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Dettaglio seduta n.155 del 17/05/73 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE OBERTO


Argomento:

Approvazione verbali sedute precedenti


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Punto primo dell'o.d.g.: "Approvazione verbali sedute precedenti".
Sono stati distribuiti i testi dei processi verbali. Ci sono in proposito osservazioni? Nessuno chiedendo di parlare, i verbali si intendono approvati.


Argomento: Partecipazioni azionarie regionali - Commercio

Interpellanza dei Consiglieri Nesi e Calsolaro in merito al parere sulle dimissioni del Presidente del SAMIA


PRESIDENTE

Passiamo al punto secondo dell'o.d.g.: "Interpellanze e interrogazioni".
Interpellanza dei Consiglieri Simonelli e Nesi del 15 marzo '73: "Designazione del consulente e notizie sul dibattito promosso dalla Camera di Commercio di Genova concernente l'europorto di Genova".
La risposta compete all'assessore Paganelli, che è in aula. Avendo per il Consigliere Simonelli chiesto congedo, come mi viene ora comunicato, la discussione dev'essere rinviata.
Interpellanza Nesi-Calsolaro del 5 aprile '73: "Parere sulle dimissioni del Presidente del SAMIA in seguito a divergenze con i pubblici poteri".
E' presente il Consigliere Calsolaro, quindi possiamo dar corso alla discussione dell'interpellanza. Ha facoltà di parlare l'Assessore Petrini.



PETRINI Luigi, Assessore all'industria

Signor Presidente, Signori Consiglieri, e colleghi Nesi e Calsolaro con la interpellanza in discussione, chiedono che la Giunta si esprima sulle dimissioni del presidente del Salone Mercato Internazionale dell'Abbigliamento di Torino, dotti Giordano Ducrey, e, in particolare, di conoscere: se le divergenze con i pubblici poteri, che, come è stato annunciato dai giornali, sono alla base di tali discussioni, riguardano anche la Regione Piemonte se non ritenga la Giunta che tali dimissioni possano preludere ad uno spostamento di sede del SAMIA da Torino ad altra città italiana che cosa si intenda fare perché lo stillicidio di spostamenti di sede, anche di aziende commerciali, che procura un gravissimo danno alla Regione, possa essere bloccato.
Dato atto che le profonde divergenze con i pubblici poteri che lo stesso dott. Giordano ha addotto a motivo delle sue dimissioni riguardano il modo di condurre la politica economico-promozionale del settore, la rilassatezza con la quale si tenta di affrontare i troppi problemi della moda in Italia, e la caparbietà nell'errore che perdura a proposito del frazionamento fieristico nazionale e del progressivo caos nei relativi poteri, occorre subito rilevare che tali divergenze non toccano se non di riflesso le competenze locali, e che, in particolare, non riguardano l'Amministrazione regionale, la quale, sin dal momento della concreta acquisizione delle proprie competenze in materia, ha sempre aderito alle istanze che le sono pervenute dal SAMIA, ed ha dimostrato concretamente di riconoscere negli incontri di moda-economia preparati da tale Salone dei "momenti" importantissimi agli effetti sia commerciali che promozionali per lo specifico settore della moda e dell'abbigliamento.
In relazione a quanto sopra, l'Amministrazione regionale, che pure esclude per quanto ha potuto appurare - che le dimissioni del dott.
Giordano Ducrey possano preludere ad uno spostamento di sede del SAMIA in altra città italiana, si impegna ad adoperarsi, con tutta la propria forza politica, affinché siano date a tale riguardo le più valide garanzie, e assicura che, sul piano degli interventi concreti, non mancherà, come ha sempre fatto per il passato, di considerare nel suo giusto valore le iniziative che tale Salone assumerà per lo sviluppo di un settore che tanta importanza riveste nel quadro dell'economia regionale.



PRESIDENTE

La parola all'interpellante.



CALSOLARO Corrado

Ringrazio e mi dichiaro soddisfatto, soprattutto per la dichiarazione con la quale si esclude la possibilità di un trasferimento del SAMIA da Torino.


Argomento: Polizia rurale, urbana e locale

Interpellanza dei Consiglieri Fassino ed altri sugli episodi di intemperanza e teppismo nel Liceo Classico "Silvio Pellico" di Cuneo


PRESIDENTE

Interpellanza del 17 aprile '73 dei Consiglieri Fassino - Gerini Rossotto - Zanone: "Episodi di intolleranza e teppismo di un gruppo di estremisti durante un'assemblea richiesta da studenti nell'Aula magna del Liceo classico "Silvio Pellico" di Cuneo alla presenza della Medaglia d'Oro della Resistenza Edgardo Sogno".
L'interpellante desidera sviluppare l'argomento? Allora, ha facoltà di parlare l'Assessore Borando, per la risposta.



BORANDO Carlo, Assessore alla polizia urbana e rurale

Signori Consiglieri, ho l'incombenza di rispondere alla interpellanza presentata dai Consiglieri del Gruppo liberale in merito ai fatti verificatisi il 2 Aprile scorso al Liceo "Silvio Pellico" di Cuneo.
Il 2 aprile era stata convocata dal Preside del Liceo Classico "Silvio Pellico" di Cuneo un'assemblea democraticamente richiesta dalla maggioranza degli alunni della scuola (228 favorevoli, 114 contrari e 22 astenuti) per dibattere il tema: "Che cosa è attuale nella Resistenza".
Quale oratore ufficiale della conferenza, era stato invitato Edgardo Sogno, Medaglia d'oro della Resistenza.
L'assemblea è stata impedita per l'intervento di un gruppo di studenti dell'Istituto tecnico di Cuneo simpatizzanti della Sinistra extraparlamentare ("Lotta continua" e "Manifesto"), introdottisi con la forza nei locali dell'Istituto e che con megafoni hanno disturbato la conferenza lanciando ad alta voce slogans di propaganda ed accuse all'indirizzo dell'oratore.
Il Preside, dopo qualche tentativo per far ristabilire l'ordine e consentire il proseguimento dell'assemblea, la sospendeva definitivamente.
Sulle cause che hanno determinato tali fatti si è potuto appurare quanto segue.
Com'é noto, la Medaglia d'oro Edgardo Sogno si è distinto nella attività partigiana della guerra di Liberazione, oltre che per atti di valore, anche per essere stato comandante della "Organizzazione Franchi".
Di recente, però, talune sue affermazioni di carattere politico sono state interpretate e giudicate non molto favorevolmente da taluni ambienti, al punto che pare siano state mosse nei suoi confronti accuse per aver tradito la causa della Resistenza.
Così, in un certo senso, può spiegarsi la freddezza con la quale è stato accolto al suo arrivo a Cuneo e la reazione di un gruppo di studenti dell'Istituto tecnico di Cuneo, simpatizzanti di movimenti extraparlamentari di sinistra, i quali, in segno di protesta per la preannunciata assemblea al Liceo "Silvio Pellico", hanno deciso lo stesso giorno di non presentarsi alle lezioni nella propria scuola per recarsi al Liceo classico onde impedire che detta assemblea vi si svolgesse. Come si è detto, tali giovani sono penetrati con la forza all'interno della scuola e, dopo aver disturbato la conferenza con ogni mezzo, sono riusciti a farla sospendere.
Sulle responsabilità dell'accaduto l'Autorità giudiziaria indaga a seguito di denuncia debitamente inoltrata dal Preside del Liceo.
Non ritengo possa essere posta in discussione la figura della Medaglia d'oro al merito partigiano Edgardo Sogno, che per i valori della Resistenza e per l'affermazione dei principi di libertà ha duramente combattuto e sofferto. Debbo quindi considerare inaccettabili, oltre che offensive, le insinuazioni a lui rivolte come quella di "aver tradito la Resistenza".
Rifacendomi all'episodio ora illustrato, desidero ancora precisare che la convocazione dell'assemblea era stata democraticamente richiesta dagli studenti del Liceo "Silvio Pellico", e quindi democraticamente si sarebbero potuti e dovuti dibattere gli argomenti del tema proposto, oggetto e scopo dell'assemblea. E' stato invece sufficiente l'intervento di un gruppo di giovanotti, che certamente dimostrano di non conoscere i valori della Resistenza, e che scambiano la libertà per un privilegio fondato sulla sopraffazione, perché una democratica riunione non potesse più svolgersi.
Tutto ciò, bisogna ammetterlo, è sconfortante specie se si considera che non si tratta di episodi isolati ma che essi si inseriscono in un clima di intemperanze e di disordini che dura da lungo tempo nella scuola e nelle Università.
Pertanto, interpretando i sentimenti della Giunta Regionale, esprimo la più viva deplorazione e condanna per gli episodi avvenuti al Liceo "Silvio Pellico" di Cuneo.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare uno degli interpellanti: il Consigliere Rossotto che ne ha fatto richiesta.



ROSSOTTO Carlo Felice

Mi dichiaro soddisfatto della dichiarazione rilasciata, per la Giunta dall'Assessore Borando.


Argomento: Enti strumentali - Trasporti e comunicazioni: argomenti non sopra specificati

Interpellanza dei Consiglieri Simonelli e Nesi in merito al dibattito sull'europorto di Genova


PRESIDENTE

Consigliere Nesi, poco prima che lei entrasse in aula avevamo rinviato una interpellanza sua e del Consigliere Simonelli del 15 marzo '73 relativa alla "designazione del consulente e notizie sul dibattito promosso dalla Camere di Commercio di Genova concernente l'europorto di Genova". Se lei ritiene, pensando di interpretare il pensiero del Collega Simonelli che si possa discutere ora, l'Assessore Paganelli sarebbe disponibile per la risposta.



NESI Nerio

Senz'altro.



PRESIDENTE

Il Consigliere Nesi desidera parlare per illustrare l'interpellanza? La parola, allora, all'Assessore Paganelli.



