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Dettaglio seduta n.148 del 17/04/73 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE OBERTO


Argomento: Bilanci preventivi

Esame del disegno di legge n. 73 relativo al Bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 1973 (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
E' iscritto a parlare il Consigliere Garabello Ne ha facoltà.



GARABELLO Enzo

Signor Presidente, non mi addentrerò a considerare le singole voci di bilancio: intendo invece esporre alcune osservazioni di carattere generale su taluni aspetti, che in rapporto al bilancio mi pare siano emersi dai lavori della Commissione .Delle cose che dirò in parte sono già contenute nella relazione Dotti, altre riprese nella relazione di minoranza che ha letto il collega Raschio, altre ancora considerate nella relazione introduttiva svolta dall'Assessore Paganelli. Credo però che anche proprio per il lavoro che mi è affidato alla Commissione Bilancio, possa essere utile per tutti che io cerchi di riassumere alcune considerazioni di carattere generale. Su alcune di queste c'è totale concordanza di opinioni ed è quindi sufficiente una specificazione e una precisazione, su altre vi sono tuttora divergenze, ed in merito ritengo sia opportuno per il Consiglio Regionale conoscere il parere della Giunta.
Il relatore Dotti ha riportato fedelmente le risultanze di un lavoro molto impegnato, che ha visto la Commissione riunita in una serie rilevante di adunanze, sia per la parte che ha riguardato l'impegno dei consultati sia per la parte relativa all'impegno dei Consiglieri che hanno voluto partecipare con assiduità alle sedute.
La relazione di minoranza ha puntualizzato, tra altri aspetti, parte dei quali già contenuti nella relazione Dotti, il rilievo secondo cui vi sarebbe un netto salto fra il discorso condotto nella parte descrittiva della relazione Dotti e le conclusioni che costituiscono sostanzialmente il bilancio vero e proprio. La maggioranza, del resto, ha preso atto della relazione Dotti in quanto l'ha ritenuta rispondente al pensiero comune anche se molti punti di essa non hanno avuto immediata rispondenza nel documento di bilancio. Ha preso soprattutto atto di propri impegni di Commissione e di alcuni impegni presi dalla Giunta in vista del bilancio 1974. Per la verità, dobbiamo dire che anche la minoranza comunista, che ha posto dei problemi immediati rispetto al bilancio del '73, ha fatto un apprezzabile discorso di prospettiva, usando il bilancio 1973 come punto di riferimento, ma nella prospettiva di quello che sarà del 1974.
Il bilancio del '72, è stato detto, era un mezzo bilancio; quello del '73 è un raccordo; quello dei '74 dev'essere un bilancio a tutti gli effetti, ed essere fatto in tempo utile per consentire un'operatività corrispondente per l'intero esercizio 1974, avendo profondi aspetti di contenuto che evidentemente il bilancio '73 può in certe parti accennare in altre parti non ha ancora minimamente affrontato! La maggioranza della Commissione ha preso atto, inoltre, che alcune delle richieste che sono state avanzate sono state accolte dalla Giunta: parte ancora per il '73, altre, di maggiore prospettiva, per il '74. Direi che a questo proposito, anche se ha motivo di essere ulteriormente approfondita in meditazione e in altre discussioni ancora, la relazione dell'Assessore Paganelli è testimonianza dello sforzo comunque compiuto, in cui anche la Giunta ha messo la propria parte di impegno, particolarmente nelle sedute finali o della Commissione, in cui si sono stretti i tempi.
In questo quadro vorrei trattare tre punti, non nuovi ma che mi pare opportuno sottolineare.
Il primo punto e questo: il bilancio della Regione deve essere un bilancio funzionale con le previsioni del Piano. Siccome il Piano non potrà e non dovrà essere, per essere veramente un piano, un'espressione fumosa di pure affermazioni di principio, ma dovrà articolarsi sia nel piano territoriale e in particolare per l'operatività della Regione nei piani di settore, ne discende abbastanza naturalmente che il bilancio della Regione secondo proposte avanzate e discusse e accolte, complessivamente, dalla Commissione, dovrà essere un bilancio con una struttura di tipo assessorile: meglio, per collegarmi con quello che diceva ieri il collega Conti, di tipo dipartimentale, in un quadro cioè, dove si legga chiaro dove non vi sia soltanto il ricorso a segnalazioni di leggi dello Stato, ed agli impegni di spesa relativi, ma che nella serie dei capitoli corra molto chiaro un discorso politico e un discorso amministrativo.
E' parso evidente, infatti, che uno dei punti cruciali che la Commissione si trova ad affrontare a nome dei Consiglio Regionale, e per parte sua l'Assessore al bilancio nei confronti della Giunta, è che quando si entra nei discorsi specifici di settore vi è difficoltà dall'una e dall'altra parte, per la miglior conoscenza e specificazione dell'effettivo contenuto nelle singole voci di bilancio. Lo stesso riferimento ad una specifica legge dello Stato, di per sé corretto come è stato già affermato in quest'aula, non sempre rivela i risvolti, l'intenzione, la linea politica che c'è dietro. Pertanto, è parso alla Commissione necessario che la Giunta sia impegnata attraverso i singoli Assessori, sia in una relazione alle cose fatte, alle difficoltà incontrate, alle prospettive di linea politica di settore, sia anche per la partecipazione dei singoli Assessori all'elaborazione di fronte alle Commissioni del Consiglio, che dovrebbero essere tutte quante mobilitate, se pure evidentemente in una visione sempre unitaria che dovrebbe essere garantita dalla Commissione Bilancio, per un dibattito più approfondito sui singoli aspetti del bilancio.
La Commissione è sostanzialmente d'accordo sul fatto che il bilancio della Regione non sia un bilancio come quello degli enti locali, cioè sotto forma di un elenco di opere o di cose cui si annette un determinato stanziamento, ma abbia un'impostazione simile a quella del bilancio dello Stato, per cui si possono imputare, solamente spese previste da leggi in vigore. Si giustificano molto meglio in un quadro del genere queste relazioni di settore, queste distribuzioni per grandi capitoli, con gli articoli riuniti in maniera funzionale, anche la definizione di quegli impegni legislativi per il corso dell'anno che ieri sono stati ricordati dal collega Sanlorenzo.
Devo dire, per la verità, che rimango un po' scettico quando sento dire che la Regione Lombardia può vantare un elenco preventivo di 85 leggi: sappiamo quali sono le concrete possibilità di lavoro, per cui dobbiamo puntare ad una maggior produttività in Consiglio ma nei limiti delle cose possibili. Può darsi che il Consiglio Regionale lombardo, più numeroso abbia maggiori capacità di lavoro del nostro: però 85 leggi mi sembrano comunque davvero troppo. Però, andare a puntualizzare le linee fondamentali con l'indicazione di alcuni provvedimenti di fondo, che danno il segno della linea politica che si vuol perseguire, sia un fatto indubbiamente positivo.
La Giunta ha accolto in sede di Commissione - e nella relazione della Commissione è detto - l'impegno a presentare per l'approvazione il bilancio nei termini statutari. Il 31 dicembre dovrebbe essere ovviamente, a mio avviso, una data invalicabile: dobbiamo fare ogni sforzo per evitare di ricorrere all'esercizio provvisorio. Mi rendo conto dell'enorme difficoltà che vi è in qualsiasi momento, ma specialmente in un anno come questo, in cui il bilancio del '73 giunge in approvazione ad aprile, a rispettare una scadenza 31 agosto che è estremamente poco funzionale. Sarà forse il caso di modificare il nostro Statuto sia a questo proposito che per altri punti di esso in cui abbiamo notato un certo stridore dal punto di vista pratico tenendo però conto che dobbiamo puntare ad avere dall'inizio dell'anno un bilancio completamente operante; per cui la scelta di un'eventuale altra data dovrà esser fatta avendo presenti tutti i tempi tecnici e politici che intercorrono dalla presentazione del documento alla sua approvazione. La stessa maggiore qualificazione della consultazione di quest'anno, per quanto si sia svolta in termini di tempo estremamente ristretti, ci fa dire che nulla dev'essere sacrificato in questa direzione, per cui se qualcosa dovrà maturare si dovrà però non dimenticare che i tempi debbono essere sufficienti a garantire la possibilità di un lavoro veramente serio alla Commissione, o, come prima ho richiesto, alle Commissioni.
Veniamo al secondo punto: i finanziamenti. La Commissione ha affrontato il discorso sulla possibilità, in senso strettamente tecnico dell'accensione di mutui ed ha constatato l'esigenza di una possibilità che può variare, a seconda delle interpretazioni, dai 25 fino ai 130 miliardi.
Non si sa esattamente quale sia la formula certa dal punto di vista giuridico. Ritengo che questo discorso in termini tecnici debba essere affrontato subito e il chiarimento anche con le autorità centrali in proposito debba essere fatto: dobbiamo cioè sapere al più presto possibile qual è la vera disponibilità, la vera virtualità finanziaria del nostro bilancio.
Le discussioni in Commissione hanno permesso di fare un passo avanti in quanto io considero che sia un fatto positivo quello di avere smitizzato la questione dei mutui. Questa era tendenzialmente mitizzata con due discorsi opposti, che avevano però entrambi una loro consistenza: la Giunta sosteneva che non si devono impegnare i bilanci futuri con mutui, per poter avere la massima disponibilità finanziaria in vista del piano di sviluppo e questa è una considerazione che merita un'attenta valutazione; c'era invece chi opponeva che i problemi si presentano oggi e dobbiamo affrontarli così come vengono. Sono ragionamenti che hanno ambedue una loro indubbia validità politica, che però, messi in contrapposizione, potevano portare ad un irrigidimento di natura politica e, se vogliamo, anche tecnica non certamente produttivo per i nostri lavori. La via d'uscita è quella di impegnare per mutui il nostro bilancio (fra l'altro è un problema che non investe il '73, perché sappiamo bene che i mutui si ribalteranno per motivi tecnico-finanziari, al '74) soltanto per scopi che si abbia la virtuale certezza che saranno inclusi nel Piano regionale di sviluppo. Agli effetti di evitare la mitizzazione del mutuo, in un senso o nell'altro, mi pare che questa che è maturata all'interno della Commissione Bilancio sia una conclusione positiva, di cui mi compiaccio per la capacità di elasticità dimostrata da tutti. Pertanto, per le leggi che lo richiedano soprattutto se hanno un'indicazione di piano, si può arrivare ad accendere mutui.
Terzo argomento che desidero evidenziare: criteri per la gestione amministrativa del bilancio. Ieri il collega Conti ha svolto un intervento impegnato, che merita approfondimento da parte del Consiglio Regionale e della Giunta, perché lo ritengo un serio contributo di idee, di valutazioni anche giuridiche e costituzionali per quanto riguarda l'impostazione legislativa dell'attività regionale, anche nella prospettiva del discorso delle deleghe che abbiamo asserito già in questo Consiglio dover essere affrontato al più presto.
Sul problema generale delle deleghe non mi addentro. E' un discorso d'altronde, su quale dovremo tornare presto. Mi limito ad affermare che le indicazioni date da Conti hanno una loro prospettiva e dovranno essere prese in attenta considerazione. Vorrei invece portare alla vostra attenzione qualche osservazione che è stata avanzata in Commissione e che ci ha trovati concordi in misura diversa, ma comunque in maniera significativa. Ad esempio, sui capitoli che prevedono contributi, sussidi eccetera vi è un netto orientamento della Commissione, nel senso che non si vada più nella direzione dei contributi a fondo perduto: molto più serio e valido, arrivare alle contribuzioni in conto interessi, per impegnare chi riceve questi contributi ad utilizzare le proprie risorse, ricercate anche in altro modo. Ovviamente,ogni regola può avere eccezioni, come dicevo, ma eccezioni che devono essere approfondite concordemente valutate.
C'è un problema di fondo che si trascina dall'epoca dello Statuto, un problema di metodo di lavoro, che noi dobbiamo una buona volta affrontare e risolvere, anche per salvaguardare le prerogative di tutti. Al Consiglio si dice, compete l'attività legislativa, alla Giunta quella amministrativa.
A me sembra che, essendo la Giunta organo autonomo, amministrativamente e giuridicamente definito, che però è espressione esecutiva del Consiglio Regionale, il Consiglio Regionale debba poter svolgere serenamente, in maniera qualificata, senza bisogno per i Consiglieri, di andare a richiedere i documenti, come qualcuno ha anche fatto, una propria fondamentale attività di controllo. Nel corso delle consultazioni con i Comuni o altri, allorché i nostri interlocutori si rivolgono a noi parlano semplicemente di Regione anche a proposito di questioni di natura esecutiva. Noi facciamo presente la differenza: però, ci rendiamo conto di essere in quel momento veramente la rappresentanza della Regione, e quindi molte volte su non pochi argomenti, anche di spesa, ci troviamo un po' allo scoperto, perché manchiamo di notizie non avendo partecipato all'elaborazione delle previsioni ci spesa. Ritengo quindi - senza stare ad indicare se a ciò si debba giungere attraverso regolamenti o se siano sufficienti forme più pratiche di accordo fra Giunta e Consiglio - che il Consiglio debba partecipare alla scelta, su proposta della Giunta, dei criteri di base per l'utilizzazione e la ripartizione dei fondi.
Ieri, con la sua verve, Sanlorenzo ci ha dipinto un affresco di uno dei settori di lavoro, quello assistenziale. Anche se non è uno di quelli più strettamente legati al discorso che sto svolgendo, mi pare che non dovremmo più esser messi in condizioni di dover fare delle valutazioni a posteriori senza conoscere i criteri che si sono seguiti per giungere a ciò, senza disporre di informazioni preventive. A me pare sia interesse di tutti, del Consiglio come della Giunta, che la Regione si possa considerare sotto questo profilo una casa di vetro, che tutti debbano essere posti in grado di giudicare senza riserve mentali quello che si svolge al suo interno.
Tutti, maggioranza ed opposizione, devono essere messi in condizione di assolvere il proprie mandato con completa conoscenza di causa, proprio per esercitare insieme quella caratteristica fondamentale dell'attività di una assemblea elettiva che è il controllo non solo formale sugli atti dell'Esecutivo. Nessuno di noi, ovviamente, pretende che la nostra sia una Giunta di tipo comunale o provinciale, nessuno vuol disconoscere i valori stabiliti dallo Statuto, ma sui metodi io credo che un certo discorso si possa fare. E poiché da parte mia nel parlare non c'è alcuna riserva mentale, penso e spero che la Giunta voglia prendere in considerazione l'opportunità che il Consiglio Regionale svolga il proprio mandato in tutta pienezza, anche in quei quadri d'attività amministrativa entro i quali poi la Giunta ha l'onore, e l'onore, di svolgere il suo compito.
Altro aspetto in fatto di metodi da innovare, da definire, è l'opportunità di un riordino innovativo, con leggi regionali, delle materie disciplinate da leggi dello Stato che oggi noi utilizziamo. Dovremmo, cioè fare in modo che la congerie di leggi di epoche diverse (qualcuna risale all'altro secolo, qualcuna al periodo pre-fascista, molte sono state emanate in periodo fascista) vengano riordinate, in modo che sia possibile avere, sulla scorta dei decreti delegati, il quadro di come agisce la Regione utilizzando le leggi dello Stato. Occorre definire in modo chiaro con leggi regionali per materia, come si devono applicare le leggi dello Stato. A mio modo di vedere, questa impostazione, che può sembrare essenzialmente di tipo regolamentare e metodologico, ad un esame più approfondito, può ad un certo punto presentare anche elementi innovativi sul piano dei contenuti. Sarà certo un lavoro serio quello che dovranno sobbarcasi Assessori, uffici e Commissioni consiliari, ma ritengo che ci sia fondamentale per chiudere, fra l'altro, delle polemiche. Operando, in tale modo, quando si decide l'incremento dello stanziamento per una voce contemplata da una legge dello Stato, possiamo essere certi che si sta seguendo una linea di fondo regionalista.
Noi ci troviamo ora ad agire nell'ambito di una grave carenza, che è quella delle leggi di principio che regolano le singole materie; per di più, nel quadro di decreti delegati non certo fatti nel modo più funzionale ad ottenere il massimo dei risultati in senso regionalista. Non c'è dubbio quindi, che abbiamo tutti i motivi e tutta la responsabilità di andare a ricercare esattamente quello che il vasto panorama della legislazione nazionale ci offre per poter svolgere il nostro mandato.
Siamo tornati tante volte, nei precedenti dibattiti in cui si è parlato di questo bilancio, in Commissione, e anche ieri in quest'aula, a citare a titolo emblematico la legge sulla zootecnia. Non intendo oggi fare un intervento in proposito: ne parlo soltanto, appunto, a titolo emblematico.
Indubbiamente, la zootecnia, è stato detto da ogni parte, può essere uno degli elementi fondamentali della ripresa della nostra agricoltura; anche guardando all'agricoltura con una concezione più moderna, cioè, oltre che di settore primario, anche di servizio sociale, visto che compie il principale dei servizi, quello di fornirci l'occorrente per l'alimentazione. Su questo argomento abbiamo udito esporre le più svariate opinioni, però con netta prevalenza è emerso il parere manifestato dalle organizzazioni dei contadini che la legge in vigore, così com'é formulata è quanto meno insufficiente, e quindi avrebbe bisogno di essere trasformata con una legge regionale che si può fare. Però a me pare che se quanto ci hanno detto i coltivatori diretti - e ci siamo imbattuti anche in sindaci coltivatori, nel corso delle consultazioni - è esatto, noi, dopo avere utilizzato lo strumento che c'è già, dobbiamo metterci al lavoro per vedere di migliorare, di ammodernare questo quadro attraverso leggi regionali. E il settore della zootecnia, se è vero, e io ritengo lo sia, è quello che ci hanno detto i contadini, è uno di quelli in cui non è in gioco soltanto un problema di metodi ma veramente di miglioramento di fondo della legislazione stessa. Ho fatto questo esempio, ripeto, non per addentrarmi nel problema specifico ma perché è stato uno degli aspetti che ci sono stati maggiormente evidenziati; ma ne potremmo trovare altri analoghi nell'ambito dei vari settori.
Mi pare inoltre che questo riordinamento di tipo legislativo, questo riordinamento funzionale innovativo, in cui le materie vengano catalogate in maniera più precisa, l'utilizzazione delle leggi dello Stato venga chiarita in una nostra visione di programma, sia un elemento fondamentale anche rispetto al discorso delle deleghe, perché, io penso, non dobbiamo compiere lo stesso errore che ha commesso lo Stato con i decreti delegati nei confronti delle Regioni, ma dobbiamo cercare, nell'ambito della materia delegata, di dare una visione chiara, precisa. Penso quindi che questa definizione delle possibilità legislative, questa definizione sull'utilizzo delle leggi dello Stato possa essere ottimo materiale di preparazione dei "quadri" entro cui le deleghe devono essere collocate.
Credo, signor Presidente, di aver fatto un intervento scevro da polemiche, cercando di cogliere alcuni elementi di carattere generale, ma che mi paiono fondamentali, dalle nutrite, interessanti discussioni della Commissione bilancio. Pur non parlando ufficialmente come Presidente di Commissione, ritengo di dovere, a nome dei colleghi della Commissione stessa, ringraziare il collega Dotti per il grosso lavoro che ha fatto, al di là delle valutazioni politiche, che sono sempre libere. Un riconoscimento sento di dover rivolgere anche alla Giunta per la collaborazione che ha dato e ai Consiglieri che hanno assiduamente preso parte alle discussioni, in lunghe ore di seduta, per la passione e il desiderio d'avanzamento che li ha sempre animati.
Mi pare di aver colto alcuni degli spunti di carattere generale che riguardano un migliore inquadramento del bilancio, una prospettiva di carattere programmatico e legislativo, alcuni aspetti di carattere metodologico che faremo bene a prendere in considerazione. Possiamo anche volutamente non accettare queste cose: però le dobbiamo dibattere e giungere a non accettarle soltanto perché si sono trovate delle indicazioni migliori. E' questo il modo serio con cui la Giunta può, per parte sua stimolarsi ad un lavoro non di carattere strettamente amministrativo ma in una visione di guida politica della Regione, e contemporaneamente il Consiglio può concretamente impegnarsi a dare un serio contributo alla maturazione di quei problemi che oggi sentiamo evidenziare da tutte le parti e che rappresentano l'aspirazione dei cittadini, l'aspirazione degli amministratori locali, l'aspirazione anche delle categorie sociali che credono in un Piemonte più sviluppato, in cui si viva meglio di oggi.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Besate. Ne ha facoltà.



