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Dettaglio seduta n.14 del 06/11/70 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI


Argomento: Statuto - Regolamento

Esame del progetto di Statuto della Regione (seguito della discussione)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Daremo lettura dei verbali delle sedute precedenti nella riunione di questo pomeriggio o in quella di domani.
Prosegue la discussione generale sull'esame del progetto di Statuto della Regione.
E' iscritto a parlare il Consigliere Conti; ne ha facoltà.



CONTI Domenico

Signor Presidente, signori Consiglieri.
Sono piuttosto sensibile, per mentalità e formazione, ai principi e alla coerenza della loro attuazione, ma lo sono ancor più oggi, di fronte all'urgente necessità di rivitalizzare la vita politica e civile del nostro Paese, poiché ritengo che in tempi di crisi generale e di profonda esigenza di innovazione, come quello che stiamo attraversando, quello che più conta è la capacità di ritrovare e di aiutare a ritrovare e a tener salda una sorgente di luce e di forza interpretativa della realtà e direttiva dell'azione di regolazione e di trasformazione di essa, quale soltanto ci può venire da principi e da fini di vita politica che siano veramente tali.
Perciò, principi informativi dello Statuto e la coerenza della loro incarnazione nelle parti precettive, ecco l'oggetto del mio breve intervento.
Signor Presidente, signori Consiglieri, autonomia, partecipazione decentramento, programmazione sono le parole d'ordine, i principi ispiratori che esprimono la quasi unanime volontà politica che sta a fondamento della proposta di Statuto che stiamo esaminando e discutendo. E' soprattutto su questi principi, sui loro rapporti vicendevoli e sulla loro traduzione negli articoli dello Statuto che voglio, sia pure brevemente soffermarmi.
Esaminando innanzi tutto le affermazioni di autonomia, osservo che nel suo insieme il Titolo I afferma che per la Regione non si tratta di una autonomia concepita come mera o prevalente rivendicazione di poteri e di attribuzioni nei confronti dello Stato, ma di una autonomia concepita come volontà e come potere di servizio nei confronti della comunità regionale: volontà e potere di servizio intesi a realizzare la partecipazione di tutti i cittadini all'attività politica, economica e sociale della comunità regionale, intesi a potenziare le autonomie degli Enti locali mediante un adeguato decentramento di funzioni e ad attuare lo sviluppo economico e sociale del Piemonte.
Non dunque l'autonomia per l'autonomia, il potere per il potere, ma il potere in cui e per cui tale autonomia consiste, per realizzare il principale servizio politico e civile e cioè la partecipazione di tutti i cittadini insieme con il potenziamento delle autonomie locali mediante il decentramento e lo sviluppo economico e sociale programmato della comunità regionale.
Ancora: l'autonomia della Regione, a norma del presente Statuto, si esercita o meglio vuole esercitarsi non solo "nell'unità" ma anche "per" l'unità della Repubblica italiana, come meglio che dal Titolo I si pu agevolmente dedurre dal Titolo VI, dedicato alla programmazione economica.
Infatti l'art. 71 così recita: "La Regione nella politica di piano opera per superare gli squilibri territoriali, economici, sociali e culturali esistenti nel proprio ambito e fra le grandi aree del Paese, con particolare riferimento allo sviluppo del Mezzogiorno".
In altri termini, la Regione è consapevole che senza lo sviluppo economico e sociale dell'intera comunità nazionale e segnatamente del Mezzogiorno, non è possibile uno sviluppo adeguato del Piemonte, vale a dire la Regione afferma che lo sviluppo del Piemonte si può e si deve effettuare in un rapporto di partecipazione e di riferimento alla programmazione nazionale.
La partecipazione di tutti i cittadini, così come è formulata nel Titolo I della proposta di Statuto, non compare meramente in linea di fatto, come, per esempio, opportunità contingente intesa a rispondere magari con lo scopo di svuotarla o di strumentalizzarla, a una certa domanda politica proveniente dal basso.
La partecipazione dei cittadini che comprende il concorso degli Enti locali, dei sindacati, delle formazioni sociali viene invece affermata in linea di principio, come condizione essenziale per lo sviluppo della vita democratica e la salvaguardia dei diritti di eguaglianza e di libertà per tutti i cittadini, e come elemento fondamentale della politica regionale.
Più ancora, il primo comma dell'art. 2 eleva la partecipazione a dignità di valore, ciò a fine prioritario per l'intera attività della Regione in quanto vi stabilisce che la Regione intende, in primo luogo operare per realizzare la partecipazione di tutti i cittadini all'attività politica e sociale della comunità regionale.
La qualcosa richiede a tutti i cittadini, agli Enti locali, ai sindacati, alle associazioni di categoria, alle formazioni sociali di prospettare e far valere i loro interessi specifici nel riferimento costante al bene comune, dal quale sempre dipende la qualificazione e la dignità politica di ogni intervento e di ogni attività.
A meno che, quando si parla di partecipazione, s'intenda che i cittadini, i sindacati, gli enti locali, le formazioni sociali debbano essere portatori di una domanda sociale o amministrativa e che sia da lasciarsi ai soli organi della Regione la loro interpretazione e attuazione in termini politici.
Ciò però sarebbe contraddittorio e diseducativo. Contraddittorio poich in questo modo si potrebbe parlare non di partecipazione politica, ma al più di partecipazione sociale mentre l'impegno della Regione è quello di realizzare l'effettiva partecipazione dei cittadini all'attività politica.
In secondo luogo sarebbe diseducativo in quanto si favorirebbe l'insorgere e il consolidarsi di valutazioni limitate e limitanti e di certo corporativismo deteriore.
In terzo luogo ciò favorirebbe l'uso degli istituti di partecipazione popolare come possibilità di pesanti strumentalizzazioni di parte e si aggraverebbe il pericolo di spinte demagogiche sulla pubblica opinione.
In forza dell'art. 2 e prima di ogni altra cosa, la Regione s'impegna a far sì che la sua stessa attività politica insieme con la vita politica della comunità si faccia a misura d'uomo, sotto il controllo dell'uomo, a servizio dell'uomo: dell'uomo in quanto persona e comunità.
In questa luce la Regione riconosce quale fondamento, sostegno e coronamento di ogni sua attività il potenziamento della convivenza civile la crescita politica in termini di popolo della comunità regionale per mezzo della partecipazione e nella partecipazione di tutti i cittadini.
Ciò è particolarmente importante, se si pone mente che per la comunità piemontese con notevole fondamento si può parlare di popolo e non soltanto di popolazioni. E' il suo passato storico che lo comprova, la sua indubbia sia pure latente, capacità, di concorrere unitariamente al perseguimento di obiettivi di sviluppo civile e politico per l'intero Paese, a cui deve aggiungersi la potenziale capacità di contribuire all'avvento dell'unità politica europea. Una unità non fabbricata dall'alto, non razionalisticamente e autoritariamente concepita e sostanzialmente tecnocratica, ma una unità che nasce e si rinsalda nello scambio culturale e di esperienze politiche oltreché economiche, negli incontri intesi a scoprire i motivi unitari storici e tradizionali e le nuove ispirazioni profonde capaci di accomunare i Paesi e le popolazioni europee.
Siccome il concorso degli Enti locali, l'apporto dei sindacati e delle formazioni sociali viene dichiarato dall'ultimo comma dell'art. 2 quale "elemento fondamentale della politica regionale", ne deriva che le scelte politiche, la funzione legislativa e amministrativa, il controllo dei pubblici poteri non possono dare un risultato soddisfacente senza che vi concorrano gli Enti locali e senza l'apporto dei sindacati e delle formazioni sociali.
Con queste affermazioni la quasi totalità delle forze politiche di cui il Consiglio Regionale è espressione e la maggioranza dei Consiglieri regionali riconoscono non solo in linea di fatto, ma anche in linea di principio che gli organi regionali e, in qualche modo, anche i partiti, non sono e non possono essere gli unici fattori e i soli diretti protagonisti della vita politica e democratica della comunità regionale; essi soli non bastano, tra una e l'altra elezione, a conseguire scelte politiche, a svolgere una funzione legislativa e amministrativa, ad attuare un controllo dei pubblici poteri, tali che siano espressione ed incremento di una vita civile e democratica piena e consolidata.
Di qui il grave compito dei partiti di rinnovare la loro funzione, in una società che di nuovo e di promettente presenta soprattutto esigenze di una partecipazione che sia la meno indiretta possibile. Di qui la necessità da parte dei partiti di riconfigurare la loro tradizionale funzione di mediazione politica avvalendosi delle istanze partecipazionistiche. Di qui la necessità per gli organi elettivi di rappresentare e soprattutto di soddisfare, proprio mediante la partecipazione, le esigenze legittime e la volontà politica di coloro che li hanno eletti.
Più ancora, si richiede che i partiti da un lato e gli organi rappresentativi dall'altro si decidano ad assumere un ruolo di propulsione d'indirizzo e di sintesi politica nei confronti di una sempre più vasta e incisiva partecipazione dei cittadini, dei corpi ed enti intermedi alla determinazione degli obiettivi politici e al loro conseguimento.
Da quanto sopra affermato si ricava agevolmente che qualora la partecipazione di tutti i cittadini dovesse venir meno se ne avrebbe o che la Regione - contraddicendo se stessa - avrebbe rinunciato all'esercizio peculiare della sua autonomia, o che la Regione avrebbe fallito nella sua attività politica venendo a mancare l'intendimento principale e un elemento fondamentale di essa.
