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Dettaglio seduta n.127 del 30/11/72 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE OBERTO


Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Sono in congedo i colleghi Calsolaro, Carazzoni, Debenedetti, Fassino Ferraris, Giovana e Rossotto.


Argomento:

Sull'ordine dei lavori


PRESIDENTE

L'ordine del giorno è stato concordato? Non ancora? Quanto tempo occorre?



BIANCHI Adriano

Signor Presidente, propongo che si proceda nei lavori e nel frattempo vediamo di concordarlo.



PRESIDENTE

Va bene.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Va anche bene che si proceda con un discorso così importante come quello delle Vallere ad aula vuota!!



BERTI Antonio

Mentre è in corso il dibattito sul piano nazionale, che impegna molte ore, è possibile trovare dieci minuti per concordare l'ordine del giorno penso.



PRESIDENTE

Tutto è possibile, però abbiamo interrotto ieri sera il dibattito dicendo di portare in discussione stamane l'ordine del giorno...



BERTI Antonio

Bisognava avvertire i Capigruppo di incontrarsi prima stamane.



PRESIDENTE

Li ho pregati ieri sera di trovarsi prima delle 10, ma mi sembra che l'aula oltre che grigia diventi anche sorda, almeno per quanto riguarda le comunicazioni che faccio io.



BERTI Antonio

Su questo tema il discorso sarebbe molto lungo, in parte riguarda anche noi, ma minimamente ed io sono pronto ad assumermi tutte le responsabilità nei confronti del mio Gruppo, però devo dire che le assenze incominciano ad essere veramente preoccupanti. Ognuno risponderà della propria assenza di fronte all'opinione pubblica. Il sottoscritto è qui e non si muove mai magari per otto ore.



PRESIDENTE

Un po' di movimento c'è...



BERTI Antonio

Qualche volta si esce un momento ma...



PRESIDENTE

Io non mi muovo invece.



BERTI Antonio

D'altra parte l'argomento delle Vallere è talmente importante che sono d'accordo con il dott. Calleri.



PRESIDENTE

Se dieci minuti sono sufficienti per concordare l'ordine del giorno, va bene, sospendiamo per dieci minuti.



(La seduta, sospesa alle ore 10,20, riprende alle ore 10,40)


Argomento: Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici

Interpellanza dei Consiglieri Garabello, Conti e interrogazioni dei Consiglieri Berti, Rivalta, Calsolaro ed altri sul problema della zona delle Vallere


PRESIDENTE

La seduta è riaperta.
Informo il Consiglio che il Presidente della Giunta mi ha trasmesso il disegno di legge regionale "Provvedimenti a favore dei Comuni per agevolare la realizzazione di opere pubbliche relative all'urbanizzazione primaria delle aree destinate all'edilizia pubblica residenziale e di quelle opere necessarie ad allacciare le aree stesse ai pubblici servizi".
Esaminerò e manderò il testo alla Commissione competente.
Siccome l'ordine del giorno è più travagliato di quel che si potesse pensare, per non perdere altro tempo riprendiamo i nostri lavori e darei se la chiedono, la parola agli interpellanti sul tema delle Vallere intendendo che le due interrogazioni restano discusse contemporaneamente.
Qualcuno chiede la parola degli interpellanti? Consigliere Garabello, ne ha facoltà.