BESATE Piero

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, colgo questa occasione del bilancio per una verifica (che, del resto lo stesso Presidente della Giunta aveva detto di voler rinviare a questa sede, al momento dell'insediamento della Giunta stessa) una verifica che è riferita per una parte al bilancio per un'altra al Piano regionale d sviluppo, per un'altra ancora alle decisioni che già il Consiglio Regionale aveva adottato su determinate materie. Mi riferirò particolarmente alle questioni della formazione professionale e dell'assistenza scolastica, con un approfondimento particolare nel campo dell'editoria libraria, per sottolineare i gravi pericoli incombenti in conseguenza del vasto processo di concentrazione in corso in questo campo, sempre, però, con riferimento ai poteri reali della Regione, alle sue funzioni. Il mio sarà quindi un discorso non disancorato da quanto la Regione può fare (anzi avrebbe già dovuto fare o, comunque mettere in cantiere, cominciare a studiare, a prospettare, al Consiglio).
Premetto che procederò soprattutto in chiave politica, dal momento che dopo quanto ieri ha detto il collega Conti sull'esame di queste materie dal punto di vista tecnico, mi pare non siano più necessari tanti approfondimenti di natura concreta; anche se ci possono essere differenze di pareri nel modo di vedere certe precedenze, certe collocazioni, anche importanti, dei vari aspetti di questi problemi, ritengo che l'essenziale non sia questo, ma sia puntare i riflettori sugli aspetti politici.
Nel luglio 1972 il Consiglio Regionale approvava una delibera sulla formazione professionale. Badate che non si trattava di una delibera qualunque, ma di un atto che conferiva alla Giunta il potere, l'obbligo e i mezzi per realizzare alcune attività e alcuni provvedimenti già allora ritenuti necessari e urgenti e che quindi ai nostri giorni sono ancor più necessari ed urgenti - per un primo avvio di una nuova politica della formazione professionale. Non starò a ripetere quanto altri colleghi hanno già sottolineato, sui contenuti di questa politica, ma non posso non ribadire che si tratta di uno dei nodi che condizionano lo stesso programma economico nazionale e lo stesso Piano regionale di sviluppo, non solo, ma a nostro avviso, anche gli stessi processi attualmente in atto sia rispetto al rilancio dell'occupazione sia rispetto ai problemi applicativi dei contratti di lavoro recentemente stipulati, ed in particolar modo il contratto dei metalmeccanici.
La relazione Paganelli, cioè della Giunta, a pag. 4 dice giustamente: "Il problema occupazionale vede quindi intensificata la sua gravità e la sua attualità come tema centrale della politica economica anche per la strettissima connessione che presenta con lo squilibrio territoriale e la questione meridionale". Che senso ha tutto questo ? Indubbiamente un senso di denuncia, di allarme. C'é chi non sottoscriverebbe un'affermazione di questo tipo? Se presa con le pinze e riportata pari pari a se stante potrebbe figurare benissimo in un articolo dell' "Unità", o del giornale di "Forze Nuove" o dell' "Avanti!" Però più avanti, a pag. 12, ecco la verifica, perché un esame - permettetemi di usare un aggettivo forse un po' lezioso - filologico di questa relazione dimostra che vi sono alcuni sintomi di problemi che non possono essere sottaciuti. "In ciascuno di questi settori - vi è detto, dopo una elencazione dei settori d'intervento la Giunta ha cercato di prospettare nel bilancio '73, dopo la prima fase volta ad assicurare la continuità delle funzioni trasferite dallo Stato alla Regione, un primo salto di qualità". Operato in che modo? "Dilatando gli stanziamenti capaci di promuovere le auspicate diversificazioni".
Dunque, con una dilatazione degli stanziamenti, non adottando una nuova rotta.
Paganelli non può certamente non rendersi conto che questo è un limite gravissimo, e infatti dice: "Ma il problema non è semplicemente quello della dilatazione degli impegni di spesa, ma quello, soprattutto, di produrre modificazioni alla legislazione vigente in amministrazione alla Regione per renderla più operativa, più rispondente alle esigenze di funzionalità ecc. ecc." Direi che proprio da quanto scrive l'Assessore stesso nella sua relazione, messo a confronto con la realtà non di quanto soltanto la Giunta non ha fatto in tema di nuova legislazione modificativa ma in tema applicativo di delibere o di altre decisioni prese dal Consiglio, emerge una involontaria confessione di resa: La relazione di Paganelli, mentre nella prima parte è analitica, è critica, quando tratta dello Stato, dei rapporti Stato-Regione, delle disponibilità ecc., allorché passa a trattare del bilancio assume un tono apologetico, giustificativo. Coglie spunti contraddittori, che, se raffrontati dalla realtà, trovano un vuoto assoluto.
Il settore che io mi sono proposto di esaminare particolareggiatamente è un settore cui non sono destinati pochi spiccioli, se a pag. 13 si legge: "La formazione professionale dei lavoratori ora può contare su un complesso di 7 miliardi e 233 milioni". Quindi, ci troviamo di fronte a limiti posti dalle leggi, dai decreti delegati e così via, ma abbiamo la possibilità di manovrare dei fondi in misura tale da avere, se la manovra è concepita in termini modificativi, promozionali, innovativi, la capacità di produrre veramente qualcosa di nuovo in questo campo che è fondamentale per la riammissione di grandi masse di lavoratori nell'attività lavorativa, per la loro promozione sul lavoro. Questo campo, invece, viene oggi lasciato in balia di una specie di forza d'inerzia, di movimento che riproduce dilatandoli, proprio perché c'é una dilatazione dell'intervento finanziario, i mali antichi, invece che correggerli.
C'era una delibera, seppure in ritardo già allora, che dava i poteri io direi piuttosto l'obbligo - alla Giunta di procedere a ricerche sperimentazioni nel vivo della realtà sociale e produttiva, per ricavarne indicazioni al fine di un riordinamento regionale della materia e di un adeguamento alle esigenze della prospettiva, della realtà piemontese. Nulla però è stato fatto: si è seguita la traiettoria antica, burocratica peggiorata appunto dalle dilatazioni dell'intervento ritardo di allora forse è incolmabile. E badate che non servirà varare in fretta e furia uno strumento, anche cogliendo magari fior da fiore dall'esperienza delle altre Regioni. Infatti, questo sarebbe un atto staccato dal travaglio e dall'impegno degli uomini, sarebbe una vernice sotto la quale non ci sarebbe che il vuoto, perché le energie vengono frustrate o lasciate inoperose, e non si stimola la crescita e il rinnovamento nell'impegno, non si crea la condizione prima del successo di ogni politica, vale a dire la partecipazione sentita, lo sprigionamento delle volontà e delle capacità nel vivo della partecipazione creativa.
Siamo, quindi, in presenza di una verifica che rivela un fallimento macroscopico e direi quasi disperante. Qualche cosa, però, ha fatto la Giunta. Penso che ciascuno di noi ricordi quell'episodio grottesco del non passaggio agli articoli sul progetto di legge concernente gli istituti professionali di Stato. Vi era una relazione di maggioranza nella quale si affermava che comunque, pur dissentendosi dall'iniziale progetto di legge in ordine ai poteri da attribuire ai vari organi delle Regioni, era necessaria l'approvazione di quella legge per regolamentare l'esercizio delle funzioni trasferite alla Regione. Improvvisamente, la D.C. propose con un ordine del giorno a sorpresa, il non passaggio agli articoli. Bene che cosa è avvenuto? Qualcosa che li lega molto con la questione delle Immacolatine di cui parlava il compagno Sanlorenzo, anche se si tratta di un problema più generale, di esercizio delle funzioni e della sua regolamentazione. (Sanlorenzo evidentemente ha dedicato particolare attenzione, nel leggere il Bollettino Ufficiale della Regione, alla parte relativa all'assistenza: ognuno di noi si sofferma particolarmente su determinati settori). E' avvenuta la nomina di Consigli d'amministrazione.
Certo, perché i Consigli d'amministrazione erano in effetti scaduti. E in quella legge non si diceva che dovesse essere il Consiglio a decidere sulle nomine, ma si diceva: "La Giunta, sentita la Commissione prevista dallo Statuto." L'amministrazione degli uomini forse per qualcuno è molto più importante, o quanto meno è altrettanto importante, di quella dei quattrini. Quindi, approvazione dei Consigli di amministrazione approvazione dei piani annuali, consensi ad ampliamenti e nuovi corsi senza alcuna programmazione, senza alcun collegamento con le prospettive della riforma della scuola secondaria superiore. Queste ultime, poi, sono materie di programmazione vera e propria, cioè di competenza del Consiglio.
Quale controllo concreto, quale verifica può aver fatto la Giunta? Pu soltanto aver messo il suo spolverino su quelle delibere, magari aver interpellato l'uomo di fiducia, questo o quell'uomo di questa o quella corrente, di chi propone quelle delibere. La Giunta si sta, insomma caricando di una tale quantità di compiti che davvero non capisco come possa funzionare. Il Presidente della Regione deve avere la mano stanca a furia di firmare decreti e ordinanze e via dicendo. Come può dunque effettuare una verifica di questo tipo? Nemmeno se avesse la capacità di lavorare ventiquattro ore al giorno su ventiquattro per 365 giorni all'anno potrebbe operare un vero ed effettivo controllo, non soltanto fiscale ma anche promozionale su tutti gli atti che affluiscono alla Giunta. Queste sono materie sulle quali soltanto gli Enti locali sono in grado d'intervenire seriamente per giudicare se i piani sono correlati alle prospettive d'occupazione in quel territorio o se si tratta di astrazioni in funzione di prestigi e di carriere, magari, di questo o quell'istituto perché c'é da occupare questo o quell'insegnante (sempre cosa ben fatta dare occupazione, ma si tratta di vedere se ciò è funzionale rispetto a determinate scelte che siano positive nell'ambito di un'organica visione o se si tratta invece soltanto di dare posti, così come avviene purtroppo anche per gli ospedali). (Mi si consenta, fra parentesi, un'osservazione marginale: ho appreso dal Bollettino dall'istituzione di tanti Centri tumori in Piemonte. Speriamo che la relativa spesa si riveli. almeno utile che ci metta in condizioni di sapere tempestivamente se ci stiamo portando dentro un bel tumorino....).
Di che si tratta, in termini istituzionali ? Di esercizio delle funzioni trasferite. Non è dunque semplicemente una denuncia moralistica quella del modo in cui vengono fatte le nomine dei Consigli d'amministrazione degli istituti professionali o in cui vengono assegnati contributi alle Immacolatine e via dicendo. E' una conferma, in campo diverso, dello stesso modo di procedere. Ieri abbiamo ascoltato, divertiti tutti insieme, le denunce fatte in chiave scherzosa dal collega Sanlorenzo.
Con ogni probabilità la collega Vietti ci risponderà con la consueta gentilezza ed affabilità; il Presidente della Regione a sua volta spiegherà che si è dovuto decidere senza ancora disporre di un quadro di riferimento completo, che errare è proprio della natura umana, e che si cercherà di correggere gli errori, che saranno fatte le deleghe. In realtà, il problema è che l'esercizio delle funzioni trasferite alla Regione dev'essere regolamentato con legge. Ma le leggi che qui sono state proposte - io ero sempre tra i firmatari di quelle leggi, con i colleghi Rivalta, Revelli e Giovana (al quale, approfittando del fatto di averlo menzionato, invio l'affettuoso augurio che possa riprendere il più rapidamente possibile il suo posto qui) - si sono bloccate, all'infuori di una, quella sul Consorzio provinciale per l'Istruzione tecnica. E la delibera concordata per la formazione professionale è rimasta lettera morta proprio nella sua parte più impegnativa e più importante: quella in cui si stabilisce di preparare il riordinamento di tutta la materia. Se a questo non si provvederà, l'anno prossimo ci ritroveremo qui a fare una denuncia più o meno indignata, o spiritosa, o ironica o sarcastica.
Il problema è politico, è quello dell'esercizio delle funzioni amministrative così come si può fare oggi, anche provvisoriamente, in attesa delle deleghe. Ma si può già procedere ad alcune deleghe: è questione di volontà politica, di modo di concepire la Regione, di concepire la riforma regionale dello Stato, la funzione della Regione nell'ambito dello Stato, la funzione della Regione in rapporto alla comunità regionale Questo è il problema più generale.
Tornando poi al nostro tema, ciò che più allarma è il permanere in questo campo di un sonno profondo, troppo innocente. Il quale campo, poi continua però ad essere coltivato da altri alla loro maniera. E' il caso della Lancia nel Biellese. Questa doveva essere la prima grande prova della Regione; invece, a mala pena, la Giunta se n'è sbarazzata con un "consent" burocratico, da agghiacciare i più incalliti naviganti di cose politiche alla gestione della Confindustria biellese. E' vero che questa è una di quelle materie che stranamente sono state ritenute dal Ministero, ma, come dice il decreto delegato, va esercitata "in accordo con la Regione". La Regione è dunque d'accordo che venga gestita a quel modo la formazione professionale, in quel caso di rilevanti conversioni o di rilevanti insediamenti industriali? Questo io lo denuncio, perché qui siamo in presenza dell'accordo Montefibre che proprio per il Piemonte prevede un intervento ampio, nuovo. Come si comporterà la Regione a questo proposito? Forse deciderà senza nemmeno portare la questione in Giunta? Ma le avete esaminate in Giunta queste cose? Comunque, siete corresponsabili tutti corresponsabili di non aver portato questa questione nemmeno in Consiglio o quanto meno in Commissione. Si tratta di rilevanti riconversioni, li c' un'attività che riguarda direttamente gli uomini, e ciò vale per la Montefibre, ciò vale per Crescentino.
A questo proposito, consentitemi di ricordare alcune cose rispetto alle "lettere morte" della Giunta: quella della delibera del Consiglio, quella dell'ordine del giorno su Crescentino. Ne fa fede questo giornale (uno dei giornali nazionali, che viene teletrasmesso su tutto il territorio), in cui si legge nello stesso numero da una parte che la Fiat si preoccupa dei grossi problemi della disponibilità di acqua dolce per tutti gli usi dall'altra si parla in termini entusiastici della fonderia di Crescentino con la quale si rapina una delle più importanti fonti e disponibilità di acqua che si abbiano in Piemonte. Poi c'é stato l'ordine del giorno con il quale la Giunta faceva proprie le conclusioni del Consiglio.
Si direbbe che in Consiglio Regionale accada un po' quel che succede alla Rai, dove l'ideazione è delibera a tutti, tutti hanno la possibilità di proporre; ma poi, al momento di passare all'attuazione pratica, alla realizzazione, alla trasmissione, a decidere sono soltanto uno o due. Se le decisioni rimangono lettera morta è evidente che ci troviamo di fronte ad un governo (permettetemi di chiamarlo così intenzionalmente, perché a questo punto non si tratta più di un organo esecutivo) regionale che veramente non dà seguito alle deliberazioni, che non è in accordo con il Consiglio e con le sue determinazioni.
A bilancio, si può leggere la fedele riproduzione di questo vuoto pauroso di politica, di idee e di prospettive. A pag. 2 l'Assessore Paganelli dice giustamente: "Da una parte del Governo è stato assunto l'impegno di esaminare con le Regioni il bilancio di previsione per il '74.
Alle Regioni spetta di definire in concreto o propri programmi di sviluppo per poter avanzare richieste non astratte ma fondate su concreti progetti d'intervento". Ma per la formazione professionale, per l'assistenza scolastica, quali fondati programmi e progetti si hanno ? Dove mai è stata iniziata un'attività per giungere a dare un quadro e per scegliere delle alternative e formare dei progetti ? L'anno formativo sta per scadere a luglio, avremo il nuovo anno scolastico in autunno, e queste non sono cose che si possano improvvisare in un batter d'occhio. Qui siamo veramente rimasti indietro, colpevolmente, e forse in modo addirittura irrimediabile.
Sull'assistenza scolastica non dirò niente perché proprio nelle due ultime riunioni del Consiglio abbiamo veduto presenti Sindaci di centri importantissimi del Piemonte, insegnanti, e via Magenta è stata più volte teatro di riunioni sollecitate appunto dagli amministratori locali e dalle popolazioni per questo problema. Eppure, proprio perché si tratta, nell'uno e nell'altro settore, direttamente di persone, di politica direttamente sugli uomini, non sono mancate e non mancano le volontà di lavorare per un comune obiettivo di rinnovamento, al di là di ogni altra considerazione superando le strettoie dei decreti delegati e operando in modo da promuovere la messa in atto di tutte le energie e le risorse.
Non c'è, però, nemmeno un accenno ad una politica in questi campi nelle relazioni di bilancio e negli atti della Giunta. Eppure, si tratta di competenze specifiche della Regione, di competenze non eludibili, per le quali la comunità si rivolge alla Regione, e non ad altri. Quando vengono i Sindaci, quando vengono le famiglie, quando vengono gli insegnanti a chiedere alla Regione interventi per quanto riguarda l'assistenza scolastica non si può trincerarsi dietro l'affermazione di mancanza di competenze. Queste sono materie trasferite alla Regione, e insieme alle materie sono stati trasferiti anche i fondi, sia pure in misura insufficiente, come sappiamo.
Permettetemi, proprio in rapporto all'assistenza scolastica, di tracciarvi rapidamente il quadro di un settore, quello dei libri di testo e delle possibilità che la Regione ha in questo campo dell'editoria libraria.
Nel 1971, in Italia sono stati spesi 225 miliardi per i libri in generale di cui 113 miliardi, poco più della metà, per i libri scolastici. Ci significa che l'intera editoria libraria si regge sul libro scolastico. E' quindi un mercato, quello del libro scolastico, molto solido e molto profittevole.
In Italia vi sono non meno di 1200 editori librari, ma soltanto 120 per l'editoria scolastica. Più della metà della spesa dell'editoria libraria va dunque agli editori scolastici, che sono un decimo dell'intero settore dell'editoria libraria.
In questo campo si sta verificando una concentrazione paurosa. Sono noti i legami di Garzanti con la Dupont de Nemours, della Etas Kompass, che è poi la società fatta tra IPC,. "Daylt Mirror", Caracciolo ecc., con la Fiat, la quale è entrata nella Fabbri Editori (proprio oggi questo stesso giornale ci dice che Giovannini è stato eletto Presidente, e Caracciolo come è noto, è nel Consiglio d'amministrazione), Bompiani, i legami Vallecchi-Montedison e così via. La Etas Kompass aveva già collegamenti con la Boringhieri, la Delfi, la Olivetti System (dalla quale ha recentemente estraniato anche la Olivetti), la Publi-etas, la "Stampa" di Torino, la "Gazzetta dello Sport" e l' "Alto Adige". Altrettanto stanno facendo Monti e Rovelli in altri campi. Questo ci dice che probabilmente, anziché sulla produzione del libro di cultura, d'ora in poi si punterà sui "Love story" e "Il padrino", e l'intera editoria scolastica sarà concentrata nelle mani di pochi. Per non parlare del campo dell'audiovisivo educativo della scuola dove gli stessi nomi stanno entrando a vele spiegate.
In questo settore la Regione può e deve fare molto: ha competenze in materia di assistenza scolastica, e quindi di buoni libri, di biblioteche scolastiche, di biblioteche degli enti locali, anche e soprattutto per dare, prima di tutto nel campo educativo, il potere agli Enti locali e agli insegnanti, di concerto con i genitori, con una gestione sociale almeno di queste parti della scuola, perché nella scuola ci siano quei libri non soltanto di testo ma educativi che servano veramente agli insegnanti ed agli allievi, e, d'altro canto, per avere una selezione, una cernita del libro fatta in funzione della sua produttività educativa e istruttiva, e nel senso d'imporre alla editoria libraria di non produrre per produrre ma di produrre determinati testi, altrimenti non vengono acquistati e rimangono nei magazzini, e quindi per incentivare la produzione del libro culturale. Sono poteri della Regione, questi.
In questo campo non c'è nemmeno una idea, oggi, all'interno della Giunta. Immagino che il Presidente, uomo sempre informato e ricco di interessi, sia al corrente di questi processi di concentrazione che sono in atto, ma non so se si preoccupi di questi aspetti di committenza agli intellettuali, di monopolizzazione degli intellettuali, degli scrittori che hanno come fondamento il campo della scuola. Badate che, ripeto, la metà di tutti profitti dell'editoria libraria è concentrata nel settore scolastico, e che nell'80 per cento delle case italiane entra soltanto il libro scolastico. La Regione deve intervenire con una propria politica anche nell'ambito della formazione, della informazione e della cultura.
Ieri il collega Conti ha riproposto l'istituzione di un ente pedagogico. Noi siamo d'accordo, a patto che non si tratti puramente di un ente rivolto ai processi strettamente educativi ma pedagogico nel totale significato etimologico del termine.
Questo nullismo dell'Esecutivo in fatto di idee, di azione non è soltanto una questione che riguarda singoli uomini: c'é un problema che condiziona l'operare e l'orientamento anche dei singoli, ed è il problema del tipo di maggioranza che regge, per usare una espressione impropria, la Regione. Questo è uno dei suoi prodotti tipici, con tanto di marchio d'origine.
Noi, mentre proponiamo di sbarazzare la Regione di questa Giunta, la quale oggi oggettivamente si colloca nel contesto che opera per la strategia della tensione e rende pericolosa la situazione, al di là della volontà dei singoli, naturalmente, vi diciamo che non attenderemo che si operi il rovesciamento della Giunta per rovesciare la politica che essa ha impostato per la nostra Regione, assumendo una posizione massimalista. La lotta per realizzare un rinnovamento nelle politiche della Regione, per attuare nuovi strumenti legislativi e partecipativi, e lotta che contribuisce a creare le condizioni di maggioranze nuove, aperte alle forze regionali autonomistiche, a cogliere l'importanza della partecipazione, che tutta la vicenda del Piano regionale di sviluppo sta una volta di più facendo emergere come condizione per un rilancio democratico della vita politica e sociale piemontese, orientata verso la piena occupazione e il ruolo che deve assolvere, per le riforme e per la rinascita del Mezzogiorno, la nostra Regione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Fonio. Ne ha facoltà.



