quindi. La raccolta dei dati ad esempio, relativa alle istituzioni attualmente esistenti dev'essere finalizzata chiaramente non soltanto ad una loro razionalizzazione, il che non direbbe niente, ma ad una loro ristrutturazione secondo dei convincimenti, delle conquiste, diciamo, di principio, di modo di gestire questi servizi, di funzioni eccetera, così che la gente abbia dei punti di riferimento chiari, che coloro che operano sappiano in quale direzione debbono muoversi per operare meglio in corrispondenza delle esigenze della comunità, coloro che sono assistiti si aspettino di ricevere un'assistenza sempre più adeguata grazie a questo movimento.
Mi sembra, quindi, una scelta importante, che poi, tra l'altro, va secondo l'art. 4 dello Statuto, che dice che si devono valorizzare tutte le risorse e tutte le energie. Mi sembra che debbano essere date al più presto, magari discutendole con loro, indicazioni di marcia a queste persone (il numero degli operatori è notevole, come anche quello degli assistiti), prendendo provvedimenti urgenti, perché qui le iniziative ci sono già: che quindi debba essere dato da parte della Giunta, della Regione, un indirizzo, attraverso un colloquio, uno scambio di idee, e naturalmente, oltre a ciò vengano adottate delle provvidenze. Naturalmente ci devono essere tutte le garanzie necessarie perché sia possibile un'evoluzione in un certo senso. Mi sembra che sia assolutamente necessario precisare queste cose, se no opereremo un'assistenza sociale discriminatoria.



VECCHIONE Mario

Però, sei d'accordo che a gestirla siano gli enti locali?



CONTI Domenico

Parlerò anche della gestione. Ho già parlato a questo proposito dei volontari. Secondo me, l'argomento va approfondito. Io non credo che la pura e semplice trasposizione, per cui prima gestivano altri enti, adesso gestiscono gli enti locali, garantisca di per se stessa tutto quello che dicevo a proposito della socialità del servizio. Si dovranno istituire dei comitati di partecipazione, o altri organismi analoghi; ma occorre stare molto attenti, perché anche a questo livello si gioca la socialità del servizio e quindi la sua vera democraticità. Per conto mio, questo discorso può essere portato avanti, ma in termini di studio, non in termini perentori. Naturalmente, esisteranno di sicuro delle forze volontarie.
Salvo, per esempio, il fatto fondamentale della possibilità di un lavoro di gruppo verosimile, tenuto conto - insisto - delle disponibilità personali e di collaborazione che richiede il servizio sociale, penso che non vi siano grosse difficoltà. Comunque, è da accertare. Però non in termini troppo sbrigativi: che sia un lavoro di confronto, un lavoro di verifica, atteso che comunque il volontariato, specie quello nascente, quello giovanile interessa qualunque servizio, ed è un fenomeno da tenersi in grande considerazione.
Comunque, condivido la proposta già fatta qualche tempo fa dal Consigliere Garabello a proposito dell'assistenza sociale di addivenire ad una legge di iniziativa regionale sull'assistenza sociale. Pregherei la Giunta di dirmi qualcosa in merito a questa proposta.
Per quello che riguarda la programmazione ospedaliera valgono sostanzialmente gli stessi principi. Io condivido in linea di massima quanto ha dichiarato il Consigliere Berti sulla necessità, se non altro sperimentale, di puntare ad una ristrutturazione diversa da quella della sommatoria di tutte le specializzazioni per giungere, sulla base dell'interdisciplinarietà e della dipartimentalità, veramente alla riorganizzazione dei servizi sanitari, oltre, naturalmente, alla gestione democratica. Questo, giustamente, com'è stato rilevato (vorrei ribadirlo anche perché già se n'é occupata in qualche modo in linea generale l'Intercommissione per i problemi dell'Università, affermando l'interdisciplinarietà e la dipartimentalità) perché ci sia un punto di riferimento culturale operativo generalizzato, non si vada al servizio sociale, che supporrebbe un certo tipo di cultura perché organizzato in un certo modo, con prestazioni che ormai si sono dimostrate insufficienti ed inadeguate perché non risolvono il caso concreto, in cui ci si trova di fronte a malati e non a malattie, e naturalmente la preparazione universitaria, il modo stesso della gente di formarsi e di partecipare.
Perché ci sono due poli: da un lato il malato, che è un caso concreto, e dall'altro i cittadini che partecipano, e che sono, diciamo, dei casi concreti, e che quindi devono avere una visione globale, e partecipano con un apporto squisitamente politico, che è sempre sintetico rispetto ad una molteplicità di aspetti settoriali. Quindi, per avere questa omogeneità che è un fatto culturale notevole, di estremo vantaggio, perché è una cultura poi, tra l'altro, operante che incide non solo nell'atteggiamento e nelle disposizioni mentali, nella disponibilità, ma anche nell'operatività nell'effettualità, è necessario affrontare almeno sul piano sperimentale questo problema. Atteso che le gerarchie per così dire funzionali debbano essere tutte subordinate al servizio e che non si possa subordinare il servizio alle gerarchie, questo come principio vada senz'altro affermato.
Naturalmente, bisognerebbe che questi modelli di ospedale avessero anche una proposta di amministrazione interna, burocratica e di organizzazione adeguata, perché non esistesse il distacco, lamentato anche dalle organizzazioni sociali, fra il servizio sanitario vero e proprio e l'amministrazione relativa a questo servizio. Ci vuole necessariamente una distinzione, ma sicuramente una compenetrazione.
Per quello che riguarda sempre la ristrutturazione ospedaliera, o la programmazione ospedaliera, vorrei insistere sulla necessità di fare dell'informatica, della ricerca svolta secondo i criteri dell'elaborazione elettronica del dato dell'informazione, il requisito fondamentale. Senza questo non è possibile ristrutturare niente, tanto più nel senso della dipartimentalltà, nel senso della programmazione anche interna. Perch dimenticavo di dire che ci vuole una programmazione interna, oltre che una programmazione esterna, fra le diverse iniziative ospedaliere. Se non è possibile questa raccolta tempestiva di dati e un'elaborazione parimenti tempestiva, è assolutamente vano parlare di ristrutturazione ospedaliera nel senso indicato. Senza contare che il supporto dell'informatica è estremamente importante in ordine al rinnovamento del servizio nel senso auspicato, al rinnovamento della funzione amministrativa, al rinnovamento della funzionalità del sistema ospedaliero nel suo complesso (non si pu fare un sistema se non stabilendo delle correlazioni e se non governando queste interrelazioni, ciò che non è fattibile senza mezzi di elaborazione). Fare dell'informativa uno strumento di partecipazione democratica, data l'organicità dell'informazione, la tempestività dell'informazione, la possibilità di generalizzare questa informazione: ecco allora la partecipazione democratica che viene alimentata con interventi in questo campo. L'automazione è un modo, per esempio, di accelerare le procedure, supponiamo, di analisi, i vari procedimenti di analisi, così da poter soddisfare rapidamente una grande richiesta di analisi avendo rapidamente dei dati, il che, tra l'altro, va anche a vantaggio di una minor degenza nell'ospedale. Quindi, l'automazione riguarda meccanismi di lavoro, per così dire, non di informazione, e io credo che una ristrutturazione ospedaliera adeguata debba dare un sufficiente spazio all'automazione di determinati servizi interni.
Per quello che riguarda la tutela della salute nei luoghi di lavoro con l'Unità di base, non starò a ripetere quello che è già stato detto, ed anche molto bene: faccio solo presente che la difesa della salute è un problema di strumenti, è un problema di metodologie, è un problema di personale, ma anche un problema di mentalità, di formazione, perché la salute la si tutela quando si assume un atteggiamento attivo nei riguardi della propria e dell'altrui salute. Tutti sanno che l'antinfortunistica, ad esempio, non si può assicurare unicamente mediante provvedimenti di protezione, ma facendo tutta un'opera di educazione, di sensibilizzazione così da portare l'individuo ad autodifendersi. Sotto questo aspetto direi che si deve tener presente questa esigenza nei programmi di formazione professionale, per esempio, che possono essere quelli della Regione oppure quelli previsti dalla trattativa, non tanto per ciò che riguarda il diritto allo studio, che potrebbe forse avere un'altra destinazione, ma per quel che concerne i corsi di aggiornamento, di riqualificazione eccetera, in modo che la gente, la società, i lavoratori siano aiutati in questa loro volontà di difesa attiva della salute, sia con un lavoro di gruppo sia con intervento personale.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE OBERTO



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Beltrami. Ne ha facoltà.



