Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.128 del 30/11/72 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

Scarica PDF completo

Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE OBERTO


Argomento: Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici

Commissione speciale di indagine sulla situazione edilizia a Bardonecchia: relazione conclusiva


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Perché i signori Consiglieri siano a conoscenza del programma di lavoro di questo pomeriggio, riferisco che, d'accordo con i Capigruppo, penserei di far proseguire fino a conclusione la discussione sul punto quinto dell'ordine del giorno: "Programma economico nazionale 1971-'75". Su questo argomento risultano iscritti a parlare fino a questo momento i Consiglieri Conti, Simonelli, Viglione, Dotti, Gandolfi e Menozzi. Seguirà la risposta agli intervenuti da parte del Presidente della Giunta, essendosi dovuto assentare l'Assessore Paganelli.
Il punto sesto dell'ordine del giorno: "Commissione speciale di indagine sulla situazione edilizia a Bardonecchia" sarà aggiornato, perch ancora non sono pronte le copie dei documenti che i Consiglieri hanno chiesto di avere in allegato.



DOTTI Augusto

Sulla questione degli allegati, che è stata sollevata probabilmente in un momento in cui io non ero in aula, tengo a dire che la Commissione non ha affatto deciso di distribuirli. Essa ha svolto i suoi lavori sulla base dei diversi elementi conoscitivi, traendone spunto per una maggiore conoscenza della materia, fra cui alcuni documenti, che vengono tenuti, per un'eventuale consultazione, presso la nostra Commissione. Questi testi, o almeno parte di essi - perché taluni, sono semplicemente disposizioni di carattere edilizio, che potremmo benissimo distribuire -, non ritengo opportuno siano allegati alla relazione, in quanto ciò equivarrebbe ad avallare dei documenti la cui veridicità noi non abbiamo approfonditamente vagliato, che non abbiamo delibato.



PRESIDENTE

Ad evitare inutili lungaggini, proporrei di riprendere il discorso su questo punto domani, nel corso della prevista riunione dei Capigruppo. Dal momento che la discussione sul punto sesto dell'ordine del giorno avverrà non oggi ma prevedibilmente il giorno 7, come mi accingevo ad annunciare c'è infatti tutto il tempo per risolvere la questione degli allegati.



VECCHIONE Mario

Signor Presidente, penso che anche questa questione debba essere risolta nella riunione dei Capigruppo, perché si arrivi a discutere finalmente in Consiglio, con cognizione di causa, i risultati dell'indagine svolta dall'apposita Commissione a proposito della situazione edilizia a Bardonecchia.
Non posso però esimermi dal prendere la parola su questo tema dal momento che il Presidente della Commissione ha fatto delle affermazioni assolutamente gratuite. In Commissione, dopo avere discusso un paio d'ore sulla questione dei documenti e degli allegati, sull'opportunità di sopprimere nella relazione i riferimenti di contenuto e di merito attinenti ai documenti visionati, si era giunti a questa conclusione: esprimere un giudizio nostro senza recepire i contenuti di tali documenti, fornendone però copia per conoscenza ai singoli Consiglieri in modo da renderli edotti, ai fini della discussione, sul materiale in base al quale la Commissione d'indagine aveva operato. Si era pertanto delegato ad una sottocommissione di commissari l'incarico di rivedere e limare certi giudizi inseriti nella relazione, così da fornire al Consiglio un quadro abbastanza sfumato ma con dei contenuti propositivi. Sulla questione della distribuzione degli allegati non si è fatta però alcuna discussione.
Vorrei, a questo punto, porre una questione anche di metodo: è mai possibile che si debba procedere così formalisticamente? E' mai possibile che si debbano avere perplessità anche ad allegare documenti come la copia del verbale della discussione svoltasi a suo tempo in Consiglio che fu praticamente la matrice della Commissione stessa, e l'ordine del giorno attraverso cui ne fu decisa la costituzione? Le tre planimetrie che un commissario, il Consigliere Conti, chiese fossero date in visione ai Consiglieri per dar loro modo di rendersi conto dell'entità del fenomeno edilizio che si è avuto a Bardonecchia devono rimanere segrete? Ma questo è assurdo! In questi giorni abbiamo parlato dell'insediamento di Crescentino abbiamo parlato della questione delle Vallere, ci siamo trovati d'accordo anche noi dell'opposizione con la Giunta ed il suo Presidente su una serie di problemi di fondo. Non vedo perché ora debbano sorgere contrasti sulla traduzione in pratica della decisione che abbiamo preso in Commissione di consegnare ai colleghi Consiglieri copia dei documenti sui quali abbiamo lavorato, senza costringerli a recarsi a consultarli in via Maria Vittoria 18. Davvero non riesco a intendere il senso delle argomentazioni addotte dal collega Dotti su una questione che non presentava alcuna difficoltà ai soluzione; tanto più in considerazione del fatto che in Commissione si sono spesso superati, con buona volontà da parte di tutti, ostacoli assai più seri pur di arrivare ad una linea di intesa per approdare a qualcosa di positivo.
Ieri mattina, abbiamo avuto la grossa sorpresa, di vedere che la relazione non era accompagnata da allegati: quando l'abbiamo fatto rilevare ci è stato risposto che i Consiglieri che lo desiderassero potevano andare a prendersi i documenti in via Maria Vittoria. Questo mi pare sia proprio un venir meno alla correttezza, nei rapporti non solo fra opposizione e maggioranza, ma all'interno delle Commissioni.
Ritengo perciò che la questione vada discussa a livello dei Capigruppo e mi auguro che la decisione sia di consegnarci per la prossima seduta anche la documentazione. Se così non ci dovesse essere, noi ci comporteremo in conseguenza.



PRESIDENTE

Su questo argomento, dopo l'intervento ora svolto, che è stato del tutto incidentale in quanto ha preso le mosse da una precisazione del Consigliere Dotti in rapporto alla mia dichiarazione che la discussione sul punto sesto dell'ordine del giorno è aggiornata alla seduta del 7 dicembre pregherei di non intervenire ulteriormente in sede di Consiglio, per non modificare quel che si è stabilito sul corso dei nostri lavori.
I Capigruppo sono già convocati per domani alle 15, e in quella sede potremo eventualmente esaminare anche questa questione, con la partecipazione, evidentemente, del Presidente della Commissione, che dovrà dare alcune delucidazioni.



DOTTI Augusto

Chiedo di essere convocato alla riunione dei Capigruppo, e preciso comunque che qualora i documenti venissero distribuiti darei immediatamente le dimissioni, senza neppure discutere la mia relazione.



PRESIDENTE

Senz'altro: ho già detto che la riunione si svolgerà domani alle 15 "con la partecipazione del Presidente della Commissione".



RASCHIO Luciano

L'affermazione che ha fatto ora il Consigliere Dotti, che se i documenti verranno distribuiti darà le dimissioni, è gravissima, e mi costringe ad intervenire. E' una presa di posizione che non ha giustificazioni. Qui non ci sono Consiglieri di seconda o terza categoria e nessuno di noi si è svestito dei suoi poteri per riversarli tutti su Dotti. Ogni Consigliere ha diritto di conoscere tutto, altro che essere ricattato con un'affermazione di questo genere! Mi permetto di sollevare anche una questione di carattere personale.



PRESIDENTE

Consigliere Raschio, la vorrei pregare di guardare alla questione con serenità. Non è che il Presidente della Commissione, Consigliere Dotti, si rifiuti di informare i Consiglieri: ha semplicemente precisato che i documenti sono a disposizione dei Consiglieri in via Maria Vittoria, alla sede della Commissione.
Questo discorso era già stato fatto ieri mattina, e io avevo già dato disposizioni perché si provvedesse alla copiatura degli allegati per poterli presentare. Oggi la questione è tornata in discussione e vi è un certo dissenso nell'interpretazione delle decisioni della Commissione: il Presidente Dotti dice che non era prevista la rappresentazione grafica in copia per ciascun Consigliere, ma che si era previsto invece di tenere i documenti allegati a disposizione per consultazione presso la sede della Commissione; il Consigliere Vecchione, invece, sostiene una tesi opposta.
Domani, nella riunione dei Capigruppo, esamineremo la divergenza e prenderemo le determinazioni del caso.



RASCHIO Luciano

D'accordo.



PRESIDENTE

Vi pregherei proprio di non dar seguito ad un intervento che è stato puramente incidentale, aperto su una comunicazione che il Presidente ha fatto di rinvio della discussione su un punto dell'ordine del giorno.



FONIO Mario

Signor Presidente, ritengo indispensabile intervenire, assicurando per che non porterò via che pochissimi minuti.
Secondo me, la questione non può essere risolta nell'ambito dei Capigruppo. E' stata formata a suo tempo una Commissione di indagine, che al termine dei suoi lavori ha licenziato una relazione conclusiva nell'ambito della quale ovviamente si sono conciliati diversi punti di vista, espressioni, frasi, giudizi, che è frutto, in sostanza, di un compromesso. Alcuni volevano addirittura che alla relazione fossero allegati tutti gli atti, perfino i verbali della Commissione, degli interrogatori, delle consultazioni. Alla fine si è deciso, come già qualcuno ha ricordato, unitariamente, di non allegare né gli atti della seduta dalla quale è scaturita la formazione di questa Commissione, né i verbali delle sedute della Commissione, in cui figuravano deposizioni di persone che erano intervenute, ma di ridurre la documentazione da distribuire a tre planimetrie, un esposto dei sindacati e poche altre carte.
Io non riesco a comprendere come potrebbero i Capigruppo decidere in merito a ciò che è stato convenuto, come compromesso, nell'ambito della Commissione per dare il via a quella relazione. Se essi decidessero un qualcosa su cui un qualsiasi membro della Commissione non fosse d'accordo questo commissario potrebbe sempre dire: in queste condizioni, io non avrei accettato l'impostazione che è stata data alla relazione.
L'unica soluzione accettabile, a mio avviso, è che ogni decisione sia rimandata alla Commissione stessa.



PRESIDENTE

Benissimo, allora rimettiamo il tutto alla Commissione, la quale deciderà cosa fare a proposito di questi documenti, se allegarli o no: in quel senso poi si provvederà.
Vorrei soltanto far presente che, continuando così, questa sera, per esaurire l'ordine del giorno, dovremo rimanere a discutere fino alle 23.



BESATE Piero

Niente in contrario da parte mia. Lei ha perfettamente ragione di assumere, in questa situazione, decisioni che le spettano come Presidente del Consiglio, ineccepibili anche a termini di Regolamento e di Statuto.
Per quanto riguarda la Commissione, è evidente che nel momento in cui ha consegnato la relazione al Presidente del Consiglio essa ha giudicato conclusi i propri lavori.



PRESIDENTE

La relazione è stata consegnata a me accompagnata da una lettera così concepita: "Le mando il testo.... Gli atti allegati sono a disposizione dei Consiglieri presso..."



BESATE Piero

Ah ecco! E' importante questa precisazione, ed è quindi utile il mio intervento che l'ha provocata.



PRESIDENTE

Ma questo l'avevo già detto ieri mattina! E' scoraggiante vedere che le mie parole, non solo quelle che ammoniscono alla puntualità, cadono nel vuoto.



BERTI Antonio

Se ha agito così, non è Dotti che prende l'iniziativa di dimettersi siamo noi a chiedergli di farlo, in quanto non ha il diritto di arrogarsi arbitrariamente certe decisioni.



BESATE Piero

Confermo punto per punto, senza nulla aggiungere o togliere, quanto il collega Fonio ha già esposto sulle decisioni prese in seno alla Commissione. L'accordo raggiunto era nel senso che alla relazione sarebbero stati allegati: uno stralcio del rapporto della Commissione antimafia del Parlamento, l'esposto dei sindacati, l'esposto di un cittadino di Bardonecchia e le tre planimetrie che raffigurano lo sviluppo edilizio della cittadina.
Ieri lo stesso Presidente Dotti, quando l'ho interpellato, mi ha confermato che gli allegati non erano stati consegnati per un contrattempo materiale, perché le copie erano ancora in preparazione presso l'Ufficio di Segreteria, e io mi sono determinato ad aspettare pazientemente. Adesso però ho udito affermazioni che contraddicono tali indicazioni: il Presidente dichiara di aver ricevuto una lettera nella quale si dice che la documentazione è disponibile per consultazione presso la Commissione, e il Consigliere Dotti minaccia addirittura drastiche decisioni qualora gli allegati vengano distribuiti. Il Consigliere Dotti è libero di prendere le decisioni che crede: la Commissione ha scelto una certa linea di condotta ed è a questa che ci si deve attenere. Non mi pare, comunque, che la conferenza dei Capigruppo possa decidere su questa materia in vece della Commissione.



PRESIDENTE

Abbiamo già deciso di rimandare tutto alla Commissione. Perch continuare a discorrere ripetendo le stesse cose? Il Presidente della Commissione convocherà la Commissione, che riesaminerà il da farsi alla luce di quanto è stato detto oggi nei vari interventi.



BESATE Piero

E' qui l'errore, signor Presidente: la Commissione ha già preso le sue decisioni.



BERTI Antonio

Visto che la questione si sta notevolmente ingrossando, non posso esimermi dall'esporre il mio punto di vista.
La Commissione, a conclusione dei suoi lavori, ha deliberato di inviare ai Consiglieri, oltre che la relazione, gli allegati che sono stati prima indicati. Il Consigliere Dotti non può decidere autonomamente, per un suo ghiribizzo, che "gli allegati sono a disposizione presso la Commissione".
Non c'è alcun motivo di riportare l'argomento all'esame della Commissione, che in merito ha già deciso, ma si deve puramente e semplicemente prendere atto di tale decisione ed attuarla provvedendo a distribuire gli allegati ai Consiglieri.



PRESIDENTE

Per poter prendere delle determinazioni, dovrò comunque prendere visione del verbale della seduta della Commissione.



RASCHIO Luciano

Comunque, signor Presidente, nella mia qualità di Consigliere ritengo di dover essere messo a conoscenza dei documenti al pari di qualunque altro. E' ovvio che se si tratta di documenti riservati, avrò la correttezza, la sensibilità, il senso di responsabilità di non divulgarli.
Pongo pertanto la questione in Consiglio Regionale dal punto di vista della mia dignità di Consigliere, indipendentemente dalle decisioni della Commissione.



PRESIDENTE

Allora, dovranno essermi dati in esame i verbali delle sedute tenute dalla Commissione: sulla base del loro contenuto mi riservo di prendere le mie decisioni. Allo stato attuale delle cose, il discorso resta fermo nei termini che ho indicato, cioè di una lettera nella quale mi si dice, in sostanza: questo è il testo dei documenti, i documenti sulla base dei quali è stato elaborato sono presso la sede della Segreteria.
Mi permetterei di sottolineare che quello di tenere i documenti a disposizione di chi vuole consultarli, anziché inviarli a tutti, è peraltro un sistema abbastanza comunemente seguito. Tutti sappiamo, per essere stati o Consiglieri comunali o Consiglieri provinciali, che in quei consessi si è soliti proporre le delibere rinviando, per tutti gli atti sulla base dei quali esse sono state elaborate, alla consultazione presso gli uffici di segreteria. Ciò non toglie che noi siamo liberi di determinarci diversamente, chiedendo l'acquisizione integrale dei testi.



RIVALTA Luigi

Io vorrei puntualizzare una questione di fondo già sollevata dal collega Fonio. La Commissione è addivenuta alla relazione presentata assumendo in rapporto ad essa un atteggiamento che, pur critico per alcuni aspetti, è complessivamente positivo, in quanto era stato concordato che la relazione fosse accompagnata da alcuni documenti che la Commissione aveva raccolto: se non ci fosse stata questa intesa, credo che molti dei Consiglieri membri della Commissione avrebbero richiesto un altro tipo di relazione. Quindi, vi è stretta connessione fra l'accettazione della relazione presentata, come tono e come contenuto, e il testo dei documenti che dovevano essere allegati: se avulsa dai documenti, la relazione andrebbe rifatta.



PRESIDENTE

Ha facoltà di parlare il Consigliere Vera.



VERA Fernando

Mi pare di aver capito, dalla dichiarazione conclusiva dell'avv.
Oberto, che la decisione se allegare o no questi documenti alla relazione venga avocata a sé dalla stessa Presidenza del Consiglio, anziché essere demandata, come in un primo momento sembrava dovesse essere, alla Commissione.
La Commissione, in effetti, ha già lungamente discusso su questo argomento, arrivando alla decisione, un po' controversa, che, devo dire ad onor del vero, era quella di allegare le dichiarazioni dei sindacati.
Questi documenti dei sindacati contengono indicazioni di nomi ed accuse che la Commissione non ha verificato. Da ciò lo scrupolo che ha mosso il Presidente della Commissione a prendere una così decisa posizione: egli ritiene sia giusto che i Consiglieri possano aver conoscenza diretta dei documenti, ma teme che l'allegarli alla relazione possa far considerare per ciò stesso recepiti come parte della relazione anche accuse avanzate dai sindacati che la Commissione non ha potuto controllare, per cui non sa se rispondano o meno al vero, e dare ad esse ampia pubblicità, perché sappiamo benissimo che i documenti che vengono diffusi in Consiglio diventano rapidamente di pubblico dominio.



RASCHIO Luciano

Ma c'è un segreto d'ufficio che nessuno di noi avrebbe la scorrettezza di violare.



VERA Fernando

A parte il fatto che, per la verità, i sindacati questi documenti li hanno già diffusi ampiamente, per cui sono sicuro che anche il collega che si lamentava poco fa di non conoscerli li conosce benissimo, perché li avrà ricevuti, come li hanno ricevuti tutti i Consiglieri che fanno parte di questo consesso.
Per questa ragione sono del parere che la soluzione di questo problema di estrema responsabilità e riservatezza, vada affidata non al giudizio della Commissione ma alla Presidenza del Consiglio, che può, soprattutto grazie alla profonda sensibilità giuridica che tutti riconosciamo al Presidente Oberto, valutare se veramente facciamo bene ad allegare questi testi, recependo, a mio giudizio, almeno parzialmente, delle accuse che non si sono potute comprovare da parte della Commissione, o non facciamo meglio a lasciarli presso la Commissione, a disposizione dei Consiglieri che li vogliano vedere, senza considerarli parte integrante della relazione



PRESIDENTE

Vorrei chiedere al Presidente della Commissione, Dotti, se, di fronte a questo dilagare di interventi, ha qualcosa da dire pubblicamente in Consiglio in ordine alle prese di posizione di vari Consiglieri e membri della Commissione.