FONIO Mario

Signor Presidente, colleghi, le valutazioni globali del bilancio 1973 da parte del Gruppo socialista sono già state sviluppate nell'ampio intervento del collega Simonelli, che ha, in maniera approfondita ed articolata, esposto le considerazioni negative che non ci consentono d'approvare tale bilancio.
Il collega ha ampiamente dimostrato che il bilancio propostoci dalla Giunta per il 1973 presenta, peggiorati, gli stessi caratteri di quelli del 1972, nella sua persistente, fedelissima, pignola adesione alle impostazioni tradizionali rifacentesi essenzialmente ad uno Stato burocratico decentrato piuttosto che alla nostra concezione di una Regione capace veramente di smantellare sul piano locale l'organizzazione di tale Stato e di rinnovarla democraticamente.
Questa fase involutiva dell'Amministrazione regionale continua nella maniera più evidente. Nella discussione della scorsa estate sul bilancio del 1972 avevamo portato a prova di tale involuzione, tra le altre, la eliminazione dell'Ente regionale dei Trasporti, già specificamente previsto nel programma della prima Giunta come uno degli strumenti dello sviluppo regionale.
Ieri mi ha colpito la reazione del Presidente Calleri all'accenno fatto dal collega Simonelli sulla necessità di uno studio per pervenire ad un piano regionale delle acque. Eppure, anche tutto ciò era stato da noi proposto, ed era stato assunto come un preciso impegno nel programma dell'aprile 1971. Le discussioni che nascono su queste cose sono emblematiche e si sviluppano su problemi che costituiscono dei punti programmatici essenziali e qualificanti che rivendichiamo alla nostra posizione e sui quali si giustifica quindi concretamente il nostro dissenso.
Abbiamo già avuto modo di dire che il lato paradossale della posizione dell'attuale Giunta sta nel fatto che tutto ciò che era contenuto fino a ieri non solo nel primo piano redatto dal CRPE, ma nello stesso programma della Giunta, e che permane nelle indicazioni del rapporto IRES per il prossimo Piano di sviluppo regionale, sembra diventare, tutto ad un tratto piuttosto che il segno evidente di un ingiustificato mutamento d'impostazione e di valutazione da parte del Presidente Calleri, un preteso quanto assurdo indice d'astrattezza e di massimalismo dei socialisti. E' proprio su queste cose che emerge, secondo noi, il vero spirito informatore del bilancio della Giunta, la quale inutilmente cerca la copertura con la premessa fatta nella relazione che "il bilancio risente necessariamente della mancanza di un Piano regionale di sviluppo, nelle sue specifiche articolazioni ed indicazioni", e quindi non è ancora il modello cui la Regione deve guardare, perché non può essere ancora redatto in funzione di una politica di programmazione regionale. Questo è proprio ciò che noi vi contestiamo, e il collega di Gruppo che mi ha preceduto vi ha già detto che se ciò valesse non dovremmo avere un bilancio connesso con la politica di piano per tutta la presente legislatura.
Io non starò certo a ripetere quanto Simonelli ha già affermato sui tempi occorrenti per il piano, sulla necessità di dare intanto una risposta politica al rapporto preliminare dell'IRES e sulla necessità, proprio di fronte ai tempi richiesti per il Piano, di formulare delle proposte programmatiche. In difetto, andremo avanti con impostazioni settoriali che ci metteranno davanti a leggi come quelle recentemente discusse per l'agricoltura, sulle quali noi socialisti abbiamo dovuto astenerci.
Ma il punto dal quale sono partito, la discussione insorta sugli studi per un Piano regionale delle acque, a mio parere sta a dimostrare che non solo la Giunta mimetizza le carenze d'impostazione programmatica con la mancanza d'attualità di un piano, ma che è restia a lavorare seriamente in funzione di una politica di vera programmazione regionale di piano.
Altrimenti, non si giustificherebbe la sua opposizione, aperta o nascosta all'attuazione degli strumenti necessari come l'Ente regionale dei Trasporti o come gli studi per il Piano regionale delle acque. Anche questo, si vede, era inteso nel primo programma del 1971 solo come un fiore all'occhiello del Presidente Calleri, quale mi sembra sia stato purtroppo anche tutto l'impegno per l'ecologia, problema che era stato pur posto prima di ogni altro intervento settoriale.
Ancora nella relazione al bilancio 1972 l'impegno per la tutela dell'ambiente veniva indicato tra le quattro scelte specifiche di grande rilievo.
Nella relazione al bilancio 1973 invece si legge: "Nella loro più ridotta dimensione presentano però un rilievo politico non secondario anche gl'interventi previsti in materia di tutela dell'ambiente".
Non c'è chi non si accorga che quel fiore messo all'occhiello della prima Giunta è già quasi appassito e sta per essere messo in disparte. E non già perché il compito sia stato esaurito: questo è il punto importante.
Anzi, è stato detto e sottolineato che proprio i capitoli di spesa dedicati all'ecologia sono rimasti intatti, tra tanti altri sui quali si è già intrattenuto il mio collega di Gruppo. E, guarda caso, proprio alla V Commissione l'Assessore Chiabrando aveva portato un progetto d'utilizzazione di quei fondi, per 300 milioni, impegnati sul bilancio '72 nel quale s'indicava anche lo studio proprio di un Piano regionale delle acque.
Su questo tema delle acque dovrò proprio esaurire il tempo a mia disposizione, saltando tutto ciò che avevo da dire su altri argomenti dalla bonifica montana alla sistemazione idraulica e forestale, dalla forestazione ai parchi e ad altri settori. Mi pare infatti importante che ci soffermiamo, anche per la discussione che ne è nata nel corso dell'intervento di Simonelli. Il collega diceva che uno studio per un Piano regionale delle acque è necessario intanto allo scopo generale d'integrare studi e strumenti in attesa di poter porre mano alla formulazione concreta del Piano e perché il Piano stesso è fondamentale per ogni attività, non potendo certo bastare quanto è stato fatto ai fini del piano degli acquedotti. Quest'ultimo, invero, è un piano soltanto di nome: basterebbe pensare al fatto che si sono effettuate delle proiezioni della popolazione al 2000 che non tengono minimamente conto delle vere tendenze, che hanno già smentito ogni previsione. Ma poi il piano degli acquedotti riguarda soltanto le acque potabili, e quindi lascia intatto il problema in tutti i suoi diversi aspetti, che sono quelli fondamentali per il Piano di sviluppo regionale. Basta pensare che nell'ambito dell'assetto territoriale parliamo di creare apposite aree industriali per capire quanto sarebbe assurdo fare ciò senza conoscere la disponibilità di acque. Crescentino insegna, se vogliamo andare avanti di questo passo, per cui la captazione di acque per gli usi di uno stabilimento va a danno della portata degli acquedotti...
Basta pensare che si parla di canali navigabili senza sapere se abbiamo acqua sufficiente per bere e per irrigare e per l'industria prima che per navigare. Non me ne voglia l'amico ammiraglio Borando...., ma è così! Da tutto ciò appare più che giustificata la nostra impostazione.
Dobbiamo renderci conto che l'acqua costituisce un fattore essenziale per la sussistenza e per lo sviluppo economico L'aumento dei fabbisogni in rapporto all'addensamento degli insediamenti residenziali e produttivi in molte aree fa sì che le acque assumano sempre più diffusamente la caratteristica di bene scarso, la cui allocazione deve rispondere a criteri d'interesse generale ed essere effettuata secondo rigorosi metodi di scelta. Il carattere di bene scarso ormai attribuibile alle acque anche in regioni tradizionalmente ricche di tale risorsa quale il Piemonte rende necessaria anche la tutela delle loro caratteristiche produttive, essendo evidente che ogni deterioramento riduce la quantità di acqua utilizzabile accrescendo il divario tra risorse e fabbisogno. L'espressione "bene scarso" ha un preciso significato in economia, come tutti mi insegnate, in quanto indica una situazione che si contrappone a quella di "bene disponibile in quantità illimitata" e pertanto non oggetto di mercato e di scelte economiche. Il concetto dell'acqua quale bene scarso, dunque implica anche la valutazione del costo per l'acquisizione di tale bene nella misura in cui le fonti di rifornimento più facilmente attingibili non sono più sufficienti a soddisfare i vari bisogni e aumenta l'esigenza di ricorrere a sistemi più costosi di rifornimento (bacini artificiali, reti di adduzione idrica più lunghe, pozzi più profondi), per cui l'allocazione delle risorse idriche finanziarie rende necessarie analisi economiche sempre più attente, che vanno fatte in connessione agli aspetti più generali della programmazione economica.
La Conferenza delle acque, conclusasi nel 1971 sotto la Presidenza del sen. Medici, ha proposto come strumento fondamentale d'attuazione di una politica delle acque il Piano generale delle acque, che dev'essere coerente e coordinato con gli obiettivi generali del programma economico e territoriale del Paese.
Preso atto di ciò, si tratta di stabilire i livelli territoriali che devono essere oggetto del Piano delle acque. E' evidente in proposito che a livello nazionale il contenuto del Piano appare molto generale, dovendo fissare alcune condizioni di massima circa la metodologia, il quadro istituzionale generale e la ripartizione delle risorse finanziarie tra i vari comparti territoriali. I comparti da considerare successivamente sono quelli dei bacini idrografici, per il loro carattere d'unitarietà dal loro punto di vista fisico.
Chiarita l'esigenza del Piano delle acque nelle varie articolazioni resta da stabilire quali sono le indicazioni che il piano deve contenere soprattutto per quanto concerne i Piani di bacino e quelli regionali, che per riferimento a situazioni più concrete e circoscritte presentano maggiormente le caratteristiche di strumenti operativi. Il Piano deve in primo luogo fornire gli elementi conoscitivi riguardanti: 1) la qualità e quantità delle risorse idriche esistenti, con riferimento ai bacini idrografici elementari e con indicazioni riguardanti la situazione idrologica ed idraulica 2) stabilire l'entità delle risorse impegnate nelle varie aree e nei diversi settori d'impiego, con le indicazioni relative alle modalità di restituzione 3) valutare i fabbisogni prevedibili in rapporto alle linee di sviluppo del territorio, configurate nel piano di sviluppo economico, sia in termini di risorse idriche che in termini finanziari.
In secondo luogo, il Piano deve stabilire la ripartizione ottimale delle risorse idriche in modo da soddisfare le finalità di generale interesse che sono alla base del piano stesso.
Compito del Piano è altresì quello d'indicare le esigenze della difesa idraulica e dell'assetto del suolo e quelle relative alle opere di depurazione per la tutela delle risorse idriche dall'inquinamento.
Si pone pertanto una serie di problemi riguardanti i rapporti tra sviluppo delle risorse idriche e sviluppo economico generale. E' evidente infatti che esistono strette connessioni tra i vari aspetti della gestione delle acque. Ad esempio, la qualità delle acque, e quindi il livello di contenimento dei fenomeni inquinanti, influisce anche sull'entità delle disponibilità idriche: infatti, è chiaro che le acque più inquinate hanno una possibilità di uso ridotta o nulla. Altro esempio si può fare a proposito dei rapporti tra difesa idrogeologica e accrescimento delle disponibilità idriche: appare infatti possibile che serbatoi artificiali costruiti in montagna per accrescere le risorse idriche per usi irrigui finiscano con l'avere un effetto moderatore anche delle piene.
Il Piano delle acque è necessario proprio perché gli aspetti conoscitivi - entità delle risorse, fabbisogni, entità e costi dell'acquisizione - presentano allo stato attuale grosse lacune. Sono da ritenersi infatti insufficienti le conoscenze sulle risorse idriche di superficie, quasi nulle quelle sulle acque sotterranee, mentre il grado d'utilizzazione delle risorse idriche stesse potrebbe essere valutato solo se il catasto delle utenze idriche, previsto dal Testo unico delle acque fosse funzionale. Circa i fabbisogni, ho osservato che gli standard sono indicabili con una relativa facilità per gli usi civili e potabili; più complessa, per la notevole interferenza di fattori ambientali, colturali ecc., è l'indicazione dei fabbisogni irrigui; per i fabbisogni industriali il problema si complica ulteriormente, perché, oltre al gran numero di settori produttivi, c'é anche da considerare il fatto che la quantità d'acqua utilizzata sembra variare fortemente anche nell'ambito di ciascuno di essi, a seconda della tecnologia adottata da ogni singola unità produttiva; mancano inoltre sufficienti conoscenze geologiche e dettagliate notizie sulla situazione idraulica dei corsi d'acqua, ecc.
Al di là delle competenze delegate dallo Stato alla Regione, che comprendono le piccole derivazioni, gli attingimenti e le ricerche delle acque sotterranee, ammessa la connessione fra Piano delle acque e Piano di sviluppo generale del territorio, non può essere trascurato l'insieme d'istanze che emergono anche in materia di acque a livello regionale.
Appare perciò più che necessario che le Regioni esprimano le loro esigenze attraverso piani regionali delle acque che verranno mediati dai piani delle acque di livello superiore. Ne consegue perciò l'identificazione di tre livelli del Piano delle acque: quello nazionale, quello di bacino e quello regionale.
Ho voluto soffermarmi su un argomento specifico, rinunciando ad altre considerazioni e lasciando spazio ad altri colleghi, che avranno molto dire su tutto il contesto del bilancio. Mi è parso necessario farlo proprio per la discussone che è insorta ieri, durante l'intervento del collega Simonelli, e perché ritengo che qualche volta, al di là delle enunciazioni l'approfondire un argomento possa essere da parte di ciascuno di noi un notevole contributo.
Spero di essere riuscito quanto meno a far comprendere perché noi riteniamo indispensabile e di primaria importanza questo Piano regionale delle acque, al di là dell'esistente settoriale progetto di Piano regolatore degli acquedotti. A proposito di quest'ultimo voglio infatti ancora aggiungere come esso prospetti linee di sviluppo di tali opere come estrapolazione delle tendenze demografiche in atto, senza tener conto che la programmazione regionale si propone, attraverso gli strumenti disponibili, fra i quali è fondamentale la manovra delle direttive di sviluppo delle infrastrutture, di correggere alcuni grossi squilibri esistenti nell'ambito della nostra Regione.
Con questo discorso di sottolineatura e di spiegazione di quello che per noi è uno degli elementi qualificanti che a suo tempo, ripeto, erano già stati recepiti nel primo programma regionale, ma che ora non vengono più tenuti in considerazione, spero di aver dato un'ulteriore, concreta motivazione alla posizione del Gruppo socialista di diniego del voto favorevole ad un bilancio così impostato.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Rivalta. Ne ha facoltà.