BELTRAMI Vittorio

Devo dare atto che il nostro dibattito è stato tenuto su una linea di lodevole serietà, pur nella diversificazione delle posizioni (non tutti possono essere governativi, ovviamente: ognuno svolge qui un suo ruolo) Le argomentazioni che sono state addotte hanno visto la convergenza di tutti i Gruppi su una linea comune, seguendo un certo filo, una certa logica che è tipicamente regionale.
D'altro canto, il quadro, per quanto attiene ad esempio al settore ospedaliero, di indubbia tragicità, che abbiamo rilevato ancora oggi, in una interruzione della seduta del Consiglio, incontrandoci con i rappresentanti della FIARO - ospedali in dissesto, ospedali che si trovano nell'impossibilità di remunerare i propri dipendenti - propone evidentemente interrogativi inquietanti a chi vuol porre mano a questo grosso e serio problema.
Abbiamo ascoltato proposte interessanti; abbiamo sentito parlare per la prima volta, nel settore della sanità e assistenza, del dipartimento. E' un discorso nuovo, per taluni aspetti, rispetto al quale non ci collochiamo su posizioni di ostilità: è un discorso che affronteremo nel futuro, quando ci sarà dato di avere anche sul piano conoscitivo una maggior profondità di verifica di esperienze sviluppatisi altrove. La serietà della discussione mi porta a perdonare anche al fraterno collega Viglione una certa parte del suo intervento, in cui ha sollevato un po' di polverone attorno a determinati atteggiamenti della stessa politica governativa, dimenticando che almeno un tratto di strada nell'assunzione delle responsabilità, in un certo tempo, l'abbiamo percorso insieme: nel settore, ad esempio, della legge ospedaliera, la tanto denunciata legge 132, con tutti i suoi risvolti negativi ma anche quelli positivi, che non sono mancati.
L'aver congiunto nella discussione i due argomenti della "Sanità" e della "Assistenza", a mio avviso, risponde a criteri di organicità e di praticità; segue soprattutto, come accennavo prima, un "filone ideologico" al quale come Consiglieri regionali ci siamo rifatti in sede di elaborazione dello Statuto della Regione, in sede di giudizi critici mossi ai decreti delegati di trasferimento alle Regioni delle materie amministrative, in fatto di sanità e assistenza ospedaliera ed anche sul tormentatissimo decreto delegato per la beneficenza pubblica. Lo stesso filone abbiamo seguito allorquando si è trattato di discutere sul riordinamento del Ministero degli Interni e della Sanità, sul Piano di sviluppo economico nazionale. L'abbiamo fatto nostro e seguito ancora quando abbiamo affrontato il provvedimento legislativo della gestione degli Asili nido, o dove la Regione si è sostituita sul piano integrativo dell'intervento statale per l'assistenza farmaceutica e generica ai pensionati coltivatori diretti, artigiani, commercianti, e nella stessa ultima pubblica manifestazione, che ha visto confluire in Torino le rappresentanze dei Consigli Regionali di tutta Italia, sul tema: "Regioni e Servizi sociali" In effetti, la delimitazione fra servizi sociali, assistenziali sanitari-ospedalieri scolastici, culturali e ricreativi ha perso ormai il carattere di accentuata marcatura per la certa esistenza di zone di interferenza dove l'interrelazione delle necessità impone l'esigenza della collaborazione tra i diversi servizi per evitare doppioni, sovrapposizioni manifestazioni episodiche, proprio per proporre in termini non più certamente ambiziosi ma di risposta ad una reale esigenza comunitaria un quadro degli interventi, nella cosiddetta "sicurezza sociale", rivolti a soluzioni promozionali dell'uomo, non emarginanti, non mortificanti la sua dignità, contro la discriminazione, l"istituzione, totale", il "carattere chiuso", la tendenza impropria alla "sanitarizzazione", che investono il problema degli anziani, dei sub-normali in genere, degli orfani, degli ospedali psichiatrici.
Siamo posti davanti a grossi problemi che non possono essere risolti mi si perdoni il termine, così semplicisticamente attraverso l'evidenziazione delle malformità o delle carenze del sistema, rivolgendosi magari un giorno al problema dei manicomi e il giorno successivo a quello dei sub-normali, delle Comunità protette, dell'ONMI, dell'INAM o altri istituti assistenziali. Denunce che pur sono giuste, da una certa angolazione, e magari anche necessarie, in quanto sappiamo che la nostra serietà, purtroppo, necessità di stimolazioni continue per fare quanto invece, dovrebbe realizzare in un quadro armonico di attuazione di un preciso disegno politico-programmatico.
E chi non ha sensibilità per i grossi problemi che oggi sono agitati all'insegna della "Sicurezza sociale dell'individuo"? Eppure, bisogna onestamente affermare - come si è data la possibilità di fare in occasione della "tre giorni" di Convegno sui servizi sociali indetta dal Consiglio della Regione Piemonte - che non si può e non si deve demolire una struttura senza l'immediata possibilità di sostituirla con altra, alternativa, perché il vuoto diventa traumatizzante, affossatore delle poche energie e delle non molte risorse che sorreggono oggi le strutture intervenenti nel settore.
Siamo davanti a problemi che talvolta sembrano più grandi di noi e che affrontati nella loro dimensione umana, a volte paiono schiacciarci: grossi conflitti tra strutture, enti, mentalità, il quadro legislativo vigente.
Concettualmente, la società fa un balzo in avanti. Su un piano legislativo, vorrei dire, un pochino meno.
Ci troviamo a coabitare, a operare, come ha ricordato nella sua illustrazione l'Assessore Vietti, all'insegna della legge del 1890, tuttora fondamentale per l'assistenza pubblica e la beneficenza, tanto minuta doviziosa nei particolari; sopravvive nel confronto con la legge statale sugli Asili nido e le sue traduzioni operative regionali, laddove si fanno affermazioni di principio sufficientemente coraggiose, mentre la legge 132 del 1968 sulla strutturazione degli Ospedali, aprendo un discorso che nelle intenzioni del legislatore, doveva essere certamente rivolto alla democratizzazione delle gestioni degli Ospedali, ne ha invece provocato una grossa crisi paralizzante, attraverso la politicizzazione totale del sistema, per la quale - e nessuna parte è immune da colpe - si è aperta una vera e propria corsa all'arrembaggio nella direzione delle gestioni, in chiave partitocratica, con il risultato che ognuno di noi conosce e che non è il caso di riproporre nelle singole manifestazioni.
Pertanto, tra il quadro aperto in prospettiva dal dettato costituzionale, dagli Statuti delle Regioni, dalla volontà politica espressa in mille ed una manifestazioni, e quello realisticamente configurabile entro le strutture, anche legislative, esistenti, corre un grosso spazio, un grosso vuoto, colmabile anche e certamente dalle coraggiose iniziative locali, ma prima che da altro dalla nuova invocata legge-quadro, o meglio dalle leggi-quadro della sicurezza sociale. Sono le leggi che noi affermavamo che dovevano essere varate ancor prima dei decreti delegati.
Non intendo riproporre qui il solito discorso della prevenzione e della medicina del lavoro: è stato ampiamente trattato da alcuni degli interventi. Certamente, su questo piano si è determinato, attraverso la conservazione allo Stato di questi interventi, una grossa soluzione di continuità, facendo venire meno quell'elemento di "cerniera" di chiusura organica degli interventi, nel campo della salute, dove i tre momenti funzionali non possono essere disgiunti l'uno dall'altro.
E' stato possibile cogliere nel documento di lavoro proposto dalla Fondazione Olivetti nella "tre giorni" dei servizi sociali indetta dal Consiglio Regionale una mezza pagina ricolma di saggezza, di senso pratico non certamente di rassegnazione: "In una situazione di questo genere le Regioni, se non vorranno limitarsi ad 'amministrare' le frammentarie ed obsolete funzioni trasferite, dovranno cercare di avvalersi di tutte le risorse offerte dalla legislazione vigente, di sfruttare tutti gli spazi e le contraddizioni in esse presenti. Si tratterà, dunque, di interpretare le leggi in modo tipicamente corretto, ma su un piano estensivo, utilizzando quegli istituti che trovino il loro presupposto nella preminenza degli interessi pubblici".
Dopo di che suggerisce una rilettura delle leggi vigenti, con una nuova ottica.
E' stato detto e scritto in chiave paradossale che se funzionasse la prevenzione, al limite, gli ospedali si troverebbero ad essere vuoti certamente ridurrebbero fortemente il ricovero. Per una fascia di interventi, ad esempio, sui luoghi di lavoro, riducendo le pesanti conseguenze di un certo tipo di attività lavorativa.
Le esperienze che la Commissione IV ha fatto, ad esempio, sul piano degli inquinamenti da rumore, particolarmente sull'attenzione rivolta a quelli insorgenti all'interno dei luoghi di lavoro, sulla salute dell'uomo dagli stati di frustrazione alle cardiopatie, alle disfunzioni dell'apparato digerente, del sistema nervoso, dell'udito, hanno riproposto in termini di estrema serietà questo problema, che pur tocca solo uno dei grandi aspetti che investono la convivenza entro i grossi complessi industriali.
Di qui la richiesta di poter approfondire questa conoscenza attraverso l'acquisizione di cognizioni dirette con sopralluoghi che la Commissione ha ritenuto di proporre, all'interno delle fabbriche; richiesta avanzata alla Presidenza del Consiglio Regionale.
Non rimane che far voti perché quella costruzione organica che è il frutto di un accordo fra la Regione e i sindacati attorno alla costituzione dell'unità di base periferica, che ha avuto una sua indicazione all'interno del bilancio e ha avuto una sua assicurazione, ancora solennemente riconfermata in quest'aula dall'Assessore alla sanità, possa trovare al più presto pratica attuazione.
Si parlava di riforme. Le riforme vengono regolarmente rinviate, e con esse anche tutte le scadenze, tutte le fasi programmatiche dei diversi passaggi tra l'eliminazione di taluni enti, l'incorporazione nelle Unità dei servizi sociali e in quelle sanitarie vengono differite. Interventi sostitutivi a volte vengono invocati da più parti, a volte vengono anche effettuati per colmare i vuoti creati dall'assenza di questi progetti di riforma. Interventi che, se da un lato portano ad un sollievo immediato di certe piaghe, dall'altro mettono successivamente a nudo implicanze e conseguenze di carattere negativo.
Quanto è accaduto nel '68 con la legge stralcio per l'assistenza psichiatrica può essere assunto come metro per un giudizio sereno su un problema certamente angosciante.
Da un lato, lo Stato interviene riproponendo in termini precisi il perfezionamento dell'assistenza psichiatrica all'interno dei tradizionali stabilimenti di cura, ingigantendo la presenza del personale di ogni tipo gonfiando i costi di gestione, mentre il giorno successivo a quello in cui si è adottato il provvedimento nuove correnti scientifiche suggeriscono una diversa, radicale soluzione del problema attraverso la costituzione di presidi decentrati, attraverso la capillarizzazione dell'assistenza, e là dove era possibile l'assistenza domiciliare.
Si sono creati problemi che tutti conosciamo, la risoluzione dei quali è oggi resa più difficile (e se ne sta accorgendo in questi mesi la Provincia di Torino, che ha posto mano ad un certo tipo di studio).
Infine, la stessa riforma sanitaria proponeva per questa materia, già in allora, mentre veniva varato un progetto-stralcio, previsioni, ed ancora oggi le ripropone, rivolte al decentramento, all'umanizzazione di questo tipo di assistenza, alla creazione di presidi periferici, affiancati agli ospedali, entro le future Unità sanitarie locali. E' un problema che non può certamente essere sottovalutato, anche perché dalla stessa relazione dell'Assessore Armella si è potuto rilevare che su 40.000 posti letto esistenti all'interno della Regione Piemonte 10.000 sono destinati all'assistenza psichiatrica.
Quando si è accennato in questa sede alla possibilità, che ormai è esigenza, di far scorrere temporalmente il Piano regionale di sviluppo legandolo ad analogo scorrimento del Piano nazionale, quando le diverse Commissioni sono state chiamate ad esprimere rilievi e valutazioni sul programma economico nazionale 1971-'75, è stato da più parti fatto rilevare come le scadenze previste per le due riforme erano del tutto bruciate.