DOTTI Augusto

Signor Presidente, quello che già avevo detto all'inizio e che è stato ripetuto dal Consigliere Vera risponde a perfetta verità: vorrei evitare che la Commissione, che ha lavorato per sei mesi mettendo insieme una relazione effettivamente obiettiva, fondata su risultanze concrete avallasse, allegando documenti come quelli dei sindacati di cui si sta parando, accuse in essi riferite che noi non ci siamo nemmeno posti il problema di verificare, pur essendocene serviti per orientarci nel nostro sopralluogo, anche per rimanere nel nostro ambito di indagine sugli abusi edilizi e sull'eventuale racket delle braccia. Non vorrei avallare, come ha detto il Consigliere Vera, con la distribuzione di questi documenti, un giudizio unanime del Consiglio che la Commissione non ha fatto il proprio dovere. Questi documenti dei sindacati fanno parte di un dossier esistente presso la Commissione antimafia a Roma, la quale si è occupata anche di Bardonecchia, che a me non risulta che sia stato distribuito e divulgato.
Noi, ripeto, siamo stati obiettivi, abbiamo cercato di interpretare tutti i documenti nel modo più giusto, e là dove non ci siamo posti neppure il problema di verificare certe affermazioni abbiamo ritenuto evidentemente che queste affermazioni lasciassero il tempo che trovavano, perché non spettava a noi andare ad indagare su un delitto, su dei "si dice". Se avessimo allegato e diffuso questi documenti, avremmo dato ad essi l'avallo di una veridicità che noi non ci siamo neanche posto il problema di verificare.



PRESIDENTE

Il problema è stato abbastanza ampiamente dibattuto E' indubbio che abbia caratteri di una certa delicatezza. Mi è parso di capire che nei documenti si fanno dei nomi, per cui la loro acquisizione in allegato oltre tutto ci imporrebbe di valutare l'opportunità di un dibattito in seduta segreta anziché pubblica. Mi lascino pertanto meditare sulla decisione da prendere, dopo aver avuto ulteriori contatti.



FONIO Mario

Lei si propone, quindi, di giudicare sulla base del verbale dell'ultima seduta della Commissione. Ma questo non è stato ancora approvato, e pertanto la Commissione dovrà riunirsi almeno per decidere su tale approvazione.



PRESIDENTE

Io non penso di giudicare su nessun verbale.



FONIO Mario

Mi pare che stiamo facendo una tempesta in un bicchier d'acqua, perch poi, in sostanza, in quella documentazione non c'è nulla di sensazionale questa è la grande verità.
Comunque, formalmente la situazione è questa: la Presidenza si riserva di giudicare, secondo la proposta, sulla base del verbale dell'ultima seduta della Commissione. Ora, ovviamente, per essere valido, visto che ci sono divergenze di interpretazione, il verbale della Commissione dev'essere approvato dagli stessi commissari. La mia proposta, di far tornare la questione in Commissione, mi sembrava la più logica. Perché se non ci dovessimo trovare d'accordo sull'interpretazione di quello che è stato deciso nell'ultima seduta - e non so nemmeno cosa sia scritto in quel verbale, perché il testo non ci è stato ancora sottoposto per l'approvazione -, come potrebbe lei formalmente giudicare sulla base di quel verbale?



PRESIDENTE

Consigliere Fonio, se mi verrà consegnato un verbale che non rechi le debite firme dirò che quello non è valido, e quindi non mi baserò su di esso per giudicare.
Io direi, quindi: si riunisca la Commissione, anche ai fini dell'approvazione di questo verbale, per metterci in condizioni di prendere ulteriori decisioni. Mi sembra il solo modo per risolvere questo impasse che ha già sottratto troppo tempo ai lavori programmati per oggi.



RIVALTA Luigi

Tutti i commissari hanno ammesso che gli allegati vanno uniti alla relazione.



MINUCCI Adalberto

Signor Presidente, faccio rilevare che anche l'avvocato d'ufficio del Presidente della Commissione, cioè il Consigliere Vera, ha riconosciuto che la Commissione aveva deciso di allegare alla relazione gli allegati. Tutti dunque, hanno concordato che la decisione della Commissione è stata questa.
Non essendoci alcuna controindicazione, non vedo neppure che bisogno ci sia di consultare i verbali. E' questo il punto.



PRESIDENTE

Però, il Presidente della Commissione si è espresso in termini diversi e forse non è il solo a pensarla così.



MINUCCI Adalberto

Il Presidente della Commissione non ha tuttavia negato che la decisione presa sia stata in questo senso.



PRESIDENTE

Per poter risolvere questo nodo a ragion veduta devo avere il documento. Pertanto, se il verbale è stato approvato, si provveda a trasmettermelo; in caso contrario la Commissione si riunisca, lo approvi me lo mandi e io prenderò le mie determinazioni. E' la sola maniera per uscire da questo vicolo cieco.



BESATE Piero

Dal verbale di questa seduta risulterà comunque che Besate, Vera eccetera hanno approvato la relazione con l'intesa della presentazione in allegato dei documenti da me prima indicati.



PRESIDENTE

Ma il verbale è già stato approvato?



MINUCCI Adalberto

Besate ha inteso dire che dal verbale di questa seduta del Consiglio emergerà chiaro che tutti i Consiglieri che hanno fatto parte della Commissione hanno dichiarato che determinati documenti dovevano essere allegati.



PRESIDENTE

Si tratta di una dichiarazione fatta qui. Il Presidente della Commissione però non ha detto questo, almeno fino a questo momento. A me deve essere consegnato un documento che specifichi la volontà della Commissione nel momento in cui ha preso una data determinazione. Quindi agli atti dev'essere unito il verbale di quella riunione della Commissione.



BERTI Antonio

Certo che la cosa più grave sarebbero le dimissioni di Dotti.



DOTTI Augusto

Evidentemente, ci troviamo di fronte ad un malinteso in fatto di interpretazione. Dicendo che i documenti sono a disposizione presso la Segreteria, non si nega evidentemente in assoluto che questi possano essere allegati: sono conservati lì, in quella sede, a disposizione, e sarà il Consiglio a decidere se debbono essere distribuiti. Mi pare che si potrebbe trovare una formula soddisfacente per tutti.



RASCHIO Luciano

Conservati sotto sale, come il baccalà. E' cosa veramente degna per paese sottosviluppato! Ci si comporta come se qui ci fosse una massa di gente che non sa valutare l'importanza e la delicatezza dei documenti.



PRESIDENTE

Per concludere, attendo di ricevere dal Presidente della Commissione il verbale, subito se già approvato, altrimenti non appena ne sia avvenuta l'approvazione. Dopo di che si prenderanno le determinazioni del caso.
Visto che la piccola tempesta si è placata, possiamo procedere oltre riprendendo il discorso interrotto.
Nemmeno l'esame della proposta di legge n. 8: "Iniziativa legislativa popolare e degli enti locali e referendum abrogativo e consultivo" pu essere effettuato oggi, e non lo sarà neppure nella seduta di giovedì 7 dicembre, perché quel giorno sarà assente il Consigliere Zanone, che ne è relatore.
Questa sera, una volta terminata la discussione del Programma economico nazionale 71-'75, passeremo all'esame dei disegni di legge n. 63 e n. 64 in modo da poter produrre qualcosa di concreto in termini legislativi in questa seduta.
Informo anche che, avendo consultato i Capigruppo, prevedo che il Consiglio sia convocato, oltre che nella giornata del 7 dicembre, per i giorni 13 e 14, anche in relazione al fatto che questa sala sarà poi occupata per alcuni giorni consecutivi dai titolari primari del diritto di usarla, che sono i Consiglieri provinciali di Torino.



GARABELLO Enzo

In rapporto alle sue comunicazioni sono costretto a far presente ancora una volta che per il giorno 13 dicembre abbiamo un fitto programma di consultazioni come I Commissione. Abbiamo già avuto non poche spiacevoli complicazioni per la seduta di ieri: non vorrei che la cosa si ripetesse troppo di frequente.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Faccio presente a mia volta al Presidente del Consiglio che il giorno 13 alcuni di noi saranno impegnati in un convegno politico-economico della Democrazia Cristiana a Perugina. La pregherei pertanto, se possibile, di scartare tale giorno.



PRESIDENTE

Potremmo allora fissare il 14 mattino e pomeriggio e il 15 il mattino soltanto, dato che per quel pomeriggio anch'io ho degli impegni.



BERTI Antonio

Se lei ha impegni può presiedere il Vicepresidente.



PRESIDENTE

Indubbiamente, però occorre che ci sia, e non sempre è così: oggi non c'è, come non c'era in una precedente seduta.



BERTI Antonio

Quel giorno ci sarà. Non vorremmo che per suoi impedimenti i lavori del Consiglio non potessero procedere con la rapidità che lei stesso ha sempre auspicato.



PRESIDENTE

La prego, Consigliere Berti, di tener conto che ho sempre pagato di persona, essendo qui puntuale sempre almeno un quarto d'ora prima dell'inizio dei lavori, disposto a rimanere presente anche fino a mezzanotte, come forse occorrerà questa sera. Molti addebiti mi potranno essere mossi, ma certamente non quello di non aver fin qui pagato squisitamente di persona.



BERTI Antonio

Non la prenda su questo tono. Ho voluto soltanto dire che se sarà necessario tenere seduta anche il pomeriggio del 15 lo si potrà fare, in sua assenza, con la presidenza del Vicepresidente Sanlorenzo.



PRESIDENTE

Come, d'altronde, è già avvenuto.
Il Consiglio sarà pertanto convocato per i giorni 14 e 15 dicembre: fin d'ora preciso che per la mattinata del 15 sarò disponibile; qualora i lavori dovessero continuare nel pomeriggio, presiederà il Vicepresidente.


Argomento: Programmazione: argomenti non sopra specificati

Programma economico nazionale 1971/1975


PRESIDENTE

La parola al Consigliere Conti.



CONTI Domenico

Signor Presidente, signori Consiglieri, condivido in gran parte il giudizio politico contenuto nel documento presentato dalla Giunta intorno al programma economico 1971-75, perché concordo sulla concezione dello sviluppo complessivo del nostro Paese mediante la programmazione industriale e mediante le riforme. Approvo anche le dichiarazioni fatte questa mattina dal nostro Assessore al bilancio e alla programmazione e auspico che alla Regione Piemonte la volontà politica onnidirezionale risulti effettiva, affinché si operi nel senso del documento presentato dalla Giunta. Spero che la risposta che il Presidente della Giunta darà agli interventi che si sono effettuati e si effettueranno in questo Consiglio consideri anche il parere che la III Commissione ha elaborato sul suddetto documento nazionale. Infatti la decisione di sentire soltanto la I Commissione ci aveva lasciati perplessi, in quanto anche le altre Commissioni hanno una competenza per gruppi di materie e il loro parere deve poter concorrere alla formazione del parere del Consiglio Regionale nel suo complesso.
Nel mio intervento non mi riferirò tanto al documento della Giunta, che in larga parte condivido soprattutto per rapporto all'indirizzo politico che esprime. Mi permetterò invece di aggiungere qualche considerazione alle osservazioni già espresse in seno alla III Commissione in rapporto al programma nazionale.
Una prima osservazione di fondo è che il documento nazionale rappresenta uno sforzo notevole per programmare lo sviluppo globale del nostro Paese e non soltanto il suo sviluppo economico.
Tuttavia, nella sua effettualità il documento ha assai più l'aspetto di un'antologia di materie da programmare che non quella di un documento di programmazione. A comprova, basti osservare che nel documento nazionale mancano le interrelazioni fra gli obiettivi della programmazione e le azioni programmatiche, così come nel quadro di ogni azione programmatica mancano le indicazioni necessarie per le suddette correlazioni.
Una seconda osservazione è che nel documento nazionale vi è carenza di indicazioni relative agli strumenti e alle metodologie di piano. Per esempio, mancano indicazioni circa il rinnovamento dell'assetto istituzionale affinché si possa effettivamente giungere a una politica di piano. Tra l'altro non si precisa il riordino dei Ministeri, riordino che a mio avviso - costituisce uno strumento indispensabile per camminare nella direzione di una programmazione. Così mancano anche indicazioni sufficienti per quel che si riferisce alle procedure di piano. A questo proposito basti considerare i pareri delle Commissioni generali organizzate nell'ambito della programmazione e segnatamente il parere della Commissione per la programmazione del settore pubblico, parere a cui rinvio, per brevità.
Da parte mia vorrei sottolineare un aspetto fondamentale della carenza di strumentazione destinata a porre in essere una effettiva azione programmatoria: il problema delle informazioni e delle comunicazioni.
L'informazione è trattata nel documento nazionale come parte di un'azione programmatica, quella relativa alla cultura a e al tempo libero.
L'informazione non è invece trattata come fattore fondamentale per tutta l'azione programmatoria.
L'organizzazione di base del sistema d'informazione e di comunicazione è il primo passo - indispensabile - verso l'impostazione e il governo di un sistema di sviluppo che, per giunta, si viene sempre più complessificando.
Da osservarsi che l'informazione non è soltanto un procedimento inteso a trasmettere fotografie della realtà, ma è in primo luogo il risultato dello sforzo per interpretarla e governarla.
Connesso con il problema dell'informazione è quello delle comunicazioni. Se si va a verificare lo stato attuale del sistema di comunicazione tra i vari organi pubblici e tra di essi il resto del Paese non è difficile rilevare l'esistenza di carenze, di strozzature, di dispersioni, d'incongruenze, d'incompatibilità, tali da vanificare qualsiasi azione programmatoria. Le comunicazioni costituendo il sistema nervoso di tutto quello che riguarda la programmazione, avrebbero meritato un ben altro rilievo ed una visione organica appunto come strumenti essenziali per l'azione programmatoria.
Dopo queste considerazioni di ordine generale, vorrei toccare alcuni punti in particolare. Intanto il problema dell'occupazione. L'obiettivo del livello occupazionale, fissato come ipotesi dal documento nazionale intorno al 36 per cento, e senz'altro inaccettabile per ragioni sostanziali.
Accettare questo obiettivo significa prima di tutto riconoscere che la disoccupazione nel nostro Paese non è un fatto congiunturale, dovuto a eventuali trasformazioni tecnologiche, ma un fatto strutturale. Non si pu accettare che un documento di programmazione si proponga come obiettivo di confermare la disoccupazione come un fattore strutturale. Tra l'altro l'ipotesi del 36 per cento aumenta il grado d'incompatibilità tra la nostra economia e le altre economie europee, le quali hanno un tasso d'occupazione notevolmente superiore (il che è facilmente rilevabile da un confronto dei dati riportati da pubblicazioni specializzate). L'obiettivo prefissato si traduce - in ultima analisi - in incremento della disoccupazione, che favorirà una più massiccia emigrazione. La previsione che intorno al 1980 si arriverà in Italia ai quattro milioni di disoccupati potrebbe perci risultare fondata.
L'obiettivo del 36 per cento potrebbe essere accettato come la semplice risultanza di tendenze spontanee, ma non può essere accettato come obiettivo di programmazione la quale programmazione non ha senso se in definitiva tende a confermare la disoccupazione come fenomeno strutturale.
In materia d'occupazione e di problemi del lavoro ci sarebbero molte altre cose da osservare: alcune sono già espresse nel parere della III Commissione, parere condiviso da tutti i suoi membri. Ad esempio occorre ribadire la necessità di riformare tutto il collocamento. Attualmente il collocamento opera come un mero processo burocratico ed è la dimostrazione di una "non politica" del lavoro. Basti considerare che all'Ufficio di Collocamento nessuno si rivolge per cambiare occupazione e pochissimi vi si rivolgono per trovare occupazione. L'attuale sistema di collocamento non è assolutamente in grado di determinare l'incontro e la compensazione fra la domanda e l'offerta di lavoro, anche se tale incontro e tale compensazione di per sé potrebbero costituire una semplice razionalizzazione dell'attuale sistema del mercato del lavoro e non ancora un'azione intesa a modificare tale sistema.
Per passare da una politica subalterna del lavoro ad una politica attiva del lavoro occorrerebbe poi collegare il collocamento con altri interventi di programmazione, da un lato con un adeguato sistema di formazione professionale e dall'altro con le efficaci azioni programmatorie relative agli insediamenti lavorativi e ai posti di lavoro.
Nei documento nazionale mancano pressoché completamente indicazioni relative ai provvedimenti a sostegno dei redditi di lavoro considerati nel quadro della programmazione economica e sociale e dotati di specifiche funzioni in ordine allo sviluppo programmato.
I provvedimenti di cui disponiamo attualmente spesso si sovrappongono e anziché operare in appoggio ad una autentica politica di sviluppo economico e sociale si configurano come soccorsi meramente assistenziali che oltre a favorire la disoccupazione portano alla frustrazione di energie operative e di capacità professionali. A questo proposito mi permetto di rinviare all'attuale funzione della Cassa integrazioni guadagni.
Il documento nazionale è insomma gravemente carente rispetto alla capacità di determinare il passaggio da una non politica del lavoro o di una politica del lavoro subalterna che logora la forza lavoro, che ne favorisce l'obsolescenza e l'immobilità soprattutto professionale senza minimamente operare nel senso della modifica della domanda di lavoro, il che costituisce la condizione essenziale per qualificare come "attiva" qualsivoglia politica del lavoro.
Per ciò che riguarda i processi formativi, che dovrebbero essere uno dei fattori essenziali per concretare e appoggiare una politica attiva del lavoro, già sono state fatte osservazioni, che qui non ripeto dato che si possono trovare nel documento della III Commissione. Sento però di dover insistere su di un punto: la necessità di interrelare profondamente i processi formativi scolastici con quelli di formazione professionale, che sono i due tipi di processi formativi istituzionalizzati, e la necessità di organizzare in un sistema unitario tutti i processi di formazione professionale sia per quanto attiene alle competenze nazionali che per quelle regionali.
Invece, il documento ci propone ancora azioni formative nell'ambito di diversi Ministeri. Per es., il Ministero della Sanità per le professioni paramediche e dell'assistenza sociale. La formazione professionale deve operarsi come processo unitario, proprio per poter contare e pesare in ordine ad una evoluzione della organizzazione del lavoro, a una valorizzazione della forza lavoro, e a una sua conveniente utilizzazione.
E' vero che si danno tecniche diverse, contenuti diversi a seconda che si tratti di una formazione professionale fatta per un settore piuttosto che per un altro, ma ci sono aspetti e funzioni fondamentali e comuni (sociali politici, pedagogici e didattici, ad esempio) che non possono essere considerati se non unitariamente. E' pure necessario che si determinino le osmosi, gli scambi tra settore e settore, proprio per favorire in ogni caso la mobilità professionale.
Per l'assistenza e la sicurezza sociale, è assolutamente inaccettabile che i relativi processi di formazione professionale, vengano comprese nell'ambito della sanità. E' piuttosto la sanità che andrebbe compresa in una visione organica dei servizi sociali. L'elemento dinamizzante dell'intervento sociale non è infatti la "sanità" ma la "promozione sociale" e lo "sviluppo sociale" del quale la sanità rappresenta una componente. Naturalmente occorrerebbe che questa volontà di coordinare in una sintesi accettabile i processi formativi, determinasse strumenti adeguati sul piano istituzionale: sia a livello dei poteri centrali, sia a livello dei poteri regionali.
Prima di concludere debbo tuttavia osservare che il documento della Giunta relativo alla programmazione non esamina l'intera realtà programmatoria in ordine ad una visione organica delle competenze regionali nei vari settori.
Il documento nazionale parla spesso delle Regioni in rapporto a questa o a quell'azione programmatica, ma il discorso che propone non è omogeneo né coerente e non chiarisce a sufficienza qual è il ruolo delle Regioni per rapporto all'intera programmazione anzi, detto documento risulta spesso non rispettoso dei pareri che le Regioni hanno a suo tempo espresso in materia di trasferimenti di funzioni e in materia di ristrutturazione dei Ministeri.
E' invece necessaria una verifica globale e puntuale settore per settore, azione per azione, al fine di addivenire ad una indicazione di base indispensabile per riformulare i ruoli delle Regioni nell'ambito della programmazione in generale e della programmazione settoriale.
Concludendo, mi auguro che sia possibile tornare, con urgenza, su questo argomento affinché si giunga ad una programmazione nazionale che trovi davvero nelle Regioni validi e decisivi interlocutori capaci di tradurre sul piano locale concezione e politiche programmatorie che mentre corrispondono più adeguatamente alle esigenze delle rispettive comunità siano in grado di aiutare le rispettive comunità regionali ad operare per una crescita globale ed equilibrata da tutto il Paese.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Simonelli, ne ha facoltà.