Ecco dunque le ragioni dell'impegno massimo, dell'impegno nuovo qualora il presente Statuto venga approvato, di tutte le forze politiche e degli organi regionali di concorrere a realizzare la suddetta partecipazione. Qualunque tentativo di ostacolare o di svuotare la partecipazione dei cittadini, il concorso degli Enti locali e l'autonomo apporto dei sindacati, delle associazioni di categoria, delle formazioni sociali oltre che costituire una clamorosa contraddizione, costituirebbe un gravissimo attentato allo sviluppo civile del Piemonte e una non meno grave minaccia per la vita democratica del Paese.
Infine, mi preme rilevare che il comma primo dell'art. 2 impegna la Regione a esercitare la sua autonomia per realizzare l'effettiva partecipazione di tutti i cittadini anche in tutti gli altri ambienti ove si svolge la vita politica, economica e sociale della comunità regionale vale a dire nei partiti, negli Enti locali, nelle aziende, nelle varie associazioni culturali, economiche, ricreative e così via. Se la rilevanza della partecipazione del Titolo I è quella che ho tratteggiato, non si pu affermare che essa sia sicuramente per tutto il resto dello Statuto, cioè nelle norme che ne dovrebbero costituire l'effettiva garanzia, che dovrebbero consentirne la reale attuazione.
Per intanto, riferendomi a quelli che dal Capo I del Titolo V sono definiti come "istituti della partecipazione popolare" osservo che l'iniziativa legislativa popolare, il referendum consultivo e quello abrogativo costituiscono tipi di partecipazione la cui attuazione comporta l'iniziativa egemone dei partiti o di entità organizzate con la forza e con mezzi operativi equivalenti a quelli dei partiti. In pratica se non si muterà la situazione dei partiti verrà favorita non la effettiva partecipazione dei cittadini bensì quella delle minoranze di vertice che quasi sempre tendono a determinare la vita dei partiti.
Anche l'iniziativa legislativa degli Enti locali, così come stanno le cose, pare, oggi, più facilmente condizionata dall'iniziativa dei partiti che non dagli altri gruppi di cittadini. Anche di qui, l'urgente necessità che i partiti politici ritrovino il loro ruolo essenziale nella nostra società di oggi tendenzialmente partecipazionista.
Vero è che la Regione a norma dello Statuto intende favorire il formarsi di associazioni democratiche proprio per alimentare la partecipazione dei cittadini all'attività politica, economica e sociale. Ma si tratta di un proposito generico della cui attuazione non è facile prevedere l'esito.
Sempre in tema di norme intese a realizzare la partecipazione, rilevo che lo Statuto conclude l'art. 46 affermando che "la partecipazione si attua inoltre con le forme e con i mezzi previsti dallo Statuto e dalle leggi regionali". Tra queste forme la più rilevante è quella costituita dal fatto che le Commissioni consiliari debbono avvalersi della consultazione di rappresentanti di Enti locali, di organizzazioni sindacali, di associazioni e di altri organismi sociali.
Subito dopo, però, si esclude persino la stessa presenza di membri estranei al Consiglio nelle fasi decisionali e alle sedute conclusive delle Commissioni consiliari sia permanenti che speciali. Cosicché la partecipazione alle Commissioni è ridotta alla sola consultazione in sede referente e non in sede preventiva e rischia di configurarsi come una registrazione di pareri e di proposte che i suddetti Enti e organismi e associazioni vorranno formulare.
Ora, se è giusto che il potere di decisioni ultime rimanga agli organismi elettivi responsabili, non si vede perché il concorso o l'apporto degli Enti locali, dei sindacati, delle associazioni di categoria, delle formazioni sociali debba soltanto essere limitato a una formulazione di pareri e di proposte su progetti già elaborati senza che possano nemmeno presenziare alle fasi decisionali e conclusive del lavoro delle Commissioni e soprattutto senza che possano esprimere il loro parere in merito.
A rendere incerta e problematica la partecipazione a livello delle Commissioni contribuisce il fatto che lo Statuto non definisce, ma semplicemente rinvia alle norme del Regolamento le modalità della consultazione. Così non si sa ancora se le consultazioni degli Enti interessati avverranno collegialmente o seppure individualmente e nemmeno vengono definiti i requisiti richiesti per essere ammessi alla consultazione. E poi nulla si dice di preciso circa la partecipazione a livello regionale, e non soltanto comprensoriale degli Enti locali da un lato e dei sindacati, delle associazioni di categoria e delle formazioni sociali dall'altro, per ciò che si riferisce alla programmazione nazionale e regionale e al bilancio.
Non si sa per esempio, se ciò dovrà avvenire promosso dalla Giunta oppure dal Consiglio o se invece la Giunta se ne avvarrà per formulare proposte da presentare al Consiglio, mentre le Commissioni se ne avvarranno in sede referente.
In materia di attribuzioni e di competenze rispettivamente del Consiglio e della Giunta, il presente Statuto risulta posto in essere principalmente da due preoccupazioni contrastanti, una intesa a difendere le competenze e le attribuzioni del Consiglio e l'altra quelle della Giunta. Con queste due preoccupazioni si intrecciano da un lato l'intento di concorrere a rendere sempre chiara e manifesta la definizione e la delimitazione della maggioranza nei confronti della minoranza consiliare, e dall'altro il tentativo di rendere possibile il superamento di tale delimitazione attraverso una attività di tipo assembleare. Il carattere predominante di queste preoccupazioni e di questi intendimenti che pur non sono privi di fondamento e di giustificazione, ha nuociuto allo svolgimento normativo del tema fondamentale della partecipazione. A comprova, rilevo che, all'infuori di quanto previsto per le commissioni, non c'è una sola norma circa le attribuzioni e i compiti del Consiglio e della Giunta, che risulti sicuramente ispirata dalla volontà di favorire al massimo la partecipazione di tutti i cittadini, all'attività politica, economica e sociale della Regione.
Sembra che, affermata la partecipazione dei cittadini come principio la Commissione, pur sempre lodevole per l'impegno e la serietà dei suoi lavori, non abbia potuto controllare, forse per mancanza di tempo, la portata effettiva e l'efficacia pratica delle norme concernenti l'attuazione della partecipazione.
Questa incertezza di forza attuativa dei principi fondamentali dello Statuto, appare altresì confermata, per esempio dall'articolo dedicato al "ruolo organico del personale regionale". Infatti, la sola formulazione che "tutti i servizi regionali fanno capo alla Segreteria Generale, retta da un Segretario Generale", mentre per tutta la restante parte del personale si rinvia alla legge regionale sia pure da formulare secondo le norme dello Statuto, induce piuttosto a intravedere una struttura burocratica rigidamente gerarchica, ben lontana dai principi di partecipazione, di decentramento e di sviluppo programmato verso obiettivi di progresso civile e democratico, principi che invece dovrebbero trovare anzitutto all'interno della Regione la loro prima e più convincente attuazione.
A parer mio, ritengo che qualunque tipo di superamento delle delimitazioni fra maggioranza e minoranza e qualunque soluzione intesa a determinare nell'uno e nell'altro senso oppure a conciliare i poteri del Consiglio e quelli dell'esecutivo dovrebbero avere come fondamento l'intento di trovare la migliore soluzione per realizzare l'effettiva partecipazione democratica di tutti i cittadini.
E' questo un compito assai grave e difficile principalmente se si considera l'attuale situazione politica non solo del nostro Paese, ma del mondo intero. Un compito che non può essere comunque risolto tentando di assicurarsi possibilità di partecipazione al potere per il potere. Un compito che invece richiede il confronto franco e aperto dei rispettivi convincimenti e programmi politici, richiede la disponibilità ad effettuare tutte quelle profonde revisioni ideologiche e programmatiche che il tema della partecipazione esige da tutte le forze politiche e anche da tutte le forze economiche e sociali. In ogni caso, il presupposto irrinunciabile dovrebbe essere quello che la partecipazione non può essere semplicemente un metodo o uno strumento per perseguire scopi di parte che sostanzialmente neghino il valore e la possibilità di una partecipazione democratica e responsabile.
Ed è per questa via che si ritorna al discorso delle irrinunciabili garanzie formali, cioè della libertà civile e politica come fondamento di quella nuova forma di libertà effettiva che si chiama partecipazione.
In ogni modo, d'ora innanzi l'efficienza della Regione potrà e dovrà essere misurata dall'ampiezza e dal livello della partecipazione popolare e democratica. Il livello della partecipazione e perciò dell'efficienza regionale comprenderà pure la capacità e il modo di superare delle contrapposizioni tra le parti politiche, in valide sintesi legislative e amministrative, avvalendosi di tutti i contributi positivi che possano pervenire o emergere dal confronto delle idee e dei programmi.
Dopo la partecipazione di tutti i cittadini, l'autonomia degli Enti locali mediante un ampio decentramento di funzioni appare come secondo principio informatore del presente Statuto. La Regione infatti, all'art. 3 si impegna a esercitare la propria autonomia anche operando per l'effettiva autonomia dei Comuni e delle Province e per rimuovere gli ostacoli che vi si frappongono, informando la propria attività legislativa e amministrativa a criteri di ampio decentramento.