E non è che la riforma sanitaria, ad esempio, partendo da un certo anno zero, riesca a dar vita con immediatezza alle ristrutturazioni o fusioni di determinati enti, ma lo fa distribuendolo con scadenze nel tempo, che anche nel più recente progetto Gaspari-Coppo vengono precisate e che il rinvio del provvedimento porta sempre più in là. Così è detto anche per l'assistenza sociale.
Ma da più parti viene domandato: che cosa fa la Regione? Cosa deve e può fare la Regione? Alla luce di quanto conosciamo, di quanto è stato e viene detto, tenendo presente, per quanto attiene, ad esempio, al settore dell'assistenza, tante valutazioni ricorrenti, comunque estremamente realistiche: il decreto delegato di trasferimento alle Regioni, su questa materia è stato certamente il più tormentato dei decreti delegati di trasferimento la legge 1890 costituisce ancora la base fondamentale della regolamentazione del pubblico intervento contrariamente a quanto è avvenuto nel settore della sanità con la legge ospedaliera, con la quale sono state trasferite alle Regioni strutture tradizionali, tipiche, relativamente "solide" (quali sono gli Ospedali, ancor prima dell'emanazione dei decreti delegati) di fatto nel settore assistenziale il trasferimento riveste un diverso aspetto, vuoi per le dimensioni, vuoi per il tipo delle attività trasferite.
In effetti, il pilastro fondamentale dell'intervento pubblico è ancora oggi l'ECA, struttura portante dell'assistenza degli enti locali e che nella riforma è destinata a scomparire, mentre permangono a carico della Regione gli oneri della continuità del pagamento delle rette anziani e bambini già ricoverati dallo Stato presso istituti.
Sono invece affidati alla Regione altri compiti nel settore degli Asili nido ed altri ancora con leggi che sono state varate ed altre che verranno proposte - così com'è stato detto nella relazione dell'Assessore - da parte della Giunta.
Ma anche qui occorrerà rilevare non dico le incongruenze ma alcuni aspetti del sistema. Quando noi abbiamo svolto gli interventi sulla legge degli Asili nido da più parti è stata richiesta la neutralizzazione, per non dire l'affossamento, dell'ONMI. Non entro nel merito se sia giusto o no farla scomparire: certo è che nel processo di riforma dei servizi sociali l'ONMI non dovrebbe più sopravvivere. Però, nel più recente parere, che risale a qualche mese fa, il Consiglio di Stato ha riconosciuto ancora a tale ente un largo potere di intervento, tra l'altro interessante lo stesso riconoscimento di agibilità per gli Asili nido che dovranno essere costruiti in base alla legge 1044 e alle sue traduzioni operative regionali. Questo è un aspetto che propone comunque delle difficoltà obiettive, entro le quali ci si trova a dover operare all'insegna della sicurezza sociale.
Il collega Conti nel suo intervento si è soffermato particolarmente sul problema del volontariato. Ecco, io dico che bisogna sviluppare ogni migliore attività per un'esperienza ed una manifestazione tanto positiva.
Se mi è concesso, ricorro ad una battuta: dice Conti che il volontariato è vera e propria milizia; per noi che siamo cresciuti nelle file del laicato cattolico il termine "milizia"- ha una sua giustificazione; ecco, vorrei proprio legarla alla milizia volontaria della sicurezza sociale, potrebbe essere un nuovo ente che potrebbe insorgere dalla discussione sulla sicurezza sociale.
Comunque, occorre indiscutibilmente promuovere un'azione di coordinamento degli interventi, armonizzando le molteplici iniziative del settore pubblico e di quello privato. Con la massima serenità non possiamo negare che questo settore ha sviluppato una vastissima attività ed ha realizzato cose grandiose all'insegna di quella che un tempo chiamavamo "carità", certamente non in senso dispregiativo, e che oggi definiamo "senso sociale", "senso di fraternità" .Ma nel Piemonte questi enti, queste associazioni hanno pur detto parole estremamente valide quando in questo campo vi era un vuoto non colmabile dall'intervento pubblico.
Prima di concludere, vorrei toccare brevemente il discorso del Piano sanitario e ospedaliero. Si parla di Piano ospedaliero, ma è certo che ormai tutti siamo convinti che si debba parlare di Piano sanitario, proprio per le richiamate, più volte sottolineate, scelte di principio attorno ai tre momenti di intervento sulla salute del cittadino, quindi sulla globalità dell'attenzione che la comunità deve rivolgere all'utente dei servizi sociali. E' un grosso tema, che mi auguro possa più propriamente essere affrontato quando saremo chiamati a discutere il rapporto preliminare dell'Ires sullo sviluppo della Regione Piemonte. Talune Regioni hanno impostato su questa materia degli studi, conferendovi una certa divulgazione; altre - ad esempio la Regione Toscana - hanno posto in discussione una proposta di legge riguardante "Norme transitorie per il Piano ospedaliero", che nella sostanza tende a obbligare gli enti ospedalieri ad attenersi alle indicazioni per piano transitorio regionale sanitario, formulate a suo tempo dai diversi C.R.P.O.
Non penso possa essere applicabile analogicamente una decisione del genere alla Regione Piemonte. In effetti, però, la corsa alla richiesta di ampliamento degli ospedali, all'accrescimento della qualifica - zonale provinciale, regionale, qualifica che dovrebbe scomparire, è stato ricordato, con la riforma sanitaria -, la richiesta di costituzione di nuove divisioni, che mettono gli Assessori regionali nella condizione, a volte, di non potersi difendere da vere e proprie aggressioni, istanze locali, minacce di sollevazioni di popolo, rispondono a volte alla soddisfazione di vere esigenze zonali, altre alle caratteristiche delle nostre popolazioni, rivolte alla ricerca di soluzioni di prestigio, altre ad esigenze di concretezza e di funzionalità.
Molte città richiedono di essere investite da modelli ottimali di enti ospedalieri, magari concorrenziali e contrastanti con altre proposte di modelli ottimali di contigui, vicini, enti pubblici (5-10-15 chilometri).
Spinte ed animazioni locali che sarebbe troppo semplicistico definire "garibaldine", che a volte trovano la ragion d'essere in situazioni anche tragiche, legate a problemi di dislocazioni, giacitura, distanza non facilmente percorribili verso centri attrezzati. In altri casi ancora viene messa in gioco la capacità di un primario o di un aspirante tale che suscita una larghissima attenzione nei confronti di un ente ospedaliero ingigantendo e moltiplicando gli indici delle presenze, attratti e sottratti da altri naturali bacini di utenza e che propongono ancora alla meditazione di chi è investito di responsabilità se l'ospedale è fatto per l'uomo, oppure l'uomo colto a misura dell'ospedale.
La Commissione IV è stata di recente investita dall'Assessore alla sanità dell'esame del "cosiddetto" Piano ospedaliero regionale, rassegnato dall'Ires per il C.R.P.O., quando questo organismo, in assenza delle Regioni, era chiamato a formulare questi studi al Ministero della sanità per tutta una serie di interventi.
Questo conferimento dello studio Ires alla Commissione IV pone, di fatto, la Commissione stessa nella condizione di poter esaminare con maggiore ricchezza di documentazione il rapporto preliminare Ires per lo sviluppo del Piemonte '70-'75, anche se è certo che la discussione sul rapporto precederà di gran lunga le conclusioni alle quali la Commissione potrà pervenire dopo un serio, attento approfondimento del problema.
Lo studio dell'Ires era in allora rivolto al rilevamento della situazione esistente nel settore della salute, non solo considerando gli ospedali, ma tutti i presidi ambulatoriali e di servizio che esistevano nel territorio regionale. Tra lo studio così come formulato in allora e la realtà di oggi, che ha registrato un'indubbia crescita delle dimensioni dei diversi enti, corre una sostenuta differenza, che in parte, ritengo, anche solo sul piano della semplice intuizione si è cercato di colmare con i dati riassunti nel rapporto '70-'75, riferiti ai primi mesi dell'anno 1971.
Nel contempo, l'Assessorato ha dato vita ad un gruppo di commissioni tecnico-scientifiche - é stato già ricordato da Berti in sede di discussione -, costituite da esperti nelle varie branche e discipline chiamandole non a formulare il piano regionale ma a dare le indicazioni largamente documentate, su un piano tecnico-scientifico, circa le vere necessità di unità di diagnosi, di cura di servizi, di centri di trapianti di scuole professionali paramediche.
Il rilevamento qualitativo e quantitativo delle esigenze non potrà che consentire il perfezionamento delle prime indicazioni dello studio Ires soprattutto per quanto attiene agli standards di posti letto assunti in allora dall'Ires e ancora conservati nel rapporto '70-'75 al fine di esprimere il reale fabbisogno regionale, e quindi il carico posto ai singoli enti ospedalieri.
Quindi, studi, ricerche e analisi che si muovono su due piani: il primo, che investe l'indagine sul territorio, l'analisi delle strutture sociali, l'analisi della stessa configurazione territoriale in funzione dell'organizzazione sanitaria ospedaliera, e l'altro, una serie di elaborazioni riferite alla domanda di attività sanitarie-ospedaliere necessaria nel territorio regionale, di come i servizi richiedono per la loro stessa natura di essere organizzati.
Una serie di problemi, quindi, che non possono essere circoscritti ad un piano ospedaliero, ma vanno ad investire l'intera materia sanitaria attraverso una raccolta di documentazione sugli ospedali, sulla situazione negli ambulatori, sugli altri centri di possibile attività sanitaria proprio per esaminare la possibilità di convertire la semplice domanda dei servizi in una "domanda programmata" attraverso gli opportuni strumenti selettivi.
Si sa, infatti, che una serie di elementi che vanno a comporre la domanda di ricovero ospedaliero sono chiaramente degli elementi chiamiamoli così, di "importazione assistenziale", in quanto una serie di ricoveri negli ospedali avviene per carenza di funzioni assistenziali, e quindi si dà luogo al loro riversarsi sull'ospedale distogliendoli dalla loro sede di confluenza naturale, tipicamente assistenziale.
La carenza di un piano di organizzazione del territorio, di strumenti urbanistici, di uno stesso piano di sviluppo economico evidentemente creeranno delle difficoltà alla formazione del piano (in quanto da queste previsioni organizzative delle diverse zone, a carico delle stesse pu essere configurabile l'uno piuttosto che l'altro insediamento, risparmiare l'eliminazione o il declassamento di un ospedale, addirittura il proporne uno nuovo). Evidentemente, l'inserimento di un nuovo polo di sviluppo industriale, che viene ad equilibrare magari un'altra zona di eccessivo sviluppo di un territorio contiguo, provoca una diversa situazione locale e quindi una diversa domanda di utenza.
Nel vuoto, pur momentaneo, di un processo di pianificazione territoriale, l'indagine del Gruppo dei 70, pur con tutti i difetti, le remore e le critiche, acquista rilevanza notevole per la verifica dei parametri adottati anche nel più recente rapporto Ires. Bisognerà imprimere una certa accelerazione a questi studi e ai successivi adempimenti, per non subire più passivamente le spinte di una a volte incontenibile domanda di servizi e di ristrutturazione degli enti.
Gli interventi dei due Assessori hanno raffigurato un quadro inquietante della situazione regionale, ed altrettanti inquietanti interrogativi hanno posto, taluni dei quali insorgenti da "paurosi" vuoti di carattere finanziario (si è parlato del passivo delle mutue e dei costi delle riforme), dall'episodicità e dall'inorganicità di taluni interventi.
Una rigorosa proposta regionale, fatta con estremo realismo, secondo la più genuina tradizione piemontese, pianificata temporalmente, pu costituire una seria risposta ad ogni interrogativo, e certamente, com' accaduto ieri per il Piano degli Asili nido, per la prevenzione sui luoghi di lavoro, troverà largo consenso all'interno del Consiglio Regionale.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare, per la parte relativa all'assistenza, il Consigliere Viglione. Ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il tema dell'assistenza per la sua importanza darà un'impronta caratterizzante alla linea politica della Regione Piemonte.
L'assistenza va assumendo infatti un ruolo sempre maggiore, nella misura in cui è divenuto non soltanto un modo di affrontare i problemi più urgenti che la nostra società, con tutte le sue contraddizioni, ci pone, ma è divenuto, esso stesso, un modo di fare politica.