SIMONELLI Claudio

Signor Presidente, colleghi, io credo che il documento che la Giunta ci ha presentato, relativo al parere da esprimere sul Piano economico nazionale, meriti un'attenta considerazione, e dirò subito che per parte nostra merita il consenso su una larga serie di enunciazioni (basti citare il discorso sulla necessità d'impostare una strategia di sviluppo alternativo, oppure la giusta considerazione che la mancanza di gradualità e di programmazione dell'azione rivendicativa degli anni passati non pu essere imputata, se non astrattamente, al sindacato, mentre gli addebiti vanno più correttamente rivolti alla linea generale in cui anche il sindacato inserisce la sua azione; o, ancora, l'affermazione che la contrattazione programmata si è per lo più ridotta ad una presa d'atto da parte degli organi pubblici di autonome decisioni delle imprese, che pertanto è necessario rafforzare la capacità d'azione imprenditoriale pubblica e quindi il potere contrattuale degli organi del Piano; o l'attribuzione all'impresa pubblica di un ruolo di centro motore nella politica di piano. Analogo consenso merita il documento quando, prendendo atto degli elementi che hanno concorso a determinare il fallimento della politica di piano nel nostro Paese, segnala in primo luogo la mancanza delle riforme, in modo preciso e specifico di quella urbanistica, e sottolinea pertanto la necessità di dotare la programmazione di strumenti più incisivi, e in particolare di strumenti normativi, per guidare le scelte di localizzazione industriale).
Ho citato soltanto una parte delle considerazioni contenute nella relazione della Giunta e delle quali prendiamo atto con soddisfazione, e francamente anche con una certa sorpresa, giacché una politica che coerentemente dovesse far scaturire da questa diagnosi l'indicazione di una linea politica interpretata e strumentata in modo corretto e coerente dovrebbe condurre ad una politica di programmazione certamente più vincolante di quella tentata nel nostro Paese negli anni passati, ad una linea di politica economica cioè che, come dirò più avanti, è decisamente in contrasto con quella che le stesse forze politiche che compongono questa Giunta e questa maggioranza stanno invece portando avanti nel governo del Paese.
E' anche corretto, nella relazione della Giunta, ricavare il giudizio sul Piano da una valutazione del quadro dello sviluppo economico nel decennio '51/61 e negli anni successivi, gli anni cioè che sono stati considerati con formula felice quanto non appropriata, "gli anni del miracolo", quelli nei quali l'economia italiana era riuscita a realizzare contemporaneamente tre cose: la stabilità sostanziale dei prezzi (fermi quelli all'ingrosso e crescenti moderatamente quelli al consumo); un elevato livello di accumulazione, che ha consentito agli investimenti lordi di raggiungere talora il 25 per cento del reddito nazionale lordo; un cospicuo avanzo nella bilancia dei pagamenti. Risultati ai quali si è pervenuti, come lo stesso documento della Giunta ricorda, soprattutto per una duplice spinta: quella che esercitavano le esportazioni da un lato e quella che consentiva l'andamento dei salari dall'altro. Lo sviluppo economico italiano è stato, negli anni '50, trainato dalle aziende più efficienti del Paese, quelle che hanno saputo acquistare la maggiore apertura nei riguardi dei mercati esteri, ma è stato contemporaneamente finanziato dai sacrifici pesanti imposti alla classe lavoratrice. E ci sono dei dati, su questo punto, inoppugnabili: nel 1951 la quota di reddito da lavoro sul valore aggiunto nell'industria era pari al 61 per cento, nel 1961 era pari solo al 56,3 per cento. E la quota del lavoro sul totale del valore aggiunto nell'industria risulterebbe ancora più bassa se si tenesse conto che negli anni tra il '51 e il '61 c'è stato un elevato spostamento di manodopera dai settori del lavoro così detto indipendente ai settori del lavoro dipendente; e in particolare che il lavoro dipendente ha assorbito negli anni tra il '51 e il '60 qualcosa come un milione e 300.000 dipendenti che erano in precedenza classificati come lavoratori autonomi.
Indagini compiute al riguardo hanno cercato anche di quantificare questa quota dei redditi da lavoro, che sarebbe dovuta non ad un aumento dei redditi da lavoro stessi, ma ad un aumento degli occupati nel lavoro dipendente, e l'hanno calcolata nella proporzione dei due quinti del totale, sempre con riferimento agli anni tra il '50 ed il '60.
Questi dati evidenziano tutto ciò che in questo "miracolo" in realtà non andava, e che ha portato poi a quei nodi che abbiamo di volta in volta affrontato, il primo nel '63 e il secondo nel '69/70. Ma io vorrei, prima di arrivare a questo, soffermarmi un attimo ancora sugli anni del boom, nei quali la forte crescita delle esportazioni, se è vero che ha consentito alle aziende più efficienti di avere elevati margini di profitto e di migliorare anche la loro efficienza e la loro competitività sul mercato internazionale, non ha però consentito di rafforzare in modo generale le strutture produttive del Paese, ed anzi, ha allargato il fosso che separava la parte industriale più evoluta dal comparto delle imprese più arretrate.
Così anche il dato sugli investimenti che ci sono stati in questi anni, e che pure, se preso nella sua globalità testimonia un notevole sforzo, se viene invece disaggregato ci conduce a risultati che sono molto meno rassicuranti. E basti soffermarci su un dato soltanto: l'espansione edilizia, l'influenza che ha avuto, anche nel concorrere a determinare il livello d'investimenti nella costruzione di case, nelle opere di edilizia residenziale che in realtà la nostra contabilità considera investimenti. Se esaminiamo con attenzione i dati, ci accorgiamo che proprio lo sviluppo dell'attività edilizia ha concorso largamente ad inflazionare tutti i valori delle statistiche aggregate, tanto sullo sviluppo del reddito quanto sullo sviluppo degli investimenti. Io credo che non si capisce il "miracolo economico", non se ne valuta appieno la fragilità e la precarietà, se non si tiene conto della larga componente che l'attività edilizia ha rappresentato.
L'investimento nel settore edilizio non a caso ha superato in volume tutte le previsioni contenute nei documenti programmatici; già il rapporto Saraceno constatava come lo sviluppo edilizio italiano fosse in contrasto con il raggiungimento di altri e più fondamentali obiettivi, tanto più se si considera il modello di questa crescita, che si è imperniata sulla produzione di case che non rispondevano alla domanda che di volta in volta emergeva dai potenziali utenti, giacché si sono costruite case per lo più destinate al reddito alto e medio-alto, al di fuori quindi della portata delle famiglie di lavoratori dipendenti, che sono poi quelle che rappresentano la più larga fetta della domanda inevasa. Per inciso, ricordo che nel periodo del Piano di sviluppo '66/70 sono stati investiti nell'edilizia privata per abitazioni, cioè in una componente che la contabilità nazionale considera "investimenti sociali", 12.315 miliardi contro 9.125 previsti dal piano. E non a caso, mentre il Piano prevedeva investimenti sociali di un certo tipo, soprattutto nei settori della sanità, dell'assistenza, delle infrastrutture scolastiche, questi obiettivi non si sono realizzati, mentre nel settore dell'edilizia residenziale, che solo in virtù di una convenzione contabile viene considerata investimento sociale, gli obiettivi del Piano sono stati superati di ben 3.190 miliardi: il che vuol dire, in altri termini, che il sistema bancario, le società assicurative, gli enti previdenziali hanno staccato una fetta consistente di risorse destinandole a questi investimenti, e non ad investimenti di altro tipo di cui il sistema aveva più bisogno e per i quali erano state messe in evidenza esigenze più assillanti. Quindi è al settore edilizio e al suo modo di crescere, anche attraverso la forza e la capacità che esso ha avuto di trovare ogni genere di connivenza, a tutti i livelli, che si deve guardare per capire una buona parte dei problemi che si agitano ancora oggi e che sono presenti anche in questa fase congiunturale; anche perch nel settore edilizio si sono confusi profitti e rendite in modo inestricabile. E anche discorsi che oggi sentiamo fare sulla necessità di colpire le rendite e di guardare con occhio diverso il profitto imprenditoriale, rischiano di essere delle pure velleità, delle parole senza senso, se non ci rendiamo conto che dal settore edilizio e dai legami che esso ha nascono, strettamente confusi e difficilmente separabili profitto e rendita (tra l'altro, attraverso un meccanismo di crescita che ha fatto saltare le finanze comunali, che ha inciso sui costi dei trasporti e sui costi di distribuzione e, più in generale, sul modello di sviluppo delle nostre città).
Giustamente quindi si sottolinea che la mancanza della riforma urbanistica ha pesato in modo particolarmente negativo sulla capacità del sistema di superare le crisi; però, fatta questa dichiarazione, dobbiamo anche fare una valutazione delle forze, degli interessi che si sono opposti e che si oppongono a questo tipo di riforme: riforme che, evidentemente non provocano dei contrasti per motivi ideologici, ma per il peso degli interessi toccati, e quindi degli equilibri che rischiano di essere pregiudicati.
Ecco che il discorso deve essere portato più avanti, soprattutto quando ci rendiamo conto che, entrato in crisi agli inizi degli anni '60 il modello di sviluppo che si è chiamato del "miracolo", abbiamo visto riaffacciarsi i rischi dell'inflazione e della depressione a partire dagli anni '62/63. Il Piano '66/70 avrebbe dovuto essere, almeno nelle intenzioni della parte più illuminata della classe politica del Paese, lo strumento per innescare un processo di sviluppo diverso rispetto a quello che era entrato pesantemente in crisi all'inizio degli anni '60. Ma i risultati a consuntivo del primo Piano sono ben diversi, dimostrano che gli obiettivi non sono stati realizzati, che tutti gl'investimenti sociali sono stati largamente al di sotto degli impegni assunti, se si escludono l'edilizia le bonifiche e le telecomunicazioni.
L'apporto fornito dal bilancio pubblico alla domanda globale ha proceduto completamente distaccato da ogni ipotesi di piano; la domanda pubblica di beni e servizi è stata inferiore alle cifre previste per circa duemila miliardi, e anche i consumi pubblici, sui quali si è tanto insistito come componente di un processo inflazionistico, sono aumentati in misura che non appare, almeno fino al '70, eccessiva; anzi, se consideriamo il loro valore a prezzi costanti, ossia a prezzi riferiti al valore del 1963, ci accorgiamo che la media annuale dei consumi pubblici '66/70 è inferiore alla media annuale degli anni '61/65; se noi li consideriamo a prezzi costanti almeno fino al '70, anno che ha rappresentato un momento di rottura, non c'è stata crescita neppure dei consumi pubblici.
Il valore aggiunto per addetto nel Mezzogiorno, che era nel '65 il 78 per cento della media nazionale e che, secondo il Piano, avrebbe dovuto diventare cinque anni dopo l'85 per cento, scendeva invece al 76 per cento ossia, ci trovammo nel '70, alla fine del primo Piano, con un valore aggiunto per addetto nel Mezzogiorno inferiore, in proporzione, a quello dell'anno di partenza, il 1965.
Possiamo dire, insomma, che il piano è fallito più pesantemente là dove vi dovevano essere gli impegni maggiori e dove il loro perseguimento dipendeva dalle scelte e dai comportamenti dell'operatore pubblico, dove dipendeva da volontà politiche precise, da comportamenti conseguenti della pubblica amministrazione e dell'azienda pubblica.
Nell'insieme, ancora una volta, il sostegno della domanda globale anche negli anni del Piano, è venuto dall'andamento delle esportazioni cosa che è stata rimarcata sia da studiosi italiani che in sede OCSE: si è rilevato infatti come sia stata perduta in questi anni l'occasione di stimolare adeguatamente la domanda interna, il che tra l'altro non ha consentito di raggiungere neppure tutti gli obiettivi d'occupazione che si sarebbero potuti raggiungere. Mentre la mano pubblica non ha fatto la parte che le competeva negli anni del Piano, l'imprenditore privato, in assenza di capacità e volontà pianificatorie, ha ripreso a investire, ma molto meno che negli anni del "miracolo". Soprattutto negli anni tra il '65 ed il '70 ha proceduto ad un processo intenso di razionalizzazione, d'una razionalizzazione - possiamo dire - senza investimenti, o quanto meno con scarsi investimenti, che ha certamente ampliato i margini di profitto, che ha certamente consentito di ricuperare la competitività sui mercati internazionali, ma a prezzo di un inasprimento dei ritmi di lavoro e in generale, delle condizioni di vita nella fabbrica. Nello stesso tempo non venivano realizzate le riforme all'esterno della fabbrica, sulle quali veniva prendendo posizione sempre più responsabile il movimento sindacale sotto una forte spinta unitaria. Il peggioramento delle condizioni dei lavoratori, aggravato dalle mancate riforme, ha generato quel cumulo di domande insoddisfatte, quelle tensioni che hanno poi portato all'autunno caldo del '69.
Le riforme che sono mancate in questi anni avrebbero dovuto rappresentare la strumentazione del Piano; su questo terreno ci dobbiamo dare tutti carico del fallimento della politica riformatrice (e credo che i partiti della sinistra lo stiano facendo e certo lo facciamo noi socialisti, che abbiamo avuto responsabilità importanti di governo in questi anni).
Dobbiamo meditare e approfondire le ragioni di questo fallimento nonostante la presenza all'interno dello schieramento di governo - che pure aveva le riforme scritte sulla sua bandiera -, di una forza di sinistra, e nonostante la pressione esercitata da tutto lo schieramento di sinistra, e soprattutto da tutto il movimento dei lavoratori. In realtà le forze riformatrici, prive di adeguati strumenti d'intervento, hanno finito per ridurre la loro azione ad una scommessa sulla possibilità d'indirizzare diversamente i meccanismi del sistema economico, col risultato - forse facilmente prevedibile - di veder cadere, proprio sul tema della programmazione e delle riforme, non soltanto un Governo, ma un ambizioso disegno politico.
Gli strumenti d'intervento del Piano, in fondo, senza le riforme si sarebbero ridotti a ben poca cosa; lo strumento fiscale ha sempre presentato una scarsissima manovrabilità, ed il suo impiego disordinato ha consentito di usarlo in modo ancora minore di quanto si sarebbe potuto; lo strumento monetario, l'unico a cui si è fatto ricorso - come si osservava in un recente rapporto ufficiale - è perfettamente regolato dagli interventi dell'autorità, però quando si scende a livello delle "altre amministrazioni pubbliche cui è affidato il funzionamento degli strumenti della politica economica..., sono tuttora in vigore le procedure e le tecniche d'intervento di un secolo fa, senza che coloro i quali quotidianamente le utilizzano ne avvertono l'anacronismo e l'inefficacia" (Izzo, Pedone, Spaventa, Volpi): "Il controllo dell'economia nel breve termine".
Dove mi sembra che il documento della Giunta incominci a presentare una crepa importante è proprio qui: quando si fa questo discorso, si riconosce che la mancata attuazione delle riforme ha rappresentato un momento determinante nel fallimento della politica di Piano, si prende atto che senza queste riforme il Piano non avrebbe avuto, come non ha avuto in effetti, nessuna possibilità di realizzarsi, e poi non si traggono da queste premesse le conseguenze che inesorabilmente il documento della Giunta sostiene di proposito che "le fondamentali carenze che hanno pesato in questi anni, prescindendo dal quadro politico, riguardano la mancata definizione delle procedure e degli strumenti della programmazione". E' qui che non siamo d'accordo, signor Presidente. Io non credo che si possa mai prescindere dal quadro politico, e se mai l'esperienza di questi ultimi tempi dimostra che nel nostro Paese per valutare correttamente quanto è successo alla politica di programmazione, è indispensabile ricorrere ad una analisi del quadro politico. Proprio su questi temi, sui quali non è più possibile giocare con l'alibi della tecnica, con l'alibi degli interventi neutrali, con l'alibi delle misure che sarebbero soltanto frutto di scelte tecnicamente ineccepibili - recentemente un economista a noi vicino, Paolo Sylos Labini, ci ricordava che "il programma economico costituisce, sia nella fase di elaborazione, sia nella fase d'attuazione, un terreno di lotte politiche. Possono prevalere gli uni o gli altri, la destra, che tende, nei fatti, a preservare i privilegi esistenti e mira a minimizzare i mutamenti, o la sinistra che tende ai fini opposti." (P. Sylos Labini "Gli obiettivi di lungo periodo della politica economica in Italia"). Credo sia difficile non concordare con questa valutazione e non tirarne tutte le conseguenze.
In questi giorni (lo richiama il Capogruppo socialista, compagno Nesi nell'articolo di fondo sull'"Avanti" di stamattina) assistiamo ad una curiosa presa di coscienza di questi fenomeni da parte di alcuni osservatori attenti - ed importanti - della situazione economica del nostra Paese. Il collega Nesi ricorda nel suo articolo le prese di posizione recenti del Presidente della Fiat, del Governatore della Banca d'Italia e dell'amministratore delegato del Banco di Roma, tutti interlocutori importanti, i quali in un modo o nell'altro pongono tutti l'accento sulla grave situazione che si è venuta a determinare in Italia, vuoi per la mancanza di adeguate riforme, vuoi per l'intrecciarsi di rendite parassitarie nei settori precapitalistici del Paese, vuoi per il prevalere nel momento più acuto della crisi degli anni '70/71, di moventi politici intesi a peggiorare il quadro sulla volontà di risollevarlo. Ho detto che sono curiosi questi interventi non perché siano da sottovalutare - anzi noi crediamo debbano avere attenta considerazione -, ma perché è curioso il fatto che mentre dagli interlocutori che ho ricordato, giunge un discorso di questo tipo, le forze politiche che pretendono di richiamarsi ai valori supremi dell'iniziativa privata, del sistema, delle forze economiche dominanti, dell'efficienza imprenditoriale, appaiono invece largamente superate in imperdonabile ritardo, ancora ferme su un discorso che ripete le vecchie parole d'ordine del paleocapitalismo, che si attarda sui miti logori con i quali si è fatta la polemica antisocialista e antisindacale negli anni passati, grazie ai quali si sono trovati gli alibi per far cadere il Governo di centro-sinistra e per escludere i socialisti dal Governo di questa Regione e dal Governo del Paese.
Ci sembrano quei soldati giapponesi che ancora in alcune isole continuano a combattere, ignari che il loro imperatore ha già firmato la pace con gli Stati Uniti. Anche in questo Consiglio Regionale abbiamo sentito qualcuno di questi soldati continuare imperterrito la sua anacronistica battaglia.
E' qui che troviamo un punto di dissenso importante. Anche se io non ho molta fiducia in solleciti mutamenti nel quadro politico del Paese, e meno che mai in quello della Regione Piemonte, sono certo che il discorso delle riforme s'imporrà come un dato imprenscindibile del dibattito politico e della dialettica tra le forze politiche e sociali; ricordiamoci allora prima che le riforme tornino ad essere argomento di moda, che proprio su questo termine, con uno sdegno freddamente montato ad arte, si alimentò la strategia della paura e della crisi contro di noi, contro i socialisti secondo il disegno ottusamente restauratore che ha portato al centro destra. Nel momento in cui le riforme paiono essenziali per trasformare certo, ma in definitiva per salvare il sistema, garantendo certi ritmi di crescita e di sviluppo (e noi siamo consapevoli che le riforme hanno accanto a grossi effetti di rinnovamento e di mutazione, anche effetti di razionalizzazione del sistema), bisogna avere il coraggio di rovesciare la polemica degli ultimi anni e di riconoscere non solo che la crisi non fu colpa dei socialisti, ma che le riforme volute dai socialisti avrebbero potuto arrestare, o almeno attenuare, la crisi.
