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Dettaglio seduta n.11 del 30/10/70 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VITTORELLI


Argomento:

Approvazione verbale precedente seduta


PRESIDENTE

La seduta è aperta. Prego un Segretario Consigliere di dar lettura del verbale della seduta precedente.



MENOZZI Stanislao, Segretario

Dà lettura del processo verbale della seduta del 16 ottobre 1970



PRESIDENTE

Non essendovi osservazioni, il verbale è approvato.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio Regionale


PRESIDENTE

Passiamo all'esame del secondo punto all'ordine del giorno. Comunico al Consiglio Regionale che è pervenuta all'ufficio di Presidenza della Regione Piemonte e al Presidente della Giunta regionale un telegramma del seguente tenore, firmato dal Consigliere regionale del Partito Comunista italiano Revelli: "Nome popolazione Entracque chiedo urgente intervento presso Direzione regionale Enel per sospensione immediata afflusso acqua condotta forzata diga Piastre essendosi verificate et continuando pericolose scosse sismiche. Urge tranquillizzare popolazione et dare avvio a seria indagine." Ho inviato al Compartimento di Torino dell'Enel un telegramma, ed uno analogo è stato inviato dal Presidente della Giunta, chiedendo all'Enel di fornire chiarimenti su questo problema. Dall'Enel è giunta questa risposta: "Diga Piastre condotta forzata et tutto impianto Entracque non presentano anormalità et loro funzionamento, tenuto da diversi anni sotto regolare controllo, est completamente estraneo alle scosse registrate zona Entracque et altre zone cuneesi, come accertato a più riprese e come riconfermato da costanti rilevazioni Istituto geofisico Università di Genova stop. Fermata impianto sarebbe pertanto ingiustificata et arrecherebbe inutile danno economia elettrica, con gravi conseguenze per erogazione energia. Firmato: Centro progettazioni costruzioni idrauliche elettriche, Negri." Sono pervenute alla Presidenza, da parte di alcuni parlamentari telegrammi o lettere di auguri e scuse per non poter partecipare alla presente seduta. Lettere di tale natura sono pervenute dall'on.le Badini Confalonieri, dal sen. Giuseppe Pella e dall'on.le Bo. Un telegramma di auguri è stato inviato pure dal sindaco del Comune di Albano Vercellese.
Il vice-presidente del Consiglio Regionale Oberto, che è stato colto da malore alcuni giorni fa, e che ha presieduto egregiamente la Commissione Statuto durante una gran parte dei suoi lavori, non potendo essere presente a questa seduta inaugurale, nella quale si prenderà in esame il progetto di statuto della Regione, mi ha inviato una lettera che mi ha pregato di leggere al Consiglio. Ne dò lettura "Caro Presidente, il malanno capitatomi a tradimento, proprio nel momento di maggiore impegno per i lavori della Commissione Statuto, che mi hai designato a presiedere, si avvia a soluzione, con previsioni più ottimistiche di quanto non fosse lecito formulare al suo sorgere. Ma i medici decisamente non consentono che partecipi, sia pure brevemente, alla seduta di Consiglio del 30 c.m., nel corso della quale avrà inizio la discussione generale sullo Statuto.
La cosa mi rattrista e non poco, ma i medici sono inesorabili. Mi scuso e giustifico con te, che ti sei trovato all'improvviso sulle spalle anche il carico della presidenza della Commissione Statuto e ti prego di giustificarmi presso i Colleghi del Consiglio, ritenendomi in congedo per malattia.
Ti sono molto grato del costante, premuroso interessamento per me, così come lo sono verso i Colleghi del Consiglio, che ti prego di voler vivamente ringraziare, riservandomi di farlo personalmente al più presto.
Vorrei infine pregarti di esprimere ai Colleghi della Commissione Statuto il mio più cordiale apprezzamento per l'opera svolta e la collaborazione prestata nel corso dei lavori da me presieduti, e certo continuata con te giungendo al risultato della redazione del testo che costituirà la base del dibattito.
Sono lieto che le linee fondamentali oggetto delle appassionate preliminari discussioni in Commissione siano segnate chiaramente nella bozza di Statuto, che pur doverosamente e giustamente ancorato alla norma costituzionale ed alle leggi dello Stato successivamente emanate, tiene conto del tempo trascorso dalla emanazione di quei provvedimenti legislativi, della evoluzione socio-economica avvenuta, dell'apporto generoso di idee espresse da enti locali e da altri enti sociali e culturali, della esigenza di una partecipazione diretta del popolo all'esercizio del potere, specialmente nel momento programmatorio. E' quindi giusto e logico superare norme e concetti inattuali in senso e spirito costruttivo, littera enim occidit, spiritus autem vivificat, nella previsione legittima della piena approvazione del Parlamento, e conseguentemente adeguare alle reali esigenze di oggi e di domani la carta statutaria sulla quale si fonda la capacità di sviluppo della nostra Regione, nel quadro armonico di una attività politica, sociale amministrativa, economica, culturale che, portando ad una crescita piemontese, concepisca nel contempo motivo di migliore equilibrio sul piano nazionale, specie per il Meridione d'Italia e di deciso inserimento nella realtà nuova dell'Europa delle Regioni.
Rammaricato di non poter dare un più diretto ed ampio apporto alla discussione, che sarà sicuramente di alto livello, ti sarò grato se vorrai dare lettura di questo mio scritto unendolo agli atti." Al Presidente Oberto formulo, ritengo a nome di tutti, i migliori auguri di pronto ristabilimento.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Designazione della Giunta delle elezioni


PRESIDENTE

Avendo esaurito il secondo punto all'ordine del giorno passiamo al terzo: "Designazione della Giunta delle elezioni".
Il Regolamento che è stato adottato dal Consiglio regionale il 6 ottobre '70 dispone, nel suo art. 11, che il Presidente, nella prima seduta dopo la costituzione dei Gruppi, comunichi al Consiglio i nomi dei Consiglieri da lui scelti per costituire la Giunta delle elezioni, in numero di dodici.
Successivamente all'ultima seduta, si sono costituiti i Gruppi consiliari. Ne ho dato comunicazione al Consiglio, ed ho anche indicato al Consiglio come è stato costituito il loro Ufficio di presidenza. Ho consultato, nella Conferenza dei Presidenti che ho convocato alle tre di questo pomeriggio, i vari Gruppi consiliari, e sono giunto alla determinazione di designare a far parte, a norma dell'art. 11 del Regolamento, della Giunta delle elezioni i seguenti Consiglieri: Paganelli Ettore, Petrini Luigi, Giletta Giuseppe, Vietti Annamaria, Marchesotti Domenico, Besate Pietro, Lo Turco Giorgio, Simonelli Claudio, Fonio Mario Fassino Giuseppe, Vera Fernando, Giovana Mario.