Possiamo infatti affermare che oggi è mutato lo stesso concetto di assistenza, per cui non si richiedono più forme imprecise di interventi, ma iniziative che si ricolleghino ad una linea politica tesa ad affrontare i problemi che via via si pongono, non in forma settoriale ma secondo una visione globale della problematica dei "servizi sociali" intesi come strumento di organizzazione del territorio e della comunità.
Ciò che si chiede oggi alle forze politiche e sociali è un intervento che veda i diversi problemi collegati gli uni agli altri, secondo le interrelazioni profonde che sussistono fra di essi.
Il nuovo livello di sensibilizzazione raggiunto sui problemi sociali impone che non si possa più parlare dell' "assistenza" secondo l'ormai superata impostazione della "assistenza ai bisognosi". Si devono invece realizzare i servizi sociali, quali la casa, la scuola, la sanità, in modo che siano direttamente fruibili da parte di coloro che di queste strutture hanno necessità. Non si tratta più, oggi, di creare degli "Enti assistenziali", che non possono essere sostitutivi di questi servizi ma che si sovrappongono soltanto ad una realtà, senza modificare in nulla le situazioni abnormi che hanno creato il disagio iniziale, senza intervenire alla radice delle situazioni, anzi cristallizzandole.
Bisogna, dunque, operare sulla società; intervento che in termini concreti significa anche operare sulle strutture del territorio sul quale vive l'individuo, creando dei servizi sociali.
Non si tratta, quindi, di porre in atto generiche forme di assistenza ma di cominciare a realizzare in maniera costante i diritti fondamentali che sono alla base della nostra Costituzione.
Realizzazione, pertanto, del diritto allo studio, realizzazione di servizi che garantiscano al lavoratore non più produttivo quel diritto alla sicurezza sociale che ha acquisito in anni di lavoro, realizzazione di tutte le strutture che consentano all'immigrato dal Sud o dalle zone più depresse del nostro Paese di trovare, oggi, in Piemonte, una casa pur modesta nella quale poter ricongiungere il proprio nucleo familiare: asili e scuole, materna e dell'obbligo, con personale adeguato alla sua funzione al quale poter affidare i propri figli, ciò che consentirebbe di conseguenza anche un maggior impiego femminile.
In questa linea, mediante un'idonea organizzazione dei servizi verrebbe a mutare l'impostazione dell'assistenza all'immigrato, che in questi anni tendeva ad essere regola costante e che invece potrà trasformarsi in qualcosa di occasionale e temporaneo.
Quindi, non tanto con una maggiore razionalizzazione di interventi, ma con un nuovo tipo di scelte si potrà giungere al servizio sociale inteso come "possibilità di fruire di prestazioni alle quali si ha diritto". E la realizzazione di questo "tipo di assistenza", che in realtà consiste in una diversa scelta politica è anche la scelta politica della non emarginazione di chi "non è" o "non è più" produttivo.
Ma sul problema della non emarginazione, che costituisce oggi una scelta qualificante in tutti gli ambiti dell'assistenza, ritengo di dover ritornare più tardi nel corso del mio intervento. Ciò che si deve sottolineare è che fare dell'assistenza, oggi, significa andare ad incidere, eliminandole, sulle radici degli squilibri sociali che trovano le loro origini nelle profonde contraddizioni di cui soffre la società italiana e piemontese in particolare. Affrontare correttamente il settore dell'assistenza significa, cioè, realizzare una maggiore giustizia sociale E' quindi necessario investire di questa sfera di responsabilità non i singoli enti, sorti per iniziative isolate e settoriali, ma trasformare l'assistenza in fatto sociale che va programmato e gestito da chi ha la responsabilità globale della programmazione: infatti, solo con iniziative globali si potrà trovare un reale avvio di soluzione.
In questa linea si sono poste le più rilevanti iniziative di studio e ricerca svoltesi nel settore dell'assistenza, e al riguardo si possono citare il convegno svoltosi a Torino nel luglio del 1971, promosso dalle confederazioni sindacali, dai comitati di quartiere, dall'unione per la tutela del minore e dall'associazione per la lotta contro le malattie mentali; ed ancora le esperienze contenute nel "Quaderno sindacale" del marzo 1972, pubblicato dai Comitati regionali del Piemonte della CGIL della CISL e della UIL.
In questi studi si evidenzia come tutto il campo dell'assistenza nell'attuale realtà del Piemonte, e nei grandi centri in particolare, non possa correttamente trattarsi senza far riferimento alle profonde modificazioni strutturali verificatesi nella popolazione.
Sono infatti vertiginosamente aumentate le classi di età da zero ai dieci anni, determinando un aumento proporzionale della richiesta di servizi sanitari, scolastici, sportivi e ricreativi in generale; richieste che sono andate aumentando anche in relazione ad un più elevato benessere sociale e soprattutto ad una sempre crescente maturità sociale, determinata anche, quest'ultima, dal modificarsi del tipo di economia, divenuta prevalentemente industriale.
Ricollegato a questa troppo rapida trasformazione sociale è il problema dell'assistenza agli anziani, veri emarginati, perché improduttivi.
Il Piemonte, quindi, si è trovato impreparato, sia dal punto di vista delle strutture che dell'integrazione sociale, a recepire ed a soddisfare questa aumentata richiesta, e proprio per questa disorganizzazione quella che poteva essere una logica richiesta di servizi è diventata un'abnorme richiesta di assistenza.
La mancanza di una pronta risposta a questa domanda ha avuto per il Piemonte aspetti gravissimi, di cui hanno pagato il prezzo, naturalmente come sempre accade, quegli stessi che si trovano in situazioni di bisogno e fra questi soprattutto i giovani, inconsapevolmente coscienti di questa situazione, insofferenti di essa, disadattati e per questo emarginati.
Profonde, quindi, le carenze, e profondi gli squilibri.
Di fronte a questa caotica, pressante richiesta di intervento, la risposta data si è limitata ad interventi tradizionali, attingendo a risorse inadeguate ed a forme di tamponamenti delle situazioni più gravi.
E' certamente mancata la disponibilità economica, si possono comprendere le reali difficoltà generali di fronte a questa situazione; ma ciò che va detto chiaramente è che è mancata anche la volontà politica di intervenire con energia e rapidità a sanare almeno le situazioni più gravi, perché di fronte ad una richiesta di "assistenza" così generalizzata, come si è verificata dagli anni '60 ad oggi, l'unica risposta efficace consisteva in forme di intervento che andavano ben al di là dell'assistenza paternalistica e clientelare, poco impegnativa ma tanto utile a chi voleva usarla a questi scopi.
In questo difficile contesto sociale si è inserito l'Ente Regione atteso come momento rinnovatore e che raccoglieva le aspettative di chi vedeva in questa nuova realtà politica, con funzione preminentemente programmatoria e legislativa, l'entità in grado di modificare l'attuale carente impostazione.
La Regione avrebbe dovuto porsi, secondo queste aspettative, come Ente gestore dell'assistenza sociale nelle sue diverse forme, unificando o abolendo, o comunque rendendo operanti in modo organico, quella miriade di associazioni e istituti piccoli e grandi che operavano nel settore, con competenze sovente analoghe.
Si attendeva, dunque, una Regione non erogatrice di somme, ma tendente ad un nuovo modo di organizzare la sicurezza sociale, in grado, inoltre, di far fronte ad uno degli aspetti che si era via via evidenziato come fondamentale, riguardante cioè la preparazione del personale, soprattutto per quello a diretto contatto con i ragazzi, i giovani, gli anziani impegnato cioè nelle scuole e nei centri specializzati.
Tale attesa era ampiamente confortata dalle competenze che il dettato costituzionale riserva in materia alle Regioni. Infatti, l'art. 117 della Costituzione riserva potestà legislativa in materia di "beneficenza pubblica, assistenza sanitaria e ospedaliera"; vengono inoltre individuate fra le competenze delle Regioni l'assistenza scolastica e l'urbanistica tutti settori determinanti per la soluzione dei problemi prima evidenziati.
E se è vero che la dizione costituzionale parla di "beneficenza pubblica", facendo riferimento ad un concetto che nelle esperienze degli ultimi anni è stato sempre più rifiutato, in quanto discrezionale e discriminante, tuttavia la Costituzione prevede compiti legislativi in materia che consentono alla Regione di operare in base ai principi fondamentali dello Stato.
A tale aspettativa nei confrontI della Regione, tuttavia ostò fin dall'inizio l'atteggiamento statale, e, in questo settore, il Ministero dell'Interno, che si pose come realtà frenante nei confronti della volontà regionale, trasferendo alle Regioni soltanto le "funzioni amministrative statali", cioè dei compiti di prefettura. Ciò che, in altri termini significava lasciar sopravvivere tutti quegli enti nazionali che esercitano un tipo di assistenza sempre più inidonea alla crescente sensibilizzazione e maturazione della coscienza sociale.
Il decreto delegato concernente il trasferimento alle Regioni delle funzioni in materia di "beneficenza" confermò infatti tale orientamento, ed in ordine ad esso, prima la Commissione IV, competente in materia, e successivamente il Consiglio espressero un giudizio globalmente negativo rilevando in generale la presenza di una volontà ostruzionistica dello Stato, che rendeva difficile una vera azione riformatrice da parte delle Regioni.
La Regione Piemonte auspicò in quell'occasione un'evoluzione dell'impostazione dell'assistenza che dal vetusto ambito degli interventi di natura caritativa addivenisse alla più moderna prospettiva dell'assistenza e della sicurezza sociale.
Anche altre Regioni, come ad esempio l'Emilia Romagna, si pronunciarono in quell'occasione per la realizzazione di un sistema di sicurezza sociale profondamente unitario, con una direzione politica e amministrativa non frazionata, pur nell'articolazione interna dei vari momenti dell'intervento sanitario e assistenziale, dichiarandosi contrari, quindi, all'arbitraria divisione della materia così come era stata operata dal Governo.
Anche la Regione Lombardia osservò che, mentre la Costituzione intendeva trasferire le funzioni in un quadro onnicomprensivo nel campo generale dell'assistenza, il decreto delegato rispondeva invece " ad un'interpretazione restrittiva in materia di beneficenza pubblica trasferendo alle Regioni attribuzioni limitate a quelle del Ministero dell'Interno", escludendo quindi le competenze in materia, esistenti presso altri Ministeri, quali Ministero del Lavoro, di Grazia e Giustizia, della Sanità, dei Lavori Pubblici, della Pubblica Istruzione ed altri.
La Regione, quindi, si trovò già inizialmente limitata in questa direzione.
Tuttavia, a distanza di quasi due anni dall'emanazione del decreto delegato sulla beneficenza pubblica, nel fare un primo generico bilancio dell'attività della Regione, possiamo dire di trovarci in presenza di un vuoto, soprattutto sotto il profilo legislativo. Infatti, non vi sono ancora norme relative all'esercizio delle funzioni trasferite alla Regione con i decreti delegati, non sono stati stabiliti ancora dei criteri generali che disciplinino in modo organico l'erogazione degli stanziamenti.
Sempre restando ad osservazioni generali, si può ritenere che fino ad oggi la Regione abbia ricalcato lo schema di assistenza così come si è sempre realizzato a livello statale, attraverso contributi ad associazioni ed enti diversi, proseguendo la politica assistenziale tradizionale, cioè dell'istituzionalizzazione, quella politica che le forze più all'avanguardia nel settore hanno sovente denunciato perché non tendeva a soddisfare gli attuali bisogni della società, anzi, era fonte di emarginazione essa stessa.
Si è, per lo più, seguita la strada del contributo erogato su richiesta dell'Ente interessato, senza un piano organico, potenziando per lo più le strutture attualmente esistenti e sovvenzionando anche quelle istituzioni che, a livello di dichiarazione verbale, gli stessi responsabili dell'assistenza a livello regionale hanno dichiarato di voler superare.