RIVALTA Luigi

L'intervento dell'Assessore Paganelli, introduttivo a questo dibattito nella sua prima parte fotografa la realtà economica nazionale e quella regionale; vi si legge: che nel "72 vi sono stati 370.000 occupati in meno rispetto all'anno precedente (meno 8 per cento), e che in Piemonte gli occupati in meno sono stati 36.000 (meno 10 per cento); che la popolazione attiva in Piemonte è scesa al di sotto del 40 per cento, e che è calata in termini assoluti l'occupazione; che il 54,3 per cento della disoccupazione presente nella nostra regione è dovuta a persone alla ricerca di un primo impiego, e che la disoccupazione femminile è aumentata del 4,3 per cento che in agricoltura c'é un processo d'invecchiamento della popolazione attiva e contemporaneamente, di calo degli occupati; che l'occupazione nel settore industriale si è ridotta in termini assoluti, e che è allo stesso tempo aumentato ulteriormente il peso dell'occupazione industriale nell'area torinese rispetto a quello dell'intero Piemonte (con un incremento circa il 20 per cento). Si fa riferimento anche all'insoddisfacente livello d'utilizzazione degli impianti.
Credo che le suddette indicazioni siano opportune e che questa sia la maniera corretta di porsi di fronte ai problemi che investono la Regione ed il suo sviluppo. Credo sia gusto partire da un'analisi della struttura economica, produttiva, perché qui stanno le matrici di tutti processi di trasformazione sociale, di mutamento demografico, di squilibrio territoriale che investono la nostra Regione; sulle conseguenze dei quali non è possibile alcun intervento se non ci si porta a questa origine strutturale. Ma ciò che lascia perplessi è che da questo approccio non si traggono delle conclusioni sul piano politico. Le indicazioni contenute nella parte introduttiva della relazione fatta dall'Assessore Paganelli non possono non essere considerate un'autoaccusa per quelle che sono le responsabilità degli attuali Governi nazionali e regionali nella determinazione dello sviluppo economico; ed al di là dei dati quantitativi sul piano strettamente politico, per la responsabilità che si determinano a causa della presenza di una maggioranza con i liberali in una regione come la nostra e con i problemi indicati; maggioranza che ha svolto addirittura il compito d'anticipare l'involuzione a destra nazionale.
Ma oltre a tale questione, toccata dal collega Sanlorenzo ieri, che porta alla ovvia conclusione che si deve cambiare maggioranza, credo si debba mettere in evidenza come neppure si traggono correlazioni di carattere operativo tra la fotografia fatta della situazione economica e le voci di bilancio contenute nel testo presentato. Si auspicano "innovazioni e modificazioni legislative per rendere più efficiente l'intervento della Regione (leggo dalla dichiarazione dell'Assessore Paganelli) per adeguare l'intervento delle Regioni ad uno sviluppo programmatico organico ed equilibrato sul piano economico e sociale, e democratico sul piano politico e istituzionale". Ma in realtà non si vede come la Giunta intende conseguire questi obiettivi.
Non si fa cenno, per esempio, al fatto che partendo da una valutazione relativa alla struttura economica, si tratta poi di vedere come su quest'ultima è possibile incidere. Non si fa alcun cenno sull'esigenza d'introdurre, nella vita della Regione, quel tipo di controllo sullo sviluppo economico-produttivo e sulla localizzazione delle fonti di lavoro che è stato chiamato "regime di autorizzazione".
Credo non sia di poco conto l'aver sottaciuto un riferimento così importante; senza aver risolto questo problema le Regioni non potranno assumere capacità di intervento nello sviluppo economico regionale. Non credo sia una questione astratta, fuori luogo, quella di richiamare il problema del "regime di autorizzazione"; già elementi in questa direzione sono presenti nella legge sulla Cassa del Mezzogiorno, ad esempio. E' necessario introdurre, anche a livello nazionale, questo principio: dare autorità all'ente pubblico, almeno ed intanto, sulle decisioni localizzative del sistema produttivo, come primo passo verso l'intervento dell'ente pubblico anche sulle scelte dei settori di produzione.
Nel bilancio non si fa nessun cenno, e non si assumono impegni, per la costruzione di quelle strutture politiche ed istituzionali, che pure sono richiamate nell'introduzione dell'Assessore Paganelli come uno degli elementi fondamentali per democratizzare la vita politica ed il controllo dello sviluppo economico della nostra Regione. Non si fa cenno, nonostante ci sia stato un dibattito che ha mostrato consensi pressoché generali ai comprensori; alle indicazioni, sul modo con cui si può già andare a costruire alcuni elementi di questa struttura di democrazia e di decentramento, emerse da quel dibattito, non si dà alcun seguito in sede di bilancio.
Si constata che i processi reali vanno in direzione opposta a quelli indicati dalle finalità che la Regione si è data; si dice infatti che si sta accentuando il peso dell'area torinese rispetto al resto del Piemonte ma non si individua un modo d'essere dell'azione politica e dell'intervento concreto della Regione per creare condizioni diverse, per modificare questo tipo di meccanismo; ci si richiama all'esigenza di modificare questo meccanismo di sviluppo, ma nessuna indicazione, neppure sul piano politico viene fornita.
La presenza nello Statuto regionale di pur ampie indicazioni di principio, non è sufficiente a modificare la situazione; si tratta di vedere oggi come possiamo operare, e quali posizioni politiche si debbano prendere, e quali atti concreti si debbono compiere. Le indicazioni di finalità generali contenute nello Statuto possono rischiare (e rischiano soprattutto in presenza di una Giunta di questo tipo) di rimanere disattese a lungo, così come sono rimaste disattese, o rimangono disattese molte delle disposizioni della Carta costituzionale. Il semplice riferimento alle finalità e agli obiettivi dello Statuto credo che non dia più fiducia a nessuno, e che non possa più costituire un appello credibile neppure nei confronti del vostro elettorato: le consultazioni che sono state operate in questo periodo per il piano di sviluppo hanno mostrato che anche le forze che fanno capo alla D.C. non vi credono più, neanche quando fate riferimento a quanto è scritto nello Statuto; la comunità regionale vuole vedere atteggiamenti della Regione capaci di realizzare quelle finalità.
E non è neppure giustificata, questa situazione, in cui al richiamo dei principi e delle finalità fa riscontro la permanente elusione di impegni concreti, dal fatto che non sono state emanate da parte dello Stato le norme per l'esercizio dei poteri attribuiti alle Regioni, le cosiddette leggi quadro relative alle varie materie. Esiste certo la questione delle leggi quadro ma soprattutto in quanto condizione per rifondare una legislazione estremamente complessa, parcellizzata e intricata, e per introdurre in essa gli elementi nuovi richiesti dalla nuova situazione sociale ed economica, ed eliminare quelli superati. Ma tutto ciò attiene al momento della formalizzazione giuridica di nuove istanze emerse non solo sul piano dei desideri, ma di una prassi concreta che li anticipa nella sostanza, anche se parzialmente.
Penso che gli interessi di una comunità regionale per cui si vuole conseguire leggi nuove, che diano alla Regione nuove possibilità, debbono essere fatti emergere subito, attraverso gli atteggiamenti concreti che a loro soddisfazione la Regione assume. Occorre che la Regione conquisti con i fatti la rifondazione del quadro legislativo e la sua modifica. D'altra parte, come si potrebbe pensare che le leggi quadro possano rispondere agli interessi delle comunità regionali, se questi interessi non sono costantemente espressi a livello di quelle comunità? Eludere questi problemi (come succede nella Regione Piemonte) è un atteggiamento politico che non sollecita le leggi quadro.
L'istituzione delle Regioni impone di per sé una visione diversa dell'intero esercizio del potere legislativo, o l'autonomia che si vuole attribuita alle Regioni richiede una capacita di inventiva e di ricerca libera. Solo operando si creano le possibilità di essere presenti nello sviluppo della vita economica regionale, nello sviluppo della vita nazionale; si rivendica la rimozione degli ostacoli ed impedimenti legislativi, mostrando in concreto che li si vuole superare.
Ed allora, se il momento più delicato e strategicamente più decisivo della vita e dello sviluppo economico-regionale, è nei problemi che sono stati posti all'inizio dell'introduzione dall'Assessore Paganelli, perch non si delinea un atteggiamento per incidere su di essi? La questione fondamentale è quella di frantumare potere di decisioni in campo economico detenuto da un gruppo ristretto di concentrazioni pubbliche e private, ed è questo che non si vuol fare. Non si tratta soltanto di impotenza politica o di limiti culturali, ma di una precisa volontà di non muovere in questa direzione. In ciò si ritrova a livello locale il segno della politica di destra portata avanti a livello nazionale; il segno della politica di alleanza col partito liberale, anche se nella Regione piemontese come a livello nazionale, il carattere conservatore di questa politica va ben al di là del peso di questo partito.
Così ad esempio, la stessa pianificazione dell'utilizzo del territorio che è compito specifico della Regione, è possibile compiutamente soltanto nella misura in cui ci si muove per costruire una capacità di intervento della Regione sui processi di carattere economico produttivo. In questo senso si indicano, sì, alcuni strumenti, nella relazione della Giunta quale per esempio la Finanziaria pubblica, ma in termini che rimangono del tutto generici, aperti a qualsiasi politica; la Finanziaria pubblica, così com'é presentata, può diventare sostegno di meccanismi di sviluppo propri di una politica di squilibri, di uno sviluppo diseguale, di un'ulteriore concentrazione nell'area torinese, Quindi, le stesse indicazioni di carattere generale che l'Assessore Paganelli ha richiamato e che riteniamo punto di partenza essenziale, non trovano però poi un legame con gli strumenti di intervento, neanche là dove questi si vogliono individuare. La mancanza di indicazioni sull' uso che se ne vuole fare, sui settori su cui si vuole intervenire, non consente un confronto.
Ma io credo comunque che la possibilità di intervenire nel settore economico-produttivo non sia soltanto problema della Finanziaria pubblica al centro sta il "regime dell'autorizzazione" che noi dobbiamo rivendicare a livello nazionale e a livello regionale, fin d'ora vedendo come esso pu trovare prime, sia pure parziali, applicazioni nella politica della nostra Regione.
La volontà di non intervenire a modificare meccanismo di sviluppo è presente non soltanto per quanto si desume dai limiti delle indicazioni che il bilancio dà in direzione della politica dei territorio, ma anche in altri settori produttivi. Mi rifaccio all'intervento di ieri del collega Ferraris in cui è stata dimostrata l'insufficienza dell'intervento della Regione in quel settore, non tanto o non solo dal punto di vista dell'entità finanziaria, ma dal punto di vista dei meccanismi reali che vengono messi in moto, i quali non fanno che sostenere la politica deficitaria, catastrofica dell'agricoltura avuta finora; e gli esempi si potrebbero allargare a tutti gli altri settori.
L'elusione del confronto con la realtà viene anche da un'altra indicazione contenuta nell'introduzione dell'Assessore Paganelli, là ove come strumento di intervento in funzione anche anticongiunturale, si propone lo sviluppo dei servizi e dei consumi sociali. Le sue parole sono "come strada per la ripresa economica e per la crescita civile". Certo è una linea che noi sosteniamo; la comunità regionale richiede, oltre alla difesa dell'occupazione, il miglioramento delle proprie condizioni individuali e sociali di vita attraverso una politica dei servizi, ma anche qui bisogna che le cose vengano chiarite: quali tipi di servizi si intende fare, quali sono le scelte di qualità, quali sono i servizi che rispondono a un'esigenza di carattere sociale, e quali invece andrebbero a potenziare gli attuali meccanismi di sviluppo.
Non sono stati dati orientamenti agli investimenti in questo settore si ripetono, così come sono stati operati nel passato (i miei compagni sono intervenuti nelle materie specifiche e lo hanno indicato). Non sappiamo quali effetti hanno avuto gli investimenti che sono stati fatti l'anno scorso. E' questo un elemento di verifica che ci manca, e che credo manchi anche alla Giunta, senza del quale è impossibile vedere se ci si orienta verso gli obiettivi che ci si è fissati, oppure se si va in direzione opposta, e si deve correggere il tiro. Non esiste nella vita della nostra Regione nessuna possibilità di controllo e di verifica in questo senso credo che analisi del tipo di quelle che hanno fatto il collega Sanlorenzo ieri, e il collega Besate oggi, debbano essere ripetute per tutti i settori di intervento della Regione. Sarebbe curioso andare a vedere, ad esempio che effetto ha avuto la politica infrastrutturale; dove si sono localizzati i finanziamenti dei lavori pubblici che la Regione ha effettuato in questo periodo, quale tipo di aree hanno potenziato? L'Assessore Falco non deve costringerci a venire a spulciare le delibere; un comportamento corretto e democratico all'interno di questa assemblea richiederebbe che l'Assessorato stesso fornisse il quadro degli investimenti fatti, la valutazione degli effetti che si sono conseguiti quali tipi di aree si sono potenziati, in quali direzioni sono stati orientati. Invece, nulla di tutto ciò per il passato; e per il futuro non sono precisate quali scelte di qualità devono essere fatte all'interno dei servizi, né in quale direzione gli investimenti vengono effettuati.
Quale può essere il giudizio nostro? Certo, l'esperienza che abbiamo fatto ci costringe a dubitare: abbiamo timore che gli investimenti nell'ambito dei lavori pubblici e delle infrastrutture vadano a cadere, sì in un mare di bisogni, ma accentuando gli squilibri che ci sono nella nostra Regione; vadano a potenziare le aree che sono già più forti.
E quale rapporto esiste tra gli interventi della Regione e quelli operati al di fuori di essa. A Torino si parla di costruire la tangenziale est, qualcuno dice che costerà 60 miliardi, altri han già avvisato che saranno cento miliardi. Ma allora, quale può essere la politica infrastrutturale della Regione se al di fuori della Regione l'intervento per la sola tangenziale est di Torino supererà largamente gli investimenti previsti dal bilancio regionale. Nulla ha da dire la Regione in proposito? Nell'area torinese un'altra serie di investimenti sono previsti: l'autostrada della Valle di Susa, quella di Pinerolo, la metropolitana.
Anche nei confronti di questi problemi bisogna esprimersi: vanno verificati non solo e non tanto in relazione alle effettive esigenze che l'area torinese ha, ma nel quadro delle esigenze generali della nostra Regione; e proprio per non accentuare gli squilibri e quindi favorire una politica di concentrazione bisogna prendere posizione. Fare il bilancio significa anche questo.
Le cifre indicate non sono confrontate peraltro con i fabbisogni. Per far questo sarebbero necessarie delle indagini che non sono state svolte; e ciò mostra che non c'è la preoccupazione di andare a conoscere per poter gestire. Non si cerca neanche di utilizzare i dati che sono a disposizione.
Ad esempio, quale relazione esiste, in tema di assistenza, tra le cifre stanziate nel bilancio regionale e quelle che il rapporto Ires indicava come realizzabili al '75, nell'ambito di una politica tendente a perequare la situazione regionale? Il rapporto Ires indicava entro il '75 una possibilità di stanziamento di 68,2 miliardi ed era soltanto il 46 per cento del fabbisogno; ed erano indicate le ripartizioni tra l'area torinese e il resto del Piemonte. L'attività della Regione nel campo dell'assistenza persegue le linee indicate nel piano Ires, e si propone di ripartire i fondi secondo questi criteri? A questo proposito nulla ci è stato detto. E' pensabile che anche in questo settore la politica della Regione si sviluppi secondo quella che umoristicamente viene indicata come specializzazione territoriale per Provincia degli interventi a seconda dell'origine dei vari Assessori.
Sempre nell'ambito dell'assistenza, quale relazione esiste tra i finanziamenti per gli asili nido effettuati dalla Regione e i 39 miliardi indicati dall'Ires entro il 1975? Quali vanno nell'area torinese? L'Ires ne indicava 26,4. Quali nel resto del Piemonte? L'Ires ne indicava 12,6. Sono giuste queste ripartizioni? Ci si è posto il problema di verificare criticamente queste cifre, e di vedere come le si consegue entro il '75? Siamo sulla strada per conseguirle entro il '75? Proprio per questi aspetti, richiamo qui l'importanza ed il significato del fatto che nella legge per gli asili nido sia stata introdotta, su richiesta nostra, a partire dall'anno prossimo, il metodo della programmazione degli interventi. Sarà questa una condizione per eliminare la situazione di non conoscenza di quanto avviene e di quanto si dovrebbe fare che è presente nell'attuale bilancio.
Analoghi confronti si potrebbero fare con i fabbisogni indicati dall'Ires (pur se da valutare criticamente e da verificare, considerata tutta l'approssimazione che questi dati hanno) per altri settori: viabilità, trasporti, ospedali, attrezzature culturali, musei, biblioteche.
Che politica culturale si sta facendo, quale legame questa politica ha con il sistema delle attrezzature scolastiche; come ci si muove per realizzare le indicazioni dell'Ires nel campo delle attrezzature verdi, ricreative per il turismo? Aggiungo che un confronto di questo genere dovrebbe essere fatto in sede di bilancio anche per quelle voci che non sono di stretta competenza della Regione come la scuola, l'università, la casa, ecc. per avere un quadro completo dell'andamento dello sviluppo della Regione, per cogliere la portata reale della politica regionale, per trarre indicazione e per proporre, là ove la Regione non ha competenza assoluta, gli interventi legislativi e finanziari che per altra via si devono conseguire; per svolgere cioè un'azione rivendicativa di base, di responsabile sindacalizzazione della Regione nei confronti dello Stato.
Respingere questo confronto con la realtà è un atteggiamento di comodo che questa Giunta assume per eludere i problemi. E' il segno di una precisa scelta politica: significa di fatto abbandonare i problemi di fondo rimandare anche quelle prime pur piccole possibilità di inserire la politica della Regione in una prospettiva che consegua gli obiettivi che ci siamo dati, in un'azione che prefiguri anche embrionalmente una politica di intervento programmato.
E' in questo quadro che si elude il confronto con un problema tra i più grossi a livello nazionale e regionale, quello della casa. Nel bilancio della Regione per sentire richiamare la legge 865 bisogna andare al riferimento legislativo contenuto nella denominazione del capitolo di spesa che annota per memoria i promessi stanziamenti dello Stato. Non è sufficiente. Vogliamo sapere, in sede di bilancio, che cosa pensa la Giunta del fatto che essendo a metà dell'anno 1973 e concludendosi a dicembre il triennio entro cui questa legge aveva promosso i finanziamenti, nessuno di questi è stato elargito. Non abbiamo più saputo, dal momento in cui abbiamo discusso la distribuzione e la localizzazione degli investimenti promessi che cosa la Giunta pensa in merito; non sappiamo nemmeno, se non a titolo di informazioni personali raccolte nel corridoio, se la Giunta Regionale Piemontese ha partecipato alle riunioni che sono state fatte in sede nazionale per quell'azione sindacale che le Regioni hanno sviluppato nei confronti dello Stato affinché questi soldi giungano il più rapidamente possibile. Non sappiamo se la Regione è stata presente come autorità politica, oppure soltanto con funzionari, pur se autorevoli. Che cosa ha fatto la Regione Piemonte per far sì che questi finanziamenti vengano staccati dal Governo? Noi, da parte nostra, siamo stati partecipi delle larghe iniziative che sono state prese dai sindacati, dagli edili, dalle popolazioni locali per rivendicare con manifestazioni, con pressioni a tutti i livelli, che questi soldi incomincino ad arrivare, e rapidamente. Non sappiamo come la Giunta si sia collocata, da che parte si è messa: dalla parte del Governo che non vuole stanziare soldi, forse per utilizzarli per investimenti in altri settori, o dalla parte dei sindacati, degli edili, delle popolazioni che chiedono un intervento nel settore della casa.
L'Ires per il settore della casa indicava la necessità di produrre nella regione piemontese non meno di 300.000 vani all'anno fino al 1980, e dopo il 1980, 450/500.000 vani all'anno. Come si opera per far sì che non rimangano soltanto indicazioni? Noi crediamo che anche nel settore della casa si debba, in tutti i modi promuovere un intervento diretto della Regione, capace di orientare con s interventi di altro tipo, di promuovere una diversa politica creditizia ecc. Non si è fatto nulla, la Giunta non ci ha proposto nulla. Ieri il Consigliere Cardinali (che avrà discusso questi problemi all'interno della Giunta, fino a quando ci è stato) indicava la Finanziaria come uno strumento di intervento in questa direzione. E' un'ipotesi, esaminiamola.
Intanto dobbiamo constatare che la Giunta Regionale piemontese non ci fornisce elementi di discussione. La Regione lombarda ha stanziato fondi (un miliardo e mezzo) per il pre-finanziamento dei programmi di costruzione disattesi dalla 865. Opera anche in direzione dell'edilizia privata e la cosa non ci scandalizza affatto; il nostro partito sa benissimo che la percentuale di intervento pubblico in questi anni è al di sotto del 3/4 per cento dell'intera produzione edilizia, sa che l'intervento privato deve essere stimolato, anche se indirizzato in modo tale da controllarne i risultati urbanistici e di impedire i processi di speculazione.
La Regione lombarda, per stabilire un rapporto con i processi edilizi provati, ha stanziato 500 milioni per sistemazioni di emergenza e 1.500 milioni per l'acquisizione di aree e per la formazione di un demanio regionale, all'interno della 167, da attuare in connessione con la 865, da usare in funzione strategica per le scelte di localizzazione residenziale e da mettere a disposizione per interventi di carattere anche privato attraverso convenzioni che eliminino le forme di speculazione e che consentano un primo controllo da parte dell'ente pubblico sulla politica degli affitti, così come la legge 865 stabilisce.
L'Emilia, che pone anch'essa attenzione, al problema della casa, opera in altro modo. Svolge interventi a favore del risanamento e della ristrutturazione dei centri storici, intervenendo attraverso la 865; si preoccupa di dotare i Comuni della sua regione degli strumenti urbanistici e non solo di quelli di carattere generale, ma anche di quelli di carattere esecutivo, e stanzia finanziamenti perché tutti i Comuni, con contributi pari al 70 per cento, siano ampiamente dotati di questi strumenti.
Dobbiamo invece constatare da questo nostro bilancio, nonostante le sollecitazioni e le pressioni che abbiamo fatto come gruppo regionale insieme a quelle che sono venute dall'esterno, che c'è una disattenzione completa della Giunta Regionale su questo tema. Si propone un intervento connesso al problema della casa: quello a favore delle urbanizzazioni primarie delle aree utilizzate per gli insediamenti della 865, ma è detto quasi in sordina; e ciò pur avendo, la Giunta fatto a questo fine una proposta di legge - proposta che vogliamo veder ritornare in Commissione possibilmente con le correzioni che la Commissione aveva richieste e che si riferivano sostanzialmente all'esigenza di introdurre garanzie da parte della Regione nei confronti delle banche, a favore dei Comuni, affinch questi possano accendere realmente i mutui che quella legge può promuovere.
Nel campo della politica urbanistica del territorio un'unica indicazione positiva cogliamo nel bilancio: è quella relativa agli stanziamenti per la formazione dei piani territoriali. Anche questa indicazione è larvata dai dubbi, ce lo consentano i colleghi della maggioranza, che sorgono circa la volontà di elaborarli; già l'anno scorso c'era uno stanziamento a questo proposito, che è stato completamente disatteso; non se ne è fatto nulla; non vorremmo che anche questi nuovi stanziamenti rimanessero residui passivi del '73. Si tratta di fondi relativamente cospicui: per quel che riguarda il piano dell'area torinese i fondi sono stanziati dal Ministero del Bilancio, e sono segnati nel bilancio per memoria...
Vedo che il Presidente Calleri si stupisce.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