GARABELLO Enzo

Signor Presidente, prendo la parola anche se ritengo che l'interpellanza, pur se limitata nel testo, sia abbastanza chiara per esprimere il punto di vista che abbiamo inteso sostenere.
Anzitutto una parte, quella relativa alle informazioni, è decaduta perché passando il tempo si sono potuti conoscere meglio i provvedimenti che ha preso il Comune di Moncalieri. Le Vallere, per coloro che sono torinesi o della provincia di Torino, è una di quelle aree del territorio torinese che rappresenta un cavallo di ritorno per un dibattito che si trascina da molti anni, che ogni tanto ha interessato, appassionato organi amministrativi, Consigli Comunali (particolarmente quello di Torino) e che rispetto ad altre aree di cui si è parlato ha avuto una caratteristica che finora è passata indenne attraverso tutte le vicende e le discussioni che si sono succedute A questo proposito ritengo che la sensibilità di tutti gli amministratori - specificatamente di quelli di Moncalieri, perch l'area è completamente ubicata in quel Comune - ha avuto modo di esercitarsi attraverso la difesa e la non tangibilità dell'area.
E' nota a chiunque l'esattezza dell'affermazione che noi abbiamo fatto secondo cui l'area rappresenta un naturale protendimento sulle sponde del Po del Valentino fino al centro storico di Moncalieri e lo rappresenta in una maniera particolarmente significativa, perché oltre il protendimento c'è il corpo dell'area che è di notevoli dimensioni (mi pare sia sui 110 ettari, oltre un milione di mq.).
E' evidente quindi che l'iniziativa pubblica si dovrebbe porre nei termini che noi richiediamo e cioè che non vengano consentiti insediamenti che non siano strettamente di pubblica utilità e per stretta pubblica utilità intendo giardini, parchi, attività sportive, eventuali attività culturali che si leghino più al tempo libero che non alle forme scolastiche ordinarie, in sostanza impianti di pubblica utilità destinati al tempo libero, alla ricreazione, allo sport. Certo ciò che ha preoccupato coloro che hanno visto i giornali ed i documenti che il Consiglio Comunale di Moncalieri ha approvato, è la previsione di iniziative di tipo commerciale.
Per parte mia sono convinto che per una seria impostazione della terziarizzazione della nostra regione tutto il discorso del commercio e della sua esplicitazione in strumenti, in attività nuove, almeno parzialmente diverse da quelle che oggi sono le tipiche della distribuzione, è aperto; ritengo però - e credo di essere nel giusto - che occorra un esame complessivo in modo che questi insediamenti, quando siano decisamente inseriti in un piano urbanistico generale di assetto del territorio, debbano impegnare tutti quanti, dalla Regione che lo deve approntare, ai Comuni che devono adeguarvi i propri strumenti urbanistici.
Orbene, io non ritengo che l'iniziativa di vasto respiro prevista nella dizione "centri commerciali" nella delibera del Consiglio Comunale di Moncalieri, si possa dire inquadrata in una visione di questo genere. Il discorso sulle strutture, sui supermercati, sugli ipermercati, sui shopping centers è un discorso a mezz'aria che non ha trovato ancora una concreta programmazione. Pertanto in una visione di questo genere una previsione di tipo commerciale alle Vallere è estremamente preoccupante. Noi abbiamo voluto segnare qui un aspetto che non è l'unico ma che penso sia importante. L'area si trova vicino ad un nodo di carattere stradale di estrema importanza che oggi ha trovato un alleggerimento nella tangenziale sud, ma che ha proprio lì uno dei principali imbocchi, anche se la sopraelevata ha risolto molti problemi della circolazione generale. Per non si può dire che questo imbocco della tangenziale abbia facilitato le cose, perché mentre nuovo traffico vi si è incanalato e si dirama molto meglio, il nodo rimane. E' facile prevedere che il traffico si svilupperà ulteriormente per cui mettere degli insediamenti che per conto loro richiamano un fortissimo traffico, accanto ad un nodo stradale di quel genere, è una cosa che ci preoccupa e prevedo che ci pentiremo fra dieci anni di eventuali definitive decisioni odierne.
Però, più che sottilizzare sugli aspetti formali, sugli aspetti amministrativi e giuridici della questione, noi abbiamo voluto puntualizzare proposte di tipo risolutivo.
Ieri il Presidente della Giunta ha fatto delle osservazioni sulla situazione urbanistica di Crescentino che mi trovano perfettamente concorde, ma in termini più generali. Il Presidente ha detto che la Regione avendo la "seconda battuta" in sede di approvazione di piani urbanistici può dire responsabilmente la sua parola. Io ammetto con schiettezza, perch è un punto su cui il Consiglio Regionale deve avere un suo pensiero, che la "seconda battuta" nei problemi urbanistici deve essere usata con discrezione veramente eccezionale perché entra nel merito delle autonomie di progettazione e di decisione degli enti locali, nel caso specifico dei Comuni nel merito del loro assetto territoriale. E questo lo affermo in maniera molto chiara. Rilevo però che i poteri che la legge dava al Ministero dei LL.PP., oggi li dà alla Regione. Credo siamo tutti convinti che la "seconda battuta" sui problemi urbanistici, non deve essere vista soltanto in una stretta visione di blocco, di provvedimenti negativi o repressivi, ma piuttosto accomunata alla funzione attiva che la Regione ha nella progettazione dell'assetto del territorio anche con l'obiettivo di determinare un netto salto di qualità rispetto al vecchio modo di fare urbanistico.
E quindi ogni qualvolta si opererà con le forbici o con la matita rossa sui provvedimenti urbanistici dei Comuni, occorrerà tenere ben presente l'autonomia, strumento con cui i Comuni, intendendola nel modo giusto sanno darsi degli strumenti urbanistici realmente corrispondenti agli interessi generali. Ciò che il Presidente ha detto (con piena approvazione penso, del Consiglio, particolarmente di coloro che facendo parte della Commissione di Crescentino si sono resi conto della gravità del problema dell'assetto urbanistico di Crescentino, di Verolengo e dei dintorni) oggi in termini più generali io lo affermo anche rispetto a questo argomento: la Giunta ha delle possibilità di "seconda battuta". Il Presidente della Giunta o l'Assessore, non so chi mi risponderà, diranno qualcosa in merito.
Però non ci siamo fermati qua, non abbiamo voluto limitarci a indicazioni specie se di tipo repressivo. La proposta di legge dei colleghi comunisti, che la Commissione II ha cominciato a delibare per l'ammissibilità, ci ha persuasi che vi sono dei limiti anche alle possibilità autoritative della Regione nel rispetto dei Comuni. Il problema delle autonomie l'ho presente e non vorrei che da parte di qualcuno si volesse farne una strumentalizzazione.
Il Comune di Moncalieri in questi anni ha difeso le Vallere, le piccole costruzioni marginali penso possano essere spazzate in base ai normali provvedimenti dell'Amministrazione Comunale. Il Comune di Moncalieri in fondo ha difeso l'area probabilmente vedendola in proiezione nel futuro; il futuro ormai è arrivato e bisogna pensare agli aspetti concreti per realizzare il parco. Ritengo che equamente non si debba più accollare completamente al Comune di Moncalieri l'onere di realizzazione di un'opera che lo interessa molto perché nel suo territorio e riguarda la sua popolazione, ma non solo quella popolazione.
Ecco perché abbiamo detto che "riguarda la destinazione dell'intera zona a parco pubblico attrezzato per attività sportive, culturali e di tempo libero, a beneficio particolarmente delle centinaia di migliaia di cittadini che vivono nella zona sud di Torino nonché dei comuni limitrofi Moncalieri, Nichelino, Trofarello, ecc.". C'è un comprensorio che pu identificarsi attorno a questo parco.
Allora, al fine di non vedere esclusivamente una posizione repressiva che metta in gioco, fra l'altro, l'autonomia dei Comuni, noi riteniamo che vi sia una seconda possibilità che noi proponiamo qui e cioè l'acquisizione patrimoniale dell'area. Io penso che anche la Regione possa fare la sua parte; se si identifica un comprensorio di Comuni interessati a quell'area è più che giusto che in una visione metropolitana che viene avanti ciascuno faccia la sua parte, per cui il Comune di Torino, che ha discusso molte volte di questo argomento in Consiglio Comunale ed i Comuni interessati siano chiamati a discutere e a decidere dell'aspetto patrimoniale di acquisizione dell'area, della progettazione per la sua sistemazione e gestione.
Noi avevamo fatto una riserva, qualora fosse stato necessario, di presentare un progetto di legge. Io devo dire qui, riconoscendo all'iniziativa dei colleghi comunisti una serietà ed una logica, che la visione che avevo del progetto di legge era parzialmente diversa, cioè puntata molto di più sulla creazione di una mentalità comune fra le amministrazioni interessate, di cui la Regione doveva essere capofila.
Entrando in una visione patrimoniale si potrebbero avere delle possibilità serie di intervento proiettato nel futuro: per questo dicevamo di rompere gli indugi.
Signor Presidente, io concludo dicendo che su un'operazione di questa natura, per la sua importanza, per le polemiche che suscita e nelle quali io, per la verità, non mi sono inserito perché non ho voluto assumere un atteggiamento fuori luogo (dobbiamo assieme trovare una soluzione del problema) ed anche sul discorso della "seconda battuta" vorrei sentire che cosa pensa la Giunta. Apro specialmente il discorso sulla consensualità fra tutti gli interessati: Regione, Provincia, Comuni di Torino e di Moncalieri ed altri Comuni per giungere ad una soluzione concreta del problema. Io sono certo che, pur se con fatica, con sforzi anche finanziari, il problema ce lo poniamo oggi, nella prospettiva di tempi medi o lunghi, non potremo che essere soddisfatti di aver compiuto un'opera seria di tutela del territorio e della salute dei nostri cittadini. Se oggi, per qualche motivo, non riusciremo a trovare una soluzione, domani certamente la rimpiangeremo. Se domani, come prevede la delibera di Moncalieri, anche se non è di immediata attuazione, vi sarà l'inserimento di attività commerciali, penso che queste risucchieranno talmente su di sé gli aspetti pubblicistici del verde, delle attrezzature sportive e ricreative, che il discorso unitario di carattere urbanistico per il tempo libero, per la salute sarà completamente falsato. E' una considerazione che merita di essere fatta.
Sarei quindi molto lieto se il Presidente della Giunta volesse dirmi che cosa pensa sulla proposta di convocare una riunione delle amministrazioni interessate per porre concretamente sul tappeto, in termini risolutivi anche sul piano patrimoniale, il problema delle Vallere.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta per la risposta all'interpellanza ed alle interrogazioni contestualmente.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Le interpellanze in ordine al problema delle Vallere sono tre: una dei colleghi Garabello e Conti, una dei comunisti ed una dei socialisti.
Certo, il tono delle interpellanze è estremamente diverso dal tipo di polemica che le forze politiche hanno portato avanti su questo argomento prendendo quasi le Vallere ad una sorta di emblematico esempio di certo "pompiduismo" (come è stato riferito su alcuni giornali locali) e come spunto di incontri fra le forze politiche "nella casa di Nicodemo" come si dice nel Vangelo.
Io d evo ovviamente in questo caso rispondere rivendicando alla città di Moncalieri, di cui sono Consigliere, ciò che il Consigliere Garabello ha oggi riconosciuto e cioè che se oggi si può discutere delle Vallere, ci significa che quanto meno nelle Vallere non ci sono state per anni delle compromissioni perché il Comune le ha tutelate con estrema attenzione nonostante che già nell'approvazione da parte del Ministero dei LL.PP. del piano regolatore generale di Moncalieri nel '59, fosse stata raccomandata al Comune una variante alla destinazione di zona agricola; nonostante i ricorsi in Consiglio di Stato da parte dei proprietari i quali (gioverà ricordarlo per un'economia generale del discorso) non sono soltanto le Cartiere finlandesi, ma sono circa 120 piccoli proprietari: nonostante che da parte di taluni santoni di "Italia Nostra" (come l'architetto Vigliano che oggi al Circolo Pannunzio prende le vesti di difensore delle Vallere) ci fosse stata, essendo egli redattore del piano regolatore generale di Moncalieri, una lettera di richiesta di variante al Ministero dei LL.PP.
per destinare nel 1963 la zona delle Vallere da zona agricola a zona residenziale; e nonostante che nel piano regolatore intercomunale di Torino di cui tanto si è discusso nella città, le Vallere fossero state indicate come zona bianca da destinarsi dal Piano regolatore Generale di Moncalieri a zona residenziale, fatta eccezione per una parte centrale destinata ad attrezzature sportive.
Questa sensibilità del Comune di Torino si era già verificata allora quando si ritenne che le Vallere potessero benissimo essere destinate a zona residenziale.
Devo dire queste cose perché mi pare che sia l'approccio obiettivo al problema: Moncalieri, dal 1964 in poi, con il sottoscritto prima Sindaco successivamente Assessore all'urbanistica e infine Consigliere comunale, ha comunque sempre mantenuto la destinazione delle Vallere a verde agricolo non ha approvato il Piano regolatore intercomunale proprio per questa motivazione, che riteneva che comunque le Vallere non dovessero essere destinate a zona residenziale; oggi può sembrare facile dire che le Vallere sono la naturale prosecuzione del parco del Valentino nonché di Millefonti come asseriscono (e giustamente) i Consiglieri Garabello e Conti. Ma credo che il Comune di Moncalieri abbia dei proprietari nella zona e abbia ragionevoli motivi di chiedere se per caso non sia stata reiteratamente interrotta la sua naturale prosecuzione verso Moncalieri, se per caso non siano state concesse delle grosse lottizzazioni in Millefonti (vedi Soc.
Acque Potabili); se per caso quei terreni lì, dal punto di vista del tempo libero di migliaia di cittadini di Moncalieri, Nichelino, Trofarello ecc.
non avevano delle caratteristiche migliori delle caratteristiche stesse delle Vallere e se naturale prosecuzione non erano ad esempio i due grossi edifici de "La Stampa" e della "S.A.I.".
Per cui io devo dire e il Comune di Moncalieri deve dire che, accettato il discorso del parco pubblico, non si può tuttavia consentire che ci sia questa strumentalizzazione di carattere moralistico, se si sono fatti nel passato degli errori non si deve vedere dietro questi eventuali errori di svalorizzazione dell'area a determinati fini, qualche cosa di diverso da ciò che l'area in realtà può rappresentare. Voglio dire cioè che è meglio non fare dell'inutile moralismo perché dietro questo moralismo ci potremmo mettere tutti quanti e probabilmente avremmo tutti delle cose da dire.
Il fatto poi di identificare solo nell'area delle Vallere le possibilità di parco pubblico, è una cosa che lascia molto perplessi, non perché non esista il problema, ma perché se un discorso di questo genere deve essere fatto, come è giusto, deve essere impostato non in modo discriminatorio nei confronti della città di Moncalieri e di quei proprietari (che pure sono 120 coltivatori diretti, a parte i 400.000 metri dell'area ex Cartiere Bosso). Non si vede perché questo discorso non debba essere fatto anche per quanto riguarda altri grossi comprensori dove c'è irregolare utilizzazione di carattere edilizio, perché non debba valere per esempio per il Comune di Venaria e per altre situazione del genere in cui un discorso di carattere generale deve essere fatto.
Da ultimo, non posso non rilevare questo improvviso scoppio di sensibilità intorno all'area delle Vallere nel momento in cui il Consiglio Comunale di Moncalieri, non potendo più legittimamente sostenere che quell'area deve essere destinata a zona di verde agricolo, si appresta ad una delibera quadro che consente delle virtuali utilizzazioni. Ma che cos'è questo improvviso interesse quando soltanto otto mesi fa, da parte della città di Torino e di altri Comuni interessati, si voleva utilizzare l'area delle Vallere per un uso che difficilmente può definirsi di verde pubblico si voleva cioè destinarla alla costruzione dei depuratori di raccolta di tutte le fognature dei comuni rivieraschi del Sangone. In quel momento nessuno ha sollevato alcuna eccezione ed a difendere in definitiva la destinazione a verde pubblico dell'area delle Vallere si è trovata la Giunta Comunale di Moncalieri.
Questo credo che in sede di Consiglio Regionale si debba dire per inquadrare il problema nella sua giusta valutazione.
Sulle autonomie dei Comuni io non ho nulla da aggiungere e condivido ciò che in questa sede ha detto il Consigliere Garabello. E' evidente tuttavia che dobbiamo esercitare sui Comuni, sia pure in "seconda battuta" quel compito di coordinamento che compete all'organo regionale di vigilanza sull'attività edilizia ed urbanistica.
Devo però subito riferire la deliberazione che il Comune di Moncalieri ha assunto: per l'intera utilizzazione dell'area a parco pubblico, tra gli espropri e la sistemazione dell'area è stata preventivata una spesa (con tutte le approssimazioni inerenti a questa valutazione) dell'ordine dai sei agli otto miliardi. Di fronte ad un impegno di questo genere, evidentemente impossibile per la città di Moncalieri, quel Comune ha pensato ad una valorizzazione dell'area che facesse quanto più salva possibile la destinazione a verde pubblico, innescando tuttavia un processo di utilizzazione per taluni scopi, comunque non residenziali, quali i centri sportivi, per la vita culturale e commerciale. Si può certamente discutere sull'opportunità o meno di centri commerciali in questa zona, si può essere o non essere d'accordo, ma credo che prima di assumere delle posizioni di carattere pregiudiziale sarebbe quanto meno opportuna una verifica di carattere urbanistico e scientifico, al di là dell'espressione di opinione personale. Tuttavia credo che non si possa pregiudizialmente dire che un'utilizzazione di carattere commerciale, nei limiti in cui essa è stata prevista dal progetto complessivo di destinazione di zona sia da scartarsi.
E' questo che non riesco ad accettare, tenuto conto che il Comune di Moncalieri a questa virtualità è arrivato dopo avere verificato le opinioni dell'Ires in generale sulla sistemazione di centri commerciali rispetto ai nodi vari. E' difficile quindi pregiudizialmente dire no, lì non si pu fare; è tutto da discutere, il che comporta un approfondimento dell'intero problema che a mio giudizio andrebbe comunque ancora fatto E allora che cos'è la delibera del Comune di Moncalieri? E' la proposta di una variante che facendo salvi i quattro ottavi dell'area consente la destinazione di un ottavo a costruzioni di centri limitati ad otto metri un ottavo a parcheggio; due ottavi a verde privato e l'altra metà, cioè 600.000 metri, a parco pubblico acquisito gratuitamente a seguito dell'intervento eventuale di capitale privato nell'operazione.
Debbo subito premettere (per quanto riguarda il Comune di Moncalieri sono autorizzato dal Sindaco e dalla Giunta) che quel Comune vede con estremo piacere la possibilità di destinare tutta l'area a verde pubblico ma non lo può certo fare con proprio ed esclusivo intervento.
Il Comune di Moncalieri tuttavia non accetta (e secondo me ha ragione) che questo discorso venga fatto esclusivamente sull'area delle Vallere quasi che solo quell'area debba avere una destinazione di questo tipo. Il Comune di Moncalieri ritiene di poter accettare dalla Regione un discorso di questo genere se inquadrato in una globalità di interventi che interessino l'intera area metropolitana e cioè che vada alla ricerca di un recupero di verde pubblico e di un riequilibrio urbanistico che non faccia gravare l'intero intervento esclusivamente sulla città di Moncalieri.
In questo senso è evidente che la Giunta ed io condividiamo le preoccupazioni relative al massimo recupero possibile di verde pubblico, ma siamo anche rispettosi (e penso che dobbiamo esserlo) dell'autonomia della città di Moncalieri in queste decisioni; rispetto al documento urbanistico che il Comune di Moncalieri ha approvato in Consiglio Comunale, vi pu essere da parte della Regione il richiamo ad un ripensamento solo ed in quanto questo ripensamento venga collocato in una determinazione dell'Amministrazione Regionale relativa alla redazione di un piano territoriale di coordinamento ai sensi dell'art. 5 della legge urbanistica che riguardi il comprensorio intorno a Torino e vada alla ricerca ed al recupero di aree che possano essere destinate a questo servizio, proprio per un riequilibrio di carattere territoriale ed urbanistico.
Solo in questo modo si può collocare un intervento che altrimenti avrebbe carattere discriminatorio, repressivo che il Comune di Moncalieri ma prima ancora noi stessi, non potremmo accettare di attuare.
Io credo che il discorso vada posto in questi termini ed in questo senso la Giunta si è già pronunciata nella riunione di martedì; occorre un piano territoriale di coordinamento che riguardi l'area metropolitana torinese, ma che vada alla ricerca di grandi proprietà terriere come l'Opera Pia Barolo, l'Ordine Mauriziano, "La Mandria" ecc. per poter fare questi recuperi che noi crediamo siano validi.
Per quanto riguarda l'approvazione della deliberazione del Piano regolatore di Moncalieri, non essendovi nulla di compromesso in una delibera quadro come questa, si può chiedere al Comune di Moncalieri senza interventi repressivi, indipendentemente dal tipo di destinazione che ha dato, di sospendere qualunque determinazione di utilizzazione, in attesa della redazione complessiva del piano territoriale di coordinamento.
Io penso che non possiamo camminare in questa direzione in modo da non avere degli atteggiamenti discriminatori e repressivi, ma in maniera da poter collocare l'intervento urbanistico della Regione nel quadro di una serie di interventi che riguardano la cintura di Torino. Io direi però che in un piano territoriale di coordinamento non possiamo nemmeno essere assenti da ciò che capita nella città di Torino, non vorrei che ci fosse qualcuno che fa il furbo in modo particolare nell'interno della cinta daziaria e che tenda all'utilizzazione di tutte le aree intorno a Torino scaricando sui Comuni della cintura questo enorme bisogno di verde che c'è.
Questo non perché io abbia alcun dubbio che ci sia la massima volontà da parte di tutti di intervenire in questa direzione, ma perché mi sembra che così non assuma quel carattere discriminatorio che altrimenti assumerebbe un intervento della Regione nella direzione esclusiva della città di Moncalieri.
Io accolgo senz'altro l'idea che il Consigliere Garabello ha qui espresso di valutare la possibilità di interventi patrimoniali della Regione in questa direzione, anche se non so bene come li possiamo collocare, ma indubbiamente è un problema che va approfondito, studiato e posto come una delle possibilità di strumentare, di orchestrare una politica urbanistica che faccia salvi alcuni valori che tutti quanti noi vogliamo salvaguardare.
A conclusione ritengo dunque di poter dire che rispetto alla legittimità della deliberazione assunta dal Consiglio Comunale di Moncalieri, non ci possano essere dei dubbi e penso che non sia giusto fare un intervento repressivo, ma occorra fare un piano territoriale di coordinamento che riguardi complessivamente tutta l'area verde utilizzabile nella zona del comprensorio torinese. Io credo che valga la pena di studiare un intervento dei Consorzi, dei Comuni, della Regione ove quest'ultima possa realmente intervenire, per un recupero totale dell'area a verde pubblico, però è possibile farlo soltanto in quanto si guardi al problema nel suo complesso e non venga risolto all'area di Moncalieri quasi a privilegiare al contrario questo Comune forse perché a Moncalieri è Consigliere comunale il Presidente della Giunta Regionale oltre che il collega Berti Capogruppo regionale del partito comunista. Questa sorta di strano privilegio al contrario nei confronti della città di Moncalieri sarebbe davvero un gesto discriminatorio e non avrebbe certo alcun crisma di legittimità.
La discussione che abbiamo fatto sulle interrogazioni presentate e che hanno portato alla ribalta un argomento che sta a cuore a tutti quanti è stata molto positiva. Io credo che si debba dare atto al Comune di Moncalieri, in definitiva - come ne ha dato atto il Consigliere Garabello di avere salvaguardia, ma dobbiamo discutere anche delle altre aree proprio per non fare delle discriminazioni nei confronti di un Comune, nei confronti di proprietari che hanno visto sorgere intorno a loro molte residenze e che davvero non riescono a spiegarsi (nemmeno il Ministero dei LL.PP. riusciva a spiegarlo) perché quella debba essere area agricola in mezzo a tutta una serie di costruzioni, in mezzo a zone interamente residenziali.
Dato atto dell'importanza di questo dibattito, io ho indicato le linee lungo le quali muoversi, dichiarando (come sono autorizzato a fare per conto del Sindaco di Moncalieri e di quella Giunta) che c'è la totale disponibilità ad un intervento volto al recupero totale della zona delle Vallere a verde pubblico, però nel quadro di un piano territoriale di coordinamento attraverso il quale sia possibile il recupero globale delle aree della zona torinese.



PRESIDENTE

Prima di dar loro la parola, mi permetto di ricordare agli interpellanti e agli interroganti che il Regolamento concede a ciascuno cinque minuti di tempo. E' una norma che vorrei in questa circostanza applicare rigorosamente, perché, come già è stato detto ieri, vi sono colleghi - Paganelli, Sanlorenzo, lo stesso Consigliere Berti - che devono partire per partecipare al Convegno di Cagliari; ed anche perché, essendovi una proposta di legge, l'argomento potrà venir portato ancora in discussione in Consiglio ed essere puntualizzato ulteriormente, se ve ne fosse la necessità. Prego quindi coloro che desiderano dichiarare il loro assenso o dissenso alle risposte della Giunta, di contenere il loro intervento nei cinque minuti regolamentari.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Conti.



CONTI Domenico

Il Consigliere Garabello ed io ci dichiariamo soddisfatti e del modo in cui il Presidente della Giunta ha voluto accogliere il testo della nostra interpellanza, interpretarne lo spirito, e della risposta che ci ha dato.
C'è soltanto un motivo di perplessità: non vorremmo che le parole del Presidente della Giunta adombrassero che la soluzione del problema di Moncalieri sia subordinata ad un esame globale dei problemi relativi ai parchi pubblici su tutta l'area metropolitana. Per la verità, è un'alternativa che mi sembra contraddetta dalle stesse affermazioni fatte dal Presidente.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

E' superata.



CONTI Domenico

Appunto, è superata, in quanto il Presidente ci ha detto che il Comune di Moncalieri è disponibile a questa operazione laddove naturalmente si provveda a fare in modo che non debba addossarsi esso completamente il carico, ciò che sarebbe evidentemente ingiusto, e che d'altra parte riconosce in questa sistemazione eventuale a parco pubblico attrezzato un interesse dello stesso Comune di Moncalieri. Esisterebbero, dunque, le premesse per poter procedere, mentre si prosegue il discorso sul piano generale.
Tuttavia, questo problema, come ha affermato anche nella sua risposta il Presidente della Giunta, a me sembra potrebbe essere trattato anche proprio come situazione esemplare: non come un intervento irriguardoso a carattere repressivo da parte della Regione ma come un tentativo di un importante Comune della Regione Piemonte, sul quale si richiama l'attenzione degli altri Comuni interessati perché diano il loro contributo alla soluzione di un problema che, in definitiva, interessa non solo il Comune di Moncalieri ma la generalità dei Comuni della cintura torinese.



PRESIDENTE

Chi dei due interroganti, Berti e Rivalta, chiede di parlare? Il Consigliere Berti. Ne ha facoltà.