In altri termini la Regione intende attuare la propria autonomia come garanzia e potenziamento dell'autonomia degli Enti locali, la Regione cioè si ripromette un esercizio della propria autonomia che sia alimento di autonomie locali attraverso un più ampio decentramento da stabilirsi con l'attività legislativa e da attuarsi con l'attività amministrativa della Regione. Non si tratta dunque da parte della Regione di un decentramento come mero sgravio di funzioni e come corrispondente appesantimento degli Enti locali, e nemmeno si tratta di un decentramento destinato a ridurre ulteriormente la già tanto ridotta autonomia degli Enti locali. Il decentramento previsto avverrà con delega di funzioni amministrative conferite per singola materia e senza limiti di scadenza oppure per oggetti definiti e per tempi determinati.
Lo Statuto tuttavia non precisa ulteriormente i criteri secondo cui tali deleghe verranno effettuate, forse per lasciare aperte tutte le possibilità a questo proposito. Tuttavia mancano alcune determinazioni che potrebbero indurre ad una effettiva autonomia degli Enti locali. Tali carenze di determinazioni sono altresì denunciate dal testo degli articoli relativi all'istituzione dei circondari e dei comprensori.
A mio avviso è il tema del decentramento che andrebbe ripreso e approfondito in modo da chiarire che esso deve essere inteso ed attuato in modo da mettere a disposizione degli Enti locali quella gestione di funzioni necessaria al migliore soddisfacimento di certi fabbisogni e di certe esigenze delle diverse comunità locali che essi rappresentano e al cui sviluppo essi presiedono. Tale decentramento ai Comuni, alle Province e agli altri Enti locali dovrebbe avvenire dopo che siano stati individuati gli ambiti di gestione entro i quali si può avere il miglior esito dei servizi di cui abbisognano le comunità locali. A queste carenze di elaborazione di principi credo vada ricondotta anche la carenza che essi contengono nella parte più immediatamente normativa rispetto all'art. 3 e che costituisce una riduzione di fatto dell'autonomia degli Enti locali.
Infatti, nell'articolo sulla delega agli Enti locali, non si accenna ad alcuna consultazione preventiva da operarsi prima della predisposizione delle leggi di delega agli Enti locali dell'esercizio delle funzioni amministrative della Regione. Così pure al punto n) dell'art. 15.
Anche l'art. 80 mentre afferma la facoltà della Giunta regionale di avvalersi degli uffici delle Province, dei Comuni o di altri Enti nei limiti dello stanziamento annuale appositamente stabilito in bilancio nulla dice in merito ad una consultazione preventiva, doverosa se si vuole affermare in concreto che la Regione tutela le autonomie degli Enti locali.
Il terzo principio ispiratore dell'esercizio dell'autonomia della Regione è quello espresso nell'art. 4 della Statuto. La Regione cioè esercita la propria autonomia organizzando la sua azione legislativa e amministrativa al fine di indirizzare e di guidare con il metodo e con gli strumenti della programmazione lo sviluppo economico e sociale del Piemonte verso obiettivi di progresso civile e democratico. Anche questo principio che si ricollega al principio della partecipazione di tutti i cittadini e all'autonomia degli Enti locali, entrambe da attuarsi in forma particolarmente incisiva nella programmazione di detto sviluppo socio economico, riafferma la volontà statutaria di operare lo sviluppo economico e sociale in termini di sviluppo politico e civile. Non c'è altro modo infatti per ricondurre la vita economica e la vita sociale a proporzioni umane e cioè anch'esse a misura d'uomo, a servizio e sotto il controllo dell'uomo.
Così che, se è vero che la Regione per realizzare le sue finalità adotta il metodo e gli strumenti della programmazione, lo sviluppo programmato deve consustanziarsi di valori umani e portare a conquiste organiche per un maggior bene comune che non sia limitato alle sole infrastrutture, ai soli servizi, cioè alle sole cose, ma sia comprensivo di un'effettiva crescita umana e comunitaria. Così come è indicato nel comma terzo dell'art. 4 dove ci si prefigge di attuare la programmazione in modo tale da suscitare e valorizzare tutte le energie, cioè tutti i talenti umani della comunità regionale e di favorire tutti gli apporti sia per la determinazione degli obiettivi della programmazione che per il loro conseguimento. Alla luce di queste premesse prende infatti pieno significato l'ultima parte dell'art. 4. Che cosa significherebbe, in altri termini, sviluppare un'azione legislativa e amministrativa intesa a concorrere all'assolvimento del diritto allo studio, cioè ad assicurare a tutti i cittadini la possibilità di frequentare la scuola, magari con la possibilità di accedere ai massimi livelli accademici, se non si trasformerà la scuola nel suo interno, se la scuola non assumerà delle precise responsabilità circa la valorizzazione delle energie umane, circa la qualificazione politica, sociale, professionale di coloro che la frequentano? E così potrebbe dirsi per quel che riguarda il diritto al lavoro. Non basta che si trovi occupazione per tutti, e che venga convenientemente rimunerata, occorre anche un'occupazione che possa avere una rilevanza umana, una rilevanza sociale, che possa essere sottratta a tutte le frustrazioni e a tutte le alienazioni.
Infine voglio rilevare la necessità di modificare l'art. 6 nel senso proposto dal Consigliere Petrini. "La Regione tutela le tradizioni comunitarie piemontesi e ne salvaguarda il patrimonio culturale e linguistico".
Infatti, le tradizioni comunitarie e il loro patrimonio culturale e linguistico in cui esse si esprimono, sono fattori assai importanti per lo sviluppo della partecipazione e del progresso civile e democratico della comunità regionale.
Concludendo, mentre riconosco il significato positivo e innovatore della proposta di Statuto sottoposta al nostro esame e mentre confermo la mia approvazione per il lavoro compiuto con tanta dedizione dai membri della Commissione, auguro a tutto il Consiglio e a me stesso che lo Statuto che verrà approvato non sia un testo fine a se stesso.
I principi statutari della partecipazione popolare, dell'autonomia degli Enti locali, dello sviluppo socio-economico programmato della comunità regionale in termini di autentico sviluppo della persona umana non possono ridursi a semplici proporzioni ma debbono essere assunti quali principi effettivi di vita civile e democratica, debbono sempre più farsi convincimenti interiori e determinazioni operanti di una ferma volontà politica.
Ne dipende il senso profondo e l'efficacia costruttiva della Regione e l'avvenire dell'intera comunità piemontese e del nostro Paese.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il consigliere Franzi. Ne ha facoltà.



FRANZI Piero

Signor Presidente! Signori Colleghi! Nei molti interventi della giornata di ieri ovviamente i temi sono già stati tutti individuati, elaborati, sviluppati. Ritengo comunque sia ancora il caso che mi soffermi, seppur brevemente, sul titolo I, che a mio avviso presenta gli elementi fondamentali degli orientamenti operativi cui si dovrà informare la futura attività della nostra Regione.
Penso sia comunque opportuno premettere che il discorso sulle cose da fare debba essere inquadrato, con visione moderna, in un complesso globale senza peraltro perdere di vista le esigenze settoriali e zonali che più meritano la nostra attenzione. In altri termini, si può parlare sì di coacervo di interessi regionali, ma soprattutto si devono evidenziare gli aspetti sociali, economici e culturali delle singole zone e dei singoli settori, così da conseguire con impegni a medio o a lungo termine risultati che possano veramente soddisfare le popolazioni, e non solo certi settori che per motivi di localizzazione o di struttura organizzativa possono esprimere un peso politico ed economico maggiore.
Gli organi deliberativi della nostra Regione, se vorranno essere veramente imparziali e giusti nelle loro determinazioni, dovranno dimostrarsi in grado di non cedere alle immancabili pressioni esterne delle categorie cosiddette forti, per recepire invece le istanze dei più umili di coloro che meno sanno chiedere, ed a volte, peggio, ancor meno sanno ricattare. Questo, infatti, deve essere il significato interpretativo dell'art. 2 del nostro Statuto, sia sotto il profilo dell'autonomia amministrativa che sotto quello della partecipazione alle decisioni dei cittadini.
Per quanto riguarda specificatamente il concetto di autonomia, non dobbiamo peraltro cadere nell'assurdo dell'isolazionismo, bensì operare nel contesto di una politica generale nazionale, adottando adattamenti locali che abbiano nel contempo il carattere propulsivo degli impegni della programmazione nazionale. Nel contesto di queste premesse vanno considerate in primo luogo le direttive per la localizzazione delle industrie cosiddette traenti, per evitare che per ragioni di semplice tornaconto aziendale esse vadano ad insediarsi in zone ove manca disponibilità di forze di lavoro, con il pericolo di creare gravi scompensi di carattere ambientale ed umano. Ripetendo una considerazione già molte volte fatta e quindi logora, dirò che devono essere le industrie ad impiantarsi in funzione dell'uomo e della società, e non l'uomo e la società ad adattarsi alla loro localizzazione. A ciò va aggiunto che sarà necessario soffermarsi attentamente ed anche verificare gli aspetti negativi che da un disarmonico sviluppo industriale in modo particolare, possono derivare anche agli altri settori produttivi, per l'assorbimento incontrollato di mano d'opera già occupata.