Anche sulla via da tracciare, sulle indicazioni per il futuro, io credo che sia necessario mantenere un legame col giudizio che diamo per il passato e questo vale per tutti i temi che la relazione della Giunta affronta. In particolare, per il Mezzogiorno, qualche riserva può essere avanzata sulla linea, che mi sembra non sufficientemente chiara, in tema d'investimenti industriali.
Non credo che possa essere ancora avanzata oggi, nel 1972, una critica alla mancata o parziale industrializzazione del Mezzogiorno fondata sulla recriminazione per lo scarso numero degli investimenti industriali di notevole dimensione, giacché mi sembra sia ormai acquisito che gl'insediamenti industriali di notevoli dimensioni, di per sé, non hanno rappresentato un'efficace terapia alla situazione di difficoltà delle regioni meridionali. Credo che il discorso più interessante sia invece quello non tanto delle cosiddette industrie motrici in astratto, quanto della possibilità di sollecitare in loco le iniziative imprenditoriali che valgano ad arricchire il tessuto locale, il tessuto dell'imprenditorialità locale. Quindi occorre porre l'accento con più evidenza su due direttrici fondamentali della politica meridionalistica: 1) la necessità di una profonda revisione del meccanismo degli incentivi (questo sì che ha determinato l'insediamento delle grandi unità, ha favorito gli investimenti ad alta intensità di capitale) in modo da far emergere dalla stessa realtà meridionale delle forme di imprenditorialità locale che valgono a costituire un tessuto industriale meno precario e meno esposto a crisi congiunturali; 2) nello stesso tempo, la necessità di riprendere il discorso delle concentrazioni di investimenti, del blocco di investimenti come si è cominciato a discutere negli studi fatti per il polo pugliese.
Un altro punto sul quale mi sembra di notare una certa contraddizione ma sul quale peraltro il dibattito è ancora largamente aperto a tutti i livelli, riguarda il tipo di aziende industriali che dovrebbero localizzarsi nel Mezzogiorno. Riprendendo un punto del programma nazionale si ricorda che questo sostiene che lo sviluppo industriale del Mezzogiorno non dovrebbe riprodurre le tipologie industriali del Nord, ma diversificarsi, puntando su aziende tecnologicamente avanzate e ad alta intensità di lavoro, considerandole come se fossero più o meno la stessa cosa. Io ho dei forti dubbi, anche se non escludo che il problema approfondito, possa portare a qualche risultato, che allo stato delle tecnologie industriali esistano molte aziende tecnologicamente avanzate e contemporaneamente ad alta intensità di lavoro (salvo l'industria aeronautica). Né credo si possa applicare all'intero Mezzogiorno - come parrebbe sostenere qualcuno - qualche cosa di analogo alla concentrazione di investimenti della California (che ha raggiunto determinati risultati proprio per la relativa limitatezza del territorio geografico investito e per le particolari caratteristiche del sistema investito) e neppure a quella della valle del Tennessee, per intenderci.
Il discorso è ancora estremamente aperto, ma credo sia molto importante per noi farlo, perché nel momento in cui affrontiamo il problema della tipologia industriale del Mezzogiorno, affrontiamo contemporaneamente quello della nostra tipologia industriale, cioè dei limiti allo sviluppo delle regioni del Nord e da decentramento industriale. Su questo punto non può applicarsi una regola schematica: "vadano le industrie ad alta intensità di manodopera nel Mezzogiorno", perché un discorso di questo genere non tiene conto delle interrelazioni e delle economie di scala del sistema industriale del Nord e delle necessità di rilocalizzazioni che hanno molte aziende operanti nel Nord (con gli effetti sull'occupazione che abbiamo drammaticamente di fronte).
Un altro punto vorrei sottolineare: non a caso è assente, non solo dal documento della Giunta, ma ormai anche dal dibattito politico del Paese, un documento che al suo apparire aveva suscitato invece una generale attenzione ed anche provocato una serie di appropriazioni indebite da parte della variegata destra economica e politica, che se n'era fatto un cavallo di battaglia su misura: intendo parlare del Piano annuale '72 che dopo le accoglienze che ho ricordato e in particolare gli entusiasmi delle forze moderate, ha avuto il singolare destino di essere completamente accantonato, proprio quando queste stesse forze politiche ed economiche si sono poi trovate a reggere il governo del Paese, al posto del Ministro socialista che il Piano aveva proposto. La morte ingloriosa del Piano '72 ci consente di trarre ulteriori conferme, con un'ottica se volete di breve periodo, alle considerazioni che ho svolto parlando del Piano quinquennale e delle vere responsabilità, in ordine al prodursi della crisi economica e alla volontà e capacità di farsi fronte con strumenti adeguati.
In definitiva, il Piano '72 si prefiggeva l'obiettivo di potenziare la domanda interna attraverso un grande programma di investimenti pubblici, i famosi 1500 miliardi. Io non so in che misura questi investimenti pubblici si realizzeranno: ritengo in misura largamente inadeguata rispetto ai livelli previsti; né credo vi siano state altre forme sostitutive, tra le molte suggerite dagli esperti, anche socialisti, tali da consentire un effetto moltiplicatore sulla domanda paragonabile ai 1500 miliardi non spesi in investimenti pubblici. Del resto, l'efficienza della pubblica amministrazione non è in aumento, ma credo in diminuzione, se è vero, come è vero, che tra il '70 ed il '71 è diminuita la capacità di spesa in investimenti pubblici di oltre il 3 per cento. Possiamo ragionevolmente sperare che questa tendenza si inverta nel corso del '72/73, possiamo pensare soprattutto che con questo Governo e con il suo modo di governare si possa invertire la tendenza? Dobbiamo ancora una volta dare una risposta negativa. Ecco che si torna ancora ai nodi irrisolti, coi quali comunque si devono fare i conti, e cioè con le riforme non fatte e col quadro politico deteriorato. Scorciatoie di altro genere non ce ne sono, neppure la cosiddetta "politica dei redditi", avanzata, più volte in passato, e che nel suo recente intervento al Parlamento il Ministro del Tesoro Malagodi ha di nuovo riproposto esplicitamente, ribattezzandola "politica delle compatibilità". Dirò che anche nella formulazione malagodiana io non sono ancora riuscito a capire esattamente che cosa sia la politica dei redditi se è solo una politica dei salari, allora è ben chiaro di che cosa si tratta, e ne parlerò tra poco; se viceversa vuol essere, come sembra in alcune delle sue formulazioni più ambiziose, e in particolare in quella che ne fece La Malfa quando la propose per la prima volta, una politica di controllo di tutti i redditi, e quindi non solo dei redditi da lavoro dipendente, io credo che bisognerebbe avere il coraggio di dire che una politica di questo tipo è possibile solo in presenza di una pianificazione vincolante e centralizzata, dove il meccanismo di mercato svolga un ruolo molto più marginale, molto più limitato di quello che svolge nel nostro Paese; se infine vuole essere un puro e semplice modo per dire che il settore pubblico si assume certi impegni e i sindacati se ne assumono altri, allora diventa un espediente di contrattazione sottobanco, e credo non valga la pena di discuterne troppo.
L'ipotesi più probabile, dati i tempi che corrono, è che si tratti come sembra nel discorso più recente, quando Malagodi la chiama "politica delle compatibilità" - semplicemente d'una politica di controllo dei salari; se è così io credo che oltre che impraticabile sia anche inutile perché non sono affatto convinto della reale efficacia di una politica di controllo della dinamica salariale per provocare una ripresa degli investimenti produttivi. Ma che non ci creda io ha poca importanza, non ci credono i sindacati, hanno mostrato giustamente di non crederci. Nelle condizioni istituzionali del nostro Paese, chi può credere all'efficacia di una politica di questo tipo? Chi può credere che una tregua salariale, che riduca la quota dei redditi da lavoro e consenta di riaprire margini maggiori di profitto, automaticamente si traduca in un aumento degli investimenti, nel quadro istituzionale che abbiamo, in cui persino programmi dell'impresa pubblica di fatto sono autonomi rispetto al potere politico? Quale garanzia c'è che l'aumento dei margini di profitto delle imprese si traduca automaticamente in un aumento degli investimenti produttivi delle dimensioni che sono richieste? Ma ammettiamo pure che tutto questo si realizzi, che contro ogni logica ed ogni previsione si riesca ad avere un'accettazione, da parte dei sindacati, di questa politica degli aumenti salariali compatibili con l'aumento della produttività, un aumento degli investimenti al livello atteso: noi non faremmo, se anche tutto questo fosse possibile, che riprodurre lo stesso meccanismo di sviluppo degli anni passati, che ci porterà delle crisi sempre più ravvicinate nel tempo e sempre più dure e più difficili da superare.
Perché, colleghi del Consiglio, noi ci riferiamo con frequenza, specie in questi tempi, all'autunno sindacale del '69, con i grossi aumenti salariali che ha determinato; ma ci dimentichiamo che, prima di quell'autunno caldo, c'era stato anche un rinnovo "freddo" dei contratti quello del '66, che non aveva viceversa permesso ai sindacati di strappare condizioni normative e salariali soddisfacenti. Questo è già un caso importante in cui, pur senza il funzionamento d'una politica dei redditi c'è stato, per le condizioni del mercato del lavoro e per la debolezza del sindacato, un rinnovo dei contratti che non ha consentito il recupero a favore dei redditi dei lavoratori subordinati. Ebbene, quei contratti hanno portato soltanto a differire di due o tre anni il momento della verità, il momento cioè in cui ci si è dovuti comunque confrontare con lo squilibrio derivante dai margini di profitto crescenti da una parte, e dalle condizioni di lavoro sempre più pesanti e dai costi crescenti per i lavoratori fuori dalla fabbrica dall'altra. I sindacati in questa situazione hanno ripreso l'iniziativa e hanno recuperato i margini che non avevano potuto recuperare nel '66, in quell'anno nel quale la destra del nostro Paese, tutta la destra nelle sue variegate suddivisioni, ha pure pianto sulle sorti della nostra economia. Un acuto osservatore delle cose italiane, il Nobecourt, ha definito con felice espressione il 1969 "la fine di una lunga pazienza": di una pazienza che è passata anche attraverso i rinnovi contrattuali "freddi" del '66. E allora, se anche fosse possibile quella politica dei redditi che vogliono La Malfa e Malagodi, se anche per ipotesi astrattissima fosse possibile arrivare a quel risultato, noi non faremmo che ripristinare il vecchio meccanismo di sviluppo, che ci ridarebbe crisi cicliche, sempre più ravvicinate, in un quadro generale nel quale non abbiamo alcuna sicurezza, alcuna garanzia che il livello degli investimenti tenda ad essere ripristinato, così come non fu ripristinato dopo il '66, la produttività ed i margini di profitto aumentarono solo a spese dei lavoratori, con l'inasprimento dei ritmi di lavoro, e non con investimenti aggiuntivi.
Senza la soluzione dei nodi fondamentali che abbiamo di fronte (il decentramento industriale, lo sviluppo del Mezzogiorno, la condizione operaia nella fabbrica, il problema delle rendite nei settori extra industriali) non è possibile in realtà uscire dalla stretta in cui ci troviamo, da questo male che non è guaribile con terapie improvvisate e neppure col ricorso ai vecchi strumenti della politica economica.
Occorre un programma di ripresa preciso, fondato sull'aumento degli investimenti pubblici e produttivi, con il duplice obiettivo di colmare il vuoto della domanda attuale e di porre le premesse per un successivo aumento della capacità produttiva. Ma per questo è necessario riuscire a determinare, insieme e simultaneamente, sia il livello che la composizione settoriale e regionale degli investimenti. Ed è qui che si devono collocare, non in modo astratto e generico, ma puntuale, le critiche ad una pianificazione che proceda solo a livello macroeconomico, che quindi non si disaggreghi attraverso piani di settore (non siano però semplice ricezione dei programmi dei grandi oligopoli, ma, invece, determinati dalle scelte del potere politico), e un serio avvio della programmazione regionale.
Quest'ultima non nasce dunque da esigenze disaggregatrici o autarchiche, ma dalla precisa necessità di poter controllare la distribuzione territoriale degli investimenti. Solo una disaggregazione può consentire di portare finalmente il discorso della pianificazione fuori dalle secche di una generica e astratta predicazione - che poi non riesce in realtà a servire a nessuno, neppure ai centri dell'imprenditorialità privata - e a metterlo invece con i piedi per terra, sul terreno concreto delle scelte di politica economica.
Se questa è la diagnosi del passato e l'indicazione per il futuro, io dico che dopo aver preso atto con piacere dei contenuti del documento della Giunta, dopo averne apprezzato tutte le indicazioni coraggiose e per certi versi nuove, almeno per questo Consiglio Regionale, io dico che non dobbiamo, non ci è consentito prescindere né da tutto ciò che questo Consiglio, questa Giunta e questa maggioranza hanno fatto prima di oggi, n da quanto le forze politiche che a questa maggioranza e a questa Giunta si ricollegano fanno e dicono a livello nazionale. La volontà politica di questo governo è chiaramente orientata in un senso non solo diverso, ma opposto a quello che abbiamo indicato. Nei fatti e negli atti che compie innanzitutto: l'aumento degli stipendi ai superburocrati, il discorso evasivo che si è fatto quando si trattò di aumentare i livelli delle pensioni, gli ostacoli che vengono frapposti al funzionamento delle Regioni non sono che alcuni esempi: ma direi che è diverso ed opposto anche nelle dichiarate volontà politiche e programmatiche. E del resto le recenti dichiarazioni al Parlamento del Ministro del Tesoro e del Ministro del Bilancio, in sede di esposizione della politica economica e finanziaria del Governo, hanno mostrato chiaramente che la volontà politica programmatica precisa di questo governo va in un'altra direzione. Si è toccata la corda della prudenza, il tasto monocorde della politica delle compatibilità; si è affidata la ripresa ad investimenti delle partecipazioni statali svincolati da ogni riferimento di piano e ad una politica di sostegno delle imprese private che in realtà non garantisce neppure la ripresa di efficienza e di competitività del sistema, ma spesso mira soltanto alla sopravvivenza, al salvataggio delle aziende così come sono (quindi aprendo dei vuoti da colmare continuamente da parte del capitale pubblico, senza garantire affatto che il sistema raggiunga, nel suo complesso, livelli maggiori di efficienza).
Emerge da queste dichiarazioni di Taviani e di Malagodi una sostanziale, crescente, reiterata sfiducia nelle capacità della pubblica amministrazione, sfiducia che crediamo sia anche motivata, sino ad un certo punto, ma a cui non segue, come dovrebbe, l'indicazione dell'urgenza della riforma. Quindi il discorso della sfiducia nella pubblica amministrazione che non si accompagna alla volontà politica di cambiarla, significa in realtà la rinuncia da parte dell'autorità politica ad esercitare con mano ferma i propri compiti anche in ordine alla politica di piano. Emerge la sfiducia nelle Regioni, che secondo Malagodi costituiranno un fattore di ritardo nell'attuazione della spesa pubblica; noi abbiamo letto questa vergognosa dichiarazione da parte di un membro dello stesso governo, che pone limiti incredibili alla capacità di azione delle Regioni, al loro funzionamento, alla piena attuazione del dettato costituzionale, e che ha il coraggio poi, nella relazione al Parlamento, di lamentarsi in questi termini: "Non va d'altra parte dimenticato che l'entrata in funzione dell'istituto della Regione a statuto ordinario avrà non pochi effetti di ritardo nell'attuazione della spesa pubblica", gettando in tal modo sulle Regioni delle responsabilità che alle Regioni non possono competere, invece di rimuovere gli ostacoli reali ed effettivi che impediscono e rallentano il funzionamento delle Regioni stesse.
Quello che ci mostrano i responsabili della politica economica e finanziaria è un quadro, che, per la pretesa di essere realistico, diventa invece rinunciatario, sancisce la rinuncia ad ogni seria politica programmatica da parte di questo governo, che si sta muovendo quindi, non solo nei fatti, ma nelle precise volontà politiche, in modo da fare emergere una convinzione, che è la convinzione di questa classe dirigente moderata, secondo la quale dev'essere finalmente spezzato il legame tra possibilità di sviluppo economico ed eliminazione degli squilibri tradizionali nel nostro Paese, legame che, almeno a parole, aveva costituito un punto fermo, sin qui, per la nostra classe politica. La prospettiva che, almeno a breve termine, viene indicata, è perciò quella della "ripresa senza riforme" e rappresenta un punto di svolta negativo gravissimo, nel quale si vanificano non solo i dieci anni del centro sinistra, ma direi addirittura i 25 anni di vita democratica del nostro Paese dopo la fine della guerra.
Per non tacere, colleghi del Consiglio, di tendenze anche peggiori, che pure emergono (anche se per ora non ufficializzate), che sono presenti nella realtà di questo momento: è il discorso cui faceva riferimento nell'articolo che ho citato, il collega Nesi, delle forze che puntano sul "tanto peggio, tanto meglio", delle forze che fanno il discorso della svalutazione della lira, delle forze che puntano sul rilancio artificiale della Borsa con chiari intenti speculativi, che rischiano di premiare anche qui aziende o gruppi imprenditoriali tra i più screditati ed inefficienti per non parlare delle spinte ricattatorie che sono presenti all'interno della mano pubblica e della stessa impresa pubblica nei confronti del governo e del Paese, e che devono essere parimenti denunciate; dell'azione di chi mira a dare un certo risvolto alle lotte sindacali e ai rinnovi contrattuali dell'autunno; di quelle stesse tendenze all'autoritarismo e alla svolta dura che si esprimono, colleghi del Consiglio, con le incredibili norme sul fermo di polizia che questo Consiglio dei Ministri ci ha regalato.
E' a queste tendenze, a questa linea del governo di centro-destra, che non può che preparare il peggio, che noi socialisti opponiamo una ferma dura resistenza, forti di un legame con le nostre tradizioni e con le battaglie che abbiamo combattuto, di un legame che queste elezioni, ci hanno consentito di confermare forte, saldo e in ascesa tra i lavoratori e gli elettori del Paese; ed è a questa politica di restaurazione chiusa, di neocorporativismo che non crediamo questa Giunta sappia e voglia opporsi.
Ed è per queste ragioni che, ad onta delle dichiarazioni che sono state fatte, ad onta dei contenuti di questo documento, il Gruppo socialista non potrà votare il documento della Giunta sul Piano nazionale.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Gandolfi, ne ha facoltà.



