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Dettaglio seduta n.157 del 21/05/73 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE OBERTO


Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Informo che sono in congedo i Consiglieri Fabbris, Giovana e Nesi.


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

Il punto prima all'ordine del giorno reca "Approvazione verbali precedenti sedute". I processi verbali dell'adunanza del 17 maggio sono stati distribuiti. Ci sono delle osservazioni in proposito? Nessuno chiedendo la parola, i verbali si intendono approvati senza riserve.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio


PRESIDENTE

Passiamo alle "Comunicazioni del Presidente" di cui al punto terzo dell'ordine del giorno.
In data 18 maggio il Commissario del Governo ha posto il visto alla legge regionale approvata dal Consiglio il 17 di aprile, concernente il bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 1973. La lettera di comunicazione contiene anche l'avviso che vi sono talune osservazioni fatte a questa legge (tuttavia approvata) delle quali semmai l'Assessore al bilancio, in una prossima riunione, potrà dare informazioni utili al Consiglio.
Il Consigliere Nesi mi chiede di dare comunicazione al Consiglio che ha partecipato ad una delegazione di Consiglieri regionali che hanno visitato l'Unione Sovietica. L'invito era stato fatto al Presidente dell'assemblea il quale, con rammarico, non aveva potuto accoglierlo. La delegazione era composta, oltre che dal Consigliere Nesi, dal Presidente del Consiglio Regionale della Sicilia, dal Presidente del Consiglio Regionale sardo, dal Segretario del Consiglio Regionale della Liguria e dal Segretario del Consiglio Regionale dell'Umbria. La delegazione ha soggiornato a Mosca e a Leningrado, ma ha soffermato in particolare la sua attenzione su di una repubblica sovietica dell'Usbekistan dove ha avuto il maggior numero di incontri a tutti i livelli. Per quanto non espressamente incaricato, il Consigliere Nesi ha recato alle autorità regionali sovietiche il saluto personale del Presidente dell'assemblea regionale piemontese e quello dell'Intero Consiglio Regionale.
Sabato scorso il Vicepresidente Sanlorenzo, con l'Assessore Benzi e alcuni Capigruppo si sono incontrati con una delegazione dei sindacati e della Lega delle cooperative, per discutere il problema della casa. In tale occasione è stato consegnato un documento contenente le richieste sollecitante altresì una risposta della Regione, risposta che l'Assessore Benzi è stato in grado di assumere l'impegno di dare entro dieci giorni dopo avere avuto un incontro con la competente Commissione consiliare.
Questa mattina con i Vicepresidente prof. Fassino e Sanlorenzo, abbiamo consegnato al Politecnico, con la partecipazione di un gruppo di docenti e con un gruppo di studenti, il testo dello Statuto della Regione Piemonte e del lavori preparatori, sottolineando che quella consegna aveva per ora un carattere semplicemente simbolico, perché saremmo stati disponibili innanzi tutto a dare un numero maggiore di copie in maniera che tutti gli studenti che l'avessero voluta avere per esaminarla, la ricevessero, e poi per aprire successivamente un dibattito (ove la cosa sia naturalmente richiesta da parte degli studenti) sul contenuto dello Statuto, sull'attività svolta dal Consiglio Regionale e sui suggerimenti e indicazioni che ci possono venire. Questo incontro ha avuto un grande significato (almeno noi così pensiamo) perché dobbiamo considerarlo il primo di altri incontri che dovranno verificarsi a livello scolastico diverso (scuole medie, istituti tecnici, licei) e, se possibile, in una caserma, con i soldati e in una fabbrica, con i lavatori. Abbiamo ritenuto di inquadrare questa consegna nel ciclo dell'attività che il Consiglio Regionale si propone di svolgere nell'arco della celebrazione dalla Resistenza alla Costituzione, alle Regioni.


Argomento: Bilancio - Finanze - Credito - Patrimonio: argomenti non sopra specificati

Consultazione delle Commissioni parlamentari sul bilancio dello Stato 1974


PRESIDENTE

L'Assessore competente avv. Paganelli, mi ha riferito che nella giornata di domani avrà luogo a Roma un incontro al Senato per una consultazione relativa al bilancio dello Stato 1974, in adesione a quelle che erano state le richieste formulate a suo tempo dal Consiglio Regionale in questa materia.
Vorrei pregare l'Assessore di illustrare questo argomento, in maniera che il Consiglio sia informato di un aspetto interessante dei rapporti che si stabiliscono a livello parlamentare e a livello regionale.



PAGANELLI Ettore, Assessore al bilancio

La riunione è indetta non per domani, ma per dopodomani 23 maggio.
I colleghi ricorderanno che in occasione della discussione sul bilancio dello Stato per il 1973, le Regioni avevano insistentemente chiesto di essere sentite dalle competenti Commissioni legislative Bilancio e Programmazione. Allora, particolarmente per quanto riguarda la Commissione Bilancio del Senato, l'incontro non si era potuto effettuare, ma il Presidente di quella Commissione si era riservato di sentire il Presidente del Senato per un'indagine conoscitiva. Ora abbiamo avuto comunicazione che questa indagine per la predisposizione del Bilancio 1974 si terrà e le Regioni, a gruppi, sono state convocate. Noi saremo sentiti, come ho già detto, il giorno 23 maggio, unitamente alle Regioni Umbria, Basilicata Veneto e Puglie.
L'invito per l'audizione è stato esteso ai Presidenti delle Giunte Regionali i quali hanno la facoltà di delegare l'Assessore competente. E' stato lasciato all'apprezzamento dei Presidenti delle Giunte Regionali di sentire le competenti Commissioni o anche di consultarsi con i rispettivi Consigli Regionali. Nella predisposizione di questa riunione se ne sono svolte altre dei vari Presidenti e Assessori delle Regioni. Io ho partecipato ad una di queste, a Roma, e stamattina se ne è tenuta un'altra a Bologna alla quale non ho potuto partecipare, ma mi sono tenuto in contatto telefonico ed ho saputo che sostanzialmente le intese che erano state raggiunte la settimana scorsa a Roma sono state mantenute stamani a Bologna.
I punti sui quali i Presidenti delle Regioni verranno consultati dalla competente Commissione del Senato sono stati precisati in una lettera e riguardano precisamente: 1) gli strumenti procedurali per la partecipazione delle Regioni all'elaborazione del bilancio dello Stato 2) la congruità ed i criteri di ripartizione del fondo istituito dall'art. 8 della legge finanziaria 3) la congruità ed i criteri di ripartizione del fondo istituito dall'art. 9 della stessa legge 4) i contributi speciali di cui all'art. 12 della stessa legge.
Inoltre verranno sentiti: sulla corrispondenza tra le funzioni trasferite alle Regioni dagli appositi decreti delegati e i fondi ad essi attribuiti, con soppressione o riduzione di capitoli del bilancio dello Stato e sui fondi speciali aggiuntivi gestiti da singoli Ministeri o dal CIPE per gli asili nido, per la montagna, per le aree depresse del centro nord.
Per quanto riguarda la nostra Regione, vi è stata un'intesa tra il Presidente, la Giunta e la competente Commissione consiliare, alla quale già nei giorni scorsi avevo riferito sugli accordi raggiunti tra alcuni Assessori convenuti a Roma. In base ad una discussione, che si è svolta nella Commissione, io ho predisposto un documento di indirizzo della nostra Regione sui vari punti sui quali saremo consultati e anche su altri che intendiamo introdurre.
Questo documento l'ho presentato oggi alla I Commissione che sostanzialmente lo ha approvato; sono stati accolti anche degli emendamenti e penso, signor Presidente, che sul documento possa riferire il Presidente della I Commissione, Garabello.



PRESIDENTE

Chiede di parlare il Presidente Garabello, ne ha facoltà.



GARABELLO Enzo

Signor Presidente, come ha riferito l'Assessore Paganelli, non appena è giunta notizia delle udienze conoscitive predisposte dalla Commissione Bilancio vi sono stati immediatamente dei contatti fra la Commissione e la Giunta (anche su sollecitazione del Gruppo comunista) per poter sbloccare questa situazione nel modo più ampio possibile, non essendo prevedibile, su un piano concreto e pratico, un dibattito consiliare.
La Commissione ha svolto due riunioni, la prima nella quale gli orientamenti e le richieste della Commissione del Senato sono state esposte dall'Assessore Paganelli e la Commissione ha espresso i propri apprezzamenti in proposito di cui l'Assessore ha tenuto conto nel predisporre il suo documento.
Durante tale riunione gli apprezzamenti sono stati espressi in varia maniera, anche con documenti scritti che Gruppo comunista aveva già predisposto e con appunti di vario genere passati dagli altri colleghi.
Nella riunione odierna, l'Assessore Paganelli, secondo l'impegno, ha predisposto un apprezzabile documento che la Commissione ha approvato con alcune modificazioni, o meglio, accentuazioni di problemi specifici. Il documento è breve e ne do lettura: "In ordine ai problemi che sono oggetto dell'apprezzata indagine conoscitiva della Commissione Bilancio del Senato, la Regione Piemonte ritiene di dover avanzare le seguenti valutazioni: a) la partecipazione delle Regioni all'elaborazione del bilancio dello Stato deve costituire un momento di particolare rilievo nel sistema di rapporto tra Stato e Regioni.
Insieme con la programmazione, il bilancio costituisce infatti un elemento essenziale per la formazione dell'indirizzo politico generale ed in particolare per la definizione delle linee di politica economica e della stessa politica istituzionale.
Su questi due temi, programmazione e bilancio s'incentra quindi nella sua sostanza il rapporto fra Stato e Regioni e da ciò discende l'importanza di costruire un sistema adeguato anche negli aspetti procedurali.
Occorre in via generale definire le modalità con cui può stabilirsi un rapporto continuativo tra Regioni e Parlamento: è questo un tema che ci permettiamo sottoporre all'apprezzamento degli organi parlamentari, per le implicazioni che presenta in ordine alla struttura ed ai regolamenti delle Commissioni della Camera e del Senato.
Parimenti vi è l'esigenza, anche riguardo all'elaborazione del bilancio di un più intenso rapporto tra Regioni e Governo, organo a cui compete la predisposizione del documento di bilancio.
In questa fase infatti è possibile affermare in modo organico il problema del coordinamento tra l'azione dello Stato e l'azione delle Regioni, come è possibile stabilire un sistema informazioni essenziale ad un corretto funzionamento di tutte le istituzioni.
In particolare è importante per le Regioni venir portate tempestivamente a conoscenza dell'ammontare dei fondi assegnati alle Regioni e del loro riparto, questo sia per esigenze statutarie - come nel caso della Regione Piemonte tenuta a predisporre il proprio bilancio entro il 31 agosto - sia più in generale per poter impostare con sufficiente respiro tutta la politica di bilancio a livello regionale.
Anche i rapporti con il Governo debbono quindi assumere maggiore ampiezza e continuità, ed in questa prospettiva occorre che l'Esecutivo conferisca certezza ed uniformità alla responsabilità dei rapporti con le Regioni.
b) Il fondo comune, istituito con l'art. 8 della legge finanziaria viene mostrandosi palesemente sempre più inadeguato a consentire di far fronte alle spese che sono state trasferite alle Regioni e ciò può essere affermato con tranquillità dopo la formulazione dei primi due bilanci.
Non esiste cioè un rapporto di congruità tra gli oneri derivanti dalle competenze regionali, ed il finanziamento che per esse è stato predisposto come non esiste un rapporto di equivalenza tra le spese che in queste materie effettuava lo Stato e quelle che possono esercitare le Regioni.
Si pone quindi l'esigenza di un consistente incremento del fondo comune, che dovrebbe salire almeno a 700-800 miliardi con un aumento dell'ordine del 30-35 per cento, per riassorbire gli aumenti di costo del personale e lo slittamento della moneta che si è accentuato in questi ultimi mesi.
Oltre all'aumento del fondo comune è importante, per dare più adeguate dimensioni alla finanza regionale, rivedere il limite del 20 per cento che attualmente regola la capacità di indebitamento e che comprime la spesa regionale a livelli inferiori a quella dei grandi comuni.
Tale misura, unita ad un'attenta e concordata revisione della legge finanziaria regionale - che valga a puntuallizzare la necessità di una maggiore elasticità impositiva nel campo dei tributi propri - potrà dare più ampio respiro all'autonomia finanziaria delle Regioni.
L'effetto congiunto delle misure proposte è rilevante anche sul piano più propriamente economico, per gli investimenti che si possono attivare.
Vi è infine un problema di revisione dei parametri utilizzati per il riparto del fondo, dato che le spese correnti sono per certa misura indipendenti dalle dimensioni delle varie Regioni: siamo quindi favorevoli ad una revisione che assicuri ad ogni Regione la copertura di questa parte di spesa, ma riteniamo pure necessario che i criteri di riparto, una volta modificati, rimangano poi costanti nel tempo e nelle varie occasioni.
c) Anche per il fondo di sviluppo, di cui all'art. 9 della legge n.
281, si pone anzitutto l'esigenza di un notevole incremento. Un primo passo in questa direzione è stato fatto quest'anno, passando da 20 a 140 miliardi, ma riteniamo che esso debba essere portato a non meno di 1.000 miliardi, come già le Regioni hanno richiesto lo scorso anno, importo che sostanzialmente rispondeva all'ammontare dei residui di stanziamento esistenti al 31 dicembre 1971 nelle materie trasferite alle Regioni.
Quanto alle esigenze delle Regioni, può essere utile considerare il caso del Piemonte, ove è stata avanzata in sede di studi per la programmazione la previsione per il prossimo quinquennio di un fabbisogno finanziario per investimenti sociali dell'ordine di 975 miliardi; solo 250 di questi possono essere effettuati dai Comuni e dalle Province: l'intervento dello Stato (o di enti statali) e della Regione dovrebbe assicurare quindi la realizzazione di investimenti per oltre 700 miliardi.
Ipotizzando che il fondo di sviluppo salga intorno ai 1.000 miliardi e che vengano mantenuti i parametri utilizzati nel 1973 per la sua ripartizione nell'arco del quinquennio la Regione Piemonte verrebbe a disporre per i suoi piani di sviluppo di circa 250 miliardi, una cifra appena sufficiente ad assicurare un attivo intervento della Regione nel settore degli investimenti sociali.
Oltre a questo problema di espansione - che, come si è detto, pu trovare soluzione con il trasferimento dei residui passivi non impegnati si pone l'esigenza che lo Stato mantenga l'impegno di determinare preventivamente su base quinquennale l'ammontare del fondo stesso e parimenti si individui un criterio di riparto che non venga modificato di anno in anno ma abbia anche esso una costanza pluriennale. Occorre infatti garantire alle Regioni la possibilità di formulare con sufficiente attendibilità le previsioni finanziarie che debbono sostenere la politica di programmazione regionale.
Mentre si richiede questo duplice impegno allo Stato, la Regione Piemonte, che ha in fase di avanzata elaborazione il suo piano di sviluppo intende predisporre adeguati progetti di fattibilità che consentano alle maggiori entrate di tradursi in effettivi flussi di spesa.
d) Quanto ai contributi speciali di cui all'art. 12, si chiede ne venga anzitutto precisata la natura, che è attualmente oggetto di diverse interpretazioni. A nostro avviso si tratta di stanziamenti a carattere straordinario, legati a specifici obiettivi di programmazione nazionale; ci sembra quindi che questi contributi debbano secondo l'ipotesi già avanzata dalla Commissione Consultiva Interregionale e dagli stessi uffici della programmazione confluire nel fondo per lo sviluppo, pur mantenendo l'autonoma e specifica destinazione che per essi è stata individuata.
e) Già si è detto come non esista una congrua corrispondenza tra le funzioni trasferite alle Regioni con i decreti delegati ed i fondi ad esse attribuiti.
Più in generale è opportuno sollevare il problema di una revisione dei decreti delegati, revisione che deve tendere ad una migliore distribuzione delle funzioni, evitando sovrapposizioni ed ingiustificate restrizioni degli ambiti di competenza regionale e che deve quindi portare ad assegnare alle Regioni l'esercizio di tutta la spesa nelle materie loro trasferite.
f) Per i fondi speciali aggiuntivi gestiti da singoli Ministeri o dal CIPE, si deve anzitutto sottolineare come questi stanziamenti si pongano al di fuori della legge finanziaria venendo sostanzialmente a ridurre le Regioni a meri centri di erogazione della spesa statale.
Anche questi stanziamenti debbono quindi essere ricondotti al fondo di sviluppo, assicurando alle Regioni la possibilità di esplicare le proprie autonome scelte, nel quadro di quel coordinamento che deve venire dalla politica di programmazione nazionale.
La Regione Piemonte ritiene infine doveroso, adempiendo il proprio compito di rappresentanza di tutta la comunità regionale, cogliere questa occasione per richiamare l'attenzione degli organi parlamentari sul grave stato della finanza locale, dei Comuni e delle Province.
Oltre all'oggettiva importanza che ha di per sé, questo tema acquista ulteriore rilevanza nella prospettiva dell'affidamento delle deleghe della Regione agli enti locali, come modalità di esercizio dell'attività regionale espressamente prevista dalla Costituzione.
Anche ai fini di un corretto funzionamento del sistema delle deleghe diviene quindi ancora più urgente il risanamento della finanza locale e l'individuazione di un nuovo meccanismo di finanziamento dei Comuni e della Province, per ristabilire quella corrispondenza tra funzioni da esercitare e capacità di spesa, che da tempo è venuta meno e che costituisce una condizione necessaria per il pieno esplicarsi delle autonomie locali.
La Regione Piemonte ritiene infine doveroso in questa sede, sollecitare l'immediata erogazione dei fondi stanziati per il triennio 1970/'73, dalla legge 865 sulla casa, segnalando inoltre l'urgenza del finanziamento adeguato ai bisogni reali, per gli anni successivi".
Riteniamo così di avere sintetizzato gli aspetti principali del problema, senza avere ampliato inutilmente cose che potevano sfuggire anche se ugualmente importanti, all'attenzione della Commissione bilancio e programmazione del Senato. Noi riteniamo quindi che l'Assessore, andando con questa conferma da parte della Commissione e resa solenne con la comunicazione al Consiglio Regionale, possa svolgere con maggiore forza e impegno il compito che gli viene richiesto dall'alto, ma assegnato da tutti noi.



PRESIDENTE

Sulle comunicazioni del Presidente nessun altro chiede di parlare? Nessuno.
Vorrei pregare il Consiglio di prendere atto che nel verbale che abbiamo testè approvato, mentre è correttamente indicato a pag. 8 il complesso delle materie che spettano alla VII Commissione "problemi economici del settore industriale, artigianale e terziario", a pag. 10 quando viene riordinata la materia, per un errore di battitura si dice soltanto "problemi economici del settore terziario" ed è pertanto saltata l'espressione "industriale, artigianale". Si intende il verbale integrato da questa frase.