PAGANELLI Ettore, Assessore alla programmazione

Signor Presidente, Signori Consiglieri, la mancata partecipazione del Presidente della Giunta all'incontro promosso a Genova il 9 marzo dall'Associazione "Genova-Viva" sul tema; "Funzione della Liguria in un sistema integrato interregionale" è derivata dalla materiale impossibilità dello stesso di essere quel giorno a Genova, per impegni già assunti in precedenza. Questa difficoltà era stata fatta preventivamente presente agli organizzatori dell'incontro, i quali non sono però stati in grado di spostare la data.
Peraltro, stante l'oggettiva rilevanza dell'incontro e l'interesse che il tema in discussione riveste per il Piemonte, e stante anche la impossibilità del sottoscritto a presenziare, si è ritenuto opportuno essere presenti con il dott. Gatti, consulente alla programmazione presso questo Assessorato.
Nel suo intervento, il dott. Gatti ha sottolineato la necessità di valorizzare tutti i porti della Liguria, nel quadro di un sistema portuale integrato dell'Alto Mediterraneo che vada da Livorno a Marsiglia, in un arco all'interno del quale si possono individuare ruoli specializzati per i diversi scali.
Per potenziare i posti liguri occorre recuperare lungo le coste lo spazio disponibile decentrando le industrie e predisponendo terminals portuali, connessi ad aree industriali da localizzare nel retroterra, in specie nell'Alessandrino.
Il Dott. Gatti si è mosso sulle linee programmatorie sviluppate in diversi documenti ed occasioni: dal piano di sviluppo approvato dal CRPE al piano della Provincia di Alessandria, predisposto da quella Amministrazione provinciale, al più recente Rapporto preliminare dell'IRES; in tutti questi documenti si ritrova la proposta di realizzare nel retroterra piemontese i terminals portuali di Genova e Savona.
Infine, egli ha sostenuto la necessità di definire in termini concreti ed operativi questa proposta, che deve vedere l'impegno comune delle Regioni e dello Stato per la realizzazione di questo sistema portuale integrato.



PRESIDENTE

La parola all'interpellante Consigliere Nesi.



NESI Nerio

Signor Presidente, ritengo di dover sollevare due questioni, una formale e una sostanziale.
Quella formale è che a quell'incontro non è intervenuto né il Presidente della Giunta né l'Assessore competente: è stato mandato il dott.
Gatti, persona stimabilissima ma che non credo sia qualificata a rappresentare la Giunta Regionale. Ci auguriamo pertanto che la prossima volta partecipi personalmente un assessore.
Quella sostanziale riguarda il modo in cui siamo stati messi al corrente del parere della Giunta sui porti liguri: non credo sia il modo migliore farlo così sommariamente, di sfuggita, in apertura di seduta, dal momento che si tratta per il Piemonte di uno dei problemi più importanti.
Mi dichiaro pertanto insoddisfatto.



PRESIDENTE

Interrogazione Nesi-Calsolaro del 17 aprile '73: "Intervento presso la GEPI e l'Amministrazione comunale di Cossato a tutela dell'occupazione della Manifattura Gallo".
Dovrebbe rispondere l'Assessore Visone, che però mi ha chiesto congedo.
Pertanto, devo aggiornare la discussione dell'interrogazione.


Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

Passiamo al punto terzo dell'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente".
Hanno chiesto congedo i Consiglieri Giovana, Simonelli, Zanone, Visone soltanto per il mattino e Domenico Curci soltanto per il pomeriggio.
Lo stesso Consigliere Curci ha chiesto per iscritto che si dia notizia che il Consigliere Carazzoni chiede congedo per le due sedute odierne. Ho il dovere di ricordare ancora ai Colleghi Consiglieri che le richieste di congedo debbono pervenire prima dell'apertura della seduta, perché possano essere adempiute le norme regolamentari: io dovrei far affiggere all'albo l'elenco di coloro che hanno chiesto congedo, ai fini della determinazione del numero legale della nostra Assemblea.


Argomento:

Documenti Assegnazione e Commissioni


PRESIDENTE

In data 14 maggio la Giunta regionale ha presentato il disegno di legge n. 86 relativo a "Proroga dell'esercizio finanziario '72", che in data 15 maggio è stato assegnato alla 1° Commissione consiliare.
In data 15 maggio i Consiglieri Ferraris, Berti, Besate, Bono ed altri hanno presentato la proposta di legge n. 87 relativa a "Integrazione delle provvidenze previste dalla legge statale n. 364 del 25 maggio '70 'Fondo di solidarietà nazionale e interventi per la difesa attiva contro la grandine '", in pari data assegnata alla 6^ Commissione consiliare.
Per entrambi i disegni di legge è stata richiesta dai presentatori la procedura d'urgenza, a sensi dell'art. 44 terzo comma dello Statuto e 11 del Regolamento. Se il Consiglio acconsente, si intende accordata la procedura d'urgenza. Vi sono opposizioni o rilievi? Allora, è concordemente accettata la procedura d'urgenza.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio


PRESIDENTE

Siamo stati invitati a partecipare al Consiglio l'iniziativa di un Convegno italo-sovietico su "La donna e i problemi sociali della maternità", che si terrà a Mosca dal 10 al 17 giugno.
Sono pervenuti alla Presidenza questi documenti: dall'Amministrazione provinciale di Pisa, un voto auspicante la elezione diretta dei delegati italiani al Parlamento europeo e un altro voto circa il progetto di legge di iniziativa regionale per il finanziamento dei programmi di edilizia scolastica, nonché un voto per il finanziamento da parte dello Stato degli oneri derivanti agli Enti locali dall'applicazione della legge 336 e successive modificazioni dal Consiglio regionale toscano una mozione sull'attentato fascista di Milano e una deliberazione sul trasferimento alle Regioni delle Foreste demaniali dai Coltivatori diretti e particellari di Asigliano, Tricerro Stroppiana, Fontanetto Po, Lenta, Rovasenda, Costanzana, Desana, Buronzo Villarboito e Balocco un documento con cui si chiedono interventi della Regione a favore delle aziende contadine e dell'associazionismo dal Comune di Carpi un documento relativo alle esperienze di medicina preventiva.


Argomento: Comunita' montane

Esame del disegno di Legge n. 65 "Delimitazione delle zone montane omogenee. Costituzione e funzionamento delle Comunità montane"


PRESIDENTE

Qualcuno chiede di parlare sulle comunicazioni? Nessuno? Allora passiamo al punto quarto dell'o.d.g.: "Esame del disegno di Legge n. 65, relativo a: 'Delimitazione delle zone montane omogenee. Costituzione e funzionamento delle Comunità montane '".
Ne è relatore il Consigliere Dotti, che però in questo momento non è in aula.



BIANCHI Adriano

Forse sarebbe opportuno sospendere brevemente la seduta, anziché far rimanere il Consiglio in attesa.



PRESIDENTE

Accolgo la richiesta, ma non senza protestare, a nome del Consiglio e a titolo personale, come presidente: situazioni di questo genere - non c' il relatore, non c'è l'Assessore competente - non si devono verificare.
La seduta è sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 10,50, riprende alle ore 11)



PRESIDENTE

Il Presidente della Commissione chiede di protrarre ancora di qualche minuto la sospensione per dargli modo di riunire la Commissione stessa. La seduta è nuovamente sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 11,05 riprende alle ore 11,20)



PRESIDENTE

Passiamo dunque all'esame del punto quarto dell'o.d.g. Ha chiesto di parlare il Presidente della Giunta. Ne ha facoltà.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Signor Presidente e signori Consiglieri, desidero fare una breve dichiarazione preliminare, relativa alle conclusioni tratte da un esame che la Giunta ha fatto ancora ieri del disegno di legge presentato, e conseguente a tutta la serie di dibattiti avvenuti a livello di Commissione e regolarmente riportati in Giunta dagli Assessori che vi hanno partecipato.
Tenuto conto di alcune motivazioni emerse dalle discussioni, la Giunta è pervenuta alla determinazione di proporre la modifica degli articoli 10 e 11 del disegno di legge quali erano stati presentati ed ha già offerto alla valutazione della Commissione, questa mattina, le variazioni suggerite.
Le modifiche riguardano il metodo di approvazione degli Statuti e dei piani di sviluppo delle Comunità montane.
Per gli Statuti, è apparso opportuno che l'approvazione non venga demandata agli organi di controllo, ma, trattandosi di un atto eminentemente politico, anche per analogia con quanto previsto per l'approvazione degli Statuti delle Regioni, che vengono approvati dal Parlamento, al Presidente della Giunta, con suo decreto, su conforme deliberazione del Consiglio regionale.
Per i piani di sviluppo, tenuto conto della relazione esistente fra questi e il piano di sviluppo regionale, è parso opportuno introdurre una analogia di approvazione fra i piani di sviluppo di carattere zonale, quali quelli delle Comunità montane, e il piano di sviluppo regionale. Si è pertanto accettato, sulla base di tale valutazione, anche per motivazioni di carattere politico, che sia la Giunta a fare l'istruttoria e a decidere per l'approvazione, sulla base di un parere conforme del Consiglio regionale.
Evidentemente, la funzionalità e la rapidità dell'approvazione di questi piani sono imposte dalla legge nazionale, che lascia per l'approvazione di essi un periodo di tempo di sessanta giorni: un iter di approvazione quale quello che la Giunta sottopone all'attenzione del Consiglio comporta che si trovino dei punti di raccordo che rendano rapida questa approvazione, cioè sufficientemente ampia la istruttoria in base alla quale vi ha da essere il conforme parere del Consiglio regionale.
Io mi preoccupo della funzionalità di questo sistema di approvazione in considerazione della ristrettezza del tempo di cui dispongono gli organi regionali, e del fatto che, ove non vengano approvati entro i sessanta giorni, tali piani diventano automaticamente esecutivi. Pertanto, se noi adottiamo un iter di approvazione troppo complesso, rischiamo di superare questo periodo di tempo; e in definitiva, non pronunciandoci su questi piani, i quali diverrebbero comunque esecutivi, è indubbio che ne scapiteremmo dal punto di vista della funzionalità e dell'esame che dobbiamo pure fare.
Nel fare questa proposta, in Consiglio, dopo aver vagliato tutte le discussioni avvenute, all'apertura del dibattito su questa legge, la Giunta rivolge al Consiglio regionale la preghiera di voler trovare, poi informalmente, il modo più idoneo per soddisfare questa esigenza di funzionalità, attraverso un raccordo tra il periodo di istruttoria che la Giunta fa su questi piani e che propone all'approvazione del Consiglio scegliendo, ad esempio, delle modalità di esame sufficientemente rapide capaci di consentire agli organi della Regione di rimanere nei sessanta giorni concessi per l'approvazione di questi documenti.



PRESIDENTE

Immagino che sarà proposto un emendamento nelle forme dovute.