No no, mi stupisce che lei non sappia che questi fondi sono dati dallo Stato e che è lo Stato in ritardo e non noi.



RIVALTA Luigi

Ma la Regione non può essere passiva alle promesse dello Stato, deve farsi costantemente avanti, e se i soldi non arrivano bisogna avere il coraggio di dire che questo è un governo che veramente non serve neanche per queste cose.
Pare che la cifra sia di 700 milioni; difficile dire se sarà sufficiente o meno, comunque è una cifra cospicua. La Regione da parte sua ha stanziato altri 200 milioni per la formazione di piani territoriali, e c'è da pensare che possano andare per la formazione di piani territoriali di aree esterne a quella torinese, visto che per quest'ultima potremo utilizzare quelli del Ministero del Bilancio...



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Sono due cose diverse.



RIVALTA Luigi

Si tratta di vedere se sono due cose diverse. Non credo che possiamo pensare a due cose diverse; certo sono due canali di finanziamenti diversi ma che noi dovremo gestire allo stesso modo, con gli stessi obiettivi, con gli stessi intendimenti, costruendo strutture analoghe di elaborazione e partecipazione.
Impegniamoci per avere questi soldi dal Governo, rapidamente, poiché se ne parla da molto tempo; ma intanto utilizziamo quelli che ha stanziato la Regione. Con questi c'è la possibilità di operare subito, per fare svolgere alla Regione i compiti che le competono in materia di organizzazione del territorio.
E qui nasce il problema di come la Regione deve muoversi. La condizione per definire come operare potrebbe essere considerata favorevole, nel senso che in questo campo non abbiamo delle prassi costituite: non si sono mai fatti piani territoriali in Italia nonostante che questo istituto sia previsto dalla legge urbanistica del '42. Il fatto di non avere alle spalle una prassi costituita, tutto sommato ci consente una certa libertà nell'interpretare storicamente la legge, e quindi la possibilità di adattare questa legge alle esigenze che oggi le Regioni possono porre in evidenza ai fini della formazione dei piani. La nuova situazione creata con l'avvento delle Regioni impone questi adattamenti; è questa una prassi corrente: ad esempio, il non utilizzo del piano territoriale ha provocato modifiche nella stessa applicazione della legge urbanistica e del quadro delle competenze relative. Così il piano regolatore, su cui il Ministero dei LL.PP. svolgeva un puro controllo è diventato oggi atto sì del Comune ma con una prevalenza di intervento dell'autorità tutoria (oggi della Regione, non più del Ministero dei LL.PP.), tant'è che la dottrina definisce oggi questo atto di approvazione - cioè quello che i giuristi chiamano l'imputazione dei piani regolatori - come atto complesso e ineguale.
Ecco quindi che la stessa legge urbanistica è andata modificandosi ed adattandosi alle situazioni; e questo credo costituisca un esempio di flessibilità da aver presente nel momento in cui si introduce l'istituto del piano territoriale: sia per eliminare gli elementi negativi che la prassi di applicazione della legge ha introdotto, sia per dilatare in senso positivo e innovativo l'interpretazione della legge urbanistica.
Penso sia utile richiamare le ragioni che non hanno consentito l'applicazione dell'istituto dei piani territoriali, perché da esse possiamo trarre elementi per stabilire come muoverci e cosa fare. Intanto un ostacolo è stato determinato dal fatto che la formazione di un piano territoriale richiede un collegamento con delle previsioni di carattere economico; direi che nessun intervento urbanistico può essere fatto al di fuori di una verifica di coerenza con le previsioni di carattere economico: se ciò è vero già per gli interventi di carattere comunale o sub-comunale tanto più lo è a livello di piano territoriale. Non avrebbe senso una prefigurazione di carattere urbanistico, senza che essa sia connessa con previsioni di carattere economico; senza che la politica territoriale si configuri come strumento di intervento volto a controllare i processi di carattere economico.
Una prima ragione per cui i piani territoriali non sono stati fatti è proprio dovuta a questa impossibilità di formulare serie previsioni di carattere economico; un'economia liberistica per sua natura evita di prevedere e pianificare lo sviluppo economico: da questa posizione consegue l'atteggiamento di non cimentarsi neppure sullo stretto piano urbanistico in una politica di vincoli che risulterebbero incongruenti con le libertà di carattere economico. Quindi problemi derivanti da una precisa impostazione politica. Ma, accanto a questi problemi anche di strumenti. I piani territoriali hanno avuto difficoltà ad essere introdotti anche là dove lo stesso Ministero da cercato di introdurli, per l'insufficienza di strumenti rispetto alle procedure complesse di raccolta e di elaborazione di dati necessari. Qualsiasi modesto tecnico rifiuterebbe di studiare un piano territoriale senza gli strumenti adatti, né si può pensare di operare alla maniera con cui purtroppo si continuano a fare i piani regolatori. I problemi oggi, come sono maturati, richiedono una strumentazione di carattere diverso.
Quindi problemi di scelta politica, di metodo, di strumenti, hanno impedito l'applicazione dell'istituto del piano territoriale. E forse anche aggiungerei, ma, non come fatto determinante, il pudore di non produrre attraverso i piani territoriali un intervento di carattere autoritario e burocratico, come è nello spirito della legge urbanistica originaria.
Voglio pensare pur se con malizia, che sia stato anche questo un atteggiamento che nel rispetto dell'autonomia comunale ha dilazionato l'applicazione di tali piani.
Ma oggi, data la modifica che la struttura legislativa ha subìto, e soprattutto con il trasferimento dei poteri alla Regione in materia urbanistica, è possibile eliminare questi limiti.
Per prima cosa occorre manifestare una volontà politica, che il Ministero, organismo burocratico, non ha mai avuto, che Governo non gli ha mai imposto. La Regione deve manifestare la volontà di procedere attraverso i piani territoriali, concretamente e non soltanto stanziando del denaro.
In secondo luogo bisogna eliminate (e qui mi rifaccio a quel pudore che voglio pensare ci sia stato e che ci sia soprattutto oggi da parte della Regione) ogni pericolo di autoritarismo, e creare un clima di collaborazione tra la Regione, a cui oggi è imputata la formazione del piano territoriale, e le amministrazioni comunali. Clima di collaborazione che può essere introdotto affidando all'associazione dei Comuni, a livello comprensoriale (il Presidente della Giunta direbbe "a livello circondariale" ma non è qui il caso di farne una questione, può darsi che non sia esatta nessuna delle due dizioni), il compito della formulazione di questi piani territoriali. E' questo un primo atto concreto di fiducia da parte dei comuni che la Regione può conquistarsi, e che eliminando rischi di interventi autoritari fornisce i primi elementi di costruzione e di sperimentazione di un rapporto democratico tra Regione e Comune. Per altra via, e non attraverso la formulazione del piano, si deve far svolgere alla Regione le funzioni di coordinamento e di indirizzo che le competono. Non credo che possiamo pensare ai piani territoriali fatti dall'associazione dei comuni, e come qualcuno ha suggerito approvati dai comuni; formalizzati cioè in una procedura che rimane all'interno dell'associazione dei Comuni.
La Regione deve svolgere le proprie competenze di indirizzo e di coordinamento: deve stabilire un rapporto dialettico con il momento di formazione di questi piani territoriali per giungere a delle soluzioni che abbiano una validità a livello comprensoriale come espressione dei Comuni e che contemporaneamente siano inseriti nella politica regionale svolta in base al piano regionale di sviluppo.
Questo non è un atto di sfiducia verso i Comuni, ma un atto legittimo sia giuridicamente sia politicamente. Dal punto di vista giuridico compete alla Regione l'atto formale dell'approvazione dei piani territoriali politicamente, poi, si tratta di piani di intervento a livello comprensoriale che devono essere coordinati all'interno della politica regionale, e questo coordinamento ha come ultima garanzia il momento dell'approvazione da parte della Regione.
E quando dico Regione mi pare che non ci siano dubbi che l'approvazione dei piani territoriali debba essere un atto dell'organo a cui, compete la funzione di coordinamento e di indirizzo: un atto di questo genere non pu che essere imputato al Consiglio Regionale.
Dire poi che è necessario (e il riferimento alla legge urbanistica fatto dal collega Dotti nella sua relazione, potrebbe aiutarci) andare a delineare quale rapporto deve esistere tra la politica di piano regionale e la politica di piani territoriali. Ci aiuta il fatto che la politica di piano a livello regionale, come a livello nazionale è essenzialmente fondata su dei nodi di carattere economico; a questo livello le traduzioni di questi processi di carattere economico in termini urbanistici sono estremamente generali e puramente indicativi. Il piano territoriale deve diventare effettivamente lo strumento in cui le indicazioni di carattere economico fatte a livello regionale trovano concretizzazione urbanistica a livello di comprensorio. L'elemento di congiunzione, il passaggio da indicazioni essenzialmente di carattere economico, a indicazioni essenzialmente di carattere urbanistico può avvenire fondamentalmente a livello di comprensorio.
Ultimo punto richiamato fra quelli che hanno ostacolato la formazione dei piani territoriali è quello degli strumenti. Non si può pensare di estrapolare il metodo di lavoro utilizzato per la formazione dei piani comunali.- Si tratta di procedure complesse a cui non si può dare risposta soltanto con i tradizionali interventi professionali; occorrono delle strutture stabili di elaborazione che sappiano stabilire rapporti fra i problemi di carattere urbanistico cui i piani territoriali si riferiscono e le matrici di carattere economico a cui il piano territoriale deve essere integrato. Quindi delle strutture di elaborazione di carattere stabile formate con interventi interdisciplinari, stabilmente operanti attorno ai vari e specifici problemi: economici, sociali, urbanistici. Stabili poich non si tratta soltanto di introdurre un modello, un disegno, una volta per tutte, come si è fatto finora attraverso i piani regolatori, ma di costruire uno strumento che consenta costantemente di conoscere e correggere, di verificare ed aggiornare. La complessità stessa dei problemi non può consentire nessuna fiducia nel fatto che un'indicazione data una volta tanto possa essere valida nel tempo. Si richiede una verifica costante, e quindi delle strutture permanenti a livello comprensoriale capaci di promuovere non solo l'elaborazione, ma di gestire tutti i processi successivi di attuazione e di aggiornamento. E questo tipo di elaborazione, di permanente verifica e gestione dei processi di pianificazione a livello comprensoriale, è indispensabile per altro anche come condizione per dare concreta vita al piano regionale. Le stesse consultazioni che abbiamo condotto in questo periodo a livello regionale ci hanno mostrato come delle indicazioni date soltanto a livello regionale non consentano un effettivo confronto, un'effettiva partecipazione; è necessario che il piano regionale si costituisca come momento di interazione fra indicazioni date a livello regionale e indicazioni date a livello comprensoriale.
Quindi al di là dell'istituzione formale dei comprensori, che a parer nostro deve essere comunque perseguita, è necessario, per far fronte agli impegni che la Regione ha sul piano regionale ed agli impegni che ha nella formazione dei piani territoriali, creare i primi elementi costitutivi di una struttura di carattere comprensoriale.
Rimane il discorso della strumentazione che deve essere data a queste formazioni comprensoriali: gli strumenti di carattere tecnico e politico.
Per gli strumenti tecnici va detto che la formazione dei piani territoriali richiede un complesso di dati ed un'elevata capacità di analisi della realtà. Si pone quindi il problema di come questi dati debbano essere raccolti, di quali dati devono essere elaborati a livello comprensoriale e quali a livello regionale, che tipo di interrelazioni deve esserci nel momento della raccolta e dell'immagazzinamento dei dati, e nel momento dell'elaborazione.
Su questa strada non si è fatto molto; credo che si debba stimolare la ricerca per definire che tipo di sistema di informazione debba essere assunto. E' importante muoversi con immediatezza se vogliamo uscire da quella situazione artigianale che ha contraddistinto sino ad ora i tentativi di pianificazione. In questo senso, dobbiamo ricercare i rapporti con quegli istituti che possono dare un contributo stimolante anche sul piano culturale nel definire i vari aspetti della politica di programmazione che la Regione deve effettuare.
In questo ultimo periodo è stata sollecitata dall'Università nell'ambito degli incontri che il Senato accademico ha avuto con l'apposita commissione di lavoro, la partecipazione della Regione nella formazione di un sistema regionale informativo di cui l'Università sta approntando i progetti. Io credo che questa sia un'occasione che la Regione deve cogliere: si tratta, per la raccolta dell'informazione e per la gestione e l'elaborazione di questa informazione, di stabilire un rapporto operativo con un ente pubblico capace di fornire alla Regione contributi sul piano culturale.
Poiché l'informazione è condizione da cui dipende la possibilità di definire le scelte e di elevare l'incisività dell'intervento, la Regione deve essere padrona degli strumenti che la raccolgono e la utilizzano. Non si può consentire che la Regione debba essere tributaria di strumenti di questo genere nei confronti di enti od istituzioni private. Non possiamo pensare che il sistema informativo di cui si avvarrà la Regione per la sua politica, sia gestito da privati. La gestione deve essere autonoma, deve essere pubblica. La proposta dell'Università costituisce un'opportunità di grande interesse che caratterizza culturalmente e democraticamente l'uso di tali strumenti.
Riteniamo la gestione pubblica di questi strumenti un fatto politico importantissimo; chi sarà in grado nel futuro di utilizzarli, di gestirli disporrà di una maggiore possibilità ci controllo dei processi in atto. La conoscenza non è soltanto un fatto culturale, ma un fatto politico, che incide profondamente sulle possibilità di intervento degli istituti e delle assemblee elettive.
E' proprio sul piano politico, richiamo qui la considerazione che un sistema informativo ancorato alla struttura comprensoriale di intervento, a cui ci riferiamo anche nel momento in cui proponiamo l'elaborazione dei piani territoriali, deve divenire il sistema portante di tutti i processi di partecipazione. Soltanto nella misura in cui la Regione ed i comprensori sono in grado di raccogliere in proprio, attraverso strumenti gestiti direttamente, l'informazione necessaria per la politica di piano e programmazione, è possibile fornire alle forze sociali, alle forze politiche, agli enti locali, gli elementi che essi richiedono come condizione necessaria per poter intervenire nelle scelte, e per poter rendere reale il principio della partecipazione che è stato fissato nello Statuto.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Menozzi, ne ha facoltà.