Argomento: Statuto - Regolamento

Esame del progetto di Statuto della Regione


PRESIDENTE

Siamo così giunti all'esame del quarto punto all'ordine del giorno: "Esame del progetto di Statuto della Regione".
Questo progetto è stato elaborato dalla Commissione per lo Statuto.
Esso è in corso di distribuzione. I Consiglieri lo avranno insieme all'allegata relazione scritta e al testo delle proposte di emendamento che sono state fin qui formulate. Avendo dovuto sostituire nella Presidenza della Commissione, nell'ultima parte dei suoi lavori, il vice-presidente Oberto, che avevo designato a presiedere tale Commissione, prima di passare alla discussione generale del progetto di Statuto, sulla quale sono già iscritti a parlare un Consigliere per ciascuno dei gruppi consiliari e delle forze politiche rappresentate in questo Consiglio, procederò, nella mia veste di Presidente ad interim della Commissione Statuto, ad una rapida illustrazione orale del progetto che è sottoposto alla vostra attenzione e che da oggi sarà oggetto di discussione generale.
Il progetto elaborato dalla Commissione per lo Statuto è stato frutto di un lavoro estremamente intenso, che ha richiesto ventiquattro riunioni della Commissione Statuto, la formazione di tre sottocommissioni ed una serie di sedute notturne, nel corso delle quali i componenti di questa Commissione, designati a farne parte in seguito a deliberazione del Consiglio, sono venuti elaborando gradualmente i termini del progetto oggi sottoposto alla vostra attenzione.
Le discussioni in seno a questa Commissione, nonostante la diversa provenienza politica dei componenti la Commissione stessa, sono state assai fruttifere, cordiali e armoniose, per la consapevolezza dei membri della Commissione stessa dell'onere che pesava sulle loro spalle di "inventare" la Costituzione della Regione piemontese; poiché tale è il carattere che assume lo Statuto della Regione Piemonte.
Si trattava di "inventare", propriamente, un testo di Costituzione per un istituto quale l'Ente Regione, che non è lo Stato ma che non è neppure una Amministrazione provinciale o comunale. La struttura della Regione secondo le norme della nostra Costituzione, è assai diversa da quella delle altre Amministrazioni locali.
La Regione dispone di un Consiglio regionale, con il suo proprio Ufficio di Presidenza, e di una Giunta. Le funzioni legislative ed esecutive non si confondono, e, diversamente da quanto accade nelle Amministrazioni comunali e provinciali, si ritiene che il Presidente dell'esecutivo della Regione non sia adatto ad essere il Presidente del potere deliberante della Regione stessa. E ciò per la particolarità dei compiti che competono a questo Consiglio.
Infatti, il Consiglio regionale, oltre ad essere una assemblea amministrativa, diversamente dalle altre assemblee amministrative è anche una assemblea legislativa. Esso è quindi chiamato ad esaminare testi che hanno valore di legge e che sono divisi in articoli, l'approvazione di questi testi richiede una fase preparatoria, con l'esame in sede referente da parte di Commissioni, e - come vedremo noi stessi nel corso dell'esame di questo Statuto - un esame delle norme da deliberare fatto articolo per articolo, emendamento per emendamento, comma per comma. Si tratta, cioè, di un esame minuto, che comporta quindi un lavoro assembleare assai più gravoso di quanto non sia il lavoro assembleare delle Assemblee provinciali e comunali, il quale presenta analogie fortissime con il lavoro assembleare svolto dai due rami del Parlamento.
Siccome, a prescindere dai problemi di carattere politico o giuridico un lavoro di questo genere richiede una minuta organizzazione tecnica per poter procedere speditamente, e per potere anche, attraverso il suo svolgimento, dare la possibilità a tutti i componenti il Consiglio di arrecare il loro contributo all'elaborazione delle leggi, era necessario che la Regione si desse uno Statuto, che fosse adatto alla Regione stessa diverso forse Regione per Regione, per regolare il funzionamento della Regione in maniera distinta da come è regolato il funzionamento degli altri Enti, quali lo Stato da un lato e le Province e i Comuni dall'altro.
Lo Statuto che noi abbiamo elaborato doveva anche tener conto di un altro fattore estremamente importante. Le Regioni non sono nate contemporaneamente allo Stato, ai Comuni o alle Province. E non sono nate in un momento qualunque della nostra storia. Esse sono nate nel 1970, anche se hanno dei precedenti importanti attraverso la nascita delle Regioni a Statuto speciale.
Le Regioni a Statuto ordinario sono dunque nate in una certa fase della nostra storia politica, in una certa fase di maturazione dei rapporti fra cittadini e organi pubblici; in quella fase che è stata preceduta, nel corso degli ultimi anni, dal movimento di contestazione, dall'esigenza espressa dai vari tipi di contestazione, nel nostro come in altri Paesi, di organizzare in forme nuove la partecipazione popolare alle deliberazioni degli organi pubblici. La Regione si è quindi trovata per prima, prima dello Stato e prima dei Comuni e delle Province, a dovere, come ultimo nato fra i nostri istituti di diritto pubblico, affrontare in termini nuovi il problema dei rapporti fra il cittadino e lo Stato.
Lo Statuto piemontese non pretende certo di aver dato una soluzione pienamente esauriente e rigorosa a questo problema. Esso ha però posto questo problema in testa alle proprie preoccupazioni perché si tratta forse del problema centrale che emerge come elemento di novità, anche se molti altri problemi sono stati affrontati e risolti.
Si tratta di un problema centrale perché per la prima volta ci si è posti in termini nuovi un problema vecchio che forse non era mai stato affrontato di nuovo in questi termini, ossia dal momento in cui Jean Jacques Rousseau aveva enunciato la dottrina della rappresentanza democratica dei cittadini in assemblee elettive.
Fino ad oggi, i due termini entro i quali si è svolta la vita democratica di tutte le società del mondo occidentale sono stati, da un lato, la democrazia diretta delle antiche città greche, dall'altro, quando i numeri non hanno più permesso di avere forme di democrazia diretta, la democrazia rappresentativa, che a noi tutti è nota e che si manifesta attraverso l'elezione di rappresentanti in organi dello Stato, delle Province, dei Comuni. Noi stessi, come Consiglieri regionali, siamo rappresentanti della popolazione piemontese nel Consiglio regionale del Piemonte.
Ci siamo, tuttavia, trovati, nello stesso tempo, davanti a questa esigenza, manifestatasi nel corso di questi ultimi anni, di non interrompere il rapporto fra rappresentante e rappresentato nel momento stesso in cui il rappresentato ha espresso la sua volontà; di non interrompere un rapporto che, fino ad oggi, in sede parlamentare, in sede comunale, come in sede provinciale, è un rapporto che si ripristina soltanto nel momento di nuove elezioni; ma di mantenere aperto tale rapporto durante tutto il periodo che intercorre fra una elezione e l'altra, senza imporre al rappresentante, in qualunque assemblea, del nostro come di altri Stati democratici, di interpretare solo secondo la propria coscienza la volontà dei suoi rappresentanti.
Noi abbiamo ritenuto che questo sforzo di interpretazione, imposto fino ad oggi nella storia delle istituzioni democratiche ai rappresentanti dovesse dar luogo, in seguito alla contestazione di questa interpretazione che si è avuta nel corso degli ultimi anni in numerosi Paesi, alla ricerca di canali permanenti di comunicazione fra i cittadini e la Regione, anche nel corso dell'esercizio del mandato del Consiglio regionale.
Affinché questi canali non fossero canali puramente simbolici e puramente consultivi, abbiamo inteso creare una serie di istituti di partecipazione popolare che conferiscono ai cittadini della nostra Regione il diritto di prender parte all'iniziativa legislativa della Regione, di proporre un referendum su questioni di interesse regionale, di chiedere di essere consultati da organi della Regione in forma associata, e cioè quando questa richiesta venga rappresentata da Enti locali, da sindacati operai da organizzazioni di categoria, o da organismi sociali di altra natura al Consiglio regionale, o di sentirsi chiamati ad esprimere un parere ai medesimi organi della Regione. In tutte le fasi dell'azione della Regione questa sarà così in grado di ascoltare l'espressione organizzata dell'opinione pubblica, di essere sollecitata da questa, di chiedere a posteriori, se occorre, un parere sulle proprie iniziative, e nello stesso tempo di essere aperta a tutte le esigenze che si manifestino nella società civile piemontese, in forme che non siano soltanto quelle della manifestazione di piazza all'esterno dei palazzi pubblici ma che siano viceversa regolate in maniera rigorosa dallo Statuto della Regione e dal Regolamento del Consiglio regionale.
Questi canali, che si sono così voluti aprire, costituiscono probabilmente l'elemento di maggiore novità di questo Statuto, il quale si divide in otto titoli di ottanta articoli più due norme transitorie.
Un primo Titolo stabilisce i principi informatori della Costituzione della Regione, principi che vanno dall'affermazione che il Piemonte è Regione autonoma secondo i principi della Costituzione nell'unità della Repubblica Italiana fino a principi relativi all'autonomia regionale e alla partecipazione popolare, all'autonomia ed al decentramento degli Enti locali, allo sviluppo economico e sociale nei suoi rapporti con la programmazione, alla tutela del patrimonio culturale e naturale, alla tutela delle minoranze, all'informazione sui programmi, le decisioni e gli atti di rilevanza regionale, alla consultazione degli Enti locali, dei sindacati dei lavoratori, delle organizzazioni di categoria e delle formazioni sociali, delle istituzioni culturali, delle associazioni e degli organismi in cui si articola la comunità regionale.
Il Titolo II di questo Statuto dispone le norme relative agli organi della Regione e ne indica le attribuzioni e le funzioni. Questi organi sono tre: il Consiglio regionale, il Presidente della Regione e la Giunta regionale. Sul modo di elezione di questi organi si è svolto un lungo ed approfondito dibattito in Commissione, sono sorti anche numerosi contrasti che verranno certamente illustrati e chiariti dai rispettivi gruppi nel corso dei lavori della nostra assemblea, e nella stessa seduta odierna ciascuno dei gruppi consiliari e delle forze politiche che fanno parte di questo Consiglio verrà certamente ad illustrare davanti al Consiglio la posizione che il proprio gruppo assume rispetto al progetto di Statuto che è oggi sottoposto alla vostra attenzione.
Non ritengo di dover illustrare le norme che sono state prescelte in questo titolo dello Statuto, perché su queste norme, come dicevo poco fa vi sono stati dissensi, e ritengo sia meglio che coloro che hanno sostenuto le varie posizioni in seno alla Commissione precisino le ragioni per cui sono state adottate le norme qui proposte o sono proposti gli emendamenti sostitutivi di queste medesime norme. Il Titolo II contiene pure disposizioni relative al modo di funzionare del Consiglio regionale.
Il Titolo III contiene le norme relative alle funzioni legislative del Consiglio. Anche queste norme era importante che fossero qui indicate per la potestà legislativa che la Costituzione conferisce alle Regioni.
Il Titolo IV, che è quello centrale, è quello che definisce le norme relative alla partecipazione popolare, a cominciare dagli istituti della partecipazione, che sono elencati all'art. 46 del Progetto di Statuto, ai termini del quale sono istituti della partecipazione l'iniziativa legislativa popolare, l'iniziativa legislativa degli Enti locali, il referendum consultivo e abrogativo, il referendum costitutivo per l'ipotesi speciale prevista dallo Statuto, l'interrogazione degli Enti locali agli organi della Regione, la petizione di singoli cittadini, di Enti e di associazioni.