BERTI Antonio

Noi abbiamo presentato una proposta di legge, su questa questione delle Vallere, ma non avremmo evidentemente nulla in contrario a ritirarla se la sostanza della nostra proposta venisse accolta sotto altra forma. Abbiamo poi presentato anche un'interrogazione, essenzialmente per chiedere al Presidente della Giunta se non ritenga di rendere il Consiglio partecipe mi attengo strettamente al testo, proprio per essere il più possibile conciso - "delle valutazioni di merito che la Regione è chiamata a formulare relativamente alle decisioni del Comune di Moncalieri, come di altre di analoga incidenza sull'assetto economico, speciale, urbanistico e territoriale che assume ecc. ecc.". In sostanza, noi nella nostra interrogazione prendiamo le mosse dalla questione delle Vallere, ma invitiamo anche il Presidente della Giunta e la Giunta ad una precisazione di carattere procedurale. La prassi esclude, infatti, per quanto ci riguarda, che siano portate all'attenzione del Consiglio Regionale, o delle Commissioni, tutte le questioni che attengono a decisioni di carattere urbanistico assunte dai Comuni, facendo però eccezione per i casi in cui queste rivestano un interesse che travalica i confini dei Comuni e investe direttamente il territorio, le quali possono, anzi devono, essere discusse dagli organi del Consiglio. Il Presidente non ha detto niente a questo proposito, per cui il problema rimane aperto.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Non avevo rilevato questa sottile insidia.



BERTI Antonio

La invito pertanto a definire questa questione, senza tuttavia impegnarla a dar corso all'invito con immediatezza, sul piano delle competenze del Consiglio e della Giunta.
Per quanto riguarda la risposta in ordine al vero e proprio problema delle Vallere, devo dichiarare, a nome del mio Gruppo, che la risposta ci soddisfa. Ci soddisfa per quello che fa intravedere. La Regione ha in questo campo una grossissima occasione - in un quadro legislativo istituzionale ed anche politico in cui le possibilità di affermarsi sono alquanto limitate e occorre farsi strada a forza di gomito, opponendosi al Governo, come abbiamo visto ieri per quanto riguarda la legge sugli asili nido - di caratterizzarsi in rapporto ai beni sociali, in questo caso per le zone di verde che può dare alla collettività del comprensorio torinese.
Noi valutiamo in tutta la sua importanza il modo con il quale il Presidente della Giunta ha posto il problema del verde a Torino, cioè siamo completamente d'accordo con lui sul fatto che occorra affrontare il problema del verde nel suo complesso, nel senso di recuperare tutte quelle grandi aree di verde che ancora sono disponibili; pertanto, la proposta di un piano comprensoriale che recuperi e vincoli alla collettività tutte queste aree ci trova perfettamente consenzienti.
Non ho difficoltà a dare atto che il Consiglio Comunale di Moncalieri ha saputo preservare quest'area (per quanto riguarda il nostro Gruppo, non credo vi sia possibilità di dubbio sul fatto che noi l'abbiamo difesa con i denti, ma certo anche la Giunta Comunale di Moncalieri ha merito per aver mantenuto fino ad oggi l'area intatta). Il problema è sorto però nel momento in cui ci si è proposti di intervenire su di essa. Credo di poter affermare che il modo con il quale il Presidente della Giunta ha posto il problema ci solleva da alcune preoccupazioni che ci avevano addirittura indotto a presentare una proposta di legge. La nostra proposta non aveva alcun intento repressivo nei confronti del Comune di Moncalieri. Noi siamo rispettosi dell'autonomia di ogni Comune: diciamo però che occorre fare in modo che questa autonomia non sia usata contro l'interesse della collettività, e che pertanto occorre delineare esattamente i limiti anche politici in cui essa deve esercitarsi. La nostra proposta di legge, del resto, recepiva quasi interamente la destinazione che il Comune di Moncalieri aveva fatto dell'area, escludendo essenzialmente i servizi commerciali per motivi che ha già ampiamente esposto Garabello, condivisi mi è parso di capire, dallo stesso Presidente della Giunta, e che trovano noi pure pienamente consenzienti. Ho detto che la nostra proposta non era affatto repressiva anche perché non intendeva affatto addossare al Comune di Moncalieri gli oneri di un'operazione che si presenta molto impegnativa: certo, siamo dell'avviso che il ricorso all'istituto dell'esproprio, per esempio, potrà ridurre di molto i 7-8 miliardi di spesa di cui il Presidente della Giunta ha parlato, ma questa è questione di cui potremo eventualmente discutere in seguito. Rimane comunque il fatto che in questo momento le dichiarazioni del Presidente della Giunta aprono prospettive estremamente vaste.
Noi siamo quindi d'accordo che il problema debba essere affrontato con il Comune di Torino, con i Comuni di Nichelino e Trofarello, aggiungerei anche la Provincia di Torino, e naturalmente con il concorso della Regione per conservare alla collettività l'insieme di aree verdi che posseggono i Comuni della cintura di Torino. Ma vorrei avere assicurazione che il problema non verrà posto nel senso che se non sarà affrontato il problema delle aree verdi nel suo complesso per Moncalieri si manterrà quel tipo di deliberazione, secondo il timore espresso dal collega Conti, che a me per non era sorto. Terrei anche ad essere rassicurato che non sia condizionata da altre decisioni l'importante decisione che il Presidente della Giunta ci ha qui esposto, che ci auguriamo possa diventare rapidamente (penso ad un piano pluriennale, di sei, sette, otto, dieci anni) realtà.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Desidero subito precisare che io non ho posto assolutamente il problema nel senso di un'alternativa, per cui o si pone mano al problema di carattere generale, o va avanti la decisione assunta dal Comune di Moncalieri: ho detto chiaramente che noi abbiamo quasi ultimato l'approntamento del piano territoriale di coordinamento e che nel momento stesso in cui lo vareremo, in questa stessa settimana, avremo le carte in regola per chiedere al Comune di Moncalieri, senza atteggiamento discriminatorio, di sospendere le determinazioni relative alla destinazione dell'area.



PRESIDENTE

Chi degli altri interroganti - Consiglieri Calsolaro, Fonio, Nesi Simonelli, Viglione - chiede di parlare? Il Consigliere Viglione. Ne ha facoltà.



VIGLIONE Aldo

Colleghi Consiglieri, chi come me, allora studente, veniva di frequente a Torino in treno dalla zona a sud, dalla mare-Torino, venti-ventincinque anni fa, vedeva profilarsi un ridente paesaggio verde in cui era incorniciata Moncalieri, con il suo castello, il collegio, la sua ordinata struttura urbanistica, che risaliva a secoli addietro, un paesaggio sul quale lo sguardo si soffermava con piacere. Negli ultimi ventuno anni guasti irreparabili sono stati prodotti: verso Trofarello, verso la pianura, ma soprattutto gravi più ci si avvicina a Torino: la stonata costruzione dell'Agip fu la prima di tutta una serie di altre che distrussero quell'area: la Sogene, l'Immobiliare - mi pare, almeno, che si tratti di queste società - costruirono tutta una serie di palazzi sul lato sinistro per chi si avvicina a Torino.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Prima di quelli della Sogene ci sono anche gli edifici delle Acli.



VIGLIONE Aldo

Con amarezza ho assistito passo passo a questa trasformazione E' stata poi la volta di "Italia '61", un complesso che ha costituito uno spreco di decine di miliardi, anni fa, di cui non si salva che qualche palazzo destinato ad entrare nella storia, per così dire "faraonica", della città di Torino, perché tutto il resto - la monorotaia, i laghetti, le altre costruzioni - sono ridotte ad uno stato di completo abbandono.
In tanto squallore non rimane, di quel paesaggio che era familiare a chi giungeva in tempi lontani alla capitale piemontese, che una zona verde di un milione e 200 mila metri quadrati, lungo il Po: volgendo lo sguardo verso la collina si vede già tutto un paesaggio di cemento, un susseguirsi di costruzioni; per non parlare dello scempio che è stato fatto di quella valletta un tempo deliziosa che si trova proprio di fronte al Centro traumatologico, quella di Cavoretto.
Certo, il discorso da fare per la salvaguardia di quest'area finora sfuggita all'assalto della speculazione edilizia va legato ad un più ampio discorso che abbraccia situazioni analoghe di tutti i Comuni della cintura torinese. Chi non ricorda Nichelino com'era venticinque anni fa, un paesetto di cinquemila abitanti, diventato oggi di quarantacinquemila? Chi non si è reso conto di come sia mutata la fisionomia di Grugliasco, di Orbassano, di Rivoli? Evidentemente, anche per queste località c'è tutto un discorso da fare. Noi non possiamo però, in questo momento, dichiararci soddisfatti della risposta data dal Presidente: è una risposta troppo vaga.
Già in altre occasioni egli ha detto: vedremo, faremo; e poi, in definitiva, non si è visto e non si è fatto. Quindi, il discorso è questo: intende il Presidente prendere posizione? E' inutile che egli si schermisca dicendo che la decisione tocca al Comune di Moncalieri, che noi dobbiamo essere rispettosi dell'autonomia di quel Comune. Lei che è stato sindaco che è stato assessore, che è Capogruppo della Democrazia Cristiana al Comune di Moncalieri, sa benissimo che questo discorso è politico: perch il Comune di Moncalieri lo compongono tanti democristiani, tanti socialisti, tanti comunisti, tanti liberali, e sono appunto le forze politiche che concorrono a determinarne le decisioni. Tutti noi siamo rispettosi dell'autonomia del Comune di Moncalieri. Strano però che non si sia mai insistito tanto sul richiamo al rispetto delle autonomie comunali come in occasione della discussione odierna, per il milione e 200 mila metri del territorio delle Vallere.
Il discorso, dunque, va visto indubbiamente nella sua globalità. Per occorre che lei, signor Presidente, si impegni oggi personalmente (poi pu darsi benissimo che il Comune di Moncalieri la sconfessi, perché non si pu escludere a priori che il Consiglio Comunale di Moncalieri possa pensarla in modo diverso da come la pensa lei) a fare in modo che si sospenda questa deliberazione così che nulla venga compromesso mentre si provvederà ad impostare il discorso di carattere generale. Anche per La Mandria si era discusso a suo tempo, ma poi all'interno della Mandria le lottizzazioni sono avvenute ugualmente....



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Non da quando c'è la Regione Piemonte.



VIGLIONE Aldo

Ma io non l'ho mai sentito prima d'ora battersi, signor Presidente contro le lottizzazioni fatte all'interno della Mandria, in quel ghetto per ricchi dove la casa costa sui cento milioni, chiuso ermeticamente da una cinta perché i ricchi amano vivere isolati.
La questione va posta, certo, anche per tutta l'area del parco di Stupinigi, ad esempio. Ma questo discorso globale va fatto subito, senza ulteriori attese e dilazioni, bloccando nel contempo la delibera, ad evitare che il territorio di Moncalieri subisca ulteriori deturpazioni, che si riproduca là quanto avvenuto a Nichelino, ove gli edifici si sono talmente infittiti che per giungere da Nichelino a Torino occorrono cinquanta minuti, il doppio del tempo che occorre per venire a Torino da Fossano.
Noi potremo dichiararci d'accordo e soddisfatti solo se lei Presidente, prenderà impegno ad operare in modo che la delibera di massima (cui seguiranno ovviamente i piani esecutivi, che evidentemente nella delibera non potevano essere contenuti) rimanga sospesa in attesa della determinazione per l'area torinese in generale.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Lei che è un notevole cultore del diritto, Consigliere Viglione, deve dirmi attraverso quali strumenti potrei operare a tal fine.



VIGLIONE Aldo

Io mi limito a chiedere il suo impegno. Il Comune è autonomo e libero di prendere le sue decisioni, lo sappiamo, ma chiediamo a lei, oggi, qui di assumere personalmente tale impegno. In mancanza di ciò non potremmo dichiararci soddisfatti.



PRESIDENTE

Le interpellanze e le interrogazioni sono discusse.
Siccome è emersa dall'intervento del Consigliere Berti l'eventualità di un ritiro della proposta di legge, qualora tale intenzione si concretasse pregherei di comunicarmelo il più sollecitamente possibile, affinché io possa avvertirne la Commissione competente, esonerandola dal portare ulteriormente innanzi uno studio che sottrarrebbe tempo inutilmente. Le Commissioni, come sapete, sono tutte assai oberate di lavoro.


Argomento: Industria (anche piccola e media)

Ordine del giorno sull'insediamento Fiat a Crescentino


PRESIDENTE

Passiamo all'ordine del giorno che era rimasto in sospeso ieri sera. E' stato raggiunto un accordo su un testo sul quale non si debbano accendere ulteriori discussioni? Altrimenti, sarei costretto a rimandarne la presa in esame, dal momento che ci sono dei colleghi sul piede di partenza per il Convegno di Cagliari impegnati ad intervenire nella discussione sul programma economico nazionale.



BIANCHI Adriano

E' stato concordato questo testo, signor Presidente.



PRESIDENTE

Ne do lettura: "Il Consiglio Regionale esaminata la relazione sull'insediamento Fiat a Crescentino predisposta dalla Commissione speciale di cui all'ordine del giorno approvato nell'adunanza del 6 ottobre '70, per un'indagine ed uno studio sui problemi degli insediamenti industriali progettati nelle zone di Crescentino e di Albiano costatato che l'insediamento non appare coerente con gli obiettivi di ridurre il saggio di crescita dell'area torinese e di rivitalizzare una serie di poli minori aggregati in aree ecologiche, come indicato nelle linee del primo Piano di sviluppo, ribadito nel rapporto preliminare al secondo Piano di sviluppo prende atto del lavoro svolto, condividendo sostanzialmente le valutazioni e le indicazioni fornite al riguardo dalla relazione riafferma l'esigenza di fondo che la Regione arrivi al più presto a dotarsi di un Piano regionale adeguatamente articolato in termini territoriali e fornito di strumenti operativi (dai piani di aree ecologiche o comprensoriali alla Finanziaria pubblica per le infrastrutture e l'assetto del territorio) onde poter collocare nel quadro del piano ogni valutazione sulle nuove localizzazioni sostiene la necessità di dar corso alle proposte indicate nella relazione ed in particolare di provvedere a tutti gli approfondimenti ancora necessari, specialmente per quanto attiene al problema degli inquinamenti e dello sfruttamento delle risorse idriche, salvaguardando in via prioritaria le fonti di approvvigionamento per le esigenze civili di sollecitare la realizzazione dei progetti in materia di residenza, di servizi e di trasporti di far affrontare, d'intesa con gli enti locali, gli studi per un piano territoriale dell'area interessata di operare affinché le dimensioni dell'insediamento non vengano ulteriormente dilatate".
L'ordine del giorno reca le firme dei Consiglieri Bianchi, Zanone Besate, Vera, Garabello, Gandolfi e Simonelli. Credo quindi di poterlo mettere in votazione. Il Consigliere Rivalta chiede di parlare. Ne ha facoltà.