GANDOLFI Aldo

Signor Presidente, mi sembra che nell'affrontare questo dibattito nell'esprimere un giudizio sul piano nazionale, due siano gli elementi politici che dobbiamo avere presenti e sui quali articolare il giudizio: da un lato sostanziale fallimento delle volontà, dei tentativi di programmazione economica, cioè il sostanziale fallimento del piano economico '65/70 e dall'altro la situazione congiunturale che abbiamo di fronte e che ci consegna, per la prima volta nel dopoguerra, due anni di vita economica nazionale senza aumenti del reddito globale prodotto dal Paese.
In questi due elementi fondamentali occorre essere critici rispetto al piano nazionale perché sono i due elementi politici di fondo sui quali il piano nazionale doveva prendere posizione e doveva soprattutto avviare un discorso di meditazione, di riflessione e di proposizione molto approfondito e molto serio, mentre, come il documento della Giunta sottolinea, il Piano nazionale si sottrae a questa problematica.
Io vorrei approfondire l'analisi di questi due elementi.
Il fallimento della programmazione economica, nel decennio che ci siamo lasciati alle spalle è qualcosa di clamoroso e di macroscopico, che deve richiedere anzitutto dei chiarimenti di metodo prima ancora che dei tentativi di attribuire delle responsabilità o di individuare delle cause strutturali nella vita della nazione. Il discorso della programmazione, dei piani economici a tutti i livelli sta diventando, da alcuni anni a questa parte, un fatto di esercitazioni accademiche quasi retoriche su cui ognuno imbastisce una dialettica politica che poi non trova possibilità concrete di realizzazione; mi pare anche che si fraintendono gli obiettivi della programmazione economica e quello che in concreto deve essere un piano economico. Negli scorsi anni ci si è illusi che la programmazione economica potesse essere l'elaborazione di documenti a livelli nazionale o regionale estremamente analitici e dettagliati, quasi che il nostro Paese fosse nelle condizioni di realizzare effettivamente una politica economica di sviluppo vincolante per tutti i settori della vita nazionale e che bastasse approvarli, con dei voti deliberativi, o addirittura per legge, come è stato fatto e in un modo abbastanza ridicolo, per impostare e realizzare una politica di piano.
In una situazione economica e di mercato istituzionale come la nostra un piano deve essere l'indicazione di volontà politiche da parte di un esecutivo e di una maggioranza capaci di portare avanti un disegno di sviluppo e si deve avere anzitutto la consapevolezza che specialmente la programmazione economica nazionale deve essere un tentativo di mettere sotto controllo alcuni fondamentali processi e variabili di carattere macroeconomico, il che significa un tentativo di realizzare dei saggi di accumulazione delle risorse, e cioè un certo tipo di politica industriale (perché a questo settore si deve addebitare soprattutto la forza trainante per l'economia); poi la capacità di impostare un discorso e di realizzare certi obiettivi di ripartizione delle risorse tra investimenti e consumi all'interno dell'economia nazionale, ossia sostenere questo sviluppo e questi tassi di accumulazione con un adeguato volume di investimenti e un adeguato contenimento dello sviluppo dei consumi individuali; infine il perseguimento di un rapporto tra costi di lavoro e produttività all'interno del sistema economico (che va evidentemente valutato e contrattato, ma va realizzato), di una politica di strutturazione e qualificazione della spesa pubblica, di una politica di orientamento e selezione degli investimenti che permettano di realizzare importanti obiettivi su cui noi siamo sempre stati d'accordo e sui quali non siamo mai, nei dieci anni che ci lasciamo alle spalle, riusciti a raggiungere dei risultati tangibili: la piena occupazione e lo sviluppo e l'industrializzazione nell'Italia meridionale.
Rispetto a questo ordine di problemi, a questo modo di concepire la politica di programmazione che non si è realizzata, che cosa è successo negli anni '60? Sul piano delle procedure degli interventi di governo è mancata una visione sufficientemente moderna del rapporto tra certi obiettivi e la strumentazione che si doveva fare, tra il tipo di politica annunciata e quella che doveva essere la concreta attività di governo a tutti i livelli. Ma poi vi è stata una serie di fatti (entriamo nel merito dei fenomeni accaduti dal '65 in poi), vi è stato un certo modo di condurre globalmente la politica economica che ha aspetti di tutti i tipi, dalla politica dello Stato alla politica imprenditoriale, alla politica delle grandi confederazioni sindacali. Innanzitutto una politica rivendicativa specialmente in questi ultimi cinque anni ha avuto una spinta tale ed una tale incapacità di essere inquadrata a livello governativo in una logica coerente di sviluppo che ha fatto saltare ogni logico collegamento e ogni legame coerente fra sviluppo dei redditi e sviluppo della produttività del sistema; di fatto da un lato ha ridotto, se non annullato, i margini di autofinanziamento specialmente delle piccole e medie imprese e spinto il sistema industriale verso tecniche e tendenze di aumento degli investimenti per addetto che, tutto sommato, ci hanno fatto ritrovare a parità di investimenti, specialmente in questi ultimi anni, con una minore possibilità di creazione di posti di lavoro, da un altro lato ha creato delle tensioni inflazionistiche superiori a quelle medie che per un sistema come il nostro si possono ritenere accettabili e comunque normali in un meccanismo di sviluppo.
A fronte di una politica rivendicativa questo genere, il governo (e stupisce sentir fare certe considerazioni dai socialisti, visto che hanno retto per parecchi anni il Ministero del Bilancio) non ha saputo fare altro che ricorso a degli strumenti di intervento di carattere prettamente monetario (blocco del credito, tentativo di riduzione della circolazione monetaria e soprattutto del credito) con l'effetto di bloccare gli investimenti produttivi, soprattutto quelli delle piccole e medie imprese che non hanno alle spalle delle strutture finanziarie proprie particolarmente consistenti, e di puntare alla ripresa dello sviluppo economico attraverso lo stimolo dei consumi, quindi attraverso un accentuarsi da un lato di tensioni inflazionistiche, dall'altro di un tipo di tendenze che da sei o sette anni a questa parte, aumentano la quota delle risorse nazionali spese in consumi individuali e riduce sempre di più le quote a disposizione dell'economia nazionale per investimenti e per la creazione di nuovi posti di lavoro. Quella che nel documento della Giunta è stata indicata come una politica di "stop and go" in definitiva è un tipo di politica che dopo ogni crisi fa ritrovare un Paese strutturalmente più indebolito perché non c'è possibilità di ripresa se non attraverso una spinta ai consumi e una riduzione della quota degli investimenti.
Infine, lo dicevamo ieri parlando dei problemi dell'occupazione, esiste una politica delle localizzazioni industriali, per certi debole o inesistente, per altri sbagliata nel senso che si è puntato tutto su una politica degli incentivi che facendo localizzare nel Sud dei complessi industriali ad alta intensità di capitale, e quindi con ridotte possibilità di occupazione e con distorsioni all'interno di grossi settori industriali come in quello chimico, a favore della chimica primaria, a tutto danno della chimica secondaria dove invece c'è una presenza troppo massiccia all'interno del mercato nazionale di industrie estere.
Questo è il primo ordine di considerazioni di carattere politico che dobbiamo saper fare sull'andamento economico degli scorsi anni. Da queste però ne conseguono altre sull'analisi della situazione in cui oggi ci troviamo che è drammatica non nel senso che ci sia pericolo improvviso di un collasso del Paese, ma perché un Paese che si permette per due anni di seguito di non avere un aumento del reddito nazionale, nel quale si è improvvisamente arrestato il meccanismo di accumulazione dei capitali, è un Paese che ha delle possibilità ridotte di risolvere alcuni grossi nodi della vita politica e dell'assetto democratico della vita nazionale.
E' molto bello il discorso dei socialisti sulle riforme che contribuirebbero alla ripresa dello sviluppo economico, ma dobbiamo tenere presente che le riforme sono possibili solo se il Paese ha delle risorse adeguate, solo se c'è un meccanismo di accumulazione dei capitali a livello di economia nazionale che permetta un volume adeguato di investimenti in certe direzioni: non è per niente vero il contrario, in questi ultimi anni si è realizzata all'interno della comunità nazionale una condizione per cui l'elemento traente che era il sistema produttivo, il sistema industriale pur con tutte le distorsioni che andavano corrette, si è arrestato, oggi il sistema industriale non permette più di affrontare taluni grossi problemi con la sicurezza di poter creare nuovi posti di lavoro, nuovi capitali, di poter quindi destinare quelle risorse non solo all'alimentazione del meccanismo produttivo, ma anche ai consumi sociali. Questo è il meccanismo che dobbiamo cercare di rimettere in moto, poi verrà il discorso delle riforme. Dobbiamo renderci conto della reale condizione delle piccole e medie imprese, sono i meccanismi economici finanziari e anche psicologici che oggi fanno sì che pur essendoci certe disponibilità di credito da parte delle banche non si facciano gli investimenti. Se non ci rendiamo conto della realtà dei problemi che abbiamo di fronte continuiamo a fare dei discorsi vuoti, astratti e al limite anche demagogici. Se, come credo tutti siamo d'accordo che abbiamo il problema di creare nei prossimi anni centinaia di migliaia di posti di lavoro per arrivare a diverse condizioni di equilibrio economico, sociale, territoriale, non possiamo illuderci che la condizione dell'industria, particolarmente delle piccole e medie aziende oggi si risolva semplicemente col discorso delle riforme, c'è ben altro oggi in effetti la bilancia di pagamento è attiva, le nostre aziende tutto sommato, hanno una certa capacità di concorrenza di vendita sui mercati esteri. Vedo che il Presidente scuote la testa: forse non ce l'hanno, forse la bilancia dei pagamenti è attiva semplicemente perché la domanda dei beni di investimento è bassa, nel momento in cui riprendesse il meccanismo di sviluppo economico andremmo in crisi anche su quel piano, può darsi comunque ci sono già dei fattori di carattere istituzionale all'interno della situazione economica per cui non le grandi, ma soprattutto le piccole e le medie aziende non hanno la capacità, la possibilità, la sicurezza forse di poter fare degli investimenti che determinino una possibilità di ripresa di tutta l'economia.
E qui abbiamo alcuni problemi fondamentali che vanno affrontati come quello del rapporto tra costi di lavoro e produttività che va tenuto sotto controllo. Siamo d'accordo che queste cose non devono essere risolte solo sul piano dei costi di lavoro, ma vanno affrontate anche sul piano del costo delle strutture pubbliche, cioè di tutto il sistema previdenziale questo è un tipo di riforma che potrebbe avere un'incidenza reale sulle possibilità di ripresa del meccanismo economico. I problemi sono tutti e due contemporaneamente sul tappeto, non si può scaricare l'uno sull'altro e dire, come si è andati dicendo da alcuni anni a questa parte, che i redditi di lavoro sono una variabile indipendente nel sistema economico e viene scontato che devono muoversi in qualsiasi modo con una loro logica del tutto autonoma. Questo in un'economia come la nostra non è possibile, se vogliamo raggiungere certi obiettivi e se vogliamo riprendere il cammino dello sviluppo economico dobbiamo avere a disposizione delle risorse, per fare certe importantissime riforme di struttura bisogna che tutte le forze politiche si rendano conto che questo rapporto tra costi di lavoro e produttività è fondamentale e va tenuto sotto controllo.
Non è affatto vero come diceva prima Simonelli che il controllo globale dei rapporti tra consumi e investimenti e tra produttività e costi di lavoro sia una politica che nella nostra economia non si può nemmeno tentare, direi che se c'è un dato lampante in questi ultimi due anni è che tutti i governi, in un modo o nell'altro, con provvedimenti legislativi o amministrativi, hanno dovuto affrontare il problema e in parte l'hanno anche risolto. Quando si vede che in un'economia come quelle olandese o americana, per legge si stabilisce per alcuni mesi il blocco dei prezzi e dei salari, non è certo un provvedimento coercitivo che deriva da provvedimenti polizieschi, è semplicemente un atto deliberativo di organismi legislativi che impongono, sia pure per un periodo estremamente breve, il rispetto di certe regole all'interno dell'economia per ricreare delle condizioni che altrimenti mancherebbero. E' un problema al quale prima o poi bisogna riuscire a dare una soluzione se no ci ritroveremo costantemente di fronte alle tensioni inflazionistiche di questi anni rispetto alle quali si interviene solo ed esclusivamente con degli strumenti monetari che non possono non provocare un aumento sempre più consistente della quota del reddito nazionale destinata ai consumi, e una riduzione sempre più consistente della quota del reddito nazionale destinata agli investimenti se non all'arresto addirittura degli investimenti come quello che stiamo realizzando in questi mesi.
Questi sono gli elementi sui quali ci deve essere la meditazione, il confronto tra le forze politiche; c'è una serie di nodi che possono apparire difficilmente districabili, ma bisogna trovare il bandolo della matassa. Su un altro piano devo osservare che l'atteggiamento delle forze politiche e alcuni elementi emersi da questo dibattito, mi sembrano strani e poco comprensibili. Il discorso di Sanlorenzo di stamattina conteneva osservazioni che si possono anche condividere, ma quando ha detto che sul piano politico non si può prescindere dal partito comunista, che cosa ha voluto dire? In Italia non si può fare certamente un appunto alla D.C. e tantomeno ad altri partiti perché non hanno conto dell'esistenza del P.C.I.
Se c'è un dato di fatto acquisito è che innanzi tutto a livello parlamentare c'è stata una serie di cose che hanno tenuto conto di una presenza determinante da parte del P.C.I. Non credo che ciò possa significare che il P.C.I. si aspetta di andare al governo, perché credo che ogni forza politica debba farsi carico.....