MENOZZI Stanislao

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, un elemento positivo nella discussione sul bilancio che si sta avviando alla conclusione è emerso e cioè che la Regione, nel panorama politico amministrativo del Paese, viene realmente a collocarsi come un elemento di stimolo al rinnovamento di strutture, metodi e procedure con una crescente democratizzazione della gestione della cosa pubblica.
Squilibri territoriali e settoriali, tensioni per l'insufficienza di servizi civili, si scaricano nella nostra società creando continui motivi di conflitto. Qui la Regione assume un compito essenziale e dovrà dare la ragione della sua utilità, misurandosi seriamente in termini di terapia politica e amministrativa e non soltanto di razionalizzazione e di maggiore efficienza di determinati servizi. Le Regioni devono cioè dare una risposta concreta alla richiesta fino ad ora insoddisfatta di autonomia decisionale delle comunità, comunità che anch'esse dovranno essere opportunamente, come più volte affermato, responsabilizzate e collocate in spazi territoriali più idonei degli attuali, onde consentire loro la possibilità di poter agire sul piano concreto; e non saranno solo i circondari ed i comprensori anche se utili, a determinare da soli queste finalità. Del resto un concetto analogo è stato anche responsabilmente espresso dall'Assessore al bilancio avv. Paganelli, a pag. 21 della sua relazione.
Fuori da questa impostazione le Regioni non riusciranno a congiungere i due tronconi scollati del Paese legale e del Paese reale, peggio aggiungendo burocrazia a burocrazia, esasperando la crisi attuale del sistema col rischio ingiusto ed assurdo di essere additate come responsabili. Le Regioni cioè non possono e non devono venire considerate come un'apertura di un nuovo sportello della stessa logora e superata banca burocratica italiana.
La Regione deve essere invece un serio e convinto tentativo di una nuova maniera di fare politica e di corrispondere ai bisogni della base con un fiducioso rapporto tra amministrati e amministratori, ma questo tentativo potrebbe fallire nella misura in cui l'autonomia regionale fosse disattesa.
Siamo usciti dal 1972, che è stato un altro anno emblematico delle particolari condizioni agricole del Paese. Certo resta in piedi il grande problema del mondo rurale, la cui soluzione si impone e rappresenta il prezzo che la società industrializzata deve pagare per la sua stessa sopravvivenza sotto forma di protezione, dell'ambiente, difesa della natura, salvaguardia residenziale degli spazi verdi sul quale vive una grande parte della nostra popolazione. Non siamo più davanti ad un solo problema agricolo, ma a qualche cosa di più ampio che interessa, sì il mondo agricolo e il mondo rurale, ma anche tutto il Paese.
Un notevole spazio in questo senso il bilancio 1973 lo dimostra.
Certamente non è uno sforzo quale desidereremmo poiché mostra limiti ed insufficienze indubbie, ma delinea l'avviarsi in agricoltura di un discorso serio. Gli aspetti di carenza del bilancio regionale per l'agricoltura come d'altro canto evidenziati in sede di osservazione della VI Commissione e con apprezzabile sintesi recepita dalla prima, non sono uno stato di colpe che si possano addossare del tutto ai politici, tenuto conto delle secolari arretratezze di un Paese come il nostro, che sta affrontando un evoluzione del ruralismo dell'industrialità che altri Paesi hanno digerito in decenni e decenni di graduale e lento sviluppo.
Per quanto attiene alla sintesi fatta dall'amico Dotti mi sia consentito esternargli il più vivo compiacimento per l'obiettività manifestata e per il notevole lavoro svolto.
Ma proprio perché la situazione è obiettivamente difficile e complessa occorre che si sia maggiormente attenti. Stringono i tempi ed i bisogni in agricoltura sono molteplici e gravi, mentre gli uomini che vivono nei campi hanno bisogno di sentire nei loro confronti una solidarietà che non sia fatta solo di parole, per evitare un ulteriore depauperamento della loro situazione. E se i mezzi finanziari sono limitati, l'esigenza di priorità per il lavoro autonomo del coltivatore diretto si pone in sede di un albo non delle imprese, ma degli imprenditori agricoli a titolo principale.
Non aggiungo altro commento su questo punto perché non intendo anticipare critiche, non conoscendo ancora il documento ufficiale predisposto dal M.A.F. relativo all'applicazione delle tre direttive comunitarie, ma è indubbio che questo discorso, che abbiamo già avuto occasione di fare, lo ripeteremo qui quando si parlerà principalmente dell'imprenditore "a titolo principale", perché noi ci auguriamo di vedere non solo delineata una percentuale accettabile di lavoro e di reddito che determini una precisa priorità, ma ci auguriamo altresì che il "titolo principale" sia determinato non tanto prendendo come supporto l'azienda bensì l'uomo in quanto tale; noi vogliamo sì l'azienda efficiente, noi ne vogliamo il suo sviluppo, ma non collocando l'uomo al servizio dell'azienda, bensì questa al servizio dell'uomo.
Ciò premesso riteniamo e nel contempo riaffermiamo quanto evidenziato nella nostra relazione svolta in seno alla VI Commissione e cioè che "compito qualificante delle Regioni, che ne giustifica l'esistenza e dà loro la necessaria credibilità, è l'attività legislativa propria e non anche e solo l'attività amministrativa derivante dal trasferimento di funzioni statali".
Rendendoci però conto delle difficoltà e dei complessi problemi che la stessa impostazione del bilancio avrebbe comportato in tal senso e con l'augurio che per i bilanci a venire, iniziando da quello del prossimo anno, una simile impostazione possa già ben delinearsi, richiamiamo la Giunta a voler riesaminare soltanto alcune voci dell'attuale bilancio prevedendone delle nuove che qui di seguito veniamo ad indicare consapevoli, anche, come siamo, che il volete tutto e subito è solo fare della demagogia e del populismo con l'unico risultato del niente mai.
Esse dovrebbero riguardare l'elettrificazione rurale, la viabilità minore e gli approvvigionamenti idrici e rurali. La relazione Dotti riprendendo le osservazioni formulate dalla VI Commissione, ne indica i limiti di spesa i quali, anche se insufficienti per i reali bisogni verrebbero pur sempre a dare una tangibile e precisa testimonianza di volontà nel volere affrontare la carente situazione in essere e verrebbe per introdurre ed affermare il principio delle necessarie scelte prioritarie.
Infatti riteniamo non ci sia bisogno di dover spendete tante parole per dimostrare quanto sia anacronistico ed umiliante, il dover registrare la mancanza o quanto meno la grave insufficienza di servizi elementari, quanto essenziali, come quelli che abbiamo indicato.
Elettrificazione.
Alcuni mesi or sono, quando affrontammo il discorso sull'opportunità di intervenire a favore delle pratiche giacenti al 31/12/'71, in questo Consiglio parecchi si sentirono scossi vedendo risultare la cifra di dieci miliardi occorrenti per il solo settore dell'elettrificazione. Ebbene, se vogliamo farci un quadro esatto, dobbiamo ricordare che quei dieci miliardi si riferivano soltanto parzialmente a detta situazione, perché riguardavano le domande inoltrate da parte di aziende prive totalmente di luce elettrica. E qui, sorge il primo interrogativo: i titolari di aziende prive di luce elettrica, avevano inoltrato tutti la domanda e rientravano tutti in quei dieci miliardi? Io dico di no.
Un problema altrettanto grave, la cui differenza sta solo nella struttura, è che si hanno zone in cui vi sono gli impianti, ma la situazione è analoga perché quegli impianti non forniscono che "luce da sole", la forniscono direttamente cioè, poiché è giorno e vi è sole, mentre non sono in grado di fornire la necessaria luce elettrica quando questa è necessaria. Immaginiamo, quindi, nel Piemonte risorgimentale, quanto possa essere grave una siffatta situazione ponendo anche mente che la denunciano nel 1973.
Viabilità minore.
Lo so che parecchi di noi, abituati a percorrere giornalmente le autostrade, si sentono estasiati e orgogliosi di sapere che quelle autostrade hanno fatto del nostro un Paese da collocarsi al secondo e tra non molto al primo posto nell'area dell'Europa occidentale e della CEE. Ma quante volte ci siamo chiesti qual è la situazione a soli pochi chilometri di distanza da quelle autostrade, da quelle superstrade? E bisogna vedere con quanta enfasi, anche in enti locali minori, parlano di autostrade e di superstrade. E' una cosa che fa piacere, certo, ma troppo poca attenzione si è dedicata al discorso sulla viabilità minore.
Vedi ad esempio la tangenziale sud di Torino.
E' indubbiamente stata un'opera notevolissima, poiché la città era congestionata. Ma a pochi chilometri di distanza da essa, qual è la condizione della viabilità minore? Io intendo riferirmi soprattutto alle strade vicinali e interpoderali: parecchie di queste sono percorribili si e no sette/otto mesi all'anno, stagione permettendo, mentre per i restanti mesi non sono assolutamente transitabili.
Questo è anche, il discorso dell'approvvigionamento idrico. In certe località vige la distinzione (che io chiamo "discriminazione") tra acquedotto civico e acquedotto rurale. Certe leggi purtroppo non hanno consentito agli amministratori di operare diversamente, per cui hanno potuto pensare solo all'acquedotto civico e chi abita al di fuori del concentrico continua a servirsi del secchiello.
Ma non c'è solo l'aspetto umano, subentra anche il discorso sulla zootecnia. Come si può pensare di poter affrontare seriamente il discorso dello sviluppo zootecnico, in queste condizioni? Quanti amministratori comunali si rivolgono a noi, e principalmente alla Giunta per chiarire gli interrogativi in relazione alla legge 21/4/1962 n. 181? La 181 non accusa solo una carenza di mezzi, ma in fatto di viabilità consente la dotazione ed il riassetto di viabilità all'interno dei concentrici e non anche all'esterno di essi. Per cui se un Comune aveva fatto una pratica per una frazione, esce dai limiti posti dalla 181. Ecco perché noi insistiamo nell'invitare la Giunta a voler rivedere quanto avevamo già richiesto in sede di Commissione, consapevoli che stiamo chiedendo un intervento che è essenziale.
Sempre a proposito di elettrificazione, viabilità e di approvvigionamento idrico, riteniamo sia sin d'ora opportuno evidenziare la necessità che la Regione dia inizio ad una precisa indagine conoscitiva atta ad appurare quante aziende difettano di luce elettrica e quanto sono servite da linee insufficienti o inefficienti, quante comunità rurali non dispongono di approvvigionamento idrico e le reali condizioni e necessità del settore della viabilità minore, per non parlare delle restanti situazioni infrastrutturali quali scuole, centri culturali e ricreativi attrezzature sportive e quant'altri servizi civili la cui carenza rende così difficile ed amara l'esistenza nelle campagne, motivo anche, e particolarmente questo, del disordinato e patologico esodo rurale. A meno che non vogliamo correre il rischio di intervenire quando la popolazione di questi luoghi non ci sarà più o, quel che è peggio, quando non ci saranno più i giovani, come è avvenuto per gli edifici scolastici, che, in certe comunità, sono arrivati, quando la popolazione scolastica non c'era ormai più.
Questa indagine, oltre tutto, verrebbe per dimostrarsi estremamente utile, per non dire indispensabile, nel momento in cui si porrà mano ad un'azione legislativa vera e propria alla luce anche della predisposizione ed attuazione dei piani zonali.
In ordine poi ai problemi dell'istruzione, formazione ed addestramento professionale, dando atto dell'utilità dello sforzo finanziario proposto nel bilancio regionale, pur osservando che il problema non si risolve solo con aumenti di stanziamenti, ma, prima di tutto, con una radicale innovazione di metodi e di indirizzi, ci permettiamo di ribadire la necessità dell'istituzione di borse di studio o possibili, forme pre salariali, da devolvere anche al settore dell'istruzione e addestramento professionale in campo agricolo e ciò per stimolare gli operatori del settore all'adesione e frequenza e per indennizzarli, sia pure in parte del lavoro sottratto in azienda. Soprattutto appare necessaria un'intensificazione delle iniziative nel campo della formazione dei cooperatori e della qualificazione professionale di coloro che dovranno operare a livello dirigenziale e di funzionari al servizio della cooperazione.