CALLERI Edoardo, Presidente, della Giunta Regionale

Sì, un emendamento che la Commissione già conosce.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il relatore Dotti.



DOTTI Augusto, relatore

Signor Presidente, signori Consiglieri, come avrete rilevato anche dalle dichiarazioni del Presidente della Giunta, questa ha avuto un lungo travaglio.
Si tratta di una legge regionale di grande portata, perché concerne uno dei primi atti per l'assetto del territorio della Regione Piemonte. Vi sono interessati oltre 500 Comuni, classificati montani da leggi precedenti, sui 1209 Comuni che costituiscono il complesso degli enti che rappresentano, in fondo, i cittadini nella nostra Regione al livello di base dell'organizzazione amministrativa autonoma e che esprimono praticamente la libertà democratica di ognuno di organizzarsi per amministrarsi: 500 Comuni, che coprono oltre i due quinti del territorio.
E' quindi naturale che le discussioni in seno alla Commissione fra i suoi membri, i dibattiti fra la Commissione e il rappresentante della Giunta, e inoltre le consultazioni che hanno portato alla partecipazione degli enti montani, e quindi non solo dei Comuni montani ma anche dei Consigli di valle, delle Comunità già costituite, e delle associazioni che si interessano dei problemi montani, abbiano richiesto un arco di oltre cinque mesi perché si giungesse a questa legge.
E' una legge fatta evidentemente nell'ambito della legge quadro 1102 e che per la prima volta dà una organicità agli interventi sulla montagna.
Due sono i suoi scopi; la difesa del suolo e della natura, e il progresso e lo sviluppo economico e sociale delle popolazioni che vivono in montagna.
Questi due scopi, però - dice la legge con molta precisione - si raggiungono soprattutto attraverso una amministrazione, una programmazione sovracomunale. E questo, direi, è veramente il punto essenziale di questa nostra legge, che deve abituare i piccoli Comuni, i numerosi piccoli Comuni che vivono nelle vallate a pensare insieme, a organizzarsi insieme su piani ben precisi di sviluppo, che poi si svilupperanno a loro volta in programmi pluriennali e si tradurranno in programmi stralcio annuali. E la particolarità di questa legge è che la Regione seguirà e finanzierà direttamente questi piani: cioè, non verranno poste a disposizione delle Comunità montane cifre da impiegare poi come meglio credono, ma con il controllo della Regione verranno realizzate le opere.
Per questo questa legge è così importante e significativa. E se anche noi, in un primo tempo, con questa legge, abbiamo voluto dare a ciascuna Comunità montana i benefici di questi finanziamenti in un modo, direi salomonico, abbiamo voluto distribuire, come dico nella relazione, un po' di "pioggia benefica" a tutte le comunità montane, pensiamo però che in avvenire, quando la Regione avrà espresso, attraverso il proprio piano di sviluppo, un piano di sviluppo per la montagna, sarà possibile avere applicazioni diverse di questi mezzi finanziari. Perché è naturale che non tutte le Comunità montane hanno bisogno degli stessi finanziamenti: vi sono comunità montane che potranno essere, con semplici provvedimenti legislativi regionali, conservate, difese, senza applicazione di particolari interventi finanziari; ve ne saranno altre in cui gli interventi di pronto soccorso per rimediare ai disastri che per secoli sono stati fatti dalla stessa natura, dalle acque, richiederanno un intervento particolare ad hoc, anche una tantum, della Regione; avremo invece altre località, altre comunità montane, che avranno bisogno di interventi reali per il loro sviluppo, sia per mantenervi la popolazione già residente sia per accrescerla. Dopo questo primo passo, dopo i primi anni di applicazione della legge, il Consiglio regionale dovrà pensare ad interventi più specifici, più particolari, e diversificati da comunità montana a comunità montana.
E' chiaro che, per giungere a questo secondo stadio, le Comunità montane dovranno allargarsi, dopo questo primo raccogliersi insieme. Devo dire che tuttavia la partenza non è sbagliata, perché comunque le valli sono coperte interamente dalle istituende Comunità montane. Però, le valli laterali confluiscono anche in valli più ampie, e forse un programma meglio si addice ad una Comunità più estesa. Lo Stato, non volendo certamente sopprimere i Comuni, o eliminarli, o ingrandirli, ha lasciato ad essi la possibilità di una intesa con la Regione per costituire queste loro amministrazioni: però, ha lasciato anche alla Regione il compito di far opera di convincimento presso i Comuni stessi perché guardino un po' oltre il campanile della loro vallata. Questo sarà, noi riteniamo, il modo di procedere giusto e razionale della Regione, che non vuole tanto superare i campanilismi quanto convincere i Comuni stessi che operando in zone più vaste potranno raggiungere mete, traguardi e obiettivi che sono stati finora limitati o anche resi impossibili da queste divisioni tradizionali che si giustificano con il costume, con le glorie dei Comuni stessi, il folclore e anche con interessi qualche volta troppo particolaristici.
Le Comunità montane che noi istituiamo sono 45. Siamo riusciti, in partenza, a convincere solo due Comunità a riunirsi, quelle del Mottarone e del Cusio: comunque, è già un passo avanti. Le altre sono rimaste così come la Giunta aveva prospettato e come i Comuni stessi all'unanimità hanno accolto. Evidentemente, queste 45 Comunità montane, all'inizio, dovranno attrezzarsi anche con propri uffici, per la stesura del piano. Alcune hanno già ricevuto, con leggi precedenti, fondi per la redazione di questi piani e risulta che alcuni siano quasi pronti. Le Comunità avranno un anno di tempo per stendere questi piani, un periodo evidentemente abbastanza ampio.
E' probabile che entro il 30 settembre di quest'anno nessuna Comunità montana sarà in grado di presentare alla Regione un programma-stralcio di opere e di finanziamenti relativi alla sistemazione del proprio territorio: bisognerà quasi certamente attendere il settembre del '74, e direi che tale ritardo non sarà cosa pregiudizievole, anzi, forse, consentirà di giungere a soluzioni più logiche ed efficaci, perché nel frattempo noi avremo formulato il nostro Piano di sviluppo regionale, al quale la legge impone che le Comunità montane coordinino i loro piani, oltre che al programma di sviluppo nazionale.
Dopo l'art.1, che delimita le Comunità montane, abbiamo una serie di articoli che riguardano piuttosto la struttura delle Comunità stesse.
La Giunta ha voluto ovviamente sempre attenersi a principi di democraticità, per cui là dove si parla della Giunta delle Comunità montane si è badato a dimensionare queste Giunte a seconda dei Comuni che le compongono, "nei limiti di sobrietà", è detto anche nella mia relazione che il legislatore ha voluto egli stesso fissare per i Consigli delle Comunità montane, cui partecipano i Consiglieri di maggioranza e di minoranza dei Comuni che le compongono.
L'art. 9, che riguarda lo Statuto, è denso di modalità e di norme che devono seguire le Comunità montane. Abbiamo voluto specificare tutte queste cose per rendere più armonici gli statuti fra loro e per evitare che le Comunità montane abbiano a dimenticare norme essenziali per il loro funzionamento.
Per l'art. 10, che riguarda gli statuti, avete ascoltato la proposta di modifica fatta dal Presidente della Giunta: gli statuti saranno approvati "su conforme deliberazione del Consiglio , regionale". Noi tutti ci auguriamo che queste deliberazioni da parte del nostro Consiglio siano di carattere più formale che sostanziale, dal momento che, dovendo gli statuti uniformarsi sia a quello regionale, sia alla Legge comunale e provinciale sia ai principi della Legge quadro 1102, sia ai principi della presente legge, dovrebbero arrivare già perfetti all'esame del Consiglio: l'atto del Presidente della Giunta sarà quello che rende esecutivo lo Statuto stesso.
L'art. 11 riguarda i piani di sviluppo. Anche a questo proposito avete ascoltato dal Presidente della Giunta la proposta di variazione. Una modifica di evidente importanza, che riconduce in seno al Consiglio Regionale, praticamente, attraverso la richiesta del suo parere, il controllo dell'aderenza di questi piani al piano di sviluppo regionale.
Praticamente, le Comunità montane si danno una propria legge, con il piano di sviluppo, ed è quindi giusto che questa legge sia anche visionata dal Consiglio Regionale. Però, anche qui è ovvio che il maggior lavoro di verifica dovrà essere svolto dalla Giunta, con gli strumenti di cui dispone, i suoi Assessorati e i suoi Uffici: le Commissioni che saranno competenti a loro volta ad esprimere un parere, non debbono venire troppo oberate di lavoro, tenuto conto che questi piani regionali diventano esecutivi quando sia trascorso un periodo di tempo piuttosto ristretto sessanta giorni, un paio di mesi. Perché sia possibile fare un buon lavoro ci auguriamo che la Giunta possa presentare effettivamente al Consiglio Regionale un lavoro abbastanza dettagliato e perfetto, di modo che le Commissioni non abbiano poi a vedere il proprio lavoro vanificato dal superamento del limite di tempo concesso.
Gli articoli 12 e 13 riguardano la redazione dei programmi stralcio e la possibilità che le Comunità montane stendano piani urbanistici, la Giunta ha insistito, ed a ragione, perché si rimanesse nei termini della legge-quadro, cioè, invece di dire che le Comunità montane "devono redigere" ha preferito usare la dizione della legge-quadro 1102 nel senso che le Comunità montane "possono redigere" piani urbanistici. Il fatto di ricorrere ai piani urbanistici è un fatto, direi, essenziale, è un operare assolutamente razionale, perché solo con la disciplina riusciremo veramente a difendere l'interesse generale dei Comuni, a evitare che gli abusi dei singoli possano poi diventare gli abusi di tutti. La formulazione di piani urbanistici riguardanti gli insediamenti residenziali o gli insediamenti economici, la difesa del suolo, la difesa idrogeologica della montagna, la forestazione, sarà effettivamente un indice di maturazione di amministrazione civile; perché è indubbio che in mancanza di questi piani avremo sempre delle iniziative isolate, che creano malessere, scontento e caos. Io mi auguro veramente che questo "possono redigere" sia inteso dalle Comunità montane come un obbligo morale di buona amministrazione.
L'art. 14 è un po' il punctum dolens della nostra legge. Noi abbiamo secondo un criterio di giustizia democratica, ma non efficientistica pensato di distribuire i fondi assegnati alla Regione in modo direttamente proporzionale alla popolazione e all'estensione del territorio precisamente per il 50 in base alla popolazione, altrettanto in base al territorio. Se la Giunta stessa non avesse all'inizio presentato un progetto che prevedeva che i due decimi dei fondi fossero comunque suddivisi fra le Comunità montane, per il fatto stesso e semplice di erigersi da parte dei Comuni in Comunità montane, l'opera della Commissione, come è risultato da una consultazione dei Comuni stessi avrebbe avuto un successo concreto maggiore di quello che ha ottenuto. Il sistema adottato è già un passo avanti: però non è, ripeto, un passo definitivo, in quanto che non tutte le Comunità montane hanno bisogno nella stessa misura di aiuti finanziari. Mi auguro, quindi, che in seguito la Giunta stessa possa proporre al Consiglio delle modifiche alla legge, che tengano conto dei reali fabbisogni finanziari per la realizzazione delle opere nelle Comunità montane.
Gli altri articoli che seguono contengono norme transitorie per l'applicazione della legge.
Vorrei fare ancora alcune osservazioni di carattere generale. Noi non dobbiamo dimenticare che i Comuni montani sono parificati alle aree sottosviluppate, e quindi hanno il grosso vantaggio di beneficiare di provvedimenti di carattere finanziario per la intrapresa di iniziative economiche nel loro territorio.
Forse, le Comunità montane si troveranno all'inizio in difficoltà a coordinare i piani di sviluppo al Piano di sviluppo regionale, di cui noi abbiamo avuto finora una bozza preliminare, il Piano Ires, che non è stato ancora adottato dal Consiglio Regionale: però, le discussioni e i contatti che abbiamo già avuto con esse possono già servire ad indirizzarle sulla buona strada.
Un altro adempimento della Regione, che purtroppo comporterà un periodo piuttosto lungo di tempo, è la presentazione allo Stato di una relazione programmatica delle proprie Comunità montane, perché tutte le Regioni dovranno presentare al Ministero dell'Agricoltura e Foreste questa programmazione, in base alla quale il CIPE farà la ripartizione. E' evidente che fino a quando tutti i piani di sviluppo delle Comunità montane non saranno pervenuti al Ministero dell'Agricoltura e Foreste, il CIPE non potrà provvedere a questa ripartizione, e purtroppo, quindi, dovremo aspettare l'anno prossimo per vedere distribuiti fondi sostanziosi, che sono già stati stanziati dalla legge 1102. Questo richiamo alla Giunta viene fatto affinché non si perda troppo tempo e si permetta effettivamente alle Comunità di presentare almeno entro il 30 settembre '74 i programmi stralcio. Le Comunità montane devono anche presentare un loro bilanci preventivo annuale, dice la legge, in base all'affidamento degli stanziamenti: essi non saranno però in grado di approntare questo bilancio preventivo fin tanto che non avranno ricevuto dalla Regione più o meno l'indicazione dell'ammontare di questi affidamenti di stanziamenti.
Non mi dilungo ulteriormente, anche per consentire ai miei Colleghi di intervenire a loro volta con una certa ampiezza, e mettere in evidenza gli aspetti più interessanti delle nostre consultazioni. Concludo dicendo che quello che la Giunta ha presentato è una buona legge, che per la prima volta richiama il Piemonte a darsi una programmazione efficiente come assetto territoriale, che serva davvero a ridare alle Comunità delle nostre vallate montane, divenute ormai solo luogo di diporto e di consumo del tempo libero, una loro dignità ed una loro funzione.
Ho voluto inserire nella mia breve relazione una frase che può apparire poetica, nel senso che in montagna veramente si ritrovano animi semplici depositari di millenarie civiltà che noi abbiamo perduto nelle nostre città, ove si vive affannosamente, tumultuosamente, ove alle volte il progresso è soltanto illusorio. La sistemazione di questi territori indicherà anche il grado di maturazione della nostra politica: dovremo tendere ad utilizzare questo nostro territorio come territorio nel quale ritroviamo gli antichi valori della vita, dove ci accorgiamo ancora del trascorrere del tempo, cioè delle stagioni. Molte volte noi passiamo dall'estate all'inverno nel chiuso delle nostre discussioni e dei nostri luoghi di lavoro, senza accorgerci del mutare delle stagioni, mentre in montagna più che in qualsiasi altro luogo il cambiamento delle stagioni è veramente legato non solo al ritmo della vita ma al significato stesso della vita.
Vi ringrazio per l'attenzione che mi avete prestata e lascio la parola ai miei Colleghi.