Questi, ed ovviamente altri ancora, sono gli aspetti salienti che si devono aver presenti per evitare pericolosi atteggiamenti di isolazionismo eccessivamente regionalistico o zonalistico. A tale riguardo, molto saggiamente all'art. 4 si assume l'impegno aperto ed incontrovertibile di adottare il metodo della programmazione per soddisfare i fabbisogni e le esigenze della comunità regionale. Tale assunto implica ovviamente la volontà di preoccuparsi primariamente del soggetto uomo, senza mai posporlo ad altre considerazioni. Solo se sapremo operare in questa direzione avremo assolto il nostro dovere di uomini politici che hanno riscosso la fiducia di altri uomini, come noi cittadini di una stessa società. In tale senso le forze produttive e più economicamente valide dovranno accettare il principio solidaristico verso quelle popolazioni che certamente non per scarsa volontà o impegno ma solo per condizioni locali, perché nati e radicati in zone povere, si trovano in stato di evidente disagio suscitando e valorizzando tutte le iniziative, utilizzando tutte le risorse, portando avanti senza riserve la dinamica politica dei redditi fondata sulla libera iniziativa, e dove occorre intervenendo con iniziative pubbliche capaci di sbloccare situazioni anomale, di superare condizioni frustrate, logore, e soprattutto capaci di suscitare nuove iniziative.
Circa gli impegni cui la Regione intende dedicare particolare riguardo nell'ambito delle proprie competenze non posso che dichiararmi pienamente concorde. Una società moderna può infatti avere in sé gli elementi per un effettivo miglioramento soltanto se può migliorare tangibilmente il proprio livello culturale contando sul diritto al lavoro ed alla piena occupazione e soprattutto se il lavoro, a qualsiasi livello svolto, trovi una sua giusta dignità, venga considerato componente effettiva della produzione ed elemento partecipativo della produttività. Come pure e indispensabile sostenere ogni iniziativa che possa riguardare la ricerca scientifica: a tal riguardo, se si verificassero carenze, la Regione dovrebbe assumere iniziative dirette, poiché i tempi tecnici produttivi impongono adattamenti sempre nuovi.
Circa, poi, gli interventi pubblici per assicurare la funzione sociale della proprietà privata, ritengo che si dovranno considerare anche i titoli cosiddetti reali, ed a questo riguardo richiamo a puro titolo indicativo quello sulle acque private. E' assurdo, infatti, che in tempi di ampia democrazia come gli attuali, e soprattutto quando si assume l'impegno di soddisfare i fabbisogni e le esigenze delle comunità, siano ancora ammessi dalle nostre leggi diritti di acque o di derivazioni private: sono residuati, a nostro avviso, di epoche feudali ormai superate, e vanno modificati. L'acqua è un bene pubblico, e come tale dev'essere considerata.
Per quanto riguarda più specificatamente gli impegni a favore delle popolazioni agricole, il discorso sarebbe molto lungo, e mi riservo di svilupparlo più compiutamente in altre, occasioni. Comunque, non mi posso astenere dallo svolgere almeno brevi considerazioni a titolo indicativo.
Nel precedente testo di bozza di Statuto si indicava come soggetto da riguardare con favore l'azienda coltivatrice diretta; ora si usa il termine molto più generico di "aziende agricole a gestione diretta". E' vero che nel momento attuale, cioè di stesura statutaria, può considerarsi logica l'adozione di concetti ampi, da elaborare con specifiche leggi regionali.
Comunque, nel cado specifico, trattandosi di prefigurare uno specifico impegno per l'operatività futura, ritengo sia preferibile essere precisi al massimo: è necessario fin d'ora, a mio avviso, indicare quali impegni si intende portare avanti, e soprattutto in quale direzione si vuole operare.
Si è del fondato convincimento che per assicurare uno sviluppo di una certa consistenza economica sia necessario adeguare gli interventi pubblici in forma differenziata, cioè individuare i settori più deboli e meritevoli di essere favoriti, e farli oggetto di interventi con visione moderna, intesi a riqualificare sul piano umano ed economico il soggetto titolare di diritto di intervento. Ecco perché si consiglia di prefigurare gli impegni preferenziali in favore dell'impresa familiare, ponendo quindi il coltivatore della terra a dimensione di imprenditore. Su questo specifico argomento ci si riserva, peraltro, di presentare un emendamento correttivo.
In ogni caso, sarà necessario aver sempre ben presenti i fini che si vogliono raggiungere, evitando di cadere in concetti giuridici non qualificanti, e soprattutto guidati da una visione meramente economica e da correnti leggi di mercato.
Sulla scorta di queste considerazioni si dovranno assumere decisioni ben definite a favore delle popolazioni montane e collinari, popolazioni che caratterizzano le zone più povere e depresse del nostro Piemonte e che sotto il profilo sociale ed economico segnano le zone del nostro Sud.
Valorizzare la montagna, oltretutto, significa compiere una concreta opera di difesa del suolo, così come saggiamente viene indicato all'art. 5; non va dimenticato, infatti, che lo spopolamento montano è collinare è già stato concausa di tremende tragedie in questi ultimi anni.
Indubbiamente, la statuizione di precisi impegni ha grande significato di qualificazione politica. Tuttavia, saranno ancor più qualificanti se inquadrati in un contesto armonico e ben definito di funzioni e competenze regionali. A tale riguardo, già ieri il collega Armella molto chiaramente ha sviluppato gli aspetti giuridici delle competenze fra gli organi della Regione. Comunque, aggiungerò una brevissima considerazione, non tanto in linea di diritto quanto perché interessato ad assicurare che la Regione abbia un grado di efficienza e di operatività veramente fattivo: delimitare con coraggio e chiara visione le competenze fra gli organi come indicato dalla Costituzione significa evitare per il futuro confusioni e pericolose disfunzioni. La Giunta dev'essere pienamente investita delle sue funzioni di governo per amministrare l'applicazione delle leggi senza organismi mediatori o intermedi con l'assemblea: se l'iniziativa operativa della Giunta fosse condizionata si statuirebbe un sistema ancor più vischioso di quello parlamentare nazionale, molte volte criticato anche nel corso di queste ultime discussioni. Infatti, non sembra esatto che l'assemblea possa governare, legiferare ed amministrare: il governare e l'amministrare sono funzioni dell'esecutivo, funzioni che non possono esser fatte proprie dal legislativo. Auguriamoci, quindi, che nel corso del dibattito sui singoli articoli si possa trovare una formulazione più rispondente, che permetta di camminare celermente per corrispondere con concretezza alle aspettative delle popolazioni della nostra Regione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il consigliere Vietti. Ne ha facoltà.



VIETTI Anna Maria

Signor Presidente! Signori Consiglieri! Era mia intenzione intervenire nella discussione dei singoli articoli poiché il mio intervento è limitato all'art. 2, intitolato "Autonomia e partecipazione"; ma ho preferito anticiparlo poiché tale articolo è qualificante per l'intero Statuto per la sua affermazione senza equivoci della volontà politica di creare una Regione autonoma e di favorire la effettiva partecipazione dei cittadini.
La Regione deve tutelare la sua autonomia come mezzo di espressione di tutti gli interessi collettivi a rilevanza regionale, senza però porsi in contrapposizione allo Stato, ad evitare una frequenza di conflittualità davanti alla Corte Costituzionale che sarebbe frustrante e che non gioverebbe certo alla corretta esplicazione dei nostri compiti istituzionali.
Tale presupposto dipende dal nostro senso di responsabilità, ma anche dalla volontà della classe politica a livello nazionale che deve tradurre in termini concreti le frequenti dichiarazioni di fede regionalistica con un sollecito trasferimento in blocco delle materie di competenza della Regione secondo l'art. 117 della Costituzione, senza depauperamenti lasciando alla Regione il proprio spazio politico in una struttura statuale non più accentrata ma articolata secondo la concezione pluralistica.
Ed una prima manifestazione di autonomia consisterà nell'approvazione di questo Statuto, che non segue pedissequamente la legge 10/2/1953 n. 62 che viene da noi intesa esclusivamente come una norma transitoria per l'avvio dell'attività regionale.
L'autonomia della Regione è la premessa per l'autonomia degli Enti locali minori, come ha ricordato il prof. Elia nella sua relazione al recente Congresso di Montecatini, già ricordata da altri in questa Assemblea. Il prof. Elia ha infatti affermato che se lo Stato non dà deleghe alle Regioni, le Regioni non le daranno agli Enti minori determinando una catena di negatività.
Al contrario, uno dei motivi di validità della istituzione delle Regioni è che esse siano elementi di promozione della autonomia degli Enti locali minori, con il superamento del centralismo dello Stato, che ha sempre avuto la tendenza ad allargare i propri compiti condizionando la vita degli Enti minori.
La battaglia per le autonomie locali ha una lunga tradizione nel nostro Paese. Malgrado il Cavour abbia creduto nelle autonomie locali ed abbia dimostrato la sua contrarietà l'estensione della legislazione amministrativa piemontese a tutto il Regno, non si ottenne alcun risultato concreto. Il progetto di legge Minghetti, che prevedeva una certa autonomia degli Enti locali non fu approvato e fu-ritirato dal suo successore al Ministero degli Interni, Bettino Ricasoli, e negli anni seguenti la classe politica si avviò al centralismo amministrativo, a forme sempre più autoritarie di amministrazione. Generoso contributo di lotta contro il prepotere dello Stato offrirono, all'inizio del secolo, i socialisti Laghi e Caldara ed il cattolico Micheli, e largo apporto di idee per l'autonomia degli Enti locali diede Luigi Sturzo.
La Democrazia Cristiana accolse nel suo programma le più vive tradizioni del movimento sociale cattolico. Infatti De Gasperi così si esprimeva alla prima assemblea della Sezione romana della D.C. nel 1944;"Quando il fascismo ha voluto cominciare a distruggere il tessuto delle nostre libertà ha iniziato il suo attacco ai Comuni, perché è là, nei Consigli comunali, anche nei più piccoli, che il popolo impara a reggersi".
