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Dettaglio seduta n.159 del 24/05/73 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE OBERTO


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Commissioni consiliari - Elezione Presidenti e Vicepresidenti


PRESIDENTE

Informo il Consiglio che si sono insediate le Commissioni consiliari permanenti, le quali tutte hanno proceduto all'elezione dei rispettivi Presidenti e Vicepresidenti.
Sono risultati eletti: 1^ Commissione - Presidente Garabello, Vicepresidente Rossotto 2^ Commissione - Presidente Dotti, Vicepresidente Rivalta 3^ Commissione - Presidente Besate, Vicepresidente Soldano 4^ Commissione - Presidente Beltrami, Vicepresidente Fabbris 5^ Commissione - Presidente Zanone, Vicepresidente Giletta 6^ Commissione - Presidente Menozzi, Vicepresidente Ferraris 7^ Commissione - Presidente Cardinali, Vicepresidente Bertorello 8^ Commissione - Presidente Viglione, Vicepresidente Beltrami.
Ho augurato alle Commissioni un lavoro fecondo e proficuo per agevolare i compiti del nostro Consiglio.


Argomento: Assistenza e sicurezza sociale: argomenti non sopra specificati - Sanita': argomenti non sopra specificati

Dibattito su i problemi della sanità e dell'assistenza


PRESIDENTE

Dobbiamo passare ora al punto settimo dell'o.d.g.: "Dibattito sui problemi della Sanità e dell'Assistenza".
Darei su questo argomento, per intanto, la parola all'Assessore Vietti.