PRESIDENTE

Chiede di parlare l'Assessore Chiabrando. Ne ha facoltà.



CHIABRANDO Mauro, Assessore alla tutela dell'ambiente e alla sistemazione idrografica e forestale

Signor Presidente, signori Consiglieri esprimo innanzitutto la soddisfazione della Giunta e mia personale per la conclusione dell'iter della legge per la montagna della nostra Regione, la quale, nonostante il ritardo dovuto a varie vicende, giunge ancora prima di quelle di varie altre Regioni italiane.
Desidero poi ringraziare i membri della 2^ Commissione del Consiglio e il suo presidente, dott. Dotti, per la notevole mole di lavoro svolta sin da quando, nel novembre dell'anno scorso, sono stati assegnati il D.D.L.
della Giunta regionale e quello dei Gruppi consiliari comunista e socialista: consultazioni, ricerca di dati, approfondimenti, confronto fra i vari disegni di legge e discussioni hanno impegnato in modo continuativo salvo la parentesi dovuta al bilancio regionale, la Commissione e chi vi parla, quale rappresentante della Giunta Regionale.
La legge 3 dicembre 1971, n. 1102, per lo sviluppo della montagna, come risaputo, demanda alle Regioni la ripartizione dei territori montani in zone omogenee, e la Costituzione, tra i Comuni che ricadono in ciascuna zona omogenea, definita in base all'art. 3 della Comunità montana.
La Giunta Regionale del Piemonte, con l'entrata in vigore della nuova legge per la montagna, avvenuta il 7 gennaio 1972, ha ritenuto di affrontare gli adempimenti legislativi previsti a carico della Regione costituendo un "Comitato interassessorile per la montagna", per tenere conto delle molteplici finalità che la legge tendeva a perseguire.
Il Comitato è stato costituito dagli Assessori: alla Tutela dell'ambiente (coordinatore), all'Urbanistica, alla Viabilità all'Agricoltura, alla Programmazione, all'Industria.
Il Comitato ha subito iniziato la propria attività indicendo per la fine di gennaio una riunione di enti ed uffici che sotto vari aspetti si sono occupati e si occupano tuttora dei problemi montani (tra cui l'UNCEM piemontese, le Province piemontesi, le Camere di Commercio del Piemonte gli Ispettorati regionali e ripartimentali delle Foreste del Piemonte) al fine di raccogliere documentazione, osservazioni e pareri in merito alla delimitazione dei territori montani è alla normativa che doveva orientare la formazione e il funzionamento delle Comunità montane.
In una successiva riunione, tenutasi all'inizio del mese di marzo 1972 il Comitato interassessorile ha esaminato le varie proposte circa la delimitazione dei territori e la normativa per il funzionamento delle Comunità montane, pervenute dalle Province e Camere di Commerci piemontesi.
Su tale base, su queste prime indicazioni, il Comitato ha concordato in primo luogo, di avviare le consultazioni dei Comuni montani relativamente alla ricerca di intesa sulla loro ripartizione in zone omogenee, attraverso l'organizzazione di riunioni di Sindaci, attuate provincia per provincia e zona per zona.
Si sono tenute complessivamente venti riunioni di consultazione delle Amministrazioni comunali interessate, a cui hanno partecipato complessivamente oltre 400 dei 484 Comuni montani piemontesi (pari all'80%). Le riunioni si sono sviluppate dalla fine del mese di marzo al mese di luglio. Sulla base di tali indicazioni è stata redatta una relazione con le delimitazioni proposte, nella quale venivano individuate 46 zone montane omogenee. La relazione è stata inviata l'11 settembre a tutti i Sindaci dei Comuni montani, al fine di ottenere il parere dei Comuni stessi.
Dalle risposte pervenute dai Comuni è emerso che 462 hanno espresso parere favorevole (o con deliberazione esplicita, o con tacito consenso) mentre 22 hanno manifestato, con deliberazione, parere sfavorevole (3 in provincia di Cuneo, 3 in provincia di Novara, 3 in provincia di Torino, 13 in provincia di Vercelli).
I maggiori contrasti si sono verificati nel Biellese, dove alcuni Comuni delle Valli Cervo, Elvo e Strona sostenevano l'unione dell'intera Valle in un'unica Comunità, in contrasto con altri che volevano l'autonomia dei Comuni delle alte valle rispetto a quelli delle basse.
Si sono poi avute altre divergenze di vedute nell'Ossola e nel Cusio in provincia di Novara; a Verzuolo, Ceva e Sale San Giovanni, in provincia di Cuneo; a Meana di Susa, Bruzolo, S. Ambrogio e nelle Valli di Lanzo, in provincia di Torino.
Le divergenze di cui sopra sono state esaminate dal Comitato interassessorile prima, dalla 2^ Commissione poi, e le conclusioni sono andate nella direzione di rispettare il più possibile le volontà delle Amministrazioni dei Comuni, al fine di raggiungere "l'intesa" voluta dalla legge, pervenendo, in tal modo, a delimitare delle zone più piccole di quelle che la Giunta e la Commissione avevano auspicato. Avremo, quindi delle Comunità che non potranno affrontare certi temi di programmazione sovracomunale, perché di entità insufficiente, ma siamo convinti che, con l'omogeneità economica, territoriale e sociale che la legge 1102 voleva e che è sicuramente stata raggiunta, esse avranno la solidità, lo slancio e l'efficienza necessari per raggiungere e realizzare gli obiettivi che si propongono.
In totale, è stata raggiunta l'intesa con il 95,4%dei Comuni, mentre non vede realizzare le proprie aspirazioni e richieste solo il 4,6%.
A questo proposito, è comunque doveroso far notare che quello raggiunto è stato il maggior risultato possibile, perché l'accogliere le richieste dei 22 Comuni contrari alla ripartizione proposta avrebbe provocato la "non intesa" con un numero di altri Comuni di gran lunga superiore.
Va sottolineato, comunque, il fatto che si è potuta raggiungere tale alta percentuale di accordo con i Comuni interessati alla ripartizione in quanto si sono normalmente rispettate le preesistenti delimitazioni già eseguite, ai sensi della legge n. 987, delle Commissioni censuarie ed in base alle quali, almeno in Piemonte, erano sorti i Consigli di Valle: solo in alcuni casi si è giunti ad una fusione tra due preesistenti Consigli di Valle.
Parallelamente alle consultazioni, il Comitato interassessorile ha predisposto la bozza del disegno di legge per la delimitazione delle zone montane omogenee e la costituzione e funzionamento delle Comunità montane.
Il testo del disegno di legge, redatto dal Comitato interassessorile e approvato dalla Giunta regionale in data 31 ottobre 1972, è stato trasmesso alla Presidenza del Consiglio regionale, che lo ha affidato per l'esame alla 2° Commissione consiliare, in data 15 novembre 1972.
La 2° Commissione consiliare ha dapprima affrontato le delimitazioni proposte dalla Giunta e i pareri pervenuti dai Comuni montani ed ha poi esaminato i testi dei disegni di legge presentati dalla Giunta Regionale e dai Gruppi consiliari socialista e comunista. Essa ha promosso nuove consultazioni, sia presso le Amministrazioni comunali che avevano manifestato parere sfavorevole al disegno di legge della Giunta, sia con quelle che, pur avendo espresso il loro consenso alle delimitazioni proposte, auspicavano la fusione di due o più delle zone montane previste.
A seguito delle nuove consultazioni e dei nuovi pareri espressi dai Comuni, la 2° Commissione ha definito la delimitazione delle zone montane omogenee, unificando le zone del Cusio e del Mottarone, in provincia di Novara, e aggregando, come da loro richiesta, i Comuni di Ternengo, Ronco Biellese e Zumaglia, precedentemente inseriti nella zona montana delle Prealpi biellesi, alla Bassa Valle Cervo. Tutte le altre proposte di variazione e unificazione di zone non sono poi state accettate dai Comuni e sono state abbandonate.
Nella Regione Piemonte si sono quindi individuate e delimitate 45 zone omogenee (4 in provincia di Alessandria, 10 in provincia di Cuneo, 10 in provincia di Novara, 13 in provincia di Torino, 8 in provincia di Vercelli) su cui si costituiranno pertanto altrettante Comunità montane.
Le 45 Comunità, costituite mediamente da 10-11 Comuni, riuniscono i 484 Comuni classificati montani, con una superficie montana totale di ettari 1.230.066 e con una popolazione montana residente di 606.632 abitanti.
Ora, concludendo, si pone il problema di approvare al più presto la legge affinché ogni Comunità montana sia posta in condizione di insediarsi e di avviare la propria attività, che prevede, tra i primi adempimenti, la costituzione degli Organi, l'approvazione dello Statuto e la formazione del piano di sviluppo.
Mi auguro che il testo proposto dalla Giunta e approvato questa mattina dalla Commissione possa raccogliere le più ampie convergenze in Consiglio.