Nel V Titolo, anch'esso di estrema importanza, sono regolate le attività amministrative e sono formulati i rapporti che la Regione mantiene con gli Enti locali. In questo Titolo, viene affrontata la questione estremamente spinosa delle deleghe della Regione agli Enti locali e dei controlli della Regione sui medesimi Enti locali. Materia di estrema delicatezza e di estrema importanza, perché anch'essa è innovatrice del nostro diritto pubblico.
La Regione opera a termini della Costituzione della Repubblica sostanzialmente per delega. Non si tratta, quindi, di un nuovo organismo burocratico che si aggiunge agli altri, che sovrapporrà o frapporrà fra la burocrazia statale e quella dei Comuni e delle Province una propria burocrazia regionale che verrà ad aumentare l'elefantiasi amministrativa del nostro Paese.
E' il primo organo pubblico che si serve degli organi che già esistono e che si sostituisce ad essi, o ne completa l'azione, solo quando occorra attraverso organi propri, con strumenti nuovi, moderni, efficaci, che non escludono il ricorso a nessuna delle forme di intervento pubblico che sono state sperimentate nelle varie società industriali avanzate nel corso degli ultimi trenta-quarant'anni.
Ne abbiamo modelli numerosi anche nel nostro Paese, ai quali sarà agevole, per la Regione Piemonte, ispirarsi, in maniera da adeguare l'articolazione degli strumenti pubblici in quelle forme snelle e nuove che le permetteranno di essere adatta ai tempi ai quali conviene di far fronte.
Ma, in questo campo, occorre anche essere estremamente precisi e rigorosi, e nello stesso tempo stabilire un rapporto fra delegante e delegato che presenti elementi di analogia con il rapporto fra rappresentante e rappresentato che gli istituti della partecipazione popolare contenuti in questo progetto di Statuto hanno ritenuto di dover creare.
Anche il rapporto fra delegante e delegato non è più un rapporto di carattere gerarchico: la Regione non dà ordini ai Comuni o alle Province ai quali delega alcune funzioni, ma concerta con questi Enti locali il modo in cui è possibile attuare certe funzioni, e poi, nella piena riassunzione della propria responsabilità, formula il mandato al quale successivamente gli Enti delegati saranno chiamati a sottostare.
Ma, continuamente, in questo processo di azione per delega, sia nella fase che precede il conferimento della delega, sia in quella dell'esercizio della delega da parte dell'Ente locale, sia in quella eventuale che pu seguire l'esercizio della delega attraverso la revoca della stessa delega non vi sarà deliberazione della Regione che non sarà presa senza che l'Ente locale abbia potuto manifestare pienamente le proprie esigenze e il proprio pensiero.
Questo permette immediatamente di instaurare tra la Regione e gli Enti locali minori un rapporto assai diverso dal rapporto tradizionale del nostro diritto amministrativo tra lo Stato e gli Enti locali che allo Stato sono subordinati. E da questo spirito discende anche lo spirito con il quale il progetto di Statuto della nostra Regione imposta il rapporto di controllo tra la Regione e gli Enti locali.
Il controllo non è più il controllo di tipo burocratico che si è avuto sino ad oggi, con il controllo che non tiene in nessun conto le esigenze degli Enti locali ed i tempi entro i quali essi hanno bisogno di poter rendere esecutive le deliberazioni dei loro organi sovrani, come accade ancora attraverso il tipo di controllo che noi abbiamo ereditato dal sistema napoleonico travasato nello Stato sabaudo e successivamente travasato nello Stato italiano.
Noi abbiamo bisogno oggi di restituire agli Enti locali quella autonomia che è scritta nei nostri testi costituzionali, che è scritta nei nostri testi legislativi, ma che viene immediatamente contraddetta da una complessa procedura di controllo che, nel ritardare, talvolta durante molti anni, la esecuzione delle delibere di organi amministrativi locali, finisce con lo svuotare questa autonomia del suo potere effettivo di incidere sulla realtà locale mediante la rapida esecuzione delle decisioni che sono state prese.
Non vi è dubbio che le leggi vigenti rendono ancora difficile uno snellimento di questo tipo. Lo Statuto della nostra Regione pone alcune premesse che non esauriscono tuttavia la materia dei controlli, poich occorre ancora che lo Stato, nell'assumere anch'esso consapevolezza dell'evoluzione dei tempi, non sottoponga gli atti controllati dalla Regione a ulteriori controlli o ad ulteriori interferenze, da parte di organi del potere centrale, che magari non si chiamano controllo, atti a ritardare l'esecuzione degli atti amministrativi.
Ci è tuttavia sembrato che, fin da questo momento, si dovesse prevedere una procedura di controllo che la Costituzione conferisce alle Regioni facoltà di scegliere, e cioè un controllo articolato e decentrato; quel tipo di controllo che va verso l'Ente locale, anche dal punto di vista territoriale, e non chiama l'Ente locale a spostarsi verso la capitale della Regione, o addirittura verso la capitale dello Stato, per sottoporsi al controllo.
Deve cessare, nell'ambito della Regione Piemonte, quella prassi che spesso si riscontra ancora nei rapporti fra il potere centrale e il cittadino, per cui qualunque agente del potere centrale si sente tuttora autorizzato a convocare un libero cittadino, tutelato dalla Costituzione nei suoi diritti, nell'ora e nel giorno stabiliti da questo agente del potere centrale per sottoporsi a controlli che talvolta non sono nemmeno previsti dalla Costituzione e dalle leggi.
La Regione, per quanto le compete, non intende convocare Comuni e Province per sottoporsi al controllo: intende, al contrario, creare sezioni decentrate di controllo che tengano conto delle effettive esigenze degli Enti locali e della quantità di atti che saranno sottoposti al controllo. E se occorresse si andrebbe anche al di là dei termini previsti dalle leggi vigenti; perché se un grande Comune, capoluogo di Provincia, per sottoporsi agevolmente a controllo, avesse bisogno di una sezione di controllo della Regione chiamata ad occuparsi esclusivamente degli affari di questo Comune capoluogo, ebbene, si concorderà con questo Comune capoluogo l'istituzione di una sezione decentrata di questo tipo, perché il controllo deve semplicemente tutelare i cittadini contro gli abusi dell'amministrazione ma non deve viceversa essere un mezzo costrittivo per impedire alle Amministrazioni locali di godere della loro piena autonomia nell'esercitare i poteri che sono stati loro delegati sovranamente dal popolo che ha eletto gli amministratori.
Il Titolo VI del Progetto di Statuto riguarda le materie economiche e finanziarie, viste soprattutto sotto l'angolo della programmazione economica. Se la programmazione è un'invenzione recente nel campo delle attività dello Stato, se questa invenzione è tuttora rimasta un corpo spesso sprovvisto di gambe, nello Statuto della Regione Piemonte la normativa relativa alla programmazione ne fa certamente un essere vivente capace di muoversi di forza propria.
Tutta la politica economica della Regione, in base al Progetto di Statuto che è stato sottoposto al vostro esame, è destinata a svolgersi nell'ambito della programmazione, direi che siamo talmente invasati di programmazione che abbiamo inserito la programmazione anche nell'ordinamento dei nostri lavori consiliari: uno dei principi fondamentali del Regolamento di questo Consiglio regionale è la programmazione dei propri lavori cui è subordinato il funzionamento del Consiglio stesso. E questo non soltanto per una specie di mania di prevedere e di programmare tutto, ma per un senso forse più moderno di quanto non lo sia stato quello dei nostri predecessori che non avevano contemplato la programmazione: della libertà individuale.
Programmare significa infatti anche rispettare il tempo degli altri dire a tutti in anticipo entro quali tempi si pensa di fare certe cose mettere tutti, quindi, in grado di prepararsi, secondo il piano stabilito dalla Regione, a rientrare in questo piano, subordinandosi ad esso o facendosi condizionare dal programma regionale, nell'elaborazione dei programmi di carattere territoriale o settoriale più ristretto, compresi tra questi programmi i programmi di investimenti delle aziende pubbliche e private, che, trovandosi davanti ad un programma regionale elaborato tempestivamente, sono anche in grado di dare a questo programma il loro concorso e la loro partecipazione.
In materia finanziaria, trattata pure in questo Titolo VI, viene ribadito, nel Progetto di Statuto della Regione, il principio dell'art. 81 della Costituzione della Repubblica, che è quello che richiede che nessuna legge che comporti spese nuove o aumento di spese possa essere approvata senza copertura: occorre, cioè, che la Regione, nell'elaborazione delle sue misure legislative, subordini sempre l'approvazione di ogni legge alla verifica della sua coerenza e della sua compatibilità con due principi ispiratori il piano poliennale di sviluppo e l'esercizio finanziario previsto dal bilancio di previsione, allo scopo di vedere se c'è conformità tra la legge e le previsioni di spesa a carattere poliennale o a carattere annuale che sono state fatte nel piano o nel bilancio della Regione.
Il Titolo VII, relativo allo stato giuridico ed economico del personale, contiene essenzialmente una norma importante, quella che subordina l'ingresso nei ruoli della Regione a pubblico concorso, principio anche questo mutuato dall'Amministrazione dello Stato.
Infine, il Titolo VIII contiene le norme per la revisione dello Statuto della Regione.
Il lavoro che è stato fatto è forse incompleto, perché non esaurisce tutta la materia che avremmo dovuto regolare, e pur tuttavia, è un lavoro che posso giudicare encomiabile, essendo stato chiamato a presiedere questa Commissione quando già aveva effettuato una gran parte del suo lavoro ed aveva già superato tutta una serie di grossi ostacoli mediante la discussione generale fatta nella prima fase dei suoi lavori. Lavoro encomiabile perché è consistito, prima, nell'identificazione delle materie da inserire in questo Statuto, poi nella loro organizzazione in norme precise, poi nella sintesi di queste norme per dare loro quell'aspetto chiaro e comprensibile per cui le norme contenute in questo Statuto possano essere accessibili a chiunque ne prenda visione. Il prodotto di questo lavoro è sottoposto ora alla vostra attenzione.
Abbiamo voluto inaugurare questa discussione con un certa solennità perché essa costituisce un momento importante per la vita della Regione: la Regione nasce veramente con l'approvazione dello Statuto: diventa ente pubblico, di diritto pubblico, assume la pienezza dei suoi poteri, assume tutta la sua personalità con l'approvazione dello Statuto.
Abbiamo scelto a questo scopo quest'aula, l'aula di Palazzo Madama, che fu già sede del Senato Subalpino e della prima parte della vita del Senato nel Regno d'Italia dopo l'Unità, fra il 1861 e il 1866, perché in quest'aula il Senato Subalpino fu chiamato ad approvare la prima Carta Costituzionale democratica, - anche se non molto democratica per il modo in cui fu concessa - , che abbia avuto il nostro Paese: lo Statuto albertino del 1848. Qui, dove siete seduti oggi, oltre cento anni or sono ci fu un voto determinante per l'approvazione della prima Carta democratica che regolò la vita del nostro Paese.
Ai principi ispiratori, non tanto dello Statuto albertino, quanto della piattaforma democratica che esso fu chiamato a sancire, si ispira oggi questo nuovo Statuto, che è una cosa assai diversa dalle carte costituzionali di tipo classico perché approfondisce in maniera completamente nuova i problemi del rapporto tra lo Stato ed il cittadino tra la Regione e gli altri Enti locali, fra la Regione e la società nella quale essa e chiamata ad operare, fra la Regione e il sistema economico che essa è chiamata a governare.
Abbiamo la pretesa, con lo Statuto che abbiamo elaborato, di aver contribuito, probabilmente insieme ad altre Regioni che si sono poste gli stessi problemi, a dare l'avvio ad una nuova forma di sistema democratico ad una democrazia che non vuole più essere soltanto rappresentativa, ma che vuole diventare una democrazia a partecipazione popolare.
Sul progetto di Statuto regionale è aperta ora la discussione. Ha chiesto di parlare il Consigliere Gandolfi. Ne ha facoltà.