RIVALTA Luigi

Vorrei chiarire la ragione del nostro voto su questo ordine del giorno.
Abbiamo aderito a questo ordine del giorno, che per l'appunto reca in calce la firma di un nostro compagno, membro della Commissione, perché i problemi posti, direi, sono ovvi, e ad essi non ha senso opporci.
E' certamente vero che la Regione deve assumersi gli impegni che in questo ordine del giorno sono dichiarati. Ma vogliamo anche subito precisare che la discussione di ieri ha fatto emergere come alcuni problemi siano rimasti aperti: non abbiano avuto ancora un esaurimento di indagine la Commissione non dispone ancora di esaurienti dati di conoscenza; non è stato assolto il compito di formulazione di proposte al Consiglio Regionale che erano stati assegnati alla Commissione. Per questa ragione noi ieri avevamo chiesto che la Commissione rimanesse in vita fino al completamento di quegli studi, che sono fondamentali per un'approfondita conoscenza dei problemi che riguardano Crescentino. Lo stesso Presidente della Giunta aveva riconosciuto la fondatezza di questo mio punto di vista. Nell'ordine del giorno non vediamo però esplicitato l'impegno a protrarre i lavori della Commissione fino al termine di queste indagini.
Altra questione che voglio sollevare è quella che il lavoro della Commissione per Crescentino finisce con il non avere effetti incisivi positivi, sull'attività della Regione, sulle posizioni che la Regione deve assumere in generale sui problemi delle localizzazioni industriali; così è quando non ci si pone il proposito di estendere l'indagine, e di conoscere quanto avviene nel territorio regionale intorno alla localizzazione delle grosse industrie.
Cito un unico esempio, probante di quanti problemi possano esistere sul nostro territorio regionale, e quante questioni possano emergere dalle localizzazioni industriali; quello della Lancia di Verrone. Dai quotidiani di questa mattina abbiamo appreso che la Lancia di Verrone sta effettuando un insediamento su una superficie coperta che si può valutare all'incirca il doppio di quella per l'insediamento Fiat a Crescentino. Si stanno pertanto provocando nella zona di Verrone dei problemi di occupazione (tenuto conto che si tratta di lavorazione a carattere più intensivo di quella della fonderia) e quindi di immigrazione, di organizzazione territoriale, di casa, di servizi sociali, di infrastrutture, più gravi di quelli ai quali ci si è trovati di fronte per l'insediamento Fiat a Crescentino. Lo stesso ing. Canonica dice che non è da scartare l'ipotesi che l'ampliamento che si prevedeva a Chivasso, e che a Chivasso era indubbiamente negativo, sia trasferito a Verrone; cioè che la Lancia preveda di realizzare proprio a Verrone tutti i suoi piani di sviluppo futuro, per cui gli stessi problemi che già esistono a Verrone potrebbero aggravarsi ulteriormente.
Di fronte ad una situazione già così precisata, che susciterà una serie di problemi analoghi a quelli che abbiamo rilevato per Crescentino, se non vi è un impegno del Consiglio Regionale di intervenire immediatamente attraverso una Commissione speciale mista, del tipo di quella che ha operato a Crescentino (e noi possiamo anche essere d'accordo sul fatto che si continui ad operare attraverso un'apposita Commissione mista, per tutti gli aspetti positivi che ha sottolineato l'esperienza di Crescentino), o attraverso un impegno di una Commissione permanente, per prevenire quel che sta per accadere nella zona del basso Biellese, credo che il lavoro svolto per Crescentino possa risultare sì positivo come maturazione di problemi ma, tutto sommato, una passerella che le forze politiche hanno compiuto senza effetti pratici e senza capacità di generalizzazione.
Io chiedo pertanto che si prenda impegno stamattina, inserendolo in questo ordine del giorno, come aggiunta, in due direzioni: 1) che la Commissione permanente di Crescentino rimanga in funzione fino a che non avrà concluso le indagini che riguardano i problemi fatti emergere dall'insediamento 2) che si crei una Commissione apposita, sul tipo di quella formata per Crescentino, o, in via subordinata, si dia incarico alla Commissione permanente di osservare, indagare quanto sta avvenendo nella zona di Verrone.
Se un tale impegno non venisse assunto questa mattina, il nostro Gruppo sarebbe costretto a prendere altre iniziative per la costituzione di una nuova Commissione speciale di indagine per la zona di Verrone.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Bianchi. Ne ha facoltà.
Per la verità, io ero convinto che, l'ordine del giorno essendo stato concordato, non vi sarebbe stata ulteriore discussione in merito diversamente avrei posposto la trattazione, dato che, ripeto, ci sono colleghi interessati alla discussione del programma economico nazionale che devono partire per il Convegno di Cagliari. Raccomando pertanto un'estrema concisione a chi ancora desidera parlare.



BERTI Antonio

Le dichiarazioni di voto sono sempre consentite.



PRESIDENTE

E' ovvio, ma io credevo che l'essere stato l'ordine del giorno concordato e sottoscritto da tutti i Gruppi mi desse legittimamente motivo di ritenere che su di esso non vi sarebbe stata alcuna discussione.



BIANCHI Adriano

Sarò telegrafico.
Il 6 ottobre, quando ancora non era stata dotata di un proprio Statuto con decisione rapida, tempestiva ed ispirata ad un sano empirismo, la Regione assunse le prime responsabilità in ordine al grosso problema degli insediamenti industriali e dell'assetto territoriale. La Commissione abbiamo detto, ha lavorato bene, l'abbiamo riconosciuto nell'ordine del giorno, ha assolto il suo mandato riferendo ampiamente, con indicazioni specifiche, al Consiglio.
Oggi noi rientriamo nell'ambito della normalità, il che non significa che si consideri il problema superato, che si intenda accantonare la questione: gli organi della Regione assumono nella loro articolazione le loro responsabilità. Da parte di ogni Gruppo c'è la facoltà di presentare mozioni, interrogazioni, sollecitazioni e quant'altro si ritenga opportuno.
Io ritengo che il Consiglio, votando questo ordine del giorno riaffermi alcune esigenze di fondo che non sto a ripetere, indichi quali sono i settori e le modalità con cui si deve ulteriormente operare per Crescentino, con il proposito di far tesoro di questa esperienza, di questo primo impatto concreto, che ha dettato già una normativa, una regola di condotta per la Regione di fronte a tutti i problemi analoghi. Penso quindi che non ci debbano né possano essere riserve politiche su come la Regione proseguirà nella sua azione affrontando questi temi e questi problemi.
Esprimo la nostra fiducia nell'operato della Giunta, che era integrata in questa Commissione e non può più esserlo secondo le norme statutarie che distinguono diversamente i compiti, ma che non impediscono certo di arrivare anche più efficacemente agli stessi risultati. Dichiaro che per questi motivi il mio Gruppo darà voto incondizionatamente favorevole a questo ordine del giorno.



PRESIDENTE

Chiede di parlare il Consigliere Simonelli. Ne ha facoltà.



SIMONELLI Claudio

Anche il Gruppo socialista ha firmato il documento unitario, ritenendo importante che in rapporto a questa questione il Consiglio tutto sia solidale sulle indicazioni di lavoro per le scadenze che restano.
Naturalmente, questa valutazione non prescinde dalla necessità, che noi abbiamo fatto presente nel dibattito ieri e intendiamo ribadire qui, di un controllo attento da parte del Consiglio, in modo che attraverso tappe successive, con gli approfondimenti necessari, l'attività, che riteniamo non marginale ma fondamentale, alla quale la Giunta si è impegnata, possa portare a quei risultati che abbiamo indicato nell'ordine del giorno di ieri e negli interventi nel dibattito.



PRESIDENTE

Nessun altro chiede di parlare? Il Presidente della Giunta intende fare dichiarazioni in merito alle richieste avanzate dal Consigliere Rivalta?



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Non entro nel merito della questione relativa alla continuazione dei lavori della Commissione, perché mi pare che su questo punto già attraverso l'ordine del giorno abbiamo espresso un'opinione che è stata poi concordemente affermata.
Vorrei semplicemente, in riferimento all'importante problema degli insediamenti industriali, ed a tutti gli effetti da essi indotti, ricordare che, per quanto riguarda la Lancia di Verrone, c'è un impegno da parte nostra, che la Giunta ha pensato di poter assumere nei confronti del comprensorio dei Comuni del Biellese - e d'altra parte da essi rivendicato che venga anche per quella zona redatto un piano territoriale di coordinamento proprio per l'approfondimento dei problemi e anche per la determinazione di tutta la normativa conseguente.
Assumere oggi un impegno che vada al di là di questo (con buona pace del collega Consigliere Viglione, che fa finta che i Comuni non esistano e dice che si tratta solo di decisioni di forze politiche, io ho invece l'impressione che i Comuni, i comprensori, i Consorzi di Comuni, in realtà abbiano una loro veste autonoma e che la rivendicazione del comprensorio dei Comuni del Biellese, in relazione al piano territoriale di coordinamento, di poter partecipare al suo approntamento non possa essere da noi disattesa), nel senso di costituire una Commissione ad hoc per questo, o di ribaltare il problema sulle Commissioni permanenti, che hanno peraltro compiti legislativi e possono certamente essere sempre consultate su deliberazioni e determinazioni degli organi della Regione, credo sminuirebbe questo significato collaborativo per quanto in particolare attiene al piano territoriale di coordinamento dell'area di Verrone e renderebbe poco credibili, in definitiva, le affermazioni che noi abbiamo fatto di voler valorizzare le autonomie locali anche per quanto riguarda questo complesso di problemi.
Indubbiamente, io non ho alcuna difficoltà a dichiarare che, in ordine a problemi di questo genere, che investono non soltanto la responsabilità di un organo della Regione, quale può essere la Giunta, ma investono una linea politica che, è chiaro, non è che ci debba trovare concordi all'interno del Consiglio Regionale ma che comunque è un problema di carattere così importante quale soltanto a livello della complessa articolazione degli organi regionali si può prendere, la Giunta non ha alcun particolare motivo di difendere gelosamente quelle che potrebbero essere formalmente delle sue prerogative. Ma nel caso, in particolare, al quale si è riferito il collega Rivalta mi pare che non possiamo disattendere ciò che già abbiamo manifestato nei confronti del Consorzio dei Comuni biellesi in ordine al piano territoriale di coordinamento che riguarda in particolare l'insediamento della Lancia a Verrone. Certamente noi seguiremo con molta attenzione, e per quanto riguarda l'approfondimento degli studi sappiamo già, tra l'altro, che è l'Ires che li fa, e quindi credo che già abbiamo dato all'Ires, con la Commissione su Crescentino alcune delle indicazioni di carattere politico lungo le quali procedere.
Pregherei, pertanto, il Consigliere Rivalta di voler vedere il problema in questo contesto generale, in modo che l'ordine del giorno per quanto riguarda le determinazioni in ordine alla Commissione di Crescentino ottenga approvazione unanime, così come concorde è stato lo sforzo che tutte le forze politiche all'interno del Consiglio Regionale hanno fatto accettando di rinviare gli altri problemi ad un successivo approfondimento rispetto al quale la Giunta dichiara fin d'ora la sua disponibilità per una valutazione che possa trovare concordi tutte le forze del Consiglio.



RIVALTA Luigi

Avevo anche proposto che la Commissione rimanesse in funzione fino a completamento dei suoi lavori di indagine.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Per parte mia, non ho problemi, in proposito. Lascerei pertanto la decisione all'Assessore. Ieri ho soltanto fatto richiamo a competenze specifiche in rapporto all'inquinamento eccetera. Direi che sarebbero quanto meno da valutare questi aspetti.



RIVALTA Luigi

La Commissione anti-inquinamenti ha compiti di indagine sui problemi relativi all'inquinamento atmosferico, non per tutti gli altri problemi...



PETRINI Luigi, Assessore all'industria

Mi pare logico, da parte nostra, avvalersi ancora, in questi giorni dato che le conclusioni dovrebbero essere prossime, dopo la visita allo stabilimento, di questa formula collaborativa, per prendere atto delle conclusioni. Però è mio avviso che, trattandosi di una Commissione speciale, evidentemente impostata dalla Giunta e dal Consiglio, sia corretto che, una volta che queste conclusioni siano state tratte, tutto ritorni alla Giunta ed al Consiglio stessi.



PRESIDENTE

La discussione sull'ordine del giorno è chiusa. Lo pongo in votazione.
Chi lo approva è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato all'unanimità.


Argomento: Programmazione: argomenti non sopra specificati

Programma economico nazionale 1971/1975


PRESIDENTE

Punto quinto dell'o.d.g.: "Programma economico nazionale 1971/1975".
Il relatore intende illustrare succintamente la sua relazione, come introduzione alla discussione?