Ma l'autonomia degli Enti locali sarebbe una parola vuota di contenuto se essi non avessero maggiori possibilità finanziarie. Perché non vi è autonomia se non vi è possibilità di affrontare i problemi della comunità amministrata.
Attraverso l'autonomia degli Enti locali il potere verrà allargato avranno più potere decisionale le migliaia di amministratori della nostra Regione, dando loro modo di esprimere con la loro tradizionale dignità e fierezza i reali problemi delle popolazioni, e, in particolare, il disagio delle zone più depresse, come le zone di montagna, ove il reddito è insufficiente, ove non sempre gli abitanti trovano decorose possibilità di vita nel luogo dove sono nati e dove il più delle volte la mancanza di infrastrutture non permette di sfruttare adeguatamente le risorse naturali esistenti.
Ma tutto ciò non è ancora sufficiente: non basta dare più potere agli amministratori locali, è necessario sollecitare una maggior partecipazione di tutti i cittadini alla vita sociale, perché la democrazia, per divenire un fatto sostanziale, richiede la partecipazione attiva di tutte le forze e di tutte le energie.
Oggi è tempo di inquietudine e di incertezza, a causa delle profonde trasformazioni sociali e delle massicce migrazioni interne. Il distacco tra Paese legale e Paese reale si manifesta nella contestazione, o, quanto è peggio, nel disimpegno. La nostra democrazia viene accusata di verticismo e di incapacità a recepire le istanze più vive e più vivaci delle forze del lavoro, dei giovani, degli intellettuali.
Noi, pur credendo nella validità della democrazia rappresentativa poiché riteniamo che il regime assembleare, oltre che essere utopistico sfoci, come la storia insegna, nell'anarchia ed in seguito in forme autoritarie, riteniamo che la democrazia rappresentativa debba essere integrata da forme di partecipazione diretta del cittadino alla vita della comunità, perché tutti siano maggiormente corresponsabili e perché la partecipazione diretta è condizione per lo sviluppo della persona umana che postula la comunicazione tra gli uomini.
Lo sviluppo tecnico non è sufficiente, di per sé, a realizzare una società a dimensione umana; tale tipo di società si realizza soltanto con la partecipazione responsabile dei cittadini.
La partecipazione politica deve sollecitare tutte le energie e deve tendere a superare l'alienazione caratteristica dell'uomo moderno, in particolare dell'abitante dei grandi agglomerati urbani, che corre il rischio della disumanizzazione. Dunque, sì ad esperienze ed a strutture nuove che sollecitino la partecipazione dei cittadini, degli Enti locali dei sindacati e di altre organizzazioni; ma perché la partecipazione politica diventi operante, perché si suscitino energie valide, perché si possa riempire il vuoto di potere che oggi esiste, la partecipazione non deve essere una mera affermazione di principio ma ad essa deve corrispondere la volontà politica di tutto il Consiglio, affinché le varie forme di partecipazione - dall'iniziativa legislativa popolare, al referendum abrogativo, all'interrogazione degli Enti locali - non siano strumentalizzate a fini elettoralistici di parte ma possano esplicarsi nella loro genuinità di mezzi di espressione popolare, per dare voce alle istanze più vive della moderna società.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il consigliere Borello. Ne ha facoltà.



BORELLO Giovanni

Signor Presidente! Signori Colleghi! L'ampiezza della discussione generale sullo Statuto della Regione Piemonte, l'impegno, l'entusiasmo, la dottrina che ha accompagnato l'oratoria dei Colleghi che mi hanno preceduto, sono la dimostrazione di come questo tema abbia costituito una occasione eccezionale per una riflessione politico-amministrativa e per una verifica della comune volontà di contribuire al rilancio e all'ammodernamento delle attuali istituzioni attraverso una nuova metodologia che ci consenta di ricercare le condizioni migliori per svolgere la nostra attività in posizione di servizio nei confronti della comunità.
Credo che la discussione generale sia stata di un'importanza tale da non consigliare troppe limitazioni o sollecitazioni da parte del Presidente del Consiglio a far presto ad ogni costo, evitando così l'impressione a quei pochi che seguono i nostri lavori che lo Statuto fosse preventivamente stato concordato dai membri della Commissione, senza consentire agli altri membri del Consiglio di approfondire i complessi problemi alla radice.
La discussione ha così permesso di chiarire anzitutto a noi stessi cui per la prima volta compete la responsabilità di affrontare a freddo, e senza contare su esperienze precedenti o di altri, una tematica così complessa - quali saranno i compiti dell'Ente Regione per lo sviluppo del Piemonte, quali i suoi rapporti con gli Enti locali, con le forze sociali e politiche.
Inevitabilmente - lo ha già detto il mio amico e collega Franzi - chi prende la parola fra gli ultimi in un dibattito come questo ha ben poco di nuovo da suggerire. Mi limiterò, perciò, a riprendere alcuni concetti soffermandomi in modo particolare a trattare i problemi dello sviluppo della partecipazione dei cittadini e degli Enti locali, della programmazione e delle proposte di avvio dell'attività istituzionale regionale.
Vorrei, anzitutto, brevemente analizzare la situazione dalla quale partiamo oggi, per fare alcune considerazioni di fondo, e per indicare o individuare talune possibilità dell'Ente Regione di inserirsi come organismo di rianimazione di una realtà che da alcuni anni pone in stato di crisi e di scarsa efficienza le nostre istituzioni.
Sarebbe ingiusto negare come gli operatori economici e sociali cerchino da tempo di mettere per quanto di loro competenza un po' di ordine in una situazione che progressivamente si è gravemente deteriorata e si è fatta sempre più confusa e pericolosa.
Dobbiamo riconoscere che in genere non è mancato l'impegno, non sono mancati nemmeno i buoni propositi, o i mezzi; ma la carenza di trame ordinate, di indirizzi meditati ed organici, di provvedimenti coerenti ed incisivi hanno finito non solo con l'annullare ogni sforzo, ogni intervento, ma spesso hanno provocato dispersioni di mezzi, di tempo, e prodotto risultati non di rado negativi.
Penso non sia inopportuno, prima di giungere a prescrivere terapie prendere in esame alcuni fatti che hanno portato la macchina dello Stato nell'attuale situazione di palese insufficienza. Da parte mia cercherò di indicarne alcuni.
Abbiamo testè detto che non mancano gli interventi, anzi, a volte c' fin troppo ottimismo da parte di taluni amministratori per cercar di fare qualcosa. Ma purtroppo ogni Ente ha affrontato i problemi di sua competenza, partendo da un proprio punto di vista, a volte scelto con un criterio di affezione o di interesse, senza tener conto delle esigenze generali, delle priorità, e, quel che più conta, del necessario collegamento ad un programma di prospettiva.
Questa girandola di iniziative, anziché incidere sulla realtà che si intendeva migliorare, hanno finito invece con l'intersecarsi, l'ostacolarsi a vicenda, e quindi più di una volta con l'annullarsi. Il singolo cittadino, destinatario di queste azioni, finisce con l'essere sottoposto ad un vero e proprio bombardamento di consigli, direttive, proposte, che gli impediscono di scegliere, e quando è costretto a scegliere finisce con il farlo contro la sua volontà e spesso contro ogni logica.
Ne derivano due conseguenze: la prima è che il cittadino, non avendo né i mezzi né la possibilità di verificare quale fra i tanti messaggi sia il più giusto, o quello che è più opportuno seguire, li respinge tutti indistintamente. La sfiducia e la diffidenza verso tutto e verso tutti prende allora il sopravvento, per cui la massa dei qualunquisti e degli indifferenti aumenta pericolosamente ogni giorno la seconda, non meno negativa della prima, è che il cittadino accetta quelle iniziative che gli sembrano più convenienti sul piano personale senza una preventiva analisi critica, e senza approfondire il perché di certe sue scelte.
Così, talune iniziative, sostanzialmente negative, diventano componenti del sistema, lo condizionano e lo deteriorano, e nel contempo danno forza ai proponenti per insistere su certe impostazioni, che in altre condizioni o non sarebbero sorte o non avrebbero trovato spazio per espandersi e consolidarsi.
Il discorso sulla partecipazione avrà quindi una sua ragione per essere portato avanti solo se si muterà l'attuale modo di concepire l'amministrazione della cosa pubblica. Finché si parlerà di partecipazione senza realizzare le condizioni e le regole per attuarla lealmente, ogni discorso, anche innovatore, sullo "sviluppo" sarà meramente teorico, o parziale, anziché integrale.
Per "sviluppo integrale" si deve intendere una crescita il più possibile organica ed ordinata di tutte le persone appartenenti alla stessa comunità, cioè una crescita collettiva ed equilibrata, che sia contemporaneamente tecnologica, culturale, economica e politica.
La rapida avanzata tecnologica ha prodotto nella nostra società "traumi e scompensi", perché essa non è stata accompagnata da una altrettanto rapida evoluzione dell'uomo sul piano culturale e sul piano della maturità politica. E' dimostrato anche qui a Torino, come in altre grandi città, che può verificarsi una grande espansione industriale senza che tutti i cittadini partecipino in ugual misura al benessere derivante dal processo di sviluppo, specie se accelerato oltre limiti non previsti.
Se si vuol garantire a qualsiasi forma di sviluppo un adeguato successo, occorrerà ripartire sia gli sforzi finanziari sia gli impegni organizzativi in modo da interessare simultaneamente i settori economici, i settori culturali ed i settori politici. In altre parole: un aumento dei consumi che non sia accompagnato da una adeguata preparazione della "base" sul piano culturale e sul piano politico sarà destinato a non resistere all'usura e quindi ad autodistruggersi. E' inutile predisporre piani, anche se perfetti sotto l'aspetto tecnico, e poi non riuscire a realizzarli proprio perché i destinatari non sono in grado di riceverli o valutarli nella giusta misura.