PRESIDENTE

Vorrei pregare i Consiglieri che intendono intervenire di iscriversi per rendermi conto di quanti chiedono la parola Ferraris, Petrini, Fonio Rossotto, Beltrami, Menozzi, Vera. Vediamo il tempo che si impiega e ad un certo momento ci determineremo.
Darei la parola al Consigliere Ferraris che l'ha chiesta per primo.



FERRARIS Bruno

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, stiamo per assolvere ad adempimenti di grande rilievo e lungamente attesi dalle popolazioni montane. Il nostro gruppo è stato a lungo esitante se presentare o meno una relazione di minoranza sull'importante proposta di legge e questo al di sopra di alcuni fatti positivi che abbiamo contribuito a fare includere sia nella relazione presentata dal Presidente della II Commissione collega Dotti, sia nello stesso articolato. Siamo stati a lungo esitanti proprio perché ritenevamo che nel complesso la legge non fosse adeguata a soddisfare le reali esigenze, gli obiettivi, le finalità che si vogliono perseguire.
Se abbiamo rinunciato a presentare una relazione di minoranza non è certo per pigrizia e neppure in omaggio alle osservazioni che sono state accolte e al modo in cui i colleghi della maggioranza si sono dimostrati sempre aperti, sensibili alle nostre proposte, ma perché abbiamo continuato a lavorare per non precludere la possibilità di giungere, negli incontri che ci sono ancora stati e in questo stesso dibattito, al miglioramento del testo licenziato dalla Commissione.
E la dichiarazione iniziale del Presidente della Giunta, subito dopo accolta all'unanimità da parte della Commissione che si è riunita prima di iniziare questo dibattito, ci ha confermato che avevamo scelto, almeno per la parte normativa, la strada giusta.
Ma l'avere rinunciato a presentare una relazione di minoranza, il fatto di dichiararci soddisfatti delle dichiarazioni del Presidente e degli ultimi miglioramenti apportati agli artt. 10 e 11, non ci può ovviamente indurre a minimizzare quei motivi di dissenso che ancora ci separano e non a sottolineare quella necessaria separazione di responsabilità che in modo più documentato, più puntuale si sarebbe potuto fare con una relazione scritta e che io cercherò di fare ora, sia pure sinteticamente, con il mio intervento.
Per prima cosa noi, di fronte all'attesa delle popolazioni montane riteniamo di dover separare ogni nostra responsabilità per il ritardo col quale la Regione Piemonte e quindi questo Consiglio giunge alla discussione ed al varo di questa proposta di legge. E non è un argomento convincente quello addotto dall'Assessore Chiabrando che c'é qualche altra Regione che segna il passo. Non è una consolazione quella di dire che oltre a noi in Italia c'é anche qualcun altro che zoppica.
Non era obbligatorio arrivare dopo il termine ultimo della legge 1102 potevamo anche arrivare prima, come qualche altra Regione ha fatto, noi invece siamo arrivati dopo oltre 4 mesi dalla scadenza dei termini e questo ritardo non è certo da imputare al Consiglio ma, come noi abbiamo già fatto in precedenza, alla Giunta sia per il ritardo col quale ha presentato la proposta di legge, sia per il metodo adottato e per quella scorrettezza di cui abbiamo già discusso in quest'aula. E quando parlo di scorrettezza mi riferisco al fatto che la Giunta o il Comitato interassessorile ha ritenuto necessario consultare i Comuni (forse era utile e comunque rientrava nelle sue prerogative) cosa che è stata causa non soltanto di ritardo, ma di altre conseguenze negative di cui dirò.
In ogni caso arbitraria è la lettera del 17 settembre con la quale il Presidente della Giunta inviò quell'insieme di proposte che aveva raccolto consultando i Comuni (consultazione che, come ho detto, poteva anche essere considerata lecita) invitando i Consigli Comunali a pronunciarsi su un tipo di zonizzazione, su una ripartizione del territorio montano ma non sulla base di una proposta di legge, perché tale non era quel documento. In quel momento si è inserita una procedura scorretta che ha spogliato il Consiglio e le Commissioni della possibilità di rinviare contemporaneamente le altre proposte di legge all'esame dei vari Consigli Comunali, ha impedito ciò che dopo abbiamo cercato di ricuperare in sede di Commissione (ma soltanto dopo, caro Chiabrando) quando ci siamo trovati d'accordo che bisognava tentare di limitare il localismo, la separazione e andare ad una dimensione ottimale che facesse delle Comunità montane delle vere aree programma, con tutte le caratteristiche occorrenti per assumere la fisionomia di sub aree ecologiche, di sub comprensori.
Quindi, ecco come da una questione di metodo, da una scorrettezza discendono subito due gravi conseguenze: uno scorrimento di tempi che ci ha portati alla fine del '72, inizio '73 inserendosi in quella lunga crisi che ha immobilizzato la Commissione, la quale aveva fatto ogni sforzo per consentire a questo Consiglio di approvare la legge nei tempi previsti dalla legge nazionale e quando tutti insieme abbiamo concordato che si doveva dare un senso nuovo alla zona omogenea non soltanto di carattere orografico, ma socio-economico, ecologico per riprendere il discorso su cui si basa la zonizzazione dei comprensori elaborata a suo tempo dall'IRES e che resta ancora la base di tutti i discorsi, quando ci siamo resi conto che era giusto intraprendere questa via perché le finalità e gli obiettivi fondamentali della legge 1102 potessero realizzarsi in un investimento programmato, ci siamo accorti che era tardi.
Io prendo atto che la Commissione ha condiviso questi punti di vista; è vero che durante le consultazioni abbiamo incontrato difficoltà, localismi esasperati ecc., ma abbiamo trovato anche grandi aperture, così a Cuneo come nel Verbano ed in alcune zone della provincia di Torino. Ma che cosa ci hanno detto a Biella? Ci hanno detto che ormai si erano già scannati fra maggioranza ed opposizione, ormai avevano deliberato e anche coloro che erano propensi al discorso unitario non ne volevano più sapere.
E qui sta la grossa critica che abbiamo già in altra occasione fatto e che ribadiamo, alla Giunta ed alle forze politiche della maggioranza: di avere abdicato a quella funzione di direzione politica, di egemonia politica utile alla conquista delle comunità. Non è un problema delle popolazioni, ma dei Consigli Comunali, dei sindaci, dei personaggi da conquistare ad una visione meno angusta, ad un discorso non localistico.
Così purtroppo, o per scarsa convinzione, o per mancanza di fiducia nella legge della montagna, o peggio ancora nel discorso della programmazione economica, avete rinunciato a questa funzione ed il risultato che, con rammarico, viene presentato dal relatore, con tutta un'argomentazione che collima con ciò che sto dicendo io in questo momento, è che abbiamo 45 Comunità. Noi non diciamo che dovevano essere 24, in base alla nostra proposta, potevano anche essere 20 o 30, ma non doveva esserci la separazione dell'alta valle dalla bassa valle e i discorsi sulla Comunità che vuole cacciare a tutti i costi due o tre Comuni perché non facevano parte in precedenza del Consiglio di Valle, sono discorsi che non si dovevano accettare. Certo che di fronte ai risultati che poi concretamente si configurano con l'art. 1, anche a quelli che, come me, hanno esaltato in più occasioni la legge nazionale come un grande fatto innovativo rispetto alla vecchia legge, vengono dei dubbi e per il modo in cui siamo arrivati alla zonizzazione e per l'esiguità dei mezzi. La questione dei mezzi è per superabile attraverso un'azione di pressione politica nei confronti del Parlamento per l'ampliamento degli stanziamenti, è superabile con un atto di volontà di questo Consiglio che li può integrare con contributi propri.
La Lombardia ha votato recentemente una nuova legge con la quale stanzia tre miliardi e mezzo di fondi suoi che, aggiunti ai due miliardi che avrà dallo Stato, per il primo anno avrà cinque miliardi e mezzo.
La legge prevede che il CIPE debba distribuire altri fondi, prevede che le leggi nazionali, tutte, da quelle della casa a quelle che faremo per l'agricoltura in sede regionale, a quelle che si faranno in sede nazionale prendano sempre una tangente per la montagna. I finanziamenti sono certamente un grave ostacolo in questo momento iniziale, ma non insuperabile, mentre se permanesse una zonizzazione di questo tipo quale piano di sviluppo farebbe la comodità di quattro, di sei, di dieci Comuni con 1500/2000 abitanti? Qualcuno potrà dire che questa legge è fatta all'insegna del gattopardo, si cambia tutto affinché tutto rimanga come prima, ed ai piccoli Comuni non resterà che litigare per spartirsi i fondi per il ponte, o per la strada, o per qualche altra opera ed i nostri discorsi per la programmazione rimarranno ancora una volta abbandonati.
L'articolato, così com'è emerso dalla relazione del Presidente della II Commissione, è stato ampiamente rielaborato partendo dalle diverse proposte di legge; certo non è il discorso che avevamo avviato noi, che voleva essere un discorso tendente ad esaltare le parti più positive della legge ed a limitare quelle più negative. La legge ad arricchire sotto i vari aspetti l'articolato della legge nazionale, adesso non è la proposta di legge dei compagni del gruppo socialista, non è neppure più la proposta della Giunta, è un onorevole compromesso raggiunto nel corso del confronto migliorato dalle decisioni di ieri sera e di stamani della Giunta e della Commissione; per quanto riguarda il mio gruppo riflette però ancora in parte certe posizioni iniziali della Giunta. E' mancato, a nostro avviso uno sforzo di arricchimento.
Il Presidente della II Commissione, dopo gli slanci iniziali, ha via via, nel corso della lunga e travagliata attività, preferito adagiarsi nello stretto e burocratico ossequio formale della legge nazionale limitandosi a formulazioni alquanto rigide sulla composizione e sull'articolazione degli organi della Comunità. Non si è voluto, per esempio, tentare di spiegare in che modo va interpretato il contenuto nel sesto comma dell'art. 4 della legge nazionale ove si dice che l'organo esecutivo deve essere ispirato ad una visione unitaria degli interessi dei Comuni partecipanti. In che senso? In senso politico, socioeconomico territoriale? Noi abbiamo presentato proposte concrete ma non sono passate. Ad esempio non si è voluto fare alcun cenno al problema delle deleghe che la Regione può e deve, secondo noi, dare alla Comunità e alle deleghe che i Comuni possono dare alla Comunità.
Altro silenzio riguarda gli uffici tecnici che le Comunità possono costituire per l'elaborazione e l'attuazione del piano; silenzio assoluto per quanto riguarda le norme a cui le Comunità dovranno attenersi nella preparazione dei piani e dei programmi annuali, competenza esplicitamente attribuita alla Regione dall'art. 4 lettera e) della legge nazionale; siamo passati da una all'altra formulazione sempre più riduttiva e poi, non so come, è sparita l'ultima indicazione che restava fra i compiti statutari.
A nostro avviso non avrebbe guastato una più convincente (non dico imperativa, perché la legge nazionale non lo consente) espressione sulla validità, utilità e quindi necessità dei piani urbanistici a livello della Comunità, inseparabili e necessario supporto di qualsiasi serio e concreto piano di sviluppo economico e sociale.
Per quanto riguarda la ripartizione dei finanziamenti abbiamo raggiunto un onorevole compromesso, non lo voglio mettere in discussione, soprattutto perché soddisfatto di quei due decimi uguali per tutti, quindi, più Comunità facciamo, più piccoli siamo e più aumentiamo i contributi.
Ma qui non si tiene conto del grado di dissesto idrogeologico e degli indici di immigrazione, non si tiene conto di avere uno strumento per esaltare la corrispondenza dei piani. Ma i silenzi non sono rifiuti, almeno in questo caso, per cui ciò che la legge regionale non ha voluto esplicitare, potrà sempre essere ripreso e liberamente adottato per libera autonoma volontà delle Comunità locali.
I punti più controversi erano rappresentati dagli artt. 10 e 11. Qui il contrasto ormai è stato risolto positivamente con le dichiarazioni che ho già citato. Noi attribuiamo molta importanza a questi due articoli non soltanto per una questione di principio, ma proprio per una questione di prestigio, di competenza, di ossequio formale alla legge.
Noi comprendiamo che ci sono dei tempi tecnici ristretti, che è necessaria molta rapidità; a causa del tempo che abbiamo impiegato a raggiungere ed approvare questa legge non deve verificarsi che gli statuti giacciono cinque, dieci giorni in più del dovuto presso gli uffici del Consiglio regionale. Per i piani in ogni caso c'é una salvaguardia di 60 giorni, dopo di che diventano operativi.
Il giudizio finale complessivo del nostro gruppo su questa legge sarà espresso a suo tempo dal nostro capogruppo e terrà ovviamente conto di come la maggioranza, la Giunta e la maggioranza della Commissione hanno sciolto positivamente uno dei punti di scontro fondamentali relativo alla parte normativa della legge.
Concludendo, io non sono entrato e non era qui il caso di entrare nelle questioni di merito. Certo occorre che la Regione non se ne lavi le mani che dopo il voto di questa legge non ritenga conclusi i suoi adempimenti.
Occorre uno sforzo di carattere politico, promozionale, organizzativo e finanziario. L'aspetto finanziario dovrà essere deliberato dal Consiglio mentre quello organizzativo e promozionale devono vedere impegnati la Giunta ed il Comitato interassessorile.
Ogni anno a Torino l'amministrazione provinciale celebra la festa della montagna. Io non voglio rubare niente a nessuno, ma credo che il Comitato assessorile (rivolgo questo appello anche al Presidente del Consiglio) dovrebbe collocarsi nel corso di quel convegno, dovrebbe esserci un'iniziativa da parte del nostro Consiglio. Per quell'epoca avremo gli statuti, avremo già le prime linee dei piani, ci dovranno già essere le prime scelte per i programmi-stralcio, potrebbe essere quello un momento di raccordo fra quel che va crescendo nelle Comunità montane e il discorso sul piano regionale di sviluppo.
Questo proprio per far sì che non si esaurisca oggi, con questo dibattito, l'impegno che Consiglio regionale deve assumere nei confronti delle popolazioni montane della Regione.