VIETTI Anna Maria, Assessore alla sicurezza sociale

Signor Presidente, signori Consiglieri, i limiti e le remore che il D.P.R. 15 gennaio 1972 n. 9 pone alle possibilità di innovare profondamente l'attuale sistema assistenziale, basato su tipi d'interventi tradizionali caratterizzati dalla discrezionalità e dalla suddivisione degli assistiti in categorie, sono a tutti noti.
Pertanto, nelle more della emanazione di un'apposita legge-quadro più volte sollecitata, l'azione della Regione non ha larghe possibilità, oltre che realizzare la continuità dell'intervento statale e razionalizzarlo.
Sarebbe, d'altro lato, grave responsabilità lasciare vuoti d'intervento in un settore tanto delicato, che opera per venire incontro alle esigenze di coloro che maggiormente necessitano dell'intervento degli enti pubblici.
Tuttavia, l'obiezione volta a contestare la validità della semplice continuità nell'erogazione dell'assistenza nei limiti delle vigenti disposizioni di legge ci trova tutti concordi. Le profonde e radicali trasformazioni economico-sociali avvenute e in atto nel nostro Paese caratterizzate da un intenso processo di industrializzazione, da una agricoltura che in parte si è meccanizzata e modifica le sue tradizioni secolari, da forti flussi migratori che determinano il formarsi di agglomerati urbani che non costituiscono una comunità a dimensione umana hanno evidenziato l'arretratezza e la disorganicità del nostro sistema assistenziale. La società si trasforma; i problemi assistenziali sono strettamente legati alle trasformazioni sociali e non possono essere risolti alla luce di principi ispiratori di una legislazione che, in gran parte, risale al secolo scorso.
Il Consiglio ha ampiamente dibattuto il problema in occasione delle osservazioni al decreto delegato per l'assistenza e per il riordinamento del Ministero dell'Interno, ed è pertanto inutile dilungarsi al riguardo.
In attesa della possibilità di un intervento di radicale riforma del settore assistenziale, l'Assessorato ha svolto e intende svolgere ulteriori indagini nei diversi settori onde conoscere le strutture assistenziali esistenti, come supporto per futuri interventi.
Occorre infatti osservare che ogni provvedimento, qualora non dovesse essere preceduto da una indagine sufficientemente approfondita e per quanto possibile completa, limitandosi a disciplinare nuove procedure più che ad innovare la tipologia degli interventi, potrebbe risultare non adeguato alle esigenze di una nuova concezione assistenziale.
Con queste premesse, si è ritenuto opportuno portare avanti soprattutto l'indagine conoscitiva nei diversi settori.
Non è certamente possibile effettuare attualmente un esame approfondito e completo di tutti i problemi socio-assistenziali della Regione, sia perché tale indagine risulta più complessa del previsto, non essendo confortata da precedenti esperiti scientificamente e metodicamente, sia anche perché ci troviamo condizionati da un modo di pensare dell'utente stesso che si trova in stato di bisogno, il quale sovente continua a rivendicare prestazioni semplicemente assistenziali e a richiedere di usufruire di servizi tradizionali come quelli di ricovero permanente.
Anche nella nostra Regione la situazione del settore è caratterizzata dalla istituzionalizzazione dei servizi e da servizi gestiti esclusivamente per i meno abbienti di fronte alle necessità di servizi aperti e di servizi disponibili per tutti i cittadini.
Noi siamo convinti che per la riforma del settore dovrebbe essere innanzitutto abbandonato il criterio dell'assistenza effettuata per categorie ed erogata esclusivamente ai meno abbienti, attribuendo alla comunità locale la responsabilità della organizzazione e della gestione di servizi per tutti i cittadini, assicurando un ampio grado di partecipazione.
Riteniamo debbano essere predisposti servizi aperti, servizi domiciliari, a favore di tutti i cittadini che intendano avvalersene, in modo da rendere effettiva l'alternativa fra l'utilizzazione degli istituti residenziali e l'utilizzazione dei servizi domiciliari e dei servizi aperti e soprattutto che l'intera organizzazione assistenziale sia adeguata a rendere operante il diritto soggettivo del cittadino di realizzare lo sviluppo globale della sua persona con la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che ne limitano di fatto la libertà e l'uguaglianza, come è affermato invece dall'art. 3 della nostra Costituzione.
Esaminando la questione dal punto di vista organizzativo, la creazione e la gestione dei nuovi servizi dovrebbe essere affidata ai Comuni ed ai Consorzi di Comuni e dovrebbe concretizzarsi nell'istituzione delle unità locali dei servizi sociali. Infatti, con tale istituzione si dovrebbe garantire strutture adeguate per assicurare il mantenimento delle persone comunque inabili al lavoro, sprovviste di mezzi adeguati di sussistenza e per lo sviluppo di servizi sociali aperti a tutti i cittadini.
Si tratta, cioè, di una nuova politica dei servizi sociali, da inquadrarsi in una programmazione a più livelli - nazionale, regionale locale - e che, per quanto riguarda la programmazione regionale, dovrà dare ampio spazio, nella sua elaborazione, alla partecipazione degli enti locali e delle organizzazioni sociali.
La competenza della Regione dovrebbe essere globale ed esplicarsi su un piano legislativo e programmatorio, mentre l'attività amministrativa dovrà essere affidata ai Comuni ed ai Consorzi di Comuni, perché è nel territorio comunale che si realizza una naturale ed organica convivenza umana, che facilita la rilevazione e la diagnosi dei bisogni, l'immediatezza del trattamento e la ricchezza del rapporto umano.
Le Province dovrebbero gestire i servizi di secondo livello.
Nelle competenze della Regione, come richiesto da questo Consiglio, in occasione della discussione sul decreto delegato per il riordinamento del Ministero di Grazia e Giustizia, dovrebbero essere incluse le funzioni relative alla prevenzione ed al trattamento del disadattamento sociale minorile, poiché si tratta d'interventi sociali che rientrano nell'ampio arco dei servizi.
Le unità locali dovrebbero essere riferite a circoscrizioni territoriali e demografiche comunali, intercomunali ed infracomunali articolate e definite nello stesso programma regionale e coincidenti, il più possibile, per delimitazione territoriale, con quelle che saranno le nuove strutture per i servizi sanitari e per quelli scolastici, e gli interventi dovranno essere strettamente connessi con la politica sanitaria della casa, della scuola, del lavoro e della previdenza sociale, oltre che dell'assetto del territorio, affinché si possa prevenire l'intervento assistenziale.
E' evidente che per attuare un disegno globale dei servizi necessari per i diversi tipi di bisogno sarà necessario giungere, come già auspicato da questo Consiglio, alla soppressione di tutti gli enti nazionali operanti nel settore assistenziale e degli E.C.A., che, salvo eccezioni, non sono mai stati veri enti di servizio sociale.
Le costituende unità locali dovrebbero innanzitutto promuovere i quattro servizi sociali di base tuttora mancanti e che invece dovrebbero essere il fulcro intorno al quale tutta l'assistenza sociale deve trovare la propria organizzazione, e cioè: 1) il servizio di segretariato sociale, per una più adeguata informazione ai cittadini e per l'avvio degli utenti ai servizi idonei 2) il servizio sociale professionale di zona rivolto a risolvere problemi complessi di natura psico-sociale, derivanti da motivi sia di ordine generale sia di ordine individuale, al reperimento dei casi ed al trattamento di quelli non risolvibili con una specifica prestazione di altri servizi 3) il servizio di aiuto domestico, che si pone invece, nel quadro della ristrutturazione del servizi sociali tradizionali, in alternativa alle istituzionalizzazione, con lo scopo di offrire al cittadino che si trova in situazione difficile, pei le cause più diverse, le prestazioni necessarie all'espletamento dei compiti familiari e domestici 4) il servizio di assistenza economica per il superamento della concezione dell'assistenza intesa come erogazione episodica, discrezionale ed elemosiniera, con l'intento di garantire a tutti i cittadini che non sono in grado di provvedervi da soli il reddito minimo indispensabile a soddisfare le esigenze elementari di vita.
Tale intervento dovrà essere possibilmente contingente ed esplicarsi in un rapporto interpersonale che permetta la conoscenza dell'assistito e ne rispetti la dignità. Ciò soprattutto perché l'intervento assistenziale deve aiutare le persone che si trovino in stato di bisogno ad eliminarne le cause per potersi inserire o reinserire nell'attività produttiva.
Compito dell'unità locale dei servizi sociali sarà anche l'intervento volto al miglioramento degli altri servizi esistenti ed alla promozione di quelli mancanti.
Un problema che riveste una rilevanza notevole è quello degli anziani anche in considerazione del fatto che si presume, in base ai dati dell'ultimo censimento (anche se non si hanno ancora dati precisi in rapporto alla divisione tra le classi di età) nella nostra Regione ci siano circa ottocentoventimila persone che superano i sessant'anni.
Uno degli obiettivi da raggiungere, per quanto riguarda gli istituti tradizionali per anziani, è che gli stessi rivolgano le loro prestazioni in particolare all'anziano affetto da malattie croniche, mentre il problema degli anziani sani dovrà trovare soluzione con l'istituzione dei servizi aperti e di quelli domiciliari, oltre che con l'istituzione di case tipo albergo. (Ho parlato di anziani affetti da malattie croniche distinguendoli dai geriatrici e dai lungo-degenti, i cui problemi dovrebbero trovare soluzione nell'ambito della politica sanitaria soprattutto nell'ambito della istituzione di reparti geriatrici e per lungo degenti negli ospedali). Soprattutto in tali istituti dovrà essere superata la promiscuità tra anziani ammalati ed anziani sani, ed in molti di essi dovranno essere modificate le strutture edilizie ed il tipo di organizzazione di vita interna, al fine di evitare che l'anziano diventi un essere anonimo, di cui è frustrata la dignità.
Un altro problema importante è quello relativo agli Istituti educativo assistenziali. E' ormai acquisito che la mancanza della figura materna e paterna, che la carenza dell'affetto familiare rappresenta una grave remora per lo sviluppo psicofisico del minore. Si registra con soddisfazione la diminuzione di presenze in tali tipi di istituto; è comunque auspicabile che il più possibile essi si trasformino in semi-internati e che quelli che dovranno continuare l'attività organizzino la vita interna sulla base di piccoli gruppi.
In tali settori, come annunziato in Consiglio, l'Assessorato ha svolto una indagine conoscitiva.
La indagini relative agli Istituti per anziani ed agli Istituti educativi assistenziali per minori hanno acquisito i dati circa la personalità giuridica, la finalità degli enti medesimi, il numero dei posti disponibili, il numero delle presenze, lo stato di manutenzione delle strutture edilizie, l'organico del personale e l'ammontare delle rette. Il reperimento di tali dati vuol essere la premessa perché ogni intervento scaturisca dalla chiara conoscenza della realtà regionale.
Sono emerse le seguenti considerazioni di ordine generale.
Gli Istituti ai quali è stato inviato il questionario sono 793 - 305 per minori e 488 per anziani. Di questi, 65 - 16 per minori e 45 - per anziani - non hanno ancora inviato la risposta; 72 - 31 per minori e 41 per anziani - non sono stati considerati nell'elaborazione dei dati perché non svolgono attività rientrante nell'indagine prevista (si tratta di collegi di seminari o di case di riposo limitate esclusivamente agli appartenenti all'Ordine religioso che ne è il proprietario), o perché hanno cessato la loro attività.
Dai dati precedenti emerge che i posti negli istituti per cui non è pervenuta risposta assommano complessivamente a 2.518, di cui 520 per minori e 1998 per anziani. Tale numero di posti non è considerato nelle osservazioni che seguono; tuttavia, ha scarsa rilevanza nel complesso della realtà regionale.
Dall'indagine si è rilevato che 656 sono gli Istituti di ricovero operanti nel territorio regionale, con una presenza complessiva di 37.053 ospiti, contro una capacità ricettiva di 42.120 persone, e quindi con una disponibilità residua di 5.067 posti, e precisamente 3.602 per minori e 1.465 per anziani. (Il problema dei 1.465 posti disponibili per anziani probabilmente è conseguente ai vuoti che si determinano in rapporto alle dimissione, o, purtroppo, al decesso, della persona anziana, mentre veramente si registra una disponibilità di posti negli Istituti educativo assistenziali, il che mi pare sia un elemento positivo, che dimostra come in questo campo ormai ci si avvii ad una sensibilizzazione dell'opinione pubblica contro l'istituzionalizzazione del minore).
Le domande inevase sono 2.041, tutte per Istituti per anziani. Anche questo dato sta a dimostrare come in questo campo ci siano ancora delle domande non accolte, mentre non ci sono domande inevase per quanto riguarda i minori. Ho qui dei dati particolareggiati: la disponibilità di posti nella provincia di Alessandria, tra minori e anziani, è di 5.271, nella provincia di Asti di 2.065, nella provincia di Cuneo di 6.894, a Novara 4.004, a Torino 19.055, a Vercelli 4.831, mentre le domande inevase sono 100 ad Alessandria, 181 ad Asti, a Cuneo 440, 175 a Novara, 821 a Torino e 324 a Vercelli.
In genere, si tratta di istituti di tipo tradizionale, che rispecchiano le concezioni sociali dell'epoca di costruzione o di apertura degli istituti stessi. Qui è evidente, dalla data di costruzione, come si tratti di strutture edilizie arretrate: qualcuna è stata ristrutturata, ma per buona parte dovrebbero essere completamente rammodernate. Vediamo, ad esempio, dai dati raccolti che su 656 istituti, ben 261 sono stati costruiti prima del 1900, 79 risalgono al periodo fra il 1900 e il 1920 mentre soltanto 68 sono sorti fra il 1961 e il 1970, e 2 appena dopo il 1970. Sono dati che mettono in rilievo come non possa trattarsi che di strutture edilizie ormai superate, anche se, come ho detto, in taluni casi sono state effettuate adeguate ristrutturazioni.
Pertanto, la struttura edilizia in gran parte ha elevata capacità ricettiva; è caratterizzata da camerate e da camere a più letti, da carenza di locali di soggiorno e di spazi all'aperto adeguatamente attrezzati, da un numero relativamente scarso di servizi igienici.