Desidero al proposito richiamare quanto espresso dall'Assessore Anna Maria Vietti, che ha più volte giustamente sostenuto che la Regione deve tendere ad un tipo di assistenza a carattere preventivo. E' stata tuttavia realizzata una serie di interventi a favore di enti e associazioni varie quali ad esempio gli enti comunali di assistenza, enti che, per dichiarazione dell'Assessore stesso, dovrebbero essere soppressi.
Ci troviamo, dunque, di fronte a carenze legislative e disorganicità di interventi. E tale disorganicità è altresì confermata dai residui passivi del bilancio regionale del 1972, a conferma che è difficile spendere senza programmare.
A che cosa dobbiamo dunque ricondurre queste carenze? Ad un'effettiva impossibilità di tutte le Regioni ad operare in modo nuovo, per oggettive difficoltà, o ad una carente volontà politica di modificare i principi sui quali fino ad oggi si è basata l'assistenza? Non possiamo al proposito sottacere la profonda divergenza fra le dichiarazioni di principio, giustissime, pronunciate da chi ha responsabilità diretta e l'operato concreto. Certamente, alla Regione Piemonte ed ai suoi amministratori non sono mancate le sollecitazioni e le indicazioni da parte di esperti, di associazioni che operano nel settore e delle stesse organizzazioni sindacali. Infatti, in tutti i loro interventi quadro sono stati consultati, hanno sempre fornito indicazioni dettagliate ed indicato linee precise a cui la Regione avrebbe potuto ispirarsi in più occasioni, non ultima l'occasione del bilancio 1973, dove ancora una volta si è invece ricalcata quell'impostazione che già aveva sollevato le critiche delle forze politiche più avanzate e dei sindacati in sede di consultazione sul bilancio preventivo per l'anno 1972.
E' stato infatti osservato che i capitoli di spesa del bilancio della Regione sono ancora identici a quelli che in passato erano di competenza del Ministero dell'Interno e che nessuno sforzo è stato fatto dalla Regione per attuare l'obiettivo di fondo, che non consiste certamente in una razionalizzazione dell'assistenza, ma nell'istituzione di servizi sociali aperti e nel tentativo di porre le basi per un superamento di quelle difficili condizioni socio-economiche cui accennavo nella prima parte del mio intervento, che provocano l'abnorme richiesta di assistenza.
Non soltanto, ma ciò che più preoccupa nell'impostazione del bilancio è la tendenza della Regione a inserire le sue disponibilità finanziarie quasi totalmente nei capitoli di spesa riducendo così la disponibilità per il finanziamento di provvedimenti legislativi che possano realmente mutare l'attuale impostazione dell'assistenza per tendere invece ad una politica non emarginante.
Pochissimo è stato realizzato fino ad oggi sotto il profilo legislativo, anche se non vogliamo dimenticare la legge, approvata il 14 dicembre 1972 dal Consiglio Regionale, degli asili-nido, che si pone tuttavia come unica iniziativa legislativa in materia; e va in proposito sottolineato che soltanto oggi il Consiglio è chiamato a pronunciarsi sul piano di riparto dei finanziamenti per gli asili-nido per l'anno 1972 (l'abbiamo fatto l'altro giorno).
Vi sono dunque molte iniziative da assumere. Noi dobbiamo segnalare la lentezza con la quale la Regione procede in questo settore, ed a riprova di ciò si pone questo stesso dibattito sull'assistenza, annunciato nella seduta del Consiglio Regionale del 25 maggio 1972, dibattito che solo oggi anche dopo nostra personale sollecitazione, la Giunta si è dichiarata disposta a far svolgere.
Ma se confrontiamo la nostra esperienza con quelle di altre Regioni quali la Lombardia, l'Umbria e Toscana, partite anch'esse con analoghe limitazioni, sulla base del decreto delegato, notiamo che qualcosa si poteva fare, soprattutto nella definizione di linee generali di programmazione e gestione dell'assistenza ed altresì nel campo dell'aggiornamento del personale insegnante e degli educatori della prima infanzia, nonché nella formazione professionale e correlativa attività di orientamento degli invalidi civili e del lavoro nonché dei minorati fisici psichici e sensoriali.
Si avverte, dunque, l'urgenza di iniziative legislative, e soprattutto l'urgenza di una legge quadro. Ma, in mancanza di questa, siamo convinti che molte cose si possano ugualmente realizzare, se esiste una reale scelta politica di affrontare in modo organico il problema.
La Regione, come ente nuovo, e che le aspettative sociali vogliono anche come ente diverso, deve cominciare a realizzare qualcosa. Il primo passo è costituito dalla scelta politica che essa può fare in qualsiasi momento, cioè la scelta di indirizzi non settoriali, di servizi aperti, la scelta derivante dalla convinzione che ogni cittadino ha il diritto di disporre di servizi sociali.
Dare contenuti nuovi all'assistenza significa non limitarsi più a "riparare le conseguenze delle contraddizioni che ogni giorno maggiormente esplodono nel mondo del lavoro, della scuola e della famiglia, ma significa predisporre interventi che eliminino tutte quelle cause economiche, quei meccanismi sociali e quelle strozzature istituzionali che consentano il permanere di stati di bisogno non soddisfatti".
Riteniamo di accogliere pienamente questa affermazione, ricavata dal documento approvato dal Convegno nazionale degli Assessori regionali all'assistenza, svoltosi a Bergamo il 27 aprile del 1971, perché in esso è confermato che l'assistenza sociale è chiamata a svolgere un ruolo di congiunzione tra le varie politiche sociali: sanità, previdenza istruzione, politica del territorio.
Individuata ed accettata questa impostazione di fondo, possiamo sinteticamente riassumere i poteri che le Regioni hanno in questo settore e che la Regione Piemonte in particolare deve porsi come momenti di intervento: la partecipazione popolare l'individuazione dell'ambito operativo attraverso la zonizzazione del territorio per la definizione delle unità locali dei servizi e dei comprensori (questo non è ancora stato fatto) la realizzazione di una legislazione regionale per la formazione di una gamma di interventi nei confronti della maternità, dell'infanzia, dei lavoratori, degli anziani e di tutti quei cittadini che per le loro caratteristiche determinano l'esigenza di servizi sociali, servizi che devono realizzarsi secondo i principi della massima integrazione, al fine di evitare il fenomeno dell'emarginazione, ed atti ad eliminare forme di disadattamento già esistenti, dovute ai profondi squilibri sociali a cui già in precedenza ho fatto cenno una legislazione tesa al massimo potenziamento delle autonomie locali funzione di programmazione regionale dei servizi sociali assistenziali, in accordo con i Comuni e con i consorzi di Comuni, per una gestione dei servizi a livello locale programmazione che tenda all'unificazione di tutti i servizi interventi legislativi nella linea di quelli precedentemente citati e già adottati da altre Regioni, per la programmazione, attraverso strutture formative regionali, di personale adeguato alle più moderne esigenze assistenza tecnica e controllo delle prestazioni sociali erogate dalle varie istituzioni private di assistenza e beneficenza, cercando di eliminare progressivamente le forme di istituzionalizzazione blocco dei contributi per la costruzione e l'acquisto di nuovi istituti per minori, anziani e handicappati, fatta eccezione per le rette e per le indifferibili spese di manutenzione ordinaria realizzazione al più presto di leggi-delega ai Comuni ed alle Province piena applicazione dei D.P.R. sulla medicina scolastica applicazione delle legge 17 luglio 1890 n. 6972 per l'unificazione e lo scioglimento delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza azione promozionale nei confronti di tutti quegli enti che si occupano di assistenza, come le Province, i Comuni, gli ECA, gli IPAB affinché si facciano essi stessi parte attiva nella realizzazione di nuove forme di assistenza, usando dei pur limitati strumenti legislativi esistenti (vedi la già citata legge del 1890, l'art. 132 del R.D. 4 febbraio 1915 n. 148, il decreto del Ministero del Lavoro del 21 dicembre 1956) intervento affinché venga data piena applicazione al decreto ministeriale concernente l'edilizia scolastica e l'abolizione delle barriere architettoniche nelle scuole e ancora la circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 15 giugno 1968 relativa all'abolizione delle barriere architettoniche nei nuovi edifici pubblici e aperti al pubblico contenente "Norme volte ad assicurare la piena utilizzazione degli edifici sociali da parte dei minorati fisici, attraverso l'eliminazione degli ostacoli fisici", come si legge nella suddetta circolare ministeriale l'art. 27 della legge 30 marzo '71 n. 118 relativa agli alloggi per invalidi, affinché questi possano fruire dell'assegnazione di idonea sistemazione Riteniamo utile segnalare, ancora una volta, le norme della legge sulla casa n. 865, per quanto riguarda la costruzione delle case-albergo, di modo che vi siano alloggi individuali e piccole comunità per lavoratori e per anziani. Qui il discorso sul focolare potrebbe essere ampliato, ma ritengo che lo possiamo fare poi ancora in seguito.
In questo modo si potrebbero concretamente iniziare nuove forme alternative di assistenza agli anziani ed agli handicappati.
Certamente, molte delle possibilità di intervento fin qui segnalate non sono nuove, in quanto già più volte indicate dalle varie organizzazioni ed anche da me in precedenti occasioni.
Ciò che desidero infine ricordare è che la Regione, nel settore dell'assistenza, può veramente svolgere quelle funzioni che sono caratteristiche del suo operato, lasciando agli enti locali la gestione diretta. La Regione deve cioè svolgere: funzioni di programmazione di interventi e di coordinamento delle varie iniziative funzioni legislative funzioni di stimolo nei confronti dei Comuni o dei Consorzi di Comuni ai quali fornire idonei stanziamenti per la realizzazione dell'assistenza domiciliare sanitaria e sociale, per la realizzazione di comunità-alloggio per minori, disadattati e per anziani, la realizzazione di affidamenti familiari che tendano sempre più a sostituirsi al deleterio metodo dell'istituzionalizzazione.
Deve infine favorire, per quegli elementi che per la loro menomazione non possono ritenersi soltanto dei disadattati, la realizzazione dei laboratori protetti, con strutture atte ad inserirsi il più possibile nell'ambiente e nel tessuto sociale circostante.
Bisogna tendere, in altre parole, a non sradicare il soggetto handicappato, o menomato fisicamente, dal suo quartiere, o, peggio ancora dalla sua città; e per fare questo sono indispensabili anche strutture edilizie e localizzazioni ambientali che si inseriscano, senza stravolgerla, nella realtà territoriale circostante.
Molte altre cose si potrebbero dire e molte altre iniziative si potrebbero proporre; ma è essenziale, per realizzare tutto questo conoscere esattamente l'attuale situazione dell'assistenza in Piemonte avendo una fotografia delle risorse esistenti, del modo in cui vengono gestite, del numero degli assistiti attuali, della richiesta esistente.
Soltanto conoscendo la reale situazione si potrà intervenire per modificarla, operando in modo organico per iniziare un processo che porti ad un reale capovolgimento di quanto fino ad oggi è stato realizzato conservando, s'intende, quanto di buono e di positivo è stato fatto.
Perché noi non vogliamo affermare che tutto fino ad oggi sia stato sbagliato: vogliamo invece dire che la mutata situazione economica, e soprattutto la mutata situazione sociale, richiedono tipi d'intervento diversi. Non possiamo dimenticare che siamo in Piemonte, una regione che ha subito una forte immigrazione, andata ad inserirsi prevalentemente nell'industria. Fondamentale è stata l'azione dei sindacati, che sono stati determinanti a contribuire alla formazione di una nuova coscienza sociale.
Tipi, dunque, di interventi diversi, per tipi di realtà nuove. Ma è chiaro che per fare tipi di interventi diversi è necessario che le forze politiche vogliano realmente farli. Perché è indubbio che le riforme in questo settore costano, e costano non soltanto in termini economici, ma in termini sociali, dato che implicano l'affermarsi di concetti nuovi implicano il passaggio dal concetto di bontà di chi dà al concetto di diritto elementare a ricevere, e questo incide sulle radici più profonde dell'attuale impostazione sociale.