GANDOLFI Aldo

Signor Presidente! Signori Consiglieri! Devo esprimere, a nome del Partito Repubblicano italiano, la soddisfazione non solo per il Progetto di Statuto proposto alla discussione e al voto del Consiglio Regionale, ma anche per il modo in cui si sono svolti i lavori della Commissione per lo Statuto in questi mesi.
Direi che i lavori della Commissione sono stati improntati - e credo che tutti i Colleghi ne convengano - ad una notevole consapevolezza dell'importanza del momento costituente che andavamo vivendo. Questa consapevolezza ha certamente prodotto un clima ed una capacità di lavoro che hanno fatto ritrovare quasi sempre la possibilità di soluzioni e di prospettive largamente unitarie all'interno della Commissione. Questa consapevolezza, questa serietà di metodo di lavoro deriva certamente dal modo in cui è stata intesa la caratterizzazione che la Regione viene ad assumere oggi nel nostro Paese, nel quadro dei problemi della vita sociale politica, economica italiana.
Erano già stati sottolineati, nel dibattito che ha preceduto l'insediamento della Commissione Statuto, alcuni aspetti fondamentali che dovevano improntare l'impostazione del lavoro della Commissione. Io li vorrei ricordare, per coglierne alcuni lati fondamentali che ci permettono oggi di interpretare e di capire il significato di una serie di norme e dell'impostazione che è stata seguita.
Come si pone oggi, nel 1970, la nascita delle Regioni a Statuto ordinario? Si pone come momento rilevante dal punto di vista di due aspetti fondamentali della nostra vita politica: il problema della ristrutturazione dei poteri pubblici e il problema di una diversa organizzazione, e articolazione della politica economica, di una politica economica programmata, nel nostro Paese.
Sul piano della ristrutturazione dello Stato - e questo è stato già sottolineato dal presidente Vittorelli nella sua introduzione - non a caso le Regioni nascono oggi, nel 1970, nel pieno di una fase di trasformazione che vede lo Stato accentrato, così come si è creato nel dopoguerra fino ad oggi, alle prese con una serie di tensioni, di indirizzi e di tensioni di riforma all'interno del Paese, che devono certamente trovare e registrare delle capacità di soluzioni, delle capacità e delle volontà di carattere politico a livello nazionale; ma devono certamente trovare un momento istituzionale che permetta di rompere questa spirale che vede da un lato uno Stato fortemente accentrato, sempre più burocratizzato, incapace di recepire le istanze che provengono da tutti i ceti sociali, di portare tutte le componenti sociali ad uno stato di effettiva partecipazione di scelte e di indirizzi politici; e vede lo stesso Stato burocratico e accentrato, dall'altro, in effetti incapace di incidere su questa realtà determinando soluzioni nuove e gestendo in modo nuovo tutta la complessa macchina della burocrazia statale e degli interventi che uno Stato moderno oggi deve esercitare sul territorio.
Il momento istituzionale nuovo e il momento della Regione: un momento che può dare quel tipo di soluzione istituzionale che sola può rompere questa spirale, che altrimenti non ha possibilità di soluzione e di sbocco positivo all'interno del Paese. Al di là, ripeto, delle volontà politiche c'é il problema della volontà di realizzazione di situazioni istituzionali nuove, che permetta di risolvere in senso largamente decentrato autonomistico e partecipativo le sollecitazioni che salgono dal basso per effetto dello sviluppo sociale, economico e della evoluzione culturale ed ideologica del Paese.
In questo contesto, per il Partito Repubblicano, e, direi, mi sembra un po' per tutte le forze politiche, la Regione si pone come momento di una organizzazione nuova delle autonomie del Paese, la prima effettiva organizzazione del momento partecipativo, di composizione e partecipazione di tutte le istanze sociali, alle decisioni politiche di gestione della cosa pubblica.
In questo senso, il ruolo della Regione, che, come è stato sottolineato dal presidente Vittorelli, abbiamo voluto riaffermare all'interno dello Statuto, è un momento partecipativo di coordinamento, di realizzazione di diverse forme di autonomia. E' nota la posizione del Partito Repubblicano sulla necessità di abolire le Province come momento intermedio e di sostituirle con un momento diverso, quello della organizzazione comprensoriale, della organizzazione, attraverso il comprensorio, delle istanze sociali ed economiche del territorio. E' evidente che questo è problema di determinazioni di tipo costituzionale, ma ci sembrava importante come partito, ed effettivamente è stato recepito questo nello Statuto, sottolineare la necessità di introdurre nello Statuto una apertura di questo tipo, una indicazione di questo tipo, prospettata verso il futuro e verso un nuovo modo di organizzare e coordinare le autonomie locali.
Un secondo grosso ordine di istanze che era importante che lo Statuto recepisse, e che ci sembra che lo Statuto piemontese che andiamo a discutere abbia, con piena nostra soddisfazione, recepito, è quello relativo alla programmazione economica, alla necessità, cioè, che le Regioni si pongano, all'interno del meccanismo dell'articolazione di una politica economica programmata nel Paese, come lo strumento nuovo che pu portare a soluzione quel cumulo di problemi irrisolti che oggi ci sono sul tappeto della politica economica del Paese e che hanno fatto sì che in questi anni, al di là di enunciazioni di principio di grandi indirizzi politici, la programmazione economica restasse un corpo inarticolato incapace di organizzare effettivamente una politica di interventi pubblici nel territorio.
Come vediamo il ruolo della Regione? Come momento di censimento e di organizzazione, di istanze, di sollecitazioni che devono essere portate in maniera articolata e coerente nelle sue varie parti al livello del Parlamento, che è certamente - e il nostro Statuto piemontese, così come è stato elaborato, lo ribadisce - il momento delle decisioni fondamentali il momento al quale si devono uniformare tutti gli indirizzi delle autonomie e tutta l'organizzazione degli interventi politici ed economici regionali.
In questo momento e in questo contesto è certamente importante affermare, come abbiamo riaffermato, che il ruolo che la Regione Piemonte intende giocare in questa prospettiva è un ruolo estremamente rispettoso del discorso generale della programmazione economica nel nostro Paese, che e un discorso di equilibramento della struttura economica, produttiva sociale del nostro Paese, equilibramento all'interno e fra le grandi aree territoriali del nostro Paese.
Ma dopo questo momento di grandi decisioni nazionali e di definizione di grandi indirizzi di politica economica nazionale la Regione deve proporsi, anche attraverso gli strumenti statutari che predispone, come momento di articolazione di una politica di intervento, come un momento di coordinamento di tutti gli interventi pubblici sul territorio, quindi anche di coordinamento di tutti gli interventi degli Enti locali che stanno a livelli inferiori, che, nella misura in cui partecipano ad una formulazione di indirizzi e ad una definizione di scelte, devono avere la capacità di coordinarsi in un contesto politico, di politica economica programmata, che deve dare coerenza a tutta la politica economica che si svolge e si realizza sul territorio regionale.
Se questi sono i due grandi indirizzi che nel dibattito generale prima e poi nel dibattito in concreto che si è svolto all'interno della Commissione Statuto si sono determinati, indirizzi che hanno visto notevoli convergenze all'interno della Commissione Statuto, è ovvio, e non poteva essere diversamente, che nella concreta articolazione, poi, dei titoli e degli articoli dello Statuto e nelle soluzioni di carattere statutario che a questi problemi sono stati dati, siano emerse ovviamente diverse caratterizzazioni, che tenevano conto del tipo di istanze, di esigenze, di preoccupazioni di cui ogni forza politica si faceva portatrice.
Il Partito Repubblicano, attraverso la mia persona, si è fatto interprete di alcune esigenze fondamentali. Sul piano della definizione delle funzioni degli organi della Regione, della esigenza che si desse vita ad una articolazione di rapporti fra i diversi organi che lo Statuto prevede, che dia forza e stabilità all'Esecutivo e al tempo stesso il massimo di possibilità di diritti e di poteri effettivi di controllo alle minoranze, e direi all'organo consiliare in quanto tale rispetto all'Esecutivo. Questo tipo di istanze si è inquadrato in una soluzione di maggioranza, quella che compare nel testo elaborato dalla Commissione per lo Statuto, che prevede un meccanismo di elezione dell'Esecutivo attraverso un voto palese e una lista bloccata per la Giunta. Ci è sembrato e ci sembra che questo sia il meccanismo che dà le maggiori garanzie, dal punto di vista dello stimolo alle maggioranze a formarsi con chiarezza e maggiore, direi, deterrente ai giochi di potere o alle tendenze di sfrangiamento che all'interno delle maggioranze si possono determinare senza dignità politica e attraverso il meccanismo così deleterio che si è tanto sovente presentato nelle Regioni a Statuto speciale del voto segreto.
Il problema, invece, dei controlli e dei poteri del Consiglio in quanto tale e delle minoranze consiliari rispetto all'Esecutivo, è un ordine di problemi al quale mi sembra si sia data soddisfacente soluzione attraverso tutto un meccanismo di organizzazione dei diritti e di organizzazione dei lavori consiliari che mi sembra possa trovare piena soddisfazione in tutte le componenti del Consiglio.
Il problema della partecipazione di tutte le componenti sociali alla vita della Regione, della possibilità della Regione di acquisire tutti i contributi che legittimamente devono trovare attraverso questo organo possibilità di espressione, è stato risolto con una serie di istituti alcuni estremamente innovativi- lo ricordava già il presidente Vittorelli dalla partecipazione in forma consultiva ai lavori delle Commissioni consiliari, ai diritti di iniziativa legislativa, ai diritti relativi ai referendum abrogativi, che qui, direi, essendo responsabilità anche del Partito Repubblicano, voglio ricordarlo, hanno visto una accentuazione di norme restrittive, proprio per salvaguardare la Regione non tanto dalle sollecitazioni che possono venire all'azione della Regione dalle minoranze politiche, ma per una difesa legittima che la Regione deve articolare invece rispetto ad istanze di carattere del tutto particolare, che possono essere spesso anche difese di interessi del tutto particolari in forme inaccettabili per la vita politica della Regione.
Sul piano dell'attività amministrativa della Regione, direi, lo Statuto ha articolato e articola tutta una serie di strumenti, dalle deleghe alla utilizzazione degli uffici degli Enti locali, sempre nella forma che ricordava il presidente Vittorelli, cioè di un estremo rispetto della necessità di consultazione degli Enti locali su tutti i meccanismi che la Regione andrà mettendo in moto in tema di decentramento dell'attività amministrativa.
Ma - voglio ricordarlo, perché non è di scarso rilievo dal punto di vista della politica di programmazione che dovremo instaurare in Piemonte è stata inserita in sede statutaria la previsione della creazione di enti regionali, aziende, società a partecipazione, che certamente sono destinati a diventare nei prossimi anni uno degli strumenti fondamentali attraverso i quali la Regione può organizzare una politica programmata e una piena rispondenza, agli indirizzi di politica previsti dal piano regionale, della azione amministrativa della Regione.
In tema di programmazione - visto che tocco questo tema -, direi che la nostra preoccupazione è stata quella di determinare da un lato una articolazione che permettesse quel tipo di dimensione partecipativa e quel tipo di lavoro di coordinamento di tutti gli interventi sul territorio di cui parlavo prima. Questo è stato recepito attraverso la definizione di una articolazione comprensoriale della programmazione economica, una articolazione cioè del piano per piani comprensoriali, per programmi di settore che comprenderanno certamente anche piani urbanistici e piani di assetto zonali e subzonali. Dall'altro, una serie di norme che di fatto vincolino tutta l'attività legislativa e amministrativa della Regione al rispetto della logica di piano che la Regione sceglierà e determinerà senza precludere la possibilità che ci sia un meccanismo di aggiornamento dei piani che permetta di recepire istanze e sollecitazioni nuove nella misura in cui queste si manifestano, ma che al tempo stesso limiti il più possibile l'evenienza che attraverso una azione legislativa o amministrativa del tutto incoerente la logica di piano venga completamente disarticolata attraverso procedimenti legislativi o amministrativi che manchino di coerenza rispetto alle scelte fondamentali che il piano si è dato. Di qui una serie di meccanismi e di principi che si son voluti fissare nello Statuto, secondo i quali il bilancio annuale prima e poi le leggi comportanti spesa debbono essere conformi agli indirizzi del piano secondo i quali la Commissione competente in fatto di programmazione e bilancio all'interno del Consiglio regionale agisca non come Commissione di filtro, che blocchi il procedere di certi iter legislativi ma come Commissione consultiva, che determini all'interno del Consiglio una capacità di controllo e di organizzazione dell'attività legislativa che sia inconsapevolmente e involontariamente una logica del tutto discordante rispetto agli indirizzi di piano.
Questi due momenti, dei principi statutari e dei meccanismi statutari che sono stati inseriti nello Statuto, ci trovano largamente soddisfatti.
Ci sono alcuni punti che in sede di Commissione non sono stati accolti e che mi riservo di presentare al Presidente del Consiglio durante il dibattito, per un maggior approfondimento di questo tipo di problematica che, ad esempio, vincoli al rispetto non solo dei principi della pianificazione che con il piano di sviluppo si sono dati ma vincoli l'attività legislativa e amministrativa, in particolare quella amministrativa, anche al rispetto delle scadenze che attraverso al piano la Regione si è data, con meccanismi di bilancio, di introduzione di bilanci di cassa, ad esempio, che sono lo strumento con il quale in concreto si misura non solo la coerenza rispetto a certi obiettivi fondamentali ma anche rispetto ai tempi e alle scadenze che l'azione legislativa del Consiglio si è voluta dare.
Su questi punti, come dicevo, il mio partito si riserva di far pervenire al Presidente del Consiglio ulteriori emendamenti quanto meno per un più approfondito dibattito su questi temi.
Queste sono le sottolineature che a nome del Partito Repubblicano io intendevo dare. Per una più approfondita disamina di certi punti particolari dello Statuto credo che la discussione dei singoli articoli ci darà certamente ampie possibilità di trattazione.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Giovana. Ne ha facoltà.