Per la stragrande maggioranza, gli istituti sono risultati enti morali riconosciuti, così suddivisi: Istituzioni Pubbliche di assistenza e beneficenza - ai sensi della legge 17 luglio 1890 n. 6972 - 58,07 per cento enti riconosciuti - ai sensi dell'art. 12 del C.C. (enti privati) 5,64 per cento enti concordatari 23,78 per cento.
Gli enti di fatto risultano complessivamente il 7,92 per cento, gli enti dipendenti da enti pubblici (es. Comune, Provincia), il 3,96 per cento.
In relazione all'anno di fondazione e di riconoscimento, possiamo osservare che si tratta d'istituti per lo più retti da statuti centenari che meriterebbero un aggiornamento.
Per quanto concerne il personale addetto, risulta una netta prevalenza del personale laico (57 per cento); dai dati pervenuti, però, non è stato possibile dedurre se si tratti di personale specializzato o meno e perci ci si è limitati a conteggiare il personale presente.
E' pertanto necessaria un'ulteriore indagine intesa ad accertare il grado di specializzazione del personale medesimo, ai fini di verificare la presenza del personale da un punto di vista qualitativo in rapporto alle esigenze degli ospiti; soltanto conoscendo i risultati di una tale ricerca sarà possibile verificare se l'attuale rapporto, in relazione agli assistiti, sia veramente ottimale come appare dal totale del personale presente, che è di 10.606 unità, con un rapporto riferito agli assistiti di 3,7. (Bisogna però tener conto che qui sono considerati sia i dipendenti a tempo pieno che quelli a tempo parziale).
Personale a tempo pieno: 8.266, di cui 4.282 laico e 3.984 religioso personale a tempo parziale: 2.340, di cui 1.794 laico e 546 religioso.
Altro dato è quello della provenienza degli utenti: mentre la maggior parte degli istituti ospita persone provenienti dall'ambito regionale ed anche da altre Regioni, 52 istituti ospitano esclusivamente persone provenienti dal solo Comune di sede dell'ente (di questi ultimi, 4 sono per minori, mentre tutti gli altri sono per anziani). Si tratta, in genere, di opere pie che sono sorte esclusivamente per le persone residenti nell'ambito territoriale del proprio Comune.
Per quanto riguarda le rette abbiamo indicazione delle rette minime e delle rette massime che presentano delle notevoli differenze andando dal gratuito alle trecentomila lire mensili.
Credo manchino dei dati più recenti di rette anche più elevate, in vigore in alcuni istituti per minori handicappati. Mi pare che la maggioranza delle rette oscilli tra le 10.000 e le 30.000 lire, infatti su 656 istituti 329 hanno la retta minima che oscilla tra le 10.000 e le 30.000, 87 fra le 31.000 e le 50.000. Questa è la fascia in cui si trova il maggior numero di istituti.
In merito occorre osservare che non sempre la retta elevata corrisponde ad un indice di prestazioni corrispondenti ed altrettanto si dica per la retta minima che non indica necessariamente un servizio scadente, in quanto la determinazione della retta è legata evidentemente ad una serie di fattori, quali quelli patrimoniali e dei fini perseguiti.
Poiché questi dati sono riferiti al triennio 1971-73, non sono del tutto aggiornati e per ovviare a questi inconvenienti, l'Assessorato sta studiando la possibilità di aggiornare periodicamente i dati stessi con rilevazioni ad intervalli costanti per poter stabilire con esattezza percentualmente, la variazione delle rette in relazione alla lievitazione dei costi di gestione.
In particolare, gli istituti per anziani risultano così distinti in relazione alle condizioni di salute degli utenti: per soli sani: 219; per sani e malati: 161; per solo malati: 18.
S'inserisce qui il discorso sanitario, non nel senso di prestazione ospedaliera o di servizio specializzato di tipo geriatrico, ma semplicemente inteso come assistenza continuativa che permetta di controllare l'andamento delle terapie generiche e soprattutto un'assistenza para-infermieristica.
In particolare tale tipo di assistenza dovrebbe essere garantita nei cronicari quando il malato, esaurita la permanenza presso il reparto geriatrico o quello di lunga degenza, diviene cronico e non più ricuperabile.
Attualmente sulla base delle strutture vigenti ed essendo la riforma ospedaliera non ancora operante, il momento assistenziale sanitario come sopra inteso è veramente al limite tra un servizio sanitario come tale ed un servizio assistenziale di tipo tradizionale.
In rapporto alla situazione attuale è sicuramente difficile, entro un certo limite, poter distinguere quello che dovrebbe essere un cronicario da quello che dovrebbe essere un ospedale per lungo degenti.
La programmazione sanitaria, oltre ad andare di pari passo con quella sociale, dovrà altresì prevedere degli interventi comuni, un momento di collaborazione attiva, che potrà appunto essere realizzata attraverso l'unità locale dei servizi sociali.
Per quanto riguarda i minori, risulta che gli istituti hanno sede per lo più in stabili di vecchia costruzione non rispondente alle moderne esigenze.
Inoltre in gran parte sono estremamente carenti di attrezzature adeguate.
Tale situazione, di fatto, rende particolarmente difficile il compito degli educatori in quanto l'opera dei medesimi non può avvalersi di supporti validi.
Per quanto riguarda la struttura organizzativa degli istituti, dai dati pervenuti pare che si evidenzi chiaramente che anche sotto questo aspetto gli istituti non siano rispondenti alle esigenze e agli standard medi auspicati.
Questa situazione è particolarmente grave se si considera il problema degli handicappati in quanto dalle indagini è risultato che 220 istituti sono educativo-assistenziali per minori normali (mentre però in pratica solo 195 ospitano solo minori normali); 14 sono istituti di rieducazione fisica sensoriale e sociale (mentre però in pratica 22 istituti ospitano minorati di questo tipo); 17 sono istituti medico psico-pedagogici (mentre però in pratica 34 sono gli istituti che accolgono detti minorati); infine 2 sono istituti per ragazze madri, cinque con attività plurime.
In totale gli istituti educativo-assistenziali sono 258.
Appare chiaro, pertanto, dai dati predetti che gli handicappati, che necessitano di un'assistenza particolare e di trattamenti specializzati sono accolti in istituti i educativo-assistenziali generici, di tipo tradizionale, che, quindi, lasciano presumere di non avere al loro interno la possibilità di seguire contemporaneamente con la dovuta preparazione psico-pedagogica soggetti normali e soggetti minorati che richiedono una maggiore cura, una maggiore preparazione, una maggiore specializzazione del personale e delle attrezzature dell'istituto.
Con questo non vogliamo certo affermare che sia necessario aumentare il numero degli istituti che ospitano solo minorati, né che questi debbano comunque essere emarginati; però ci rendiamo conto che oggi mancano gli istituti specializzati in grado di garantire il massimo di ricuperabilità di questi soggetti, nei casi in cui il ricovero in istituto sia la sola alternativa valida e che se i minorati sono accolti insieme con i normali è necessario personale altamente specializzato.
Alcuni istituti attualmente si limitano ad assisterli genericamente ed a tentare un minimo di ricuperabilità, e ciò anche in quegli istituti che oggi si definiscono specializzati, perché il più delle volte è alquanto limitato il personale preparato per il tipo di rieducazione richiesto che comporta un'elevata qualificazione professionale.
Tenuto conto di questa situazione particolarmente negativa, il problema degli handicappati richiede un intervento urgente e per questo sarebbe opportuno, come già rivendicato in occasione delle osservazioni ai decreti delegati, che la Regione non avesse soltanto una competenza delegata bensì competenza propria per una più efficace possibilità d'intervento.
Sul problema degli handicappati psichici è stata costituita una commissione interassessorile, composta dall'Assessore Armella dall'Assessore Visone e da chi vi parla, da rappresentanti dell'ANFFAS e da esperti per studiare il problema in modo unitario e, soprattutto per esaminare la situazione, l'entità del fenomeno ed i provvedimenti che potranno essere assunti.
In questa prospettiva la Commissione si è incontrata con tutti gli Assessori competenti delle diverse Amministrazioni Provinciali per concordare una linea d'azione comune con le Amministrazioni che fino ad oggi si sono occupate di questo problema.
Al fine di futuri interventi gli Assessori provinciali, a richiesta della Commissione, si sono impegnati ad esperire, entro la fine dell'anno il censimento degli handicappati psichici con la compilazione di una scheda predisposta dalla Regione che evidenzi le tipologie dell'handicap, l'età del soggetto, la residenza, il trattamento di cui usufruisce o di cui ha usufruito.
Sulla base dei dati raccolti, possono inoltre essere fatte alcune altre considerazioni di ordine generale.
Dal numero degli assistiti, dal numero delle persone ricoverate, dal numero dei posti disponibili e dalle richieste di ricovero che risultano inevase, possono rilevarsi quali siano nel loro complesso i provvedimenti necessari per sopperire alle immediate e più urgenti necessità.
Innanzitutto ci vuole un programma a lungo termine per una ristrutturazione completa dei servizi, intesa soprattutto a favorire l'assistenza domiciliare e familiare, per cui dovrà ridursi complessivamente il numero dei posti in istituto.
A medio termine occorre peraltro provvedere alla ristrutturazione dei posti disponibili così da assorbire la domanda tuttora non evasa in questi servizi tradizionali ed alla istituzione di case di riposo rispondenti alla nuova concezione dell'assistenza agli anziani, nelle zone che ne sono sprovviste.
Nel quadro di questo duplice aspetto, esaminando i dati di cui si è in possesso, l'Assessorato sarebbe peraltro dell'avviso che è eccessivo parlare della necessità di 14.000 nuovi posti in case albergo e pensionati ed insufficiente il numero di 9.000 posti in cronicari (come rilevato dall'Ires) in quanto dai dati a nostra disposizione risulterebbe invece la necessità di una distribuzione diversa.
Tale constatazione deriva dal fatto che i nostri dati di partenza sul numero dei ricoverati e sul numero degli istituti non coincidono con quelli dell'Ires, ma sono inferiori. Ci sembra anche che dovrebbe essere inferiore il numero complessivo dei posti di ricovero richiesti e soprattutto ci sembra che dovrebbe essere richiesto un numero minore di posti per anziani sani, tenuto anche presente che dovrà essere dato l'avvio ai servizi alternativi, mentre viceversa dovrebbe essere richiesto un numero maggiore di posti in cronicari.
I dati dell'Ires possono tuttavia avere una loro notevole validità se si riuscirà a trasformare gran parte degli attuali istituti per anziani che registrano presenze di anziani sani e malati in istituti solo per anziani affetti da malattie croniche, richiedendo pertanto l'istituzione di un maggior numero di posti per anziani sani in alternativa a tali istituti tradizionali.
Peraltro, per il momento, non essendo ancora in possesso dei dati analitici dell'ultimo censimento relativi alla popolazione e soprattutto alla distribuzione per classi di età e all'incremento o alla diminuzione di determinate classi di età, non è possibile fare una valutazione più approfondita e rispondente completamente alle attuali esigenze.
Salvo quanto sopra detto in linea di massima, le, proposte, di intervento, sia per le istituzioni per minori, sia per le istituzioni per inabili e anziani, previste dall'Ires, sono da condividere, da accettare da riproporre come programmi a medio e lungo termine, salvo appunto la definizione, appena possibile, del fabbisogno reale e quindi della determinazione del nuovo numero degli istituti e del nuovo numero di posti letto, sia per i minori che per gli anziani; perché anche per i minori gli 8.000 posti previsti dall'Ires, stimati necessari, molto probabilmente dovranno essere ridotti, visto che in effetti gli ospiti di istituti per minori sono risultati inferiori di 2.000 unità a quelli emersi dallo studio Ires.
Bisogna infine tener presente che si può fin d'ora rappresentare che nel futuro, a mano a mano che verranno realizzati nuovi tipi di intervento previsti per l'alternativa al ricovero, sarà sempre meno sentita l'esigenza dell'istituzionalizzazione, inoltre occorre considerare che una nuova politica della casa e della previdenza sociale, potranno ridurre le istanze di ricovero per motivi di indigenza.
Sarà cura dell'Assessorato condurre ulteriori approfondite indagini maggiormente differenziate intese ad acquistare dati più reali per porre le basi di un discorso globale e definitivo, al fine di individuare le singole esigenze a livello regionale e anche di definire gli standard medi dei singoli servizi.
La Giunta, oltre a reperire i dati necessari per avere, in seguito chiari elementi per interventi radicalmente innovatori, ha intenzione di promuovere una sperimentazione per l'organizzazione di un'unità di servizi sociali anche per sensibilizzare l'opinione pubblica a queste nuove forme di intervento e soprattutto a recepire una più moderna concezione dell'assistenza.
Non ci nascondiamo tuttavia le difficoltà poiché tale sperimentazione sarà valida se si potranno fare partecipare gli enti nazionali che svolgono attività assistenziale per attuare una sperimentazione globale che superi le sovrapposizioni e le contrapposizioni di competenze.
E' inoltre allo studio una proposta di legge per incentivare i Comuni all'assunzione di collaboratrici familiari per assicurare agli anziani ed alle famiglie, che si trovino in emergenti situazioni di difficoltà, le prestazioni necessarie per l'espletamento dei lavori domestici.
Tale proposta di legge vuole contribuire a realizzare un'alternativa all'istituzionalizzazione degli anziani e dei minori e dare l'avvio ad un nuovo tipo di servizio, aperto a tutti i cittadini nella rivalutazione del ruolo della famiglia attraverso la quale è necessario intervenire ogni qualvolta sia sufficientemente valida.
Concludendo, ritengo di affermare, ancora una volta, che è urgente l'approvazione della legge quadro o di riforma, di cui sono presenti in Parlamento numerosi progetti di legge, affinché tutti gli interventi siano finalizzati ad un disegno sociale che privilegi scelte di civiltà e che superi l'attuale situazione in cui, accanto ad isole di benessere permangono grosse sacche di miseria e di disadattamento.