PRESIDENTE

La discussione generale credo possa considerarsi terminata. A questo punto vorrei sapere, in considerazione dell'ora tarda ma soprattutto dei larghi vuoti che si sono aperti in aula e che mi fanno dubitare della riuscita della convocazione per le ore 21 della seduta del 4 giugno, se gli Assessori sono d'avviso di dar corso ora alla loro replica o preferiscono aggiornare i lavori ad un'altra seduta.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Siamo a disposizione del Consiglio.



PRESIDENTE

Allora, la parola all'Assessore Vietti per la sua replica.



VIETTI Anna Maria, Assessore ai servizi sociali

Replicherò, naturalmente, in modo molto sintetico, conglobando in un'unica risposta gli argomenti trattati da più oratori.
Concordo con Viglione sulla necessità di una riforma generale del settore: mi pare di avere espresso quest'opinione molto chiaramente già nella mia relazione. Penso anch'io che questa riforma generale debba essere in rapporto al cambiamento sostanziale, da un punto di vista sociale ed economico, che la nostra società ha fatto in questi ultimi anni. E' altresì pure mio avviso che tutti i servizi sociali debbano essere creati per essere usufruibili da tutti i cittadini, non soltanto dai bisognosi, a differenza da quanto avvenuto per gli interventi assistenziali finora svolti, e che i servizi sociali dovranno essere gestiti con la partecipazione degli utenti.
Viglione ha detto che non abbiamo rivendicato la competenza globale della Regione. Mi pare che invece questo argomento sia stato affrontato.
D'altronde, abbiamo fatto, tra l'altro, riferimento alla discussione che era avvenuta in occasione del decreto delegato, durante la quale avevamo rivendicato alla Regione la competenza globale, non soltanto sui settori che ora dipendono dal Ministero dell'Interno: mi sono, per esempio soffermato sul disadattamento minorile, oggi di competenza del Ministero di Grazia e Giustizia, dicendo invece che esso rientra nel vasto arco dei servizi sociali e che pertanto la competenza dev'essere della Regione, non come gestione diretta, ma come competenza legislativa, programmatoria e di finanziamento, sotto la gestione degli enti locali.
Viglione insiste sulla necessità di un profondo collegamento fra politica dell'assistenza e politica sanitaria, politica scolastica del tempo libero. Sono d'accordo con lui, e ritengo anche che da un punto di vista operativo ci dovranno essere dei gruppi di operatori sociali comuni.
Però, a parer mio, perché l'intervento possa essere efficace, dovranno essere istituite anche le Unità locali dei servizi sociali distinte, che come ho già detto, dovranno però avere la stessa dimensione territoriale e dovranno svolgere una politica strettamente collegata alla politica del territorio, della casa, della scuola, della pensione. Perché evidentemente l'abbiamo già sottolineato tante volte -, un miglioramento, per esempio del trattamento pensionistico certamente diminuirebbe il numero di richieste di assistenza, così come una politica scolastica diversa ridurrebbe il disadattamento minorile, così come una prevenzione nell'ambito della medicina e della tutela dell'ambiente di lavoro potrebbe scongiurare il crearsi di determinati handicap che poi rendono necessario l'intervento assistenziale. Pertanto, tutta una politica generale che limiti al massimo l'intervento assistenziale.
Viglione ha ancora sottolineato il principio che l'intervento assistenziale va esteso anche agli immigrati, certamente un grosso problema per la nostra realtà regionale; ed ha riaffermato un concetto già espresso nella mia relazione, cioè che l'assistenza generica dev'essere il più possibile contingente, volta proprio alla funzione dell'inserimento, o del reinserimento, nell'attività produttiva.
Ha ribadito il giudizio negativo per l'attività assistenziale svolta e su questo tema mi soffermerò più ampiamente nel replicare alla Consigliera Fabbris -, dichiarando che non sempre alle affermazioni di principio abbiamo fatto seguire gli atti operativi. In particolare, ha rilevato che, mentre io sostengo la necessità della soppressione degli enti comunali di assistenza, si continua ad elargire contributi a questi enti.
Io dichiaro ancora una volta esplicitamente che l'obiettivo che deve realizzare la legge-quadro è la soppressione degli enti comunali di assistenza, perché se anche trent'anni fa potevano forse svolgere un'azione valida certamente oggi conducono un'attività quasi sempre elemosiniera, ed i loro bilanci sono in gran parte assorbiti da spese di gestione e pertanto questi enti non possono considerarsi una rete di servizio sociale. Per oggi come oggi, essendo essi istituiti per legge ed avendo per legge la competenza dell'assistenza generica, e non essendoci alcun altro ente con questa competenza, ritengo che determineremo un grosso vuoto di intervento se non finanziassimo quei programmi che gli enti comunali di assistenza hanno svolto finora e che non possono all'improvviso, senza che siano state create alternative, venire troncati di netto.
Allo stesso modo ritengo, in questo concordando su quanto ha detto Conti, che non si possa non cercar di migliorare gli istituti esistenti: si tratta di istituti educativi assistenziali, di istituti per anziani, in cui vive un numero elevatissimo di persone che si trovano in particolari condizioni di difficoltà. Ci assumeremmo una ben pesante responsabilità se non facessimo ogni sforzo per svolgere un'azione promozionale diretta al miglioramento di questi istituti. E' ovvio che ha pienamente ragione il collega Viglione quando richiede la legge-quadro. Il suo intervento è stato denso di proposte, ma penso che egli stesso, nell'esporle, si rendesse conto come tante di queste cose non possano essere realizzate perché la legislazione assistenziale è molto analitica e senza una legge-quadro, una legislazione completa, globale cozzerebbe certamente contro i principi generali, contro le leggi esistenti, e sarebbero delle leggi inoperanti perché non potrebbero trovare approvazione.
Per quanto riguarda l'indagine, devo far rilevare a Viglione che, anche se non è stata del tutto completata, tuttavia è certamente un'indagine che investe una grande maggioranza di istituti, e quindi di può considerare pressoché completa: essa si riferisce a 42.120 posti in istituti contro 2.518.



VIGLIONE Aldo

Mi riferivo essenzialmente alle risorse.



VIETTI Anna Maria, Assessore ai servizi sociali

Anche la Consigliera Fabbris ha messo in rilievo la discrepanza fra le affermazioni di principio e la realtà degli interventi. Ho già detto che le affermazioni di principio sono in rapporto alla legge-quadro che noi vogliamo venga approvata, che noi sollecitiamo dal Parlamento, ma che oggi non esiste: per questo non possiamo per ora mettere in pratica i principi in cui noi fermamente crediamo. Ha poi messo in rilievo come, in fondo, il bilancio della Regione, al cap. 1172, preveda contributi trentacinquennali per 300 milioni per il problema delle Case di riposo. A parte il fatto che lo stanziamento è stato aumentato a 300 milioni dai 100 che la Giunta aveva proposto per richiesta del relatore del Consiglio, vorrei far osservare alla Consigliera Fabbris che si tratta di contributi non per il miglioramento degli istituti ma per nuove Case di riposo, evidentemente concepite in modo nuovo, e di completamenti di Case di riposo. Anche lo studio dell'Ires mette in evidenza come necessitino in questo settore 14.000 nuovi posti. Noi abbiamo fatto presente che, in base alle risultanze dell'indagine che abbiamo esperito, tale numero ci sembra eccessivo, salvo che si possano trasformare le attuali Case di riposo, dove vengono accolti insieme anziani sani e anziani malati, in Case di riposo destinate ad accogliere solo anziani malati, e che gli anziani sani possano trovare ospitalità in nuove strutture, realizzate sul modello delle case-albergo.
Concordo pienamente con la collega Fabbris sulla necessità della soppressione degli enti nazionali. Già nella relazione ho affermato che la riforma dell'assistenza avrà un suo significato, la Regione potrà avere la sua competenza globale, solo se il Parlamento emanerà una legge che sopprima tutti questi enti nazionali: Enaoli, Ompi, Onmi, eccetera.
In modo particolare, in questo momento è evidente la necessità di arrivare al superamento dell'ONMI, per non avere due tipi diversi di gestione degli Asili nido, quelli gestiti con la partecipazione degli utenti, gestiti dai Comuni, con determinati organici di personale, e quelli gestiti ancora nel modo tradizionale dall'ONMI. E' una situazione di contrasto che dovrà senz'altro essere superata al più presto. Non è che io abbia mancato di fare tentativi in questo senso: ho avuto incontri con l'ONMI e gli amministratori dei vari Comuni per arrivare alle convenzioni.
Da parte dell'ONMI nazionale è giunta una risposta negativa: laddove l'ONMI locale si convenzionerà con il Comune l'ente nazionale non concederà più il finanziamento. E sarebbe, a mio avviso, un grave errore impegnare il Comune in spese che nel passato faceva l'ONMI, riducendo così la possibilità di interventi per nuovi Asili nido. Il problema dev'essere risolto con il passaggio dei finanziamenti dell'ONMI al Comune. Ma questo non dipende dalla nostra volontà: noi potremo unicamente fare ancora una volta - ed io sono dispostissima a farlo - una richiesta politica al Parlamento di soppressione di questi enti. Teniamo però conto che questa è la realtà di fronte alla quale ci troviamo oggi. Francamente, io non posso dire che il mio giudizio su quanto è stato fatto dall'ONMI finora è del tutto negativo: il fatto è che si tratta di una struttura verticalistica che nella moderna concezione dell'assistenza è chiaramente superata.
Si è parlato del problema delle colonie. Si potrà vedere, per l'assistenza invernale, di studiare qualche intervento nuovo. In realtà noi ci siamo trovati di fronte ad enti che, sovvenzionati dalle Prefetture accoglievano gratuitamente, o semi-gratuitamente, dei ragazzi e svolgevano la loro attività in collaborazione con i Comuni. Se noi avessimo dovuto sostituirci ai Comuni nell'intervento ci saremmo trovati nell'assoluta impossibilità di far proseguire l'attività. Per questo la scelta è stata nel senso di continuare l'intervento già svolto in antecedenza dal Ministero dell'Interno, per avere la garanzia di un numero adeguato di posti. Preciso però alla Consigliera Fabbris che non abbiamo affatto delegato la scelta ai funzionari: la delega che abbiamo dato è di natura esclusivamente contabile, con lo scopo di sveltire le pratiche di elargizione dei contributi. Una volta che la delibera è stata approvata dai Commissari di Governo, si accreditano i fondi a determinati funzionari, che sono autorizzati a firmare il mandato.



VIGLIONE Aldo

E' una delega data a fin di bene, insomma.