Abbiamo già detto che i cittadini, frastornati da una serie di iniziative spesso tra loro contrastanti, bombardati da una serie di messaggi e sollecitazioni a loro non sempre comprensibili, hanno finito con il diventare diffidenti, agnostici, sempre pronti a rigettare ogni discorso, ivi compresi quelli sullo sviluppo. Di fronte a queste realtà certamente non esaltante, l'Ente Regione sta per assumersi la pesante responsabilità di tentar di ridare fiducia ai cittadini nelle istituzioni.
Sarebbe un errore imperdonabile continuare un discorso tra sordi o agire con troppa astuzia, o, peggio ancora, con riserve mentali. Occorre, se veramente vogliamo qualcosa, se vogliamo salvare il salvabile, invertire gli indirizzi che ci hanno costretto nell'attuale situazione. Dovremo in qualche modo convincere il cittadino ad assumersi le sue responsabilità, a non vivere sempre per procura, o delegando sempre ad altri i suoi problemi bensì a studiarli a fondo e proporli per la loro soluzione ai pubblici poteri.
Premesso poi che i sistemi autoritari creano dei dipendenti e che i sistemi assistenziali o paternalistici creano degli assistiti, se vogliamo dar vita lealmente ad una politica per un vero sviluppo integrale, dobbiamo procedere con gradualità, ma passando attraverso esperienze concrete.
Come dar vita, quindi, a forme di concreta partecipazione? Anzitutto creando dei "centri d'interesse" che siano validi per polarizzare l'attenzione di gruppi di cittadini (ad esempio, l'attuale censimento sull'agricoltura ed il catasto dei vigneti potevano essere un'occasione favorevole per avvicinare gli agricoltori ed iniziare con essi un discorso su problemi direttamente e meno direttamente legati alle finalità del censimento). In secondo luogo, creando dei veri e propri metodi di lavoro evitando di impartire sempre direttive dall'alto. Partendo dal principio che ogni collettività dispone di sufficienti risorse per studiare la soluzione, parziale o totale, dei propri problemi, occorrerà aiutarla a prenderne più precisa e documentata conoscenza, per arrivare, attraverso studi di gruppo, a proporre delle scelte meditate ed equilibrate sotto ogni aspetto, scelte veramente atte ad incidere sullo sviluppo sociale ed economico.
La Regione piemontese ha certo il merito di aver cercato di imboccare questa strada. Evidentemente, il primo tentativo ha posto in luce i lati positivi e quelli negativi nella scelta del metodo della partecipazione. E' inutile insistere sulle critiche degli aspetti negativi di questa prima fase: occorrerà non più ripetere gli inevitabili errori iniziali, e creare strumenti più agili, più immediati, e, perché no?, anche più spontanei e convincenti.
Rendersi disponibili al dibattito significa un confronto continuo e diretto con la base, significa rischiare ogni giorno di esser messi in difficoltà o contestati da chi in modo documentato può proporre soluzioni più aderenti alle necessità dei destinatari senza cadere nella facile demagogia. Qualsiasi nuova esperienza per raggiungere il successo dovrà partire da una piattaforma di studi forzatamente circoscritti e parziali.
In altre parole, ogni esperienza dovrà svolgersi su un terreno che offra possibilità di percezione immediata e di adeguata verifica da parte dei destinatari di ogni singola iniziativa, cioè delle analisi-campione o degli studi-campione.
Gli obiettivi, quindi, non dovranno più essere predeterminati in modo rigido da chi ha l'iniziativa della proposta, se non si vuol correre il pericolo di trasformare la partecipazione in uno scontro tra operatori del settore sociale, di quello politico e di quello economico; scontro orchestrato ancora una volta dall'alto, animato da uno spirito di difesa settoriale che finirebbe con l'allontanare per sempre tutti coloro che si sono illusi della credibilità dell'istituto della partecipazione. Occorrerà non solo polarizzare attorno alla Regione tutte le migliori energie, ma essere disponibili ad accettare proposte, da qualsiasi parte provengano quando sono logiche, ed anche se possono modificare sostanzialmente l'impostazione originale di qualsiasi problema. Si passa, cioè, alla ricerca di corresponsabili, e, quel che più conta, alla individuazione di una controparte. Ne consegue la possibilità di una precisa dinamica e di un impegno dialettico tendente a variare il peso delle forze attualmente in gioco.
Questo momento che vede nascere la nuova realtà regionale, ricco di entusiasmi e di speranze, è il più favorevole per dar vita ad un'opera di rinnovamento, per dar vita ad un nuovo quadro istituzionale in cui alcune esperienze e teorie possono essere razionalizzate e rese operanti.
Riteniamo che oggi siano maturi i tempi per convincere gli amministratori a superare la tradizionale timidezza e ad occuparsi di politica. Se, infatti il fine della nuova politica è lo "sviluppo integrale", tutti i problemi amministrativi dovranno essere affrontati in una visione globale di indirizzi che trascendono la normale procedura d'ufficio in cui quasi sempre viene confinato l'atto amministrativo.
Sinora la soggezione degli Enti locali al potere centrale ha reso impossibile un ruolo diverso da quello attuale, in quanto ha sottratto loro lo spirito d'iniziativa necessario ad una concezione dinamica dell'atto amministrativo, privando gli interventi della tempestività e della flessibilità necessaria all'attuazione di un programma fedele alla dinamica della collettività amministrata.
Così, il fatto che le scelte prioritarie e gli indirizzi fondamentali della politica (quando vi sono) siano appannaggio esclusivo del potere centrale toglie alla periferia ed ai suoi organi amministrativi l'incentivo per un'effettiva presa in carico (responsabile, e quindi creativa) del problema politico in sede locale.
Con questo, siamo ben lontani dall'affermare la positività di certe confusioni tra amministrazione e politica; anzi, proprio perch l'amministrazione sia efficiente, occorrerà sempre più qualificarne le funzioni e le procedure. Sarà perciò opportuno che il quadro istituzionale regionale non attribuisca agli Enti locali altri compiti di ordinaria amministrazione, se non indispensabili, al fine di renderli disponibili ad un lavoro che sia sempre più attento alle necessità della comunità e sia nello stesso tempo in grado di vedere in chiave collettiva i problemi che la normale amministrazione è impossibilitata a risolvere.
Questo dovrà essere domani l'essenza della corresponsabilità e l'impegno politico dell'Ente locale.
L'informazione dei cittadini e delle loro forme associative deve consentire loro la possibilità di interloquire a ragion veduta ed in modo documentato. Certo, l'istituto della partecipazione degli Enti locali non potrà realizzarsi se non per gradi; però, deve avere fin dall'inizio una sua funzione ben precisa, al fine di non rischiare di diventare una struttura inutile o frenante, anziché una profonda modificazione dei meccanismi esistenti, concordemente denunciati come largamente superati.
Quando tutto ciò sarà istituzionalizzato nello Statuto e adottato come metodo di lavoro, i responsabili politici, gli amministratori avranno l'obbligo di assumersi più precise responsabilità e non potranno caricare sempre su altri gli errori e le insolvenze di interpretazione ed esecuzione delle necessità della collettività.
A questo punto sorge spontanea un'altra domanda; le attuali strutture amministrative degli Enti locali sono in grado di affrontare queste responsabilità? E, in caso affermativo, a quali Enti si attribuiranno certi compiti? La risposta non è facile, in quanto dovremo decidere se delegare agli Enti locali (non tutti con strutture adeguate a rispondere alle nuove esigenze ed ai nuovi compiti di straordinaria amministrazione) o creare con la partecipazione degli Enti locali un sistema articolato di commissioni di studio o agenzie incaricate di elaborare le linee della politica locale in stretto contatto, naturalmente, con tutte le forze disponibili.
E' mio avviso che la Regione debba assolvere prevalentemente compiti di ordine politico, più che compiti di ordine meramente amministrativo. Essa potrà rispondere a queste necessità attraverso l'elaborazione di un programma di sviluppo che dovrà avere ben presente la necessita di una crescita armonica della Regione Piemonte. In particolare, il programma dovrà definire l'ambito ed i settori in cui gli interventi sono più urgenti, e collocarsi come interlocutore valido sia nei confronti degli operatori economici e sociali, sia degli interessi collettivi espressi dagli Enti locali, sia dalle forze sociali o associazioni di varia natura.
Concretamente: 1) la Regione esamina le indicazioni di massima elaborate dal Piano nazionale e ne deduce la linea politica in cui deve situare lo sviluppo regionale. Essa redige a sua volta una serie di indicazioni di massima a livello regionale che vengono trasmesse allo studio degli Enti locali e degli altri organismi riconosciuti quali elementi di partecipazione.
La periferia, così interpellata, fornisce le proprie indicazioni al Consiglio regionale, che delibera le indicazioni generali del programma articolate in indicazioni socio-economiche ed indicazioni territoriali.
2) L'articolazione delle indicazioni generali del piano si svolge a livello dei comprensori urbanistici (dimensione del piano territoriale di coordinamento), nei quali si creeranno appositi organismi di coordinamento delegati alla programmazione comprensoriale.