Argomento: Università

Continuazione dibattito su informazione circa stato dei lavori dell'intercommissione per l'Università


PRESIDENTE

L'ordine del giorno al punto, quarto reca "Continuazione del dibattito su 'Informazione dello stato dei lavori dell'intercommissione per l'Università e proposte operative' ".
Intendo informare l'assemblea che ci eravamo impegnati di portare la discussione, in questa seduta, esclusivamente questo argomento per vedere di giungere ad una conclusione; ove questa conclusione non fosse raggiunta nella seduta di oggi, si intende che il dibattito riprende nelle altre due nostre riunione del 24 e 25 maggio, per arrivare ad esaurimento e che poi si passerà ai punti quinto, sesto, ecc. dell'ordine del giorno.
Vorrei, a questo proposito fare ancora due precisazioni: la prima è che pertanto la comunicazione al Consiglio di eventuali interrogazioni e interpellanze, sarà fatta al termine della seduta ultima del 25 maggio, e che sul problema specifico stamattina alcuni degli studenti del Politecnico hanno fatto presente l'urgente problema relativo ai convitti universitari che si teme possano essere chiusi, creando dei gravi problemi per il mondo studentesco. La questione rientra evidentemente nell'inquadratura generale.
(per quanto argomento specifico del momento) dell'impostazione del dibattito che portiamo innanzi. Colgo l'occasione per risottolineare questo aspetto che, mi è stato detto, era stato prospettato già direttamente all'Assessore competente perché ne tenga conto, e alla III Commissione che il tema deve esaminare e dibattere.
Chi chiede di parlare? Io avrei al momento iscritti: Besate, Gerini, Rossotto e Simonelli.
Il Consigliere Gerini chiederebbe alla cortesia del Consigliere Besate di poter parlare prima. Lei ha un suo diritto, se mi dice di volerlo esercitare io glielo faccio esercitare.



BESATE Piero

Se si tratta di una comunicazione sono d'accordo, se invece vuole fare un intervento, se il Consigliere non ha l'inderogabile urgenza di doversi assentare, non sono d'accordo.



GERINI Armando

Non è un intervento mio, io vorrei leggere una comunicazione.
Volevo dire al Consigliere Besate che avendo io partecipato ad una riunione alla Provincia Alessandria (dove sono Consigliere), in qualità di Consigliere regionale vorrei leggere ora una dichiarazione formulata alla fine della seduta, affinché egli, quale Presidente dell'Intercommissione possa recepirla e metterla agli atti.
Venerdì scorso, 18 maggio, l'Amministrazione Provinciale di Alessandria, di concerto col Comune di quella città promosse un secondo convegno sull'Università, incaricandomi di comunicare quanto ebbe a scaturire da quel convegno ed invitando l'Intercommissione a tenere presente quanto segue: "La ristrutturazione dell'ateneo torinese non dovrebbe generare un secondo ateneo nell'area metropolitana torinese, ma coinvolgere in un discorso globale tutta la Regione. La ristrutturazione dovrebbe quindi attuarsi attraverso la creazione di due nuove sedi universitarie nelle aree Novara-Vercelli ed Asti-Alessandria, però in modo completo, cioè a base dipartimentale." Secondo il convegno alessandrino andrebbero bloccate nuove operazioni di dispersione di spezzoni universitari attraverso il decentramento di corsi isolati. Si è però (come si dice ancora nel documento) affermato che occorre andare oltre alle affermazioni di principio e giungere presto a delle scelte concrete, articolate in termini territoriali e temporali che consentano di formulare una proposta di legge nazionale da parte della Regione al Parlamento, riguardante le nuove Università in Piemonte.
Preliminare a tutto, appare quindi il varo di un piano per l'Università in Piemonte che dovrà scaturire dal dialogo Regione-Università, da studi e approfondimenti avviati dall'Intercommissione del Consiglio Regionale e dall'Ires e dalla consultazione degli enti locali piemontesi. Ringrazio.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Besate



BESATE Piero

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la ripresa del dibattito sull'Università dopo la pausa tra la precedente seduta con la distribuzione e lettura della relazione e questa seduta, avviene nelle migliori condizioni per la valutazione delle proposte che l'Intercommissione all'unanimità (tengo a sottolinearlo) ha presentato al Consiglio per mezzo della relazione del collega Conti.
A questo proposito apro una brevissima parentesi. Voi colleghi ricorderete che il Consigliere Conti, nel leggere ed illustrare la relazione nella seduta del 10 maggio, aveva informato che era stata elaborata sulla base dei lavori dell'Intercommissione, degli accordi e degli orientamenti, ma non aveva potuto ancora essere formalmente approvata dall'Intercommissione stessa.
In data 18 maggio l'Intercommissione si è riunita nuovamente allo scopo di esaminare, anche dal punto di vista formale, tutte le integrazioni, le correzioni che il collega Conti ha apportato con la sua relazione.
Devo comunicare che l'Intercommissione ha anche formalmente, e all'unanimità, approvato il testo che è stato poi distribuito in data 17 maggio durante la seduta del Consiglio e spedito a domicilio ai Consiglieri che non erano presenti.
La situazione ideale sarebbe stata quella di raccogliere, esaminare analizzare, valutare, elaborare tutti gli elementi validi per la formulazione di un disegno globale di decentramento e di ristrutturazione nel senso indicato dall'ordine del giorno del 12 ottobre 1972, il che per avrebbe richiesto obbligatoriamente che tutti i termini restassero congelati e che gli studenti di cui abbiamo sentito testè una comunicazione, non avessero problemi urgenti, ma qui tutto è urgente perch ogni termine del problema influisce sugli altri.
Tali situazioni possono essere simulate in laboratorio per altri tipi di ricerca, ma non per la realtà sociale e politica, né tanto meno per i problemi dell'Università che si sono accavallati in tutti questi anni. La realtà sociale e politica è una cosa viva, dinamica, e noi intendiamo lavorare.
Nel corso delle ricerche e degli studi l'Intercommissione si è imbattuta in alcuni problemi urgenti la cui soluzione non può attendere le conclusioni delle ricerche e la formulazione generale del piano di ristrutturazione e di programmazione universitaria, essa può essere trovata soltanto sul piano politico, sul piano dialettico e non su quello della logica formale la quale richiederebbe che tutto rimanesse fermo, che si approfondisse lo studio e si presentasse comodamente e definitivamente l'intero progetto.
I problemi sono: trasferimento di agraria e veterinaria; trasformazione del centro per l'elaborazione elettronica delle informazioni e i connessi problemi della sua caratterizzazione in rapporto all'attività programmatoria generale e settoriale della Regione, dei suoi enti istituendi, degli enti locali, delle nuove Università e della riqualificazione universitaria in generale; ristrutturazione dell'Università di Torino e natura della ristrutturazione; possibile avvio del processo di ristrutturazione, in rapporto al trasferimento fuori Torino di agraria e veterinaria e utilizzo dell'area di 10.500 mq. adiacenti a Via Verdi; caratterizzazione dipartimentale di agraria e veterinaria ed effetti ipotizzabili e reali della caratterizzazione dipartimentale, peraltro auspicata e necessaria; rapporto ed effetti di tutti questi elementi sul decentramento (come si usa chiamarlo impropriamente) cioè effetti funzionali finalizzati ad escludere, anche involontariamente, almeno nell'immediato, senza dichiararlo naturalmente, il decentramento che abbiamo individuato non in semplici localizzazioni, ma in un sistema rapportato ai termini dell'interregionalità funzionale degli insediamenti universitari e sempre e comunque prioritario ad ogni e qualsiasi considerazione di una seconda Università di Torino, dichiarata o mascherata, voluta o subita per effetto di agglomerazioni indotte come di una reazione a catena per insediamenti nuovi di ristrutturazione o di trasferimenti. Non si tratta di fantasticheria, ma di possibilità reali anche al di là della buona fede di tutti i protagonisti.
E infine il rapporto tra ciascuno di questi elementi ed il loro insieme, con il piano regionale di sviluppo.
Fin dalla sua prima riunione l'Intercommissione aveva convenuto sulla necessità e sull'obbligo di riferire al Consiglio nel caso in cui, nel corso dei lavori, ci si fosse imbattuti in problemi temporalmente non rinviabili, e rilevanti rispetto alle determinazioni generali o comunque implicanti valutazioni di interesse programmatorio proprie della Regione.
Ed è esattamente quanto è avvenuto.
Gli elementi di valutazione per procedere oltre sono definiti con chiarezza nella relazione, - non li ripeto e non li richiamo. Ho già detto che una relazione unitaria, ma se questo termine politico vi disturba, dir che è una relazione approvata all'unanimità dall'Intercommissione formalmente.
Noi comunisti, per quanto ci riguarda, l'abbiamo approvata e possiamo dire di non essere stati secondi ad altri nel non facile compito di essere presenti in ogni momento della vicenda. Siamo anche soddisfatti che a contribuire siano stati tutti i gruppi dell'arco, democratico compresi i liberali i quali, devo dare atto (anche per quanto hanno scritto in un loro organo cittadino o regionale che sia) hanno difeso la funzione della Regione sulla questione dell'Università; i socialdemocratici, di cui Benzi è parte interessata facendo parte dell'organo amministrativo dell'Università; i D.C. il cui relatore è Conti; i socialisti, sempre presenti nell'Itercommissione e partecipanti ad ogni riunione.Non faccio questa elencazione per dire che tutti sono bravi, il contributo politico penso che non si debba misurare a peso, ma soprattutto in funzione della situazione politica che si crea quando una relazione e un provvedimento vengono proposte in aula.
L'Ufficio di Presidenza (mi spiace che non sia presente il Presidente Oberto, ma è sostituito degnamente dal Vicepresidente Fassino è stato sensibile per quanto concerne la decisione sull'Ires e sugli esperti decisioni però che ora devono essere rapidamente attuate. Prego l'Ufficio di Presidenza di prenderne nota anche per quanto concerne l'inserzione dell'argomento all'ordine del giorno del Consiglio. Pensate che cosa sarebbe avvenuto in Piemonte se alla notizia della deliberazione dei Consiglio d'Amministrazione dell'Università di agraria e veterinaria, non fosse coincisa la decisione di porre all'attenzione del Consiglio la relazione dell'Intercommissione; quante congetture! Infine è da sottolineare l'importante funzione svolta dal Presidente della Giunta, di cui la relazione dà ampia notizia a pag. 31 e che ha permesso di concretizzare il compito della Regione in ordine al trasferimento di agraria e veterinaria in rapporto a quella correttissima deliberazione del Consiglio d'Amministrazione dell'Università che è stata allegata alla relazione di cui tutti i Consiglieri sono in possesso e che possono valutare in tutta la sua portata, anche politica.
Mi pare che ora occorra esaminare brevemente la delibera del Consiglio d'Amministrazione affinché non sussistano dette confusioni circa la sua interpretazione per quanto concerne la funzione della Regione.
Questa deliberazione, a seguito dei rapporti stabiliti sulla questione del trasferimento di agraria e veterinaria e più in generale sull'Università, parla di parere (notate il termine) dei competenti organi della Regione; ed è giusto, perché l'Università non può dire se deve essere il Consiglio, il Presidente, la Giunta, l'Intercommissione, il competente organo. Il documento è stato inviato al Presidente della Regione, oltre naturalmente all'Intercommissione che è organo interno al Consiglio.
Il termine "parere" è evidentemente improprio in questo caso istituzionalmente la Regione non ha, a termini dell'attuale legislazione poteri efficaci sulle questioni universitarie, tranne le approvazioni dei piani regolatori generali dei Comuni e del piano territoriale che è ancora da formare e di cui naturalmente questa vicenda ne sottolinea tutta l'urgenza.
La Regione però ha funzioni programmatorie politiche decisive ed è in questo senso che va inteso quanto nella delibera dell'Università viene impropriamente chiamato "parere", cioè una ricerca e una valutazione politico-programmatoria della Regione sul trasferimento di agraria e veterinaria fuori dell'area urbana di Torino. Parlo del trasferimento in generale sul quale non ci sono dubbi o divergenze, senza riferimento preciso ad una località, non parlo del trasferimento a Santena che invece è sottoposto a valutazione della Regione perché non è questa la sede in cui si possa, con serietà, esprimere un giudizio, è una valutazione che deve essere fatta acquisendo tutti gli elementi, così come sono stati espressi nella relazione.
L'atto dell'Università però richiede un'appropriata risposta che non si può dilazionare nel tempo.
Non riprendo quindi l'elencazione di tutti i fattori che entrano in gioco in questo specifico caso, mi limito a sottolinearne alcuni approfondendoli; prima di tutto quelli relativi alle strutture residenziali per gli studenti (si tratta del Politecnico, ma non solo di questo) e ai trasporti, per evitare che il trasferimento si traduca in un coefficiente di selezione antisociale, vale a dire che consente la frequenza soltanto a chi è provvisto di automobile e possa permettersi il lusso di fare 150/200 Km, al giorno per andare e venire, oppure che possa permettersi la permanenza a proprie spese presso pensionati privati (a proprie spese perché il collegio universitario, lo sappiamo tutti, ha 750 posti mentre gli studenti sono 40.000). Questo è uno dei punti molto importanti.
Il secondo, pure molto rilevante, è che le due Facoltà considerate a s non entrano nel gioco del decentramento, ma resteranno uniche per il futuro sistema universitario piemontese. Si tratta di Facoltà che hanno 500/600 studenti iscritti e quindi non è ipotizzabile scinderle per farne due di 250/300 studenti, soprattutto per la qualità dello studio, della ricerca della formazione oltre ai costi; un'Università deve produrre personale qualificato, quindi si tratta di due Facoltà che non entreranno nel gioco del decentramento, non saranno sdoppiate.
Da sottolineare poi la parte della deliberazione in cui si afferma che il trasferimento concerne le sole Facoltà di agraria e veterinaria. Se Santena andrà bene o no sarà valutato secondo i parametri menzionati e in rapporto alle alternative, se ne esistono, purché attuabili e offrano anche per le procedure e i tempi di acquisizione, requisiti di praticità e convenienza, non solo amministrativamente considerata.
Questo è il compito al quale ci si deve accingere. Il tempo, dicevo non può e non deve essere troppo lungo, penso che non si debba andare oltre luglio per definire la questione.
Circa il Centro di trattamento automatico dell'informazione, mi rimetto alla relazione. Non si tratta tanto di avere una macchina o un sistema di macchine super-ragioniere, che potrebbero esistere anche presso altri enti oltre l'Università, ai quali affidare al minor costo le committenze, quanto di indipendenza e autonomia operativa sì, ma soprattutto di indipendenza e autonomia politiche anche per quanto riguarda la caratterizzazione del Centro, in funzione della politica programmatoria e del personale oltre agli effetti sul sistema universitario al quale la Regione non può e non deve essere indifferente. Il personale non deve essere soltanto quello tecnico specializzato, ma deve essere soprattutto quello che soltanto una grande istituzione culturale e scientifica come l'Università può assicurare per le esigenze di rigorosità scientifica, di capacità formativa permanente, di rapporti, di interdisciplinarietà, di confluenza delle scienze, di elaborazione, di culture universitarie programmatorie specifiche dalle scienze economiche alle scienze matematiche, alle scienze che fanno capo a medicina e chirurgia, alle scienze pedagogiche che entrano nel gioco complessivo e quindi per l'esigenza della specificità ai fini della cultura e delle politiche di programmazione, di elaborazione e di verifica dei modelli di programmazione in ordine alla loro applicazione alla correzione e allo sviluppo dell'attività programmatoria generale e settoriale nei vari campi.
Si tratta di operare un approfondimento immediato, ma sufficientemente preciso, che assuma appunto l'Università come interlocutore privilegiato per tutti questi motivi e per l'individuazione di forme giuridico amministrative che coinvolgono l'Università e la Regione. Certo non sarà l'Intercommissione a decidere, sarà il Consiglio sentita la Giunta; si tratta di materia programmatoria importante e Intercommissione dovrà portare a termine tutto questo lavoro in modo da dare la possibilità agli organi della Regione e ai singoli di operare una valutazione soprattutto in rapporto al 1975, quando entrerà in funzione il nuovo schema di trattamento automatico dell'informazione.
Non c è dubbio che il Consiglio si rende conto che qui si gioca una delle carte decisive per il Piemonte, per il suo sistema formativo, per l'intero sistema dei servizi, per il suo ruolo nazionale ed internazionale.
I problemi sono incalzanti per la carenza di una valida riforma democratica dell'Università, ma anche per l'inerzia, l'abbandono, l'inefficienza in cui sono stati fino ad oggi lasciati i problemi universitari. Si può ben dire che la somma e la natura di questi problemi sono tali da costituire una vera e propria polveriera di incalcolabili proporzioni. Torino è una città operaia, democratica, ma certe questioni che continuano a rimanere insolute (dal rilascio di un documento per l'abbonamento ferroviario ai problemi della didattica e della ricerca) possono renderla vulnerabile alle avventure.
I presidi delle Facoltà hanno sottolineato il grande impegno degli studenti, contrariamente a quanto vanno dicendo certi frettolosi disattenti e forse interessati commentatori sul disimpegno degli studenti che vogliono la laurea facile. I presili di Facoltà, riuniti ufficialmente in Senato accademico dove le cose vengono verbalizzate, citano cifre di frequenza al 75/80/85 per cento degli studenti e dei lavoratori-studenti tanto è vero che si sono resi necessari e sono agibili nell'Università di Torino corsi pomeridiani e serali con frequenze elevate e con altissimo profitto.
Sarebbe oltremodo colpevole frustrare questo impegno e questa coscienza di studenti, lavoratori-studenti e di quei docenti (e sono una parte non indifferente) che si sobbarcano anche l'onere fisico oltre che culturale di dare una risposta concreta, valida a questa domanda, pur nelle condizioni precarie in cui vive l'Università.
La prospettiva di un lavoro concreto ed efficace tra Università Regioni, enti locali e altre competenti, può agire beneficamente anche in tempi normali, ma in questa precaria situazione dell'Università a Torino e in Piemonte non si può e non si deve sperperare un minuto di tempo, nè la minima opportunità di lavoro, perciò come coordinatore, ma anche a nome del Gruppo comunista, raccomando l'approvazione e l'adozione immediata, già in questa seduta, di quanto indicato nella relazione.
Il collega Gerini ha voluto leggerci quel documento, che del resto gli enti locali di Alessandria hanno provveduto a far giungere all'Intercommissione. Non èe l'unico, ce ne sono degli altri. Io ho anche un documento del Comune di Novara mandato al Presidente del Consiglio Regionale il quale ha provveduto naturalmente a trasmetterlo all'Intercommissione e direi che sono sulla stessa strada.
Vorrei farvi presente che ci sono Comuni piccoli che hanno approvato e sono tanti ormai; non abbiamo ritenuto di dover appesantire la cartella dei Consiglieri con la copia di tutti gli ordini del giorno e i documenti che abbiamo ricevuto, a partire dal Comune di Torino fino ai più piccoli Comuni sperduti del Piemonte, che non avranno mai l'Università. Abbiamo però visto il loro interesse, la loro sensibilità su questo argomento.
Quando abbiamo affrontato il problema dell'Università nell'ottobre '72 l'abbiamo fatto, diciamolo chiaramente, anche sotto la spinta campanilistica che ci veniva da parte dei Comuni per ottenere dei corsi di laurea e per un certo "laisser fair" da parte degli organi dei due atenei ad andare verso la disseminazione di corsi non ben definiti dequalificanti. L'intervento della Regione con quell'ordine del giorno e gli ulteriori incontri con gli enti locali hanno definito una posizione unitaria tra la Regione e gli enti locali ed i documenti pervenuti stanno a dimostrarlo. Dal documento generale di Alessandria e di tutti gli enti locali si sta passando ai documenti particolari di ogni Consiglio Comunale e Provinciale.
Ci resta ancora molto da fare: rapporti con i sindacati, i rappresentanti dei lavoratori, gli studenti, le organizzazioni giovanili politiche dei partiti, centri culturali, i rappresentanti degli imprenditori (che pure sono interessati al problema) cioè con tutte le componenti della società piemontese, ma non soltanto in termini di consultazione e di confronto, bensì di partecipazione e di contributo Quindi la conclusione di questa prima battaglia, di questo primo dibattito sui lavori dell'Intercommissione e le determinazioni così come indicate nella relazione sono estremamente importanti per poter continuare su questa strada.
In politica quello che conta in fatto di metodo e di impostazioni sono i risultati; l'affermazione è un po' cruda se vogliamo, ma credo che il Consiglio possa essere lieto di avere dato nell'ottobre scorso un'impostazione generale giusta al problema che ora occorre verificare integrare e definire meglio.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FASSINO