GIOVANA Mario

Signor Presidente! Signori Consiglieri! Credo di dover anch'io esordire, in questa apertura del dibattito sulla bozza di Statuto elaborata dalla Commissione, e come membro della Commissione, esprimendo, come ha fatto poc'anzi il collega Gandolfi, la soddisfazione della mia parte politica per il modo civile, sereno responsabile con il quale si è potuto e saputo lavorare all'interno della Commissione dello Statuto. E vorrei aggiungere che, insieme alla espressione di questa soddisfazione, mi sembra sia doveroso da parte di noi tutti esprimere un ringraziamento sentito al personale tecnico della Regione, che si è prodigato nel migliore dei modi per collaborare con noi nella preparazione di questo lavoro, non risparmiando né tempo né fatica in questa opera.
La bozza di documento che è sottoposta al nostro esame ha, secondo me un primo pregio: quello di presentare una sua struttura ed una sua articolazione di notevole interesse. Se compariamo questa bozza di Statuto con le bozze di altri Statuti in fase di preparazione o già approvati in altre Regioni, possiamo anche trovare che il documento predisposto dalla nostra Commissione abbonda negli articoli, si diffonde maggiormente in una serie di parti, contiene anche, se vogliamo, alcuni elementi di sfilacciamento, ai quali probabilmente si potrà porre riparo nel prosieguo del nostro dibattito, del nostro confronto. Ma in linea generale il documento, in quanto tale, nelle sue strutture, mi pare presenti una felice soluzione, che è quella di una notevole consequenzialità logica nella disposizione della materia, di una serietà e chiarezza nella presentazione delle singole parti di questa materia, direi di una immediata reperibilità degli elementi, dei riferimenti fondamentali della parte normativa che lo Statuto comprende.
Fatta questa premessa, che ha riguardo agli aspetti generali di struttura del documento, vorrei dire che due elementi di particolare compiacimento devo ancora esprimere per ciò che riguarda il merito del documento stesso, riservandomi naturalmente nel prosieguo del dibattito di entrare nell'esame particolareggiato di singoli titoli e di singoli articoli. I due elementi che desidero sottolineare sono l'estensione, lo spazio che all'interno del documento stesso trovano la problematica della partecipazione e quella della programmazione economica.
Ritengo sia a tutti noto in quale misura noi, come parte politica siamo stati non soltanto sostenitori in astratto ma protagonisti in concreto di tutte le vicende, alle quali ha fatto anche un giusto ed opportuno richiamo nella sua relazione introduttiva il presidente Vittorelli, che hanno caratterizzato il panorama politico del nostro Paese nel corso, in particolare, di questi due ultimi anni. Noi abbiamo fin dal primo momento colto il tema della partecipazione, cioè del rinnovamento profondo, dei modi di gestione democratica dello Stato, attraverso una riqualificazione di questa partecipazione, di questa gestione, con il concorso diretto delle più larghe forze popolari. E questo non per il vezzo di trovare una originalità nostra di inserimento, di spazio politico nel contesto delle forze politiche italiane, ma perché sentivamo che attraverso l'insorgere di queste esigenze, il modo (se si vuole, anche talvolta avventuristico, o negativamente spontaneistico) con il quale si sono espresse e si esprimono queste esigenze, attraverso l'insorgere di questi fatti sociali, si manifestavano nel Paese due problemi essenziali: una rivolta generale e giustificata degli strati più vasti della società italiana, in particolare delle giovani generazioni, per il distacco storicamente affermato e sempre più accentuatosi fra lo Stato e i cittadini; in secondo luogo, la incapacità e la non volontà politica delle forze egemoniche, economiche e politiche di questo Stato di gestire lo Stato stesso nell'interesse della generalità dei cittadini, e l'esigenza sempre più pressante di tutti i cittadini, e in particolare, torno a sottolineare, delle giovani generazioni, di essere protagonisti in prima persona del processo storico e della edificazione del proprio destino mediato e futuro.
Noi abbiamo sentito dal primo momento che in questa esplosione, se volete in questi fenomeni tellurici che si manifestavano nella società italiana c'era il tentativo, necessario e giusto, di superare incredibili ritardi storici e di far venire alla ribalta, finalmente, le forze più larghe dei lavoratori, che sono le reali protagoniste della vita produttiva e sociale del Paese. E abbiamo avuto larghe testimonianze, attraverso le lotte giovanili, attraverso soprattutto le lotte operaie, di come sia andata sempre più allargandosi questa richiesta di partecipazione, di come sia andata sempre più maturando nella coscienza delle grandi masse del Paese l'esigenza di essere in prima persona depositarie e capaci di esprimere i propri diritti di fronte all'organizzazione dello Stato e della Società, per conquistare non degli spazi corporativi, ma la società, a quelle esigenze generali di gestione dell'interesse collettivo per le quali la società stessa è organizzata ed esiste.
Ecco che quindi il tema della partecipazione è stato al centro delle nostre preoccupazioni, è stato l'elemento nel quale noi abbiamo individuato il dato nuovo dal quale partire per un rinnovamento profondo e reale dello Stato, per una nuova forma di articolazione della democrazia che partendo dal basso, cogliendo tutte le istanze che nel corpo sociale si vanno manifestando, consenta alla più larga espressione dei cittadini di giungere ad essere momento determinante delle decisioni economiche e politiche che si prendono in nome e per conto della collettività.
In questo Statuto dobbiamo dire che il tema della partecipazione percorre largamente il documento, si ritrova ripetutamente riaffermato in punti cardine dello Statuto stesso, e per funzioni essenziali, che sono rapportate al modo di conduzione e di coordinamento affidato all'Ente Regione.
Noi accettiamo questo come un dato non soltanto di contingente adattamento per opportunità politica da parte delle più larghe forze che hanno dimostrato di convergere attorno a questo tema nella elaborazione stessa dello Statuto, ma come elemento di manifestazione di un travaglio profondo ho avuto occasione di dirlo con molta franchezza ai colleghi nel corso di dibattiti in seno alla Commissione Statuto che noi crediamo interessi un po' tutte le forze politiche e che è anch'esso un segno dei tempi, delle contingenze nuove che chiamano a nuove dimensioni e a nuove responsabilità per il presente e l'avvenire le forze politiche rappresentanti degli interessi della società.
Il secondo aspetto, signor Presidente e signori Consiglieri, che ci trova largamente consenzienti per il modo con cui trova posto nella formulazione della bozza di Statuto, è quello inerente al problema della programmazione. Devo dire subito, anche qui con molta chiarezza, che noi abbiamo assistito, nel corso di questi anni, ad una serie infinita di dichiarazioni di principio sulle esigenze della programmazione, sulle necessità inderogabili di modificare un meccanismo di sviluppo il quale oltre ad aver accentuato i vecchi e storici squilibri fra Nord e Sud, ha riprodotto tale situazione all'interno delle aree di sviluppo del triangolo industriale. Noi abbiamo assistito al miserando fallimento della cosiddetta programmazione Pieraccini proprio nella misura in cui essa non era affatto un disegno programmatorio ma era, a nostro avviso, un momento di copertura ad una politica dei redditi, cioè un momento di copertura alla necessità della classe dirigente, economica e politica, di far pagare ancora una volta i costi della razionalizzazione dell'apparato produttivo italiano ai ceti produttori, alle grandi masse lavoratrici, ai redditi di salario.
Proprio avendo presente tale esperienza, non ci facciamo alcuna illusione sulla veridicità di certi intendimenti che vengono nuovamente manifestati attorno ai problemi della programmazione, della esigenza, cioè di rompere questa spirale di squilibrio, che ha pesato e pesa storicamente come una maledizione sulle grandi masse del Meridione italiano e che all'interno stesso di una regione a così alto quoziente di sviluppo com'e il Piemonte trova sacche di miseria di tipo meridionale. Non ci facciamo alcuna illusione, e quindi pensiamo che, una volta formulati, così come sono formulati, questi principi, certamente sarà nella verifica della volontà politica (ma soprattutto nella volontà e nella capacità delle masse di spingere in direzione dell'attuazione di queste norme) che avremo il punto di valutazione per sapere se davvero da parte di forze politiche che per l'addietro non si sono mai dimostrate pronte ad affrontare questi problemi, oggi c'è questa disponibilità, e veramente in questo spirito si intende lavorare, dare una risposta per soluzioni non rinviate in un avvenire lontanissimo.
E' certo comunque che, così com'é formulata, la parte della programmazione inserita nello Statuto trova amplissime possibilità di sviluppo nel senso che noi riteniamo il più giusto, il più coerente alla visione che abbiamo dei problemi della programmazione. E' infatti detto con molta chiarezza, nella parte inerente la programmazione, che la Regione incardina, sostanzialmente, le proprie funzioni attorno al problema di operare per superare gli squilibri territoriali, economici, sociali e culturali esistenti nel proprio ambito e fra le grandi aree del Paese, con particolare riferimento allo sviluppo del mezzogiorno. Vorrei sottolineare questo punto, per il quale noi ci siamo battuti: questa capacità di non chiuderci in una visione (il che del resto non sarebbe neppure produttivo per lo stesso sviluppo piemontese) regionalistica della programmazione economica, bensì di avere preciso convincimento, precisa cognizione, che il dato programmatorio è un dato che ha dimensioni nazionali, e che il meccanismo della programmazione non può funzionare in un modo in Piemonte a vantaggio del Piemonte stesso, scaricandone i costi su altre Regioni.
Questo meccanismo programmatorio si presta a due scelte, e non a tre: una scelta è quella che va, come finora è andata e sta andando, nella direzione di interessi settoriali di grandi gruppi ristretti di potere monopolistico i quali determinano, secondo le proprie scelte di profitto privato, tutte le collocazioni dell'apparato industriale del Paese e gli indirizzi produttivi ai quali dar corso, e che quindi cagionano quegli squilibri ai quali accennavo prima, accentuando i vecchi che ci trasciniamo dietro da una antica storia del Paese, oppure un altro meccanismo di sviluppo che risponda agli interessi generali della società, e che quindi non può che essere contestativo del precedente.
Io credo che se è normale, è nella logica della storia, che i grandi gruppi di potere privato, e le grandi concentrazioni monopolistiche seguano la logica del loro meccanismo di sviluppo, che è naturalmente quello di accumulare al massimo profitti e di raccordare ogni scelta alle esigenze particolaristiche di questi stessi gruppi, è invece compito primario ed essenziale degli enti pubblici, ed in questo caso dell'Ente Regione, svolgere una funzione che contesti questo tipo di meccanismo ed affermi invece l'altro tipo di meccanismo, rapportato puntualmente alle esigenze più larghe della società e della emancipazione delle classi lavoratrici dai loro bisogni.
Ho voluto sottolineare, dicevo, come elementi introduttivi a questa discussione, i due dati di maggiore compiacimento che noi ricaviamo dalle convergenze verificatesi all'interno della Commissione, eccezion fatta per ciò che riguarda il settore dell'estrema destra di questa assemblea, che va riproponendo naturalmente soluzioni le quali, se mai trionfassero renderebbero l'istituto regionale talmente asfittico da potersi dichiarare morto in partenza. Ma non ci stupisce questo fatto, perché c'é una determinata coerenza nel modo con cui l'estrema destra vede i problemi non dico della Regione ma i problemi tutti della democrazia, ed è una coerenza che si colloca, a mio avviso, fuori dalle tradizioni, dalla storia e dai problemi di principio della democrazia stessa.
Certamente, ci sono nello Statuto altre parti sulle quali, com'é già stato detto dal presidente Vittorelli, esiste un dissenso. In modo particolare, noi crediamo di non poter accettare quei modi di elezione del Presidente della Giunta che sono stati proposti da alcune parti politiche ai quali faceva riferimento, per esempio, prima di me, il collega Gandolfi dando per parte sua assenso a questo tipo di soluzione. Non crediamo di poterli accettare, perché riteniamo che dietro il falso schermo della moralizzazione del rapporto politico, della responsabilizzazione diretta dei politici di fronte all'opinione ed ai propri doveri, si tenda in realtà a far passare una chiusa forma di gestione degli accordi politici fra forze le quali, non avendo un incontro reale e globale sul terreno politico ricercano espedienti di natura tecnica per mantenere formule di collegamento e di alleanza che quando verificate sul terreno politico mostrano apertamente le loro falle, spesso irrimediabili.
Noi crediamo che quando si parla - e ancor oggi ho visto che un autorevole giurista, su un quotidiano di Torino (che peraltro si è dimenticato che proprio oggi, in questa sede, aveva inizio il dibattito sullo Statuto della Regione Piemonte) ha portato alla ribalta il problema del voto segreto come fatto di immoralità politica - in senso negativo del voto segreto, ci si rende responsabili di mistificazione. Perché, se ripercorriamo la storia delle vicende anche degli istituti regionali laddove esistono forme di autonomia speciale, troviamo che molto spesso una serie infinita di manifestazioni individuali, legittime, di dissenso politico, è stata bloccata attraverso ricatti, più o meno evidenziati, che qualora vi fosse stata la possibilità del voto segreto non avrebbero avuto effetto. Ecco che, quindi, ci sono, se mai, in ogni caso, le due facce della questione, e non si può ridurre il voto segreto ad un fatto di immoralità politica, affidando invece una patente di dignità e di moralità politica al voto palese.
Così pure noi non ci troviamo d'accordo su quella proposta che tende a lasciare troppo nell'indeterminato, e quindi probabilmente a determinare nel senso meno funzionale e serio, il problema della composizione della Giunta, quando si parla di una Giunta da otto a quattordici, offrendo in realtà una disponibilità per la Giunta di otto, o per il doppio quasi di otto. Non è serio questo, a nostro avviso. Così come abbiamo già criticato e reputiamo non serio il modo con cui quantitativamente si è voluta comporre la Giunta di questo Consiglio, spostando addirittura larga parte del Consiglio stesso sui banchi assessorili, in modo che, si potrebbe dire oggi fruiamo di un regime di Giunta assembleare, prima ancora che di ipotetiche forme assembleari di governo del Consiglio stesso.
Su questi e su altri aspetti noi ci riserviamo di presentare nel corso della discussione le nostre proposte di emendamento.
Voglio concludere dicendo, signor Presidente, signori Consiglieri, che noi siamo gli ultimi ad avere dei feticismi statutari o a ritenere che la carta scritta e i documenti giuridici abbiano poteri taumaturgici. Ho accennato prima, parlando della programmazione, alle nostre fondate diffidenze per le affermazioni di principio le quali non trovano poi riscontro nella volontà politica. Vorrei ancora aggiungere che queste diffidenze traggono motivo di convalida nel fatto che basta porre occhio un momento a come, nel corso di questi ventidue anni, sistematicamente, il massimo documento regolante la vita del Paese, cioè la Costituzione della Repubblica italiana, è stato violato e disatteso proprio dalle forze che avrebbero dovuto maggiormente garantirne l'applicazione e l'osservanza, per dedurre come le nostre diffidenze e le nostre riserve riguardo alle formule scritte sulla carta abbiano notevole fondatezza.
Tuttavia, noi pensiamo che, come accennavo prima, non sia casuale che all'interno di questo documento siano comparsi con tanta evidenza i due problemi fondamentali, a nostro avviso, del momento storico, cioè quello di una apertura a forme nuove e articolate di democrazia e di una assunzione precisa di responsabilità da parte dell'Ente Regione per ciò che riguarda i problemi della programmazione. Non è casuale, perché è evidente che tutto quanto è avvenuto nel Paese, e avviene, in fatto di spinte nuove, di urgenze inarrestabili, trova, quanto meno nel travaglio delle forze politiche anche più sorde per il passato a questi problemi, un momento di riflessione o un momento di incertezza, o ancora un momento di rapporto dialettico, suscettibile forse di aprirsi a nuovi modi di dialogo politico anche con le altre forze della sinistra di classe.
Noi non cerchiamo un dialogo politico che passi attraverso piccoli compromessi di vertice, né attraverso forme più o meno velate di patti consiliari. Noi cerchiamo un dialogo nuovo, aperto e franco con tutte le forze che come noi, anche se meno di noi, sentono l'urgenza dei fatti nuovi che la società esprime e sentono il dovere di affrontare questi fatti e queste esigenze in una visuale diversa da quella del passato, e con una consapevolezza maggiore dei compiti che su ciascuna delle forze politiche democratiche pesano nella realtà attuale.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Carazzoni. Ne ha facoltà.