VIETTI Anna Maria, Assessore ai servizi sociali

E' un semplice accorgimento di carattere ragionieristico e contabile utile ad accelerare la procedura di corresponsione del contributo.
Si è domandato qual è l'alternativa alla Casa di riposo. Mi pare di averne accennata una che se non comporta una rivoluzione del sistema assistenziale, certamente va in direzione dell'auspicata riforma: ho detto cioè, che avrei presentato una legge per incentivare i Comuni all'assunzione di collaboratrici familiari per l'aiuto domestico.
Evidentemente, saranno incentivati quei Comuni che già dispongono di un servizio sociale. Mi pare che questa debba essere, pur non risolvendo del tutto il problema, una proposta in alternativa all'istituzionalizzazione perché quando gli anziani avranno la possibilità di scegliere la Casa di riposo adeguata, che oggi non c'é, e potranno fruire dell'assistenza domiciliare, si realizzerà veramente una libera scelta e ci sarà anche la possibilità di diminuire il numero delle presenze in istituto.
Altra domanda: a che cosa è servita la mia indagine? Evidentemente quell'indagine aveva una finalità. Per esempio, se dovremo dare contributi per la costruzione di nuove Case di riposo dovremo saper determinare nelle aree ecologiche quale presenza di servizi c'è in questo senso, se ne sono necessari altri o no. Insomma, per poter intervenire a migliorare gli istituti esistenti o promuovere nuove istituzioni evidentemente bisogna conoscere la realtà esistente. Qualunque intervento richiede la conoscenza della situazione in atto. Soprattutto, bisogna sapere quante richieste rimangono inevase. Noi abbiamo avuto, ad esempio, la constatazione positiva che non vi sono domande inevase per istituti educativi assistenziali per minori normali, e pertanto in questo senso non daremo alcun contributo per nuovi istituti del genere, perché, ringraziando il cielo, ormai l'opinione pubblica è abbastanza sensibilizzata a questo problema e non vi sono richieste per il ricovero in istituti per minori.
Quanto al problema degli handicappati, è certamente anche desiderio nostro inserirli nelle strutture per normali: dovrà però essere un inserimento graduale. Con ciò non possiamo certo dare un giudizio positivo sulla promiscuità che oggi esiste, in assenza di servizi specializzati: bisogna inserirli nelle strutture per normali, ma dopo averle dotate dei servizi specialistici che sono necessari allo scopo. Ci è parso che anche in questo settore, per poter intervenire con l'istituzione di laboratori protetti, con l'assunzione di personale specializzato, sia necessario fare un censimento, che non è mai stato fatto: gli Assessori provinciali si sono impegnati ad effettuarlo entro la fine dell'anno.
Vorrei poi dire alla Consigliera Fabbris che i membri dei Consigli dell'IPAB sono nominati in base agli statuti, e tutti i membri dei Comitati ECA sono per legge designati dal Consiglio Comunale: non è pertanto possibile procedere a tali nomine in Consiglio Regionale.
Mi si è obiettato che sulla questione della sperimentazione sono stata eccessivamente semplicistica. Il fatto è che la questione non è stata del tutto approfondita. Certamente, però, per la sperimentazione sarà certamente richiesta la collaborazione dei Comuni interessati all'indagine: saranno cioè i Comuni, o i Consorzi di Comuni, a dover fare la sperimentazione, mentre la Regione svolgerà soltanto azione promozionale.
Quali sono le difficoltà?, mi si è domandato. Mi pare anche di averlo detto: le difficoltà sono date dalla presenza degli enti nazionali, che erogano determinati tipi di assistenza. L'esperimento di Vanchiglia Vanchiglietta stenta a procedere proprio per questo, perché, ad eccezione dell'Enaoli, gli altri enti nazionali non hanno fatto la convenzione; e se nell'ambito della sperimentazione intervengono gli enti nazionali l'operazione non potrà che essere parziale, con sovrapposizioni e contrapposizioni di competenze.
Concordo con Conti quando sostiene la validità del volontariato.
Evidentemente, il problema dell'assistenza non potrà essere risolto tutto dal volontariato, ma non si può certamente non valorizzare l'apporto di quelle persone che si dedicano spontaneamente ai servizi sociali. E' vero che oggi sono assai numerosi i giovani che chiedono di poter svolgere questa attività.
Quello della formazione professionale è indubbiamente un problema importantissimo. Anche in questo senso abbiamo fatto l'indagine: per conoscere il numero, l'entità numerica del personale attualmente disponibile. Cercheremo di porre attenzione anche alla qualità del personale, e chiederemo all'Assessore Visone di promuovere una revisione dei programmi di insegnamento, per accentuare la preparazione sociale e la preparazione psicologica.
Sono pienamente d'accordo con il Consigliere Beltrami. Soltanto, sono un po' più coraggiosa di lui per quanto riguarda gli enti nazionali, perch non ho alcuna esitazione a chiederne la soppressione e il trasferimento delle competenze alla Regione. Certamente, la gestione del servizio sociale dovrà essere affidata agli enti locali, anche se ciò non significa che accetto la proposta di Viglione di sopprimere, per esempio, le IPAB, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza: secondo me, molte di queste IPAB devono essere soppresse, ma non è possibile affermare semplicisticamente che devono essere soppresse tutte: si dovrà fare una revisione e si dovrà lasciarne sopravvivere alcune, altre fonderle, di altre rivedere lo Statuto, altre ancora estinguerle.
Mi pare che in questo senso dovrà operare la Regione sulla base delle funzioni che le sono attribuite dalla legge-quadro.



PRESIDENTE

Ha facoltà ora di prendere la parola per la sua replica l'Assessore Armella.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Mi spiace defraudare i colleghi che hanno avuto la buona volontà di partecipare a questa seduta fino ad ora così tarda di una risposta dettagliata ed ampia quanto meriterebbero i loro interventi, ma ritengo che, visto che parliamo di sanità, sia doveroso non sottoporre ad una tensione nervosa troppo sfibrante i componenti di questa assemblea.
Dirò subito che è stato per me motivo di viva soddisfazione ascoltare interventi così penetranti in questa materia, che hanno dimostrato l'interesse che il Consiglio porta al complesso di attività che si compendiano nella sanità, almeno nei limiti delle nostre competenze e dei compiti che ci attendono. E mi ha fatto particolarmente piacere rilevare che tutti gli interventi hanno arrecato un apporto di critica produttiva positiva.
La situazione indubbiamente è quella che é, e l'incontro che abbiamo avuto con i rappresentanti degli Ospedali ce l'ha ulteriormente precisata.
Nella relazione della Giunta l'abbiamo esposta non soltanto per mettere in evidenza le carenze legislative, ma perché, in effetti, una valutazione realistica comporta proprio di partire dalla situazione attuale: così l'indicazione della situazione in fatto di numero degli ufficiali sanitari era proprio tra le premesse propedeutiche per il discorso generale. Si è voluto, sia pure disponendo di così breve spazio di tempo, strutturare la relazione in modo da partire da alcuni elementi concreti, proprio ad evitare gli errori che possono derivare da uno schematismo che può portare a sistemazioni razionali magari anche quasi perfette, ma che poi non trovano possibilità reali di effettuazione.
Si è qui posto l'accento sull'edilizia ospedaliera (ovviamente, dopo aver riportato i calcoli dell'Ires, che peraltro occorrerà verificare poiché in materia di questo genere nessuno, neppure l'Istituto di ricerca può avere la presunzione di dire cose che non debbano essere sottoposte a verifica) non già per dire che i problemi nostri si risolvono nel quadro dell'edilizia ospedaliera, trascurando la prevenzione, ma perché noi abbiamo delle necessità, soprattutto nella zona di Torino, cui non si pu assolutamente supplire se non ancora con l'edilizia ospedaliera. Mentre nelle altre Province la situazione è certamente migliore, per la cerchia di Torino si impone ancora la necessità di posti letto: è una città che ha avuto un afflusso di 600 mila immigrati, una città in cui le dislocazioni ospedaliere sono rimaste, in larghissima parte, quelle del vecchio centro per cui si avvertono grossi vuoti soprattutto nella zona periferica, dove la popolazione si è andata particolarmente addensando, anche perch l'edilizia residenziale si è sviluppata soprattutto in altezza. Situazione come quella di Rivoli, comprendente Rivoli, Pianezza, Collegno, che da 35 mila abitanti è passata ad averne 150 mila, impongono indubbiamente di portare a termine il quadro edilizio ospedaliero. Nel centro c'è una situazione quale quella dell' "Amedeo di Savoia", l'Ospedale regionale per i colpiti da malattie infettive, con locali di degenza che sono in effetti in condizioni tali quali non sono più tollerabili in una società civile, e con dislocazione quanto mai infelice, in quell'ansa della Dora vicino alle Ferriere.
Se, dunque, non si deve accentuare il discorso dell'edilizia, e soprattutto se non si deve presentarlo come discorso esclusivo, come discorso risolutivo, perché tale non é, pure bisogna tener conto che ci sono esigenze che si impongono proprio perché le strutture civili sono saltate, di fronte alla forte richiesta che è stata fatta e che viene fatta qui.
Che il piano ospedaliero, passando ad altro argomento, debba essere visto nel quadro del piano sanitario mi pare sia stato detto e giustamente qui ribadito, anche se una certa accentuazione in relazione all'insufficienza della legge 132 era giusta e a mio parere doverosa. E' stata chiesta una precisazione su quello che si va studiando, ed io non ho alcuna difficoltà a darla. Nella relazione - evidentemente, dovendo stenderla con una certa frettolosità, non ci si è espressi in modo sufficientemente chiaro - si intendeva esplicitamente dire che la Commissione consiliare vuol essere indirizzata proprio a coprire quei vuoti che nella legislazione, nelle istruzioni ministeriali e anche nella dottrina vi sono in materia di strutturazioni ospedaliere. La lunga elencazione aveva proprio lo scopo di attirare l'attenzione e sottolineare la necessità di non limitarsi allo schema ristretto posto dagli articoli della 132, che vorrebbe risolvere tutto classificando gli ospedali in ospedali di zona, provinciali, regionali, quasi distinguendo in ospedali di serie A, B eccetera, quando noi tutti abbiamo constatato e constatiamo come in pratica questa distinzione non abbia alcuna efficacia, alcuna importanza.
Questo discorso va integrato. Chi ci sa dire quale organico occorra in effetti dare ad un servizio di pronto soccorso? Chi ci sa dire quale organico si debba dare ad un reparto di pediatria? Noi siamo, direi sollecitati costantemente, assillati dalle richieste e ci troviamo molto spesso in difficoltà a sceverare il grano dal loglio, quel che vi è di giusto, di efficace, di produttivo, da ciò che è illogico, improduttivo.
Donde l'esigenza di avere dei parametri, non certo fissati dai cosiddetti "baroni" ma precisati per iscritto, in un documento che consenta al Consiglio, attraverso la Commissione, la Giunta, a quanti di questa materia per competenza loro devono interessarsi, di avere il canovaccio su cui esprimere il proprio giudizio critico. Questo mi pare sia un dovere cui non ci si può sottrarre.
La Giunta, l'Assessore in particolare non ha firmato l'atto di resa di fronte alle difficoltà della situazione ospedaliera, né si è rifugiato o si rifugia nella cittadella di una riforma ancora inesistente. Si fa presto a dire che a queste difficoltà non si dà risposta: in realtà, a queste difficoltà è estremamente difficile dare risposta, neanche i contraddittori più solerti e più incisivi sanno dare una risposta. Quello che si vuol sostenere è però che ai problemi che la situazione finanziaria ospedaliera dimostra essere presenti si deve trovare la soluzione proprio nella tendenza della riforma; e quand'anche non ci fosse la riforma, non senza motivo è stato detto che se si vuol superare questa situazione, e se il Governo deve intervenire, ad esempio, per aiutare a risolvere il problema dei pagamenti che gli ospedali devono fare, si deve procedere non attraverso la strada tradizionale di dare soldi alle mutue, ma impegnandosi a vedere anche chiaro in questa attività, e predisporre, attraverso il loro scioglimento, la sostituzione dei Consigli d'Amministrazione.
Le circoscrizioni sanitarie. Abbiamo già alcuni schemi su cui si pu lavorare per la loro creazione: sono quelli elaborati dai Medici provinciali, quelli approntati dall'INAM (anche l'INAM ha fatto uno studio di sistemazione di Unità sanitarie locali), altri già pronti. Non si è considerata la Provincia di Torino, o per lo meno la città di Torino proprio perché le dimensioni della città impongono criteri del tutto diversi, in quanto non è tanto una sistemazione del territorio in relazione anche ai presidi che ci possono essere, quanto, anche qui, una distinzione che non può che fondarsi sui quartieri, o su settori, come per l'assistenza psichiatrica già la Provincia di Torino ha fatto. E a proposito di questo noi abbiamo appoggiato, anche prima che il trasferimento delle competenze avvenisse, gli indirizzi assunti dalla Provincia di Torino.
So che anche in sede di Commissione di controllo non tutto è sempre andato liscio, ma devo dire che, nonostante le opposizioni che ci sono state, le incomprensioni che sono venute anche da parte del personale, dei sindacati e via via, il nostro atteggiamento, precisato anche nell'incontro avvenuto con questi rappresentanti sindacali, come negli incontri verificatisi presso la stessa sede dell'Ospedale psichiatrico, nel suggerimenti che abbiamo dato a chi fa parte, in rappresentanza dell'Amministrazione, del Comitato di controllo, è stato sempre volto a sostenere iniziative che indubbiamente comportano la realizzazione di un quadro diverso dell'assistenza sanitaria. Che per questa strada ci si debba avviare anche per le Province è cosa vera, per quanto ci si debba render conto come nelle Province, nella situazione attuale, in mancanza di attrezzature ed anche di iniziative sostitutive, la strada da percorrersi sia ancora tutta da battere.
Vorrei poi chiarire al Consigliere Berti, che ha svolto un lungo e sostanzioso intervento, che in materia di igiene del lavoro non ci si è forse espressi con assoluta proprietà al primo momento: parlando di Centro di Medicina sociale già istituito, si intendeva riferirsi al provvedimento di finanziare un Centro di Medicina sociale indirizzato alla cura e all'accertamento dei tumori professionali, perché ci si è resi conto proprio nel caso dell'IPCA, della sua necessità, dato il lungo periodo di tempo intercorso fra l'epoca in cui l'attività di lavoro è stata espletata e il momento in cui gli accertamenti sono stati eseguiti, e poi soprattutto anche per il fatto che con le limitate attrezzature generali di cui l'INAM può disporre l'accertamento e la cura sarebbero stati insufficienti. Questo è un provvedimento singolo, che si inquadra nell'insieme degli interventi per la Medicina e per l'Igiene del lavoro, ma indubbiamente non vuole e non può essere quel Centro regionale che dispone di un vero laboratorio per le analisi più difficili come mi pare abbiamo detto, più fini, che non si possono fare a livello provinciale, dei capoluoghi di provincia.
Mi ha fatto molto piacere trovare rispondenza da parte del Consiglio nei riguardi di questo lavoro, per cui abbiamo cercato di intenderci anche con le forze sociali per portare a completamento un quadro di provvedimenti, di attività.
Devo anche ringraziare per la cura con cui si è voluto porre in termini tassativi e perentori la natura dei provvedimenti da prendersi in questa materia, ben comprendendo come sia una cautela necessaria di fronte ai limiti evidenti della legislazione. L'aver trovato nel Consiglio una così totale rispondenza per la soluzione degli aspetti particolari di questo problema non può che essere motivo per noi di soddisfazione e dà certezza che la cosa potrà essere portata a termine con rapidità, ovviamente impegnando la Commissione consiliare e il Consiglio a trovare le forme più opportune. Abbiamo già mandato avanti alcuni lavori - ci sono miei appunti ce ne sono altri preparati dai nostri funzionari - che potranno essere esaminati dai colleghi della Giunta.
Io non ho detto che le unità di base devono essere otto: ho riportato un'indicazione prioritaria fatta dai sindacati, che hanno poi precisato in 22-25 l'auspicabile presenza finale. Non si sarà così formalisti da pretendere che si parta già con un disegno sanitario completo, perché un intervento nato tutto intero come Minerva dalla testa di Giove potrebbe non rispondere a criteri di realismo, soprattutto in considerazione dell'urgenza con la quale il problema si propone.
Ho ascoltato con particolare attenzione tutti gli interventi che hanno trattato del personale paramedico, essendo questo indubbiamente uno dei più grossi problemi del settore sanitario.
Devo ricordare che non è vero che si siano lasciate le cose quali erano: noi siamo largamente intervenuti sulle Amministrazioni ospedaliere che erano le più qualificate per creare le scuole per infermieri, e la differenza tra il numero delle Scuole infermieri che abbiamo trovato e quelle che vi sono ora, dopo il nostro interessamento, è veramente notevole. Ad istituirle avrebbe dovuto intervenire il Ministero. Noi non abbiamo fatto questioni che ci avrebbero portato lontano nel tempo: abbiamo approntato il quadro delle scuole occorrenti, l'abbiamo mandato al Ministero; quando il Ministero le ha riconosciute, ormai funzionavano di fatto. Occorre peraltro il riconoscimento da parte del Ministero, che deve poi dare ad esse il titolo, uguale per tutte, e che soprattutto deve servire in tutto il territorio nazionale, cioè in tutta Italia.
Non c'é che da apprezzare la valutazione che anche il Consigliere Rossotto ha fatto, pur facendogli notare che un importo così rilevante, di 450 miliardi, che peraltro sarebbe insufficiente, non deve essere messo a confronto con il bilancio della nostra Regione, perché comporta necessariamente la nostra sostituzione alle mutue. E' piuttosto da sottolineare come, affinché si possa sperare che questo sistema funzioni occorra una legislazione molto elastica, una legislazione che consenta in effetti una valutazione così realistica dell'apporto di tutte le forze politiche in Parlamento che ci possa essere una legislazione di soli principi, ma anche scendendo dai principi ad alcune proposizioni di carattere generale, considerato che l'unicità del territorio comporta necessariamente che alcune scelte debbano essere uguali per tutto il territorio (ad esempio, quella delle qualifiche del personale, delle posizioni del personale). Adesso si arriva quasi al grottesco di personale di un ospedale che non può passare a far parte del personale di un altro ospedale. Si dovrebbe far attenzione a non creare una situazione del genere fra Regione e Regione: sappiamo di ospedali che non riescono a trovare il direttore amministrativo perché per tale incarico si richiede la laurea ed un certo numero di anni di servizio, e non c'é nessuno disposto a venire da un altro ospedale a questo, mentre se ci fosse un ruolo unico questi passaggi sarebbero consentiti, e, anzi, necessari.
L'intervento di Viglione meriterebbe una trattazione tutta particolare.
E' stato un intervento molto singolare. Viglione, che ha un carattere così permissivo, dovrebbe essere indulgente anche verso gli Assessori, capire che anche se faticano un poco a capire, poi pian piano magari ci riescono magari dopo esserci incontrati più volte ed aver avuto la possibilità di sentire queste osservazioni.
Certo, noi dovremmo recitare l'autocritica per essere stati gli antesignani di quella svolta riformistica. Ma noi non esercitiamo la virt in grado eroico al punto di farlo pubblicamente. E poi, siamo per la confessione auricolare, che consente una certa riservatezza: solo in privato, a tu per tu, caro Viglione, accetteremmo di ammettere di avere sbagliato. Ci sono dei pentimenti che si vuol tenere nel segreto della coscienza, e ti assicuro che anche in tale forma non sono meno pesanti meno liberatori, meno purificatori.
A parte questo, tutte quelle che sono osservazioni non confuse, che si inseriscono in questo quadro della riforma necessaria, non possono non essere tenute in attenta considerazione. Però bisognerebbe che qualche volta si tenesse conto delle cose che si dicono e non di altre che non si sono dette: altrimenti, si rischia di fare come gli avvocati che seguono sempre i loro propri ragionamenti senza voler prestare attenzione a quelli dell'avversario, e così facendo molto facilmente perdono le cause.