PRESIDENTE

E iscritto a parlare il Consigliere Rossotto. Ne ha facoltà.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il lavoro dell'Intercommissione ha posto in rilievo un fatto molto importante: che cioè, all'attività che la Regione, la Commissione nell'interesse del Consiglio Regionale, stava svolgendo - per quanto le nostre competenze istituzionali in questa materia si limitino all'aspetto urbanistico di autorizzazione o divieto a nuovi insediamenti, a nuove localizzazioni - ha corrisposto una piena disponibilità da parte dell'Università a trattare, a discutere i problemi del suo futuro con gli organi regionali. Un fatto politico, questo, di estrema rilevanza, un fatto che denota come la Regione acquisti credibilità quando agisce con prontezza, con oculata scelta delle priorità in rapporto ai problemi che vengono posti dallo sviluppo della Regione Piemonte e dai problemi che questo sviluppo richiedono. Ciò deve determinare da parte di tutti noi un impegno a che questa attenzione e questa considerazione che viene riservata alla nostra funzione di amministratori non debbano indurci a compromettere, proprio per un eccessivo accademismo, il rapporto di credibilità.
L'Intercommissione si è resa conto dei problemi veramente drammatici che assillano il nostro Ateneo di Torino sotto l'aspetto dell'aumento fortissimo delle frequenze e che possono evidentemente portare alla paralisi delle sue possibilità di attività e nel senso di formazione e nel senso di ricerca scientifica, ed ha ritenuto di impostare una visione del problema del decentramento dell'Università sotto due diversi aspetti ben delineati: esplicare un intervento nel tessuto urbano cittadino, sotto forma delle nuove localizzazioni che l'Università può permettere, con il duplice scopo di collaborare ad una riqualificazione dei centro storico cittadino sotto l'aspetto culturale e nello stesso tempo di permettere alle strutture universitarie esistenti di sfruttare appieno le loro possibilità di funzionamento; non prendere in considerazione la realizzazione di una seconda Università nell'area metropolitana torinese se non dopo aver affrontato i problemi di decentramento nel più ampio tessuto regionale.
E' indubbio che i problemi di insediamento universitario si ricollegano direttamente a quella che più volte noi abbiamo indicato come una prerogativa fondamentale della Regione, una prerogativa, direi, che il nostro organismo, nella sua novità di impostazione di ente politico amministrativo, deve esercitare, e che costituisce una novità anch'essa anche se se ne parla da oltre quindici anni, quella di svolgere una politica di pianificazione, di programmazione di insediamenti: occorre che si sappia esattamente cosa si vuol dire attraverso questi insediamenti. Gli insediamenti non vogliono dire soltanto altre aule, nuovi istituti, ma dinamica di flussi, fatiche tecniche e psichiche da parte di coloro che dovranno recarsi in questi luoghi. Vi è quindi necessità di razionalizzazione del problema, e necessità, proprio per l'interdipendenza fra tutti questi vari problemi, dell'assunzione da parte dell'ente regionale, nella sua funzione prima di programmatore, del coordinamento dell'attività.
Nell'ambito del nostro Piemonte, è risaputo, l'ipotesi ventilata di un decentramento in campo universitario ha già determinato sollecitazioni e pressioni a non finire: Alessandria, Novara, Vercelli, Cuneo, Mondovì sono i centri in cui si è immediatamente polarizzata la richiesta di insediamento, collegata a tradizioni storiche oppure sostenuta sulla base di quella particolare dinamica di rapporti sociali e culturali che queste zone possono evidenziare. Tutto questo comporta una determinata scelta proprio per la credibilità della nostra funzione di indirizzo programmatorio, e quindi una serena presa di conoscenza, un maggior approfondimento dei problemi.
Ma, mentre questa funzione veniva portata avanti da parte dell'Intercommissione, si sono evidenziati (e per questo motivo l'Intercommissione ha ritenuto di reinvestire l'organo dal quale aveva tratto tutta la sua forza di indagine conoscitiva) due fatti di estrema importanza, che attraverso la conoscenza del problema possono essere ridimensionati e possono dare quella serenità di cui parlava in precedenza il Presidente dell'Intercommissione nel suo intervento, proprio per evitare che sui "si dice" o su interpretazioni arbitrarie possano incentrarsi inutili commenti, o, peggio ancora, precostituirsi dei diritti che nessuno intendeva riconoscere.
Qui si parla dell'insediamento di Santena. Indubbiamente, collocare in Santena il centro della seconda Università torinese insediata nell'area metropolitana vorrebbe dire, oggi, con le attuali strutture e possibilità di collegamento sia con il resto del tessuto regionale sia con lo stesso tessuto metropolitano storico della città di Torino, aprire le porte ad una di quelle situazioni di congestione che tante volte abbiamo segnato a dito come frutto di un'ottica speculativa dell'interesse privato, usato in funzione di un'attività che marcia per conto suo da parte di organi pubblici. Il far sorgere una seconda Università a Santena vorrebbe dire ripetere l'errore che fu compiuto dalla grande industria quando si insedi a Rivalta, in quello stabilimento di cui abbiamo riconosciuto e riconosciamo tutte le deficienze dal punto di vista sociale e di degrado culturale per l'area metropolitana, vorrebbe dire trovarsi a dover affrontare problemi di insediamento, rivedere tutti i problemi di una politica dei trasporti sull'asse di Santena, in altre parole farci prendere a rimorchio da altri in fatto di programmazione regionale.
Nell'affrontare questo problema con questa grossa preoccupazione, ci si è però presto resi conto chiaramente che il fenomeno era circoscritto ad uno scopo molto più funzionale da parte dell'Università, e in tali limiti diventava maggiormente comprensibile: si trattava del trasferimento unicamente delle Facoltà di Agraria e Veterinaria. Già il fatto che la Facoltà di Veterinaria abbia ancor oggi, in piena città, in via Nizza, le stalle in cui si deve preparare una nuova generazione di operatori sanitari per quel settore primario al quale la Regione attribuisce tanta importanza (per ora a parole, domani, c'è da augurarsi, anche con i fatti), il mondo dell'agricoltura è di per se stesso enorme, fa indubbiamente comprendere con quanta preoccupazione il Senato accademico si sia mosso su questo terreno. E va anche riconosciuta in questa sede l'estrema apertura dimostrata dal Senato accademico, che per consentire all'Intercommissione di esprimere un sereno giudizio politico ha sospeso nell'attesa ogni ulteriore attività. Sereno giudizio politico che proprio in considerazione della drammaticità dei fatti non può trascinarsi ma dev'essere concretamente portato avanti, valutando, quelli che possono essere anche degli aspetti alternativi, ma concretamente, proprio per la gravità della disfunzione che l'Università presenta nelle due Facoltà di Agraria e di Veterinaria.
Diceva il Presidente dell'Intercommissione, giustamente, che per Agraria e Veterinaria il problema si pone con una sua particolare dimensione, proprio perché sarà l'unica facoltà di questa disciplina in tutta la Regione Piemonte. Questa unicità deriva - come risultato nei contatti che l'Intercommissione ha avuto con le componenti del mondo universitario e le altre forze vive collegate al mondo universitario nel settore dell'Agraria e Veterinaria - proprio dalla necessità di avere numerosi istituti di specializzazione o corsi di laurea successivi, che possono dare una più ampia possibilità di conoscenze ai docenti nel campo della sperimentazione e della ricerca scientifica e ai discenti per la loro preparazione specifica. Vanno ricordati i tentativi di realizzare corsi di specializzazione forestale, un campo eccezionalmente importante, come rileviamo quando affrontiamo i problemi del piano di sviluppo regionale per il riassetto non soltanto idrogeologico ma economico di tutta la fascia prealpina, zona in totale abbandono, o i problemi delle zone enologiche dell'Albese o i problemi delle culture idriche nella bassa vercellese.
Su questo particolare problema, pertanto, proprio per la possibilità e la necessità di questa Facoltà di innervarsi in altri laboratori che abbiano collocazione in sedi diverse del tessuto regionale, la creazione a Santena di una determinata localizzazione di un unico centro della Facoltà di Veterinaria e Agraria, è logica e comprensibile.
Altro problema veramente di estrema importanza per i risvolti futuri che è stato posto in rilievo da parte delle componenti del mondo universitario, è il Centro di trattamento automatico dell'informazione.
Indubbiamente, noi ci rendiamo conto ogni giorno, nelle discussioni con i rappresentanti delle singole zone ecologiche del Piemonte circa i riflessi i risvolti del piano di sviluppo regionale, della necessità di dover preparare le nostre stesse menti alla funzione di programmatori. Ricordo che il prof. Golzio, parlando di statistica, diceva che la statistica è qualcosa che può permettere la dimostrazione di ogni cosa, perché è sufficiente alterare di qualche variabile fissa i dati fondamentali per riuscire a dimostrare che l'inflazione non c'é e che la produzione è al massimo.
Ora, questo criterio, forse, in questo momento, tra i frutti totali purtroppo a volte negativi, di una mentalità prettamente umanistica e la necessità di incominciare ad essere padroni di un'informazione compiutamente analitica, per la quale l'uomo e i mezzi di cui esso dispone non sono più sufficienti, mentre esistono macchine idonee; quando nel contempo l'Università ha la necessità di formare e di preparare quegli operatori i quali saranno sempre maggiormente richiesti e dalle amministrazioni pubbliche e dagli enti privati nell'esercizio della loro attività (qui si parla un po' della scienza del futuribile), di avere quindi la possibilità già da oggi di operare con questi strumenti; quando vi è necessita da parte nostra, senza con ciò voler scavalcare l'Istituto di Ricerche economiche e sociali ma proprio per poter dare, a questo che è il nostro strumento capace di fornirci ampie conoscenze, ampi programmi una base scientificamente più certa di informazioni di quanto non siano le indagini-campione (anche se queste, attraverso l'estrapolazione, possono nel complesso procurare indicazioni abbastanza giuste); ha evidenziato l'importanza di informare il Consiglio della necessità di fare qualcosa in questo settore.
Gli operatori del mondo della scuola, cioè dell'Università, hanno posto in evidenza questa esigenza: è un problema che l'Università deve risolvere ma non può farlo con le sue sole forze, e che a noi può interessare aiutarla, con i mezzi di cui disponiamo, a risolvere, dando nel contempo soluzione e maggior fondatezza alla nostra azione di programmatori.
In questo senso il lavoro dell'Intercommissione, grazie all'indefessa attività di direzione del Presidente ed all'impegno certosino del relatore Conti e dei colleghi Revelli e Rivalta, ha indubbiamente evidenziato queste risultanze, da cui il Consiglio Regionale può a buon diritto trarre vanto proprio per la credibilità che hanno guadagnato all'istituto regionale da parte dell'Università di Torino, la quale, indipendentemente dalla non competenza istituzionale per alcuni di essi al di fuori della parte urbanistica, ha investito completamente l'Ente Regione di tutti questi problemi, una circostanza, questa, che indubbiamente deve rallegrarci, e confortarci e spronarci a proseguire.
L'Intercommissione ha ritenuto di stralciare questi due problemi e di portarli all'esame del Consiglio perché questo possa pronunciarsi in merito.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Simonelli. Ne ha facoltà.



SIMONELLI Claudio

Signor Presidente, colleghi, mi pare doveroso riconoscere, come già hanno fatto gli altri Consiglieri intervenuti, il risultato positivo del lavoro fin qui svolto dall'Intercommissione; risultato che è diligentemente documentato nella relazione lettaci dal relatore Conti e che io sintetizzerei in due punti essenziali: il riconoscimento della Regione come interlocutore politico dell'Università, e il rifiuto, chiaramente manifestato, di battere le strade tradizionali delle soluzioni sporadiche e casuali, dei decentramenti dei singoli corsi, quelle soluzioni che noi, con l'ordine del giorno votato nell'ottobre scorso, abbiamo respinto.
L'importanza di questi due punti sta nel fatto che la Regione diviene così immediatamente la protagonista, o uno dei protagonisti, della vicenda delle localizzazioni universitarie, prima ancora che un ruolo ed un potere preciso in questo senso le vengano attribuiti dalla riforma, attraverso la quale noi riteniamo debba essere assolutamente ribadito, potenziato sviluppato il ruolo della Regione, non solo per le competenze in materia urbanistica ma anche per quelle come supremo organo della programmazione.
E, in effetti, il progetto presentato dal Gruppo socialista con la dizione: "Provvedimenti preliminari per la riforma universitaria" prevede appunto in sede di provvedimenti preliminari, l'impegno per il Governo di approntare un disegno di legge per l'istituzione di nuove sedi universitarie e per l'edilizia universitaria, nel quale debba essere riservata alle Regioni la decisione circa le localizzazioni delle nuove sedi universitarie. Un'impostazione che mi sembra estremamente importante e del tutto condivisibile. Appezziamo vivamente, dunque, il fatto che già fin d'ora, seppure in questo modo, cioè attraverso un rapporto di tipo dialettico e collaborativo, ruolo della Regione sia riconosciuto.
Entrando nel merito delle decisioni dell'Intercommissione, quali ci vengono presentate per il dibattito odierno, e senza approfondire tutti gli aspetti della questione (dopo di me parlerà il collega Calsolaro, che fa parte dell'Intercommissione e che quindi affronterà globalmente gli aspetti della questione), osservo che sostanzialmente ci viene richiesto di dare parere favorevole rispetto a due intendimenti: l'insediamento a Santena delle Facoltà di Medicina veterinaria e di Agraria e l'accoglimento della proposta avanzata dall'Università che la Regione si assuma il carico della realizzazione di un Centro per il trattamento automatico dell'informazione.



CONTI Domenico

Per quanto concerne Santena, non è così.