PRESIDENTE

Vorrei inserirmi un momento a questo punto per chiedere al Consiglio se si ritiene di seguire quella che potrebbe essere una linea di condotta dei lavori, cioè non fare la discussione spezzata sulle due relazioni, ma farne una unica sulle due relazioni che possono avere delle interconnessioni, e quindi dare la parola all'Assessore Armella perché sviluppi la sua relazione; arrivati a quel punto esaminare l'opportunità di dibattere le due relazioni ancora questa sera, o eventualmente aggiornare la discussione, che penso non sarebbe ultimabile comunque questa sera, a martedì, dato che il Consiglio è convocato in quella giornata. Si potrebbe così evitare la giornata di domani se ultimiamo gli altri adempimenti che sono di brevissima entità.
Per intanto il Consiglio concorda sul fatto che ci sia la relazione dell'Assessore Armella immediatamente? Il Consiglieri Berti chiede di parlare, ne ha facoltà.



BERTI Antonio

D'accordo, chiederei poi soltanto un attimo la riunione dei Capigruppo per formulare alcune proposte.



PRESIDENTE

Senz'altro, dopo che sia ultimata la relazione dell'Assessore Armella al quale pertanto dò la parola.



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Questo è un dibattito sulla sanità e penso che occorra fare un rapido excursus sulla situazione attuale del complesso di questi servizi per poi addivenire ad alcune indicazioni e proposte di ordine generale e di ordine particolare.
E' noto a tutti come la popolazione è servita nella misura del 90 per cento da parte delle mutue che sinora sono state un mondo a sé, per quanto non possiamo andare a renderci conto anche del loro esatto funzionamento.
E' altresì noto che ci sono stati trasferiti gli uffici dei Medici provinciali e il decreto delegato n. 4 ha dichiarato che gli ufficiali sanitari cessano di essere organi periferici del Ministero della Sanità per diventare organismi periferici delle Regioni. E' forse meno nota la situazione attuale di questi organismi. I Medici provinciali sono in definitiva limitati a: uno per Torino, a Cuneo non l'abbiamo più perché ha vinto un concorso presso un ospedale sanatoriale, ad Asti c'è il Medico provinciale in servizio, ad Alessandria pure, quello di Vercelli ha chiesto l'aspettativa perché anch'egli ha vinto un concorso presso un ospedale di zona, a Novara c'é un Medico provinciale in servizio. Tra costoro non escludo che presto ne potremo avere altri due che lasciano il servizio.
La situatone deriva da questo fatto: la retribuzione dei Medici provinciali, anche dopo l'applicazione, secondo le aspettative, della legge sulla dirigenza, sono di gran lunga inferiori a quelle dei direttori sanitari degli ospedali verso i quali però devono esercitare dei doveri di vigilanza. Una situazione di questo genere mortifica l'attività al punto che difficilmente i Medici provinciali continuano a tenere il loro posto.
In Piemonte gli ufficiali sanitari, su 1209 Comuni, sono 33 corrispondono al 10 per cento della superficie del Piemonte ed al 50 per cento della popolazione essendo essi dislocati nelle città di maggiore rilievo, per lo più nei capoluoghi di provincia; negli altri Comuni vi sono i medici condotti che esercitano le mansioni di ufficiali sanitari e sono circa 800, ma esercitano altresì tutte le attività connesse al loro mandato di medico condotto alle dipendenze delle Amministrazioni comunali; in aggiunta a questo svolgono le attività ben note per l'INAM, per le altre mutue e la loro libera professione.
Abbiamo inoltre 598 condotte ostetriche, per quanto si sia ormai stabilito che il numero dei parti a cui assistono siano pari al 5 per cento del numero delle nascite.
I medici condotti hanno ancora l'assistenza dei malati iscritti nei famosi elenchi dei poveri, che sono peraltro 19.413 nell'intero Piemonte di cui ben 5.576 nella sola Cuneo. Gli ambulatori comunali hanno un costo medio (cito dei dati che mi paiono significativi) di 169.052 lire per ambulatorio, il che indica già di per sé quale attività limitatissima possano avere. Non ci sono dati certissimi riguardo alla medicina scolastica, non avendo il numero degli ambulatori scolastici esistenti (quello di Torino nonostante ogni insistenza, non si è riusciti ad averlo).
Se non si conoscono questi dati non si sa neppure di preciso che cosa si possa fare.
Questa é, nell'insieme, l'attrezzatura sanitaria ed il personale sanitario alle dipendenze dirette o di cui comunque la Regione pu disporre.
Ospedali. La situazione dei posti letto, di cui ampiamente la stampa si è occupata e che è certamente nota, é, in riepilogo, la seguente: in Piemonte si è ormai raggiunto, dopo gli aumenti che ci sono stati l'importo di 30.000 (in cifra tonda) posti letto per acuti, che pure rappresentano il 5,7 per mille per l'area di Torino ed il 6,4 per mille per le altre province. Si aggiungano 9.200 posti negli ospedali psichiatrici in tutti i capoluoghi di provincia, esclusa Asti. Una parte di questi posti letto è, come si suol dire, obsoleta nella misura di un terzo circa, o 30 per cento. Sono dati già rilevati e pubblicati dall'Ires nel rapporto preliminare che è stato distribuito a tutti i Consiglieri, per cui sono ben noti.
Stante la situazione difficile, soprattutto per quanto riguarda l'edilizia ospedaliera che è ferma da diversi anni in Piemonte e per cui lo stesso Ires indica la necessità di interventi in misura notevolissima addirittura in 74 miliardi per l'area torinese e in 30 per le altre province del Piemonte, la Regione ha preso negli ultimi giorni del 1972 i provvedimenti per intervenire al completamento delle opere non finite, a mezzo di domande istruite dal Ministero attraverso il Provveditorato alle Opere Pubbliche, per un importo di 7 miliardi e 500 milioni. Sappiamo come questa cifra sia del tutto insufficiente, ma consente di completare gli ospedali i cui lavori erano in corso come quello di Verbania e di avviarne altri, come quello di Rivoli.
Per altri ancora invece si tratta di lavori che devono essere iniziati ma bisogna rilevare che proprio nell'area di Torino, là dove le esigenze si presentano in misura superiore, c'é una certa stasi, una certa difficoltà al movimento per cui non esistono molti progetti, non esistono i presupposti per poter procedere celermente alle nuove costruzioni. Il grosso problema è quello della gestione di questi enti.
E' di oggi la notizia della Federazione degli ospedali, diramata su tutti i giornali, che denuncia l'impossibilita a proseguire la gestione degli ospedali i quali, dopo aver fatto ritardare il pagamento a tutti i fornitori, finiscono ormai di arrivare al punto di non poter più pagare gli stipendi e quindi si minaccia la chiusura (auguriamoci rimediabile) per il 1° luglio di quest'anno.



VIGLIONE Aldo

E' la prima riforma!