CARAZZONI Nino

Signor Presidente, Signori Consiglieri, non entreremo nel merito del documento perché così si era concordato fra i gruppi, ma limiteremo l'intervento alla precisazione dello stato d'animo con il quale il M.S.I.
affronta l'esame dello schema di Statuto portato oggi alla nostra attenzione.
Condividiamo l'apprezzamento sul modo civile in cui si sono svolti i lavori in sede di Commissione, condividiamo altresì il ringraziamento per l'apporto notevole dato dal personale tecnico della Regione e diciamo subito che in ordine al documento presentatoci sentiamo di dover avanzare molte perplessità e vivissime preoccupazioni. Esse derivano dalle risposte alle domande che ciascuno di noi, in questo momento, è tenuto a porsi domande in via preliminare che ci portano a chiederci se lo Statuto è stato elaborato in stretta aderenza con la realtà politica, economica e sociale della Regione e soprattutto se corrisponde realmente ai principi fissati dalla Costituzione, armonizzandosi con le leggi della Repubblica.
Rispondendo alla prima domanda diciamo soltanto che ci saremmo sentiti molto più tranquilli e molto meno perplessi se lo schema di Statuto in esame fosse scaturito attraverso un'ampia, approfondita consultazione di tutte le forze sociali piemontesi, molto più ampia e approfondita di quella che è stata condotta. Ciò invece non è accaduto. Abbiamo ascoltato disquisizioni accademiche sulla partecipazione intesa come momento qualificante dell'attività dell'Ente Regione, abbiamo sentito parlare lungamente della necessità di promuovere contributi partecipativi da parte della comunità regionale, abbiamo visto addirittura mitizzare il concetto della partecipazione popolare, ma in realtà non siamo riusciti ad andare oltre un frettoloso, superficiale sondaggio, soprattutto nei confronti degli Enti locali, su particolari contenuti dello Statuto regionale. E' proprio il caso di dire che questa montagna delle buone intenzioni - che forse sarebbe più esatto definire delle "demagogiche intenzioni" - altro non ha saputo partorire se non il topolino di quel questionario che è stato inviato a fide settembre alle Province e ai Comuni del Piemonte, tanto per salvare la faccia, tanto per dire che si è fatto qualcosa anche in questa direzione. Abbiamo ricevuto alcune risposte, è vero, forse in numero anche superiore alle nostre previsioni, risposte dovute alla buona volontà di amministratori provinciali e comunali che, pur avendo un ristrettissimo margine di tempo per riscontrare il questionario loro indirizzato, non si sono sottratti alla richiesta di un apprezzabile contributo collaborativo.
Ma, e vogliamo chiederlo in particolare ai colleghi al fianco dei quali abbiamo lavorato nella Commissione Statuto, pensiamo davvero che questa limitata consultazione sia sufficiente a garantire che lo schema di Statuto predisposto rifletta compiutamente le attese e le speranze del cittadino piemontese? Noi non ne siamo sicuri, anzi, pensiamo che in coscienza nessuno possa esserne sicuro e proprio con questo dubbio che ci sembra legittimo e fondato, sostanziamo la nostra perplessità sull'effettiva e concreta rispondenza del documento elaborato alla realtà politica e socio economica del Piemonte.
Vi è poi, e lo abbiamo premesso, una seconda domanda, ancora più importante e delicata alla quale si deve rispondere in modo chiaro ed esauriente ed è quella relativa alla necessaria corrispondenza tra Costituzione e Statuto regionale e alla armonia tra lo stesso Statuto e le leggi della Repubblica. Certamente soddisfaceva a queste esigenze la bozza di Statuto che il M.S.I. per primo (ci sia consentito ricordarlo con legittimo orgoglio e a dimostrazione del costruttivo contributo offerto all'attività dell'Ente Regione, pur dalla nostra permanente posizione antiregionalista) ha sottoposto all'attenzione della Commissione Statuto mentre certamente disattende a queste esigenze lo schema di documento portato al nostro esame.
Abbiamo premesso che non entreremo oggi nel merito dello Statuto, per cui a questa dimostrazione che intendiamo tradurre in termini di denuncia precisa e documentata il M.S.I. dedicherà tutto l'intervento che sarà tenuto nella prossima seduta del Consiglio regionale. E questo facciamo anche per doveroso rispetto nei confronti degli altri colleghi Consiglieri che non avendo partecipato ai lavori della Commissione Statuto non sono stati in grado di condurre uno studio approfondito sul documento.
Fermiamoci dunque a questa affermazione apodittica per il momento e chiediamoci se è possibile presentare uno Statuto che disattende la Costituzione e che dilacera le leggi della Repubblica; chiediamoci se pu essere suffragato con un voto favorevole uno Statuto che è in disarmonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica; chiediamoci ancora quale volontà politica suggerisca la violazione della Costituzione e la violenza alle leggi della Repubblica; chiediamoci infine quali conseguenze sempre sul piano politico, deriveranno fatalmente da tutta questa operazione. Nella risposta che andremo a dare a queste domande riposa e si giustifica quella vivissima preoccupazione da noi espressa a fronte dello schema di Statuto predisposto. E' chiaro, e vogliamo avvertirlo lealmente che la nostra valutazione sarà il più possibile vicina alle nostre legittime preoccupazioni per la tutela dell'unità dello Stato. Nessuno dovrà meravigliarsi o scandalizzarsi se con le osservazioni di oggi e più ancora con gli emendamenti che presenteremo al momento della discussione sui singoli articoli, tenteremo di evitare che i "centri di potere regionale" tengano la briglia sciolta sul collo, così come nessuno dovrà sorprendersi se sosterremo un concetto limitativo e non estensivo delle autonomie regionali.
Per prima cosa affermiamo che non può non preoccupare uno schema di Statuto che, quale quello portato al nostro esame, pretende di ignorare il dettato costituzionale, perché è la Costituzione stessa che non lo consente. Basta rifarsi all'art. 123 della Costituzione: "Ogni Regione ha uno Statuto il quale, in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica, stabilisce le norme relative all'organizzazione interna della Regione". O ci si può rifare più estensivamente, se si vuole, all'intero Titolo V che pone all'autonomia statutaria della Regione limiti rigorosi e precisi e che lascia allo Statuto regionale un ambito assai limitato di regolamentazione autonoma.
Egregi colleghi Consiglieri Regionalisti, tutto questo non vi piace tutto questo non vi basta più, tutto questo non vi torna comodo nel momento in cui, data vita all'ordinamento regionale, trovate un limite costituzionale contro il quale vanno ad infrangersi le vostre pretese o le vostre smanie autonomiste? Benissimo, noi ve ne diamo atto, vi diamo atto che il Titolo V della Costituzione sta malamente in piedi, ammettiamo che si sente ad ogni passo, in quegli articoli, il vizio di origine, cioè il vizio del compromesso. Riconosciamo che si avverte in ogni norma la velleità di un regionalismo spinto quasi al federalismo e al tempo stesso la paura di spingersi troppo avanti, sicché certe norme sono sin troppo restrittive dell'autonomia, altre invece la interpretano in modo troppo alto, altre infine recano in se stesse contraddizioni con se medesime o con le norme di altri punti. Tutto questo, colleghi Consiglieri Regionalisti, è ben vero. Ed è tanto vero che per tre volte, nella prima, nella seconda e nella terza legislatura, il M.S.I. chiese al Parlamento la revisione globale del Titolo V della Costituzione. Ma il Parlamento, unanime, per tre volte respinse la nostra richiesta. Oggi dunque abbiamo questa Costituzione, ed è a questa che ci dobbiamo attenere, anche in tema di Statuto Regionale, senza cercare di forzarne il testo per adattarlo a sopraggiunte situazioni politiche. Sorprende forse il nostro reiterato richiamo al rispetto del dettato costituzionale? Ebbene, diciamo allora, e vediamo di dirlo con esplicita chiarezza, che noi non siamo e non siamo mai stati le vestali della Costituzione, alla cui elaborazione, come è noto e per i noti motivi, non abbiamo partecipato. Però siamo sempre stati i portatori di un'impostazione molto corretta nei confronti dei problemi costituzionali, impostazione che può riassumersi in una formula: la Costituzione può essere attuata così com'é; può essere riveduta totalmente comunque non può essere attuata come si vorrebbe che fosse. Ecco perché non possiamo accettare e non ci sentiamo di avallare uno schema di Statuto che se non riceverà radicali correzioni nel dibattito in assemblea, travalica e disattende in più parti la norma costituzionale.
Seconda osservazione di fondo ed altra motivata critica al documento presentatoci: oltre che con la Costituzione lo Statuto regionale deve essere - lo abbiamo già ricordato - in armonia con le leggi della Repubblica e invece il testo elaborato dalla Commissione non tiene in conto alcuno questo precetto, sicché per esempio la legge sul funzionamento degli organi regionali risulta del tutto abbandonata. Anche di questo ci ripromettiamo, in sede di successivo intervento, di dare ampia dimostrazione allorquando, entrando nel merito dello schema di Statuto esamineremo quale orientamento si è seguito o si intenderebbe seguire con le norme dettate per il funzionamento del Consiglio Regionale, per la elezione della Giunta, per la revoca degli assessori ecc. Fermiamoci per ora alla constatazione che anche sotto questo profilo il documento è fondatamente censurabile. Infatti lo Statuto Regionale, dovendo essere in armonia con tutte le leggi statali, deve considerarsi di conseguenza come fonte di norme secondarie a carattere regolamentare, quindi di efficacia inferiore a quelle legislative e se qualsiasi legge statale ordinaria senza limite alcuno, può disporre in relazione alle materie indicate dall'art. 123 della Costituzione, evidentemente può farlo a giusta ragione anche la tanto vilipesa legge del 10/2/53 n. 62 contro la quale oggi si è scatenata la polemica dei partiti che vanno da quello comunista a quello della D.C., pronta oggi, e ne vedremo le ragioni, a rinnegare un testo legislativo espresso durante un periodo in cui le sue fortune elettorali furono all'apice, con la maggioranza assoluta conseguita il 18 aprile 1948 e sotto la guida dell'on. Alcide De Gasperi.
A giustificare simili atteggiamenti anche nell'ambito del partito che nel febbraio del 1953, al momento dell'approvazione di questa legge, aveva ancora tale maggioranza assoluta, almeno nella Camera dei Deputati, oggi si sostiene che la cosiddetta legge Scelba sarebbe in contrasto con la Costituzione, nell'intento di infiorare i discorsi e le polemiche con l'ausilio di fini argomentazioni giuridiche. Noi non negheremo, anche perché questa è stata la posizione assunta dal M.S.I. a livello parlamentare, che vi siano o che vi possano essere singole disposizioni della legge in contrasto con particolari norme costituzionali, sosteniamo però che non ha senso parlare di una incostituzionalità della legge Scelba considerata nella sua unitarietà, presa come un complesso unitario e contrapposta al Titolo V della Costituzione, anche esso considerato nella sua unitarietà. Certo non è questa la sede per poter procedere ad un esame analitico di tutto quanto le disposizioni della legge del 10/2/53 elencano vogliamo tuttavia ricordare, sia pure in breve, alcuni degli argomenti principali della pubblicistica D.C. e comunista; vogliamo ricordarli allo scopo di dimostrarne la fallacia e l'inconsistenza giuridica e quindi arrivare alla dimostrazione di quanto pretestuosa sia la decisione di elaborare uno schema di Statuto regionale in aperto contrasto con il disposto della legge Scelba. E' innanzi tutto da smentire, a nostro avviso l'immagine data dal Titolo V della Costituzione come di una "pagina in bianco" da riempire mercé l'esercizio della potestà statutaria dei Consigli regionali. Questa "pagina in bianco" dovrebbe consentire, in sostanza, lo svolgimento della cosiddetta fase costituente dei Consigli regionali medesimi, chiamati a dare fisionomia alla pretesa forma di governo per ciascuna singola Regione. Si vede subito però come gli argomenti non vadano molto oltre gli slogan, idonei tutt'al più a suscitare emozioni ma non a convincere la ragione. Si dimentica infatti ogni minima considerazione sul significato e sulla natura del potere costituente di cui vi è pure tutta un'ampia elaborazione nella dottrina giuridica e nelle scienze politiche. E a questo riguardo di capitale importanza è la distinzione, forse sarebbe meglio dire la contrapposizione, tra potere costituente e poteri costituiti. Secondo principi democratici solo il popolo o la Nazione è il primo fondamento di ogni entità politica, la fonte di tutte le potestà che devono esprimersi vincolate da regole di organizzazione e di competenza.
Ora, il potere costituente è indeterminato da norme giuridiche perché si pone prima di ogni regola, mentre i poteri costituiti, al contrario, sono legittimati e possono operare solo sulla base e nei limiti di regole già prestabilite. Sempre secondo i principi democratici il potere costituente appartiene per definizione solo al popolo, anche se poi nelle manifestazioni occasionali di esso opera un organo rappresentativo - come l'assemblea costituente o la convenzione nazionale. Ed è la concezione democratica, accolta anche nella nostra Costituzione che vuole che il potere costituente sia la più alta espressione della sovranità e sia unico inscindibile, imprescrittibile ed inalienabile, vuole che risieda essenzialmente nel popolo; mentre - lo dicono le dichiarazioni sui diritti dell'uomo - nessun gruppo di cittadini e nessun individuo può attribuirsi la sovranità. Questo vogliono i principi e le concezioni democratiche e allora ne consegue con tutta evidenza che allo Stato spetta il potere costituente, mentre alle Regioni spettano esclusivamente i poteri costituiti, cioè spettano solo quelle specifiche funzioni che sono state loro dettagliatamente conferite dalla Costituzione o da altre leggi statali. Anche il potere delle Regioni ad elaborare il proprio Statuto secondo questa concezione, deve intendersi come un potere costituito e non come un potere costituente e si rivela allora giuridicamente abnorme e politicamente assurda la tesi della "pagina in bianco" lasciata dalla costituente affinché i Consigli delle Regioni potessero completarla.
Da questa premessa sembra che si possa dedurre come conseguenza logica la legittimità, in linea di principio, di una legge dello Stato rivolta a fissare i criteri di massima degli Statuti delle Regioni. Naturalmente questa osservazione di principio vale anche per la legge Scelba del 1953 la quale dunque, come dicevamo in premessa, è da ritenersi di per s legittima, pur senza escludere, lo abbiamo già ammesso, che almeno talune sue singole disposizioni possano risultare in contrasto con singole norme della Costituzione. Lo Statuto regionale dunque non può essere formulato in difformità delle leggi della Repubblica e in particolare per quanto attiene alla Costituzione e al funzionamento degli organi regionali non deve ignorare le indicazioni precettive della legge del 10/2/53; sennonché lo schema di Statuto regionale portato alla nostra attenzione, all'opposto non si armonizza con le leggi della Repubblica e in particolare, sempre per quanto attiene alla Costituzione e al funzionamento degli organi regionali abbandona completamente il dettato della legge Scelba. Quello presentatoci risulta pertanto un documento che, come dicevamo in apertura di questo intervento, a ragione ci preoccupa e ci allarma in quanto disattende alla Costituzione e dilacera le leggi dello Stato.
Certo, tutto questo non è avvenuto a caso. La ragione vera delle violazioni e delle dilacerazioni rispecchia una precisa volontà politica che discende dalla teoria della Regione intesa come pagina bianca cui abbiamo poc'anzi brevemente accennato. Vale la pena di riprenderla ora questa teoria, allo scopo di capire che cosa s'intende con questa definizione o meglio che cosa si cerchi di contrabbandare sotto questa definizione. Crediamo di poterlo fare prendendo come esempio le parole del prof. Enrico De Mita, docente all'Università Cattolica di Milano, un De Mita minore, anch'egli nativo di Avellino come il suo più noto conterraneo on. Ciriaco, qualificato esponente dell'ala marciante o addirittura galoppante della D.C. naturalmente verso sinistra. Questo De Mita minore eletto nella lista della D.C. al Consiglio Regionale della Lombardia, ha così dichiarato al periodico "Edilizia lombarda" nel maggio scorso: "Quanto alle funzioni che le Regioni dovranno svolgere in concreto, mi richiamo ad un'affermazione che ha incontrato molto seguito: le Regioni sono una specie di pagina bianca; noi giuristi adoperiamo questa espressione per caratterizzare quelle norme, appunto dette in bianco, che sono suscettibili di qualunque contenuto, a seconda delle esigenze che la norma intende soddisfare. In tale senso è stata una norma in bianco quella della Costituzione che prevedeva l'attuazione delle Regioni". Così il De Mita. Ma non è meno significativo il fine istituzionale che egli ricollega a questa definizione giuridica: " Se solo in questo momento si è deciso di fare le Regioni, ciò non significa che siano maturi i tempi ipotizzati dal legislatore costituzionale per dare attuazione alla norma. Significa piuttosto che è emersa nel Paese una scelta politica che ha messo in crisi un certo equilibrio tra le forze politiche e una certa idea di concepire la gestione del potere. In questa prospettiva le Regioni saranno l'occasione per verificare l'idoneità dell'attuale classe politica o a realizzare una democrazia effettiva o a dichiarare l'impotenza di ristrutturare il potere in senso democratico". Così ancora il De Mita, dalle cui parole traspare evidente come i regionalisti mirino a varie e profonde innovazioni di ordine giuridico e politico. L'alternativa che egli pone è assoluta e totale per la nostra classe dirigente: "L'esperienza delle Regioni, abbiamo letto, servirà o a realizzare una democrazia effettiva oppure a dichiarare l'impotenza a ristrutturarne il potere in senso democratico". Ma non è compito delle Regioni introdurre principi democratici ignoti alla Costituzione o all'ordinamento statale. E allora è evidente che si mira invece alla eversione del sistema del diritto con il pretesto di volerlo attuare e si vogliono soprattutto giustificare, in nome di speciose argomentazioni pseudo-giuridiche, nuove e pericolose alleanze di potere.
Ecco il punctum dolens. E' ancora il De Mita minore che lo dice, pur con un linguaggio più diplomatico e sfumato: "L'attuazione delle Regioni significa stabilire in via pregiudiziale se l'attuale assetto politico italiano possa essere conservato e difeso come un sistema soddisfacente dal punto di vista dell'efficienza e della democraticità. Significa scegliere se la Regione debba essere concepita come espressione di una mera maggioranza di governo e non piuttosto come attuazione della Costituzione alla quale interessare anche forze oggi non direttamente partecipi delle responsabilità governative".
Signori Consiglieri, siamo alla teoria dell'inclusione del Partito Comunista nell'area del potere, siamo all'ipotesi dell'incontro diretto tra Comunisti e D.C., siamo, in una parola, al modello prefigurato dalla Regione conciliare, primo mattone per costruire poi la conciliare Repubblica. Ebbene, l'elaborazione dello schema di Statuto regionale ha offerto anche in Piemonte l'occasione per una prima sperimentazione di questo nuovo patto costituzionale. Oggi ci troviamo di fronte ad un documento che non solo, come dicevamo e come pensiamo di avere dimostrato disattende la Costituzione e non si armonizza con le leggi dello Stato, ma soprattutto si configura come un punto di incontro, come un punto di complice intesa della maggioranza di centrosinistra con l'opposizione comunista.
Tutti i lavori della Commissione per lo Statuto si sono svolti, sì, in modo civile, ma sono stati improntati e per larga misura condizionati da quella che definiremmo la "strategia dell'attenzione" nei confronti del Partito Comunista, cioè a dire dal desiderio, dalla volontà espressa dalla D.C. e dal Partito Socialista e condivisa o comunque avallata dai rappresentati del Partito Repubblicano e del Partito Socialdemocratico di non dispiacere ai comunisti e in ogni caso di mantenere nei loro confronti una posizione morbida e sfumata. E' rimasto vittima di questa strategia o se si preferisce, vittima di questo cedimento, lo stesso Presidente della Giunta (ci dispiace che non sia oggi presente) che incautamente aveva presentato una bozza di Statuto che se altri pregi non aveva, almeno aveva quello di essere, entro un certo limite, rispettosa delle leggi vigenti; e che oggi si trova a dovere accettare un ben altro e ben diverso documento concordato dai suoi stessi compagni di partito e di maggioranza con l'opposizione comunista.
Lo schema di Statuto che ora si dovrà discutere in aula dà piena ragione a questa nostra impressione, a questa nostra critica: la parzialità, vizi del regime di assemblea, il discorso dei diritti ma non il discorso dei doveri, la noncuranza rispetto alle leggi dello Stato, le compiacenze conciliari, non soltanto hanno prodotto un documento che è una sommatoria di affermazioni chiaramente velleitarie quando non sono scopertamente demagogiche; ma sono proprie di una maggioranza che non scorge alcun avversario all'estrema sinistra avendo eretto barricate soltanto verso il centro e verso la destra. Il M.S.I. cercherà allora di raddrizzare le molte storture di questo documento che piace al Partito Comunista o quanto meno che al Partito Comunista non dispiace.
L'alto numero degli emendamenti che abbiamo già presentato e che ancora presenteremo, non deve tuttavia far pensare che vi siano in noi recondite velleità di condurre in quest'aula una discussione di tipo ostruzionistico e neppure che si coltivi la speranza illusoria che possano essere presi in considerazione dall'assemblea. Varranno comunque, suggerimenti ed emendamenti, a porre ciascun gruppo politico di fronte a precise responsabilità in ordine al grave problema del rispetto o del non rispetto dovuto alla Costituzione e alle leggi dello Stato e serviranno soprattutto a precisare ancora meglio la nostra opposizione di fondo a quel modello di Regione conciliare di cui questo schema di Statuto rappresenta il biglietto da visita, la sconcertante e allarmante carta di presentazione.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Debenedetti. Ne ha facoltà.