SIMONELLI Claudio

Mi è parso di capire, se si guarda allo sbocco operativo delle prospettazioni, che la Commissione proponga di dare una valutazione di massima che consenta all'Università di portare avanti il progetto in seno agli altri organismi che devono ancora assumere decisioni; una valutazione insomma, che equivarrebbe da parte della Regione a mettere il disco verde al progetto universitario di localizzare a Santena Veterinaria ed Agraria.
Questi mi sembrano i due punti fondamentali del documento, che, per il resto, ribadisce posizioni già da noi assunte: in particolare, il "sì" al decentramento universitario e il "no" ai corsi staccati e ai raddoppi di facoltà, il "sì" alla ristrutturazione dell'Università e del Politecnico di Torino, il "no", per ora almeno, alla seconda Università nell'area metropolitana torinese.
Penso che si possa largamente concordare su questa impostazione, con alcune avvertenze, però, che vorrei brevemente precisare. Io credo che sia opportuno lo spostamento delle Facoltà di Agraria e di Veterinaria a Santena. In proposito, è inutile tergiversare: nel momento in cui ci poniamo come interlocutori dell'Università, e l'Università ci prospetta delle scelte precise e concrete; noi dobbiamo dire o sì o no; non possiamo rinunciare a svolgere la nostra funzione dopo che noi stessi abbiamo chiesto di esser chiamati ad esprimere un parere. Credo, d'altra parte, che questa scelta di Santena, limitatamente a Medicina veterinaria e ad Agraria, sia giustificata dalle condizioni difficili in cui si trovano, per locali e per condizioni ambientali, queste due Facoltà; senza contare che i locali che rimarranno liberi serviranno per ospitare altre strutture della Facoltà di Scienze. Però occorre evitare, usando ogni possibile cautela - e mi pare che in questo senso l'Intercommissione abbia già espresso modo fermo il suo parere - che Santena divenga la testa di ponte della seconda Università torinese, il che sconvolgerebbe tutta l'impostazione che è stata data ai lavori non solo dell'Intercommissione ma anche, direi, del piano regionale.
A questo punto, desidererei collocare nei suoi giusti termini, che a me, almeno, paiono tali, il rapporto tra ristrutturazione degli Atenei torinesi e decentramento, che sono due problemi in parte sovrapposti, in parte autonomi. Non si discute la necessità della ristrutturazione, ed è giusto che la ristrutturazione dell'Università e del Politecnico di Torino venga attuata attraverso una serie di interventi di razionalizzazione a breve ed anche a medio periodo, di cui certamente Santena rappresenta un esempio. Però, anche ristrutturando l'Università ed il Politecnico resteranno i problemi di affollamento degli Atenei torinesi. Per rendersene conto basta vedere i dati che sono stati riportati nella relazione Zandano al recente Convegno di Piemonte-Italia, sulla domanda effettiva e sulla domanda potenziale al 1980.
Il problema del decentramento nasce anche, certamente, dalla necessità di decongestionare gli Atenei torinesi; ma non ha solo, e direi neppure prevalentemente, questa motivazione. La necessità del decentramento, se è in gran parte originata dal carattere nuovo che ha assunto l'Università diventando università di massa, discende anche da una giusta valutazione che dev'essere fatta del rapporto Università-territorio, un rapporto che ormai non è più patrimonio solo della dottrina o dell'elaborazione di tecnici specializzati ma fatto riconosciuto a livello di indagini generali di carattere socio-economico. Per esempio, il rapporto CNEL-CENSIS ha stabilito una precisa relazione tra Università e territorio, indicando una prospettiva di università che non sia né quella tradizionale di elites , n un'università di massa, dequalificata, ma un'università incardinata nelle realtà locali, come servizio civile destinato ad una quota crescente di popolazione, non solo, quindi, alla popolazione giovanile, ma capace di qualificare tutta la vita sociale e culturale del territorio. Se così davvero l'università diviene uno degli strumenti di riequilibrio territoriale, e a maggior ragione in Piemonte, dove nel quadro della nostra programmazione regionale abbiamo già riconosciuto all'Università questo ruolo e questa capacità, di diventare elemento di crescita di una struttura urbana e di una struttura civile capace di riequilibrare il nostro territorio. E non per niente si sono indicate le scelte di due nuove Università nelle aree Novara-Vercelli, Alessandria-Asti: non solo certo per un criterio di mera distribuzione geografica ma in base al ruolo di aree di riequilibrio interregionale che a questi territori sono date nella programmazione regionale.
Se noi, come io credo, dobbiamo dare per scontato questo ruolo dell'Università e del rapporto Università-territorio come un fatto che ormai è praticamente indiscutibile, è evidente che anche la scelta dei territori in cui localizzare le Università in base a determinati parametri l'accessibilità, la funzione di riequilibrio, l'idoneità del territorio prescelto a recepire le istituzioni universitarie - diventa un elemento del piano regionale, cioè non una scelta fatta soltanto per decongestionare Torino ma fatta per innescare processi di crescita alternativa all'interno della Regione.
Interrompere il discorso a questo punto, però, cioè una volta riconosciute queste esigenze e questo ruolo del decentramento universitario, sarebbe però un errore. Ed io ho l'impressione che, certo per il modo estremamente laborioso, difficile ed impegnativo con il quale l'Intercommissione ha lavorato, si corra il rischio che questo discorso rimanga leggermente in sordina. Il perché di questo fatto è facilmente spiegabile: il decentramento attuato attraverso la localizzazione di due nuove Università in Piemonte interessa in modo meno pressante l'Università e il Politecnico di Torino, in quanto, almeno entro certi limiti, è un problema che non è solo dell'Università e del Politecnico, e anche questo modesto interesse diminuisce a mano a mano che procede il discorso non del raddoppio delle Facoltà o dei corsi distaccati ma delle due nuove Università. E a me pare proprio di aver rilevato, non a torto, un minor interesse a questo discorso da parte del Politecnico e dell'Università proprio di fronte al prevalere del discorso di due Università su quello del decentramento dei singoli corsi o delle singole Facoltà.
Occorre, dunque, riprendere fermamente il discorso delle nuove localizzazioni universitarie in Piemonte, e non più in termini problematici o filosofici ma partendo dai dati sui quali si è già manifestato il consenso del Consiglio: cioè il discorso dei due nuovi Atenei da far partire in parallelo, insieme, oltre al discorso che è stato fatto in termini problematici dalla relazione circa altre aree con rilievo interregionale: il discorso relativo a Mondovì-Cuneo, legato alla Liguria che è ancora da approfondire.



VIGLIONE Aldo

Ma è un discorso che non va avanti: ancora una volta ci hanno defraudati.



SIMONELLI Claudio

E' un discorso da approfondire, ma ancora, direi, in termini problematici. Ottima cosa approfondire gli studi, affidando l'indagine all'Ires, sulla pendolarità studentesca: bisogna però non trascurare il discorso della pendolarità extra-regionale, che è molto importante.
Risulta, per esempio, che Alessandria mandi a Torino 2080 studenti: certo se fosse questa l'entità della massa studentesca è evidente che una nuova università sarebbe sottodimensionata; ma questi duemila, in realtà, sono circa un terzo del totale, perché Alessandria ne manda 2.200 a Genova 1.000 a Pavia. Così, Novara manda a Torino 640 studenti soltanto, ma ne manda più di 3.200 a Milano, Quindi, bisogna vedere la pendolarità in tutte le sue manifestazioni, anche quella extraregionale, anche perché questi studi ci consentiranno di avere una dimensione della domanda futura per le nuove Università. Ma senza rimettere continuamente in discussione, con dubbi, con approfondimenti, le scelte che sono già state fatte, e che sono mosse da finalità di programmazione regionale.
Del resto, anche il discorso delle dimensioni ottimali dell'Università è un discorso che varia continuamente: in Inghilterra, le piccole Università hanno 3-5 mila studenti, nella nostra esperienza si considera dimensione minima quella degli 8-10 mila studenti, ritenendo che al di sotto non ci sia convenienza a creare una nuova Università; ma io credo che, per esempio, le due Novara-Vercelli, Alessandria-Asti non abbiano difficoltà a raggiungere nell'80, e anche superare, come popolazione studentesca, la soglia minima di 8-10 mila studenti. Senza contare, poi che l'Università è una struttura tipica che non si limita a soddisfare la domanda ma è uno di quei casi in cui l'offerta dei servizi genera una domanda aggiuntiva, il che è un dato positivo proprio nella misura in cui amplia l'accesso agli studi superiori.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

In genere, è l'offerta che crea la domanda, contrariamente all'opinione di Adamo Smith.



SIMONELLI Claudio

E' una tesi che i classici contestavano ma che si è abbastanza convalidata, a livello per lo meno di certi settori, di certe aziende, e nel settore dell'istruzione universitaria di una evidenza macroscopica: in questo caso, il prodotto, per varie ragioni - di comodità, di reddito, di difficoltà logistiche - si trova nell'impossibilità di essere distribuito sul mercato, e quindi manca la distribuzione, cioè per procacciarsi l'istruzione universitaria bisogna andare là dove essa viene impartita.
Non mi preoccuperei soverchiamente, perciò, se le altre due Università piemontesi sono piccole Università, e credo che si incorrerebbe in errore se si volesse farle diventare grandi Università. Piccole vuol dire, per articolate su basi dipartimentali e con il più ampio ventaglio possibile di facoltà, ma non necessariamente con tutte: dovrebbero qualificarsi, invece sul piano di un'elevata efficienza, sia nel senso di un'efficienza di attrezzature e di metodi, anche attraverso la ricerca di metodi nuovi di insegnamento, sia attraverso un'efficiente integrazione nel tessuto territoriale e sociale in cui l'Università si colloca.
Per arrivare a questo, e considerando il 1980 come termine di riferimento per incominciare a vedere realizzato qualcosa - mi sembra di non essere pessimista a pensarla così -, io credo che occorra partire subito, senza perdere altro tempo, individuando anzitutto tutti gli interlocutori possibili e necessari in questo momento, che non sono solo l'Università e il Politecnico ma anche gli enti locali e le forze sociali delle zone interessate, che sono il Ministero della Pubblica Istruzione e le Commissioni parlamentari competenti; perché a questo punto il problema è quello di vagliare i tempi, i modi, i costi, le possibilità concrete di localizzazione e via dicendo di questa struttura universitaria che noi proponiamo. Basta con i discorsi filosofici ed astratti: scendiamo finalmente sul terreno concreto delle possibilità operative.
Io credo che l'Intercommissione debba avviarsi su questa strada. Se no colleghi del Consiglio, è chiaro che avremo la seconda Università nell'area metropolitana torinese, perché se non mettiamo in moto strutture alternative capaci di dar corpo alle indicazioni che diamo a lungo andare non potremo dir di no alla seconda Università torinese, che sarà giustificata dall'eccessivo affollamento. Se non sapremo innescare altri processi, è chiaro che questa sarà la conseguenza. Ma in questo modo noi affosseremo le prospettive di riequilibrio territoriale della Regione. Se è vero che le Università sono in questo momento elementi portanti di un discorso di rafforzamento di strutture urbane alternative, è anche vero che qualora le Università non si facciano almeno nelle zone che sono state prescelte ciò significa che rinunciamo ad avere una Regione più equilibrata, a fare una programmazione di un qualche valore.
Ancora due brevissime considerazioni. Il problema del Centro di calcolo, o, come viene definito, "per il trattamento automatico delle informazioni" è da considerare attentamente. Credo si possa essere ampiamente d'accordo sulla necessità che in questa materia vengano evitate dispersioni, iniziative settoriali, raddoppi di spese, e che quindi un'iniziativa congiunta di Università, Politecnico e Regione sia cosa seria, che meriti di essere perseguita. Però, credo che veramente questo sia un discorso che necessita di un ulteriore approfondimento. Non mi pare sia giusto che si bruci troppo incenso al dio che è di moda in questi ultimi tempi, cioè all'elettronica e all'informistica, senza sapere bene di che cosa si tratti. Per fare degli esempi concreti, io credo che sia una cosa estremamente seria quella che hanno fatto a Bologna, cioè la certificazione amministrativa decentrata nei quartieri; ritengo che siano una cosa meno seria le cosiddette banche dei dati, che si tenta di realizzare e che sono, in fondo, più un'operazione di puro prestigio che non un qualche cosa che serva in concreto alla programmazione regionale. Al livello in cui noi facciamo i nostri studi non è sempre necessario e non per ogni ricerca è necessario arrivare a forme di questo genere.



BESATE Piero

Si potrebbe affidano Ada Fiat, che sarebbe ben contenta di strumentalizzarlo in funzione dei suoi interessi. O alle banche. Così non occorrerebbe cercare il personale.



SIMONELLI Claudio

No, Besate, non è questione di darlo alla Fiat, e neanche alle banche.
Io dico che questo discorso merita di essere approfondito. Noi non crediamo che in questa materia siano spesi bene i soldi che, anziché essere affidati a ricercatori che svolgano determinate ricerche, siano affidati per creare delle mostruose macchine il cui rendimento, poi, in risultati operativi rischia di essere minore di quello che ci possono dare i ricercatori.
Soprattutto, non illudiamoci che basti avere i centri di calcolo e di trattamento dei dati per fare una programmazione, che è sempre un fatto politico ed umano, non è mai un fatto meccanico: secondo me, rischiamo di cadere in un grosso equivoco se crediamo di sciogliere nodi che sono politici, e sui quali lo scontro sarà, sempre politico, attraverso il ricorso all'elaboratore elettronico, che né ragiona per noi né sceglie per noi.
Quindi, è giustissimo proporsi di evitare duplicazioni di macchine, e quindi creazione di strutture doppie, con doppia spesa, con obiettivi che si intersecano, contraddittori: però, approfondiamo per vedere a che cosa deve servire. Non so, poi, se allo stato delle nostre conoscenze sia possibile già arrivare addirittura ad indicare le macchine adatte a questo tipo di Centro.
Detto questo, vorrei rivolgere infine una richiesta al Consiglio, ma in modo particolare all'Intercommissione. Tra i vari problemi da esaminare con l'Università e con il Politecnico io chiederei che nell'ordine del giorno presentato al Consiglio venisse inserita anche l'opportunità di approfondire un particolare problema, cioè l'eventuale creazione di un Laboratorio inter-universitario per ricerche fisiche, che è stato progettato da quattro Università, e cioè dal Politecnico di Torino e dalle Università di Genova, Pavia e Torino, che hanno costituito a questo fine un consorzio, nel quale è anche entrato l'Istituto nazionale di fisica nucleare e dovrebbero entrare il Comune e la Provincia di Alessandria, e che dovrebbe realizzare in Comune di Alessandria un laboratorio inter disciplinare, nel quadro di un programma scientifico dell'Istituto nazionale di fisica nucleare. E' un'iniziativa abbastanza notevole, che peraltro si trascina da alcuni anni senza che riesca a sapere con esattezza a che punto stia: per quello che è a mia conoscenza, è in corso di costituzione questo consorzio. Il CIPE sta esaminando il progetto per inserirlo nel piano quinquennale dell'Istituto nazionale di fisica nucleare; i Ministeri della Ricerca scientifica, della Pubblica Istruzione e quello dell'Industria, si sono dichiarati d'accordo: si tratterebbe di verificare se questo progetto dev'essere realizzato. Quindi, io chiederei e presenterò in questo senso un emendamento scritto, che tra le questioni che si discutono con il Politecnico e con l'Università ci sia anche questo progetto, di cui si parla da anni, sul quale sono state presentate delle memorie, che è stato discusso in Congressi scientifici: occorre uscire dal vago, precisare come si colloca il progetto nei programmi del Politecnico e dell'Università, per verificarne fondamento ed opportunità.
Concludendo, ribadisco la mia opinione che il lavoro dell'Intercommissione debba essere valutato positivamente, che le sue conclusioni tradotte nell'ordine del giorno debbano essere approvate, che sia meritoria l'attività che i colleghi dell'Intercommissione, e in modo particolare il Presidente Besate e il relatore Conti hanno svolto in questi mesi in questo settore, avvertendo che le critiche, o meglio, le riserve che ho ritenuto di dover avanzare non debbono venire intese come un misconoscimento della fatica che essi hanno compiuto e di cui tutti i Consiglieri debbono dare atto, di cui siamo loro grati, ma semplicemente come perplessità che nascono proprio dall'approfondimento dei problemi e che io credo meritino di essere gettate sul tavolo per essere vagliate, se vogliamo con questo lavoro fare veramente la nostra parte. Divenendo interlocutori autorevoli dell'Università e del Politecnico di Torino ci siamo assunti una grossa responsabilità: quella di dare un nostro parere meditato e approfondito su tutte le questioni; sarebbe grave se mancassimo di questa meditazione e di questo approfondimento anche su una sola delle questioni che sono sul tappeto.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Curci. Ne ha facoltà.



CURCI Domenico

Signor Presidente, signori Consiglieri, dalla relazione del Consigliere Conti e dall'illustrazione che ne è stata fatta nella scorsa seduta si pu tranquillamente dedurre che il problema universitario rimarrà irrisolto per molto tempo ancora. Al massimo, come spiegherò più avanti, si potranno creare nuovi posti di potere, un nuovo sottobosco in esclusiva regionale ma ciò che di importante e urgente bisogna fare, ciò che di utile si poteva pensare è stato completamente trascurato.
Di solito, in circostanze del genere, soprattutto quando si deve approntare un documento, si ha il dovere di essere il più possibile concreti. Ermete Trimegito, il famoso autore del "Primando", probabilmente suderebbe le sette proverbiali camicie se dovesse decifrare ciò che nella relazione si vuole intendere là dove è scritto che "si è sentita la necessità di operare in modo da conseguire concretezza ed organicità." Forse la verità è che il relatore, sentendo la necessità, come si dice oltre, di "addivenire ad approfondimenti e proposte strettamente correlati", ha deciso di esprimere l'esigenza metodologica di conseguire un continuo arricchimento vicendevole e una complessificazione progressiva degli apporti secondo le diverse competenze interessate.
"La Regione - si dice ancora nella relazione - ha un ruolo determinante nella realizzazione d elle strutture universitarie". Questa può apparire un'affermazione banale, inutile, scontata. Si direbbe che essa sia l'unico risultato conseguito dalla Commissione.
E' chiaro, però, che questa affermazione ha alcuni vantaggi. Dice infatti, l'Intercommissione, che "la Regione è l'unico interlocutore politico dell'Università", che "essa esercita un ruolo inteso a interpretare e soddisfare le esigenze emergenti dalla Comunità regionale" sulla base non, beninteso, di un regionalismo deteriore, per cui aggiungiamo noi, saranno rettamente interpretate le esigenze emergenti dall'arco costituzionale, mentre i posti che le future strutture universitarie andranno a creare verranno suddivisi in modo molto organico.
Ma vogliamo sforzarci di non essere troppo critici, perché dai lavori sono emersi alcuni elementi interessanti: troppi studenti, pochi professori, pochi locali. Ma il lavoro della Commissione è stato ben più approfondito, perché è chiaro che per desumere i suddetti elementi bastava leggere i giornali ed essere appena sufficientemente informati. Si accertata invece, ancora, "la mancanza di un rapporto dialettico tra strutture universitarie e tessuto urbano". Cosa significhi tutto questo non è molto chiaro, e io mi auguro che qualche altro collega vorrà spiegarcelo.
Ma si dice ancora che "non bisogna fermarsi agli aspetti qualitativi del problema, bisogna pensare anche agli aspetti quantitativi". In definitiva si dice, "occorrerebbe perseguire quei tipi di ricerca-insegnamento richiesti dalle funzioni universitarie". E qui, finalmente, siamo d'accordo: l'Università deve ricercare e insegnare. Mentre è notorio che in Italia, nelle Università, non si può né insegnare né ricercare con la dovuta serenità, per un'infinità di motivi, non ultimo quello della continua violenza comunista, tendente a soffocare le voci degli studenti che vogliono liberamente studiare e ricercare senza dover necessariamente diventare marxisti.
Ma tale aspetto del problema non ha evidentemente alcuna importanza per il relatore Conti, il quale probabilmente ritiene che ricerca e insegnamento ritorneranno a soddisfare solo in quanto siano inseriti nel quadro della programmazione.
Comunque, in attesa dell'elevazione qualitativa, la parola d'ordine é: decentrare e ristrutturare. Tale indirizzo politico dev'essere costantemente tenuto presente dal Senato accademico, che, in quanto composto da professori universitari, non solo ignora come si decentra ma anche a cosa serve l'Università. Si fa presente, infatti, ai professori dimentichi ed ignari, che "le funzioni dell'Università non possono prescindere dallo sviluppo della cultura e della ricerca rapportati all'informazione e all'educazione permanente, e soprattutto alla partecipazione popolare democratica" .Questa salutare memoria ci voleva perché prima mai i professori si erano resi conto che l'Università crea cultura, ma pensavano in realtà che aumentando il numero delle Università si abbassava, evidentemente, il livello culturale.
Ma ricorda la Commissione che "nell'Università, che ha per interlocutore politico la Regione, non deve mancare la partecipazione popolare e democratica" .Come avverrà questa partecipazione non sappiamo: certamente sarà svolta tutta in chiave antifascista. Il fatto che i titoli di studio presi in Italia non abbiano alcun valore e che le nostre lauree facciano ridere persino le popolazioni africane è dovuto al fatto che la struttura universitaria non è stata sufficientemente, fino ad oggi popolare e democratica.
L'Intercommissione ha conseguito alcuni risultati significativi. Tra questi, leggiamo: "l'evidenziarsi e il riconoscimento del ruolo della Regione quale interlocutore politico dell'Università". Ciò vuol dire forse che il Rettore ci ha ricevuti e non ci ha messi alla porta? Oppure che ci trova più simpatici, per esempio, dei colleghi del Consiglio Provinciale? Oppure che, essendo la Regione organismo di maggior respiro e possibilità era logico che prendesse l'iniziativa per un problema che ha carattere regionale, così com'é previsto dalla legge? E da quando sono ritenuti fatti positivi e lusinghiero risultato il comportarsi in modo conforme alla legge? Appare chiaro che in realtà non si è ottenuto alcun risultato.
Ma dopo questa infinita messe di notizie lo scrupolo dell'Intercommissione ha stabilito "ulteriori determinazioni orientative".
Tra di esse segnalo la proposta n. 5, che dimostra la leggerezza dello studio e la sua inutilità. "La ristrutturazione - dice - delle istituzioni universitarie di Torino deve realizzarsi nell'ambito del tessuto urbano, in corrispondenza della popolazione studentesca". E' un'osservazione che in s potremmo definire lapalissiana, dato che crediamo che mai ci sia stato legislatore che abbia programmato un'Università senza tener conto della popolazione studentesca.
La proposta n. 5, poi, va integrata da quanto si afferma in quella al n. 3: "Accertamento di un generalizzato rifiuto dell'adozione del numero chiuso e dei criteri di selezione per l'accesso all'Università basato sulla disuguaglianza sociale ed economica". Su questo punto, colleghi Consiglieri, il discorso potrebbe essere molto lungo. In un tempo in cui la massificazione anche culturale della società è un pericolo reale e presente, noi riteniamo che la scelta dell'educazione debba riporre al centro dei suoi interessi l'uomo nell'integralità dei suoi valori personali, ed il rinnovamento educativo della società non può prescindere a nostro avviso, da una scuola concepita come fucina di un umanesimo educativo, interprete dei tempi che volgono e garante dei valori che non mutano. Un umanesimo moderno, diretto a promuovere i fondamenti morali e civili dell'uomo integrale, in vista di una società nuova, dotata di capacità di sintesi ad ogni livello: culturale, sociale, politico; una società nella quale rifiorisca la regola dell'antica tradizionale saggezza per cui l'homo faber, artefice di opere di vita, è pur sempre proiezione dell'homo sapiens, che scruta sul libro dell'avvenire.
In ordine a questi motivi la nostra impostazione della scuola, della cultura e della vita si propone come la più rispettosa dei valori tradizionali della civiltà, secondo una linea di sviluppo che collega le generazioni e i tempi, gli eventi e gli uomini; e ci sembra anche la sola degna di chi, tra l'imperante conformismo degli anticonformisti à la page non teme i rischi di un atto di responsabilità e di coraggio.
Da tale impostazione discendono i corollari di quella riforma organica della scuola italiana che tutti reclamano ma che pochi osano affrontare fuori e contro le facili e comode suggestioni dell'imperante demagogia populista.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE OBERTO



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Gandolfi. Ne ha facoltà.