BENZI Germano, relatore

Signor Presidente, riterrei opportuno dare semplicemente lettura della relazione, dato che è talmente breve che non richiede più di cinque minuti tanto più che i colleghi ne hanno avuto il testo solo questa mattina.
Sulla base delle consultazioni svolte, delle osservazioni formulate dalle altre Commissioni, e del dibattito svoltosi al suo interno, la I Commissione ritiene di dover esprimere un giudizio complessivamente positivo sul documento presentato dalla Giunta Regionale. In particolare la Commissione condivide la posizione assunta dalla Giunta diretta a stabilire un diverso e più continuativo e stretto rapporto fra Stato e Regioni in ordine alla politica di programmazione.
L'esperienza di questi anni dimostra invero che a livello di programmazione nazionale non si è prodotto quel salto qualitativo che l'introduzione dell'ordinamento regionale avrebbe dovuto comportare: rimangono in tal modo privi di soluzione i problemi della partecipazione delle Regioni alla formazione ed alla gestione del Programma economico nazionale, come quello dei rapporti tra Piano nazionale e Piano regionale.
Quanto al primo aspetto della questione, si tratta di individuare le modalità e le procedure per associare le Regioni, in modo stabile e permanente, al processo di programmazione, nella salvaguardia delle reciproche e distinte responsabilità ed autonomie.
Un'ipotesi di soluzione non è peraltro astrattamente definibile, ma deve scaturire da un ampio dibattito politico cui partecipino le Regioni il Governo, gli organi della programmazione nazionale, e che si fondi sul reale stato della programmazione in Italia. L'avvio della programmazione regionale viene infatti a modificare per alcuni aspetti il ruolo del Piano nazionale, per il quale diventa preminente la funzione di elemento di verifica e di coordinamento degli indirizzi programmatori che emergono a livello regionale.
Collocandosi in questa prospettiva, che pare alla Commissione sia quella da assumere, le Regioni debbono utilizzare il dibattito che si è aperto sulla bozza di Programma economico nazionale 1971-'75, non già per avanzare richieste particolaristiche, ma per impostare un confronto in ordine alle strutture della programmazione ed alla linea di fondo del Piano nazionale.
A questo proposito, la Commissione rileva come l'attuale proposta di Programma nazionale prescinda completamente da un esame dei motivi che hanno condotto al mancato perseguimento degli obiettivi del precedente Piano quinquennale 1966-1970.
Questo esame deve invece essere condotto, se si vuole evitare di cadere nella più completa astrattezza e cioè che il Piano possa rappresentare un elemento di guida dei meccanismi sociali, economici e territoriali evitando che si accentui ulteriormente il divario tra le dinamiche reali e le indicazioni programmatiche.
Il divario che si è prodotto in misura notevole per il passato pu essere ricondotto sostanzialmente a tre ordini di fattori: a) il Programma 1966-1970 è stato formulato senza tenere sufficientemente conto della situazione economica in cui cadeva: è mancato in tal modo un raccordo tra politica congiunturale e politica programmatoria, e ciò ha portato ad un'azione congiunturale di breve respiro, sovente contraddittoria e comunque non collegata ad un'ipotesi globale di sviluppo b) il Programma 1966-1970 è rimasto privo delle necessarie articolazioni settoriali e territoriali, è cioè mancata la definizione di un indirizzo di politica industriale come di assetto del territorio che consentisse di esplicitare in termini disaggregati le indicazioni del Piano c) non sono stati predisposti adeguati strumenti per gestire il Piano stesso, sia a livello normativo (caso tipico, legge urbanistica), sia a livello operativo.
Questi limiti devono essere superati per avere una programmazione concreta ed efficiente, capace di stimolare ed indirizzare la ripresa produttiva, qualificandola rispetto alle esigenze della collettività.
Ciò comporta, innanzitutto, che il Piano si faccia pienamente carico dei problemi strutturali che pesano sull'attuale difficile congiuntura e rispetto ad essi definisca i suoi obiettivi, che possono essere sinteticamente riassunti in piena occupazione, riequilibrio territoriale sviluppo dei consumi sociali.
L'andamento dell'economia italiana negli ultimi anni ha oggettivamente reso più difficile il raggiungimento di questi obiettivi, in particolare si è aggravato il problema occupazionale (che comprende in sé quello del Mezzogiorno) e le forze di lavoro attive sono venute diminuendo sia in percentuale che in assoluto; gli stessi processi di ristrutturazione determinati da situazioni aziendali deteriorate, finiscono troppe volte con il tradursi in un netto calo occupazionale.
Condividendo il giudizio espresso al riguardo dalla Giunta, la Commissione ritiene che i problemi dell'occupazione debbano costituire l'elemento portante della programmazione nazionale, ed in questa ottica diviene essenziale assumere una linea di politica industriale tesa ad ampliare la base produttiva del nostro Paese.
Poiché tale politica dev'essere una componente essenziale per la soluzione della questione meridionale e per il riequilibrio del territorio la Commissione rileva come nella bozza di Programma sottoposta al giudizio delle Regioni manchi il riesame, che pure s'impone, dell'attuale struttura e gestione degli incentivi, e come le dinamiche economiche siano viste in modo indipendente dalle dinamiche territoriali: cogliere pienamente le relazioni tra questi due momenti dello sviluppo rappresenta invece un elemento che deve qualificare la programmazione in un Paese in cui gli squilibri territoriali hanno un peso ed una dimensione notevoli.
In particolare, in una revisione dell'attuale ordinamento del credito agevolato, si rende urgente collegare le forze di incentivazione alle prospettive occupazionali, per evitare che nel Mezzogiorno vengano prevalentemente favoriti, com'è accaduto in passato, quegli insediamenti a più elevato rapporto capitale-lavoro che apportano un modesto contributo all'incremento dell'occupazione. Parimenti, acquistano un rilievo di primo piano le strutture di formazione professionale per seguire in modo adeguato la mobilità professionale ed il passaggio dell'agricoltura all'industria e da situazioni di sottoccupazione ad un pieno inserimento nell'attività produttiva.
Questi aspetti del problema meridionale si presentano strettamente collegati tra loro ed un'azione diretta ad imprimere al Mezzogiorno una capacità di sviluppo autonomo deve quindi imperniarsi sulla diffusione degli insediamenti industriali e sulla formazione di una forza di lavoro professionalmente qualificata: questo duplice indirizzo è condizione essenziale per la soluzione della questione meridionale.
Nel perseguimento di una politica di massima occupazione, utilizzando tutte le risorse disponibili, risultano da un lato inaccettabili le previsioni di un Programma che preveda un'ulteriore riduzione della popolazione attiva e dall'altro una qualsiasi visione dell'agricoltura, con le profonde trasformazioni necessarie e possibili, come un settore subalterno dello sviluppo economico. Occorre, anzi, qui un netto superamento della tradizionale politica di mero sostegno dei prezzi, per andare decisamente ad una politica economica che incida sulle strutture.
Una nuova politica industriale significa porsi il problema del consolidamento e dell'espansione del tessuto economico, che si fonda in larga parte sulle piccole e medie imprese, le più colpite dalla crisi degli ultimi anni, ma anche le più idonee a garantire un equilibrato incremento dell'occupazione .
Si apre, di conseguenza, il problema della politica degli investimenti e, più in generale, delle agevolazioni e della selezione del credito, non meno che quello dell'apprestamento di strumenti di assistenza tecnica finanziaria e commerciale per consentire alla piccola industria un più sicuro inserimento nella dimensione internazionale assunta dai mercati economici.
La qualificazione dell'opera pubblica può essere un elemento portante della nuova politica per l'occupazione. Occorre sviluppare gli investimenti sociali e collettivi che, oltre a rispondere ad un'esigenza non indilazionabile, hanno un valore come nuovi settori economici traenti di sviluppo e di occupazione di mano d'opera qualificata e femminile.
Nella proposta di Programma, infine, non trova soluzione il problema del rapporto tra azione congiunturale e politica di riforme, e questo limite rischia di vanificare anche le indicazioni riformatrici che pure vi sono avanzate. Ad avviso della Commissione, tra congiuntura e riforme non esiste contrapposizione: anzi, una linea di ripresa può e deve fondarsi proprio su di un indirizzo di riforme tese non solo a modificare a vantaggio dei ceti popolari la distribuzione del reddito, ma contemporaneamente a garantire un più elevato ritmo di sviluppo, la massima occupazione, un più solido apparato produttivo ed un migliore quadro di vita. La politica delle riforme deve, cioè, legarsi strettamente da un lato alla crescita dei consumi collettivi e da un altro all'espansione dell'apparato industriale, che nella crescita degli impieghi sociali trova un fattore di sviluppo ed un criterio per gli stessi orientamenti produttivi.
In questo contesto, la Commissione esprime la più ferma opposizione ad ogni eventuale progetto di svalutazione monetaria, che - con l'ulteriore indebolimento della componente interna della domanda e i conseguenti sacrifici addossati alle categorie di lavoratori a reddito fisso - avrebbe l'effetto di rallentare ulteriormente la ripresa produttiva e di accentuare gli squilibri sociali e territoriali nonché di diminuire le capacità di reazione e di adattamento del sistema economico nazionale rispetto alle spinte derivanti dal quadro internazionale.
Su queste linee generali è emersa nelle consultazioni ed in Commissione una larga convergenza; su queste stesse linee si sono mosse le altre Commissioni, le quali hanno recato un utile contributo in relazione ai diversi settori ed alle problematiche da loro esaminate.
Per esigenze di brevità e di sintesi non è qui possibile riprendere compiutamente i pareri espressi dalle varie Commissioni, di cui peraltro la I Commissione ha tenuto pienamente conto e che vengono allegati alla presente relazione.
La I Commissione si limita, quindi, ad invitare la Giunta a voler assumere nelle Osservazioni, da presentare, tra l'altro, agli organi della programmazione, le seguenti proposte, avanzate dalle Commissioni ed emerse nelle consultazioni: a) per la formazione - unificazione dei progetti-obiettivo sul "Servizio di previsione delle disponibilità e dei fabbisogni del personale" e sul "Centro studi e ricerche per la formazione professionale" b) per la sicurezza sociale - rapida predisposizione delle leggi-quadro necessarie a consentire alle Regioni un'azione innovativa in questo settore, superando un'impostazione meramente assistenziale a favore appunto di un sistema organico di sicurezza sociale c) per il turismo - regionalizzazione dell'ENIT e gestione regionale del fondo per il turismo sociale d) per l'ambiente - classificazione dei corsi d'acqua non in base alle destinazioni, ma in riferimento a standards adeguati a tutelare l'equilibrio biologico ed ecologico di ciascun corso d'acqua. Quanto al regime di impiego delle acque, divieto di prelievo diretto dal sottosuolo da parte delle industrie, anche al fine di consentire il controllo sulle quantità prelevate e) politica istituzionale - nuovo ordinamento degli enti locali, con particolare riferimento alla qualificazione dell'attività delle Province ed alle forme consortili comprensoriali tra i Comuni.
La Commissione, infine, invita la Giunta a ribadire, nelle conclusioni del suo documento, la necessità che il Programma economico nazionale abbia come elementi ed obiettivi centrali la piena occupazione, il riequilibrio tra Nord e Sud, la politica delle riforme, quale strumento dell'azione congiunturale per assicurare la ripresa economica del Paese.



PRESIDENTE

Hanno chiesto di parlare il Consigliere Sanlorenzo per primo, il Consigliere Conti per secondo. Altri si iscrivono? I Consiglieri Simonelli Viglione, Dotti, Gandolfi, Menozzi. L'Assessore a che punto vorrebbe inserirsi?



PAGANELLI Ettore, Assessore alla programmazione

Avrei voluto svolgere l'intervento conclusivo della discussione, ma è ovvio che ciò non sarà possibile, perché, dovendo partire per Cagliari, non potrei rimanere per tutta la durata della discussione. Interverrei pertanto dopo che avranno parlato un paio di Consiglieri, lasciando la conclusione al Presidente della Giunta.



PRESIDENTE

Siccome i primi tre oratori - Sanlorenzo, Conti e Simonelli - in fondo sono rappresentativi dei principali raggruppamenti politici presenti nel nostro Consiglio, potrebbe inserirsi opportunamente dopo i loro interventi.
Naturalmente il dibattito poi proseguirà.
Allora, ha facoltà di parlare il Consigliere Sanlorenzo. Raccomando naturalmente agli iscritti la maggior concisione.