RIVALTA Luigi

Non domani!



GANDOLFI Aldo

Ma nemmeno dopodomani, dobbiamo avere il senso della storia che abbiamo alle spalle e di tutti i problemi nazionali ed internazionali che ci stanno di fronte; è poco realistico che il P.C.I. conquisti la maggioranza assoluta, ma è anche poco realistico pensare che il PCI in breve termine.
Scusami Raschio, ma non sento ciò che dici e non posso risponderti.
Il problema politico invece che mi sembra vada risolto sul fronte della sinistra è un altro. Se un elemento dobbiamo rilevare dalle vicende politiche ed economiche di questi anni, (elemento politico di cui chiederei un approfondimento) del quale deve farsi carico il P.C.I., è che sul fronte della sinistra c'è stata una spinta attraverso le centrali sindacali e non tanto attraverso i partiti, che ha usufruito di un quadro politico di un certo tipo, ma che ha avuto i suoi momenti di autonomia del tutto slegati dalla logica politica del Paese, derivanti forse da un vuoto politico e dalla mancanza di indicazioni chiare e coerenti di chi governava; questa spinta non ha avuto in sé elementi di coerenza e di rigore nel proporre e nel valutare tutte le implicazioni di un disegno di sviluppo. E' un elemento di riflessione critica che il P.C.I. ha presente, ma che non mi sembra lo sia del tutto a livello di azione sindacale, e di questo devono farsi carico i partiti di sinistra. Rispetto al problema dei prezzi e delle riforme, mi domando che senso ha da parte delle centrali sindacali organizzare degli scioperi generali. Le forze politiche devono farsi carico della problematica che viene dal mondo sindacale sul piano delle riforme e collocarlo in un disegno di sviluppo, ma devono anche sapere fare un certo tipo di discorso, richiamare il mondo sindacale a una visione più coerente di quelli che sono i problemi politici che dobbiamo riuscire a risolvere in questo momento.
Il discorso che faceva Sanlorenzo può significare che il P.C.I. vuole oggi un governo di centro sinistra anziché un governo di centro; il discorso che faceva Simonelli mi sembra che, tutto sommato, tenga conto almeno di questo che ad avviso della mia parte politica è il tipo di reazioni e di problematiche che bisogna riuscire oggi ad affrontare. La crisi economica è una crisi istituzionale che siamo riusciti in parte a recuperare, ma è ancora nell'aria lo stato di crisi generale, di blocco dello sviluppo del Paese; noi siamo fermi ai discorsi del 1965 o 1966 come se niente fosse avvenuto, come se gli elementi che oggi ci consegna la situazione economica non fossero presenti al dibattito, come se potessimo riprendere a parlare con lo stesso linguaggio degli anni '67/68/69. A me sembra che una maggiore meditazione degli elementi che abbiamo di fronte ci debba essere.
Tutto questo può non avere completa attinenza col dibattito che stavamo facendo sul documento della Giunta, ma io ritengo che a un voto del Consiglio Regionale sul piano economico nazionale non si possa arrivare senza un confronto fra i partiti e che solo da un dibattito di questo genere possano derivare delle possibilità di convergenza che mi sembra francamente ancora oggi non siano presenti a livello politico, anche se ci auguriamo, nell'interesse del Paese, che si possano ritrovare.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare Consigliere Viglione, ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

Colleghi Consiglieri, per il nostro Gruppo è già intervenuto il collega Simonelli, quindi io mi limiterò soltanto ad alcune osservazioni intorno alle procedure del piano Le nuove procedure adottate per l'elaborazione del programma quinquennale hanno consentito un confronto di opinioni abbastanza ampio che ha investito sia le associazioni sindacali che le Regioni; i termini di tale confronto sono stati definiti nel capitolo del programma '71/75 relativo alle procedure che descrive un procedimento complesso, in cui si prevedono diverse occasioni di confronto nelle quali i soggetti istituzionali della programmazione, e cioè il sistema politico centrale (Governo e Parlamento) quello decentrato (Regione) e i soggetti economici autonomi, entrano in relazione per confrontarsi sull'intero disegno tracciato nel piano o per contribuire alla definizione di specifici interventi.
Per quanto riguarda le Regioni, questa esperienza di partecipazione alla preparazione del programma economico ha avuto aspetti postivi, anche se siamo ancora lontani dall'aver colto tutti i frutti che può dare la nuova articolazione regionale dello Stato in termini di allargamento effettivo del quadro decisionale ed operativo su cui organizzare l'intervento pubblico. L'attività della Commissione consultiva interregionale per la programmazione economica, in cui si è svolto il primo esame dei principali temi affrontati nel documento programmatico preliminare presentato nel luglio 1971 e la presenza di esperti designati dalla Commissione interregionale nelle Commissioni generali, che hanno svolto un interessante lavoro di analisi critica del testo preliminare del piano, sono stati momenti significativi di questo rapporto di partecipazione-consultazione; ma tutto questo non è sufficiente a dare concretezza ad una nuova articolazione istituzionale del processo di programmazione se non si assicura alle sedi di partecipazione-consultazione che investono Regioni e forze sindacali un supporto organizzativo adeguato che consenta di esprimere una presenza attiva che ci liberi dall'alternativa, che non accettiamo come forza regionalista, fra un rapporto subordinato ed uno contestatario, altrettanto sterili ed improduttivi.
A monte di questo problema c'è però una questione di maggiore importanza che costituisce una pregiudiziale rispetto ad una produttiva collaborazione tra organi centrali e Regioni nell'elaborazione del piano c'è il problema politico di conoscere il grado di impegno assunto dal Governo rispetto alle indicazioni del programma ed i vincoli quindi che esso pone a sé stesso per rispettare tali indicazioni.
Sotto questo profilo ci sia consentito di dire che il Governo di centro destra presieduto dall'on. Andreotti non dà molti affidamenti; rispetto al disegno complessivo di ripresa dello sviluppo sostenuto dalle riforme e da una corretta politica congiunturale, che è tracciato nel programma 1971/75 il governo Andreotti ha segnato un disimpegno sostanziale e alcune volte anche formale. Troppe sono state le decisioni e soprattutto le assenze di iniziativa che contrastano con quel disegno su cui siamo chiamati ad esprimere una valutazione, per non avere la sensazione di svolgere un dibattito se non inutile quanto meno soltanto accademico e formale mentre le volontà reali operano in altre direzioni.
Non è un caso che tutta la strategia di interventi anticongiunturali indicata nel piano annuale per il 1972 sia rimasta sostanzialmente inattuata e che la ripresa economica resti affidata ad improbabili attese miracolistiche o al tentativo di imporre al Paese una svalutazione come momento culminante di un processo inflazionistico che non si sa o non si vuole arrestare. Un osservatore ed uno studioso acuto dei fatti economici come il prof. Andreatta ha potuto sostenere con validi argomenti che questo Governo ha la responsabilità di aver congelato quelle premesse di ripresa che non senza difficoltà e contrasti si erano definite nel corso del 1971 e costituivano la base per il piano annuale del 1972. Giustamente Andreatta ha parlato di una politica economica del Governo Andreotti come strumento di ordine pubblico che tende quindi a cristallizzare i fattori della crisi sotto una patina di efficientismo amministrativo che non sa offrire idee più nuove che non siano quelle del calmiere prefettizio. Abbiamo visto anche a Roma che il prefetto ha detto "da domani i prezzi non aumenteranno più" e invece sono aumentati del 6 per cento in un anno e stanno aumentando del 16 per cento. L'accoppiata Andreotti-Malagodi ci ha portati ad un'unica soluzione: l'aumento a 6.000 miliardi delle spese correnti ed al 16 per cento in prospettiva di aumento dei prezzi, senza dare alcuna contropartita, per ora, ai lavoratori. E' dalla fine della guerra che non si registra un disastro di questo genere, quindi quando si dice che il governo Calleri in Piemonte è stato l'antesignano di questa politica dobbiamo dire che il governo Calleri è stato l'antesignano della politica dell'aumento dei prezzi del 16 per cento. Questo è l'indirizzo che i dorotei piemontesi hanno dato alla politica nazionale.
Con molto acume, anche se con obiettivi diversi dai nostri, anche l'editorialista di "24 Ore" si interrogava in questi giorni sull'esistenza o meno di una politica di piano del governo Andreotti per concludere che se questa c'è essa è qualcosa di profondamente diverso da quella indicata nel piano Giolitti, che sta "attualmente languendo in una stanca procedura di consultazioni con la pubblica amministrazione, con le Regioni e altri interlocutori vari". Il piano Giolitti sta languendo ad opera dei dorotei integrati da alcune altre forze politiche. Malagodi ha sempre criticato aspramente la dilatazione della spesa, ma appena arrivato l'ha portato ad una cifra globale di 20.000 miliardi circa, è un vero maestro in questo ed è un maestro anche nelle leggi di polizia che Bozzi ha ritenuto essere perfettamente costituzionali, per cui siamo lì tutti per andare in prigione, almeno per un certo numero di ore, senza sapere il perché. Questa è la soluzione che anche i liberali offrono al Paese e tutte le forze di destra. Stamane quando Sanlorenzo parlava della retrocessione dell'accoppiata D.C.-liberali, c'era anche da aggiungere il terzetto, la troika che era perché anche le forze dietro Curci hanno appoggiato sovente il governo Andreotti; c'è sempre il sogno di farsi appoggiare dalle forze missine.
Scusate questa interruzione. Torna quindi giustificata la domanda che mi ponevo poco fa perché o volete vedere o siete dei gattini ciechi.
D'altronde il Presidente non è nuovo a questi voltafaccia e l'ha dimostrato stamane con il fatto di Moncalieri dove pare che si sia svolto il trattato non più di Cherasco, ma di Moncalieri. Torna quindi giustificata la domanda che mi ponevo poco fa circa l'oggetto della nostra discussione: sul programma economico nazionale 1971/75 abbiamo più volte espresso il nostro consenso, la nostra disponibilità a sviluppare un lavoro di approfondimento, soprattutto per precisare sempre meglio le funzioni e le responsabilità operative della Regione nella realizzazione delle politiche generali e in particolare dei progetti che costituiscono l'aspetto metodologico più interessante proposto dal programma '71/75.
Il nostro dubbio, non privo di fondamento dopo gli atti del Governo che ho ricordato e le autorevoli, e non sospette, testimonianze che ho citato è che quel programma sia già stato archiviato come si tenta di archiviare con la svolta centrista quel programma di riforme e di sviluppo che dava corpo e sostanza alla politica di centro sinistra e all'impegno per la programmazione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bono, ne ha facoltà.



BONO Sereno

Rassicuro il Consiglio che non voglio fare un intervento, ma solo proporre una correzione al testo presentato dalla Commissione, correzione che ho già concordato con il Presidente della I Commissione e con il relatore.
A pag. 7, al punto d) sostituirlo con il seguente: "Per l'ambiente non è accettabile la classificazione dei corsi d'acqua in base alle destinazioni, ma si ritiene che la soglia massima di tolleranza delle sostanze inquinanti debba essere mantenuta per tutti i corpi idrici entro limiti di accettabilità adeguati a tutelare l'equilibrio biologico ed ecologico di ciascun corso d'acqua".
Questo, in sostanza, era il senso esatto della relazione che la V Commissione aveva inviato alla I e che era stato trascritto in modo non corretto.



PRESIDENTE

Il Presidente della Commissione su questo argomento ha qualcosa da dire?



GARABELLO Enzo

Concordo.



PRESIDENTE

Allora accetta questo testo anziché quello che è contenuto nella relazione. E' iscritto a parlare il Consigliere Menozzi, ne ha facoltà.



MENOZZI Stanislao

Intervenire tra gli ultimi si corre il rischio di prendersi le proprie e le altrui maledizioni ed io vi avrei rinunciato volentieri, se non mi fosse sorto il dubbio che, nell'esame in corso, non esistesse più né la Regione né l'agricoltura. Alcuni amici benevolmente mi vanno sempre dicendo: "portate avanti un discorso di settore", come se noi ignorassimo il problema che circonda quel settore. E' ovvio, però, che quando non viene trattato da altri, qualcuno lo deve pur fare.
Per coerenza mi limiterò a ritornare su alcuni giudizi già espressi in seno alla VI Commissione e dai membri della stessa unanimemente condivisi e successivamente trasmessi alla I Commissione e dalla Giunta sostanzialmente recepiti.
Senza voler affrontare l'aspetto globale della bozza di programma economico nazionale, non posso esimermi dal denunciare il modesto ruolo attribuito alle Regioni e come alle medesime non sia stato assicurato un loro autonomo apporto nella prima fase di elaborazione del documento preliminare, come, d'altro canto, chiaramente evidenziato anche dalla Giunta. A tale proposito si deve ringraziare il CNEL per l'autorevole parere espresso in data 19 e 20/1/ 72 col quale ha richiamato gli organi della programmazione sulla funzione delle Regioni.
E' necessario ricordare che il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro si era più volte, in precedenza, espresso sull'insostituibile funzione delle Regioni, riaffermando sempre che la programmazione è e deve essere il punto basilare d'incontro tra politiche regionali e politica statale, tra esigenze di ordine locale, nazionale e impegni internazionali e comunitari in specie, base determinante di una programmazione che coordini sul piano regionale tutti gli interessi e le attività socio economiche concepite in funzione di uno sviluppo globale.
Non basta sostenere, come si rileva nella parte riguardante la strategia del piano ed il quadro dello sviluppo, che la programmazione economica e sociale deve essere intesa come nuovo metodo politico d'azione capace di assicurare in una logica globale dello sviluppo un effettivo superamento degli squilibri territoriali, economici, sociali e culturali tutto ciò era indicato anche nel programma economico nazionale '66/70 dimostratosi, poi, purtroppo, il libro dei sogni.
Ecco perché, senza abbandonarmi all'esame delle cause e concause che hanno reso impossibile la concretizzazione del precedente programma ritengo che la responsabilizzazione e la sostanziale partecipazione delle Regioni debbano costituire un'indispensabile premessa per dare senso e validità al nuovo metodo politico di cui si fa cenno nel documento in esame, per una seria programmazione; la stessa diagnosi fatta in ordine alle vicende economiche degli ultimi due decenni, prevalentemente caratterizzate da tendenze spontanee allo sviluppo, non è stata sufficientemente condizionata dal pubblico intervento e viene ad avvalorare il positivo ruolo che possono giocare le Regioni, le quali, non esistenti nei periodi dei precedenti programmi economici, oggi esistono e sono una realtà.
E' ovvio che per renderle maggiormente presenti, vive ed operanti s'impone anche e soprattutto il problema di adeguati finanziamenti per i necessari interventi pubblici di loro competenza, finanziamenti che le Regioni non possono reperire soltanto nelle entrate tributarie loro attribuite dalle legge e nel ricorso al mercato finanziario; questo delicato e scottante problema è stato quasi totalmente ignorato nel documento, a cui si fa riferimento. Basti pensare all'attuale situazione nella quale versa l'agricoltura, in tema di finanziamenti, per non parlare dell'artigianato e della piccola e media industria. Trattasi di settori i quali sono anche in attesa di una risposta dalla Regione. Grave iattura sarebbe non poter intervenire a favore degli indicati settori, i quali rappresentano ancora, sotto certi aspetti, l'asse portante della nostra società e che purtroppo non sempre riescono ad ottenere l'attenzione che ad essi sarebbe dovuta. Ed è comunque certo un fatto e cioè che sono settori che non hanno contribuito a riformare l'inno d'Italia ove pare si debba oggi recitare "Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta, metà scioperano e metà fanno festa"; queste categorie indubbiamente non sono da annoverare tra i promotori di detta riforma.
Lo stesso documento programmatico ha riconosciuto - e di questo ne prendiamo atto con compiacimento - che la soluzione della crisi del settore agricolo costituisce un'esigenza di fondo per il conseguimento degli obiettivi posti, quali l'eliminazione dei divari nord-sud, l'espansione degli impieghi sociali, l'ammodernamento dei servizi civili e cioè il miglioramento del quadro generale di vita del Paese. Meglio ancora sarebbe stato se si fosse fatto un più esplicito riferimento, secondo l'impostazione del primo piano quinquennale, all'eliminazione vera e propria del divario esistente tra agricoltura ed altri settori produttivi e, io aggiungo, all'interno della stessa agricoltura. Perché l'affermazione dell'eliminazione del divario nord-sud non dà un quadro esatto di quella che è la situazione; il primo piano quinquennale, al capitolo 180 esplicitava, in modo chiaro e preciso, tra le menzionate finalità, anche il superamento dei divari esistenti tra agricoltura e altri settori agricoltura che salvo l'affermazione di cui sopra e poche altre, ha trovato nel programma una trattazione così insufficiente, che il più volte citato CNEL non ha esitato a definire "generica e quasi di secondo rilievo".
Sono state disattese le stesse affermazioni già contenute nel menzionato primo piano quinquennale circa l'indispensabilità di interventi indiretti ad integrazione dei magri redditi degli operatori agricoli. E' inutile qui ripetere quali sono, in tema di reddito, le cifre per la nostra come per le altrui Regioni. L'abbiamo affermato in passato e lo ripetiamo qui oggi; l'agricoltura rappresenta la mezzadria economica, non tanto in base agli attuali riparti del 58 per cento del prodotto, ma ai tempi in cui vigeva il 50 per cento e forse anche meno; anzi più che mezzadria i redditi agricoli bisognerebbe considerarli di compartecipazione con poco più di un terzo di reddito attribuitole.
Affermiamo che era, quanto meno, opportuno sottolineare l'urgenza di precisi interventi sociali atti ad interpretare l'agricoltura non solo come settore privato, ma anche come servizio che la stessa viene a fornire a tutta la società.
Un altro dato che ci induce a lamentare l'insufficiente spazio dedicato alle esigenze dell'agricoltura, è anche il mancato raggiungimento di quell'ipotizzato incremento del 2,5 per cento di reddito che, salvo una sola annata, non è mai stato raggiunto.
Anche in riferimento alla tanto dibattuta politica dei prezzi, il piano doveva (e non l'ha fatto) contemplare concrete misure di integrazione non potendosi avallare l'abbandono di detta politica, anche se non sempre positiva, sin quando la riforma strutturale in agricoltura, prevista dalle recenti disposizioni comunitarie, non sia diventata un fatto compiuto. Se si verificasse l'abbandono anzitempo della politica dei prezzi, noi verremmo ad accumulare non solo una differenza negativa fra settore agricolo e gli altri settori, ma collocheremmo la nostra agricoltura in una posizione di inferiorità nei confronti dei restanti Paesi della comunità europea.
Così, si impone una decisa politica infrastrutturale. Altro campo nel quale si evidenzia la necessità di un intervento estremamente tempestivo è quello dell'organizzazione dei mercati e, conseguentemente, un'adeguata organizzazione economica della produzione agricola, imperniata sulla cooperazione e sull'associazionismo. In tal senso non possiamo non invocare altrimenti la programmazione, anche sotto questo aspetto, rimarrebbe lettera morta e fatto tristemente astratto - che il nostro Parlamento abbia a promulgare, dopo anni di silenzio, la legge tendente a riconoscere giuridicamente le associazioni dei produttori e a legiferare sulle norme di attuazione delle recenti direttive comunitarie. In caso contrario porremmo il nostro Paese nella condizione di non poter utilizzare uno strumento di tanta portata e che contribuirebbe a vanificare una volta ancora il discorso sulla programmazione.
Per brevità tralascio le altre osservazioni che, d'altro canto, sono state espresse nella nota della VI Commissione allegata alla relazione che la I Commissione ha distribuito in questa sede.
Concludo affermando che motivazione fondamentale, come già ebbi a sostenere, è quella di considerare l'agricoltura come servizio e, pertanto di offrirle idonei ed adeguati mezzi e strumenti alla stessa sua natura lenta a recepire possibilità di sviluppo, poiché vi influiscono considerazioni che sono anche di natura biologica e fisiologica, se non vogliamo che la forbice del divario abbia sempre più ad allargarsi. Anche biologica perché nonostante le ricerche tecniche e scientifiche non è con una macchina che si possa anticipare la nascita di un vitello o la maturazione di un determinato prodotto. Anche per questa lentezza naturale di fronte alla quale scienza e tecnica nulla possono, occorrono interventi integrativi di natura sociale.
E ricordandomi che il Vicepresidente Sanlorenzo, nel corso della mattinata, aveva lanciato una sfida, dicendo: "non ci sarà qualche provinciale che vorrà, di fronte ai gravi problemi che ci assillano portare in discussione la Cecoslovacchia", io mi sento provinciale ma quella sfida non l'accetto e mi limito ad un chiarimento: dalla programmazione economica noi ci auguriamo che si possano determinare non tanto le condizioni paragonabili o riportabili a quella della Cecoslovacchia bensì a dei contenuti e a dei sistemi di una vera ed autentica democrazia, ben lontana dall'esser tale nell'indicato Paese.