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

E' la prima riforma.
E' ben noto che cosa è successo negli ospedali e che cosa abbia significato il passaggio dal vecchio sistema di gestione, improntato all'incentivazione dell'attività col pagamento dei medici attraverso il numero dei ricoveri (cosiddetto sistema di compensi fissi mutualistici), a quello nuovo che invece tende all'impiegatizzazione del medico. E' noto altresì quali siano state le conseguenze dell'applicazione dei decreti delegati che sono seguiti alla legge n. 132 del 1968. Il sistema ha condotto, con una rapidità veramente impressionante, ad un enorme aumento di organici (praticamente si sono tutti raddoppiati, siamo ormai al livello di una persona per posto-letto, pressoché generalizzato, salvo nei piccoli ospedali) ed all'aumento del numero e dei posti dei primari aiuti e assistenti. In questo gioca anche quel nefasto istituto che è l'incarico per cui in definitiva le pressioni dei sanitari, unite all'esigenza delle amministrazioni di dare un servizio nei limiti degli orari che sono stati imposti dal sistema (che d'altronde in questa situazione non si potrebbe modificare) hanno condotto a coprire un numero di posti nuovi di organico con incaricati, che attualmente aspettano una legge di sanatoria per avere il posto di ruolo, causa non ultima delle agitazioni che sono in corso anzi, causa dell'ultima agitazione, quella che promette lo sciopero per week-end del 29 e 30, proclamato o minacciato dall'Associazione degli aiuti assistenti.
Per essere precisi, la situazione del Piemonte è la seguente: ci sono 350 primari di ruolo e 100 primari incaricati, 364 aiuti di ruolo e 228 incaricati, 470 assistenti di ruolo e 567 incaricati. Questa situazione pu essersi modificata negli ultimi tempi, certamente in aumento, non in diminuzione, in relazione a quelle che sono state le approvazioni che, di volta in volta, si sono date ai nuovi organici.
La tendenza alla spedalizzazione è fortemente aumentata, non è diminuito il numero delle degenze; si riteneva che il sistema della spedalizzazione riducesse, oltre che il numero dei ricoveri, il numero dei giorni di degenza per ricovero, ciò non è avvenuto perché concomitante a questo c'è il fenomeno esterno e cioè la spinta da un sistema ambulatoriale mutualistico, in cui la posizione del medico è fortemente deresponsabilizzata, a spedire in ospedale quanta più gente si può.
D'altronde l'ospedale non spaventa più nessuno ed è verosimile che molti di questi ricoveri si limitino soltanto a fasi di accertamenti e non a quelle di cura. Comunque è un fenomeno generale rilevato da tutte le amministrazioni ospedaliere: aumento della spedalizzazione e quindi anche aumento della necessità di personale.
Il sistema della retta, si è detto ripetutamente, favorisce la spedalizzazione in quanto le amministrazioni ospedaliere sono determinate a ritenere che maggiore è il numero dei ricoveri, più le spese generali possono essere ripartite. In definitiva non sono le amministrazioni ospedaliere che determinano il numero dei ricoveri, ma i meccanismi che vi sono all'esterno dell'amministrazione stessa.
Certo che il sistema consente di scaricare tutto sulla retta e ne favorisce l'aumento. Le rette sono ormai a questi livelli (per dare un quadro abbastanza preciso ne cito talune che mi paiono le più significative): Torino San Giovanni Battista 22.000 (approvata); Sant'Anna 22.650 (sono rette approvate, cioè quanto costa al giorno l'esercizio ospedaliero); Amedeo di Savoia 22.620; Maria Adelaide 20.000; Ordine Mauriziano 19.200; Rivoli 18.120; Venaria 15.600; Opere Pie Osp. di Alessandria 16.200; Infantile Cesare Arrigo 18.400; Civile Tortona 17.000 Casale Monferrato 17.700; Asti Civile 18.220; Nizza Monferrato 15.900 Cuneo S. Croce 17,765; Sanatoriale Calle 13.640; Alba 14.700; Ceva 16.200 Novara Osp. Maggiore 17.500; Vercelli Osp. Maggiore 16.950; Biella 18.100.
Da questo quadro appare sin troppo evidente come si sia arrivati ad un livello che anche se non è quello raggiunto da certi ospedali del meridione, è pur sempre abbastanza cospicuo. Basta considerare a questo punto che le mutue non sono in grado di pagare le rette e hanno l'ordine dal Ministero del Lavoro da cui dipendono e che esercita su di loro la vigilanza di pagare le rette del 1969; è stato loro consentito l'aumento del 35 per cento nel '70 e un ulteriore 15 per cento nel '71 senza altre disposizioni per il 1972.
Il sistema è chiaramente in crisi e gli enti ospedalieri non sanno più dove reperire i fondi per provvedere alle necessità normali di istituto, si sono fatti anticipare dai tesorieri quanto era possibile e a tutt'oggi per 69 enti ospedalieri deve ritenersi che l'anticipazione di cassa ammonta a 38 miliardi. Il totale degli indebitamenti verso i fornitori, considerando 60 enti ospedalieri su 69, e di 33 miliardi.
Il totale dei crediti nei confronti delle mutue sfiora i 90 miliardi.
In definitiva si può calcolare che ormai da tempo gli enti ospedalieri sono creditori, cioè hanno fatto anticipare dai tesorieri o fanno attendere i fornitori nella misura media di tre milioni per posto-letto.
Se i colleghi hanno conoscenza della situazione particolare di qualche ospedale, provino a moltiplicare i tre milioni per posto-letto per il numero dei letti e all'incirca (salvo situazioni più gravi come quella di Cuneo dove c'è una più forte percentuale di coltivatori diretti e quindi con una mutua in maggiore difficoltà) la situazione dovrebbe corrispondere.
Gli amministratori che in un primo tempo erano nella situazione di valutare con un certo compiacimento i loro bilanci in pareggio e magari anche in attivo si rendono perfettamente conto che si tratta di crediti che non saranno pagati allo stato attuale della situazione, nessuno può dire come possano essere pagati. E' purtroppo noto che anche nel progetto di riforma si indica la possibilità di pagamento dei debiti delle mutue, con l'accollo da parte dello Stato di questi debiti nella loro interezza, ma con un ammortamento in cinque anni. Non è ben chiaro se lo Stato potrebbe o intenderebbe (sia pure nell'intenzione di chi ha steso il progetto di legge) anticipare l'intera somma e poi effettuare l'ammortamento, o se l'ammortamento avverrebbe col versamento agli enti ospedalieri, o a chi li sostituirà, delle somme che sono dovute dalle mutue e ripartite poi in cinque anni.
E' evidente che una situazione di questo genere, di un'estrema e drammatica tragicità esige che vi venga posto rimedio ed è impossibile vedere un immediato sbocco. Non è minimamente credibile che ci si possa avviare sul piano della riforma e cioè di un sistema che non può non comportare delle maggiori spese per l'erogazione dell'assistenza, se non sanando la situazione esistente preventivamente. Mancando questa possibilità, tutto il procedimento diventa inquinato ed è fuori di dubbio che non riuscirà a mettersi in movimento con una qualche possibilità di avviamento. E' estremamente difficile pensare di trovare delle soluzioni diverse.
Certo, la situazione è dovuta ad una serie di ragioni che sono ormai state analizzate in ogni occasione. Non si può rimediare se non arrivando all'unicità di gestione, cioè chi eroga il servizio deve essere quello che lo paga, rimanere con questo sistema separato, distinto, cioè che ci siano da una parte quelli che erogano il servizio e dall'altra quelli che lo devono pagare, porta necessariamente ad una situazione di questo genere. Le mutue non riconoscono le rette, che pure sono state approvate per legge dai Comitati di controllo; peraltro è noto che non hanno gli introiti necessari per sopperire a queste maggiori spese. Quindi, unicità di gestione sì, ma anche destinare all'assistenza i fondi necessari. Si potrà operare per ridurre la spedalizzazione, ma anche questa riduzione non può andare oltre un certo limite, si tratta di fare una scelta e quindi disporre quanto del reddito nazionale deve essere destinato all'assistenza sanitaria e come deve essere distribuito.
Per venire all'unico ruolo del personale, oggi da parte degli operatori sanitari c'è una continua doglianza ritenendo taluno di alcuni settori di essere più vincolati, sottoposti ad un maggior lavoro e corrispondentemente non retribuiti nella misura in cui lo sono gli altri. I medici ospedalieri si dolgono che la maggiore retribuzione l'hanno gli ambulatoriali che spediscono loro gli ammalati e gli ambulatoriali ritengono che poter fare il medico ospedaliero con l'orario assicurato e le ferie sia un maggior vantaggio; i condotti si trovano a dover sopperire a certe situazioni. E' noto che molte condotte vanno deserte, quantunque diano delle retribuzioni sommando quanto viene dato dal Comune con quanto viene pagato dalle mutue che non difficilmente arrivano ad un milione al mese.
Una situazione di questo genere impone necessariamente di porre tutti in un unico organico e con una possibilità di retribuzione che siano coordinate e quindi necessita il discorso della riforma che non è più determinato soltanto dalla logica di una sistemazione razionale o ideale di tutto il settore, ma anche dall'urgenza di addivenire alla soluzione dei problemi che sono scoppiati in questa società.
Il progetto di riforma nell'ultima edizione presentata dal Governo comporta il fondo sanitario nazionale (per quanto non si indichi la cifra) il riparto tra le Regioni, l'assegnazione alle unità sanitarie locali e agli ospedali della quota destinata alle Regioni, l'autonomia amministrativa e di spesa delle unità sanitarie locali, nei limiti degli stanziamenti annualmente assegnati, con divieto di integrazione durante l'esercizio, se non con legge regionale. Si sono voluti creare quindi degli sbarramenti, delle saracinesche per impedire che il sistema riproduca gli effetti che si sono verificati in passato. Impieghi in conto capitale secondo gli obiettivi fissati dal piano sanitario regionale.
E' chiaro che il sistema potrà funzionare nella misura in cui i livelli assistenziali siano effettivamente rispondenti alle possibilità finanziarie. Se si vuole continuare a porre degli obblighi senza dare le adeguate possibilità di spesa, si verifica la stessa situazione del decreto delegato che ha fissato i famosi 120 minuti di assistenza infermieristica per posto-letto e poi, non essendoci la possibilità, ognuno ha fatto quello che ha potuto. Non so esattamente quale sia il livello del nostro Piemonte ma verosimilmente potrà essere sugli 80/90 minuti, non certo sui 120; nella situazione ospedaliera il calcolo sul numero degli addetti qualificati non è mai molto facile, anche perché gli ospedali finiscono di utilizzare il personale come possono.
A nostro avviso il sistema potrà funzionare nella misura in cui la legislazione sia sufficientemente elastica per venire ad un adeguamento delle situazioni locali con la possibilità di spesa. Qui non si tratta di parlare di economia, tutt'altro, si tratta di trovare un sistema che non provochi sprechi, che non porti, con l'esigenza di accontentare tutti, dai sanitari al personale, a fare mancare il necessario a quelli che effettivamente hanno bisogno, perché il nostro sistema sta provocando proprio questo.
Quanto è da destinarsi come fondo? Il progetto di riforma è alquanto reticente su questo punto, mi riferisco all'indagine che il Ministero della Sanità fece qualche tempo fa in cui si diede un'indicazione regione per regione, allora si indicava che il numero delle unità sanitarie locali in Piemonte da convertire avrebbe dovuto essere 86 e 21 da istituire, sia pure gradualmente, in un certo numero di anni, per arrivare al 1980 con un numero di 107 unità sanitarie locali. Ma al di là di queste indicazioni c'è un dato che mi pare sia difficilmente superabile: per dare un'assistenza INAM a tutta la popolazione, considerato che una parte oggi non l'ha, non si è lontani dall'importo di centomila lire per assistito. L'INAM denunciava qualche tempo fa 74.000 lire per abitante, ma i calcoli dell'INAM non tengono mai conto di rette che non ha mai riconosciuto e non vuole riconoscere; se si aggiungono gravi compiti in relazione alla medicina preventiva, pare che un importo di centomila lire per abitante non sia lontano dal vero, anzi, pecchi probabilmente per difetto. Le 100.000 lire per abitante comportano una cifra di 450 miliardi per il Piemonte. Mi pare che le indicazioni non erano molto lontane e dopo un certo numero di anni superavano quello che l'ufficio studi del Ministero della Sanità aveva fatto.
Rapidamente i temi della riforma sarebbero quelli indicati: entro 90 giorni dall'emanazione della legge il Comitato centrale, entro 180 giorni l'istituzione da parte delle Regioni delle unità sanitarie locali con inizio delle attività e trasferimento in uso dei servizi dei Comuni Province, Consorzi e trasferimento del relativo personale alla Regione.
La Regione inizierebbe così a erogare l'assistenza ospedaliera: trasferimento alla Regione degli ospedali psichiatrici; soppressione della personalità giuridica degli ospedali regionali, provinciali e zonali scioglimento dei Consigli di Amministrazione degli ospedali l'Amministrazione dei nosocomi di zona sarebbe affidata ai Comitati di gestione con trasferimento nei ruoli regionali del personale e l'Amministrazione degli ospedali regionali e provinciali effettuata direttamente dalla Regione.
Questo è il quadro delle prime applicazioni: blocco delle rette al 31.12.1972; blocco degli investimenti da parte degli enti mutualistici per poi addivenire, al terzo anno, con l'erogazione dell'assistenza sanitaria gratuita medica e farmaceutica da parte della Regione tramite le unità sanitarie locali; trasferimento del personale degli enti mutualistici alla Regione; scioglimento dei Consigli di Amministrazione degli enti mutualistici dalla data di entrata in vigore della legge, con gestione commissariale fino al terzo anno in cui si avrebbe altresì la soppressione della personalità giuridica degli enti; divieto alle Regioni di anticipare i tempi della riforma.
Noi ci rendiamo conto e ne diamo atto, come nel progetto di riforma siano contenute alcune indicazioni effettivamente coraggiose e anche innovative rispetto ai progetti precedenti: anzitutto l'abolizione della retta, abolizione che dovrebbe correlativamente imporre il sistema d pagare gli ospedali a letti vuoti, cioè determinando preventivamente l'importo della spesa di gestione e il divieto di aumentare la spesa durante il corso di esercizio, se vale quel principio già esposto "se non con Legge regionale"; ruolo unico regionale del personale sanitario di ogni ordine e grado, pur consentendo la possibilità di fare delle convenzioni con medici liberi professionisti per l'assistenza ambulatoriale; soppressione della personalità di tutti gli enti ospedalieri, con scioglimento dei Consigli di Amministrazione delle mutue.
Di fronte a queste, che sono indubbiamente decisioni importanti innovative e coraggiose, non possiamo nascondere alcune nostre perplessità.
Le cito brevemente perché in questo quadro il discorso mi pare di non doverlo lasciare senza indicazioni: 1) la composizione del Comitato centrale. Stante i compiti di questo Comitato, una composizione che dia un eccessivo spazio alla rappresentanza degli Ordini, di fronte invece all'esigenza di dare un carattere prevalentemente politico alla composizione stessa di questo Comitato, ci lascia un poco perplessi 2) permanenza dell'Ispettorato del Lavoro, ma soprattutto dell'ENPI per quanto si dice che debbano avvalersi del servizio nazionale per l'espletamento dei controlli, delle indagini preventive e via via. Questa preoccupazione deriva dal timore di creare una tendenza a rompere la globalità di indirizzo dal momento che all'unità sanitaria locale è necessariamente demandata la tutela e l'igiene generale dell'ambiente in cui l'uomo vive e quindi particolarmente dell'ambiente in cui lavora, che costituisce buona parte, anzi, l'attività più importante, più impegnativa della sua giornata. Una necessità di maggiori chiarimenti si impone anche sulla distinzione della gestione degli ospedali provinciali e regionali rispetto agli ospedali di zona, perché è chiaro che una norma di questo genere che dia alla Regione la gestione diretta degli ospedali regionali, e quella degli ospedali di zona alle unità sanitarie locali, trova la sua giustificazione nel fatto che negli ospedali specializzati si svolge un'attività che supera i limiti delle unità sanitarie locali, per quanto mi pare che queste siano viste dalla legge di riforma in dimensioni piuttosto ampie, dai 100 ai 200.000 abitanti. Sappiamo peraltro che gli ospedali provinciali e regionali per larghissima parte della loro attività esplicano le funzioni degli ospedali di zona.
La maggiore perplessità invece ci deriva dal carattere prevalentemente amministrativo delle competenze regionali, a cui si collega la tendenza ad una legislazione troppo minuta, mentre apprezziamo il più limitato rinvio ai decreti delegati che è un rinvio cui molto spesso non segue l'emissione dei decreti delegati, come abbiamo visto per la 132.
Questo grosso ente che si andrebbe a costituire, cioè l'Ente Regione che gestirebbe tutto il servizio sanitario, avrebbe bisogno, a mio avviso di un supporto legislativo da parte dei Consigli Regionali molto più vasto di quanto il sistema della riforma sembra concedere; pur comprendendo la necessità di uniformare la situazione in tutto il territorio; il proseguire nella strada di indicare con minuzia quelli che sono limiti e funzioni pu provocare il ripetersi dell'espansione della spesa non corrispondente a erogazioni di effettivi e validi servizi.
Non c'é poi da nascondersi il disappunto di avere lasciato in bianco l'aspetto finanziario del problema, cioè come si paga la riforma. Affermato ormai che il sistema contributivo deve finire, che l'onere deve essere interamente fiscalizzato, cioè deve andare interamente a carico del bilancio dello Stato, bisogna pure stabilire in quale forma lo Stato reperisce i fondi necessari.
Nel piano di riforma c'é solo la proposta di istituzione dell'imposta progressiva o di un'addizionale dell'imposta sul reddito e noi temiamo che ciò comporti ulteriori ritardi in una materia che non consente rinvii. Sui tempi di attuazione si prevede il passaggio immediato, nei 180 giorni appena costituite le unità sanitarie locali, dell'assistenza ospedaliera alle Regioni, rimandando poi a tre anni l'assistenza ambulatoriale domiciliare medica e farmaceutica. La situazione ospedaliera oggi è la più grave, scaricarcela addosso senza ancora parlare del problema finanziario è un mezzo per allietare il prosieguo di quella che sarà la nostra attività.
Se si pensa poi che si trasferiscono anche gli psichiatrici assieme, tutti sanno qual è il problema degli psichiatrici, mentre le mutue, seppure in fase di transizione, di regime commissariale manterrebbero quella ambulatoriale, quella esterna, ciò potrebbe creare delle disparità e delle difficoltà di funzionamento notevoli.
Sarebbe bene che le Commissioni parlamentari sentissero i pareri delle Regioni prima di procedere o durante l'esame del progetto di legge.
Con queste riserve è comunque evidente che si tratta di una riforma che comporta un grande impegno e che addossa alle Regioni un onere davvero enorme, si tratta di sostituire tutte le mutue, erogare l'assistenza ospedaliera, erogare l'assistenza preventiva e riabilitativa, ambiente minori, igiene del lavoro, per quanto ci siano le prescrizioni dell'Ispettorato che restano salve, ma soprattutto si tratta di introdurre attraverso questa azione, che quindi non deve e non può essere soltanto un'azione meramente amministrativa, una mentalità nuova, cioè una mentalità che consenta di trasferire quelli che sono stati fino adesso dei servizi resi prevalentemente nell'ambito dei rapporti privati, in un servizio nazionale che vuole tutti assistiti gratuitamente e con uguali possibilità di prestazioni.
Intanto noi dobbiamo, in attesa di questo, continuare una nostra attività, tenendo conto di quelli che sono gli indirizzi della riforma.
Dobbiamo espletare i nostri servizi, migliorare la situazione attuale preparare questo futuro insomma.
Ho già detto all'inizio quali sono i limiti dei nostri uffici. Tutti i colleghi, penso, dovranno dare atto del grosso sforzo che i nostri pochissimi funzionari hanno fatto, tanto più essi derivando non sempre direi mai, da un ambiente sanitario. Quella norma che impone alla Regione di avere il comando degli enti locali è per noi una norma limitativa, per non dire esiziale. Noi non possiamo avere dipendenti delle mutue, che pure riteniamo preparati per la loro attività sinora svolta, perché le mutue si sono chiuse in un atteggiamento di non disponibilità e poi la legge non consentirebbe neppure di avere questi comandi. Non possiamo avere dipendenti degli enti ospedalieri, direttori amministrativi, direttori sanitari perché le loro retribuzioni sono talmente elevate - non rispetto al loro valore che certamente è molto, ma rispetto a quello degli altri dipendenti, come per esempio quelle dei vice prefetti - che non è pensabile che ciò possa avvenire. Dobbiamo pertanto servirci largamente di consulenze esterne e cioè di persone che siano disponibili e abbiano sempre trovato un'ampia collaborazione a questo proposito, ma non possiamo istituire dei rapporti di impiego che ci consentirebbero di avere la possibilità della continuità del lavoro, delle prestazioni di impiego da parte di dipendenti.
Noi ci rendiamo conto e penso che tutti si rendano conto di questa situazione. Per quanto riguarda il nostro lavoro non si tratta di mettere sulla carta un sistema, ma di verificarne costantemente le possibilità effettive di realizzazione.
Piano ospedaliero. E' stato rilevato giustamente che deve essere inquadrato in un piano sanitario, ma ciò non vuol dire che non si debba esaminare la situazione ospedaliera e ricercare le soluzioni più opportune per la qualificazione degli ospedali, per la razionale distribuzione dei servizi.
L'indagine che si va compiendo è intesa a dare elementi per una strutturazione di tutte le specialità, al di là, direi, dei limiti della legge n. 132. Abbiamo visto come le divisioni nominalistiche degli Ospedali in ospedali di zona e Ospedali provinciali ad altro non portino che a spingere ad una corsa insensata al maggior presagio: si tratta invece di verificare quel che in effetti è più opportuno perché le strutture corrispondano alle esigenze della cura e quindi alle esigenze che soltanto coloro che operano in questa attività possono adeguatamente valutare, e queste indicazioni dovranno essere poi da noi vagliate, per accertare se c'è una qualche verosimiglianza di possibilità effettiva di applicazione.
Elenco tutta la serie di problemi che specificatamente sono posti, con l'elencazione delle specialità su cui noi attiriamo l'attenzione dei nostri consulenti per costituire la base di lavoro della Commissione consiliare: Medicina generale, Malattie infettive, Ematologia, Gastro-enterologia Endocrinologia, Reumatologia, Dietologia, Cardiologia, Pneumologia Nefrologia, Emodialisi, Dermosifilopatia, Neurologia, Neuroradiologia Psichiatria, Neuropsichiatria infantile, Medicina del Lavoro, Oncologia Pediatria, Ostetricia, Chirurgia generale, Pronto soccorso, Anestesiologia Grandi ustionati, Chirurgia toracica, Chirurgia infantile, Neurochirurgia Cardiochirurgia, Chirurgia vascolare, Ortopedia, Traumatologia, Chirurgia plastica, Urologia, Oculistica, Otorinolaringoiatria, Odontostomatologia Chirurgia maxilofacciale, Geriatria, Lungodegenti, Laboratorio di analisi Istologia patologica, Radiologia, Medicina nucleare, Servizio trasfusionale, Immunoematologia, Recupero, Rieducazione funzionale.
Questa elencazione già indica come, volendo verificare in effetti nella realtà dei servizi che occorre dare, le possibilità di intervento occorra non limitarci alle scarse indicazioni che dà la legge 132 e alle direttive contenute nei decreti ministeriali.
In questo quadro non può essere dimenticato il grosso impegno relativo al coordinamento delle scuole, del personale paramedico, in quanto è una delle maggiori esigenze che si impongono per dare un'assistenza effettiva e qualificata.
Abbiamo avuto così, cito ad esempio, l'esatta situazione nel campo dell'emodialisi. Abbiamo seguito tutti la campagna di stampa con la quale si è giustamente sensibilizzata l'opinione pubblica ad un problema così importante. Ebbene, non era questione di quattrini, di finanziamenti: la Regione aveva stanziato per l'emodialisi già 275 milioni nel 1971, ma non è riuscita a distribuirli agli ospedali; e anche l'anno successivo non ha potuto distribuire nemmeno i 180 milioni che è nelle nostre intenzioni destinare annualmente allo scopo. Per quali motivi? Ad Asti, per esempio 100 milioni non si sono potuti spendere perché mancavano i locali, ovvero mancavano i medici; dappertutto, poi, mancava il personale paramedico.
Piano sanitario, di cui il piano ospedaliero va visto come parte peraltro essenziale. Le circoscrizioni. Cioè la richiesta di un azzonamento, una ripartizione del territorio, in corrispondenza ad esigenze che il progetto di riforma indica in comprensori ed in una ulteriore sub circoscrizione cui dà il nome di distretti.
E' noto come il Piano ospedaliero indichi oltre trenta zone (dico "oltre" trenta perché fa delle ipotesi alternative). Abbiamo fatto anche un'indagine presso i Medici provinciali: ci hanno indicato 96 zone, o circoscrizioni, in cui ci dovrebbe essere l'ufficiale sanitario, esclusi i 182 Comuni della Provincia di Torino.
In questi giorni siamo riusciti a portare a termine un ulteriore studio, sulla base del progetto di riforma, che prevede comprensori di 100 200 mila abitanti (in realtà, molto ridotti poi per noi considerate le vaste zone di collina e di montagna), che contempla 25 comprensori, che con un'ulteriore ripartizione di due o tre per distretto arrivano da 50 a 75 sempre esclusa Torino, che esige un esame particolare, una ripartizione in modo evidentemente diverso. D'altronde, il primo esame, fatto dall'Ufficio Studi del Ministero dei Lavori Pubblici, che ho citato all'inizio, indicava 96 unità sanitarie locali da convertire alle strutture attuali delle unità sanitarie locali, più 21 da istituire, e cioè 107.
Questa, indubbiamente, è una ripartizione che è necessario fare. Prima per poter già iniziare a dare in queste singole circoscrizioni un impulso per l'adeguamento dei servizi, che sono insufficienti anche rispetto alla legislazione vigente, non dico a quella che occorre (il caso della prevenzione minorile è significativo).
I nostri impegni più immediati devono essere rivolti: alla tutela dell'ambiente per tutti gli aspetti collegati al settore sanitario, cui la Giunta provvede, oltre che con l'attività collegiale, con l'attività particolare del collega Chiabrando al settore della prevenzione, con la forte incentivazione della medicina scolastica; nella nostra Regione noi abbiamo 380 ambulatori scolastici su 644 Comuni, escludendo anche qui la provincia di Torino: Alessandria ne ha 106 su 190 Comuni, Asti 60 su 120, Vercelli 88 su 169 Novara 66 su 165, Cuneo 67 su 250; quindi, diciamo, all'incirca il 50 per cento ovunque, con una percentuale sensibilmente inferiore in provincia di Cuneo.