GANDOLFI Aldo

Signor Presidente, signori Consiglieri, vorrei soffermarmi molto brevemente, nell'ambito del dibattito, su quelli che mi sembrano gli elementi politici più importanti che il Consiglio dovrebbe evidenziare.
Dobbiamo dare atto all'Intercommissione di avere sviluppato un tipo di lavoro che è una premessa e un punto di partenza importante per portare innanzi un discorso organico della Regione sui problemi universitari. Ma direi, l'elemento politico fondamentale che in questo stadio è importante rilevare, e forse anche esplicitare in maniera più precisa in un ordine del giorno conclusivo rispetto a questa discussione, è il fatto che il lavoro dell'Intercommissione in rapporto agli organismi universitari ci permette oggi di prendere atto della proposta del Consiglio d'Amministrazione dell'Università in merito alla realizzazione nel Comune di Santena dello spostamento delle Facoltà di Agraria e di Medicina veterinaria in una forma che io credo ci possa cautelare per il futuro da un rischio che era presente, e può ancora esserlo, cioè che questa soluzione di Santena possa di fatto diventare la testa di ponte di una seconda Università nell'area metropolitana, eventualità che la Regione ritengo debba decisamente respingere.
La seconda affermazione che a mio avviso va fatta con estrema chiarezza e mi sembra che l'Intercommissione l'abbia fatto e che vada ulteriormente ribadito - nei confronti degli organi di amministrazione dell'Università è che questo trasferimento si deve limitare a queste due Facoltà, proprio per evitare quel tipo di rischi e di disegni che noi abbiamo rifiutato, ferma restando anche l'ipotesi che l'Intercommissione ha formulato, e che penso vada accolta, di una ristrutturazione dell'Università e del Politecnico di Torino che tenga conto delle esigenze di qualificazione, riqualificazione vitalizzazione del centro storico torinese.
Se questo è il significato degli elementi a cospetto dei quali ci troviamo, il discorso futuro che bisogna affrontare è quello di rendere operative le ipotesi di decentramento universitario in termini di creazione di nuovi centri universitari in Piemonte. A questo proposito sono d'accordo con quanto diceva poco fa il collega Simonelli: noi dobbiamo registrare uno scarso interesse operativo del Politecnico e dell'Università di Torino in questa direzione. Perché dobbiamo dare per scontato che il protrarsi della situazione attuale può rendere vincenti certe ipotesi che pure allignano all'interno del tessuto connettivo universitario torinese, appunto quelle di un'altra università nell'area metropolitana. Il problema che la Regione deve affrontare in termini concreti ed operativi è un rapporto e con gli altri enti territoriali piemontesi a livelli inferiori, e soprattutto, con il Ministero della Pubblica Istruzione e con gli organi parlamentari che stanno affrontando questo tipo di problemi, per garantirci le condizioni essenziali, che sono anzitutto di iniziativa legislativa e amministrativa nazionale, perché in Piemonte si arrivi rapidamente alla creazione di due nuovi centri universitari.
Anche su questo terreno, al di là delle indicazioni ancora generiche e non potevano non esserlo - che nel dibattito precedente, nello scorso ottobre, si era voluto dare su questo problema, c'é la necessità, a mio avviso, di arrivare ad una definizione più precisa di ipotesi operative per quanto riguarda le localizzazioni universitarie. Cioè, il discorso che si è fatto di due sistemi universitari, da localizzare ad Alessandria-Asti da una parte, a Novara-Vercelli dall'altra, deve potersi concretizzare di ipotesi e di prospettive precise, che a mio avviso non possono non andare nel senso di un discorso centrato prevalentemente sulle aree di Alessandria e di Novara. Ma sono questi, evidentemente, dati, elementi e indicazioni che devono scaturire da un lavoro di approfondimento, anche in termini proprio di pianificazione territoriale, della nostra Regione, che il Consiglio e gli organi della Regione devono assolutamente proporsi di effettuare con estrema urgenza, proprio ai fini di un disegno organico e globale.
Un secondo elemento sul quale vorrei soffermarmi brevemente è il discorso che qui è già stato fatto, e che l'Intercommissione ci ha consegnato, sul problema di un Centro per il trattamento automatico dell'informazione, da realizzarsi in collaborazione con l'Università.
Anche qui, accogliendo il significato, l'interesse, credo lo spirito delle indicazioni che l'Intercommissione ha voluto consegnare al Consiglio Regionale, io credo peraltro che dobbiamo avere chiari alcuni problemi.
Vorrei indicare alcune esigenze di approfondimento di questo discorso. A me sembra che gli elementi che soprattutto l'Università ci ha consegnato al riguardo siano ancora troppo generici per poter assumere delle determinazioni e dare delle indicazioni in questo senso: una cosa è attrezzare un centro di calcolo per il calcolo scientifico, una cosa è attrezzare un centro di calcolo per una raccolta ed elaborazione di dati di carattere socio-economico, altro è attrezzare un centro di calcolo per un lavoro di carattere amministrativo. Direi che già questo dovrebbe indurci ad approfondire un po' di più il discorso.
Ma c'é dell'altro: mi sembra che oggi la tecnologia, cioè lo stato dell'arte in materia di trattamento automatico dell'informazione, deve renderci attenti al fatto che oggi i programmi più importanti in questa direzione si fanno non tanto sul piano delle strutture materiali dell' hardware, ma piuttosto sul piano dell'elaborazione, sulla base di obiettivi prestabiliti, di programmi di lavoro del calcolatore adeguati a certi obiettivi di trattamento dei dati sul piano di quello che in termini tecnici si chiama software. Questo, se mai, è il settore più interessante sul quale si possono far lavorare centri universitari capaci di produrre programmi di calcolo interessanti per la Regione.
Cioè, dobbiamo stare attenti, tra le varie ipotesi che sono state formulate, che il problema che per la Regione al limite può essere più interessante nella collaborazione con l'Università non è tanto quello dell'affitto o dell'acquisto di un grande calcolatore, della predisposizione di un centro di calcolo ad hoc, quanto, sulla base di alcuni elementi di interesse della Regione in tema di trattamenti di elaborazione dell'informazione, coinvolgere dei ricercatori, dei tecnici dell'Università sul piano della predisposizione di programmi di trattamento dell'informazione. Perché poi tutto il resto è un fatto veramente elementare. Oggi si affittano tempi di elaborazione del calcolatore attraverso terminali. Cioè, il problema non è di costituire un centro, ma di studiare che cosa realmente serve alla Regione e di coinvolgere tecnici dell'Università capaci di dare dei contributi nella predisposizione di programmi ad hoc. Tutto il resto si può fare con un terminale collegato ad un grande centro di calcolo (oggi in Italia c'è la tendenza a crearne tre o quattro di grandi dimensioni). Le grandi aziende produttrici di calcolatori creano grandiose strutture, con enormi capacità di calcolo: il problema è che cosa metterci dentro in termini di programmi e in termini di dati attraverso dei terminali.
Sono, queste, indicazioni peraltro ancora generiche anche in questo stadio. Sono cioè d'accordo in questo senso su quanto diceva Simonelli, che il problema è di sapere esattamente che cosa vogliamo, e che cosa vogliamo mettere a disposizione eventualmente della comunità regionale in termini di elaborazione di dati, e di badare piuttosto alla parte che è realmente importante, che è quella della predisposizione dei programmi ad hoc piuttosto che della realizzazione di centri di calcolo.
Quindi, ripeto, accettando e valutando nella giusta importanza lo spirito con il quale l'Intercommissione ha fatto una certa proposta, io sottolineerei l'esigenza che il Consiglio, o l'Intercommissione se è necessario dare un mandato ad essa, si soffermi su questo tipo di problemi piuttosto che sull'idea di un centro per il trattamento automatico dell'informazione.
Vengo ad un ultimo ordine di considerazioni che volevo fare tralasciando di soffermarmi su tante altre questioni che sono già state trattate da chi mi ha preceduto. Il problema dell'Università, rispetto al territorio, è certamente un problema di programmazione e di dislocazione di nuovi centri universitari nella nostra Regione, ma anche un problema direi, di carattere qualitativo. Accenni sono già stati fatti in questa direzione nel dibattito precedente, nelle note che ci sono state consegnate. Cioè, indubbiamente noi dobbiamo prendere atto che molti settori dell'Università e del Politecnico di Torino sono in una situazione non solo di difficoltà operative in termini di edilizia, di finanziamenti ma anche, direi, di stagnazione culturale, se mi è permesso senza offesa per l'Università. E' tutto il corpo dell'Università, che dovrebbe produrre ricerche, ipotesi e programmi di lavoro legati a fatti tecnologici scientifici, socio-economici, che si trova in difficoltà ad esprimere lavori che abbiano un senso e siano legati all'avanzare dei problemi della società italiana. Direi che, paradossalmente, l'Università è più in arretrato in molti settori rispetto, che so, al livello tecnologico dell'industria, allo stato di avanzamento di certi dibattiti politici culturali, sociali nel nostro Paese.
L'obiettivo che noi dovremmo riuscire a darci, se è accettato questo tipo di considerazione, è cercar di legare maggiormente l'Università e la produzione universitaria alle problematiche che le istituzioni pubbliche possono portare avanti. Direi che lo sforzo che dovremmo fare in questa direzione è cercare di interessare il più possibile, attraverso una partecipazione attiva, tecnici, ricercatori universitari alle problematiche che noi individuiamo, ai lavori di ricerca che possiamo offrire: trovare un terreno sul quale articolare una collaborazione con l'Università che non sia solo sul piano delle ipotesi di organizzazione dell'Università stessa ma che intervenga ad offrire alcuni stimoli, alcune proposte di ricerca che rispondano alle esigenze di crescita della Comunità regionale.
Mi sembra che, a livello di operatori pubblici, nella nostra Regione si sia fatto in questa direzione ancora troppo poco e che un compito che ha la Regione oggi, oltre a quello di tentar di guidare la crescita delle strutture universitarie, è di dare per alcuni settori della vita universitaria alcuni contributi di qualificazione e di indirizzo alla ricerca universitaria stessa, coinvolgendola nelle problematiche regionali.
Quindi, questo è un problema, direi, che ci riguarda tutti, a tutti i livelli degli organi regionali, al quale dobbiamo cercar di dare una risposta se vogliamo fare un discorso che non sia meramente quantitativo di programmazione territoriale ma che sia anche qualitativo, di capacità di far maturare all'interno delle Università delle risposte adeguate alle problematiche che la Comunità regionale va articolando.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare Consigliere Calsolaro. Ne ha facoltà