Agli stessi organismi spetta in prima approssimazione la raccolta delle indicazioni a livello comprensoriale sub-comprensoriale, un elastico adattamento dei livelli di proposte ai livelli di definizione dei problemi nonché l'elaborazione di un progetto di piano economico-territoriale comprensoriale.
3) Allo scopo di raccogliere le indicazioni di base, l'organismo di coordinamento si avvale, oltre che delle strutture di ricerca, di un comitato permanente di consulenza e di commissioni speciali articolate sui diversi centri di interesse ed ai rispettivi livelli territoriali.
Particolare cura viene comunque dedicata dagli organismi di coordinamento, con il supporto della Regione, alla creazione di appositi "centri di animazione sociale", capaci di assicurare l'interscambio tra le forme istituzionalizzate di partecipazione e la pubblica opinione.
4) All'Ufficio del Piano spetta invece il coordinamento dei diversi piani comprensoriali e la loro integrazione con le indicazioni di portata intercomprensoriale. La proposta definitiva di articolazione del Piano viene poi sancita dal Consiglio regionale ed assunta come parte integrante del Piano Regionale.
Se non avessi già troppo abusato del tempo a mia disposizione avrei volentieri ancora trattato il tema degli Enti locali nel nuovo ordinamento regionale, ovvero mi sarei soffermato sulle forme ed i canali attraverso cui essi potranno far giungere alla Regione la voce dei loro amministrati e le vie per cui tale voce possa essere effettivamente ascoltata.
L'esperienza non positiva della utilizzazione della partecipazione degli Enti a questa prima fase ci deve indurre per l'avvenire a far sì che: la Regione non abbia più a deliberare su problemi importanti senza aver prima sentito i cittadini la Regione si crei una sua rete per collegarsi con agilità e rapidità con i cittadini la Regione si impegni a fornire ai cittadini le possibilità ed i mezzi per documentarsi la Regione abbia la possibilità di discutere ed esaminare le osservazioni le richieste e le proposte dei cittadini.
Tutto questo discorso, come conclusione, non può non proporre una trama ed un organigramma coerente, che potrebbe articolarsi secondo il seguente schema: 1) Consiglio e Giunta regionale 2) Istituti di Ricerche-Ires più altri organismi centrali e periferici in grado di elaborare analisi ed indicazioni, fornendo nel contempo il necessario supporto statistico alla Giunta, al Consiglio ed alle collettività periferiche 3) Ufficio del Piano - Ufficio della Regione: in grado di tradurre le analisi e le indicazioni provenienti dalle diverse fonti, in termini di Piano 4) Ufficio e Servizi di documentazione - Organismo della Regione destinato alla pubblicizzazione di tutte le informazioni disponibili concernenti esperienze ed attività della Regione attraverso le vie di comunicazione di massa e la creazione di una Banca dei dati 5) Enti locali ed organismi periferici (Comuni, Provincia, Camere di Commercio, E.P.T. ecc.) in grado di operare sia come centri di dibattito e proposta politica, sia come agenzie 6) Nuove specifiche agenzie (Finanziaria Regionale, Ente dei trasporti Ente di Sviluppo Agricolo, Consorzi pubblici e privati ecc.) 7) organismi consultivi a livello periferico (Consorzi ed organizzazioni comprensoriali, Commissioni comunali, comprensoriali e provinciali Associazioni diverse ecc.) 8) organismi consultivi a livello regionale (Consulte, Comitati Commissioni permanenti ecc.) 9) il meccanismo di funzionamento verrebbe così impostato attraverso un Ente programmatore (Consiglio Regionale), il quale, raccogliendo contributi scientifici dagli organismi di ricerca nonché contributi politici dagli Enti locali periferici e dai nuovi organismi consultivi a livello regionale, formula piani di sviluppo e di intervento poliennali, adeguando agli stessi non solo i propri bilanci, ma anche larga quota delle finanze degli Enti locali periferici.
L'esecuzione del piano verrebbe quindi affidata alle agenzie propriamente dette e agli Enti locali in veste di agenzia, sia attraverso il più ampio uso dello strumento della delega sia attraverso il corretto controllo sugli atti amministrativi degli Enti locali sottoposti alla tutela regionale.
Signor Presidente! Signori Colleghi! Ho terminato. Vorrete scusarmi se non ho portato elementi nuovi nella discussione, ma, svolgendo uno degli ultimi interventi, quasi per sintesi, ho cercato di esporre, seppure in modo disorganico ed incompleto, non le mie idee ma quelle di un gruppo di cittadini di varia estrazione e di vario censo che come me hanno riposto nella Regione molte speranze, fidando in essa per poter rispondere alle aspettative dei cittadini ed in particolare dei giovani, che guardano a noi con molta fiducia ed anche con critica attenzione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Borando; ne ha facoltà.



BORANDO Carlo

Grazie signor Presidente.
Io sono forse l'ultimo della serie, e quindi non tedierò i colleghi e lei signor Presidente, poiché mi pare che si sia spaziato già doviziosamente su tutti i temi posti dallo Statuto; mi riservo di fare solo qualche osservazione ed avanzare qualche perplessità, se così la possiamo chiamare, riguardo alcuni argomenti.
Il mio grazie, naturalmente, come quello degli altri colleghi va agli amici che hanno fatto parte della Commissione e che con un lavoro intenso hanno portato a termine la loro opera. Quando i vari membri della Commissione si sono pronunciati, mi è parso di capire che a parte le sfumature la grande maggioranza dei gruppi convergeva sensibilmente sullo spirito e anche sulla lettera dell'impostazione statutaria. Ciò che non mi convince del tutto è che nello Statuto manca una precisazione circa i compiti specifici degli organi componenti la Regione, o meglio, pare che di alcuni compiti specifici finiscano con l'occuparsene contemporaneamente in troppi. L'osservazione è fatta non perché si desidera che la trattazione di determinati argomenti debba essere circoscritta a pochi piuttosto che a molti, ma per il timore che l'intrecciarsi contemporaneo di troppi interessamenti vada a detrimento della snellezza e della rapidità del lavoro e non vengano ben definite e qualificate le responsabilità. Risulta giustificato questo timore perché, se è lodevole la costituzione di Commissioni permanenti e di Commissioni speciali per la trattazione specifica di materie o gruppi di materie, quando a tali Commissioni fosse dato indiscriminatamente il compito di trattare ogni e qualsiasi deliberazione della Giunta, prima che le deliberazioni giungano al Consiglio, può accadere che tutto il lavoro di consultazione, di coordinamento tecnico-politico su un determinato problema venga svolto dalla Giunta e dalle Commissioni magari con criteri diversi, giungendo così a conclusioni totalmente contrapposte. Infine tutto deve passare al Consiglio il quale dovrà sancire col suo visto definitivo. Senza contare che tanto la Giunta quanto le Commissioni avranno bisogno di personale e di uffici propri; se invece si servono dello stesso personale e degli stessi uffici, finiremo col trovarci di fronte a situazioni scabrose, con personale che dovrà servire due padroni contemporaneamente e che non saprà come comportarsi. Sono perplessità che io ho e che devono renderci prudenti nell'impostazione di tutto questo lavoro per non avere dei risultati negativi.
Detto questo, dirò che per quanto riguarda lo spirito informativo dello Statuto, sono anch'io d'accordo e così per ciò che concerne il capitolo autonomie e partecipazione, là dove si dice che la Regione deve operare nell'ambito dei poteri riconosciuti dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato e in tale ambito deve proporsi di esercitare la propria autonomia per realizzare l'effettiva partecipazione di tutti i cittadini all'attività politica e socio-economica dell'intera comunità. Ma anche qui bisogna dire che nell'applicazione pratica tale concetto deve avere una sua rigorosità e cioè i cittadini che oggi si ritrovano tutti, o quasi tutti, regolamentati in forme associative, devono esercitare la loro partecipazione attraverso le organizzazioni associative, i sindacati, le organizzazioni di categoria e soprattutto attraverso gli enti locali i quali in definitiva sono l'espressione democratica più genuina in quanto frutto di elezioni sicuramente regolari.
Così dicasi del decentramento e degli organi di controllo che, secondo me, è un argomento importantissimo: basti pensare che secondo un calcolo di massima le delibere annue delle sei Province piemontesi si aggirano attorno alle 45/50.000 e addirittura alle 750/800.000 quelle dei circa 1200 Comuni compresi nelle sei province. Ce n'è a sufficienza per accatastare quintali di pratiche negli uffici degli organi di controllo. Anche qui bisognerà fare in modo che i controlli risultino rapidi e ridotti all'essenziale pur assolvendo ai compiti loro demandati dalla legge.
E così per ciò che riguarda la programmazione e il piano. E' evidente che lo Statuto deve prevedere i rapporti fra Regioni ed Enti locali, Comuni e Province, in stretta collaborazione per l'elaborazione e la stesura del programma regionale, onde conseguire come risultato un'autentica fotografia delle situazioni locali e quindi poterne accogliere le istanze. In altre parole, partire dal basso per giungere ad un coordinamento generale a livello di Regione.
Lo stesso discorso vale anche per quanto riguarda le iniziative legislative, e lo Statuto lo prevede.
Debbo rilevare inoltre che nell'articolo in cui si enumerano i vari settori nei quali dovrà estrinsecarsi l'attività della Regione, non vi è alcun accenno alle vie di comunicazione, si parla vagamente di trasporti ma non in modo specifico. Per esempio, quando diciamo nello Statuto che il programma di piano regionale deve essere concepito in termini tali da consentire un inquadramento generale per ciò che riguarda i grandi territori dello Stato, e si fa un particolare riferimento al Mezzogiorno sono d'accordo. Mi preoccupo però che allorché vengono avanti le decisioni sulle scelte di certi settori tra nord e sud, pur riconoscendo al sud la sua giusta parte, bisogna occuparsi che il nord non venga dimenticato.