VIGLIONE Aldo

A Cuneo togliete sempre i fondi..



ARMELLA Angelo, Assessore alla sanità

Tu sai benissimo che i soldi sono stati dati a tutti quelli che hanno avanzato richieste: si vede che i Comuni della tua zona sono scarsamente sollecitati a chiedere. (Se la richiesta non viene da loro, per la verità siamo noi stessi a sollecitarli, perché vogliamo che i laboratori si istituiscano). Il fatto di disporre di un ambulatorio è importante non tanto per l'attrezzatura, che è alquanto limitata, ma come mezzo esemplificativo, di sollecitazione al sanitario locale, al medico condotto che ha le mansioni di ufficiale sanitario, per fargli comprendere che non può crearsi l'alibi della mancanza dell'ambulatorio per escludere quest'attività.
Abbiamo incentivato e continueremo ad incentivare i Centri di Medicina sociale; in particolare è prossima l'istituzione di un centro per la medicina del lavoro, con particolare riguardo alla prevenzione e alla cura dei tumori derivanti da malattie professionali, che il caso dell'IPCA ha reso di particolare tragica attualità.
Ospedali psichiatrici. Il decreto delegato ci ha trasferito anche compiti di vigilanza, ma la legge di riforma parla di trasferimento direttamente alla Regione degli Ospedali psichiatrici. Gli Ospedali psichiatrici sono una patata bollente che tutti cercano di toccare il meno possibile. Taluni sono retti con il sistema degli enti morali, taluni sono provincializzati: per esemplificare, quello di Torino e quello di Alessandria sono enti morali; quello di Novara e quello di Cuneo sono ospedali delle rispettive Province.
La situazione degli Ospedali psichiatrici non è delle migliori. Noi abbiamo già raccolto i verbali delle Commissioni di vigilanza sollecitandole ad esporre la situazione senza infingimenti, dal momento che è materia in cui proprio non pare ci sia niente più da nascondere. Sarebbe già un grosso successo, a mio avviso, riuscire a rompere il sistema dell'Ospedale psichiatrico-ospizio, dell'Ospedale-ospizio. Nell'Ospedale psichiatrico oggi vi sono coloro che hanno veramente necessità di assistenza psichiatrica, vi sono alcolizzati, vi sono persone che potrebbero essere accolte in un ospedale psico-geriatrico o semplicemente geriatrico, o ricevere assistenza, famiglie consentendo, in altra forma.
In quali proporzioni sono presenti questi diversi tipi di assistiti? Non vorrei prendere senza beneficio di inventario i dati che qua e là sono stati esposti. Mi limito però a citare, perché è effettivamente significativo e perché ha colpito, quella che la Commissione nosologica per l'Ospedale di Torino ha scritto nel novembre '72, relazionando dopo aver preso in esame i casi di 2992 degenti; lo faccio in quanto questo dato è riportato in uno dei verbali della Commissione di vigilanza, e quindi mi dà una certa fiducia di legittimità. Per il 25 per cento si tratta di bisogno di assistenza geriatrica generica, per il 21 per cento di bisognosi di assistenza psichiatrica extra-ospedaliera; solo il 30 per cento avrebbe necessità di ricovero in strutture ospedaliere psichiatriche.
Una situazione di questo genere dimostra con tutta chiarezza come sia fondata l'affermazione che negli Ospedali psichiatrici vi è una gran massa di persone che non necessitano propriamente di cure psichiatriche. Noi sappiamo come questo discorso vada avanti con difficoltà estrema. Non si può nemmeno parlare di malafede, ma di una serie di condizionamenti esterni ed interni che vi sono. Qualche volta sembra che le critiche vadano rivolte al personale, qualche volta agli stessi sindacati, qualche volta sembra siano in causa le Amministrazioni, le quali, pur sostenendo l'opportunità e manifestando il desiderio che queste persone siano altrimenti assistite non vogliono accollarsi l'onere di far mutare la situazione. In circostanze di questo genere, a noi non resta che accettare la situazione attuale e finanziare le strutture necessarie perché lo sfollamento possa avvenire visto che questa patata bollente verrà certamente consegnata alla Regione e di sicuro fra non molto tempo poiché in queste cose il progetto di riforma andrà certamente avanti rapidamente (può darsi che tardi la riforma per l'assistenza medica ambulatoriale e farmaceutica, ma difficilmente tarderà quella psichiatrica).
La situazione negli ospedali impone di iniziare fin d'ora un controllo della gestione con l'adozione di un sistema di contabilità che sia uguale per tutti gli Ospedali. L'esigenza era già da tempo emersa, tanto che già nella legge n. 132 del 1968 si prevedeva che il Governo avrebbe dovuto emettere uno dei decreti delegati, che poi non sono stati emessi, su questo sistema di contabilità. Toccherà a noi farlo, anche se il progetto di riforma demanda questo compito ancora al Governo; perché, vengano o no trasferiti a noi gli ospedali, il Comitato di controllo deve poter svolgere il suo lavoro, e anche poter fare gli opportuni confronti, su una contabilità che rispecchi chiaramente la situazione contabile degli ospedali.
Il sistema della retta onnicomprensiva, che consiste nel calcolare tutte le spese dividendole poi per il numero delle degenze, è un sistema in definitiva, comodo, ma che può impedire di distinguere quello che è effettivamente proficuo da quello che non lo è. Naturalmente, non tutto pu essere riportato in questi termini: è intuitivo che per il ricovero di grandi ustionati la spesa può raggiungere il triplo, il quadruplo, il decuplo di quella per i ricoveri normali; è altrettanto vero e notorio che i servizi di pronto soccorso comportano costi molto più elevati di quelli derivanti dalla retta; così pure, è noto che certi reparti, come quelli di pediatria, comportano per certi ospedali costi elevati, per la stessa loro natura. Ma ad un certo punto è pur necessario fare i debiti confronti fra ospedale e ospedale, per determinare dove in effetti ci sia una rispondenza in quello che si fa, e soprattutto tra i diversi organici, anche per vedere quali possono essere le attrezzature nuove, le modifiche da apportare. Il sistema della retta, peraltro, ha portato le Amministrazioni ad assumere l'atteggiamento del cuculo che depone le uova in casa d'altri, nel caso specifico nei bilanci altrui: in definitiva, si dice, si sommano tutte le spese; poiché queste sono esatte, non c'è nulla da dire, si tratta semplicemente di dividerle per la media degli anni precedenti, se mai.
A questo punto deve aprirsi il discorso dell'automazione. Non siamo stati del tutto indifferenti al suggerimento, e già in precedenza, quando questo suggerimento non ci era stato ancora dato, ci avevamo pensato. Si costruiscono delle macchine per l'automazione dei servizi, per memorizzare dati relativi allo stato di salute dei singoli assistiti, che già sono state applicate ad alcuni settori. Indubbiamente, questo sistema, di introdurre la macchina in sostituzione dell'attività dell'uomo, è un sistema che dovrebbe ridurre e semplificare di molto le cose. Naturalmente quelli che costruiscono macchine, come quelli che ne studiano l'applicazione e non sono interessati alla fase di costruzione, più che offrire soluzioni, chiedono di porre dei quesiti, di sapere in che cosa in effetti si intenda utilizzare la macchina.
Taluni quesiti sono intuitivi. Per esempio, in una grossa città come Torino è quasi grottesca la situazione attuale per cui si deve girare da un ospedale all'altro alla ricerca di un posto vuoto: un sistema di collegamento automatico può dare in qualsiasi momento, in qualsiasi punto della città, o presso i singoli ospedali, lo stato della possibilità di accettazione. Quando però di qui si passa a considerare l'utilizzazione della macchina per fare degli esami, per sommare gli esami di routine che si possono eseguire su una persona che richiede l'assistenza, comincia a porsi un quesito cui noi possiamo dare una risposta teorica ma non possiamo dare possibilità di applicazione dal momento che il sistema è così ripartito fra mutue che erogano l'assistenza, ospedali che direttamente danno l'assistenza e medici che assistono ambulatoriamente. Con un sistema unico, si imporrà necessariamente l'utilizzazione di queste macchine.
A questo punto, con i suggerimenti che verranno dal Consiglio, la questione deve venire necessariamente al nostro esame. Sarà opportuno interpellare degli esperti perché ci precisino le possibilità di impiego nella situazione attuale e in futuro. Se ci si avvierà verso un sistema di unificazione di tutta l'assistenza in un unico ente quale la Regione, sarà indispensabile ricorrere ad un mezzo per memorizzare i dati anagrafici di ciascuna persona.
Dobbiamo anche intervenire per preparare schemi dei libretti sanitari studiando un sistema che dia tutte le garanzie di segretezza - perch ovviamente la tutela della persona umana vuole anche questo -, per avviare la nostra popolazione, che oggi ne ha estremamente bisogno, ad una educazione sanitaria.
A questo punto è ancora in sospeso un argomento che noi consideriamo un grosso impegno della Regione Piemonte: quello che riguarda l'igiene del lavoro. Il decreto delegato esclude che l'igiene del lavoro rientri nelle competenze della Regione, nel senso che la Regione possa fare accertamenti prelievi, nelle fabbriche, negli ambienti di lavoro. Pare che la nostra competenza si limiti all'attività dell'ufficiale sanitario, che l'Ispettorato del Lavoro, il Ministero del Lavoro ha sempre affermato essere ristretta ai rapporti esterni alle fabbriche, senza investire quanto riguarda i rapporti interni, l'ambiente di lavoro. Quindi, si potrebbe intervenire per rumori, esalazioni, inquinamenti che le fabbriche possono produrre all'esterno, ma non per quanto riguarda il luogo stesso del lavoro. Qui la competenza dovrebbe essere, si afferma, esclusiva dell'Ispettorato del Lavoro.
Noi, peraltro, pur non volendo infrangere alcuna norma, né potendolo fare, vogliamo ingredire direttamente nella materia, perché comprendiamo come nell'attuale situazione non si possa rimanere assenti. Per diversi motivi: per una richiesta di ordine sociale; perché a ciò ci impegna lo Statuto; perché, al di là di tutte le norme, e anche al di là dello stesso progetto di riforma che fa salva la competenza dell'Ispettorato del Lavoro Pur dicendo che il servizio deve espletarsi con le attrezzature del servizio nazionale, c'é una realtà che va avanti, la realtà, insomma, che porta a stipulare contratti collettivi di lavoro in aziende di grosse dimensioni, in cui appunto si pongono in termini chiari le esigenze della tutela dell'ambiente, ed anzi si istituiscono proprio organismi misti rappresentanze sindacali, rappresentanze dei lavoratori e organi dello Stato - per la tutela della sanità dell'ambiente. Perché vi sono iniziative che sorgono dai Comuni e che in definitiva i Comitati di controllo, pur con certe limitazioni, hanno finito con l'approvare. Che poi, di fatto, non possano svolgere la loro attività per insufficienza di mezzi, di attrezzature ed anche per una certa limitazione che deriva proprio dall'essere ristretti ad attività comunali di modesto rilievo, non esclude comunque che la tendenza della nostra società civile, direi sociale sindacale, politica, amministrativa sia indirizzata in tal senso. In una regione industriale come il Piemonte ciò ha delle conseguenze che non possono lasciarsi cadere, che anzi devono essere accolte.
Noi siamo d'accordo con i sindacati, con i rappresentanti delle parti sociali a che ci sia questa partecipazione delle parti sociali a questa attività; e che questa attività non si svolga in senso autoritario, fatta cioè da un ufficio pubblico, sia pure di nuova istituzione, ma venga con la possibilità di una partecipazione di coloro che l'attività del lavoro esplicano. Questo ancora in richiamo all'art. 6 del nostro Statuto. Ma anche perché poi, in effetti, è naturale, logico e mi pare doveroso che chi esplica una determinata attività di lavoro abbia la possibilità di controllare direttamente che l'ambiente in cui questo lavoro viene svolto sia conforme alle norme di tutela della salute. Le conclusioni degli incontri avvenuti devono solo essere trasferite in provvedimenti della Regione, e comportano la costituzione di unità di base che debbono coprire le zone dove l'attività industriale è particolarmente intensa, con un criterio di priorità, anche per verificarla nella sua vera possibilità di espletamento.
Queste unità di base, che dovrebbero essere a livello di comune o di comprensori più vasti, dovrebbero censire tutte le attività produttive della zona, iniziando da quelle industriali: le lavorazioni, le sostanze usate nelle lavorazioni ed i possibili rischi. Non pare che ciò sia cosa ovvia: un caso clamoroso come quello dell'IPCA sta a dimostrare che si pu andare avanti per molti anni senza accorgersi di rischi gravissimi che poi si vengono a scoprire soltanto a distanza di tempo e che hanno conseguenze deleterie, anche letali. Quindi, non è mai eccessiva la tutela in questo senso e non vanno poste in non cale certe preoccupazioni, che in qualche caso potranno anche essere determinate da un eccessivo scrupolo, ma in altri casi possono essere invece determinate da dubbio di effettivi pericoli. Dovrebbero poi procedere, direttamente, o indirettamente, cioè attraverso il lavoro già fatto, alle rilevazioni dei dati ambientali garantendo l'applicazione dei criteri, delle procedure e delle rilevazioni per la raccolta dei dati, criteri e procedure che si intende siano indicati dalla Regione.
Noi comprendiamo come in tutta questa materia la Regione debba assumere il ruolo di protagonista, che in una situazione in cui si chiede il suo intervento non si debba rinviare ad altri una responsabilità che invece deve e vuol essere una responsabilità diretta, che in questo caso non ci sia neppure da pensare alla delega ed altre amministrazioni. Elemento coordinatore di questa attività dev'essere l'organismo della Regione, e cioè l'ufficiale sanitario dei Comuni, ovviamente con uffici attrezzati e rinforzati. Non senza motivo ho prima illustrato la situazione degli ufficiali sanitari, in base alle risposte date dai Medici provinciali.
Si tratta di definire i limiti territoriali delle circoscrizioni e di iniziare questa attività. I sindacati ci hanno fatto presente che almeno otto sono le unità di base da istituire per prime. Il coordinamento dev'essere fatto ancora dall'ufficio della Regione diretto, e cioè dagli uffici dei Medici provinciali, che ovviamente occorre dotare di personale idoneo. Ci dobbiamo servire poi della legge 132 per istituire i servizi di prima indagine presso gli ospedali dei capoluoghi delle Province. Abbiamo la possibilità di intervenire per le attrezzature, non è escluso che possiamo intervenire anche diversamente se questa gestione, che peraltro non dovrebbe essere una gestione passiva, dovesse imporre la necessità di un intervento finanziario.
A questo punto si impone la necessità di fare ancora qualcosa di nuovo cioè di collegare questi centri con un Centro regionale a livello scientifico che dia tutte le garanzie che l'attuale scienza può darci negli esami più difficili, più fini, nei casi in cui non ci sia un semplice lavoro di routine, o ci sia, comunque, la necessità di questo intervento.
Noi vogliamo legarlo a quella che è l'attrezzatura universitaria, cioè al Centro di medicina del lavoro presso il CTO di Torino, che si è convenzionato con l'Università. Ovviamente, questo dovrà essere attrezzato dalla Regione, a carico quindi della Regione. Per questo noi abbiamo già preso contatti con l'Ispettorato del Lavoro, perché comprendiamo che nella situazione legislativa attuale le chiavi delle porte d'ingresso le ha l'Ispettorato del Lavoro. L'Ispettorato del Lavoro con molto realismo è disposto ad aprirci tutte le porte: noi vogliamo offrire ad esso una consulenza tecnica che finora non è riuscito ad avere. Qualcuno ha detto che presto gli Ispettorati del Lavoro non avranno più medici a disposizione: qui ne avevano uno soltanto, quindi mi pare che si possa dire che le difficoltà non aumenterebbero di molto.
La prima decisione è stata presa per il caso dell'IPCA, e ci ha portato già all'istituzione del Centro, di cui abbiamo già detto, di Medicina sociale, su cui riteniamo di poter decidere in questi giorni. L'ulteriore richiesta che ci viene fatta è per generalizzare, direi, la consulenza a livello scientifico, con una spesa che l'Ispettorato del Lavoro ci indica in trenta milioni, attualmente. Per una cifra minore - ma non ha importanza ora discutere le cifre se non c'è una chiara indicazione delle cose che si vogliono in concreto fare - offre la sua collaborazione anche l'ENPI. A me pare a questo punto - ma mi affido alle indicazioni del Consiglio - che occorra, nei limiti del possibile, tenere unite le competenze di controllo e di intervento, anche perché il ripartirle fra diversi enti potrebbe creare delle difficoltà.
L'argomento non è sviluppato completamente se non si precisa come deve realizzarsi la partecipazione delle parti sociali nell'indirizzo necessario per lo svolgimento di questa attività. La proposta è quella di istituire, a livello della Regione, un comitato composito di cui facciano parte i rappresentanti dei sindacati, delle altre parti sociali, gli esperti della Regione, e che si prefigga di essere non soltanto organo di consulenza ma anche organo di coordinamento e di proposta per tutta questa attività che nel quadro dell'igiene del lavoro la Regione si propone di svolgere.
Egregi colleghi, io sono arrivato alla conclusione, non perché non ci siano molte altre cose da dire ma perché in una relazione ci si deve necessariamente limitare ad introdurre la discussione, che mi auguro ampia e produttiva. Le possibilità di errore, in una materia di questo genere sono effettivamente molto ampie, e nessuno di noi, e meno che meno chi vi parla, ha la presunzione di poter dare indicazioni sempre giuste: persone molto più illustri di me hanno dimostrato, nell'applicazione ad esempio di questo scorcio, pur limitato, di due o tre anni, della legge ospedaliera che in effetti molte cose erano state previste in modo giusto, molte non erano state per nulla previste. La vastità del compito è peraltro tale da smorzare ogni semplicismo ed ogni improvvisazione. Ma nel frattempo non si può non fare, né le difficoltà devono lasciarci in posizione di attesa indecisi, perché l'urgenza della materia impone in ogni caso di operare. Da parte nostra c'é lo sforzo di operare con serietà, e, per quanto ci è consentito, anche con entusiasmo.