CALSOLARO Corrado

Signor Presidente, signori Consiglieri, il ritorno al Consiglio del problema dell'Università in Piemonte ci consente di fare alcune brevi osservazioni sul lavoro sin qui svolto dalla Commissione e di avanzare alcune proposte per l'ordine del giorno che il Consiglio, con ogni probabilità, sarà chiamato a votare al termine della discussione.
Un primo risultato positivo raggiunto é, senza dubbio, quello fissato al punto 5 dell'o.d.g. votato il 12 ottobre 1972, in cui si rilevava "la necessità di realizzare uno stabile collegamento fra il governo dell'Università e la Regione, gli enti locali, le forze sociali operanti nel contesto regionale". Questa necessità, richiamata nella nota del relatore Conti, evidenziava la posizione del Consiglio Regionale come interlocutore politico dell'Università e la sua disponibilità per la ricerca delle soluzioni concrete agli urgenti problemi universitari.
La risposta favorevole degli organi di governo dell'Università ripetutamente espressa nel corso degli incontri avvenuti, l'allargamento delle adesioni ad altri e vasti settori del mondo universitario, stanno a dimostrare la validità dell'iniziativa assunta dal Consiglio Regionale della quale sono ulteriore testimonianza i generali consensi manifestati dagli enti locali territoriali, dai Gruppi politici e da numerosi enti culturali.
La deliberazione presa dal Consiglio d'Amministrazione integrato dell'Università di Torino in merito al trasferimento delle sole Facoltà di Agraria e di Veterinaria, con la trasmissione della proposta di prescelta dell'area di Santena alla Regione Piemonte per il parere dei competenti organi regionali, e la nota del gruppo di lavoro dell'Università per il centro di elaborazione elettronica, in cui il Consiglio Regionale viene individuato quale interlocutore politico nel rapporto con l'Università, con particolare ed esplicito riferimento alla struttura giuridica amministrativa del Centro di calcolo, dimostrano come la credibilità della Regione sia in rapporto diretto alla sua volontà e alla sua capacità di affrontare concretamente ed organicamente i problemi della collettività.
La Regione si è posta seriamente e validamente al lavoro in questo campo. Vorrei dare atto proprio in questa circostanza al collega coordinatore della Commissione, Consigliere Besate, e al relatore Consigliere Conti, dell'impegno costante e della fatica non lieve che personalmente si sono sobbarcati nel corso di questi primi mesi di lavoro della Commissione. L'Università, da parte sua, ha risposto sino ad oggi con puntualità alla proposta politica della Regione.
La decisione del Consiglio d'Amministrazione, indipendentemente dal parere che la Regione dovrà dare sulla scelta di Santena, dovrebbe permettere di allontanare definitivamente il sospetto che da più parti era stato avanzato: che l'insediamento delle due Facoltà a Santena potesse costituire lo spunto, o il pretesto, per creare, attorno ad Agraria e a Veterinaria, le premesse di una seconda Università torinese.
Non sarebbe quindi inutile, in relazione a quello che potrà essere l'ordine del Giorno che verrà sottoposto al voto di questo Consiglio, che il Consiglio riaffermasse, a definitiva chiarificazione, alla fine della prima fase dei lavori della Commissione, il principio che il problema della ristrutturazione dell'Università di Torino, pur se connesso, è tuttavia distinto da quello degli altri insediamenti universitari nella Regione; che Santena, o quell'altra area che eventualmente e diversamente dovesse essere indicata, rappresenta semplicemente la soluzione dei problemi realisticamente innegabili che due Facoltà la cui collocazione dev'essere necessariamente decentrata e per le quali non si pone neppure un problema di raddoppio; che Santena, in sostanza, non ha alcun riferimento con la creazione di una seconda Università torinese.
Se questi principi sono già stati affermati nell'ordine del giorno del 12 ottobre, e successivamente riconosciuti validi da entrambe le parti nel corso degli incontri fra la Commissione e l'Università, abbiamo però anche recepito le costanti preoccupazioni degli enti locali piemontesi a che le esigenze di ristrutturazione dell'Università di Torino, e addirittura del suo raddoppio, non finiscano con il prevalere sulle esigenze di decentramento.
Ci sembra quindi che opportunamente potrebbe essere messo un punto fermo sulla questione.
L'esempio di Agraria e di Veterinaria, che, sia pure per le ragioni valide addotte dall'Università e dalle due Facoltà, andranno presumibilmente ad insediarsi a 25 chilometri circa da Torino, pone per con urgenza il problema dell'individuazione delle aree ancora necessarie alla ristrutturazione dell'Università e del Politecnico di Torino.
Se la ristrutturazione delle istituzioni universitarie di Torino deve realizzarsi nell'ambito del tessuto urbano, è qui che le aree devono essere reperite. Uno studio in tale senso, con la collaborazione dei Comuni interessati, e, naturalmente, dell'Università e del Politecnico di Torino da avviare e da concludere entro termini sufficientemente ravvicinati, con conseguente blocco delle aree ritenute più idonee, sono la condizione essenziale di un'autentica ed organica ristrutturazione. Fra qualche anno e forse meno, le aree oggi disponibili saranno ancora più ridotte, ed allora si andrà alla ricerca di qualche cascina a trenta, quaranta o cinquanta chilometri da Torino.
Un particolare interesse, per esempio - e di questo si è già discusso durante i lavori della Commissione -, ci sembra rivestano le aree demaniali: non solo quelle attualmente sedi di caserme, ma, per fare un'ipotesi concreta, che combinerebbe l'istituzione universitaria con la rivitalizzazione culturale di un centro storico, il milione circa di metri quadrati dell'ex campo d'aviazione di Venaria, immediatamente attiguo al castello, che potrebbe a sua volta diventare, secondo la proposta apparsa recentemente sui giornali di Torino dell'Assessore alla Pubblica Istruzione di quella città, la sede del Museo della Stampa e di tutte quelle altre raccolte dell'area metropolitana che non hanno luoghi adeguati di esposizione.
Parere, quindi, sull'area di Santena, ed individuazione delle aree più idonee per la ristrutturazione delle istituzioni universitarie di Torino tempi brevi, anzi brevissimi, per il primo problema; meno brevi, ma non troppo, per il secondo.
Sul decentramento, i punti 3 e 4 dell'ordine del giorno del 12 ottobre si pronunciavano a favore della creazione di nuove sedi universitarie autonome, organicamente strutturate, rispondenti alle esigenze culturali economiche e sociali della Comunità piemontese ed alle linee di sviluppo individuate dai piano regionale. Venivano individuate due zone di insediamento universitario (Novara Vercelli ed Asti- Alessandria). L'ordine del giorno si pronunciava anche contro la disseminazione dei corsi singoli.
Si aggiunge ora una terza zona: Cuneo Mondovì.
Ora, io ho l'impressione che stiamo arrivando, poco per volta, alla convalida del principio: tante province, tante università; principio che a nostro avviso rischia di coincidere, di fatto, con il riconoscimento di quelle iniziative centrifughe che sono frutto del peggiore e più deteriore campanilismo provinciale.
L'impegno assunto dal Consiglio di opporsi alla disseminazione dei corsi, degli istituti e delle Facoltà universitarie ha trovato il consenso di tutti. A questa opposizione si è accompagnata, da parte degli enti locali territoriali consultati nel corso dei lavori della Commissione, una ferma e generale ostilità verso un eventuale raddoppio dell'Università di Torino, che peraltro la stessa nota di Conti considerava già come ipotesi cronologicamente subordinata al decentramento.
Se tuttavia la realizzazione concreta della seconda e della terza Università (adesso addirittura si parla della quarta) non può porsi in una prospettiva a breve termine, e se quindi c'è la necessità di studiare e di pianificare, resta però il problema di determinare sin d'ora, o quanto meno entro termini il più possibile ravvicinati, le linee di sviluppo e le opportunità, anche solo approssimative, degli insediamenti.
L'ordine del giorno del 12 ottobre fissava appunto due indirizzi territoriali. Si è accennato, alcuni giorni fa, da parte di un membro del Governo, interessato direttamente, e per avere la responsabilità di un Ministero strettamente collegato ai problemi universitari, e per il fatto di essere piemontese, ad un terzo indirizzo territoriale con funzioni interregionali, appunto quello citato di Cuneo-Mondovì. Questo Ministro ha anche detto che la Facoltà di Agraria dovrebbe andare ad Alessandria, o a Cuneo (ma lasciamo da parte questo particolare).
Ora, noi non intendiamo contestare nulla di tutto questo, ma richiamare l'urgenza di come le scelte territoriali si pongano ormai in termini di assoluta priorità.
Durante lo scorso dibattito, quello che portò all'ordine del giorno del 12 ottobre '72, il collega Simonelli aveva affacciato l'ipotesi, che coloro i quali avevano rinunciato a porsi sul terreno delle scelte campanilistiche non si ritrovassero poi a dover subire i danni e le beffe. Non vorremmo cioè, che il problema delle sedi universitarie si risolvesse in una specie di corsa ad handicap, e che la Regione si riducesse poi al ruolo del giudice di traguardo, che prende atto di un ordine di arrivo, già sapientemente previsto attraverso il calcolo dell'attribuzione dei pesi partenza.
Quindi, l'urgenza di studiare e di pianificare le localizzazioni diventa così urgenza di proporre soluzioni concrete.
A questi studi dev'essere posto un termine, che considerando quello fissato, per esempio, dalle Commissioni di studio ad iniziativa della Facoltà di Magistero, mi pare possa essere non oltre l'ottobre-novembre prossimo venturo. E ciò in quanto la credibilità dell'impegno politico della Regione, oggi non messo in dubbio, né da parte dell'Università e del Politecnico, né da parte degli enti locali - è anche, evidentemente, legato alla tempestività delle scelte e delle proposte.
Il Gruppo socialista, che approva la relazione dell'Intercommissione e il complesso della metodologia da esso seguita e delle conclusioni alle quali è pervenuto, ritiene tuttavia che il dibattito consiliare debba condurre ad una chiara ed inequivoca rivendicazione di competenze legislative da parte della Regione.
Il collega Presidente dell'Intercommissione, Consigliere Besate, ha giustamente richiamato le non competenze della Regione nella materia universitaria. Ora, l'ordine del giorno del 12 ottobre rilevava la necessità che la Regione, nell'ambito di una riforma generale, avesse un ruolo determinante nella realizzazione delle strutture universitarie, e potesse dare il suo autonomo contributo al disegno generale.
Il penultimo capoverso dell'ordine del giorno votato il 12 ottobre poi, richiamava l'opportunità che ci si muovesse lungo certe linee per contributi di iniziative e di proposta legislativa al Parlamento nazionale.
Senza entrare nel merito dei contenuti dell'iniziativa legislativa, che sono all'esame del Parlamento nazionale, ci sembra però opportuno proporre in luogo di un'iniziativa legislativa autonoma, che sarebbe comunque subordinata all'approvazione del disegno generale, singoli punti rivendicativi di una specifica competenza regionale.
Essi sono, a nostro parere, essenzialmente due: l'attribuzione alle Regioni della decisione circa la localizzazione delle nuove Università istituite nei rispettivi ambiti territoriali ed il trasferimento alle Regioni degli assegni di studio universitari e dei contributi a favore delle opere universitarie, quale contributo dello Stato per l'attuazione del diritto allo studio nelle Università.
Un indirizzo di questo tipo, a nostro avviso, corrisponde esattamente alla lettera e allo spirito dell'ordine del giorno del 12 ottobre, e si realizza appunto attraverso l'adozione di criteri generali di pianificazione economica e territoriale, di motivazioni delle scelte delle priorità adottate. Comporta che le Regioni disciplinino l'attuazione del diritto allo studio nelle Università con la soppressione delle attuali opere universitarie e la predisposizione di strumenti adeguati per il pieno inserimento della Regione nell'organizzazione universitaria degli interventi.



PRESIDENTE

Ha chieste, di parlare il Consigliere Rivalta. Ne ha facoltà.



RIVALTA Luigi

Il dibattito di oggi ha sottolineato il modo meditato e approfondito con cui l'Intercommissione ha portato avanti questa prima fase di lavoro ai problemi dell'Università, e, nel sottolineare tale atteggiamento, ha ribadito che tale dev'essere la modalità di lavoro dell'Intercommissione nel prosieguo della sua elaborazione e della sua analisi.
Credo sia necessario, intorno ad alcuni problemi che sono stati posti in rilievo, cercar di chiarire cosa si è inteso dire quando si è sollecitato un atteggiamento di "meditazione e cautela" nei confronti di alcune questioni sollevate: in particolare in riferimento alla proposta formulata dall'Università per la formazione di un Centro e di un sistema informativo.
Penso che sia corretto meditare, approfondire tutte le questioni che stanno attorno alla costituzione di un Centro d'informazione, ed intanto rispondere esaurientemente alla domanda relativa a cosa ci può servire, ed al modo con cui noi lo possiamo utilizzare. E credo anche che sia corretto come è stato annotato non mitizzare la funzione della macchina: la macchina non risponde ai problemi se noi non poniamo ad essa dei problemi; ma proprio per questo dobbiamo valutarla positivamente come uno strumento che dipende dalla nostra volontà politica, che noi possiamo utilizzare e far lavorare in direzione degli obiettivi che ci poniamo.
Considerata, dunque, positiva l'esigenza di una cautela (atteggiamento d'altra parte, che è stato assunto dalla Intercommissione in tutta questa prima fase), vorrei anche dire che questo atteggiamento non deve per mascherare o nascondere una sfiducia per l'utilizzo di questi nuovi strumenti che la tecnologia ci offre: sarebbe un atteggiamento, a mio avviso, non solo culturalmente arretrato ma anche, direi, politicamente conservatore, se non addirittura reazionario.
L'impiego degli elaboratori elettronici, senza che si voglia mitizzarne la funzione, o dare ad essi delega alcuna, deve, a mio avviso, esser visto come una condizione indispensabile per adeguare la capacità operativa della pubblica amministrazione alla natura e alla complessità dei problemi che questa deve affrontare. La Regione deve affrontare la questione in questi termini. Inoltre un sistema di informazione e di elaborazione dei dati rende possibile la partecipazione, e consente di partecipare alla elaborazione delle alternative, e alle stesse scelte, nella misura in cui fornisce all'interno e all'esterno del Consiglio la massa delle conoscenze che sono necessarie alla gestione politica ed amministrativa.
Un atteggiamento pur cauto, ma fiducioso, nell'uso di questi strumenti mi sembra poi opportuno da parte della Regione, in quanto è un organismo nuovo, che deve definire le proprie strutture elaborative ed operative, che deve darsi un proprio organico di lavoro, strumenti e personale, che si presenta, quindi, come un organismo in fase di definizione che pu facilmente recepire strumentazioni e tecniche nuove Non ci troviamo nella situazione di altri enti, di altre amministrazioni che presentano delle incrostazioni di carattere burocratico dovute a vecchie tradizioni di lavoro ed al fatto che da tempo non si promuovono innovazioni nei metodi e nelle tecniche di questo lavoro. La Regione si presenta, invece, come l'istituto che più facilmente, più logicamente, culturalmente in maniera più aperta può utilizzare le nuove tecniche, e può fare di esse uno strumento di valorizzazione e di elevazione della propria capacità d'intervento.
Poiché ci si è domandati a che cosa possano servire questi nuovi strumenti - e certamente attorno a questo problema sappiamo ancora troppo poco - vorrei porre all'attenzione dei colleghi che, intanto, queste tecniche ci possono servire alla stessa attività di gestione degli uffici e dei servizi interni della Regione. Mi riferisco ai problemi della gestione automatizzata del bilancio della Regione, ai problemi dell'amministrazione stessa del personale, ai problemi dei servizi economali, alla gestione del patrimonio e del demanio regionale, ai problemi dei lavori pubblici. Le tecniche di utilizzo di questi strumenti consentono addirittura di comporre i capitolati, i computi metrici, e consentiranno di organizzare e ridurre il lavoro degli uffici tecnici della Regione, e di altri enti dipendenti dalla Regione. Risolveranno problemi di consultazione in tempo reale dei provvedimenti amministrativi, problemi di schedatura, di consultazione della biblioteca, di consultazione dei dispositivi legislativi e della documentazione a disposizione. Direi poi ancora, che al di là di questa funzione relativa alla vita interna della Regione, questi strumenti consentono di stabilire dei rapidi rapporti informativi con altri enti ed organismi pubblici esterni all'istituto regionale - intendo gli enti locali, Comuni, Province o altri enti di carattere pubblico - al fine sia di fornire ad essi un servizio di collegamento all'attività della Regione sia per metterli in condizione di fruire autonomamente di tutte le operazioni che questi strumenti possono compiere. Così ad esempio, nel momento in cui la Regione si predispone a svolgere una politica attraverso enti (l'Ente di sviluppo agricolo, l'Ente di sviluppo dell'artigianato), mi pare si ponga con urgenza la necessità di avere degli strumenti adatti per poter stabilire rapporti d'informazione, per poter raccogliere i dati, per poter tempestivamente connettere l'attività di questi Enti con quella della Regione.
Ma non si pongono soltanto questi problemi di ordine pratico, che investono la vita e l'attività e la gestione degli uffici regionali o di altri, enti pubblici, in particolare di quelli collegati con l'attività della Regione, si pongono problemi anche in ordine alla elaborazione dei sistemi secondo cui si procederà all'uso di questi strumenti. E qui condivido i concetti esposti dal collega Gandolfi nella seconda parte del suo intervento. Egli ha posto in evidenza che l'uso di queste macchine non è uso di carattere meccanico e che non esiste nel campo della programmazione esperienze consolidate: richiede oggi anche un aggiornamento delle teorie per dare nuovi sviluppi all'uso di queste macchine, e soprattutto si richiede di applicare ai problemi della programmazione e della pianificazione i sistemi di elaborazione già introdotti in altri settori e di elaborarne di nuovi in grado di soddisfare le esigenze dei calcoli scientifici adatti al tipo di politica di piano che vogliamo svolgere.
Proprio per questo aspetto risulta importante il rapporto che possiamo stabilire con l'Università. Certo, non si tratta soltanto di dividere i costi di impianto, non si tratta solo di una divisione di carattere operativo pratico: si tratta, attraverso questo collegamento e l'utilizzo comune del Centro d'informazione, di stabilire un rapporto per cui l'Università sia stimolata a ricercare le soluzioni che a noi sono necessarie in termini di definizione dei sistemi adatti per affrontare i problemi della programmazione; di avere quindi, un contributo, una collaborazione di questa natura e realizzare una interazione fra la capacità di elaborazione e di ricerca nella formulazione dei sistemi da parte dell'Università e l'applicazione di tali sistemi attraverso l'attività e l'esperienza concreta di programmazione e di piano, che la Regione deve affrontare.
E', quindi, sostanzialmente, un contributo vicendevole, che lascia all'Università i compiti fondamentali di approfondimento teorico e che lascia alla Regione la propria responsabilità di operare per la definizione degli interventi e delle soluzioni più opportune. Ecco, mi sembra che questi aspetti, sia quelli di ordine pratico, sia quelli di una collaborazione teorico-culturale capace di far fare un passo avanti a tutta la ricerca italiana sul piano delle nuove tecniche di programmazione, siano i punti di riferimento per realizzare una collaborazione con l'Università.
La collaborazione in ordine all'utilizzo concreto della macchina va considerato un mezzo e una condizione favorevole per introdurre una collaborazione proficua sul piano culturale fra Regione e Università.
Vorrei ancora sottolineare che nel momento in cui la Regione deve affrontare il piano di sviluppo, nel momento in cui ci si pone il problema dei piani territoriali (e qui ci sono occasioni concrete per decidersi a realizzare e sperimentare prime forme di collaborazione), essa dovrà raccogliere una gran massa d'informazione che dovrà elaborare (intanto i dati dell'Istat, che vengono messi a disposizione della Regione). Senza la costruzione di nuovi strumenti quale quello che deriverebbe dal rapporto con l'Università credo che non sarebbe neanche possibile raccogliere i dati in maniera proficua né prevederne la elaborazione.
Se quindi, è necessario approfondire e definire meglio di quanto abbiamo potuto fare e possiamo fare oggi, il quadro dei possibili utilizzi di questi strumenti da parte della Regione, d'altra parte ci sono già indicazioni reali, sufficientemente chiare, che ci dicono che quella è una strada che noi dobbiamo seguire; e un appuntamento, quello che ci viene offerto dall'Università, a cui noi non dobbiamo mancare.
Passo al secondo punto che mi sono proposto di toccare, di cui si sono occupati altri colleghi nei loro interventi: quello che riguarda la prescelta che è stata fatta dal Consiglio d'Amministrazione dell'Università del decentramento delle Facoltà di Agraria e di Veterinaria nel comune di Santena. Nei confronti di questa prescelta, o meglio, nell'ipotesi che questa prescelta potesse essere fatta, durante i lavori svolti dall'Intercommissione e prima ancora che il Consiglio d'Amministrazione si esprimesse, avevamo sollevato dubbi che non derivavano da posizioni preconcette, ma dal fatto che la scelta appariva casuale ed indipendente dalla definizione del tipo di funzioni che le Facoltà di Agraria e di Veterinaria devono svolgere nella comunità regionale (ad esempio, relazione con il tipo di programmazione della attività agraria che verrà sviluppata nella nostra Regione), ed inoltre, con riferimento ai problemi interni dell'Università, dal fatto che non si è tenuto conto delle relazioni che devono esistere tra le Facoltà di Agraria e di Veterinaria e le altre Facoltà universitarie.
Si è parlato qui, e con insistenza, di caratterizzazione dipartimentale delle Facoltà di Agraria e di Veterinaria. Personalmente, non sono tanto convinto che una dimensione dipartimentale si possa circoscrivere a queste due Facoltà: credo che esse abbiano problemi di relazione e integrazione della loro ricerca, della loro didattica con altri filoni di attività universitarie, in particolare con quelle di Scienze naturali e biologiche con quelle delle Scienze politiche, economiche e finanziarie, e anche con Facoltà di carattere tecnico, come quelle di Ingegneria (si pensi ad esempio all'uso delle macchine nel campo dell'agricoltura). C'è dunque un rapporto complesso, di natura interdisciplinare che mi sembra semplicistico ridurre all'interno delle Facoltà di Agraria e di Veterinaria, e dal quale emerge che non è possibile isolare le Facoltà di Agraria e Veterinaria.
Nasce, quindi, il problema di premettere l'approfondimento sulla natura delle Facoltà di Agraria e di Veterinaria prima di entrare nel merito del significato e delle conseguenze che può avere un loro dislocamento a Santona. E poiché oggi abbiamo sentito ribadire, da parte di tutti gli interventi, che a Santena comunque non potranno avere insediamento che le Facoltà di Agraria e di Veterinaria, nasce il problema di andare a valutare appieno quali ripercussioni si determineranno e sulla Facoltà di Agraria e di Veterinaria e sul resto dell'Università in conseguenza di questo loro isolamento.
Noi vogliamo discutere questi problemi. L'Intercommissione si era appunto posta come obiettivo quello di vagliare se la Facoltà di Agraria che almeno per una parte delle sue attività didattiche, ha esigenze di dislocazione fuori dalla città, può evitare di isolarsi. E' da valutare se non è possibile collocare la Facoltà di Agraria in una situazione meno emarginata dal tessuto urbano, in quanto non sia Santena; ricercare cioè se non esiste la possibilità di una ubicazione marginale sì al tessuto urbano ma che consenta ciò nonostante facili collegamenti e integrazioni con la città e con le strutture universitarie urbane. Pertanto nel corso di questo mese deve essere affrontato seriamente il problema delle Facoltà di Agraria e di Veterinaria, tenendo conto della prescelta fatta, ma senza limitarci alla valutazione delle conseguenze che essa può determinare.
Con riferimento all'organizzazione globale dell'Università, dobbiamo verificare nel corso di questo pur breve lasso di tempo, se esistano altre alternative che rispondano più proficuamente alla duplice esigenza che queste Facoltà siano connesse alle strutture urbane dell'Università e possano contemporaneamente disporre di aree libere.
Desidero dare, per esemplificazione, alcune indicazioni, che addito unicamente come terreno di una possibile ricerca alternativa. Ad esempio Moncalieri, si trova di una decina di chilometri più vicino a Torino rispetto a Santena; ed è un comune che, avendo cinquantamila abitanti, ha già delle caratteristiche positive per poter sostenere una infrastruttura del tipo di quella della Facoltà di Agraria di quella di Veterinaria; è integrata al tessuto urbano di Torino e dispone di una stazione ferroviaria importante, ciò che renderebbe anche facile l'accesso attraverso i mezzi ferroviari.
La localizzazione delle Facoltà di Agraria e Veterinaria nella zona compresa tra Moncalieri e Nichelino potrebbe, mantenendo la natura agricola delle aree ancora libere, preservare da ulteriori congestioni questa zona e salvaguardare alcuni polmoni verdi all'interno dei protendimenti della già avvenuta espansione edilizia della conurbazione dell'area torinese.
La zona di Stupinigi - una zona che è ormai all'interno della conurbazione torinese, sviluppatasi lungo le direttrici di Moncalieri e di Orbassano - potrebbe prestarsi allo stesso scopo. Di Stupinigi si è parlato già altre volte in questo stesso Consiglio: vi ha accennato il Presidente della Giunta nel momento in cui si è posto il problema dei parchi urbani.
E' un territorio che gode di un tessuto boschivo che, per volontà già espressa dalla popolazione torinese e dagli enti locali dell'area torinese oltre che per l'indicazione già data dal Consiglio Regionale, dovrà essere acquisita come parco urbano pubblico, e che potrebbe costituire una sede adatta anche per la collocazione della Facoltà di Agraria e di Veterinaria.
Senza voler qui disegnare delle soluzioni che richiedono ben altra meditazione, penso a titolo indicativo, ad esempio, all'utilizzo che si potrebbe fare delle residenze agricole che precedono il castello di Stupinigi; esse sono il cannocchiale di carattere formale che orientano ed esaltano prospettivamente la residenza di caccia; sono parte del monumento settecentesco; il loro uso è condizione della loro salvaguardia, e penso che si possa fare l'ipotesi non avventata del loro utilizzo nel quadro dell'insediamento delle Facoltà di Agraria e Veterinaria nella zona di Stupinigi (sede di laboratori, ad esempio).
E vorrei ancora citare, proprio come una delle possibilità che devono essere esaminate, quella che è già stata qui richiamata, mi sembra, dal Consigliere Calsolaro, della zona compresa fra Collegno e Venaria, che dal punto di vista agrario è ritenuta una zona ottima, e che ha nei quadrati di Venaria forse un punto di eccellenza rispetto al quale porre l'attenzione per una possibile soluzione dei problemi delle Facoltà di Agraria e Veterinaria. Tenendo anche conto che esiste lì una estensione di terreno di un milione di metri quadrati di proprietà del demanio militare. Nella misura in cui i rapporti fra Regione e Demanio dello Stato si instaurino in maniera positiva, tale area potrebbe essere acquisita ad un prezzo più basso delle mille lire il metro quadrato a cui è stato convenzionato l'acquisto delle aree di Santena (mille lire il metro quadrato che per altro equivalgono a due o tre volte la valutazione fatta dall'Ufficio tecnico erariale dei terreni agricoli delle zone attorno a Torino).
Anche sotto questo profilo economico mi sembra corretto andare ad esaminare tutte le possibilità alternative alla soluzione delle Facoltà di Agraria e Veterinaria ricercata a Santena. Per Venaria, poi, si pu ripetere il discorso fatto per Stupinigi, e cioè individuare la relazione che si potrebbe instaurare tra l'insediamento delle Facoltà di Agraria in quella zona e l'esigenza di salvaguardare un polmone verde all'interno della conurbazione torinese che si protende in direzione di Collegno e di Venaria. Inoltre alle spalle dei "quadrati" si trova la Mandria, estensione boschiva che nel quadro di recupero di parchi urbani per l'area torinese non potrà mancare di essere acquisito. Il parco della Mandria, come per altro quello di Stupinigi, potrebbe costituire un punto di riferimento interessante per l'attività delle facoltà di Agraria e Veterinaria come laboratorio botanico, forestale e zoologico. Direi, anzi, che le Facoltà di Agraria e Veterinaria potrebbero costituire una sorta di presidio dal punto di vista della preservazione e del potenziamento faunistico e floristico di questi parchi. L'esistenza all'interno di questi parchi di attrezzature di carattere agricolo, potrebbe forse fornire una soluzione anche dal punto di vista della dotazione di attrezzature di queste Facoltà.
Anche per quanto concerne le possibilità di accesso la zona di Venaria presenta elementi d'interesse. Essa, come d'altra parte quella di Stupinigi, è toccata dalle tangenziali. In più quella di Venaria ha un privilegio: quello di essere toccata da una ferrovia, la Ciriè-Lanzo; una ferrovia che certo, così com'è, non può essere utilizzata, ma che potrebbe essere attivata come solco per una relazione metropolitana extra-urbana.
Una volta rinnovata e potenziata, tale ferrovia si risolverebbe utile nel caso d'insediamento delle Facoltà di Agraria e Veterinaria. D'altra parte essa è necessaria per l'accesso al parco della Mandria da parte di coloro che una volta reso pubblico saranno interessati: in modo particolare ai bambini, donne, e anziani, i quali avranno bisogno proprio di un servizio di questa natura, (non è pensabile che un parco urbano del tipo di quello della Mandria possa essere servito soltanto dall'automobile privata).
Inoltre essa potrebbe toccare, oltre a Venaria, con i poli di interesse summenzionati, anche Caselle, costituendo così il naturale allacciamento fra l'aeroporto torinese e la città di Torino.
Sia la soluzione di Stupinigi che quella di Venaria presentano poi una funzione di recupero di ambienti monumentali storici, che stante la condizione di decadenza, in particolare di Venaria, si è resa urgente.
Di tutto ciò noi abbiamo parlato in Intercommissione con molta serenità, non volendo assolutamente assumere posizioni preconcette nei confronti di Santena, ma ponendo sul tappeto l'indicazione di possibili alternative come condizione per giungere in modo corretto a formulare delle scelte.
Credo che su questa direttrice la Intercommissione debba lavorare: nei termini di tempo prescritti, perché dobbiamo dare, a questo punto, sui problemi di Agraria e Veterinaria, una risposta concreta; ma approfondendo tutti gli aspetti, onde eliminare quale che sia la decisione, il dubbio che sorgerebbe dal non aver esaminato tutte quelle che possono essere intraviste già oggi come possibili alternative.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FASSINO