PRESIDENTE

Vorrei fare una breve comunicazione al Consiglio per regolarci nei nostri lavori.
Avevo previsto di portare innanzi la discussione fin verso le 14, nella previsione che potesse concludersi, mi avvedo adesso, orologio alla mano e col numero di iscritti a parlare, che non è assolutamente possibile. Allora andrei avanti fino alle 13, poi sospenderei e riprenderei i lavori alle ore 16.
E' iscritto a parlare il Consigliere Petrini, ne ha facoltà.



PETRINI Luigi, Assessore all'industria

Signor Presidente, Colleghi Consiglieri, la legge 3.12.1971, n. 1102 meglio nota come "Nuova legge per la montagna", trova oggi pratica evoluzione normativa anche nell'ambito della Regione Piemonte.
Il disegno di legge predisposto dalla Giunta Regionale ed arricchito dalla Commissione Consiliare che stiamo discutendo, rappresenta quindi una tappa importante per il Piemonte, in questa complessa ed articolata materia, nella quale si è certamente raggiunta una particolare compiutezza di approfondimenti e di analisi che forse può spiegare il ritardo con cui si è giunti alla formulazione, rispetto ad altre Regioni.
Come è noto i problemi della montagna interessano direttamente il 50%del territorio regionale e ben 480 Comuni, sui 1209 dell'intero Piemonte, con una popolazione di 581.033 abitanti che ha subito, si nell'ultimo decennio una ulteriore flessione di 20.528 abitanti, pari al 3,41%, ma che presenta un quadro meno scompaginato sociologicamente e democraticamente d'altre regioni. Un quadro cioè entro il quale l'intervento può validamente sollecitare lo sviluppo: può realizzare investimenti con elevate probabilità redditizie sia in senso economico che sociale; può cioè rappresentare qualcosa di più interessante e complesso d'una spesa sociale - valida sul piano umano e morale - ma sostanzialmente a fondo perduto.
L'Assessore Chiabrando, la Commissione competente, gli organi regionali che hanno attinenza coi problemi della montagna, hanno quindi compiuto, con la ferma coscienza di questa realtà, un lavoro di approfondimento che ha il pregio di avere raggiunto e coinvolto responsabilmente tutti gli amministratori montani, mediante l'attuazione concreta dell'istituto della "partecipazione", che in questa circostanza è stato praticato sia "estensivamente", col raggiungere ogni zona del Piemonte montano, che "intensivamente", colloquiando con ogni dimensione sociale, economica civile ed amministrativa della montagna.
Da anni si sentiva, vivissima, nel nostro Paese l'esigenza di una nuova politica della montagna, che si collocasse nell'alveo delle conquiste democratiche che la montagna italiana aveva realizzato dal 1952 in poi affrontandone smagliature e contraddizioni, superando gli stati di decadimento che in molte zone si sono verificati negli anni 60 sotto i colpi di irreversibili trasformazioni che hanno colpito, con le zone più povere del Paese, anche le più impervie, come appunto la montagna.
Dobbiamo prendere atto con soddisfazione che gli obiettivi di fondo della rinascita della montagna siano stati finalmente posti in modo corretto dalla legislazione nazionale, alla quale poi si è riservata l'articolazione della legislazione regionale per promuovere, nell'ambito di autonomie normative statali e regionali, quelle di base: quelle cioè della "Comunità montana", come ente originale ed autonomo. Si tratta di un primo passo in avanti compiuto nella strada della ripresa economica e sociale della montagna; si pongono oggi attraverso alla legge 1102 ed alle leggi regionali le basi organizzative e strutturali attraverso alle quali dovrà passare la rinascita dei territori montani.
Con il tradizionale ordinamento statuale sarebbe stata quasi impensabile una legislazione montana che incidesse davvero in profondità in realtà ambientali dissimili e complesse come quella della montagna italiana, ovunque presente ed ovunque diversa per consistenze geofisiche storiche, economiche, sociali, culturali.
Con il nuovo ordinamento regionale ciò è stato raggiunto. In Piemonte una più viva coscienza dei problemi montani - esaltata anche da manifestazioni di prestigio, ma soprattutto da un'attività intelligente ed intensa delle Province e di altri enti locali che hanno favorito il sorgere ed il vivere di organismi precursori di Vallata che dalla Valsesia al Cuneese e all'Ossola dicono di anticipazioni meritorie - ha consentito di affrontare le disposizioni della legge 1102 con perfetta coscienza delle difficoltà ambientali e legislative in cui ci troviamo coinvolti necessaria per evitare che una grande riforma incontrasse degli ostacoli ed imprevisti che demagogia da un lato, campanilismo dall'altro potevano certamente creare nei confronti di una corretta articolazione di questa importante riforma.
Signor Presidente, Signori Consiglieri, consentitemi ora di soffermarmi sui problemi specifici della montagna piemontese, in diretta connessione con il testo di legge che stiamo discutendo.
Innanzi tutto vorrei rilevare gli stretti rapporti che la legislazione istitutiva delle Comunità montane crea nei confronti della programmazione socio territoriale, vista nei suoi molteplici aspetti, che avranno un peso preponderante nella economia del Piemonte e che quindi dovranno essere opportunamente tenuti in rilievo dal Piano regionale di sviluppo, il quale dovrà dedicare, a mio avviso, la massima attenzione alla realtà strutturale e programmatoria che la legge 1102 è venuta ad introdurre nell'ordinamento regionale.
Ora, nell'anno in cui entreranno in vigore le norme di attuazione della "pianificazione nelle zone montane", occorrerà infatti che la Regione compia il più ampio sforzo per coordinarle al disegno della programmazione regionale e dei suoi obiettivi di sistema. Ciò è tanto più necessario per evitare inutili conflitti istituzionali che potrebbero sorgere per una malaccorta interpretazione e realizzazione dei poteri reali, che, anche in materia di programmazione, la legislazione nazionale attribuisce anche alle Comunità montane. In tal senso si pongono le proposte fatte stamani dal Presidente Calleri a nome della Giunta e la stessa posizione della Commissione consiliare, che garantiscono, mi pare, in modo adeguato sotto questo profilo.
Mi sia consentita, a questo punto, una digressione. Essa mi viene da una lunga pratica con gli amministratori dei comuni e degli enti montani e da una diretta conoscenza dei problemi della montagna piemontese.
Si tratta di un'esortazione a voler considerare i problemi della montagna senza campanilismi assurdi o favoritismi "ecologici" ma con occhio diverso dal convenzionale, misurandone gli aspetti con metro diverso da quelli urbani e di altre dimensioni sociali. Nella montagna - infatti malgrado la depressione economica, sopravvivono gli elementi di una civiltà antica quanto tenace, quella civiltà - lo hanno ricordato in molti dall'On. Vanoni all'Onorevole Pastore - che sa rispondere alla cartolina precetto, sa curare e custodire un argine, sa presidiare un paesaggio, sa amare la natura, sa vivere e resistere malgrado la tentazione della città alveare dominata dagli alienanti miti della macchina. E sa custodire tutto questo per chi lo vada a cercare, magari solo alla domenica, senza portarvi nulla, anzi qualche volta rubandovi qualcosa.
Ebbene noi abbiamo il dovere di valutare ed esaltare i valori della montagna in modo fecondo: aggiornarli ma non cancellarli, collocarli nella più ampia realtà della Regione prima che sia troppo tardi, prima che la montagna fuoriesca dal sistema.
E non dimentichiamo, comunque, che l'ambiente fisico della montagna è la riserva naturale più preziosa d'una regione industriale come la nostra una riserva però che, con la poesia ed i valori tradizionali e morali, ha anche grossi e costosi problemi da risolvere, come la sistemazione del suolo, delle acque, dei boschi.
Non dimentichiamo neppure un altro fatto, altrettanto importante nella misura in cui esso si pone come conseguenza di alcuni elementi obiettivi direttamente rilevabili. Il progressivo depauperamento demografico ed il rapido decadere dell'economia montana nel suo complesso, sono infatti chiari indici di una carenza nell'utilizzo delle risorse disponibili, che devono al contrario, essere sfruttate nella loro totalità, se vogliamo che la montagna conosca una varietà di attività economiche che investano, oltre all'agricoltura, l'industria nelle forme idonee, l'artigianato e le attività terziarie.
I dati relativi alla montagna piemontese ci dicono che oggi soltanto 10 mila delle 60 mila aziende agricole, censite come tali, utilizzano una superficie che consente un minimo di sopravvivenza alla famiglia del conduttore. Questo significa che risolvere i problemi montani non vuol dire limitarsi alla prospettiva agricola, come da qualche parte sembra accadere sotto la spinta di alcune direttiva CEE, prontamente recepite nelle proposte di legge in seno ad alcune Assemblee regionali che mutuano provvedimenti assunti in altre Nazioni con realtà territoriali montane completamente differenti dalle nostre.
Indubbiamente, affrontare i problemi della montagna nel loro complesso è più arduo, più complesso, più faticoso, senza dubbio la prospettiva di un pieno utilizzo delle risorse, in funzione dello sviluppo industriale artigianale e turistico, prevede un costo che non è misurabile solo in termini di "danno ecologico" all'ambiente ed al paesaggio ma anche in funzione di altri elementi, già ricordati, quali la sistemazione idrogeologica ed idraulica, il rimboschimento e la difesa dei boschi l'apprestamento di servizi civili e sociali, la esigenza stessa di mantenimento dell'insediamento umano.
Ciò che conta, deve essere chiaro, che tali costi non possono essere valutati esclusivamente sotto l'aspetto economico del profitto e del reddito, La legge 1102, che in questo riecheggia la volontà della Costituente del 1947 e del Parlamento nel 1952, inserisce in tale prospettiva, affidando alle Regioni compiti essenziali e decisivi, che vanno dall'emanazione delle direttive necessarie ad un saggio utilizzo dei finanziamenti ed a una corretta regolamentazione urbanistica, al coordinamento stesso dei piani di sviluppo delle Comunità montane.
Signor Presidente, Colleghi Consiglieri, consentitemi ora alcune considerazioni sui meccanismi di individuazione delle zone montane. Si è detto da parte del collega relatore Dotti - l'argomentazione può essere valida perché il criterio di base avrebbe dovuto essere quello di giungere ad unità territoriali capaci di essere "entità minime di programmazione territoriale autonoma" - si è detto da parte del collega Ferraris e si dirà da parte di altri che il numero delle Comunità montane proposte dalla Giunta Regionale è eccessivo. Ebbene, a parte la procedura della consultazione che ha portato a questa composizione, occorre osservare che la montagna piemontese è così diversa e complessa, anche rispetto ad altre regioni, che regolarne il territorio in modo del tutto uniforme avrebbe voluto dire generare forse più problemi che risolverne.