PRESIDENTE

Ringrazio gli Assessori Vietti ed Armella per le loro relazioni. Farei una breve sospensione dei lavori dell'assemblea per poter avere uno scambio di idee con i Capigruppo.


Argomento: Norme generali sui trasporti

Ordini del giorno sui problemi dell'area metropolitana


PRESIDENTE

Prima, però, vorrei, a completamento della discussione avvenuta nella seduta precedente, leggere e porre in votazione l'ordine del giorno, che credo non comporterà discussione, sottoscritto dai Consiglieri Bianchi Zanone, Calsolaro, Viglione, Berti e Cardinali, del seguente tenore: "Il Consiglio Regionale visto il decreto del Presidente della Giunta Regionale 719 del 1972 con il quale si è provveduto ad una prima determinazione del perimetro dell'area metropolitana torinese ai fini della redazione di un piano territoriale di coordinamento per l'area stessa preso atto delle dichiarazioni del Presidente della Giunta relative alla costituzione di un organismo formato dagli enti locali interessati e dalla Regione per la formazione del piano considerato che nell'ambito dell'area così delimitata sono situati, tra l'altro, la tenuta de La Mandria, il complesso di Stupinigi e la zona delle Vallere attesa l'esigenza di assicurare al Demanio regionale, avvalendosi all'occorrenza delle leggi che consentono l'espropriazione per pubblica utilità, i suddetti complessi come primi interventi per la costituzione di un sistema di parchi regionali per l'area metropolitana torinese invita il Presidente e la Giunta ad assumere ogni opportuna iniziativa per raggiungere tempestivamente gli scopi indicati con l'adozione dei mezzi atti ad ottenere i risultati più convenienti per l'interesse pubblico".
Mi pare che tutti concordassero su questa proposta. Pertanto, porrei senza metterlo in discussione, l'ordine del giorno in votazione. Chi lo approva è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato all'unanimità.
La seduta è sospesa per qualche minuto. I Capigruppo sono pregati di venire nell'Ufficio di Presidenza.



(La seduta, sospesa alle ore 18,15, riprende alle ore 18,45)


Argomento:

Comunicazioni del Presidente sull'ordine dei lavori


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Informo che il Vicepresidente Sanlorenzo mi ha chiesto di comunicare che la riunione di Presidenti di Commissione e di Assessori convocata per esaminare il problema degli handicappati per domani mattina alle 9,30 è rinviata a martedì venturo alla stessa ora, sempre in piazza Castello. Gli interessati ne prendano nota.
La riunione dei Presidenti di Gruppo è venuta in questa determinazione che io sottopongo all'approvazione del Consiglio: aggiornare il dibattito sulle due relazioni, sull'assistenza e sulla sanità, a martedì, nella seduta pomeridiana che, già convocata per le ore 16, si intende anticipata alle ore 15. All'ordine del giorno di tale seduta vi sarebbe soltanto la prosecuzione del dibattito sulle due relazioni; convocare una seduta del Consiglio Regionale per lunedì 4 giugno alle ore 21, con all'ordine del giorno, oltre alle solite interpellanze e comunicazioni, se del caso: "Impegni della Regione per l'attuazione della legge 865", che avrà inizio su una relazione fatta dall'Assessore Benzi, relazione che noi auspichiamo possa essere eventualmente anche scritta, per facilitare la discussione, e se possibile distribuita prima dell'ora di inizio della nostra riunione.
Si sarebbe anche convenuto di proseguire i lavori di questa sera con l'esame del disegno di legge n. 86 relativo a "Proroga dell'esercizio finanziario '72" su relazione del Consigliere Rossotto, prevedendosi che non vi sia motivo di ampia discussione ed essendo la legge composta di pochi articoli per cui possiamo terminare ad ora accettabile la nostra riunione, prima della chiusura della quale dovrò dare lettura delle interpellanze e delle interrogazioni che sono pervenute.
Formalizzo a questo punto la convocazione del Consiglio per martedì alle ore 15, in questa sede, per lunedì 4 giugno alle ore 21. L'ordine del giorno è stato comunicato, e sarà comunque ancora confermato per iscritto.


Argomento: Bilanci consuntivi (generale e del Consiglio Regionale) - Assestamento di bilancio

Disegno di legge regionale n. 86 - Proroga dell'esercizio finanziario 1972


PRESIDENTE

Passiamo al punto nono dell'o.d.g.: "Disegno di legge regionale n. 86 Proroga dell'esercizio finanziario 1972".
Il relatore Consigliere Rossotto ha facoltà di illustrare il testo della legge.