SANLORENZO Dino

Signor Presidente, signori Consiglieri, il dibattito e i documenti che il nostro Consiglio si accinge a licenziare oggi hanno, prima di tutto rilievo politico generale, perché si affiancano a quelli che in queste settimane sono stati approvati da tutte le Regioni italiane (altri ancora lo saranno nei prossimi giorni) sul problema, che sappiamo tutti essere vitale per la sua stessa esistenza e funzionalità, della possibilità, per l'Ente Regione, di essere davvero soggetto, protagonista di una politica economica programmata democraticamente; e questo non attraverso dichiarazioni di principio o più o meno generali, ma nel confronto con un progetto di piano nazionale che entra nel dibattito parlamentare in questi giorni. Questo avviene a metà legislatura delle Regioni, e quindi finisce con l'essere una verifica importante delle possibilità per le Regioni italiane di realizzare le parti qualificanti degli Statuti di cui all'inizio della loro esistenza esse si sono dotate.
Questi atti, questi documenti che noi licenziamo oggi vanno visti anche in relazione ad appuntamenti politici prossimi, che hanno anch'essi una direzione univoca con il dibattito in corso in questo momento in tutte le Regioni italiane (mi riferisco al Convegno di Cagliari di domani, di cui opportunamente il nostro Gruppo, e mi pare anche progressivamente tutto il Consiglio, ha rilevato l'importanza nazionale). Il dibattito in Parlamento è già incominciato, e anche la fase, diciamo così, cruciale del dibattito nella nostra Regione su piano regionale, e la prossima discussione di carattere generale sul bilancio 1973 è poi la traduzione in concreto delle scelte che la nostra Regione intende fare, intanto, per il primo degli anni cui si riferiscono il Piano regionale e il Piano nazionale Tutte queste cose mettono le forze politiche di fronte alla responsabilità di dare non un parere affrettato, consegnando un documento qualsiasi, in una sorta di ludo cartaceo che si aggiunge ai tanti che abbiamo in qualche modo alimentato negli ultimi due anni. E' diffusa la sensazione, infatti, che siamo giunti ad un momento talmente delicato e difficile della situazione economica e politica del Paese che o la politica di programmazione nuovamente decolla e si impone, oppure le conseguenze che possono derivarne al nostro Paese sono estremamente gravi ed a scadenza molto ravvicinata.
In questi giorni, dicevo, numerosi Consigli Regionali hanno espresso pareri e giudizi: il 6 novembre è toccato alla Regione lombarda approvare con la sola opposizione del liberali e dei missini, un documento di forte critica alla programmazione governativa; il 16 novembre è toccato al Consiglio Regionale dell'Emilia Romagna; il 17 novembre, con i soli voti della Democrazia Cristiana, che vi ha la maggioranza assoluta, il Veneto ha licenziato il suo parere. Si tratta di tre Regioni diverse, con Giunte diverse - una di centro-sinistra, una di sinistra, una in cui ha maggioranza assoluta la Democrazia Cristiana -; eppure, un'analisi dei documenti espressi da queste Regioni ci permette di vedere che, malgrado tutta la complessità della situazione politica italiana, continua a vivere quell'elemento unitario, quell'originalità politica delle Regioni italiane per cui queste, messe a confronto diretto con i problemi loro e con i problemi della politica economica nazionale, ritrovano accenti comuni.
Pur nelle diversità dei testi votati, non si può non rilevare una sostanziale assoluta identità di giudizi sulla questione del Piano nazionale e della programmazione.
Il documento del Veneto "fa rilevare le contraddizioni tra la volontà espressa dal Piano in parola e gli ostacoli che la prassi governativa viene fatalmente a frapporre alla sua realizzazione"; è una Regione a maggioranza assoluta della D.C.
la Giunta emiliana parla di "stridente sistematica contraddizione fra le enunciazioni programmatiche del documento, da un lato, e la politica quotidiana del Governo dall'altro" il documento della Lombardia "denuncia il terreno elusivo e sostanzialmente diversivo, come si è rivelata la defatigante verifica del documento del Ministro del Bilancio e Programmazione, restando sottratti alle Regioni gli atti ben più rilevanti per la loro immediata operatività, quali il bilancio dello Stato per il 1973".
Come i Consiglieri vedono, sono tre osservazioni di fondo, attinenti a tre questioni di principio e di merito, differenti, ma che hanno una loro unità: l'una riguarda il metodo e la prassi, l'altra le contraddizioni fra le cose che si dicono e quelle che si fanno, l'altra si riferisce ai poteri reali e concreti delle Regioni di attuare ciò che credono sia giusto e ci che decidono di poter attuare.
I colleghi permetteranno che a queste tre osservazioni di fondo io ne aggiunga un'ultima, che mi è parsa particolarmente significativa, contenuta nel documento del Consiglio Regionale sardo, posto alla base della preparazione della Conferenza che si apre domani a Cagliari. Non è soltanto un'osservazione critica nei confronti di una prassi inaccettabile, ma una proposizione già di carattere nuovo su come affrontare e come risolvere la situazione che prima viene denunciata.
Dice il documento della Giunta sarda: "La Conferenza di Reggio Calabria dello scorso ottobre, promossa dai sindacati, ha rappresentato un fatto nuovo di estrema importanza tanto meridionale quanto nazionale, perché da parte delle organizzazioni sindacali è stato affermato un nuovo e concreto impegno di lotta, perché si è affermato che i problemi del Mezzogiorno vanno affrontati con l'unità dei lavoratori del Nord e del Sud, perché si è assunto l'obiettivo immediato di aprire subito delle vere e proprie vertenze con il Governo sui principali problemi del Mezzogiorno, perché si è fatto senza reticenze un discorso autocritico relativo agli atteggiamenti precedenti del movimento sindacale.
Nella conferenza di Reggio Calabria ci sembra perciò di poter individuare una svolta nell'impostazione della questione meridionale, che può preludere al dispiegarsi negli anni Settanta di una battaglia per lo sviluppo economico e per la crescita del potere democratico delle popolazioni meridionali. E ci sembra altresì di poter affermare che nella battaglia per il riscatto del Mezzogiorno si rinnova il ruolo dei due principali protagonisti: il movimento sindacale, da un lato, le Regioni dall'altro".
Qui c'è dunque già un'acquisizione nuova dell'esperienza delle Regioni: esse si vedono come soggetti, come protagonisti, e già individuano nel movimento sindacale, con le posizioni cui è giunto, anche autocritiche, il ruolo nuovo, determinante , insieme alle forze politiche, per imporre una politica di programmazione nazionale, una politica economica radicalmente diversa.
E veniamo, infine, al documento nostro, che ci ha letto oggi il Consigliere Benzi, frutto del lavoro delle diverse Commissioni del Consiglio, in particolare della I Commissione Bilancio e Programmazione documento succinto, non dispersivo, che si è voluto, credo, tenere al livello degli altri documenti che le altre Regioni d'Italia hanno licenziato, concentrando l'attenzione su alcune questioni di fondo. Di queste non riprenderò, ovviamente, che alcuni elementi, per sottolineare la loro pregnanza e la loro coincidenza con la situazione economica di fatto che abbiamo di fronte al nostro Paese in questo momento.
Fra le tante questioni che sono state qui rilevate vorrei partire da quella cui si fa riferimento a pag. 6. Si dice che "in questo contesto, la Commissione esprime la più ferma opposizione ad ogni eventuale progetto di svalutazione monetaria, che - con l'ulteriore indebolimento della componente interna della domanda e i conseguenti sacrifici addossati alle categorie di lavoratori a reddito fisso - avrebbe l'effetto di rallentare ulteriormente la ripresa produttiva e di accentuare gli squilibri sociali e territoriali nonché di diminuire le capacità di realizzazione e di adattamento del sistema economico nazionale rispetto alle spinte derivanti dal quadro internazionale".
Questa affermazione mi pare che colmi anche una lacuna oggettiva del piano nazionale, che, fatto in tempi lontani, redatto, tra l'altro, da un tipo di governo aggiornato ma non troppo, dal Governo attuale, aveva di fronte a sé una situazione economica assai differente. Il nostro sistema economico deve saper fronteggiare questa grave situazione, questa spinta inflazionistica che investe l'economia italiana e l'economia internazionale. Il richiamo che questo documento fa si colloca pertanto come un contributo di novità, di originalità, di attualità, che deve poi naturalmente trovare la sua coerente applicazione in sede di politica economica.
Qual è però la situazione economica che c'è dietro questa manifestazione di inflazione, questa caratterizzazione internazionale della situazione inflazionistica? In questo momento in cui sta per decollare deve decollare, una nuova politica di programmazione, e in cui la concorrenza internazionale si va facendo sempre più agguerrita, più feroce più complessa, regna nel nostro Paese il disordine monetario, si affacciano le manovre speculative, le guerre commerciali; assistiamo al formarsi e al dispiegarsi aggressivo dei gruppi monopolistici multinazionali, che sfuggono al controllo di ogni autorità nazionale e multinazionale. In questa situazione è abbastanza facile prevedere che se l'economia italiana non darà vita ad una nuova, radicalmente nuova, fase di sviluppo produttivo ciò che abbiamo da registrare in gravità oggi potrà risultare ben poca cosa rispetto a ciò che potrà succedere domani; e quando dico domani mi riferisco al 1973, dopo l'Iva e dopo le scadenze di carattere europeo internazionale che potrebbero portarci a degli appuntamenti che adesso si ventilano soltanto.
Di tutto questo nel piano nazionale non c'è niente, sia per il periodo in cui fu elaborato sia perché non si riusciva ad individuare, o non si voleva riconoscere esplicitamente, le componenti internazionali della crisi italiana: l'individuarle, il far chiarezza su questo avrebbe costretto a trarne poi le conseguenze politiche, mentre persino l'on. Malagodi, che pure ha dovuto collocare l'altro ieri, nella comunicazione alla Commissione Finanze e Tesoro, la situazione italiana nel contesto internazionale, si è rifiutato di rilevarne il nesso con i responsabili di questa vicenda, vale a dire il predominio economico e l'egemonia militare degli Stati Uniti d'America, che in questa vicenda dell'inflazione internazionale hanno avuto un ruolo ed una responsabilità preminenti.
Anche qui, di fronte alle dichiarazioni degli obiettivi del Piano, alle intenzioni dichiarate, sta la realtà del 1972. Questa realtà ci dice che siamo stati in presenza, anche nei primi mesi del 1972, di un'espansione della domanda estera superiore alle previsioni e ad una relativa stagnazione della domanda interna. Di conseguenza, ancora una volta l'Italia ha continuato a mettere a disposizione dell'estero una parte del proprio reddito: le esportazioni sono aumentate di circa mille miliardi di lire nei primi otto mesi del 1972, e nello stesso tempo, nei primi sette mesi del 1972, le esportazioni di capitali dall'Italia sono state superiori alle importazioni di capitali nel senso inverso per oltre 400 miliardi. E' continuata, e continua così, quella politica che ieri abbiamo esaminato in un aspetto particolare, quello della Zanussi e della A.E.G., e che oggi fa sentire, direi, quotidianamente i suoi effetti negativi sul tessuto economico nazionale: la ricerca da parte dei grandi gruppi di sbocchi all'estero della produzione italiana, il trasferimento all'estero dei centri di ricerca scientifica e la chiusura dei centri attualmente esistenti in Italia. Ne abbiamo avuto una conferma ieri, nel corso della discussione sulla complessa vicenda della Zanussi: alla Zanussi si è già addivenuti alla chiusura del Centro di ricerche del complesso. Sappiamo inoltre delle minacce, che si fanno ogni giorno più concrete, nei confronti del più importante complesso di ricerca chimica che abbiamo in Italia, il Donegani, qui in Piemonte. Ricordiamo inoltre ciò che è successo al Centro ricerche della Olivetti, nelle vicinanze di Milano, dopo la fusione Olivetti-General Electric. E questa penetrazione dei capitali stranieri non ha certo l'intento di rafforzare il tessuto industriale italiano, ma porta obiettivamente ad un accrescimento della sudditanza della nostra economia complessiva nei confronti delle decisioni che vengono prese fuori dal nostro Paese e fuori da ogni controllo e da ogni possibilità di intervento dei Governi nazionali (mi vien fatto di dire "quale che sia la loro composizione politica", perché, da un certo punto di vista, è debole il Governo socialdemocratico tedesco come lo è persino il Governo dei banchieri francesi, nei confronti dei centri di potere multinazionali economici che in realtà dettano ai Governi ciò che devono fare dopo che le loro scelte le hanno fatte).
Da ciò deriva un accentuarsi della soggezione, dell'economia italiana ai grandi centri operativi, finanziari, industriali multinazionali e monopolistici: si guardi al sostanziale monopolio dell'industria chimica straniera nel settore della chimica secondaria, proprio quella per la quale c'è il ritardo nella preparazione di un piano che abbiamo denunciato nella Conferenza chimica regionale, che abbiamo ridenunciato a Terni, su cui c'è stata l'unità delle forze politiche, senza che tuttavia si sia giunti finora a fare un solo passo, perché questo famoso piano per la chimica secondaria sia finalmente varato, nel momento stesso in cui anche il piano generale per la chimica primaria si è rivelato tutt'altra cosa che un piano. E non può sfuggire a nessuno ciò che è successo ieri: il Governo ancora non parla, ma hanno già parlato Carli e il Consiglio d'Amministrazione della Montedison. Carli, l'avrete letto sui giornali, ha detto che non si può pubblicizzare la Montedison, non la si può inserire nel sistema delle partecipazioni statali: bisogna mantenerla ai privati.
Quello che ha detto il Consiglio d'Amministrazione della Montedison è altrettanto chiaro, altrettanto preciso: dimostra che da una situazione di crisi e di fallimento si esce sempre, si tratta solo di vedere chi paga il prezzo dell'uscita. Il Consiglio d'Amministrazione ieri ha dimezzato il capitale da 749 e 374 miliardi, ha svalutato gli impianti, ai 250 mila azionisti ha fatto sanzionare le perdite, e il bilancio per il 1972 della Montedison adesso risulterà in pareggio. E' una misura anticipatrice di quello che potrà essere lo sbocco finale di questa situazione anche sul piano economico: la svalutazione di fatto. Malagodi può dichiarare fin che vuole di non volere la svalutazione della lira, ma ciò che è successo ieri nei due centri di potere che si giocano la vicenda della Montedison è di fatto un atto di svalutazione concreto, fatto, non solo dichiarato. Il Governo tace: ma parla Carli e parla il Consiglio d'Amministrazione della Montedison; Carli dice di accollare allo Stato le spese del fallimento del rilancio, il Consiglio d'Amministrazione addossa l'onere del fallimento agli azionisti. Da questa vicenda emblematica emerge ancora una volta la grave constatazione che a pagare non sono mai i responsabili: paga il denaro pubblico, pagano gli azionisti della Montedison, 250.000 azionisti ma non paga nessuno dei responsabili di questo gigantesco crollo che ha travolto l'industria chimica del nostro Paese.



ZANONE Valerio

E' ben strano che siate voi a prendere le difese del capitale azionario.



SANLORENZO Dino

Noi abbiamo sempre saputo distinguere fra il piccolo azionista, che possiede un modesto numero di azioni, e coloro che hanno avuto a disposizione i capitali dell'industria elettrica e li hanno usati nella maniera che conosciamo, coloro che ci hanno venduto la fusione Montecatini con la Edison come il grande fatto che avrebbe risolto i problemi dell'economia del nostro Paese. I protagonisti di questa vicenda non hanno pagato niente per questo fallimento: molti di essi continuano a dirigere gran parte dell'industria italiana, gli altri si godono la "pensione d'oro", dopo aver percepito liquidazioni da un miliardo e mezzo; e le conseguenze del loro operato vengono riversate ora brutalmente sull'economia italiana e su chi ha ancora voluto aver fiducia nell'investimento e nella partecipazione alle sorti dell'economia del nostro Paese.
Da queste situazioni si esce con una direzione pubblica dell'economia democratica per gli obiettivi che si propone e per gli strumenti che usa per realizzarli. Non sono possibili aggiustamenti, non è possibile scindere la politica congiunturale dalla politica delle riforme. Giustamente il nostro documento parte dalla concordanza che ci dev'essere fra politica congiunturale e politica delle riforme. E' già superata e liquidata la vecchia disputa all'interno della stessa sinistra sul fatto che il movimento operaio sarebbe stato indifferente alle politiche congiunturali contrapponendo la politica congiunturale alla politica delle riforme.
Adesso siamo tutti obbligati a riconoscere ciò che noi avevamo sempre detto: che ci dev'essere coerenza e contemporaneità fra una politica congiunturale e una politica di riforme. E' importante che questo riconoscimento sia ribadito nel documento del Consiglio, ed anche nel documento della Giunta.
Dato che sugli obiettivi dichiarati sembrerebbero non esserci più dissensi - tutti diciamo di volere la piena occupazione, il superamento del divario Nord-Sud, la qualificazione della spesa pubblica, la partecipazione delle Regioni -, cosa è che non funziona, perché c'è questo contrasto fra le intenzioni dichiarate e la realtà? C'è una questione ancora da risolvere, prima di vedere questa disparità, ed è la questione teorico politica che è venuta prepotentemente alla ribalta per le dichiarazioni della Confindustria, per la sfida concettuale che anche il gruppo più dinamico del capitalismo italiano - parliamo pure della Fiat, parliamo pure dell'intervista di Umberto Agnelli all'"Europeo" di questi giorni - ha voluto fare al mondo politico, al mondo economico, ai sindacati, circa la soluzione di questo problema, che consisterebbe nel ridurre questo costo del lavoro, unica via attraverso la quale si può giungere ad un nuovo decollo dell'economia italiana e garantire la possibilità per un piano di programmazione di raggiungere gli obiettivi dichiarati.
Ora, il costo del lavoro può essere teoricamente ridotto in almeno due modi. Uno di questi consisterebbe nella svalutazione, cioè una corrosione del valore reale dei salari e degli stipendi, quale che sia il loro dichiarato valore nominale, per cui le duecentomila lire di salario di un operaio hanno in realtà un potere d'acquisto di cento, tanto più se poi viene dichiarato che davvero le cose stanno così a tutti gli effetti economici e monetari. Ma l'acquisizione teorica e politica cui è giunto il movimento sindacale - questo è importante - in modo unitario, è che si pu ridurre il costo dei prodotti di cui ha bisogno il lavoratore italiano: riduzione del costo della casa, ma attraverso una riforma urbanistica riduzione del costo dei prodotti alimentari, ma attraverso una riforma agraria che non collochi la questione dell'agricoltura in un ruolo subalterno, permettendo invece una trasformazione ed un rinnovamento dell'agricoltura italiana; riduzione degli oneri sociali gravanti sulle imprese, certo, ma attraverso una riforma del sistema sanitario e del sistema previdenziale, che riduca il costo ed aumenti l'efficienza degli attuali servizi di assistenza e di previdenza.
Questo è venuto prepotentemente alla ribalta, non solo come proposizioni di politica economica, ma come affermazioni di lotta: questo hanno detto la manifestazione di Reggio Calabria, la grande dimostrazione dei lavoratori di Milano, di una grandiosità senza precedenti, secondo me dalla Liberazione in poi, come pure la grande manifestazione dei giorni scorsi, che il nostro partito ha organizzato in Piemonte, per porre sul tappeto questi problemi. E' questa la via di soluzione che noi indichiamo al problema della crisi economica italiana. Mai come in questo momento è apparso con estrema chiarezza come l'accusa rivolta al Movimento operaio di essere per il "tanto peggio tanto meglio" fosse una falsità allora, dieci anni or sono, quando era il leitmotiv degli attacchi al nostro partito.
Oggi bisogna misurarsi con le proposte di politica economica di questa natura, di questo contenuto, che il movimento operaio, non solo il nostro partito, avanza unitariamente.
D'altra parte, queste due vie teorico-politiche per risolvere la questione, in realtà, poi, in Italia si riducono ad una, perché la prima quella della svalutazione, il movimento operaio ha dimostrato non solo di non volerla accettare ma di saperla bloccare. In Italia non si torna indietro da questo punto di vista: la classe operaia italiana ha dimostrato di avere non solo la forza politica per indicare una linea diversa ma anche la forza politica per impedire che si possa andare in quell'altra direzione; anche se ci sono spinte molti forti, anche se ci sono in alcuni gruppi politici italiani - e nessuno di noi dimentica le cose che ha detto Merzagora alcuni giorni or sono - che possono pensare che, alla lunga anche senza dirlo, anzi dicendo persino il contrario, si possa andare in quella direzione.
La ragione oggettiva di questa riduzione delle due vie ad una sola sta anche, poi, nel fatto che non c'è alternativa alla politica delle riforme: una volta riconosciuto, come più volte abbiamo riconosciuto, di trovarci di fronte ad una crisi strutturale e non ad uno dei ricorrenti periodi di bassa congiuntura, è chiaro che da una crisi strutturale non si esce che con delle riforme strutturali. Non è neppure possibile operare in due tempi distinti, rimettendo in moto il vecchio meccanismo per rinviare ad un successivo l'attuazione delle riforme: proprio per questo errore di fondo è caduto il centro-sinistra, perché ha giocato ancora a ripercorrere la strada già fallita nel 1964, nel '65, nel '66, nel '67 e nel '68; così non solo si è posto in discussione il problema della politica economica italiana ma si è posta a repentaglio la democrazia nel nostro Paese.
I tempi stringono, urgono, i termini entro i quali occorre imboccare una politica nuova si fanno sempre più vicini. Il 1973, con le sue scadenze di carattere monetario, di carattere europeo, con le decisioni del MEC, ci incalza, imponendoci una svolta di questa natura, che non è solo una svolta economica, che anche presuppone la necessità di una svolta politica. Ma l'attuale Governo come si muove, quale prospettiva insegue, come affronta la situazione che pure ha contribuito in parte anche a determinare (perch è vero che non l'ha determinata esso solo, le responsabilità ricadono anche sui Governi che l'hanno preceduto).
Ieri sera, quasi a commento dei risultati elettorali, Andreotti ha fatto una excusatio non petita, che appunto è una accusatio manifesta: ha indicato alla televisione, attraverso una velina, tutti i miliardi che ha distribuito in questi mesi. Sembrava voler dire: soldi ne ho elargito a piene mani, ne ho profusi in tutte le direzioni (i pacchetti di miliardi ai burocrati, quelli per rifinanziare la Gepi, per salvare le aziende sane per salvare le aziende non sane - soprattutto dico io, per salvare il rapporto interno delle correnti della Democrazia Cristiana -); se poi i voti non sono venuti non è certo stata colpa mia. Una politica della spesa pubblica indiscriminata, proporzionalmente maggiore per le spese correnti Consigliere Gandolfi, sì, proporzionalmente maggiore per le spese correnti ed inferiore per il soddisfacimento dei consumi sociali. E' vero, c'è questo fatto. Ma ad agire così è stato proprio questo Governo, non i Governi che l'hanno preceduto. E il lato curioso di tutto ciò è che un simile modo di usare il denaro pubblico, anche dal punto di vista della dichiarazione politica generale, è esattamente il contrario di quello che hanno sempre detto di voler fare i liberali, che si sono sempre atteggiati a depositari del rigore nei confronti della spesa pubblica, dell'oculatezza delle scelte della spesa pubblica. Ci troviamo invece di fronte ad un Governo che distribuisce senza lesinare i miliardi del denaro pubblico italiano in qualunque direzione... (Qualunque è forse termine improprio, in quanto in realtà si va in direzione del sostegno di tutti gli interessi corporativi, altro che le scelte!). Certo, La Malfa ha un nuovo terreno per esercitare la sua critica; però, la deve esercitare nei confronti dei partner che all'inizio sembrava dovessero essere, almeno in teoria esattamente l'opposto di quello che si stanno dimostrando. E' un fatto però, che La Malfa ancora una volta non trae da tutto questo la conclusione che bisogna cambiar registro: al massimo può darsi che tragga la conclusione che bisogna entrare nel Governo.
Il fatto grave è poi che, oltre a tutto il resto, continua ad aumentare il costo della vita, continuano ad aumentare i prezzi in genere, mentre il livello degli investimenti si abbassa paurosamente. Anche questa è una peculiarità che dovrebbe far suonare più d'un campanello d'allarme. Perch noi siamo stati abituati sempre, dalla teoria economica, dall'esperienza storica, a vedere una crescita, una lievitazione dei prezzi in periodi di boom; ora, invece abbiamo il fenomeno singolarissimo di una lievitazione dei prezzi in un momento di stasi, di stagnazione economica, di blocco degli investimenti. Questo deve indurci a correre rapidamente alla ricerca delle terapie necessarie. Si è in cospetto di una continua contrazione del numero degli occupati, che anche nel 1972 è stata di proporzioni enormi tali da far saltare tutti i discorsi ipotetici del piano quinquennale quello che sta per essere discusso in Parlamento: pensate, nel piano ci si poneva il problema di aumentare l'occupazione di 200.000 unità e in un anno abbiamo perso 345.000 posti di lavoro. C'è da cambiare il registro di tutta l'impostazione stessa del piano Giolitti (perché quello che stiamo discutendo non è il piano Taviani, è il piano Giolitti).
Si impone, a questo punto, una riflessione, che non riguarda solo l'attuale conduzione politica di questa gestione governativa ma riguarda tutto, le stesse componenti analitiche su cui era imperniato il piano nazionale. Veniamo all'ultima parte di analisi dei comportamenti di fatto rispetto alle dichiarazioni. Si dice di volere una ripresa del mercato interno; ma, riducendo di fatto il valore dei salari, in realtà non si tonifica la domanda interna perché questa tonificazione si ottiene solo se la gente ha soldi ed è messa in condizioni di poterli spendere. Se il valore del denaro si riduce, la domanda interna non può che ristagnare. In realtà, si concede in questa maniera un rinnovato margine di competitività ma soltanto per l'esportazione. Infatti la domanda estera è ancora notevole e le aziende italiane continuano ad esportare sempre di più, perch continuano ad essere in condizioni di competitività nei confronti del mercato estero. Ma questa componente, che è quella tradizionale, non è la novità necessaria per modificare l'assetto economico del Paese.