DEBENEDETTI Mario

Signor Presidente, signori Consiglieri, l'essere qui convenuti per i nostri lavori in quest'aula solenne e così legata alla storia d'Italia e del Piemonte, conferisce certamente alla nostra assemblea un prestigio ed un privilegio particolare, non tanto di carattere puramente esteriore, ma riconducibile alla natura stessa ed alla particolare importanza che per la nostra comunità regionale assume l'atto che stiamo per compiere: l'esame ed il voto sullo Statuto regionale.
Il richiamo di ricordi che quest'aula ci suggerisce deve essere interpretato come motivo di riflessione per ciascuno di noi, sulla responsabilità di costituenti della Regione Piemonte; deve essere soprattutto un richiamo ad operare con il massimo impegno e senso di responsabilità, consapevoli dei gravosi compiti che ci attendono e delle attese che fa nostra collettività regionale ha riposto nel nuovo istituto regionale.
Senza scendere per ora all'esame approfondito sui diversi temi proposti da una discussione generale sullo Statuto, discussione che avrà modo di articolarsi allorquando si passerà all'esame dei singoli articoli, mi pare che in questo momento, all'inizio della discussione, possa essere utile portare in Consiglio, da parte di tutti i gruppi politici, alcune considerazioni più generali che possono servire ad un tempo come introduzione al dibattito e che riflettono, nella sostanza, l'atteggiamento di ogni gruppo politico di fronte alla bozza di Statuto elaborata dalla Commissione.
Una prima osservazione vorrei fare: riandando ad alcuni interventi fatti in apertura dei lavori del nostro Consiglio, al momento della nomina della Commissione Statuto, e ricordando certe preoccupazioni manifestate da parte di alcuni Consiglieri circa l'esistenza di una concreta e diffusa volontà politica nel Consiglio di delineare uno Statuto che rispettasse nella sostanza e recepisse le esigenze fondamentali sui temi più qualificanti maturati nella società civile, rispetto alla costituenda Regione, credo che si possa constatare come lo Statuto che stiamo per darci si ponga, oltre che come un complesso di norme per l'organizzazione interna ed il funzionamento della Regione, soprattutto come un documento veramente permeato della realtà sociale della Regione e come strumento operativo per incidere su di essa, al fine di promuovere e realizzare, come è affermato testualmente nello Statuto, lo sviluppo economico sociale del Piemonte verso obiettivi di progresso civile e democratico.
Questa aderenza alla realtà sociale costituisce, a nostro avviso, il fondamentale e più qualificante impegno che traspare dal contesto dello Statuto e che informa il modo stesso di essere della Regione rispetto a tutti i settori d'intervento, nei rapporti con i cittadini, con gli Enti locali, con lo Stato, nell'ordinare e programmare le proprie attività e nel riconoscimento delle proprie funzioni. Ritengo di poter affermare che consapevoli della grande occasione che l'Ente Regione può costituire per coincidere sulla vecchia struttura organizzativa dello Stato, ormai inadeguato alle nuove e pressanti esigenze di vita democratica, di crescente consapevolezza e maturità politica, consapevoli altresì del rischio per la vita delle istituzioni democratiche conseguenti al progressivo distacco dei cittadini dai poteri pubblici, nel convincimento che solo un'impegnata partecipazione della collettività ed in particolare delle forze del lavoro all'attività dell'Ente Regione, possa consentire ad essa un sicuro sviluppo democratico, abbiamo ricercato forme di partecipazione popolare che garantissero, da un lato l'esercizio effettivo di un'autentica democrazia e dall'altro costituissero un indispensabile canale apportatore non solo di esigenze, ma di utili contributi alla soluzione dei problemi, alle scelte di fondo, creando così uno strumento di attività operativa del tutto nuovo. Credo che con questa impostazione abbiamo rettamente interpretato la Costituzione repubblicana, non tanto e non solo nella lettera, quanto soprattutto nello spirito che la informa.
Noi del P.S.U. riteniamo che un regime autenticamente democratico, per esigenze stesse di sopravvivenza, debba istituzionalmente ricercare sempre nuove forme e strumenti di partecipazione diretta di tutte le forze sociali alle scelte che interessano la collettività, nel rispetto assoluto e senza sopraffazione delle istituzioni democratiche e delle libertà fondamentali ed inalienabili dei cittadini. Così intesa la partecipazione popolare largamente recepita nel progetto di Statuto, costituisce veramente una linfa vitale per il rafforzamento delle istituzioni democratiche. Per questo noi crediamo in tale metodo di vita della Regione, certi che il nostro mandato di Consiglieri potrà essere esaltato nella costante ricerca di sempre meglio registrare e rappresentare la volontà popolare, in sintonia con l'evolversi della realtà sociale.
Altro aspetto che merita di essere particolarmente evidenziato, a nostro avviso, è la volontà politica trasferita nella bozza di Statuto diretta a prefigurare l'Ente Regione come istituto vivo nel contesto storico sociale in cui è chiamato ad operare e volto ad incidere sulle strutture sociali nell'intento di realizzare un autentico progresso sociale. Si può registrare con compiacimento, come suol dirsi, un effettivo salto di qualità. Possiamo affermare, senza tema di smentita, che il nuovo Ente, così come prefigurato dallo Statuto, non costituisce una semplice aggiunta ad altri Enti territoriali, Comuni e Province, come da tante parti si paventava; la Regione Piemonte non sarà un ulteriore Ente a struttura burocratizzata che si sovrappone a quelli pre-esistenti. Al di là dell'esercizio della funzione legislativa nelle materie di propria competenza, la Regione Piemonte, quale configurata dal progetto di Statuto pur nel rispetto dei limiti istituzionali, si colloca per spontanea scelta nella realtà sociale con finalità ed obiettivi altamente qualificanti. Mi riferisco, in particolare, alle previsioni di cui al terzo comma dell'art.
4 e 5. Se è vero che la Regione deriva dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato la propria autonomia, è altrettanto vero che la Regione Piemonte, nella gelosa rivendicazione di tutta l'autonomia che le compete ricerca con particolare sensibilità politica una sfera di azione propria nei diversi settori di primaria importanza, prefiggendosi precisi compiti di intervento che potranno certamente contribuire al raggiungimento delle finalità perseguite, qualificando così, ad un tempo, e la propria autonomia e gli stessi limiti di competenza.
L'accenno all'autonomia della Regione mi induce ad evidenziare un ulteriore elemento particolarmente importante che riguarda il criterio con il quale la Regione mantiene i rapporti con gli Enti locali. Al di là della regolamentazione delle deleghe, attraverso la realizzazione del più ampio decentramento, merita particolare rilievo l'affermazione contenuta nell'art. 3 ove si statuisce che "la Regione opera per l'effettiva autonomia degli Enti locali e per rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla sua realizzazione". C'è, in questa affermazione, una presa di coscienza della reale situazione critica degli Enti locali, eppure nella consapevolezza dei propri limiti di competenza, l'affermazione di una precisa volontà politica di operare - si dice testualmente - per potenziarne l'autonomia. Si può dire che con questa impostazione l'autonomia della Regione non solo rispetta ma accresce ed esalta l'autonomia degli Enti locali. E' questo un settore dove, noi riteniamo, la funzione del nuovo Ente regionale potrà suscitare un modo nuovo di vita degli Enti locali, accrescendone le funzioni, liberandoli da sistemi di controllo arcaici e mortificanti, rendendoli soprattutto partecipi delle grandi scelte nei diversi settori di intervento della Regione, sia nel momento di formazione dei programmi che nella fase esecutiva degli stessi.
Realizzare un'autentica autonomia degli Enti locali vuol dire, a nostro avviso, sprigionare nuove energie di vita e di partecipazione democratica vuol dire precostituire condizioni obiettive per un migliore e più efficiente funzionamento dell'Ente, vuol dire ancora attribuire allo stesso una maggior capacità di interpretare nella propria azione le esigenze della società. Rimanendo fedele alle finalità ed ai compiti che in questo settore, con il proprio Statuto si prefigge, la Regione piemontese potrà efficacemente operare per un effettivo rinnovamento dell'apparato burocratico statale, esercitando integralmente la propria autonomia rivitalizzando le autonomie locali che potranno creare condizioni per un'effettiva riforma di tutto il settore pubblico.
In questa, sia pure sommaria, carrellata sui momenti più qualificanti del progetto di Statuto, ritengo di dovere sottolineare un'altra fondamentale scelta in esso contenuta e che riguarda il metodo di operare della Regione. Si afferma, in questo progetto di Statuto, che per realizzare le proprie finalità la Regione adotta il metodo e gli strumenti della programmazione. E' una scelta di fondo di estrema importanza e che ritengo superfluo illustrare essendo ovvia ogni considerazione circa la validità della stessa. A questa scelta dovrà però corrispondere veramente un metodo nuovo di lavoro che possa assicurare all'Ente da un lato una razionale distribuzione degli interventi, sulla base di precisi programmi di scelte prioritarie ordinate nel tempo e dall'altro una maggiore efficienza dell'attività regionale in genere.
La serietà dell'impegno assunto in ordine all'adozione di tale metodo trova fedele riscontro nel contenuto dell'art. 21, là dove si attribuisce il compito alla Commissione programmazione e bilancio di esaminare gli atti relativi alla programmazione, il bilancio e di verificare i progetti di legge che comportino spese a carico del bilancio, valutando in particolare la coerenza tra le diverse leggi, la programmazione ed il bilancio. Questo corretto metodo di operare, se rispettato, consentirà una reale efficienza all'Ente.
L'argomento della programmazione economica merita certamente un approfondimento, soprattutto in relazione al funzionamento della programmazione nazionale, agli organi, agli strumenti, ai rapporti tra Regione e gli organi centrali della programmazione stessa. Qui, in sede di introduzione al dibattito, è doveroso prendere atto soprattutto che con lo Statuto in esame, correttamente la Regione piemontese rivendica a sé una precisa funzione e si pone come soggetto di programmazione, concorrendo alla formazione ed attuazione del piano nazionale, quale organo della programmazione, realizzando il proprio contributo con la collaborazione degli Enti locali e con l'autonomo apporto delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle altre organizzazioni economico-sociali. Sarà soprattutto la verifica in concreto di queste nuove esperienze che potrà offrire ulteriori indicazioni circa una più precisa organizzazione della Regione, per operare efficacemente in questo settore. Intanto dovranno essere meglio precisate e definite la natura e le modalità dei rapporti, la interdipendenza tra piano regionale e programma nazionale; in secondo luogo si dovrà completare ed approfondire il tema degli strumenti per rendere veramente operante una politica di programmazione.
Per concludere, mi sembra vada registrata una tendenza politica prevalente, volta ad accentuare l'autonomia della Regione per assicurare alla stessa maggiori spazi di competenze, in contrasto con tendenze tutt'ora persistenti di centralismo tradizionale. Anche qui sarà l'esperienza ad indicare con più concretezza ed a suggerire strumenti operativi che possano rettamente interpretare e realizzare il rapporto tra Stato e Regione.
Un ultimo breve accenno al Titolo riguardante gli organi della Regione.
Anche questa tematica, oggetto di elaborazioni dottrinarie e di approfondimenti giuridici veramente notevoli, peraltro spesso contrastanti può offrire materia di discussione soprattutto in riferimento al problema specifico delle rispettive competenze, dei rapporti tra i diversi organi, e delle modalità di elezione del Presidente della Regione e della Giunta. Noi riteniamo che nel rispetto più assoluto della sovranità del Consiglio, il problema vada visto in termini di concretezza, in relazione a due esigenze fondamentali; assicurare all'esecutivo una concreta efficienza ed una adeguata stabilità. Per questo siamo decisamente contrari ad ogni soluzione tendente in modo palese o strisciante ad intaccare queste fondamentali esigenze; minare l'efficienza dell'esecutivo vuol dire attentare alla vita stessa della Regione, condannandola alla paralisi, al discredito.
Per quanto riguarda la stabilità dell'esecutivo, noi riteniamo ancora che essa sia la conditio sine qua non per assicurare all'esecutivo una vera, autentica efficienza. La regolamentazione della materia nel progetto di Statuto pertanto ci trova pienamente consenzienti. Ritengo doveroso ricordare ancora che il nostro gruppo si è battuto perché nello Statuto fosse accolto il principio del voto palese, sia per la elezione del Presidente della Giunta, che per la votazione sulla Giunta stessa, e anche per la votazione sulla mozione di sfiducia. E questo sempre per quanto ho detto prima: del resto noi riteniamo che il voto palese veramente possa esaltare la funzione del singolo Consigliere, il quale dovrà assumere palesemente le proprie responsabilità e corrisponda ad un tempo ad una profonda esigenza, avvertita dall'opinione pubblica, di impedire ogni forma di degenerazione che possa coinvolgere l'esistenza stessa delle istituzioni democratiche.
La fase costituente di uno Statuto regionale è certamente difficile ardua; si dice che la Regione è ancora in parte da scoprire, donde le reali difficoltà a procedere ad una codificazione statutaria che dovrà certamente verificare la propria validità con l'esperienza ed in relazione alle indicazioni che il futuro dell'Ente potrà offrirci.
Con queste riflessioni e con queste prospettive, il gruppo del P.S.U.
ritiene positivo il progetto di Statuto in esame e si compiace per il risultato conseguito dai lavori della Commissione.
Ed ora mi sia consentito di chiudere con un augurio: in quest'aula che oggi ci ospita, così legata alle vicende del nostro Risorgimento, uomini illustri ed insigni legislatori hanno concepito e saputo costruire l'unità d'Italia; l'augurio è che nel rispetto dei valori morali che il nostro compito ci suggerisce, possiamo operare nella Regione Piemonte per il raggiungimento delle finalità che essa si è prefissa e per una più giusta organizzazione della nostra società.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Zanone. Ne ha facoltà.