ROSSOTTO Carlo Felice, relatore

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la legge 30 marzo 1973 n. 93 concede alle Regioni a statuto ordinario la possibilità di prorogare l'esercizio finanziario 1972 per la durata di un anno. Tale possibilità è stata concessa visto il ritardo con cui alcune Regioni hanno approvato il bilancio del 1972, e altre, avendolo approvato in tempi normali, si sono poi viste costrette a compiere variazioni successivamente, dopo che lo Stato aveva demandato le varie funzioni con i decreti delegati, al fine di poter operare ancora tempestivamente nell'anno 1972.
Nei due articoli che compongono il disegno di legge la Giunta chiede di potersi avvalere di questa possibilità di proroga, che per la Regione Piemonte acquista un notevole significato anche in funzione degli istituendi enti - l'Ente di sviluppo agricolo, l'Ente sviluppo Artigianato e la Finanziaria regionale -, per i quali già nel bilancio '72 erano stati destinati cospicui finanziamenti. Si sa quali ritardi può determinare nelle procedure il fatto che l'imputazione di spesa avvenga sui residui anzich in conto competenze, e pertanto questa rimessa in normalità dell'esercizio finanziario 1972 permetterà alla Regione Piemonte, che ha potuto operare soltanto per quattro mesi circa con il bilancio approvato nel 1972, di valersene anche per tutto il 1973. Questo porta anche, come conseguenze che, in funzione dell'art. 30 della legge di contabilità dello Stato, ben nota a tutti, il consuntivo, e quindi la possibilità di rendere erogabili gli introiti, venga prorogato a tutto il 31 gennaio dell'anno successivo.
I due articoli, nella loro semplicità, assolvono, quindi, e rendono operante la legge dello Stato 30 marzo '73 n. 93. Si ritiene opportuno con l'art. 2 chiedere la dichiarazione di urgenza per poter rendere la legge immediatamente operante, proprio in considerazione del tempo limitato che ancora rimane per poter rendere operante questo bilancio.



PRESIDENTE

Qualcuno chiede di parlare su questa relazione al disegno di legge? Il Consigliere Raschio. Ne ha facoltà.



RASCHIO Luciano

Signor Presidente, cari colleghi, il nostro Gruppo manifesta su questo disegno di legge, presentato dalla Giunta Regionale, la propria astensione.
Riconosce essere questo provvedimento della proroga dell'esercizio finanziario del 1972 a tutto il '73 un provvedimento sostanzialmente positivo, venuto da una richiesta pressante da parte della stragrande maggioranza delle Regioni italiane nei con fronti del Governo, proprio perché ricordiamo tutti che il bilancio del '72 è partito dal 1° aprile dell'anno scorso; ma manifesta il suo voto di astensione per le ragioni con le quali si sono creati da parte della Giunta i residui di amministrazione certi gravi scompensi nell'ambito della spesa, per il discorso generale su come è stato impostato il bilancio del 1972, e purtroppo anche ripetutosi per buona parte, seppur con le correzioni ottenute battendoci in seno alla Commissione, nel 1973.
La nostra non è e non può essere un'astensione benevola, ma un'astensione documentata di principio per il nostro voto negativo su tutto un bilancio del '72 ed anche su quello del 1973, che hanno trovato non solo da parte del Gruppo comunista ma da buona parte della stessa Commissione e da parte dello stesso relatore diversi e documentati tentennamenti.
Su un unico punto vorrei ragguagli dal relatore, nominato questa mattina Vicepresidente della I Commissione, l'avv. Rossotto. Nella sua relazione, all'ultima pagina - evidentemente attenendosi alle leggi, perch non è una sua invenzione, ma è una legge, quella della proroga -, egli afferma che "il termine per la presentazione del rendiconto relativo all'esercizio finanziario 1972 si sposta, quindi, a sua volta al 30 aprile 1974". così vuole la legge, e a questo proposito nulla da eccepire alla relazione Rossotto. Però - e mi rivolgo ai componenti della I Commissione dei quali solo pochi purtroppo sono presenti in aula - è indispensabile ritengo, avere molto prima del 30 aprile del '74 il consuntivo del '72.
Perché? Perché, se tutto il discorso della prosecuzione del bilancio del '72 a tutto il '73 ci dà la possibilità di smaltire finalmente tutti i residui passivi, per cui l'impegno diventa una produzione di attività e di iniziative sorrette dal momento finanziario, d'altro canto, se dovessimo rimanere fermi a questa possibilità che la legge indica attorno al 30 aprile del '72, non so con quale forza politica, scientifica amministrativa potremmo preparare il bilancio del 1974. Questa non signor Presidente, una domanda retorica: è una questione di fondo, per cui il bilancio del '74 dovrà avere il più possibile chiara la situazione di consuntivo del '72. Proprio perché il bilancio del 1972 investe tutto il '73, sono certo che l'Assessore Paganelli e il suo ufficio potranno essere in condizione di fornire, al massimo verso la fine di settembre, e non oltre, tutta una documentazione del consuntivo 1972, e già alcuni elementi di bozzone dell'andamento dei primi tempi del bilancio del '73.
Il bilancio del '74, pertanto, se queste scadenze verranno rispettate non potrà avere degli spazi ancora troppo aperti e quindi contenere parecchi interrogativi che non trovino risposta nel consuntivo: dovrà essere invece un bilancio con chiari intendimenti di piani. Perché noi pensiamo che con il '74 il piano, almeno le linee di piano della Regione Piemonte, dev'essere sancito e reso operante dallo stesso Consiglio Regionale. Quindi, con il '74 non ci sarà più assolutamente possibilità di uscire fuori piano, e con un bilancio ancora "da genio pontieri".
Ringrazio i colleghi per la cortese attenzione, e ribadisco che il voto del Gruppo comunista sarà di astensione.



PRESIDENTE

Qualcun altro chiede di parlare su questo argomento? L'Assessore Paganelli. Ne ha facoltà.



PAGANELLI Ettore, Assessore al bilancio

Desidero anzitutto ringraziare il relatore e poi precisare al collega Raschio, il quale d'altra parte lo sa, che i termini di presentazione del consuntivo sono stati fissati in modo da consentire agli Uffici finanziari della Regione di raccogliere tutti gli elementi nella loro completezza.
Il collega Raschio sa pure benissimo che anche in sede di predisposizione del bilancio 1974, essendo aperto ancora il bilancio del '72, non potremo presentare un consuntivo. Tuttavia, come già è stato fatto quest'anno, gli Uffici della Ragioneria ed il mio Assessorato non avranno difficoltà a presentare la situazione emergente nel momento in cui si discuterà il bilancio.
Di più, obiettivamente, penso non sia possibile fare.



RASCHIO Luciano

Scusa, Paganelli, noi non chiediamo di più: desidereremmo soltanto un tiro più ravvicinato e più pulsante, proprio per essere maggiormente documentati nei confronti del Consiglio. Devi essere certo che troverai in noi la massima collaborazione.



PAGANELLI Ettore, Assessore al bilancio

Io ho detto esattamente la stessa cosa: il consuntivo non potrà essere presentato, ma la situazione emergente nel momento in cui si discute in bilancio sì; esattamente come abbiamo già fatto quest'anno.



PRESIDENTE

La discussione generale è conclusa.
Nessuno chiede di parlare per dichiarazione di voto? Nessuno facendo richiesta di parola a tal fine, passiamo alla lettura dell'art. 1.



MENOZZI Stanislao, Segretario

Art. 1 - "La durata dell'esercizio finanziario relativo al bilancio regionale 1972, ai fini dell'accertamento delle entrate e dell'impegno delle spese di competenza, è protratta fino al 31 dicembre 1973.
I termini per il compimento di tutte le operazioni correlate alla gestione del bilancio 1972 sono conseguentemente protratti di ugual periodo".



PRESIDENTE

Nessuno chiedendo la parola sull'art. 1, si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

La votazione ha avuto il seguente esito: presenti e votanti 37 Consiglieri hanno risposto SI 24 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri.
L'articolo è approvato.



MENOZZI Stanislao, Segretario

Art. 2 - "La presente legge regionale è dichiarata urgente ed entra in vigore nel giorno della sua pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte."



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

La votazione ha dato il seguente esito: presenti e votanti 37 Consiglieri hanno risposto SI 24 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri.
L'articolo è approvato.
Passiamo alla votazione della legge nel suo contesto.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

La votazione ha dato il seguente esito: presenti e votanti 37 Consiglieri hanno risposto SI 24 Consiglieri si sono astenuti 13 Consiglieri.
La legge nel suo contesto è approvata.


Argomento:

Disegno di legge regionale n. 86 - Proroga dell'esercizio finanziario 1972

Argomento:

Interrogazioni e interpellanze (annuncio)


PRESIDENTE

Comunico all'assemblea che sono pervenute le seguenti interrogazioni: un'interrogazione con carattere d'urgenza, a firma Rivalta, Calsolaro Vecchione con riferimento al programma straordinario Gescal del Comune di Piossasco, per avere notizie circa l'insediamento: se si disponga delle necessarie aree per spazi pubblici e per attrezzature, quali siano le caratteristiche che determinano l'altezza di m. 18,70 e che cosa la Giunta voglia a questo proposito fare un'interrogazione dei Consiglieri Nesi e Calsolaro relativa ad irregolarità denunciate da alcuni Consiglieri comunali di San Martino relativamente ad una delibera afferente alla nomina di un tecnico: interrogano il Presidente e l'Assessore competente per sapere se sono al corrente della questione e che cosa intendono fare un'interrogazione dei Consiglieri Rivalta e Berti relativa alla zona collinosa compresa fra Rivoli ed Avigliana per l'installazione di opere infrastrutturali - metanodotto ed elettrodotto: interrogano la Giunta per sapere se questa notizia risulta fondata e che cosa in proposito intendono fare un'interrogazione, con richiesta di risposta scritta, da parte dei Consiglieri Fassino, Gerini, Rossotto, Zanone relativamente al problema dell'ex Museo "Federico Eusebio" di Alba, per avere notizie di che cosa pensi la Giunta di fare in appoggio alle iniziative pubbliche e private rivolte ad ottenere la definitiva sistemazione con integrazioni del Museo stesso un'interrogazione dei Consiglieri Curci e Carazzoni relativa al problema della trasmissione televisiva via cavo, in cui si propone alla Giunta di impegnarsi ad assumere tutte le iniziative necessarie, di concerto con le altre Regioni e gli Assessorati competenti, per chiedere la modifica del decreto 156, restrittivo della libertà di informazione.



CURCI Domenico

E' un ordine del giorno, non un'interrogazione.



PRESIDENTE

E' vero, allora lo porteremo in esame la prossima seduta come ordine del giorno.



BERTI Antonio

Lo dovrà decidere la prossima riunione dei Capigruppo.



PRESIDENTE

Ho inteso dire che verrà in discussione, comunque, al di fuori di interrogazioni e interpellanze.
Vi sono poi alcune interpellanze: un'interpellanza dei Consiglieri Marchesotti e Raschio, che chiedono al Presidente della Giunta ed agli Assessori al lavoro e all'industria se sono a conoscenza dei problemi relativi alla Società MIVA del Gruppo Saint Gobain in relazione a problemi che sono sollevati dal Comune di Acqui, e se intendono svolgere un'azione a sostegno del Comune per le determinazioni che sono specificate nell'interrogazione un'interpellanza dei Consiglieri Nesi e Calsolaro, i quali chiedono al Presidente della Giunta e all'Assessore competente se sono a conoscenza della grave crisi finanziaria che sta attraversando l'Ospedale civile di Ivrea a causa dell'insufficienza delle risorse un'interpellanza dei Consiglieri Nesi, Calsolaro, Fonio, Simonelli Viglione, che, in relazione a fatti denunciati dalla stampa circa minacce di morte fatte al Sindaco di Bardonecchia, interpellano il Presidente della Giunta per sapere se sia al corrente della situazione e che cosa si proponga di fare in questo momento delicato per Bardonecchia e per tutta la Valle di Susa.
Queste interpellanze e interrogazioni verranno trasmesse ovviamente alla Giunta per la predisposizione delle risposte e comunicate nel testo integrale ai Consiglieri.
Da ultimo, devo informare che mi è pervenuta in data 9 maggio un'interrogazione dei Consiglieri regionali Domenico Curci e Nino Carazzoni. Essi, su mia richiesta, consentirono a che ne dessi notizia al Consiglio in una successiva seduta, cosa che faccio ora a norma dell'art.
48 paragrafo 2 del Regolamento. L'interrogazione è formulata in termini tali da assumere l'apparenza, ma non avendone la sostanza, di un'interrogazione, quale mezzo per esprimere impliciti giudizi su elementi del tutto estranei all'attività, alle funzioni ed alla competenza della Regione. Inoltre, per la formulazione letterale e logica del testo nell'interrogazione potrebbero ravvisarsi estremi di reato, sia pure perseguibili a querela di parte. Ritengo pertanto più che opportuno doveroso, da parte mia, in carenza di precise norme del Regolamento, non dare pubblica lettura del testo dell'interrogazione, riservandomi ogni ulteriore decisione in proposito. A ciò mi determino anche nella certezza di interpretare correttamente la norma dell'art. 4 del Regolamento, che mi attribuisce il compito della tutela della dignità del Consiglio.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19,15)



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