PRESIDENTE

Nessun altro chiede di parlare? Allora, la discussione generale sul documento è chiusa. La parola al Presidente della Giunta per la replica.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Signor Presidente e colleghi Consiglieri, mi pare che l'andamento del dibattito sia stato tale da far sostanzialmente convergere le opinioni che qui sono state espresse sul documento che la Giunta ha presentato e sul quale questa mattina ha svolto, a nome della Giunta, la sua relazione l'Assessore Paganelli.
I problemi di carattere economico che qui sono stati dibattuti richiederebbero certo un vasto approfondimento rispetto al documento che la Giunta ha elaborato. Ma io credo che ciò che noi dobbiamo fare è, in definitiva, assumere una posizione nei confronti del programma nazionale evidentemente delineando alcune scelte e alcuni giudizi di fondo che intendiamo rispetto a esso dare.
Questi giudizi di fondo sono stati licenziati con il documento della Giunta; l'Assessore Paganelli ha espresso, specificando meglio ancora di quanto il documento stesso non avesse detto, con un'articolazione diversa e anche più lata, la posizione che la Giunta ritiene si debba assumere nei confronti del documento nazionale. Io credo che questa sera l'ora sia ormai troppo avanzata perché sia possibile intervenire a lungo, abusando della cortesia dei colleghi, come ulteriore presa di posizione da parte della Giunta stessa. Avremo certamente altre occasioni per discutere di aspetti particolari che qui sono stati posti in rilievo, di problemi di carattere più settoriale, per dare un giudizio di carattere più generale e più complesso su ciò che mi pare sia sostanzialmente emerso nella volontà di tutti e che la Giunta ha ritenuto di dover ribadire, cioè una comune volontà, in definitiva, di provocare un tipo di sviluppo diverso, di dare l'avvio ad un meccanismo di sviluppo diverso. Nel documento della Giunta questa volontà è anche concretata in alcune indicazioni di fondo; altre emergeranno nel corso di ulteriori dibattiti all'interno di questo Consiglio.
A me sembra di poter concludere da parte della Giunta la discussione di oggi ribadendo ciò che ha detto l'Assessore, e garantendo ai Consiglieri che sono intervenuti in questo dibattito un'attenta considerazione di ci che essi hanno detto, delle problematiche che hanno avanzato, e considerando tutto questo come un ulteriore contributo ad un documento ma soprattutto ad una scelta e ad una posizione che la Giunta, sia pure nei limiti con i quali può intervenire nell'ambito di una programmazione nazionale, intende condurre avanti e concretare con una precisa scelta e con linee operative e concrete.



PRESIDENTE

Mi è pervenuto il seguente ordine del giorno: "Il Consiglio Regionale esaminata la relazione della Giunta contenente le osservazioni al programma economico nazionale '71-'75 preso atto dell'ampia discussione seguita, delle dichiarazioni dell'Assessore alla programmazione e delle conclusioni del Presidente della Giunta l'approva". Firmato dal Consigliere Bianchi.
Su questo ordine del giorno qualcuno chiede di parlare? Lo porrei allora in votazione. Chi lo approva è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato.


Argomento: Enti strumentali

Esame del disegno di legge n. 63 su "Norme per le indagini conoscitive, gli studi e le ricerche inerenti le funzioni regionali"


PRESIDENTE

Punto nono dell'o.d.g.: "Esame del disegno di legge n. 63 su 'Norme per le indagini conoscitive, gli studi e le ricerche inerenti le funzioni regionali' ".
Prima di dare la parola al relatore, desidero informare che mi è pervenuta da parte del Presidente della I Commissione, Garabello, una lettera con la quale egli informa che la I Commissione esprime parere favorevole, ai sensi e per gli effetti dell'art. 22 comma c) dello Statuto della Regione al disegno di legge n. 63 "Norme per le indagini conoscitive" approvato dall'VIII Commissione.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo, relatore

Colleghi Consiglieri, la complessità dei compiti e delle iniziative nell'ambito delle materie affidate dalla Costituzione alla Regione richiede da parte della stessa la più approfondita e completa conoscenza della realtà e dei problemi che si devono affrontare e risolvere.
Per questo, la Regione deve poter costantemente predisporre, nelle materie di sua competenza, indagini conoscitive, ricerche e studi; deve raccogliere ed elaborare dati per avere una chiara visione dei vari problemi da risolvere poi in sede politica. Lo Statuto stesso, agli articoli 4 e 19, ed in particolare all'art. 9, secondo comma, dà alla Regione la facoltà di predisporre tali studi.
Tale facoltà fino ad oggi è stata esercitata dagli organi regionali senza un'apposita legge di natura sostanziale che indicasse i capitoli di spesa cui far riferimento. Questo disegno di legge di iniziativa della Giunta è stato quindi elaborato per sanare tale carenza legislativa ed ha lo scopo di sorreggere il capitolo 46 del bilancio 1972 per i servizi della Giunta; nella legge è fatto riferimento anche al Consiglio in quanto nel suo bilancio 1973, in apposito capitolo, sarà stanziata una voce di spesa riguardante anche questo punto.
Il disegno di legge è composto di tre articoli. Nel primo viene data facoltà alla Regione di predisporre e realizzare tali ricerche secondo le modalità indicate automaticamente dal Consiglio e dalla Giunta.
Nel secondo si precisa che il Consiglio e la Giunta possono affidare incarichi per tali indagini e studi ad organismi ed istituti di ricerca oppure a singoli esperti, fissandone l'oggetto, le modalità esecutive ed assumendosi gli impegni di spesa.
Il terzo ed ultimo articolo riguarda il finanziamento degli oneri a carico dei capitoli di spesa che saranno iscritti annualmente nel bilancio della Regione.
La Commissione, dopo ampia discussione, ha ritenuto di emendare il primo comma dell'art. 1 nel modo seguente: "In attuazione dell'art. 9, comma secondo dello Statuto, la Regione pu predisporre.". Tale emendamento è stato apportato al fine di precisare più chiaramente lo scopo di tale legge, che è volta a consentire alla Regione di predisporre gli studi ritenuti necessari escludendo quindi la possibilità di richiamare la presente legge per predisporre le consultazioni, previste all'art. 20 dello Statuto, che sono di esclusiva competenza delle Commissioni consiliari permanenti. La Commissione ritiene che tale emendamento possa rendere più precisa tale legge e facilitarne la futura applicazione.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Qual era il testo originario della Giunta?



VIGLIONE Aldo, relatore

L'unica variante consiste nell'aggiunta dell'espressione: "In attuazione dell'art. 9, secondo comma, dello Statuto".



PRESIDENTE

Per regolarità, bisognerebbe che si lasciasse invariato il testo originario della Giunta e a fianco si indicasse l'emendamento proposto e votato dalla Commissione, per rendere possibile il raffronto.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Mi si dice, però, che l'emendamento è stato accolto dall'Assessore.
Allora sta bene, chiedo scusa per l'interruzione.



VIGLIONE Aldo, relatore

Infatti, signor Presidente, la discussione su questo emendamento è stata fatta in Commissione. Si è convenuto sull'opportunità di inserire il richiamo all'art. 9 dello Statuto, relativo alla consultazione, che suona esattamente così: "La Regione consulta gli enti locali, i sindacati dei lavoratori, le organizzazioni di categoria, le formazioni sociali, le istituzioni culturali, le associazioni e gli organismi in cui si articola la comunità regionale, e, quando la materia lo richiede, elettori della Regione secondo le norme previste dallo Statuto e dal Regolamento del Consiglio.
La Regione predispone altresì indagini conoscitive sulle materie di sua competenza anche a mezzo di organi e strumenti di consultazione e di ricerca".
Questo era il testo primitivo dell'articolo, sul quale mi pare fosse stato poi concordato un emendamento, un articolo aggiuntivo, che è stato depositato alla Presidenza.
Il Consigliere Berti aveva fatto rilevare che con questa legge si poteva introdurre un elemento di equivoco, in quanto, essendo l'Ires già statutariamente inserita in rapporto agli studi del piano, questo particolare, in assenza di un chiarimento, poteva anche essere interpretato nel senso che questa legge superasse la deliberazione che il Consiglio ha assunto per l'Ires e quindi praticamente vi fosse una nuova libertà contraria alle decisioni già assunte nei confronti dell'Ires. Questo articolo aggiuntivo è inteso a far chiarezza su questo punto: che per quanto riguarda gli studi relativi alla programmazione ed al piano, di norma l'incarico viene affidato all'Ires, che assume appunto questa veste.
La Commissione ha unanimemente ritenuto di poter licenziare la legge in questa stesura.



PRESIDENTE

Il Consigliere Viglione e gli altri proponenti tengono proprio a che questo sia inserito come articolo aggiuntivo, con articolazione distaccata o accettano che sia collegato, come capoverso ultimo, all'articolo 2 esistente? Suggerirei di scegliere questa via anche ai fini di un acceleramento dei lavori.



VIGLIONE Aldo, relatore

Possiamo benissimo accettare che venga inglobato nell'art. 2.



PRESIDENTE

Sulla relazione di carattere generale qualcuno chiede di parlare? Nessuno? Allora passerei alla votazione dei singoli articoli, dopo la lettura di ciascuno di essi, per appello nominale.
"Art. 1 - In attuazione dell'art. 9, secondo comma, dello Statuto, la Regione può predisporre e realizzare ricerche, studi ed indagini conoscitive nelle materie di competenza, mediante la raccolta e l'elaborazione dei dati, degli elementi e delle notizie all'uopo necessari.
La Giunta Regionale e l'Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale nell'ambito delle rispettive attribuzioni, stabiliscono le modalità organizzative delle ricerche, degli studi e delle indagini conoscitive assumendo i conseguenti impegni di spesa".
Sull'articolo 1 qualcuno chiede di parlare? Nessuno? Allora si passa alla votazione per appello nominale.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Risultano presenti e votanti 37 Consiglieri; hanno risposto "sì" 37.
L'art. 1 è pertanto approvato.
"Art. 2 - Per gli scopi di cui al precedente articolo, la Regione pu rivolgersi ad istituti ed organismi di studio e di ricerca, a facoltà od istituti universitari e ad altre istituzioni specializzate, nonché a singoli esperti od a gruppi professionali, stabilendo con apposite convenzioni l'oggetto, le modalità esecutive e di compenso dei relativi incarichi.
La Regione, di norma, si vale dell'Istituto di ricerche economiche sociali Ires per gli studi e le ricerche per la formazione di piani regionali, di piani settoriali e di piani per aree sub-regionali.
La Giunta Regionale e l'Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale nell'ambito delle rispettive attribuzioni, affidano gli incarichi ed approvano le convenzioni di cui al precedente comma, assumendo i conseguenti impegni di spesa".
Forse sarà meglio dire "al comma primo", dato che abbiamo interpolato.



VECCHIONE Mario

Secondo me, è meglio dire "ai precedenti comma", poiché si riferisce a tutti e due.



PRESIDENTE

Per rispettare la forma, metterei in votazione (tanto è sufficiente farlo per alzata di mano) l'emendamento, in quanto non faceva parte del testo. Chi approva l'emendamento che viene così interpolato nell'articolo è pregato di alzare la mano.
L'emendamento e approvato all'unanimità.
Passiamo ora alla votazione per appello nominale per l'approvazione dell'articolo.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Risultano presenti e votanti 38 Consiglieri; hanno risposto "sì" 38.
L'art. 2 è pertanto approvato.
"Art. 3 - Agli oneri finanziari derivanti dall'applicazione della presente legge si fa fronte con gli stanziamenti di cui ai capitoli 1 e 46 del bilancio per l'anno 1972 e con i corrispondenti capitoli del bilancio degli anni successivi".
Qualcuno chiede di parlare su questo articolo? Allora passiamo alla votazione per appello nominale.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Risultano presenti e votanti 38 Consiglieri; hanno risposto "sì" 38 Consiglieri.
L'articolo è approvato.
Si effettua ora la votazione per appello nominale dell'intero testo della legge.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Risultano presenti e votanti 38 Consiglieri; hanno risposto "si"' 38.
La legge è nella sua integrità approvata.


Argomento: Rapporti con altre Regioni - Rapporti Regioni - Enti pubblici nazionali

Norme per l'erogazione, l'adesione e la partecipazione a convegni congressi ed altre manifestazioni


PRESIDENTE

Punto decimo dell'o.d.g.: "Esame del disegno di legge n. 64 'Norme per l'erogazione, l'adesione e la partecipazione a convegni, congressi ed altre manifestazioni'".
Anche per questo disegno di legge è pervenuta, da parte del Presidente della I Commissione, Consigliere Garabello, la seguente lettera: "La I Commissione esprime parere favorevole, ai sensi e per gli effetti dell'art. 22 comma c) dello Statuto della Regione, al disegno di legge n.
64: 'Norme per l'erogazione, l'adesione e la partecipazione a convegni congressi ed altre manifestazioni' approvato dall'VIII Commissione".
Il Consigliere relatore ha facoltà di illustrare il disegno di legge.