DOTTI Augusto

Dovresti spiegarti, sei troppo semplicistico.



SANLORENZO Dino

Ma è un fatto.



MINUCCI Adalberto

La diminuzione del valore della lira favorisce l'esportazione.



DOTTI Augusto

Ma se il cambio è sempre lo stesso.



SANLORENZO Dino

I tassi di inflazione sono differenti da Paese a Paese. I salari dei lavoratori italiani sono, anche dopo il contratto del '68/69/70 i più bassi in Europa, anche dopo gli aumenti che pure hanno cambiato qualitativamente il rapporto.



BENZI Germano

Il tasso di lavoro è diverso per quanto riguarda l'incidenza degli oneri indiretti.



SANLORENZO Dino

Infatti è per questo che noi sosteniamo la necessità delle riforme che devono modificare questo rapporto, ma anche la componente salariale non si è affatto modificata nel senso di accrescere nei confronti dei salari europei il peso del salario italiano, anzi, era già basso prima e con la spinta inflazionistica rimane basso e anzi sovente è più basso di prima.
Si dice di voler difendere il valore della lira, ma riducendo il valore delle pensioni e non aumentandole, e quello dei debiti dello Stato e delle aziende, si permette loro di essere sgravati di una parte degli obblighi attuali. Si dice di voler bloccare un aumento dei prezzi, ma ci si contraddice subito con l'azione del Governo, perché in effetti è il Governo che ha dato il suo bravo contributo all'aumento dei prezzi. Mentre da una parte promuove il diversivo del calmiere a Roma, in realtà dall'altra aumenta il costo dei telefoni. Si sa benissimo il meccanismo che si mette in movimento quando si tocca uno dei settori dei prezzi di cui il Governo dispone; non avrà tutti i poteri che vuole avere nei confronti dei grandi gruppi, ma il potere di decidere sulle tariffe che dipendono dal bilancio dello Stato ce l'ha. Invece lì il Governo è intervenuto per incrementare in questa direzione la spinta. Ma poi si va all'introduzione dell'Iva, che malgrado tutte le cautele della Commissione interparlamentare, accentuerà la spinta inflazionistica sia perché si va all'Iva senza essere preparati (non è vero Consigliere Rossotto, mi pare che me lo diceva lei ieri e potrebbe confermarlo qui) perché pare che l'on. Alpino, quando è andato a fare il Ministro si sia trovato di fronte ad una riforma dichiarata, detta ma per la quale non c'era niente di preparato perché entrasse in funzione ed ora siamo alla vigilia del 1º gennaio.
La CEE prevede per il 1973, in tutti i Paesi della Comunità, un tasso di incremento dei prezzi del 7 per cento. Ebbene, è difficile prevedere che invece in Italia l'aumento sarà superiore per la struttura economica del Paese, per la sua arretratezza, per la sua debolezza nei confronti delle altre strutture economiche industriali europee? Si dice, in generale, di volere una politica di programmazione e si propone di fare slittare il piano dal '73 al '77. E' giusto dal punto di vista metodologico, era veramente assurdo che si continuasse a parlare di un piano '71/75 alla fine del '72, ma intanto le partecipazioni statali si rifiutano di discutere, come hanno richiesto invece i sindacati, i piani di investimento al Sud. Metodologicamente non si cambia niente nel rapporto che non si è voluto accettare prima e che si continua a negare fra Regioni e Governo. Si fa una politica, come ho già detto, allegra nella spesa pubblica, di spesa facile, ma poi si respinge prima e si restringe enormemente poi la richiesta avanzata dalle Regioni di uno stanziamento di 300 miliardi annui da assegnare alle Regioni stesse per gli interventi in agricoltura. Quindi i soldi si spendono, in tante direzioni, meno che in quelle che potrebbero essere invece fondamentali per modificare il meccanismo della spesa.
Si dice di voler dare attuazione concreta a tutto l'ordinamento regionale, ma di fronte alla cifra spettante alle Regioni di 300 miliardi per il fondo di sviluppo, per la loro azione in materie trasferite, sta la previsione per il 1973 di soli 40 miliardi elevati poi, dopo la protesta e le lotte delle varie Regioni, a 114, che sono una cosa diversa da 300.
E per quanto riguarda i consumi sociali che a parole si è detto essere uno dei settori su cui bisogna in ogni caso e comunque intervenire per qualificare la spesa pubblica, assistiamo, per quanto riguarda la legge sulla casa (l'abbiamo ancora ascoltato ieri per un'interrogazione che i Consiglieri liberali sono stati costretti a presentare e per la risposta che un altro "partner" del Governo nazionale, la socialdemocrazia ha dovuto dare) siamo allo solite per cui i soldi assegnati non vengono consegnati e quindi si paralizza tutto. E ancora abbiamo ieri ascoltato il telegramma del Governo secondo cui anche qui in Piemonte c'erano dei nuovi motivi per respingere la legge sugli asili. Motivi diversi da quelli dell'Emilia e della Lombardia, però la conclusione politica è una sola, che persino le leggi di attuazione regionale di una legge nazionale non deve andare avanti. Il che significa che gli asili non si fanno, si ritardano, si rinviano e quindi la qualificazione non c'è, c'è invece la consegna di pacchetti di miliardi a destra.
L'inflazione non viene contenuta, ma non viene nemmeno governata viene, direi, coltivata nel senso che viene alimentata come una minaccia di fatto, qualcosa di più di un pericolo. La si lascia andare avanti senza mai prendere una strada che possa davvero sbarrare la prospettiva concreta di doverla attuare poi. Il rapporto fra depositi bancari e impieghi continua a rivelare un enorme divario fra l'andamento del celebrato risparmio delle famiglie e la sua utilizzazione nella produzione; i residui passivi hanno raggiunto vette impensabili, mancano quattro milioni e 500.000 posti-alunno in Italia, ma dei 1016 miliardi stanziati per l'edilizia scolastica ne sono stati spesi appena 60! Ma c'è qualcuno intanto che mette mano a questa riforma della pubblica amministrazione, in assenza della quale questa situazione tenderà ancora di più a peggiorare? E vogliamo già fare una scommessa, signor Presidente della Giunta, che quando faremo il consuntivo del bilancio 1972 della Regione Piemonte ci saranno anche qui i residui passivi di un'amministrazione che ha appena cominciato a funzionare, che non ha ancora nemmeno tanti soldi da spendere, eppure riuscirà già per il meccanismo generale a non spendere neanche quei soldi che ci sono e quei soldi che si è deciso di spendere.
Ecco il complesso di ragioni che le Regioni stanno in queste settimane licenziando con documenti comuni che assumono in pubblici convegni di grande rilievo politico un appuntamento di lotta. Ho già detto che tutto ciò ha un valore diverso da quello del passato: assume la caratteristica di rivendicazioni particolaristiche, "regionalistiche" per cui nei confronti del piano nazionale il dialogo col Governo diventa, dateci un pezzo di autostrada in più, un acquedotto in più, o una fabbrica in più. No, questa posizione acquisisce il significato ed il valore di una presa di posizione politica unitaria di maggioranze eterogenee, comunque differenti, volte a imporre una politica economica nuova. Ciò che veniva contestato perch sembrava una proposta politica solo del nostro partito o comunque di una parte del movimento operaio, oggi sta diventando nelle assemblee regionali di tutte le regioni d'Italia, il tema, l'indicazione, la proposta necessaria per uscire da una situazione di questo genere. E si riesce a capire allora perché annuncerò ora al Consiglio Regionale che noi comunisti ci asterremo sui documenti che vengono qui presentati. Ci asterremo non perché non vi siano contenuti nei documenti stessi proposizioni, analisi critiche che dobbiamo condividere, e che in gran parte abbiamo contribuito a scrivere anche noi, ma perché avvertiamo la coincidenza che sta diventando pressoché assoluta tra la necessità di corrispondere le proposizioni di politica economica al quadro politico.
Non è possibile andare a una situazione che veda soltanto la nostra partecipazione al discorso della programmazione come un contributo che la Regione Piemonte fa in termini di auspici. No, noi non possiamo nemmeno pensare di avere la forza di fare un certo tipo di programmazione regionale, comunque, indipendentemente dal fatto che si faccia un piano nazionale. Siamo una Regione traente, siamo una grande Regione economica del Paese, una Regione determinante, per cui qualcuno può pensare che se c'è il piano nazionale ben venga, ma se non c'è ci facciamo il nostro piano regionale. No, il nostro piano regionale è in discussione. Noi dobbiamo partecipare alla determinazione del piano nazionale, se no anche il nostro piano regionale è discussione. Noi dobbiamo partecipare alla determinazione del piano nazionale, ma se non viene fuori il piano nazionale che deve venire, anche le nostre scelte in realtà, saranno obbligate, anche le cose che potremo poi fare (oltre che quelle che avremo dette) saranno poco più che carta stampata. E questa consapevolezza ormai si fa strada, ce l'hanno soprattutto le Regioni meridionali anche nei confronti dei discorsi che alcuni gruppi del Nord sembrano intenzionate fare loro. Non si tratta di dare assistenza alle Regioni del Mezzogiorno, non si tratta di spostare una fabbrica in più al Sud, si tratta di utilizzare tutte le risorse del nostro Paese e di realizzare l'inversione del meccanismo che deve presiedere alla determinazione dello sviluppo.
La nostra astensione significa che il voto negativo non vogliamo certamente darlo perché le parole hanno ancora per noi un valore e le cose scritte in questi documenti siccome sono in generale da condividere crediamo che abbiano un valore per l'oggi e per il domani, come punto di partenza per una verifica delle politiche che verranno poi condotte anche alla Regione Piemonte. Ma il voto positivo, permettetemi, sarebbe possibile soltanto se al termine di questo dibattito il Presidente della Giunta Regionale prendesse consapevolezza della maturazione di una situazione politica nuova e facesse delle dichiarazioni politiche che naturalmente non possono partire dalle bugie del suo amico Giorgio Vecchietti, no, devono partire dalla constatazione che due giorni or sono in Italia la D.C. ha perso un deputato, un senatore, centinaia di seggi in percentuale e in assoluto rispetto alle elezioni politiche! Noi comprendiamo la fantasia divinatoria e forse la benedizione di una qualche Provvidenza nei confronti delle aritmetiche della "Gazzetta del Popolo" ma i dati di fatto della perdita della D.C. è assolutamente impossibile ignorarlo. Così come credo sia impossibile ignorare che l'altro "partner" della politica governativa dato che il Governo si chiama appunto Andreotti-Malagodi, abbia anche lui perso. E questa ormai è una tradizione che felicemente continua, per cui si può benissimo, quando si incontra un Consigliere liberale, stringergli la mano prima delle elezioni dicendogli "condoglianze" anche preventive: si sa già che quando si vota il partito liberale, perde. Ma in questo caso hanno perso tutti e due, in modo netto. La politica di svolta a destra non paga non paga nemmeno i contraenti, nemmeno gli artefici, fa solo pagare al Paese. Così come inequivocabile è il fatto che il partito comunista ha aumentato in percentuale rispetto alle elezioni precedenti. Voi potrete avere il controllo della Tv, della Stampa, della Gazzetta, potete anche ritenere che la sottocultura italiana, l'arretratezza storica del nostro Paese possa far diventare bianco il nero e nero il bianco, ma ad un certo punto i fatti parlano da soli.
Ma c'è qualche cosa di più che emerge da queste cifre, c'è la necessità di cambiare linea, di cambiare assetto politico e non di cambiare per tornare indietro, ma per andare avanti. E per andare avanti secondo la prospettiva politica che le forze della sinistra indicano per uscire dalla crisi economica e politica del Paese. E' un discorso che bisognerà pur fare in questa assemblea regionale dove non si può vivere solo giorno per giorno e dove è tempo di fare un bilancio che non sia soltanto economico ma anche politico della nostra esperienza. Se vogliamo che il Piemonte sia davvero all'avanguardia nel contributo della politica economica da suggerire e da proporre, sia all'avanguardia che gli è consentita dalla grande forza che la classe operaia, i suoi alleati, o partiti che rappresentano, la sinistra in Piemonte rendono possibile e necessario. C'è bisogno di coraggio politico, di intuizione, di visioni generali, non di accomodamenti, non di ritorni a passati che sono stati fallimentari quasi quanto i presenti. C'è bisogno di un'audacia e di un coraggio per impegnare tutte le forze, prima di tutto della sinistra comprese quelle componenti dei partiti di maggioranza. Ma c'è bisogno anche di una statura politica che faccia emergere il Piemonte nel discorso nazionale e allora c'è bisogno di un salto di qualità. D'altra parte chi tarderà a compiere questo salto di qualità paga oggi e ancor più domani perché questa politica qui in Piemonte nel '72 non risolve nulla e chi non fa per tempo questo salto sarà poi costretto a farlo in condizioni differenti. E' un discorso che dobbiamo farci, tutti quanti, ma voi dovete avere ben presente che senza un rapporto preciso, netto, chiaro con il P.C.I. non si risolve niente in Italia: indietro noi non andiamo! Se lo tolgano dalla testa coloro che possono pensare che nel nostro Paese si possa avviare una politica diversa senza il contributo determinante dei comunisti. E adesso abbiamo anche l'esperienza regionale che lo conferma, che può pensare il contrario in questo Consiglio Regionale dopo questi mesi di lavoro? C'è qualcuno che può pensare che si può prescindere, nelle leggi che si approvano qui, senza il contributo di fatto del P.C.I.? Ci sarà ancora qualcuno che verrà a fare un discorso vecchio, settario e strumentale quando affronteremo un dibattito politico del genere? Chi si assumerà la responsabilità dell'anticomunismo dopo l'esperienza che abbiamo avuto ancora? Chi volesse ancora essere portatore di un discorso di questo genere, vorrà dire che sarà chiuso in un orizzonte così ristretto, così provinciale, così gretto, così omogeneo solo alla gestione del potere da inseguire al massimo la continuazione di una politica fallimentare ma non certamente aperto e capace di ciò che di nuovo hanno bisogno la nostra Regione e il nostro Paese.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Paganelli il quale, dovendo assentarsi nel pomeriggio per lavoro, non potrà essere presente alla seduta pomeridiana.