La realtà della montagna piemontese fornisce infatti, lo spunto per ogni considerazione che discenda dallo spirito e dalla lettera della nuova legge sulla montagna 1102 soprattutto per quanto concerne la struttura e le dimensioni da assegnare alle future Comunità, da costituirsi entro i limiti delle "zone montane omogenee".
A dire il vero, un problema di tal genere avrebbe ancora scarse possibilità di sussistere se, voglio ribadirlo, si traessero dalla realtà le deduzioni più appropriate; sarebbe veramente difficile infatti, se lo scopo è la costituzione di comunità "omogenee", procedere ad un accostamento, o meglio ad un "accorpamento", tra zone peculiarmente diverse tra di loro.
Sovente l'Alta e la Bassa Valle infatti nella loro configurazione tradizionale, presentano fisionomie disuguali.
L'una, la prima, in costante discesa economica e demografica, priva di altro reddito che non sia un'agricoltura scarsamente remunerativa, senza che la vocazione turistica sia stata ancora organicamente valorizzata n tanto meno sfruttata; l'altra, la Bassa Valle, che, grazie ai suoi insediamenti artigianali ed industriali, è in grado di mantenere, se non di aumentare, i propri livelli di popolazione, mentre una parallela attività agricola consente profitti meno stentati ed una forma turistica di villeggiatura stagionale si va consolidando di anno in anno. Queste considerazioni economiche costituiscono premessa e, al tempo stesso, parte integrante del discorso politico che trae la propria origine dal contrasto sui modi di applicazione della legge 1102.
Ad ogni Comunità spetta il compito, di cercare, nell'ambito del proprio territorio, una linea di sviluppo, in base alla quale programmare gli investimenti di incentivazione economica. Non solo, ma grazie alla legge le Comunità montane, enti di diritto pubblico e programmatori, verrebbero a rappresentare il livello più decentrato della pianificazione a livello nazionale occupando una propria posizione specifica nell'ambito di quei piani comprensoriali in cui si articola il piano di sviluppo regionale. Da questa suddivisione di poteri programmatici, dal quadro complessivo che ne risulta soprattutto dalla particolare funzione svolta nel contesto del piano comprensoriale da parte del programma di interventi previsti dalla Comunità montana, avanzare l'ipotesi di comunità allargata mi pare oggi indice di poco attenta disamina.
Potrebbe anche reggere l'ipotesi che comunità montane territorialmente più estese, quando però accettate dalla base, avrebbero consentito una migliore articolazione della programmazione ed una razionalizzazione forse più incisiva degli investimenti, poiché se l'area piccola favorisce la difesa di virtualità tradizionali e di fisionomie antiche e diversamente indifendibili è altrettanto vero che l'area grande - costruita su criteri di omogeneità di prospettiva e non di sola consistenza - avrebbe favorito di più lo sviluppo della montagna.
Agire infatti nel quadro di un bacino demografico di qualche migliaio di abitanti può risultare a volte più difficile che agire nel quadro demografico di qualche decina di migliaia di abitanti, soprattutto per l'organizzazione dei servizi, per una robusta politica degli investimenti industriali, degli accorpamenti fondiari, del turismo ad elevata redditività e così via.
Il tipo di programmazione concreta che ci attendiamo o meglio vogliamo affidare alle Comunità montane, mi pare comunque non consenta incertezze.
Se crediamo nel comprensorio o nell'area ecologica quale momento territoriale della programmazione sub-regionale intesa in senso globale diventa immediatamente chiaro come i temi dello sviluppo da affidare alle Comunità montane siano quelli "particolari" del territorio montano.
Si tratta certamente di un discorso complesso, non facile che mi pare serva però a sdrammatizzare alquanto l'aspetto dimensionale delle "zone montane".
Comunque, accettando la realtà così come si è delineata, occorrerà compiere un ovvio lavoro di collegamento nel quadro del comprensorio, il cui risultato sarà probabilmente più completo, perché malgrado le difficoltà potrà conseguirsi più da vicino l'obiettivo della sopravvivenza dei valori sociali, culturali, storici delle vallate piemontesi e della simultanea soluzione dei problemi della depressione economica riorganizzandone il rilancio.
Per conseguire questi scopi occorrerà tuttavia intensificare, nel momento della programmazione comprensoriale prima e regionale poi, la partecipazione e gli scambi decisionali tra comunità montane contigue e nel suo insieme, con tutta la montagna piemontese, perché, pur nella realizzazione del massimo dell'autonomia, non si finisca col cadere nell'isolamento.
Ecco, a questo pericolo, la Regione dovrà saper dare una risposta positiva, elaborando il Piano.
Senza precludere la strada all'inventiva ed alle scelte degli amministratori locali, la Regione dovrà anche dare indirizzi di insieme di politica economica e di politica del territorio a partire dalla fase preliminare della compilazione dei piani di sviluppo di comunità montana ossia proprio dai prossimi mesi, affinché la programmazione di Comunità montana nasca con chiari riferimenti al quadro regionale generale.
Orbene, sappiamo che studi preliminari, per quanto disorganici ed informativi, sono già stati svolti dalle Comunità montane o dai Consigli di Valle esistenti prima di questa legge, proprio su indicazione dell'UNCEM fin dal luglio 1971: sarebbe forse utile raccoglierli e condensarli in un documento organico da esaminare in rapporto alle indicazioni di massima della politica del territorio già espresse in sede regionale.
Questo è un suggerimento che mi viene oltretutto dalla preoccupazione di ciò che sarà il "dopo" di questo nostro dibattito, quando la legge regionale sarà realtà e quando soprattutto saranno realtà le comunità montane. Personalmente non mi faccio certo illusioni: la montagna va incontro ad un primo necessario periodo che sarà sicuramente difficile per ragioni organizzative ed operative e, mi sia consentito, anche dire, per un certo grado di impreparazione alle nuove realtà.
Qui mi pare debba anche manifestarsi il nostro intervento concreto, nel piano delle necessità immediate al di là delle pur legittime e necessarie dichiarazioni ed impostazioni legislative. Pensiamo di attuare un tale tipo di intervento che non è badate soltanto un intervento finanziario, ma un supporto tecnico organizzativo? Ritengo che percorreremmo una via giusta attuabile se del caso, attraverso ad Enti come le Province, che già hanno maturato nel settore non poca esperienza o attraverso la stessa Unione Nazionale dei Comuni ed Enti montani.
Signor Presidente, Colleghi Consiglieri, la riforma che nasce oggi in montagna con l'attuazione da parte delle regioni della legge statale 1102 è qualcosa di estremamente interessante ed innovativo, di cui avremo la visione complessiva quando, da qui a qualche anno, se ne cominceranno a vedere i risultati, ed anche ad avvertire i conflitti, del resto inevitabili in ogni scelta politica.
E' riforma istituzionale, perché si libera per la prima volta dal 1934 dai limiti posti dalla legge comunale e provinciale, che al di là di comuni e province o loro consorzi per attività specifiche, non sapeva né voleva individuare realtà locali diverse, perché era nella logica dello stesso accentratore non cercarle né volerle. E' riforma istituzionale, quindi perché realizza un nuovo organo, un nuovo ente che ha una propria e molto accentuata autonomia amministrativa e decisionale, in nome dei tempi e dei luoghi speciali che contraddistinguono la montagna italiana in questo scorcio di anni.
E' riforma di programmazione, perché crea un organismo che tra le sue prime e non alternative funzioni ha proprio quella della programmazione economica del territorio.
E' riforma qualificante dello stato democratico e contestuale, direi con la riforma regionale. Per questo non dobbiamo consegnarla al limbo delle buone intenzioni dopo averne deciso il quadro normativo regionale.
In questo senso, senza diffondermi di più, ritengo che nell'approvare una legge tanto importante come l'odierna, si debba rifuggire tanto dai trionfalismi quanto dall'allarmismo di chi teme oggi cosa che modifica l'esistente, ma che si debbano scoprire con altrettanta chiarezza i nuovi e gravi compiti che emergono per la Regione.
Perché se è vero che senza la Regione questa riforma non sarebbe stata possibile è altrettanto vero che senza una corretta dinamica di avanzamento o, senza l'apporto determinante della Regione, questa riforma non potrà conseguire i risultati di sviluppo economico della montagna che si presuppone, nel sollevare le popolazioni alpine o prealpine del Piemonte dal dramma antico della decadenza economica e dell'impoverimento ambientale.
La preparazione prodigata, l'ampio uso, come ho già detto, della prerogativa istituzionale della partecipazione, la cura posta nel rispettare le istanze locali giustificate da validi motivi di insieme rappresentano senza dubbio l'aspetto meritorio già realizzato dalla Regione Piemonte per la montagna, nell'approntare questa legge, ma offrono anche motivi per più di una meditazione sulla necessità di trovare un modo permanente di seguire, discutere, decidere, decidere assieme alla montagna intorno ai suoi problemi, che sono, come è noto, i problemi di una buona metà del territorio regionale.
Signor Presidente, colleghi, con l'approvazione del disegno di legge dopo una vasta consultazione ed un approfondito dibattito a tutti i livelli amministrativi e territoriali del Piemonte, noi poniamo le premesse perch la montagna piemontese si affacci nella pienezza d'una ritrovata potestà istituzionale unitaria ed autentica tra i grandi comprimari della vita regionale e nazionale degli anni '70. Con il nostro voto favorevole dobbiamo però anche manifestare la volontà politica che ne saremo di continuo i garanti, nel quadro d'una collaborazione che oggi inizia con concreti atti di democrazia e di buona volontà.
In questa circostanza e durante questo dibattito mi sembra quindi doveroso ricordare l'impegno, l'opera, l'iniziativa del Presidente della Giunta dr. Calleri, dell'Assessore Chiabrando, che hanno realizzato, con i componenti della Commissione Consiliare e con la Giunta una vasta azione di approfondimento e di studio dei problemi montani piemontesi prima di proporne le strutture regionali contenute nella legge che discutiamo.
Un particolare saluto, a nome degli amministratori montani del Piemonte e a nome di questo Consiglio, penso poi lo dobbiamo rivolgere al Presidente del Consiglio Oberto, che impersona tutta una tradizione e tutta una classe dirigente di operatori montani piemontesi. Inutile elencarne benemerenze ed iniziative, incarichi ed attività: senza dubbio la legge statale 1102 porta molte sue impronte, molti suoi suggerimenti, che attraverso il filtro degli organi montani e dell'associazione hanno raggiunto le aule parlamentari ed il testo del Parlamento nazionale. Un saluto che è anche un ringraziamento soddisfatto delle popolazioni montane del Piemonte.