VIGLIONE Aldo, relatore

Colleghi Consiglieri, una vita democratica e partecipativa, nella nuova realtà regionale, postula una serie di iniziative a carattere popolare e di massa, anche per rendere vivo ed operante quanto fissato dallo Statuto, e che più concretamente si estrinseca in convegni, riunioni, manifestazioni incontri, dibattiti, mostre, rassegne, tanto per il Consiglio che per il governo regionale, e sia direttamente che in collaborazione con altri enti od istituti pubblici.
Gli organi regionali avevano, sino ad oggi, provveduto senza un'apposita legge che ne determinasse i limiti, le modalità, gli impegni di spesa, e ne indicasse chiaramente i capitoli di spesa nei due bilanci regionali.
Il disegno di legge d'iniziativa della Giunta persegue le finalità sopra ricordate, e sana, legislativamente, una carenza rilevata altresì in sede di tutela.
Il disegno di legge consta di quattro articoli. All'art. 1 si prevede che la Regione promuova direttamente l'iniziativa di ogni fatto democratico e partecipativo nel secondo si prevede che la stessa Regione concorra con altri enti o pubbliche associazioni; nel terzo articolo si fissano le modalità di organizzazione o di adesione a tali manifestazioni, nelle direttive del Consiglio e della Giunta nel quarto, infine, viene data l'indicazione dei capitoli di bilancio cui far carico degli oneri finanziari.
La Commissione ha ritenuto di emendare il testo originario nel primo e nel secondo articolo. Alla Commissione è parsa troppo restrittiva, al primo comma dell'art. 1, la formulazione: ".riguardanti le funzioni di propria competenza.....", che ha ritenuto di modificare sopprimendo le parole "di propria competenza" e sostituendole invece con la più ampia dizione ".riguardanti le sue funzioni."; così pure al primo comma dell'art. 2 ha sostituito ".attinenti alle funzioni di sua competenza...." con ".attinenti all'esplicazione delle sue funzioni.".
Il testo, così emendato, meglio rispecchia le dimensioni regionali che non vengono più formalmente inglobate in schemi legislativi già superati ma libere di ogni iniziativa atta a rendere i cittadini arbitri, partecipi e determinatori delle scelte e delle decisioni del nuovo ente, e ciò nello spirito dello Statuto della Regione Piemonte.



PRESIDENTE

Nessuno chiede di parlare sulla relazione generale? Passiamo allora alla votazione dei singoli articoli, dopo la lettura di ciascuno di essi per appello nominale.
"Art. 1 - La Regione può organizzare convegni, riunioni ed altre manifestazioni pubbliche riguardanti le sue funzioni, sia direttamente che in collaborazione con altri enti pubblici e privati.
Nel caso in cui l'organizzazione sia di esclusiva pertinenza della Regione, le spese sono assunte a totale carico del bilancio regionale; nel caso in cui avvenga in collaborazione con altri enti, la Regione pu erogare ad essi un contributo finanziario, ovvero può assumere direttamente i relativi oneri avvalendosi dei concorsi finanziari all'uopo convenuti".
Nessuno chiede di parlare sull'articolo? Passiamo allora alla votazione per appello nominale.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Risultano presenti e votanti 35 Consiglieri; hanno risposto "sì" 35.
L'art. 1 è pertanto approvato.
"Art. 2 - La Regione può aderire a partecipare a convegni, riunioni incontri, congressi, mostre, rassegne, celebrazioni ed altre manifestazioni pubbliche attinenti all'esplicazione delle sue funzioni.
L'adesione può consistere nell'erogazione di un contributo finanziario nell'invio di comunicazioni ed altri apporti di carattere tecnico od illustrativo, nella partecipazione di amministratori e di funzionari regionali, nonché di esperti appositamente designati con le modalità di cui al successivo articolo 3".
Il relatore Viglione mi aveva presentato un emendamento sostitutivo perché nel suo testo, nella prima riga dell'art. 2 era scritto: "La Regione può aderire e partecipare.". Nel mio testo figura invece: "Può aderire a partecipare....".



VIGLIONE Aldo, relatore

Non va bene neppure così. Si deve dire: "Aderire o partecipare", per scindere nettamente l'adesione dalla partecipazione. Ad esempio, a Perugia il Presidente potrebbe benissimo mandare un telegramma, senza andarci di persona, per non fare del turismo consiliare, secondo l'esortazione che spesso egli stesso ci rivolge.



PRESIDENTE

Sarebbe un atto di fiducia nel servizio postale.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Non è quello il senso della legge.



VIGLIONE Aldo, relatore

Io ritengo che l'emendamento sia motivato, perché noi non siamo obbligati ad aderire e partecipare. Secondo me, altra cosa è dire "aderire e partecipare", altra dire "aderire o partecipare". L'espressione giusta mi sembra quest'ultima.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Il problema è della spesa. Ovviamente, se l'adesione viene data mandando un telegramma, non c'è bisogno di una legge che autorizzi la relativa spesa postale, ma una partecipazione personale è dispendiosa e richiede una copertura.



VIGLIONE Aldo, relatore

Non è detto che l'adesione consista sempre nell'invio di un telegramma: si può aderire mandando un libro, un quadro.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Cerchiamo di non cambiare il senso della legge. Ripeto, è una legge che deve consentirci una spesa.



VIGLIONE Aldo, relatore

Io mi limito a sottoporre la questione all'assemblea, alla quale spetta la decisione.



BERTI Antonio

Si potrebbe sopprimere la parola "aderire", intendendo che quando si tratta soltanto di adesione la si può fare nella forma che si ritiene più opportuna.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Può trattarsi di manifestazioni che la Regione organizza direttamente o di convegni organizzati da altri cui la Regione aderisce, e sia nell'un caso che nell'altro ci può essere un impegno di spesa. Quindi, sono previsti i due casi: che organizzi la manifestazione prendendola a suo totale carico, o aderisca a convegni indetti da altri enti, partecipando in parte alle spese.



VIGLIONE Aldo, relatore

Non voglio far concorrenza a Leo Pestelli della "Stampa" né diventare emulo del nostro Zanone, che ha curato un'enciclopedia, impuntandomi su una particolarità linguistica, ma faccio osservare che la partecipazione pu benissimo inglobare l'adesione, perché è evidente che se si partecipa si aderisce. Non ne faccio un casus belli: solo non vorrei si dicesse che come al solito, le leggi lasciano a desiderare anche da un punto di vista linguistico.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Abbiamo usato la formula "può aderire a partecipare" perché essa sottintende che l'adesione può consistere anche in un contributo finanziario dato per un convegno al quale in realtà non partecipa nessun nostro rappresentante.



RIVALTA Luigi

Ma questo è detto nel secondo comma.



VIGLIONE Aldo, relatore

Signor Presidente, con tutta la considerazione dovuta alla sua cultura che le viene da studi classici, condotti certamente nei migliori collegi della città, mi permetto di farle osservare che la Regione non può "aderire a partecipare".



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Il problema non è linguistico ma di comprensione o meno della legge.
Devo dire che mi spiace che sia relatore di questa legge proprio lei che dimostra di non averla compresa.



VIGLIONE Aldo, relatore

Mi duole che lei ponga la questione in termini perentori, ma io insisto nel sostenere che non si può dire: "La Regione può aderire a partecipare".



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Non intendo certo sostenere che quell'espressione sia una perla di purezza linguistica: dico però che ci consente di eliminare qualsiasi motivo di annullamento di deliberazioni in ordine a problemi di questo genere. Questa è per noi una legge sostanziale che dobbiamo adottare per avere la possibilità di erogare dei fondi. Siccome sappiamo come vengono esercitati i controlli, dobbiamo cautelarci prevedendo ogni possibilità e premunendoci contro l'eventualità di vederci bocciare una serie di deliberazioni; anche se linguisticamente possiamo storcere il naso di fronte a questo testo.



VIGLIONE Aldo, relatore

Signor Presidente, mi fa già piacere che lei ammetta che la formula linguisticamente non la soddisfa. Se proprio ritiene necessario non modificarla, mi rassegno a lasciarla immutata.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

La ringrazio, signor relatore. Torno a dire che questa espressione è quella che ci permetterà di dare adesione a convegni organizzati da altri enti: nel primo articolo si prevede che la Regione organizzi essa stessa dei convegni e li prenda a totale suo carico; nel secondo che possa dare la propria adesione partecipando a questi convegni sul piano della spesa; si dice poi come questa partecipazione avviene.



BORANDO Carlo

Potremmo dire: "Aderisce alla partecipazione".



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Se ci si accontenta di questa modifica, la posso anche accettare, visto che ci sono di queste perplessità linguistiche, che riconosco anch'io fondate.



VIGLIONE Aldo, relatore

Signor Presidente, mi permetterei di dire che quel verbo "partecipare" è stato forse introdotto erroneamente, perché nella seconda parte si dice: "L'adesione può consistere nell'erogazione". Quindi, già l'adesione ingloba anche quello.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Legga attentamente tutto il secondo comma.



VIGLIONE Aldo, relatore

L'espressione: "Aderisce alla partecipazione", che lei è disposto ad accettare, forse è già migliorativa; ma visto che più avanti si dice: "L'adesione può consistere nell'erogazione", la spiegazione c'è già lì, ben chiara.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Torno a ribadire che ci sono due modi per aderire da parte della Regione: dando un contributo finanziario, inviando comunicazioni eccetera così come facendo partecipare amministratori eccetera. Di qui la necessità di stabilire il principio che può "aderire a partecipare", precisando poi i modi in cui questa adesione può estrinsecarsi.
Se proprio volete che rischiamo di farci bocciare le delibere pur di avere un testo linguisticamente ineccepibile, facciamo pure come dite voi.



VIGLIONE Aldo, relatore

Non è così. Ricordo che vi fu persino una lunga disputa in Parlamento fra Togliatti e Gorresio per un verbo, con citazioni di Guinizelli e via dicendo. Non vedo perché non sia ammessa una disquisizione linguistica alla Regione Piemonte.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Guardi che la disputa non fu nell'aula del Parlamento, dal momento che Gorresio non ne faceva parte, ma nel "transatlantico".



PRESIDENTE

Allora, l'emendamento sostitutivo viene mantenuto o no?



VIGLIONE Aldo, relatore

Vorrei soltanto che non si dicesse che la Regione "può aderire a partecipare", ma si trovasse una più corretta formulazione. Per esempio: "La Regione può aderire."; tanto più che più avanti è chiarito in che cosa consiste l'adesione, cioè nella partecipazione. Sopprimerei, in sostanza "a partecipare".



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Allora, cancelliamo "a partecipare".



VIGLIONE Aldo, relatore

Con questo emendamento soppressivo, il testo risulta: "La Regione pu aderire a convegni e riunioni ecc.. L'adesione può consistere ecc." PRESIDENTE. Viene posto allora in votazione l'emendamento consistente nella soppressione della dizione "a partecipare". Chi lo accoglie è pregato di alzare la mano.
E' approvato all'unanimità.
Allora, poniamo in votazione l'art. 2 nel seguente testo: "La Regione può aderire a convegni, riunioni, incontri, congressi mostre, rassegne, celebrazioni ed altre manifestazioni pubbliche attinenti all'esplicazione delle sue funzioni.
L'adesione può consistere nell'erogazione di un contributo finanziario nell'invio di comunicazioni ed altri apporti di carattere tecnico od illustrativo, nella partecipazione di amministratori e di funzionari regionali, nonché di esperti appositamente designati con le modalità di cui al successivo articolo 3".
Se nessuno chiede la parola, pongo in votazione l'articolo stesso per appello nominale.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Risultano presenti e votanti 38 Consiglieri; hanno risposto "sì" 38 Consiglieri.
L'articolo è approvato.
"Art. 3 - La Giunta Regionale e l'Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale, nell'ambito delle rispettive attribuzioni, determinano le modalità di organizzazione o di adesione, assumendo le occorrenti determinazioni ed i conseguenti impegni di spesa".
Nessuno chiede di parlare su questo articolo? Passiamo alla votazione per appello nominale.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Risultano presenti e votanti 38 Consiglieri; hanno risposto "sì" 38 Consiglieri.
L'articolo è approvato.
"Art. 4 - Agli oneri finanziari derivanti dall'applicazione degli articoli 1 e 2 della presente legge si fa fronte con gli stanziamenti di cui ai capitoli 1 e 4 del bilancio per l'anno 1972 e con i corrispondenti capitoli di bilancio degli anni successivi".
Nessuno chiede di parlare su questo articolo? Passiamo alla votazione per appello nominale.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Risultano presenti e votanti 38 Consiglieri. Hanno risposto "sì" 38.
L'art. 4 è approvato.
Se nessuno chiede la parola, passiamo alla votazione dell'intera legge nel testo testé approvato nei singoli articoli.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Risultano presenti e votanti 38 Consiglieri; hanno risposto "sì" 38 Consiglieri.
L'intera legge, nel testo letto, è approvata.


Argomento:

Norme per l'erogazione, l'adesione e la partecipazione a convegni congressi ed altre manifestazioni

Argomento:

Mozione (rinvio)


PRESIDENTE

Al punto 12 dell'o.d.g. figura la mozione presentata dai Consiglieri Berti, Vecchione, Sanlorenzo relativamente all'istruttoria del processo Valpreda e alle determinazioni attinenti.



VECCHIONE Mario

Io sono pronto a discuterla, ma mi parrebbe opportuno rinviarla ad altra seduta, anche perché si è assentato il Consigliere Zanone al quale avevo creduto di potergli dare assicurazione che l'argomento non sarebbe stato posto in discussione oggi.



PRESIDENTE

Allora il Consiglio è d'accordo di aggiornarla.


Argomento:

Mozione (rinvio)

Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio


PRESIDENTE

Sono stati presentati i seguenti documenti: una proposta di legge da parte dei Consiglieri Calsolaro, Fonio, Nesi Simonelli e Viglione su "Norme per la costituzione e il funzionamento delle Comunità montane".


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio

Argomento:

Interpellanze, interrogazioni e ordini del giorno (annuncio)


PRESIDENTE

Un'interpellanza da parte dei Consiglieri Berti, Revelli e Raschio al Presidente della Giunta e all'Assessore ai lavori pubblici, per sapere se non ritengano opportuno prendere immediatamente contatti con le Amministrazioni comunali di Pradlèves e Castelmagno per esaminare il problema relativo alla mancata fornitura di allacciamento alle linee di distribuzione elettriche dell'Enel e intervenire presso l'Enel. Il testo integrale verrà mandato come di consueto un ordine del giorno a firma Viglione, Vecchione, Bianchi, Gandolfi Garabello, Conti relativo all'esame della questione del premio in deroga che veniva pagato al personale ospedaliero nella sua reale natura di elemento aggiuntivo costante del salario e non quale indennità. L'ordine del giorno verrà portato in discussione nella prossima seduta un'interrogazione a risposta scritta del Consigliere Revelli relativamente alla sospensione dei lavori iniziati senza una licenza un'interpellanza dei Consiglieri Benzi e Vera relativa alla salvaguardia della tenuta La Mandria. Anche questa verrà mandata un'interrogazione del Consigliere Nesi relativa ai problemi della Chatillon e della Montedison per quanto si riferisce allo stabilimento di Ivrea della Chatillon un'interrogazione con carattere d'urgenza dei Consiglieri Marchesotti e Raschio sulla gestione dell'intero pacchetto azionario riguardante lo stabilimento Delta di Serravalle Scrivia di Alessandria.
I testi, ripeto, verranno mandati tutti a domicilio, insieme alla convocazione della prossima riunione.


Argomento: Consulte, commissioni, comitati ed altri organi collegiali

Commissione consultiva per le nomine


PRESIDENTE

Informo che, dopo avere interpellato i Presidenti dei Gruppi consiliari nella riunione del 16 novembre, è decisa questa composizione della Commissione consultiva per le nomine: tre Consiglieri della D.C., due del P.C.I., uno del P.S.I., uno del P.S.D.I., uno del P.L.I., uno del M.S.I., uno del P.R.I.
Effettuate dai Capigruppo le relative designazioni, la Commissione risulta pertanto formata dai seguenti Consiglieri: D.C.: Bianchi, Soldano, Garabello; P.C.: Berti e Marchesotti; P.S.I.: Nesi P.S.D.I.: Vera; P.L.I.: Fassino; M.S.I.: Curci; P.R.I.: Gandolfi.


Argomento:

Commissione consultiva per le nomine

Argomento:

Ordine del giorno della prossima seduta


PRESIDENTE

L'ordine del giorno dei lavori per la prossima riunione del Consiglio che si avrà il giorno 7 dicembre, alle ore 10 e alle ore 16, è il seguente: 1) Approvazione verbali precedenti sedute 2) interpellanze e interrogazioni 3) comunicazioni del Presidente (penso di essere in grado di riferire su quanto si è fatto in questi giorni per il reperimento della sede del Consiglio e dell'aula consiliare) 4) esame del disegno di legge n. 61 su "Norme per l'applicazione dell'imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio e del patrimonio indisponibile" 5) Commissione speciale di indagine sulla situazione edilizia a Bardonecchia: relazione conclusiva 6) esame e discussione dei seguenti argomenti: mozione presentata il 27 ottobre 1972 dai Consiglieri Berti, Vecchione e Sanlorenzo ordine del giorno presentato il 29 novembre 1972 dai Consiglieri Viglione, Garabello ed altri (relativo al premio in deroga ai dipendenti ospedalieri).
E' inoltre pervenuta poco tempo fa un'istanza da parte dei Consiglieri Nesi, Fonio, Calsolaro, Simonelli, Viglione, con la quale "i Consiglieri regionali sottoscritti chiedono che all'ordine del giorno della prossima seduta del Consiglio Regionale sia iscritto il seguente punto: 'Elezione di un Vicepresidente del Consiglio Regionale' ". Non mi si cita l'articolo del Regolamento in base al quale sia proponibile un'istanza da parte di Consiglieri per un punto da collocare all'ordine del giorno: di solito il discorso è fatto nella riunione dei Capigruppo, e non saprei altrimenti come collocarlo dal punto di vista procedurale. Mi riservo di esaminare la questione e di iscriverlo all'ordine del giorno qualora risulti proponibile.



REVELLI Francesco

Per domattina dovrebbe essere pronta la relazione del Consigliere Fassino sulla legge della Giunta per l'edilizia scolastica, che è stata approvata in Commissione. Siccome è una proposta di legge al Parlamento e non è richiesta ampia discussione dato che l'abbiamo approvata integralmente nel testo originario, proporrei di portare anche questa in discussione.



PRESIDENTE

Prendo nota anche di questa richiesta, riservandomi di aggiungere questo argomento all'ordine del giorno.
La seduta è tolta. Il Consiglio è riconvocato per il 7 dicembre alle ore 10.



(La seduta ha termine alle ore 20,40)



< torna indietro