Proprio in relazione alle grandi infrastrutture ho letto recentemente che nel programma dell'IRI, in conseguenza del decretone in atto, circa 400 degli 800 chilometri di autostrade previsti per il quinquennio 1970/75 saranno defalcati. Non mi sembrerebbe giusto che venisse esclusa per esempio una grossa arteria, importantissima per l'economia piemontese tutta, quella del collegamento dal mare al Sempione e che si intreccia con la grande via di comunicazione denominata E2, quella che porta al centro dell'Europa; se ha da essere ritardata perché i mezzi non ci sono, lo sia ma se ha da essere ritardata a favore magari di altre arterie sicuramente non egualmente importanti, allora la Regione deve far sentire la propria voce.
Ho accennato a questo tema perché interessa tutta la Regione e in particolare (penso di interpretare il pensiero dei numerosi colleghi novaresi qui presenti) l'economia industriale e turistica dell'alto novarese che è decisamente in declino in conseguenza, io ritengo, di un insufficiente collegamento stradale e autostradale.
Vorrei accennare anche ad un altro fatto di cui a mio giudizio la Regione dovrà preoccuparsi, non perché debba sostenerne l'onere finanziario, ma perché sarà un problema futuro di grande importanza: mi riferisco alle grandi vie di comunicazione d'acqua. I canali navigabili diventeranno una cosa assolutamente indispensabile. Quando si pensa che oggi viaggiano nel nostro Paese circa 10 milioni e 300 mila automezzi e che le statistiche ci indicano, sulla scorta dei calcoli fatti nell'ultimo decennio, che nel 1980 (quindi fra dieci anni e dieci anni fanno in fretta a passare), viaggeranno in Italia circa 18 milioni di autoveicoli, quasi il doppio dell'attuale, chi ha la responsabilità di questi settori deve preoccuparsene. La Lombardia e il Veneto per quanto riguarda i canali navigabili, hanno già fatto dei passi avanti, preparando progetti e ottenendo congrui finanziamenti dallo Stato. Mi pare che le leggi dello Stato in proposito siano abbastanza ben articolate. La verità è che in questo settore, come in altri, i fondi a disposizione sono pochi. Da qui la necessità che la Regione se ne occupi in fretta e con serietà.
Per concludere, va ribadito il concetto che è necessario che nello svolgimento delle rispettive funzioni, ognuno abbia un indirizzo da seguire il più possibile coordinato; l'esecutivo per quanto lo riguarda, le commissioni speciali là dove sono chiamate a occuparsi di temi specifici in fase di indagine, di preparazione e di deliberazione ed il Consiglio infine, sovrano nell'esplicazione dei suoi compiti, che sancisce definitivamente il tutto.
Amici, in questo Consiglio, presi singolarmente o come gruppi, ognuno di noi ha certamente una utile funzione; ritengo che sarà ancora più utile quando saranno definiti dallo Statuto i compiti precisi che ciascuno deve svolgere.



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, non ho altri iscritti a parlare che siano presenti in aula. Si presume che chi non è presente e abbia chiesto di parlare abbia implicitamente rinunciato, essendo già stato chiarito, a più riprese nel corso delle sedute precedenti, che in questa seduta, presumibilmente avremmo concluso la discussione generale.
Chiedo se vi sia alcun altro Consigliere che desideri ancora parlare nel corso della discussione generale. Non vi è nessuno. Quindi, ai sensi dell'art. 39 del Regolamento, dichiaro chiusa la discussione generale.
L'ordine dei nostri lavori, successivamente alla discussione generale prevede la possibilità per il relatore di replicare agli intervenuti e per un rappresentante della Giunta di esprimere l'opinione della stessa. Non si tratta, nel caso nostro, di una legge ordinaria, si tratta dello Statuto della Regione, perciò i precedenti ai quali dobbiamo riferirci sono quelli con i quali è stata approvata la Costituzione della Repubblica, a proposito della quale governo e assemblea costituente si sono mossi su due linee parallele; il governo, in quanto tale, non è stato chiamato a prendere posizione sulla Costituzione, che è stata opera dell'intera assemblea costituente. Per quel che riguarda l'opinione della Commissione e del relatore, essendo stato relatore, per ragioni anche tecniche e per l'indisposizione del Presidente Oberto, lo stesso Presidente del Consiglio riterrei una replica di chi ha presieduto materialmente la commissione nell'ultima fase dei suoi lavori, come una interferenza di chi è chiamato a presiedere il resto dei nostri lavori nella sua veste di Presidente del Consiglio nelle opinioni che sono state espresse o che potranno essere espresse nel corso della discussione degli articoli. Per questa ragione il Presidente della Commissione, che in questo caso si identifica con il Presidente del Consiglio Regionale, non replicherà a coloro che sono intervenuti. Tanto più che ciascun gruppo avendo espresso i proprii motivi con l'intervento di ben ventidue oratori nel corso della discussione generale, e cioè di quasi la metà del Consiglio, quest'ultimo è ormai maturo per procedere all'esame degli articoli che compongono il progetto di Statuto. Questo esame non sarà compiuto evidentemente questa mattina, anche perché, come ho avuto occasione di annunciare in precedenza, non avremmo incominciato l'esame del progetto di Statuto nei suoi articoli con votazioni di sorpresa. Queste incominceranno in una successiva riunione.
A questo punto perciò, essendo chiusa la discussione generale, non essendovi ricorso a repliche, la nostra procedura prevede il passaggio agli articoli.
Debbo ancora richiamare un'altra norma del Regolamento e cioè l'art. 4 relativo alle attribuzioni del Presidente del Consiglio Regionale, che nel suo comma terzo stipula che il Presidente del Consiglio Regionale "presiede il Consiglio, dirige e modera la discussione e ne riassume, occorrendo, i termini, al triplice scopo (ed è soltanto il primo che intendo enunciare) di consentire al Consiglio di adempiere ai compiti demandatigli dalla Costituzione, dalle leggi dello Stato e dallo Statuto della Regione, entro i termini stabiliti". Vi è un termine che abbiamo prefisso noi stessi quale che sia il carattere che vogliamo dare alla disposizione della legge n. 62 del 1953, per ragioni di correttezza del Consiglio nei confronti di se stesso: il Consiglio ha ritenuto di poter completare l'esame e l'approvazione dello Statuto della Regione entro il 10 novembre. Compito del Presidente, demandatogli dal Regolamento, è quello di fare rispettare questo termine, di regolare perciò i lavori del Consiglio in maniera che la data del 10 novembre sia rispettata per una ragione di correttezza formale e per una ragione politica sostanziale, perché fino a quando il Consiglio Regionale non avrà approvato lo Statuto della Regione con la maggioranza prescritta dalla Costituzione di metà più uno dei componenti il Consiglio stesso, esso non potrà invocare dai vari organi dello Stato che mantengano anch'essi tempestivamente gli impegni che hanno nei confronti della Regione. Due altre Regioni hanno già approvato entro i termini prescritti dalla legge il proprio Statuto: quella laziale e quella lombarda. Noi ci eravamo prefissi di rimanere nei termini (quelli del Lazio e della Lombardia scadevano una settimana prima di quelli del Piemonte), siamo in grado di farlo.
Perciò, dopo la seduta pomeridiana di oggi in cui vedremo a quale ritmo siamo in grado di procedere all'approvazione degli articoli, con tutto il tempo necessario per dare agli articoli non soltanto un'approvazione convinta del Consiglio, ma anche una redazione formalmente ineccepibile potremo stabilire se basteranno una seduta mattutina e una pomeridiana di domani ed eventuali sedute della mattina e del pomeriggio di lunedì e di martedì per concludere. Se non bastassero, con mio sommo rincrescimento sarei costretto a convocare il Consiglio anche nella giornata di domenica se anche questo non fosse sufficiente, sarei costretto a convocare il Consiglio anche la sera, per non dover ricorrere al sistema in uso in alcune assemblee le quali, quando dovevano approvare il bilancio entro il 31 dicembre, a mezzanotte di quel giorno fermavano le lancette dell'orologio per poter simbolicamente continuare a discutere ed approvare il bilancio dello Stato entro quella data. Gli orologi sono stati fermati anche al Mercato Comune quando scadevano i termini il 31 dicembre; se occorre lo faremo anche noi. Siccome abbiamo largamente e lungamente discusso e meditato sullo Statuto della Regione, credo che procedendo senza rigore, sospendendo anche le sedute quando sia necessario per consentire ai gruppi, nel loro ambito o nei loro rapporti reciproci, di giungere a migliori formulazioni, lavorando cioè come potrebbe lavorare una commissione, poiché un'assemblea di 50 componenti non è tanto larga da imporre le norme che sono necessarie in assemblee più ampie della nostra lavorando quindi come un vero e proprio comitato di lavoro, così come ha lavorato la Commissione Statuto che ha tenuto sedute che si sono prolungate fino alle due, le tre, le quattro del mattino, credo che potremo mantenere gli impegni verso noi stessi.
Detto ciò, signori Consiglieri, riconvoco il Consiglio Regionale per questo pomeriggio alle ore 16, con all'ordine del giorno la continuazione dell'esame del progetto di Statuto della Regione: esame degli articoli e votazione dei medesimi.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 12)



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