Sulle tristi vicende che hanno caratterizzato questi 27 o 28 anni di attività nel settore della cooperazione e sulla ricerca delle cause che le hanno determinate troppo poco ci si è soffermati. La cooperazione, che si fa anche con dei finanziamenti, con delle attrezzature, con le relative strutture ed infrastrutture, ma si fa anche con un materiale umano sensibile, pronto a capire che cosa vuol dire cooperazione. Cooperatori non si nasce, si diventa, e in questo settore una preparazione specifica di carattere umano si rende estremamente necessaria e indispensabile. Senza un sano pionierismo, prima, senza la disponibilità umana per dare alla cooperazione sufficienti e solidi quadri dirigenziali, poi, noi potremmo anche intervenire più massicciamente di quanto non sia stato fatto in passato, ma col pericolo di vedere vanificato ogni sforzo. Per cui noi insistiamo particolarmente perché al campo dell'istruzione e dell'addestramento professionale si dedichi particolare attenzione, anche con specifici riferimenti alla cooperazione e all'associazionismo.
A questo proposito è utile che la Regione operi con inviti tassativi agli enti gestori di corsi professionali a voler operare nel campo specifico. Appaiono anche consigliabili iniziative proprie e dirette dell'Ente Regione, per il tramite degli Ispettorati Agrari compartimentali e provinciali e degli Istituti professionali agrari, con la collaborazione eventuale degli Istituti universitari, e, domani, per mezzo dell'Ente di sviluppo agricolo, il quale, ovviamente, potrà avvalersi dell'opera degli organismi prima citati.
In tal senso anzi si richiede una previsione di spesa autonoma di cento milioni, con storno dei fondi dal capitolo 563, iniziativa questa la cui necessità si evidenzia pure per il settore artigianale, nel quale la cooperazione, in Piemonte, è pressoché inesistente e la cui validità va però ribadita.
In tema di assistenza tecnica e di attività dimostrativa ci pare necessario che la Regione operi con deleghe alle organizzazioni professionali, agli operatori ed organismi agricoli perché, nell'ambito della programmazione regionale, secondo una visione di democrazia partecipata e di autogoverno, siano essi stessi chiamati a svolgere tali funzioni, unitamente a compiti di formazione professionale, di orientamento negli investimenti, di organizzazione e di gestione dei mercati, di partecipazione nella gestione di tutti gli enti pubblici operanti in agricoltura.
E qui entra in causa la terza direttiva, la 161, sulla quale, come già detto, ci riserveremo un pronunciamento non appena conosceremo i documenti ufficiali all'uopo predisposti.
Si rileva anche insufficiente lo stanziamento previsto al capitolo di spesa 740 e si propone un aumento di 180 milioni della sua dotazione finanziaria, somma da prelevarsi dal fondo comune, per l'assistenza tecnica e la sperimentazione.
La maggior dotazione di tale capitolo dovrà essere, in primis devoluta, con la forma di contributi, a favore degli eliconsorzi operanti in Piemonte per la difesa antiparassitaria in agricoltura, per eventuali fabbisogni di analoghe iniziative nel campo della difesa delle piante e per sperimentazioni di prodotti diserbanti per evitare quanto si è verificato in passato e cioè i gravissimi danni allora verificatisi a certe colture principalmente a quelle viticole e orticole in provincia di Novara e di Alessandria.
E quando invochiamo un intervento a favore degli eliconsorzi, lo facciamo non per il raggiungimento di un unico scopo, bensì per il raggiungimento di una triplice finalità: 1) quella di ridurre possibilmente i costi di produzione in viticultura, soprattutto in quella collinare, i cui costi, anche se contenuti al massimo, saranno sempre decisamente superiori ai costi occorrenti per la viticultura del piano e che ci pongono dei gravi problemi di competitività, non solo in campo interno, ma anche in quello comunitario 2) quella di alleviare al massimo la fatica umana nei trattamenti in discussione, anche perché, col processo di esodo da una parte e di senilizzazione dall'altro, se non avremo mezzi meccanici idonei a sostituire la mano d'opera, che è sempre più carente per la pesantezza dei lavori, ci troveremo tra non molto in seria difficoltà per l'effettuazione di essi 3) sul piano politico come su quello sindacale e cooperativistico siamo tutti convinti dell'esigenza di sviluppare lo spirito associazionistico e cioè lo spirito di solidarietà fra gli operatori agricoli. Ebbene, conoscendo l'atavica diffidenza che si trascina in tal senso e che i fatti verificatisi, anziché combatterla ed eliminarla la stanno aumentando attraverso una crescente sfiducia, intervenire a favore degli eliconsorzi significa, anche, favorire questo spirito associazionistico. Mi attendevo che questa richiesta sarebbe stata recepita.
Il capitolo 1329 "Spese per le opere di bonifica e di sistemazione idraulica-agraria e forestale" deve prevedere uno stanziamento idoneo a concretizzare opere, da decenni allo stato di progettazione. Una particolare indicazione, nel campo, è il Consorzio per il Tanaro con sede in Cuneo, sorto per il maggiore e migliore sfruttamento delle acque del fiume ad uso irriguo, opera che verrebbe ad interessare tre delle sei province piemontesi e cioè Cuneo, Asti ed Alessandria, aumentando dai 15 ai 20.000 ettari circa il terreno irrigabile. Penso che anche questo non richieda particolari commenti, perché se prendiamo anche soltanto ad esempio l'orticoltura e la praticoltura (in connessione quest'ultima con lo sviluppo zootecnico) ci rendiamo conto di quanto sia essenziale tesorizzare quel poco di acque di cui disponiamo; in agricoltura l'acqua viene definita "l'oro bianco".
Per il capitolo 1334, che riguarda la zootecnia, più che sulla somma si deve insistere nel concetto della necessità di una nuova politica zootecnica che potrà qualificare l'intervento regionale. Si dovrà cioè attuare, con legge regionale, un valido piano carne, operando anche per mezzo del credito, sganciato da garanzie reali.
Si propone ufficialmente il problema che riguarda la necessità di selezione dei riproduttori bovini: questa è la base di un valido discorso zootecnico. E' sentita l'esigenza di una razionalizzazione e controllo dei centro-tori esistenti e della costituzione di un centro pilota che, per dimensioni e possibilità di selezione di soggetti, diventi il fulcro di un valido incremento della razza bovina in genere ed in particolar modo di quella piemontese, da affidare in gestione agli allevatori per mezzo delle loro associazioni riconosciute. Con ciò si ripropone in forma concreta il discorso dell'autogestione e cioè dell'autogoverno dei diretti interessati con l'attiva partecipazione degli organismi che già oggi validamente operano. Questa appare la strada più giusta per realizzare un attivo raccordo tra ricerca e sperimentazione, assistenza tecnica e produttori evitando le astrazioni, corresponsabilizzando la categoria e maturandola a scelte più valide.
In questo particolare quanto delicato punto, richiamandoci all'evidenziata esigenza di dare alle voci del bilancio, per l'avvenire precisi supporti legislativi, richiamiamo l'attenzione della Giunta onde per questo tipo di intervento e per l'utilizzo dei due miliardi previsti si proceda subito a predisporre l'apposito strumento normativo regionale.
Norma o legge regionale che non dovrà soffermarsi sui punti dello sviluppo della zootecnia qui indicati, ma che dovrà prevedere anche l'acquisto di soggetti selezionati dall'interno e dall'estero, come dovrà provvedere a tutto quanto attiene ai ricoveri, agli allevamenti in sé e per sé e rendersi promotrice di un'azione cooperativistica anche in questo settore attraverso la possibilità di iniziare a dare vita a stalle sociali rette da produttori, evitando il rischio che stiamo correndo di vedere inoltrate pratiche in nome di "stalle non sociali" ma societarie anche se contraddistinte dalla sigla s.r.l. o consimili.
Gli incentivi per un inizio della diffusione e del potenziamento delle stalle si rendono necessari per far sì che la zootecnia rimanga legata alla produzione agricola e agli autentici produttori, perché continuando a fare della zootecnia con le attrezzature di cui disponiamo attualmente, con la carenza di manodopera testé lamentata, corriamo il rischio di veder sorgere una nuova forma di zootecnia fatta da altri e non dagli autentici produttori. La stalla sociale, vuoi per l'utilizzo della manodopera residua, vuoi per la razionalizzazione degli allevamenti, vuoi per l'utilizzazione e delle praticolture e foraggere in genere di cui disponiamo, vuoi per un più serio allevamento e per un tornaconto economico, è un supporto essenziale e indispensabile al settore primario.
E una normativa legislativa si rende oltremodo necessaria, e non solo per la zootecnia, onde evitare il ripetersi di un'azione politica dimostratasi fallace e, quel che è più grave, foriera di notevoli ingiustizie, paragonabile a quella quotidianamente svolta dalle massaie nella distribuzione del becchime ai propri polli, consentendo a chi ha il becco più lungo di mangiare di più a scapito di coloro che il becco hanno più corto.
Al capitolo 742, pur comprendendo i motivi per i quali sono stati ridotti i fondi in esso previsti da 400 a 100 milioni, non possiamo per sottacere sia l'esigenza del potenziamento e dello sviluppo degli organismi che, nel campo della difesa passiva contro le calamità naturali, già operano e per favorire la nascita di altri, sia quanto attiene agli interventi già previsti dalla legge 25/5/1970 n. 364, e per la possibilità di intervento per le culture non specificatamente previste od escluse dal citato provvedimento legislativo.
L'esame di questo capitolo di spesa offre l'occasione di porre il problema della disastrosa annata agraria appena trascorsa. Appare necessario prevedere interventi a favore degli operatori agricoli così duramente colpiti dall'avverso andamento atmosferico.
Ringrazio l'Assessore Paganelli per averci voluto fornire anche dati di natura statistica, evidenziando che per il Piemonte il '72 è stata un'annata non dico funesta, ma densa di notevoli preoccupazioni, ma (come risulta sempre dalle statistiche) non è detto in modo chiaro. Normalmente si fa una media; noi dobbiamo dire che in alcune province del Piemonte il calo produttivo è stato quello evidenziato, ma che in tre delle sei province ha raggiunto dimensioni del 30-35 e anche 40 per cento.
Una legge regionale integrativa per le provvidenze previste dalla legge menzionata, cioè quella sul fondo nazionale di solidarietà, pare quanto mai opportuna.
Necessaria sarebbe anche una proposta delle Regioni per un'opportuna revisione di detta legge atta a renderla più consona alle esigenze dei produttori danneggiati da eventi calamitosi.
Altresì non va dimenticata l'esistenza di una proposta di legge proprio in riferimento alle avversità atmosferiche, presentata alcuni mesi or sono dall'Amministrazione Provinciale di Vercelli e da alcuni Comuni della Provincia medesima e attualmente all'esame della VI Commissione, la quale ha inviato una lettera in cui si invoca un giudizio da parte della Giunta.
Vedi, Ferraris, ieri, vedendo assenti da quest'aula gli uomini della Coltivatori Diretti, hai liberato la tua fantasia a mille e una congettura e hai addirittura motivato quell'assenza a causa di grandi travagli dell'organizzazione della Coldiretti (o bonomiana se più ti aggrada)..



FERRARIS Bruno

Confermata dal tuo intervento.



MENOZZI Stanislao

Questi sono i travagli dati dai problemi che la nostra agricoltura presenta. Al travaglio al quale ti riferivi ho dato anche un altro senso quello del lavoro: la Coldiretti mi consta che è un'associazione che lavora. Anche se ieri abbiamo dibattuto il problema del premio di natalità per le coltivatrici madri, non ho interpretato il tuo "travaglio" come il processo fisiologico che precede il parto, perché non ci é stato nessun parto ieri alla Coltivatori Diretti; c'e solo stato un incontro di persone che si reputano responsabili, che hanno dibattuto alcuni temi che dibattiamo oggi. A noi compete farlo di fronte ad una Giunta che riteniamo altrettanto responsabile.
Noi abbiamo messo a bilancio una voce inerente al citato premio di natalità. Ci auguriamo che vengano accolte anche altre nostre richieste modeste, ma che si impongono.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE OBERTO



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il collega Calsolaro. Ne ha facoltà.