VIGLIONE Aldo

Ma io non posso leggere la tua comparsa: non avete mai scritto niente....



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

E' stata diligentemente stesa, anche se non era stata scritta.
La Consigliera Fabbris ha richiamato l'attenzione sulla medicina perinatale. In effetti, è stata finora una nostra carenza, cioè non siamo stati in grado, in effetti, di arrivare a qualche conclusione (io mi ci sono provato, probabilmente mi han fatto difetto le capacità). La verità è che anche in tutta questa materia non ci sono studi già pronti: bisogna cominciare da questi. Ho già detto che attraverso gli uffici tradizionali quelli dello Stato, Medici provinciali ecc. ecc. - non si è potuto stabilire, ad esempio, quanti ambulatori di medicina scolastica ci siano nella provincia di Torino. Susciterà meraviglia il sentir dire che l'assistenza perinatale presenta questi grossi vuoti, per cui si deve tener conto anche di questo.



BERTI Antonio

Se non si fa per Natale, si faccia almeno per Pasqua



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Certo, dopo una sollecitazione fatta in forma così gentile e cortese è prevedibile che ovvieremo immediatamente alle nostre carenze passate.
Non posso rispondere al Consigliere Conti, visto che non è più presente.



PRESIDENTE

Si potrà dare risposta scritta.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Comunque, riconosco che è valido il problema dell'informatica che ha presentato.
Un particolare ringraziamento rivolgo a Beltrami, che ha messo chiaramente in luce l'esigenza delle indagini, degli studi, e soprattutto il lavoro che la Commissione dovrà fare, visto che se molte carenze si possono attribuire a noi non è detto che qualcuna non vada ascritta anche ad altri.
In conclusione, penso di poter dire che, rivedendo con attenzione i singoli punti che sono stati trattati, facendone l'opportuna verifica ed un attento esame critico, non si potrà non concludere che l'apporto che il Consiglio ha dato alla discussione è stato effettivamente positivo. Siamo sulla strada di cominciare a puntualizzare, ed anche a realizzare, qualche cosa che effettivamente può essere buono, innovativo, con mentalità effettivamente nuova e diversa da quella del passato, affinché questo intervento, questa assistenza sanitaria risponda maggiormente alle esigenze del vivere civile.



PRESIDENTE

La discussione è chiusa.
E' pervenuto un ordine del giorno a firma dei Consiglieri Viglione Beltrami, Berti, Rossotto, Gandolfi, Cardinali, di cui leggo il testo: "Il Consiglio Regionale a conclusione del dibattito sui problemi della sicurezza sociale sentite le relazioni introduttive e le repliche degli Assessori, gli orientamenti e le proposte emerse dal dibattito preso atto della drammatica situazione delle Amministrazioni ospedaliere, come emerso anche dall'odierno incontro con i rappresentanti della Fiaro dà mandato ai Capigruppo di riunirsi con gli Assessori competenti per formulare gli impegni e gli atti operativi necessari".
Debbo a questo proposito informare, senza darne lettura - il testo verrà inserito nel verbale - che ho oggi stesso provveduto ad indirizzare un telegramma al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministri degli Interni e della Sanità, rappresentando la situazione che abbiamo appreso dai partecipanti all'incontro con la Fiaro.
Chiede di parlare il Consigliere Berti. Ne ha facoltà.



BERTI Antonio

Forse darebbe maggior concretezza all'impegno dire, anziché "dar mandato ai Capigruppo di riunirsi con gli Assessori competenti"; "dar mandato alla Commissione....." perché così responsabilizzeremmo gli Assessori e i Presidenti della Commissione a riunirsi. E' più difficile tra l'altro, riunire i Capigruppo che la Commissione, che tra l'altro si avvale anche delle competenze.



PRESIDENTE

Mi riesce difficile, in assenza di alcuni firmatari, accogliere una modifica come questa, che è sostanziale, non soltanto formale. Potrei per accettare la semplice aggiunta del termine "Commissione", senza alcuna soppressione: "dar mandato ai Capigruppo, alla Commissione di riunirsi con....".
Tutti sono d'accordo su questa modifica? Nessuno si oppone? Allora aggiungiamo "Commissione". Chi approva è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato.
Vorrei pregare di prendere atto che nel testo distribuito del processo verbale dell'adunanza 158 del 24 maggio è stata omessa una riga: "Il 'Consigliere Vecchione dichiara di assentarsi dal dibattito e dalla votazione", relativamente all'oggetto dei controlli. Nel testo definitivo che verrà ritrasmesso con l'indicazione "testo corretto", i Consiglieri troveranno la formulazione completa.


Argomento:

Interrogazioni (annuncio)


PRESIDENTE

Informo che vi sono due interrogazioni Nerio Nesi, Corrado Calsolaro e Besate relative ai problemi del Kimberly Clarck corrente in Torino e su quel che la Giunta intenda fare. Trasmetteremo l'ordine del giorno a suo tempo.
La seduta è tolta, il Consiglio è già convocato per le ore 21 del 4 giugno in questa sede, per la prosecuzione dell'ordine del giorno.



(La seduta ha termine alle ore 21,35)



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