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, abbiamo presentato un ordine del giorno che reca anche la mia firma, anzi sono due gli ordini del giorno, ma in questo sono riassunte le posizioni che dopo l'ampio dibattito non richiedono ulteriore illustrazione da parte mia; mi limiterò a dire che abbiamo potuto rilevare gli aspetti altamente positivi del lavoro svolto dall'Intercommissione, del rapporto, del contatto, del dialogo che si è così costituito con l'Università e se qualcuno ha fatto dell'ironia, forse a sproposito, ha trovato nella Regione l'interlocutore politico valido. Credo che avere assunto la guida, la responsabilità delle soluzioni che riguardano un argomento di tale rilievo nella vita regionale non sia fatto di poco conto né un fatto meramente retorico, posto che ci si avvicini a delle soluzioni concrete quali vengono enunciate anche nell'ordine del giorno. Un elogio particolare, se mi è consentito, devo tributare al relatore che ha fatto un lavoro enorme di raccolta, di presentazione di elementi, di dati che consentono al Consiglio di lavorare non sul vago e sul generico, ma su basi meditate. Direi che in questo rapporto con l'Università anche l'istituzione politica nuova della Regione abbia bene figurato, rispondendo alle attese di così qualificato interlocutore come quello dell'Università e dei docenti che si sono mostrati vivamente interessati ed hanno apprezzato.
Ci sono due aspetti: quello che riguarda l'Università torinese e le soluzioni da realizzare nell'ambito del tessuto urbano, così dice l'ordine del giorno e si è voluto dire che le soluzioni per l'Università torinese devono essere orientate, inserite in un tessuto culturale, sociale e di organizzazione di un complesso cittadino dove si verificano gli effetti urbani. Non si pensa ad Università separate in forme di ghetti o di campus mal collocati in un contesto culturale che non ha le tradizioni o i modi per realizzarle efficacemente, quindi un'Università inserita nel vivo della vita del complesso cittadino e dell'area torinese.
Non si pone a questo proposito doppiamente il problema della seconda Università, innanzi tutto perché si pensa in termini di decongestionamento di non ulteriori concentrazioni nell'area metropolitana torinese, ma anche perché lo stesso concetto della seconda Università, al limite, pu considerarsi in via di superamento perché il problema è quello di un sistema universitario integrato che risponda a tutte le esigenze della Regione- E quando, per chiarezza e per concretezza di linguaggio, si pensa alla seconda eventuale Università nelle aree del Piemonte orientale o del Piemonte sud, si pensa ad una specificazione che domani può trovare dei termini organizzativi tali per cui non si abbiano Università di serie A o di serie B, ma un complesso integrato universitario che risponda ad un concetto di città-regione e cioè ad un'integrazione del tutto.
Marciando su questa strada ecco che si colloca la scelta o la pre scelta di Santena, per la quale ci sono delle indicazioni ormai molto consistenti. Anche qui, per margine di prudenza e per condurre un corretto discorso in ordine a tutte le implicazioni che derivano da una scelta per le Facoltà di Agraria e di Veterinaria, c'è questo breve lasso di tempo di ulteriore meditazione e approfondimento del problema che non costituisce però (credo dobbiamo dirlo qui con chiarezza al nostro interlocutore) motivo di remora, di ritardo perché sentiamo che stiamo passando alla fase di concrete realizzazioni sotto l'urgenza dei problemi.
Vi è poi la questione del centro di informatica per il quale occorrono almeno per chi è digiuno di certe nozioni come lo sono io, ancora degli approfondimenti che sono pure richiesti da coloro che vi hanno dedicato un così ampio discorso. Sono materie estremamente suggestive, le tecniche per rispondere alle esigenze esistono: mi sembra che sia stato constatato che esiste l'esigenza politica, tecnica, metodologica di utilizzare strumenti di questo tipo; sul modo invece di dare risposta a questi problemi sussistono opinioni divergenti, opinioni non ancora approfondite. E' quanto sarà fatto dalla Commissione che potrà proseguire nei suoi lavori.
Anticipo anche la dichiarazione di voto del mio Gruppo sull'ordine del giorno che, naturalmente, sarà favorevole.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il relatore Conti, ne ha facoltà.



CONTI Domenico, relatore

Signor Presidente, signori Consiglieri, innanzi tutto desidero esprimere il mio ringraziamento a tutti coloro che attraverso il loro intervento hanno approvato sostanzialmente il lavoro svolto dall'Intercommissione e hanno avuto riguardo per quella che è stata definita una mia certosina fatica.
Dirò poche cose perché gli interventi che si sono succeduti mi esimono dal dilungarmi, atteso che è già stata fornita al Consiglio una relazione.
Per quel che riguarda la valutazione che gli organi competenti della Regione debbono dare sul problema Santena, oltre alle ragioni già espresse e credo molto bene - dal Consigliere Rivalta, circa gli sviluppi della dipartimentalità della nuova sede delle Facoltà di Agraria e Veterinaria sviluppi che non si riescono a prevedere date le interdipendenze, dato la cooptazione che questa interdisciplinarietà necessariamente determinerà, ci sono ancora da ricordare due altri elementi: innanzi tutto la necessità di valutare il problema dei trasporti, perché quando si parla di Santena si è soltanto considerato il trasporto viario e non quello ferroviario. Quello ferroviario è particolarmente importante se si pone mente che Santena sarà l'unica sede di una Facoltà di Agraria e Veterinaria per la Regione, di un dipartimento e che in ogni caso Santena dovrà collegarsi a tutte le altre articolazioni, alle altre iniziative non soltanto universitarie, ma anche al centro di Vercelli per quel che riguarda la specializzazione nelle culture irrigue e risicole, a Cuneo per quel che riguarda il corso di forestazione, zootecnia montana e ad altre iniziative ancora che sono elencate nella relazione, le quali necessitano che tutto l'impianto sia basato su un sistema di trasporti agevole, rapido, sicuro, che infligga i minori disagi possibili agli studenti e ai professori.
In secondo luogo, per quanto riguarda Santena, non bisogna dimenticare il proposito ripetutamente avanzato e dal Rettore e dal Preside di Facoltà di voler sviluppare il settore delle industrie dell'alimentazione, per tutto ciò che attiene alla conservazione e alla trasformazione dei prodotti agricoli ed ai prodotti zootecnici, non soltanto con dei laboratori, ma addirittura con dei modelli di impianto di conservazione e di trasformazione, il che ristabilisce la necessità di vedere quali saranno i rapporti con il Politecnico di Torino.
Quindi il problema è estremamente complesso e bisogna vederlo nel quadro della programmazione regionale.
Per quel che concerne invece il centro di elaborazione dell'Università occorre dare questa osservazione senza la decisione di camminare nella direzione auspicata nella nota del gruppo di lavoro dell'Università, cioè di un'azione congiunta Regione e Università per ciò che riguarda il centro di elaborazione, non so come si possa procedere coerentemente a quanto stabilito dall'ordine del giorno del 12 ottobre per quel che attiene ai rapporti Università-società; Università-territorio; Regione-Università e programmazione.
Senza questa convergenza tutto il discorso posto in essere dall'ordine del giorno è completamente vanificato, perché ci vuole pure un terreno di confronto, di scambio, di interazione, concreto terreno e non astratto operante, che renda praticamente possibili questi rapporti fra Regione ed Università in ordine alla programmazione. Ora, il primo fondamentale terreno è l'elaborazione dell'informazione che a monte impinge sulla ricerca, e a valle sull'utilizzo di quanto viene elaborato. Quindi, se salta questa confluenza io davvero non so come l'Intercommissione potrebbe proseguire il suo lavoro per assolvere il mandato che le è stato assegnato con l'ordine del giorno summenzionato.
Insomma, si tratta di decidere un'appropriata direzione di marcia che interessa la ricerca e l'elaborazione elettronica dell'informazione in ordine alla programmazione. E questa direzione di marcia deve assicurare innanzi tutto l'autonomia della Regione. E' assolutamente indispensabile che anche la scelta del centro, della struttura di cui la Regione vuole servirsi per l'elaborazione elettronica dell'informazione, sia un'espressione di autonomia della Regione. Tenuto presente che l'informatica è il supporto fondamentale della ricerca interdisciplinare che è il tipo di ricerca che occorre per l'attività di programmazione, non soltanto, ma che è il supporto delle competenze decisionali del futuro.
Quindi ci vuole una scelta che garantisca questa autonomia, ma che garantisca parimenti l'aggiornamento tecnico scientifico dell'elaborazione.
Non si pensi di poter partire, per quel che riguarda il centro di elaborazione per la programmazione regionale, dall'utilizzo di modelli o comunque di programmi precostituiti, questo non esiste, basterebbe andare a vedere cosa capita all'interno della Fiat, tutti i programmi vengono fabbricati ad hoc, non si possono acquistare, non esistono i programmi da acquistare.
Occorre garantire l'autonomia ed un collegamento privilegiato con chi può aiutare la Regione in ordine all'efficienza ed efficacia dell'azione programmatoria, che a sua volta è legata alla capacità di elaborare incessantemente modelli e sistemi di elaborazione che non sono comunque diversamente disponibili, è legata alla forza di realizzare un'interdisciplinarietà che sia efficace, è legata alla possibilità di stabilire dei rapporti validi ai fini della programmazione, quei rapporti che si possono stabilire anche mediante un centro di elaborazione. E' legata, l'efficacia e l'efficienza dell'azione programmatoria della Regione, anche al fatto di una scelta nel senso dell'elaborazione elettronica, che possa dar luogo alla formazione di quei ricercatori e di quegli operatori senza di cui la programmazione è una parola.
Tutto ciò comporta che si decida di scegliere un compagno di marcia il quale sia più valido sotto questo aspetto e mi pare che l'Università lo sia. D'altra parte l'Università da parte sua, qui non è stato ricordato ma conviene sottolinearlo, questa collaborazione con la Regione a livello di un centro di elaborazione, l'ha richiesta con queste motivazioni: prima di tutto perché questo tipo di rapporto permetterebbe di definire una committenza alternativa per la ricerca scientifica, l'Università avrebbe finalmente una committente alternativa, rispetto a quella solita, cioè la Regione e secondo l'opinione espressa dalla nota del gruppo di lavoro dell'Università è quanto mai necessaria per assicurare una nuova qualificazione politica e culturale all'Università. Non solo, ma per assicurare un terreno estremamente fertile in ordine alla definizione dei contenuti di interi settori universitari, in primo luogo del nuovo corso di laurea in scienza dell'informazione, per cui qualora la Regione volesse camminare in un'altra direzione deve tener conto anche di questa mancata possibilità offerta all'Università per quel che riguarda la riqualificazione del suo ruolo.
E' stato detto che si vede l'opportunità di questa collaborazione circa la quale bisogna ancora effettuare studi e ricerche adeguate, però è stato detto che tutto ciò non comporta necessariamente individuare già, sia pure come oggetto di ricerca, la costituzione di una struttura giuridico amministrativa. Faccio presente che questo è un elemento indispensabile.
Non è vero che il tipo di struttura giuridico-amministrativa del centro a cui la Regione potrà accedere per l'elaborazione che le interessa, sia del tutto indifferente, la struttura è un dato interagente rispetto al tipo di collaborazione che si vuole stabilire, non è che si possa ottenere quella collaborazione auspicata con qualunque tipo di struttura di centro, anzi la struttura del centro dovrebbe sancire anche in termini gestionali funzionali, operativi, appunto questa collaborazione fra Università e Regione.
D'altra parte vorrei ricordare le difficoltà in cui versa la stessa Ires attualmente, la quale è continuamente in cerca di mezzi di elaborazione adeguati alla sua attività di studio in ordine alla programmazione. E sappiamo (ce l'ha detto il Rettore) che ha cercato anche presso l'attuale centro di calcolo dell'Università la possibilità di potersene avvalere ai suoi fini. Naturalmente si deve subordinare a tutto il programma dell'attività che questo centro ha già per conto suo.
Insomma, mi sembra che l'esigenza politica e l'esigenza tecnica vadano viste congiuntamente, l'una è il riflesso dell'altra, l'una è il sostegno e l'espressione dell'altra, tanto più poi che dal punto di vista metodologico non è possibile approfondire fino in fondo il problema della collaborazione Università-Regione a livello di un centro di elaborazione, se non si avviano già degli esperimenti. Non si può a priori definire tutto quanto bisogna avviare degli esperimenti in base ai quali poi si può accertare nel concreto la realtà di queste possibilità.
Ecco perché nella relazione dell'Intercommissione, a pag. 42, c'era anche la richiesta di mandato di raccogliere gli elementi necessari per lo sviluppo di un'azione graduale che realizzi nell'immediato forme di collaborazione tra Università e Regione, la quale si avvarrà dell'Ires per i problemi più urgenti di programmazione e tali da consentire la sperimentazione concreta della linea proposta.
Io credo che nella formula licenziata dall'ordine del giorno debba comprendersi opportunamente anche questa specificazione, cioè un'azione di raccolta di elementi in ordine alla realizzazione nell'immediato di forme di collaborazione. Io credo che verranno al Consiglio delle indicazioni relative a questi rapporti nell'immediato di forme di collaborazione. E questo riguarda quell'esigenza metodologica a cui faceva riferimento il mio Capogruppo avv. Bianchi proprio per dare concretezza ed efficacia alle opportunità che si sono presentate.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE OBERTO