PAGANELLI Ettore, Assessore alla programmazione

Già l'altra volta, quando si è trattato di discutere sul documento dell'Ires, io dovevo essere contemporaneamente qui e alla Commissione interregionale a Roma; oggi dovrei essere qui e alla Conferenza nazionale di Cagliari, per cui sono obbligato ad intervenire adesso. Ad ogni modo inserirò nel dibattito alcune valutazioni che sono più che altro esplicative del documento della Giunta e che tengono già in conto delle osservazioni già emerse nella relazione del collega Benzi. Vuol dire che oggi pomeriggio sarà il Presidente a replicare, tenendo conto della discussione avvenuta.
Il dibattito si colloca in un momento che vede la nostra Regione fortemente impegnata nella formazione del piano regionale di sviluppo e credo debba essere sottolineato il dato di continuità che esiste tra la formulazione di un giudizio sulla bozza di Programma economico nazionale che è stata portata al nostro esame per la predisposizione del piano regionale.
Si tratta infatti di due modi, distinti ma tra loro connessi e che debbono quindi rispondere ad un'unica logica e ad un'impostazione unitaria di politica economica, attraverso i quali la Regione partecipa alla programmazione nazionale.
Dico subito che in quest'intervento non mi propongo di approfondire ulteriormente il discorso in ordine a specifici contenuti della proposta di Programma nazionale; la Giunta ha espresso in un documento le sue valutazioni e opportune integrazioni sono venute dai lavori delle Commissioni.
Credo invece utile in questa fase dei lavori chiarire alcuni aspetti di carattere più propriamente politico, motivare cioè più diffusamente la posizione in cui si è posta la Giunta Regionale di fronte agli organi nazionali della programmazione.
Conviene al riguardo cercare di fare rapidamente il punto sullo stato della programmazione in Italia, per comprendere appieno la natura e la portata reale dei problemi che abbiamo dinanzi ed in questa prospettiva bisogna richiamare brevemente lo svolgimento che ha avuto la politica di programmazione nel nostro Paese.
Com'è noto la programmazione è emersa nei paesi occidentali nel secondo dopoguerra sulla spinta di esigenze diverse e tra loro non sempre facilmente componibili. In particolare bisogna ricordare come le crisi cicliche prodottesi nelle economie industriali hanno evidenziato le difficoltà che si presentano in un sistema economico in cui i vari operatori si muovono in modo non coordinato, a conseguire contemporaneamente tre obiettivi fondamentali della politica economica: la piena occupazione, un saggio di sviluppo stabile e sufficientemente elevato, la stabilità dei prezzi.
Due di queste condizioni-obiettivo sono abbastanza facilmente realizzabili, a scapito della terza, per cui si è avuto sviluppo e stabilità dei prezzi, a scapito però dell'occupazione, o sviluppo ed incremento dell'occupazione, pagati da un elevato tasso di inflazione, cioè dall'erosione dei salari reali, tutti prezzi che giustamente la collettività non è disposta a pagare.
Questa situazione è quella che ha portato soprattutto a livello della teoria economica ad affermare la necessità della programmazione, della regolazione cioè dei meccanismi economici in funzione di determinati obiettivi assunti come indicatori per il comportamento dei vari operatori.
Questi elementi generali, presenti a livello internazionale che hanno fatto avanzare il discorso sulla programmazione; nel caso italiano ad essi bisogna aggiungere alcuni dati peculiari della nostra situazione dal problema meridionale a quello della disoccupazione, al divario tra industria e agricoltura.
Bisogna però dire che nonostante notevole impegno a livello di forze politiche la programmazione non è riuscita concretamente a tradursi in attività operante, non è riuscita cioè ad informare di sé la politica economica, il comportamento degli operatori pubblici come di quelli privati.
Ritornerò su alcuni dei motivi che sono alla base di questo insuccesso prima credo debbano esserne rilevate le conseguenze politiche che sono molte e possono essere evidenziate dalla constatazione che mentre intorno al programma '66/70 si svolse un intenso dibattito, sul secondo Programma economico nazionale, che pure cade in una situazione economica e sociale più difficile e complessa, il confronto è di gran lunga meno intenso e vivace.
Questo può essere un aspetto positivo se significa che la programmazione ha perduto un certo carattere mitico, quasi di deus ex machina, per risolvere tutti i problemi, ed è invece vista nei suoi limiti e nelle sue possibilità reali, ma potrebbe anche rappresentare una caduta di credibilità di tutto il discorso programmatorio che ove non trovasse un solido supporto di volontà politica rimarrebbe una vuota formulazione di intenzioni.
La politica di programmazione per poter effettivamente assumere un ruolo di guida dello sviluppo deve oggi compiere un salto qualitativo e l'attuazione dell'ordinamento regionale nel quadro istituzionale italiano può rappresentare un fattore importante a questi fini.
Una tale convinzione è alla base della posizione politica assunta dalla Giunta Regionale rispetto alla bozza di Programma economico nazionale '71/75: nel documento che abbiamo steso, come in sede di Commissione consultiva interregionale, abbiamo rifiutato di porci in un'ottica campanilistica che vede i rapporti con lo Stato in termini di concessioni e di sussidi da richiedere, per aprire invece un discorso serio sull'impostazione e sulle linee di fondo del piano nazionale.
Un discorso di questo genere deve partire da due punti obbligati: l'esperienza del primo piano nazionale e la situazione attuale; evadere da queste due problematiche costituisce a mio avviso una fuga che non ci consente in alcun modo di compiere un passo innanzi sul controllo e sul miglioramento dei meccanismi economici e sociali.
Sui fattori che hanno svuotato di operatività il piano '66/70 si soffermano le Osservazioni della Giunta e la relazione della I Commissione sarò quindi molto breve al riguardo, limitandomi ai dati essenziali, che possono essere riassunti in un'errata interpretazione della situazione economica di quegli anni e nel non avere affrontato il rapporto tra il piano e la sua gestione.
Quanto alla valutazione della situazione economica, gli uffici del piano operarono nella convinzione che la crisi congiunturale del '64/65 fosse un incidente, una parentesi che non metteva in discussione le possibilità di sviluppo del Paese: gli anni '58/63 erano cioè quelli cui si doveva fare riferimento, trascurando l'inciampo successivo.
Oggi è invece chiaro che le difficoltà del '64/65 erano un campanello d'allarme a dire che lo sviluppo non poteva proseguire sulla strada del passato e che dovevano essere sciolti i nodi strutturali che pesavano sull'economia italiana.
Certo, a distanza di anni il giudizio è più facile e più nitido, e l'interpretazione degli andamenti congiunturali nell'immediato è sempre più difficoltosa, ma se questo può attenuare sul piano culturale la responsabilità degli organi della programmazione, rimane il fatto che dobbiamo evitare di compiere una seconda volta l'errore.
Il nuovo Programma economico nazionale deve cioè innestarsi sulla situazione congiunturale e senza ridurre la programmazione ad una somma di azione anticongiunturale deve però incorporare al suo interno le indicazioni di politica congiunturale.
Il difficile rapporto congiuntura-struttura può infatti trovare solo nella programmazione la sede corretta ed idonea di soluzione, la sede cioè in cui è possibile valutare gli effetti di interdipendenza che si stabiliscono tra la dinamica del sistema economico e gli elementi che lo caratterizzano.
Ponendoci in questa prospettiva abbiamo affermato che gli obiettivi cui il piano deve indirizzare la politica economica di breve come di lungo periodo sono la piena occupazione, lo sviluppo del Mezzogiorno, la crescita dei consumi sociali, sottolineando anche, e questo rilievo è troppo sovente trascurato, come la possibilità stessa di perseguire questa finalità sia strettamente legata ad un'espansione ed un consolidamento dell'apparato produttivo.
Senza una crescita della base industriale è illusorio pensare agli obiettivi che tutti diciamo di volere, né possiamo credere ad una crescita delle attività terziarie se queste non sono alimentate dal settore industriale, a meno di non voler perpetuare il terziario parassitario, vale a dire le situazioni di sottoccupazioni. Questo è un primo aspetto dell'esperienza passata a cui dobbiamo rifarci per avviare una nuova politica di programmazione.
Un secondo aspetto è quello della gestione del piano, cioè degli strumenti attraverso i quali la Programmazione diventa comportamento ed attività operativa.
Il Programma '66/70 invece indicava una serie di riforme da compiersi proprio per consentire alla programmazione di tradursi nella realtà: ricordo solo la riforma della Pubblica Amministrazione, quella dell'ordinamento degli enti locali, quella delle Società per azioni, quella del Ministero delle Partecipazioni Statali.
Le indicazioni erano esatte, ma non si era sufficientemente tenuto conto di quanto esse condizionassero l'esplicarsi della politica di programmazione.
La realtà si è poi incaricata di dimostrare come l'operatore più inadempiente rispetto agli obiettivi posti dal piano sia stato proprio l'operatore pubblico e se non si modifica questa situazione ciò tornerà a ripetersi.
L'istituzione delle Regioni a statuto ordinario costituisce poi un ulteriore motivo per rivedere i moduli organizzativi di tutta la struttura pubblica: Regioni e programmazione sono due elementi innovativi che per svilupparsi richiedono una profonda riforma dell'apparato pubblico.
Non possiamo perciò condividere alcune opinioni che considerano la Pubblica Amministrazione per sua natura inefficiente e propongono quindi di gestire la programmazione prevalentemente con nuovi strumenti.
Vi è, nell'attuale proposta di programma nazionale, un certo atteggiamento rinunciatario che può essere spiegato in base all'esperienza passata, ma che non può essere accettato: questo vale appunto per le strutture pubbliche come per la politica industriale in mancanza della quale si ripiega sui "progetti di promozione".
Le difficoltà che oggettivamente si presentano per rilanciare la programmazione, credo invece si possano superare dando una maggiore solidità e consistenza politico-economica all'impiego del piano e questo è possibile solo se riusciamo ad aprire un confronto molto ampio su questi temi, investendone le forze politiche, le forze sociali e tutti gli istituti di rappresentanza democratica: le Regioni possono svolgere un ruolo importante in questa prospettiva ed è con questa consapevolezza che portiamo il nostro contributo alla formazione del piano nazionale.
Abbiamo quindi posto in discussione la filosofia stessa del Programma quale essa si presenta nell'attuale stesura, ma non ci siamo sottratti, in un spirito di critica costruttiva, ad un esame di specifiche proposte e contenuti, centrando la nostra attenzione sui progetti di maggiore rilievo.
Dal lavoro delle Commissioni e dal dibattito sono venute e verranno ulteriori indicazioni in questo senso, indicazioni che la Giunta accoglie e che integrerà nel documento da presentare agli organi della programmazione nazionale.
E' stato osservato da talune parti che le Osservazioni della Giunta sono prive di una vera e propria conclusione: il rilievo è in parte esatto e può essere accolto. Debbo però dire che più che una lacuna è una conseguenza della posizione che abbiamo assunto; nella misura in cui vogliamo avviare una maggiore partecipazione delle Regioni alla programmazione nazionale, la discussione con gli organi del piano del documento da essi predisposto è l'inizio di un dialogo nuovo, che nelle riunioni della Commissione interregionale dei primi di ottobre qualitativamente diversa dalle precedenti, ha avuto inizio e che non deve certo concludersi con la presentazione delle nostre osservazioni.
Il dialogo ed il confronto dovranno continuare, sia perché è ormai certo che il Programma economico-nazionale verrà a coprire l'arco '73/77 come anche noi avevamo richiesto, sia perché sta prendendo corpo la politica regionale di programmazione e tra i vari livelli di programmazione, nella realtà, più ancora che nelle norme, non vi può essere un rapporto meccanicistico di subordinazione gerarchica, ma si sviluppa una dialettica che dobbiamo indirizzare ad un reciproco miglioramento.
In ordine alla bozza di Programmazione economica nazionale voglio ancora ribadire come la posizione di critica assunta dalla Giunta posizione che attraverso la discussione della Commissione risulta sostanzialmente condivisa dal Consiglio Regionale, non significhi certo da parte nostra una messa in dubbio della validità e della necessità di una politica di programmazione. Anzi, come ho già detto, essa è più che mai necessaria oggi, in una situazione in cui mancano le idee-guida e le ipotesi di sviluppo alle quali possano indirizzarsi interventi di politica economica per uscire stabilmente dalla crisi.
Al di là degli aspetti economici, è ancora da sottolineare come il riaprire un ampio confronto sulla programmazione, sul volto cioè che dovrà assumere la società italiana, significa fare avanzare nel nostro Paese la democrazia e rendere più matura la coscienza sociale: portando il suo contributo in questa direzione la Regione Piemonte, nello spirito del suo Statuto, assolve pienamente il suo compito di istituto democratico al servizio della comunità regionale e dell'intera comunità nazionale



PRESIDENTE

La seduta è rinviata alle ore 16 precise, ma pregherei i Capigruppo di trovarsi dieci minuti prima.



(La seduta ha termine alle ore 13,20)



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