CALSOLARO Corrado

Signor Presidente, signori Consiglieri, la discussione sul bilancio del 1973 si svolge nel momento in cui si assiste, sul piano nazionale, al tentativo di mutare le prospettive politiche determinate dalla svolta moderata di centro-destra, mentre sul piano locale, e più particolarmente nel capoluogo della Regione, la risposta delle forze democratiche e popolari si contrappone energicamente, e con responsabile impegno all'alternativa costituita o dall'imposizione di una formula destinata a realizzare equilibri più arretrati o dallo scioglimento dell'Amministrazione Comunale.
A fronte di questo processo politico, sul quale convengono le forze democratiche più sensibili al rinnovamento del Paese, e che trova sul piano comunale torinese puntuale ed inequivoca corrispondenza, si contrappone sul piano della Regione, ad iniziativa ed opera della maggioranza che ne costituisce il governo, la più completa disattenzione.
Ne è stato sintomo non dubbio la vicenda di alcune settimane fa, che ha portato alla costituzione di un Ufficio di Presidenza dal quale si è ritenuto di dover emarginare il Gruppo socialista, come se fosse sufficiente il voto di una maggioranza, legata provvisoriamente alla pura acquisizione del massimo numero di porzioni di potere disponibili, per emarginare una forza politica con la quale, checché ne possa pensare questa stessa maggioranza che regge la nostra Regione, si dovranno fare i conti per essere, dello sviluppo democratico del Paese, partecipe essenziale ed insostituibile.
Noi non pensiamo che la discussione sul bilancio si possa esaurire nell'esame burocratico amministrativo delle poste iscritte nel documento.
Queste somme, come è stato fatto rilevare dalle formazioni sociali che sono state chiamate alla consultazione, sono di interpretazione non chiara qualora non siano corrette da un piano di lavoro legislativo che puntualizzi i diversi gradi della scala di priorità e non preveda i contenuti della normativa regionale.
E' il caso della formazione professionale. Alle pag. 27 e 28 della Relazione della Giunta Regionale si indicano i criteri secondo i quali si è proceduto alla sistemazione contabile della materia. Alle pag. 71 e 72 della relazione Dotti, per complessive sei righe, si indica tra gli obiettivi della politica regionale quello di "approntare un Piano regionale inteso a fare della formazione professionale lo strumento più nobilitante cioè lo strumento tecnicamente più avanzato, della ripresa e dello sviluppo economico e sociale del Paese".
La Giunta ed il relatore hanno evidentemente dimenticato che in data 14 luglio '72 il Consiglio Regionale ha approvato all'unanimità un ordine del giorno secondo il quale, in attesa di approvazione di apposita legge-delega dell'esercizio delle funzioni amministrative degli enti locali, ed al fine di provvedere all'esercizio delle funzioni relative alla formazione ed all'istruzione artigiana e professionale per l'anno formativo 1972-'73, si dava mandato alla Giunta di verificare tutta la materia relativa alla formazione ed istruzione professionale; di predisporre il programma regionale nonché i criteri ed i parametri per l'erogazione dei relativi contributi, sentita la competente Commissione consiliare; di assumere tutte le iniziative di indagine, studio, ricerche necessari per l'approntamento di un progetto di legge organico sull'ordinamento della formazione professionale in Piemonte.
Nulla di quanto contenuto nell'ordine del giorno del Consiglio accettato e votato dalla stessa Giunta, è stato realizzat.o Si prosegue sulla linea di un puro e semplice adeguamento dell'attività regionale alle funzioni statali, senza la previsione dei compiti che, per esempio in relazione alla progettata riforma dell'istruzione secondaria superiore potranno cadere nelle competenze della Regione, senza che la Regione neppure abbia espresso una sua qualunque opinione su un disegno di legge che comunque tocca le sue competenze, così come previste e dal dettato costituzionale e dal decreto delegato di trasferimento.
Il dibattito sul bilancio dovrebbe essere l'occasione per un esame approfondito e globale sullo stato della legislazione regionale. La relazione del Consigliere Dotti contiene una serie di affermazioni di principio che, a nostro avviso, non vanno al di la delle buone intenzioni così come, per esempio, in materia di "Cultura, Musei e Biblioteche, dove recita: "Massimo intervento per rendere accessibile la cultura ed il patrimonio culturale a tutte le categorie", o in materia di "Turismo e tempo libero" "Promuovere un piano per l'assetto turistico del territorio ed un piano per la localizzazione di centri sportivi", o ancora, in materia di "Assistenza scolastica": "Approvare una legge regionale per il riordino della complessa materia e dare l'avvio alla realizzazione effettiva del diritto allo studio. Valutare con cura nel bilancio gli stanziamenti per scuolabus, buoni libro, borse di studio, patronati scolastici". Si tratta in realtà, di una mera indicazione di competenze, che non va molto al di là della normativa costituzionale di cui all'art. 117, e che senza il supporto organico di un piano legislativo concreto è destinata a rimanere lettera morta.
Piano legislativo regionale. Da più parti, ed in particolare dai Sindacati dei lavoratori, è stato richiesto un intervento della Regione a favore degli istituti di patronato e di assistenza sociale. Le reazioni della Giunta, del Consigliere Dotti, dell'Assessore Paganelli ignorano che il Gruppo socialista ha presentato, all'inizio di quest'anno, una proposta di legge, che si propone, alla luce della normativa statutaria e di quella statale, la realizzazione di condizioni atte a rendere effettiva la tutela dei diritti dei lavoratori, predisponendo i mezzi che consentano di operare scelte qualificate e coordinate ai fini dell'azione sociale che la Regione intende sviluppare.
Le Statuto dei diritti dei lavoratori ha conferito ai Patronati di emanazione sindacale il diritto di svolgere la loro attività all'interno dell'Azienda, facendo di essi il preciso punto di riferimento per un'adeguata capillarità degli interventi che trova il suo momento più significativo in quella tutela della salute dei cittadini che è espressamente prevista all'art. 6 dello Statuto regionale. La presenza dei patronati di emanazione sindacale, articolata attraverso la designazione di rappresentanti scelti fra i lavoratori dipendenti; la possibilità da parte di questi di intervenire sul luogo in cui si ritiene che esistano elementi di pericolosità o di nocività al fine di rimuoverli; la partecipazione sui posti di lavoro di funzionari dei patronati; la disponibilità di locali all'interno delle aziende per lo svolgimento dell'attività tradizionale unitamente alla facoltà di diffondere il materiale informativo sulla sicurezza sociale; la possibilità di organizzare assemblee e corsi di formazione all'interno della fabbrica per approfondire i temi di più urgente interesse per i lavoratori, qualifica l'azione di coordinamento e di supporto tecnico-sindacale che le organizzazioni sindacali svolgono sul piano territoriale per la tutela della salute dei lavoratori.
L'intervento della Regione a sostegno dei patronati, come strumento pubblico gestito dai lavoratori, privilegiando l'iniziativa fondata sull'applicazione degli articoli 4 e 6 dello Statuto regionale, e con riferimento non più esclusivo a dati statistici ed organizzativi della pur ancora valida attività tradizionale, è destinato ad attuare quell'incontro fra la volontà politica di un organismo democratico e responsabile, quale si configura la Regione nelle linee direttrici dello Statuto, e la partecipazione piena ed attiva dei lavoratori alle scelte fondamentali della Regione stessa.
Nulla di ciò, dicevo, nelle diverse relazioni e nel bilancio di previsione. Direi, piuttosto, notevoli passi indietro rispetto a quel fervore di interventi che ebbero a caratterizzare a lungo l'attività promozionale degli enti locali territoriali, Comuni e Province, che proprio nelle materie assegnate dalla Costituzione alla competenza della Regione ed in attesa della loro istituzione, ebbero a delineare interessanti ed importanti linee di sviluppo.
La Finanziaria regionale pubblica e l'Ente di sviluppo agricolo si sono collocati, con una dimensione di tutto rilievo, nell'ambito della proposta politica degli enti locali territoriali, molto prima che la Regione divenisse una realtà.
Queste proposte si collocano ancora oggi all'evidenza del legislatore regionale, che sembra non tenerne conto alcuno, se non in via di vaghe enunciazioni programmatiche.
La proposta di legge socialista per la costituzione della Finanziaria regionale pubblica giace presso la competente Commissione legislativa, in attesa che la Giunta Regionale si decida a presentare in alternativa, o piuttosto in contrasto ad essa, un proprio disegno di legge.
All'istituzione dell'Ente di sviluppo agricolo si sono contrapposte norme corporative sostitutive dell'intervento dello Stato; norme che, senza tenere conto alcuno delle direttive comunitarie, della necessità di un'organica ristrutturazione delle aziende, di un programmato esodo degli anziani, di un'efficiente politica di formazione professionale, non si propongono altro fine che quello di soddisfare le più immediate richieste di limitati, anche se numerosi, nuclei di pressione politica.
Siamo arrivati al parto - o all'aborto - degli assegni di natalità. Già regolati da una legge nazionale, più volte richiamati dalla relazione Paganelli, e presentati nelle relazioni ai diversi disegni della Giunta come "provvidenze per la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi" e "la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni", secondo un presunto richiamo agli artt. 31 e 35 della Costituzione, ed addirittura presentati come "concreto intervento della Regione" nei settori dell'agricoltura, dell'artigianato e del commercio mentre si collocano, a nostro avviso, puramente e semplicemente sul piano dell'intervento caritativo-elettoralistico, che nulla ha a che fare con una seria politica di interventi programmati.
E così, con le diverse leggi agrarie, e senza affrontare i problemi di fondo dell'agricoltura, si saccheggiano gli stanziamenti per l'istituzione degli Enti di sviluppo, della Finanziaria pubblica all'Ente di sviluppo agricolo e quello dell'artigianato, che poi puntualmente si ritrovano come momento programmatico essenziale della maggioranza di questo Consiglio.
Il fatto è che la maggioranza è afflitta da una malattia cronica, la "pigrizia legislativa", malattia della quale è essa stessa responsabile ma i cui effetti si rivolgono contro lo stesso istituto regionale. Siamo ormai convinti che i rimedi contro questa malattia siano del tutto inefficaci. Le proposte di legge presentate dai Gruppi di opposizione non sono altro che documenti destinati all'onore degli archivi, anche se essi corrispondono a precisi indirizzi statutari. L'indifferenza della maggioranza verso la proposta di legge socialista per l'elezione unilaterale diretta dei delegati italiani al Parlamento europeo, alla quale peraltro corrispondono gli ardenti discorsi europeistici di alcuni esponenti della maggioranza di questo Consiglio, proposta che solo dopo nove mesi, ed a seguito di una pubblica denuncia dei movimenti europeisti, è finalmente passata al voto della Commissione competente, l'indifferenza con cui la maggioranza ha accolto la proposta per la tutela del patrimonio linguistico e culturale piemontese, proposta della quale non si sa più neanche chi sia il relatore mentre si moltiplicano nel settore le iniziative degli enti locali e delle associazioni culturali; dimostrano come anche sulle proposte più innocenti e meno compromettenti per la salvaguardia della coalizione di governo sia impossibile far luogo a quel "fair play" al quale faceva esplicito riferimento il Capogruppo dei PSDI, compagno Vera, per giustificare il voto del suo Gruppo al candidato liberale alla vicepresidenza del Consiglio Regionale.
Alcune voci del bilancio restano del tutto incomprensibili anche all'interprete maggiormente dotato di fantasia applicata. Il cap. 976 del bilancio di previsione prevede la spesa di 200 milioni di lire per l'attuazione delle deleghe agli enti locali. Una delle relazioni - mi sembra quella dell'Assessore Paganelli - prevede che la Regione attui il regime delle deleghe secondo il criterio dei decreti delegati, cioè secondo quello stesso criterio, che è adottato dallo Stato per il trasferimento delle singole materie alle Regioni. Ora, anche ritenendo che il criterio dei decreti delegati possa eventualmente essere accettato, e sempre che questi si adeguino ad una precisa normativa regionale, e che con essi non ci si proponga invece di contrabbandare quei decreti presidenziali di cui già si è parlato in questo Consiglio, non si capisce il valore della previsione di spesa, perché o questa si risolve nell'approvazione delle leggi di delega - e allora la spesa è quella della normale attività legislativa del Consiglio, senza necessità di alcuna particolare previsione o con essa si intende fare riferimento al trasferimento delle stesse spese delegate, ed in questo caso appare del tutto irrilevante ed incongrua.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Poi c'é magari attraverso l'utilizzazione degli uffici degli enti locali.



CALSOLARO Corrado

Questo noi non lo sappiamo. Dal bilancio non risulta.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Leggendo il bilancio lo si trova



CALSOLARO Corrado

In tema di deleghe, ed al solo fine di far rilevare lo stato di considerevole confusione che regna nella materia, e che ci auguriamo possa essere sciolto in modo soddisfacente al momento in cui saranno discusse ed approvate le relative leggi, mi sembra opportuno richiamare la sorprendente affermazione contenuta nelle osservazioni della VI Commissione, riferita dalla relazione Dotti e ripetuta qui dal Consigliere Menozzi, secondo cui "in tema di assistenza tecnica e di attività dimostrativa è parso necessario che la Regione operi con deleghe alle organizzazioni professionali, agli operatori ed organismi agricoli". Come a dire ricordando l'imperatore Carlo V, che fece tutti cavalieri, che la Regione farà tutti delegati.
Sono previsti 400 milioni di lire per i servizi di medicina scolastica: il comitato regionale di controllo ha di fatto impedito lo svolgimento del servizio, respingendo le deliberazioni con cui le Province, in forza del D.P.R. 11 febbraio 1961 n. 264 integravano le spese dei Comuni, assumendo trattarsi di spese di competenza della Regione.
Abbiamo già fatto rilevare in altra occasione che questo servizio viene svolto secondo criteri ed obiettivi assai disparati da comune a comune, da provincia a provincia. Ora, la disciplina legislativa della Regione nella materia appare quanto mai urgente: con essa, cioè, dovrebbero essere determinate le condizioni alle quali il servizio dev'essere svolto, il sistema delle deleghe alle Province, ai Comuni ed ai Consorzi ed i rapporti fra queste e gli enti incaricati dell'attività di prevenzione, gli stessi enti ospedalieri.
Non so come siano state spese le somme messe in bilancio nel 1972 per la medicina scolastica, anzi non so neppure se siano state spese. Ma è certo che non esiste attualmente alcun piano organico che in attesa di una legge regionale sulla materia impedisca di fatto il frazionamento contributivo degli interventi e consenta invece l'estensione generalizzata del servizio.
Il turismo - materia di competenza primaria della Regione, tanto è vero che al tempo del trasferimento delle funzioni si prospettava addirittura la soppressione del relativo Ministero - e lo sport appaiono le cenerentole del bilancio regionale. La Commissione VIII non ha mai esaminato una legge (anche perché non ne è stata mai presentata alcuna), non soltanto, ma non ha mai neppure proposto osservazioni al bilancio di previsione.
La politica turistica della Regione non potrà, a nostro avviso, che prendere avvio dal comprensorio di sviluppo turistico, area a caratteristiche omogenee, svincolate dal riferimento alle circoscrizioni comunali e provinciali, nella quale sono rinvenibili interessi turistici tipici, quali quelli monumentali, paesistici, climatici, curativi. La figura del comprensorio appare ormai chiaramente delineata da rilevanti contributi, e rappresenta la dimensione cui obbligatoriamente deve far riferimento la programmazione regionale e l'organizzazione locale turistica.
Ne consegue che gli enti provinciali per il turismo risultano inadeguati nel rispetto di queste esigenze, sia per il loro ambito territoriale, sia per la natura di enti di pubblica amministrazione cui sono affidate precipuamente competenze amministrative.
Ci sembra invece di dover evidenziare l'opportunità della creazione di organismi pubblici a carattere imprenditoriale, che, svincolati dalle regole disciplinanti gli organi statati e gli enti di pubblica amministrazione, si caratterizzino per snellezza di azione e per diretta operatività. Così come per lo sport ci pare interessante la proposta che è stata rivolta, e che sarà formalizzata fra qualche tempo dal competente Assessorato della Provincia di Torino, che delinea, attraverso una politica di attuazione delle unità sportive territoriali, lo strumento più idoneo in collegamento con l'istituto della delega, per operare efficacemente nel settore. Si tratta di materie nelle quali..



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Quale articolo della Costituzione inserisce fra le competenze regionali lo sport?



CALSOLARO Corrado

Il turismo e il tempo libero, l'assistenza scolastica, per esempio.
Si tratta di materie a proposito delle quali il Gruppo socialista si propone di intervenire con precise proposte di legge o in appoggio alle iniziative degli enti locali, e dalle quali potrà prendere avvio una serie coordinata di interventi da parte della Regione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bertorello. Ne ha facoltà.



BERTORELLO Domenico

Signor Presidente, colleghi, voglio anch'io portare nella discussione del bilancio le mie considerazioni.
La discussione del bilancio è un'importante tappa della vita dell'Ente Regione, è lo strumento con il quale la Giunta esecutiva e il Consiglio stabiliscono la linea di azione per la prossima annata, individuando le scelte politiche e formulando i programmi per l'avvenire.
L'istituzione dell'Ente Regione aveva messo nel mondo agricolo un soffio di nuova fiducia, perché era una cosa nuova, nata per dare qualcosa di diverso, di più funzionale, e più vicina ai bisogni del mondo rurale. Si era parlato di politica agricola reale. Avevamo chiesto ai nostri coltivatori di accettare anch'essi le nuove direttive di razione: era tutta una nuova impostazione dell'agricoltura che, con il concerto unisono dei politici, dei tecnici e dei coltivatori doveva far scegliere la strada del futuro.
Ebbene, signor Presidente, lasci che un coltivatore quale io sono digiuno di politica e di discussioni legislative, esprima la sua profonda delusione per la lentezza con cui il mondo politico porta avanti le sue cose. Devo infatti constatare la cocciuta incapacità di certi tecnici di capire che in agricoltura non sono necessarie le luminarie teoriche esibizionitorie, ma bensì é, indispensabile un dialogo con gli operatori agricoli portato sul piano di campagna, affinché la teoria abbia l'applicazione pratica.
L'agricoltura ha vissuto la trasformazione del mondo italiano restando alla mercé di tutti, ha sempre dovuto arrangiarsi. Si sono creati squilibri che gridano vergogna al cospetto di Dio. Quei coraggiosi coltivatori che sono restati ancora in agricoltura aspettano da noi non la tiritera del passato, ma quella politica nuova che tutti noi, per avere i loro voti abbiamo loro promesso.
Neanche i due miliardi destinati alla zootecnia varranno un bottone, se saranno dati senza un indirizzo preciso. Troppi soldi dello Stato, in passato, sono andati a finire nelle mani, di speculatori; troppi commercianti compravano in una provincia il bestiame, lo portavano nell'altra, lo facevano passare per selezionato e, con il contributo dello Stato, riuscivano a raddoppiarne il prezzo.
Due miliardi nel nostro bilancio non sono sicuramente sufficienti per un settore portante come quello zootecnico. Diamo almeno con i soldi che abbiamo un inizio alla politica zootecnica, che non può partire se non dal risanamento totale del bestiame, nelle forme che una commissione di coltivatori ha proposto e presentato all'Assessore.
L'Istituto zoo profilattico ha prodotto l'altr'anno duecentocinquantamila dosi di seme, che, a 800 lire, fa un totale di circa 200 milioni. Se la Regione comprasse queste dosi, potrebbe regalare a tutti gli allevatori piemontesi il seme. Invece con il contributo sui tori di pari somma non accontenterebbe più di 1000-1500 persone, facendo ridere i negozianti.
Bisognerebbe creare l'inizio di una rete di inseminatori, aumentando di 45 milioni il finanziamento A.P.A., a cui va tutta la mia stima; noi così potremmo dare 8 o 10 nuovi inseminatori da affiancare ai veterinari nell'operazione di fecondazione delle bovine. Questi finanziamenti sono stati richiesti e proposti da persone altamente qualificate del settore zootecnico e dalle organizzazioni sindacali. Questo, signor Presidente, è fare qualcosa di nuovo, almeno con i soldi che abbiamo in un settore quale quello zootecnico.
Una parola ancora per i parchi pubblici. Quasi 1.000.000 di persone che si riversano nelle campagne circostanti le grandi città ci impongono di esaminare il problema degli spazi per il week-end settimanale. E' un problema che sottopongo al Consiglio, avendo già richiesto di discuterlo nella Commissione VII di cui faccio parte.
Naturalmente darò il mio voto a favore del bilancio, come d'altronde hanno fatto finora quasi tutti i coltivatori, facendo il loro dovere ed attendendo in silenzio che vengano mantenute le promesse fatte.



PRESIDENTE

Sospendiamo ora i nostri lavori, che riprenderemo questo pomeriggio alle 16, con gli interventi del Consigliere sig.na Soldano, seguito da quelli dei colleghi Berti e Bianchi. Non avrei altri iscritti. Dopo questi interventi posso considerare chiusa la serie di interventi di carattere generale e prevedere l'intervento di replica del Presidente della Giunta? Siamo d'accordo.
Allora la seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,30)



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