PRESIDENTE

Desidero ringraziare il Consigliere Petrini per questo ricordo personale.
Darei ancora la parola al Consigliere Menozzi, che mi ha detto parlerà brevemente, poi sospenderei la seduta.
Consigliere Menozzi ha facoltà di parlare.



MENOZZI Stanislao

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, assicuro che sarò estremamente breve.
Mentre mi compiaccio con la Giunta e con la Commissione per il lavoro svolto, non posso esimermi dal far rilevare (e qui il mio discorso si fa meno entusiasta, senza nulla togliere alla portata del provvedimento in discussione) che, con questa legge, tanto attesa dalle popolazioni montane corriamo il rischio di consolidare la stessa lacuna della legge originaria e cioè quella del 25 luglio 1952, n. 991, che il legislatore di allora provocò basandone i presupposti, per il processo di zonizzazione, su dati meramente altimetrici e catastali, dimostratisi poi (e se lo erano già allora, immaginiamoci oggi!) insufficienti a rispecchiare equamente la reale situazione economica e sociale. Da ciò, la grave esclusione dell'alto colle da determinati benefici, che, una volta ancora, con questa legge si viene a registrare.
E qui sarebbe proprio il caso di parlare d'ironia della sorte: la Regione Piemonte ha sei province, la più depressa delle quali, Asti, viene a trovarsi esclusa dal contesto di questa importantissima legge. Questa provincia annovera, all'estremo nord (in maggior misura) e all'estremo sud parecchi Comuni il cui stato di depressione economica e sociale non è assolutamente - e aggiungo purtroppo! - inferiore a quello di certe zone montane, anzi, per certi aspetti, oso affermare che è addirittura più grave. Entro le Comunità montane, che sono state delineate, ci sono Comuni che, per loro fortuna, hanno saputo scrollarsi di dosso, e da parecchio tempo, un certo stato di depressione, mentre, per quanto concerne l'alto colle della provincia astigiana e di parecchie altre province, lo stato di depressione permane tuttora.
Io penso quindi che, senza nulla togliere alla portata del provvedimento che stiamo per varare, richiamandomi anche a quanto ebbe ad evidenziare il relatore, sull'opportunità di ritornare in seguito sul provvedimento per apportarvi alcuni aggiornamenti (ad esempio in tema di finanziamenti vi sono Comunità che ne hanno più bisogno, altre meno), io formulo sin da oggi l'auspicio che la Regione Piemonte sappia, non appena le si presenterà l'occasione, di ritornare su questo scottante problema tenendo presenti le esclusioni che io oggi ho denunciato e fare in modo che anche l'alto colle, che rispecchia determinate situazioni di depressione di natura socio-economica, possa rientrare nel contesto della legge per la montagna per poterne godere i relativi benefici.



PRESIDENTE

La seduta è tolta e riprende alle ore 16.



(La seduta ha termine alle ore 13.)



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