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Presidente della Giunta, ne ha facoltà.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Credo ci si stia avviando tutti volentieri al parere favorevole espresso dai vari Gruppi consiliari, in ordine ai lavori svolti da questa Intercommissione, ai primi contatti avuti con i problemi dell'Università al panorama di approfondimento che unitamente alla relazione del collega Conti, è stato offerto circa una serie di problemi inerenti più da vicino la Regione, per quanto attiene ai suoi rapporti con l'Università.
Credo si tratti di una scelta deliberatamente ed unanimemente voluta dal Consiglio Regionale; quella cioè di assumersi, anche al di là delle specifiche competenze di ordine legislativo ed amministrativo, in qualità di organo politico, e sulla base di un rapporto certamente dialettico forse talvolta anche di contrapposizione ma comunque sempre di collaborazione, un'incombenza, poiché tale deve ritenersi, quella di fiancheggiare gli organi dell'Università ai quali compete di dare soluzione alla ristrutturazione dell'ateneo, di collocarlo in un contesto non solo di carattere organizzativo, ma anche di carattere culturale che costituisca veramente un elemento di promozione e di sviluppo della nostra Regione e che ricollochi l'Università di Torino a quel livello di carattere culturale, scientifico ed anche promozionale che, per il passato, prima che emergessero dei così importanti problemi di ristrutturazione e di riorganizzazione, l'Università di Torino ha avuto.
Il lavoro che è stato condotto, è certamente la premessa ad un successivo sviluppo citato nell'ordine del giorno stesso ed inerente il problema di questo centro di informatica, nel quale trovano implicita collocazione i temi che il Consigliere Conti ha qui ricordato e che certamente meritano di essere esaminati in tutta la loro ampiezza, vastità ed importanza e che presuppongono, da parte nostra, una notevole attenzione.
Pertanto, il proseguire lungo questa strada, mi sembra sia non soltanto utile, ma necessario ed altresì uno stretto collegamento con tutti i problemi che la programmazione regionale comporta; quindi ritengo sia altrettanto necessario quanto indispensabile, il punto di riferimento con quello che anche se non il solo, è certamente il più importante centro di studi e di elaborazione inerente la programmazione regionale, cioè l'Ires.
Su questo punto, conseguentemente a quanto già è emerso in questo Consiglio, non ritengo ci si debba ulteriormente soffermare, atteso che si tratti ancora di proseguire negli studi e di acquisire delle informazioni il problema importante e di più immediata urgenza, sul quale siamo stati invitati ad esprimere un parere mediante deliberazione promulgata dall'Amministrazione dell'Università, ritengo sia quello inerente il decentramento delle Facoltà di Medicina veterinaria e di Agraria. Occorre assumere una posizione nei confronti della prescelta fatta dal Consiglio d'Amministrazione dell'Università per la località di Santena.
Io dividerei, come di fatto è stato diviso, l'ordine del giorno in due: l'opportunità di una collocazione decentrata delle due Facoltà e la scelta della località. A me pare che, se il decentramento è limitato a queste due sole Facoltà, come sembra di desumere dalla deliberazione del Consiglio d'Amministrazione dell'Università, questo primo punto possa essere accettato, favorevolmente vagliato, sia pure mantenendo insoluti tutti quei problemi di connessione tra le diverse discipline come è stato sottolineato dal collega Conti e che anche il Consigliere Rivalta ha ricordato.
Vorrei tuttavia sottolineare che indubbiamente le due Facoltà rivelanti maggiori analogie, come tipo di possibilità di dipartimenti, sono sicuramente quella di Agraria e quella di Medicina veterinaria. Ovviamente i problemi dell'economia agraria, dell'ingegneria agraria, quelli connessi con l'alimentazione, le connessioni tra queste ed altre Facoltà quali Chimica, Scienze naturali, come potrebbero essere quelle del Politecnico sono evidenti e non credo sia necessario ulteriormente soffermarsi su tali problemi alfine di evidenziarli in maniera chiarificante.
Va tuttavia detto che nell'attuale ordinamento universitario, pur trovandoci ancora di fronte a strutture che si incardinano sulle Facoltà (se pure con una tendenza, qual è quella emersa anche in sede di studi preliminari, verso una riforma universitaria con maggiore connessione) queste Facoltà non vengono considerate quali monadi chiuse, ma si vedono proiettate verso l'esterno con tutta una serie di articolazioni interdisciplinari. Vi è in definitiva, proprio perché si tratta di studi superiori, una certa specializzazione che è poi la specializzazione delle Facoltà.
Per cui, atteso che resta ancora questo il cardine su cui è articolata attualmente l'organizzazione universitaria, tutto sommato, ciò che mi sembra estremamente importante sottolineare è che all'interno di queste Facoltà, quanto meno quelle che hanno maggiori motivi di interdipartimentalità, si cominciano a realizzare le prime strutture di connessione.
In ultima analisi, la scelta del trasferimento di queste due Facoltà nel tentativo di dare un primo assetto interdipartimentale, mi sembra positiva; comunque è certamente da ritenersi un passo avanti rispetto alla struttura sulla quale si è articolata, fino ad oggi, l'Università di Torino. Io credo che ogni innovazione intesa in questa direzione, debba essere considerata come un elemento positivo da sostenere e non da ostacolare, in previsione di soluzioni che, da un punto di vista culturale ed organizzativo, possono anche sembrare ottimali, ma che rischierebbero se portate troppo a lungo, di rallentare o persino di rendere inoperante un miglioramento, sia pure graduale, qual è quello che viene proposto.
Su questo problema richiamerei l'attenzione del Consiglio Regionale e credo sarebbe auspicabile che, quanto meno, si cominciasse con il procedere a questa prima scelta.
Una questione diversa è quella della localizzazione. Indubbiamente Santena presenta degli aspetti positivi ed altri che quanto meno vanno esaminati, perché da una prima valutazione potrebbero sembrare negativi: mi riferisco ai trasporti, tenuto conto che gli studenti, dovendosi recare da Torino a Santena, dovrebbero essere messi, ovviamente, in condizioni di poter accedere a queste Facoltà con una certa facilità.
Ritengo sia opportuno, prima di pronunciarsi favorevolmente, acquisire alcuni elementi suppletivi di indagine, proprio in considerazione dei problemi che un insediamento di questo genere fatalmente comporta, in particolare quello dei trasporti, ma anche altri che riguardano la pianificazione territoriale. Tale problematicità presuppone, da parte nostra, una ponderata valutazione onde evitare la formazione di insediamenti di questa rilevanza che potrebbero riflettersi in modo negativo sul disegno di carattere metropolitano che andiamo proseguendo e che la Giunta intende portare avanti previo esame approfondito e sul quale evidentemente chiede il consenso e l'appoggio del Consiglio.
Col decreto del Presidente della Giunta si è fatta la perimetrazione dell'area urbana e la Regione si è assunta la responsabilità di definire un piano territoriale di coordinamento, secondo l'art. 5 della legge urbanistica.
Una prima valutazione è già stata fatta in ordine all'organismo che dovrà elaborare questo progetto di piano di coordinamento. La Giunta non intende presentare un semplice disegno all'interno dell'Amministrazione regionale, quanto piuttosto intrecciare un discorso con le Amministrazioni interessate e conseguentemente evidenziare le soluzioni atte a rispondere alle esigenze che emergono dai diversi Comuni. Dal punto di vista dell'area metropolitana emerge la necessità di dare ad essa un disegno determinando le funzioni e soprattutto un'articolazione di questo tessuto che risponda agli obiettivi da noi perseguiti, come quello di costruire una metropoli a misura dell'uomo e quindi riequilibrarla là dove essa ha subito delle deviazioni squilibranti. L'Amministrazione regionale può oggi, con gli strumenti amministrativi e legislativi che ha in mano, contribuire a risolvere questi problemi.
A mio avviso, la ristrutturazione dell'Università ed in particolare la località scelta dal Consiglio d'Amministrazione dell'Università, va vista in funzione di questo tentativo di riequilibrio in seno all'area metropolitana e ritenuta come uno degli elementi sui quali esprimere un giudizio in rapporto agli obiettivi che vogliamo raggiungere.
Colgo qui l'occasione, relativamente anche all'impostazione data al disegno dell'area metropolitana, per sottolineare come la questione non possa essere isolata da un'altra serie di problemi che io inizialmente, mi ero ripromesso di sottoporre all'attenzione dei Consiglieri in un prossimo Consiglio Regionale, ma che ritengo opportuno anticipare oggi, in questa sede: nell'ambito del piano territoriale di coordinamento in cui devono essere definite le scelte relative alla localizzazione di particolari servizi, occorre innanzitutto esaminare le parti regionali dell'area metropolitana che si dovrebbero incardinare proprio su "La Mandria" e sui terreni di Stupinigi con un asse attrezzato che li colleghi. Evidentemente ci sono già le tangenziali, ma è possibile trovare una congiunzione, anche nel quadro di un sistema di parchi regionali, che arrivi fino alle Vallere sulla base delle indicazioni qui espresse e che troveranno, in sede di revisione di variante del piano regolatore di Moncalieri, una loro collocazione con diramazioni a pettine lungo gli assi fluviali della Dora del Sangone e della Chisola in particolare, cioè verso la valle di Susa da un lato, la Val Sangone dall'altro, la Valle del pinerolese ed in particolare verso Cumiana.
Indicazioni di questo genere sarebbe opportune che, a mio giudizio emergessero dal Consiglio Regionale, proprio come una possibilità di trattativa con coloro che (fortunatamente si tratta di pochi proprietari) possiedono queste aree, affinché abbiano la consapevolezza che rientra tra le facoltà della Regione, il vincolare queste aree a verde pubblico e conseguentemente pagare questi terreni sulla base dei prezzi che prevede la legge 865.
In questo quadro di sistemazione del verde, ritengo debba anche essere affrontato il problema dell'Università. E' emersa un'indicazione che credo, sia da ritenersi come un'alternativa rispetto a quella di Santena e cioè quella de "La Mandria" se ho ben capito, dove peraltro si sta già ubicando l'Istituto zooprofilattico mediante la delimitazione, nell'interno di quel comprensorio di una proprietà di 80.000 mq. e, sulla base delle notizie pervenutemi, si è già apprestato ad iniziare le costruzioni.
Meno possibile credo sia l'individuazione del terreno del demanio che a quanto risulterebbe,l'Esercito intende utilizzare e sta utilizzando per il Ministero della Difesa (credo per l'aviazione). Nei giorni scorsi passando in quella zona, ho visto una tribuna con tante bandierine, quindi ho l'impressione che lo stiano utilizzando.
Sono convinto come, nell'ambito dell'Intercommissione che, facendo riferimento allo Statuto, penso stia assumendo, sotto tutti gli aspetti, la configurazione di una Commissione speciale per i problemi dell'Università si possa anche tenere conto delle indicazioni qui emerse, senza escludere la scelta operata dal Consiglio d'Amministrazione intesa come una scelta valida, e nemmeno la possibilità di uno studio rapido di questa alternativa che, al limite, mi sembra possa essere altrettanto positiva.
Personalmente, non sono favorevole alla creazione delle Facoltà nel parco di Stupinigi; mi sembra che dal punto di vista dei trasporti Stupinigi non presenti soluzioni migliori di quelle offerte da Santena.
L'unica vera, reale alternativa è quella de "La Mandria".
Vedrei tutto questo con una certa rapidità, anche perché essendo noi stati impegnati dal Consiglio d'Amministrazione dell'Università a fornire una risposta, non vorrei che la Regione, con dei ritardi, si assumesse la responsabilità di non garantire una sollecita ristrutturazione dell'Università di Torino.
Sulla base di queste considerazioni, credo che l'ordine del giorno debba essere accettato ed è in questo senso che la Giunta intende accettarlo, ringraziando l'Intercommissione per il lavoro svolto e per il lavoro che, per quanto riguarda la parte relativa all'informatica, si appresta a fare, garantendo tutta la collaborazione che eventualmente si voglia richiedere alla Giunta stessa, alfine di addivenire alla soluzione del problema.



PRESIDENTE

Salvo che sulle interessanti comunicazioni fatte dal Presidente della Giunta si volesse ancora intervenire prima di arrivare alla votazione dell'ordine del giorno, aggiornerei la prosecuzione del dibattito a giovedì.



BIANCHI Adriano

Io interverrei brevemente.



PRESIDENTE

Non ci sono altri interventi? La parola al Consigliere Bianchi.



BIANCHI Adriano

Non sul tema generale dell'Università, sul quale abbiamo detto quello che ritenevamo ci fosse da dire, ma sull'argomento che il Presidente ha colto l'occasione per introdurre e cioè sull'acquisizione di aree al demanio regionale per garantire l'applicazione dei programmi che sono in corso di elaborazione, avrei intenzione di presentare un ordine del giorno al fine di sollecitare e sostenere, con l'appoggio e la volontà del Consiglio, il Presidente e la Giunta ad acquisire i complessi che sono stati indicati La Mandria, Stupinigi, Le Vallere, affinché l'area metropolitana possa essere dotata di strumenti importanti per la sua organizzazione.
A questo fine stavo preparando un ordine del giorno che però ritengo sia opportuno che nel suo contenuto e nel suo testo preciso venga concordato possibilmente tra i vari gruppi politici e presentato per la votazione, se sarà consentito, alla prossima seduta del Consiglio Regionale.



PRESIDENTE

Prendiamo atto di questo impegno.


Argomento: Università

Ordine del giorno sui problemi degli atenei torinesi e sulle università in Piemonte


PRESIDENTE

Passiamo alla lettura dell'ordine del giorno che porrei in votazione distinto in due atti formali: "Il Consiglio Regionale del Piemonte, esaminata la relazione del Gruppo di Lavoro Intercommissione per i problemi dell'Università; preso atto dell'attività fin qui svolta dal Gruppo di Lavoro approva la relazione e le linee orientative in essa formulate e particolarmente, al punto terzo, parte II in ordine alla ristrutturazione dell'Università e del Politecnico di Torino e al decentramento universitario nella Regione piemontese.
Il Consiglio Regionale del Piemonte prende atto della deliberazione assunta in data 8/5/1973 dal Consiglio d'Amministrazione integrato dell'Università, concernente la pre-scelta di un'area in Comune di Santena per il trasferimento, con sviluppo dipartimentale, delle sole Facoltà di Agraria e di Medicina veterinaria e del voto favorevole a sottoporre al parere dei competenti organi della Regione la suddetta pre-scelta prende atto altresì che le esigenze didattiche e di ricerca delle due Facoltà sono incompatibili con la permanenza all'interno dell'area urbana di Torino delle Facoltà stesse riafferma che la ristrutturazione delle istituzioni universitarie torinesi deve attuarsi nel tessuto urbano di Torino e che la realizzazione di nuove Università in Piemonte è prioritaria rispetto ad un'eventuale seconda Università torinese demandato all'Intercommissione di procedere ad acquisire e definire gli elementi necessari da sottoporre, entro un mese, all'esame del Consiglio acquisendo preventivamente il parere della Giunta Regionale, per una valutazione in ordine alle implicazioni del trasferimento per rapporto ai problemi della programmazione regionale, territoriale ed universitaria incarica l'Intercommissione di esaminare i problemi della ristrutturazione dell'Università e del politecnico di Torino, ricercando con le componenti interessate, in particolare l'Università , il Politecnico ed il Comune di Torino, anche le possibili soluzioni idonee alle esigenze urgenti ed immediate delle strutture universitarie con particolare riferimento ai problemi posti da quelle Facoltà ed Istituti che presentano sistemazioni precarie".
L'ordine del giorno reca le firme: Besate, Garabello, Calsolaro Rossotto, Bianchi, Revelli, Rivalta, Simonelli, Soldano e Vera.
Nessuno chiedendo di parlare sull'ordine del giorno lo pongo in votazione. Chi approva è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato all'unanimità.


Argomento: Università

Ordine del giorno sulla collaborazione tra Regione ed Università in ordine al Centro per trattamento automatico dell'informazione


PRESIDENTE

Altro testo che reca le firme: Garabello, Gandolfi, Rossotto, Viglione Bianchi, Soldano, Revelli, Vera, Rivalta, del seguente tenore: "Il Consiglio Regionale considerato l'interesse della Regione Piemonte ai fini della sua politica di programmazione, dell'informazione e partecipazione democratica alla proposta avanzata dall'Università per la costituzione di un Centro per il trattamento automatico dell'informazione riconosce nell'Università l'interlocutore fondamentale per dare avvio ad una collaborazione in questo settore dà mandato al gruppo di lavoro e Intercommissione di raccogliere ed approfondire gli elementi necessari per sottoporre al Consiglio Regionale la possibilità di realizzare, utilizzare e gestire un Centro per il trattamento automatico all'informazione".
Nessuno chiedendo di parlare pongo in votazione l'ordine del giorno.
Chi lo approva è pregato di alzare la mano.
E' approvato all'unanimità.


Argomento:

Documenti - Assegnazione a Commissioni


PRESIDENTE

Informo il Consiglio Regionale che il Presidente della Giunta ha trasmesso un disegno di legge regionale "Contributi per il rinnovo e l'efficienza del materiale rotabile alle imprese concessionarie di autoservizi di linea per viaggiatori" e un secondo disegno di legge regionale "Contributi negli oneri di esercizio delle imprese concessionarie di autoservizi di linea per viaggiatori".
Entrambi i disegni di legge vengono assegnati alla II Commissione.
Ricordo a tutti che giovedì mattina continuano i lavori del nostro Consiglio e che per le ore 9-9,30 e 10 sono fissate le riunioni delle Commissioni. Vorrei pregare di essere presenti per procedere alla nomina del Presidente e del Vicepresidente.
Secondo quanto ho detto in precedenza gli ordini del giorno e le interrogazioni e interpellanze intervenute saranno lette al termine della seduta di venerdì venturo.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 20)



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