ZANONE Valerio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, questa bozza di Statuto che la Commissione presenta al Consiglio, non è esente da imperfezioni che ci auguriamo potranno essere emendate durante la discussione degli articoli.
In linea generale si può osservare che, soprattutto nei primi articoli, vi è una ridondanza di formule programmatiche espressive più di generici stati d'animo che di precise determinazioni legislative. Ricorre poi, in tutto il testo, un impiego forse approssimativo del linguaggio giuridico, che richiederebbe un'operazione complessiva di limatura tecnica. Non era dunque superflua la raccomandazione che più volte abbiamo sottoposta alla Commissione, di ricorrere in questo momento fondamentale e preliminare della produzione legislativa piemontese, alla consulenza di esperti, i quali non mancano nella nostra Regione ed anzi, sono stati chiamati a collaborare agli Statuti di altre Regioni.
Queste osservazioni che ribadiamo al solo fine di una valutazione obiettiva del lavoro fatto e della possibilità di migliorarne il risultato entro i 120 giorni che la legge ci assegna e che sono ormai prossimi a scadere, non nascondono però al nostro esame complessivo l'esperienza positiva compiuta nei primi mesi di esercizio del nostro mandato. Spero di trovare concordi i colleghi della Commissione in questo giudizio, che la preparazione dello Statuto è stata, per ciascuno di noi, un esperimento concreto di democrazia come l'intendiamo noi liberali, una democrazia che non annulla le diversità, che non confonde le diverse responsabilità politiche, ma innalza le diversità e il pluralismo a metodo civile di convivenza e di confronto.
In questo modo, anche dal confronto di posizioni divergenti, ci siamo confermati nella persuasione che avevo già avuto occasione di esprimere in questo Consiglio il 22 luglio, nella discussione preliminare sullo Statuto la persuasione che la democrazia italiana, se vuole sopravvivere, non possa più permettersi il lusso di non funzionare e che ciò imponga a tutti i democratici, a quelli che governano e a quelli che stanno all'opposizione una più rigorosa deontologia. Questa persuasione è stata presente nel gruppo liberale nella preparazione dello Statuto e dovendo concorrere nell'ambito delle nostre forze, alla definizione della cornice legislativa in cui dovremo operare, abbiamo tenuto conto del duplice impegno che il momento attuale richiede dai liberali: agire da oppositori, ma pensare in termini di responsabilità generale.
Di qui la prima delle nostre scelte, quella fondamentale, che deciderà il nostro voto finale alla conclusione di questo dibattito. Noi ci risolveremo pro o contro lo Statuto, a seconda del modello politico che esso esprimerà. A nostro avviso lo Statuto non deve né può configurare un modello di democrazia sostanzialmente contraddittorio rispetto a quello descritto nella Costituzione della Repubblica. Non può né deve porre la Regione come contropotere contestativo rispetto alla funzione unitaria dello Stato. Ma può e deve esercitare sui principi della Costituzione una rilettura critica, in modo da aggiornare l'esercizio della rappresentanza politica alle mutate domande che, come affermava il presidente Vittorelli nella sua relazione, la società civile degli anni '70 esprime rispetto a quella degli anni '50; può e deve, lo Statuto, coordinare il momento originario e sovrano dell'unità nazionale col momento dell'autonomia decentrata e partecipativa. E se lo Statuto prescriverà, in forme adeguate gli istituti e i metodi per garantire questi obiettivi, esso porrà il lavoro di questo Consiglio al riparo delle ventate del regionalismo e dell'antiregionalismo enfatico.
I problemi statutari che devono essere risolti a questo fine si riassumono, a nostro avviso, in tre esigenze fondamentali: le garanzie per la trasparenza dell'azione legislativa e amministrativa degli organi regionali; la promozione delle forme e istituti di partecipazione, la valorizzazione di tutte le autonomie decentrate e nel contempo il loro collegamento con i metodi di programmazione che costituiscono l'aspetto più innovativo dell'attività regionale; infine l'equilibrio fra gli organi, la distinzione delle loro attribuzioni e responsabilità, il conferimento all'esecutivo di adeguate strutture di stabilità e di solidarietà e il parallelo conferimento alle minoranze, a tutte le minoranze, di adeguate possibilità di intervento e di controllo.
Circa la prima di queste esigenze, è evidente che la necessità di nuovi strumenti di indagine e di vigilanza cresce in diretta relazione con l'estendersi del potere pubblico. Quanto più esso allarga l'ambito dei pronti interventi, tanto più diviene necessario fare della sede pubblica una casa di vetro. Noi prendiamo perciò atto con viva soddisfazione del parere favorevole espresso dalla maggioranza della Commissione statutaria per la costituzione di una Commissione speciale incaricata di esprimere alla Giunta un parere preventivo sulle nomine di spettanza dell'esecutivo.
Se un organo analogo funzionasse a livello statale, forse sarebbero stati evitati alcuni casi clamorosi di clientelismo e di nepotismo sottogovernativo. Sosterremo inoltre, in accordo con altri colleghi di opposizione, la facoltà di istituzione delle Commissioni di indagine su iniziativa di minoranza, già recepita in altri Statuti regionali; e proporremo al Consiglio l'istituzione del difensore civico regionale, sulla quale diamo atto al collega Simonelli della sensibilità dimostrata verso un problema che dovrebbe preoccupare l'esecutivo ancor più delle minoranze.
Tratteremo l'argomento in sede di illustrazione degli articoli. In questo momento ci limitiamo a prendere atto della dichiarazione del gruppo comunista nel Consiglio Regionale emiliano, il quale ha riconosciuto che la proposta del difensore civico regionale "può trovare favorevole accoglimento soprattutto nella motivazione tesa a favorire un nuovo rapporto fra Stato e cittadino, non solo come garanzia contro possibili arbitri della pubblica amministrazione, ma anche come effettiva possibilità di controllo sulla pubblica amministrazione." Ma la trasparenza dell'azione pubblica è solo una garanzia preliminare rispetto alla seconda esigenza, quella partecipativa. La bozza di Statuto contiene sulla partecipazione una serie di indicazioni programmatiche che individuano, a nostro avviso con sufficiente correttezza, i diversi momenti dell'informazione, della consultazione, della collaborazione, del concorso in riferimento ai singoli cittadini, alle formazioni sociali, alle comunità locali. Siamo sostanzialmente d'accordo, salvo alcuni emendamenti, sulla disciplina proposta dalla bozza di Statuto per gli istituti tipici della partecipazione. Del resto, il momento più innovativo e più suscettibile di risultati concreti non deve forse essere cercato in essi, bensì nelle modalità indicate per il funzionamento delle Commissioni legislative del Consiglio.
La bozza di Statuto pone però un problema di collegamento che costituirà, con ogni probabilità, uno dei nodi più difficili nella elaborazione dello Statuto e nella sua applicazione: il problema di collegare le due sostanziali opzioni di metodo che la bozza di Statuto contiene e che sono quelle dell'opzione partecipativa e dell'opzione programmatoria. Se la politica regionale non sarà capace di realizzare una saldatura tra queste due opzioni, che facilmente possono presentare degli aspetti contradditori, si corre il rischio di vanificare l'una e l'altra.
Io condivido l'impostazione che il collega Gandolfi ha dato poco fa alla politica regionale di piano, ma le formulazioni che il titolo sulla programmazione propone sono il risultato di molteplici approssimazioni e ripensamenti non pervenuti tutti ad una chiarificazione esauriente.
All'ultimo momento, ad esempio, si è rinunciato in Commissione a prevedere organi consultivi e di concertazione tra le diverse istanze economiche e sociali non solo a livello regionale, ma anche a livello dell'articolazione di comprensorio. Ci riserviamo, su questo, di ritornare in sede di emendamento.
La terza esigenza, di funzionalità degli organi e di equilibrio fra i loro rispettivi poteri, è quella che meno è stata discussa dalla Commissione. Non credo di svelare alcun segreto se ricordo che solo alla chiusura dei lavori i rappresentanti dei quattro partiti di maggioranza hanno comunicato un sistema di elezione del Presidente e della Giunta che rovesciava del tutto quello in un primo tempo prospettato da altri autorevoli Consiglieri di maggioranza. Il Consiglio si trova ora chiamato a pronunciarsi su tre proposte diverse. Anche su questa materia fondamentale mi limiterò a qualche osservazione generale rinviando le considerazioni più ampie all'illustrazione degli articoli.
Devo premettere che il gruppo liberale è anzitutto convinto della possibilità e opportunità di ridurre notevolmente il numero degli Assessori, anche ad evitare che si debbano chiamare i componenti della Giunta a far parte delle Commissioni legislative al di fuori di una corretta distinzione delle reciproche responsabilità. Il gruppo liberale è inoltre favorevole, in linea generale, che il Consiglio deliberi, di norma con voto palese, come proponeva poc'anzi il collega Debenedetti, in quanto riteniamo che solo in una rappresentanza politica sottosviluppata il voto palese sia in contrasto con il divieto di mandato imperativo che noi prevediamo in questo stesso Statuto. Nella concezione liberale ciascun Consigliere ha il pieno diritto di votare secondo la propria coscienza anche in difformità dalle deliberazioni del proprio partito, a condizione che ciò avvenga con una esplicita assunzione di responsabilità personale.
Vi è, tuttavia, il problema di tutelare la scelta del Presidente della Regione dalla pressione diretta dei gruppi di influenza e perciò noi proporremo che avvenga a scrutinio segreto la sola elezione del Presidente il quale peraltro non dovrà iniziare l'esercizio del suo mandato senza aver conosciuto la propria maggioranza in sede di votazione palese per appello nominale sull'indirizzo programmatico e sulla composizione globale della Giunta. Sosterremo questo sistema di designazione perché esso ci appare il più adeguato a garantire l'autonomia di ciascun Consigliere e insieme il requisito della chiarezza nella dialettica fra le rappresentanze politiche.
Esse rispecchiano certo la società che le esprime, anche nelle sue tensioni e divisioni, ma nel contempo devono introdurre nel sistema politico un elemento di razionalità e di governabilità. La democrazia, come si è costituita in Italia dopo il fascismo, ha un assetto pluripartitico che non è eliminabile. Ciò equivale a dire che di massima nel nostro Paese i governi centrali e locali si formano per coalizione; le procedure di elezione degli organi non possono ignorare questa realtà. Nessun sistema politico può sussistere senza governo; e se per la formazione dei governi è necessaria la formazione delle coalizioni di maggioranza, allora il compito delle minoranze è quello di opporsi alla coalizione maggioritaria individuandola nella sua globalità, anziché far leva sul frazionismo delle correnti e sul brigantaggio dei franchi tiratori di cui l'esperienza delle Regioni speciali ha tante volte mostrato le motivazioni degenerative.
Su questa scelta di fondo della nostra linea di opposizione si spiega perché proprio al nostro gruppo tocchi di insistere sulla necessità di costituire una Giunta dotata di solidarietà esplicita e appoggiata da una maggioranza non equivoca.
E' in atto, signori Consiglieri, nella politica italiana, un processo di transizione al quale anche altri hanno accennato in questa seduta, che passa oltre la formula di centro sinistra, la quale sopravvive ormai a se stessa non come una scelta effettiva, ma come un puro e semplice stato di necessità. Qualunque sia l'esito di questa transizione ormai avviata, è diritto e dovere di tutti esigere che essa avvenga in forme palesi, tali da consentire il giudizio della sovranità popolare.
La procedura proposta dai gruppi di maggioranza per la designazione della Giunta ci trova perciò dissenzienti non sulla questione della votazione complessiva in forma palese, ma per la supremazia partitocratica che essa introduce a detrimento della corretta individuazione dei poteri che la Costituzione assegna ai due organi esecutivi della Regione. E' indubbio che la formazione dell'esecutivo debba essere preceduta da un dibattito politico, ma la proposta nell'indirizzo programmatico non spetta in prima istanza a un quorum di sottoscrittori raccolti in negoziati preliminari fuori dell'aula, bensì al Presidente eletto dal Consiglio. La proposta dei gruppi di maggioranza sottrae all'esecutivo il suo primo diritto e dovere, quello di esercitare un ruolo politico propulsivo che il Consiglio discute, approva, controlla ma non sostituisce né sovverte. E all'interno dell'esecutivo la parificazione assegnata al Presidente e al resto della Giunta nel sistema di designazione proposto dai gruppi di maggioranza istituisce un'ulteriore confusione tra i due organi e contrasta con la preminenza funzionale del Presidente che è indicata in successivi articoli proposti dalla stessa maggioranza. Questa proposta denuncia così nel modo stesso in cui è formulata, il suo peccato originario, che è quello di essere stata concepita in via di compromesso fra i quattro gruppi proponenti e di portare alla propria struttura interna il segno della sua origine partitocratica.
Signor Presidente, colleghi Consiglieri, all'apertura del dibattito sullo Statuto il gruppo liberale vuole esprimere l'augurio che i nostri lavori si svolgano in coerenza con il compito costituente che stiamo esercitando e che ci impone di guardare, nella fermezza delle reciproche convinzioni e posizioni, al di sopra degli steccati pregiudiziali di ciascun partito. Lo Statuto è appena l'avviamento di un grande impegno legislativo. Questa bozza, che sarà nei prossimi giorni oggetto di discussione, richiede, per completarsi, almeno quindici integrazioni del Regolamento e una decina di leggi regionali. Il modo in cui i Consigli Regionali si sono costituiti al termine di una vicenda parlamentare che è durata vent'anni, ma che nonostante ciò si è conclusa all'insegna dell'incertezza e della provvisorietà, ci espone a pericoli che potrebbero mettere la Regione in crisi prima ancora che essa inizi in concreto a funzionare. E proprio perché i fatti minacciano anche in questa occasione di comprovare il fondamento oggettivo delle critiche di cui a suo tempo l'ordinamento regionale è stato oggetto da parte dei liberali, il gruppo liberale in questo Consiglio vuole confermare che non mancherà di portare ai lavori sullo Statuto tutta la collaborazione costruttiva di cui sarà capace.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Simonelli. Ne ha facoltà.



SIMONELLI Claudio

Signor Presidente, colleghi del Consiglio; il gruppo consiliare socialista si presenta a questo dibattito soddisfatto sia del modo con il quale si è proceduto all'elaborazione dello Statuto, sia dei contenuti dello Statuto stesso. Quanto al modo, basterà ricordare che il P.S.I. aveva concepito, fin dal momento in cui le Regioni a Statuto ordinario hanno preso vita nella realtà del nostro ordinamento giuridico, questo primo inizio di attività e di vita delle Regioni come una vera costituente regionale, capace di rappresentare un punto di svolta, di reale rinnovamento della democrazia italiana. Il richiamo a quell'altro momento importante, di crescita civile e di elevata partecipazione, che fu l'elaborazione della Costituzione Repubblicana, non vuole essere soltanto una facile concessione demagogica o sentimentale, ma la verifica (che diventa poi per ciascuno di noi assunzione di responsabilità) che in questo momento siamo ad un punto di svolta che può essere determinante per la vita e la funzionalità delle istituzioni democratiche che ci reggono. Proprio per queste ragioni noi avevamo posto fin dall'inizio, in via preliminare due condizioni all'attività di elaborazione degli Statuti: in primo luogo che essi non nascessero come espressione delle maggioranze all'interno dei Consigli, ma si venissero componendo attraverso il libero dispiegarsi del confronto tra tutte le componenti politiche; in secondo luogo, che l'attività costituente uscisse dalle nostre aule e investisse l'intera collettività regionale, chiamata a parteciparvi attraverso i Comuni, le Province, le organizzazioni sindacali, i gruppi culturali e sociali di cui la comunità regionale è composta. In Piemonte l'una e l'altra di queste condizioni hanno potuto realizzarsi e io credo che il Consiglio possa registrare oggi, con legittima soddisfazione, che lo Statuto che viene ora portato alla discussione non esprime la volontà prevaricatrice di alcun gruppo o di alcun schieramento, e che ad esso hanno collaborato con un'ampia partecipazione tutte le forze presenti nel Consiglio e tutte le realtà vive della società regionale. Questo Statuto nasce anche - ed è un'ulteriore ragione di soddisfazione per noi - senza alcun ossequio alle disposizioni della cosiddetta legge Scelba, che noi abbiamo volutamente disatteso là dove abbiamo ritenuto di farlo, specie là dove questa legge poneva indebiti limiti e incostituzionali vincoli all'autonomia organizzativa della Regione.
Quanto ai contenuti dello Statuto, credo valga la pena di soffermarci su alcuni di essi, per sottolineare - come del resto ha fatto il dibattito di oggi, a cominciare dall'introduzione del presidente Vittorelli - gli elementi di novità, di rottura, di rinnovamento compresi nello Statuto della Regione Piemonte.
Io vorrei partire dagli articoli programmatici 2, 3, 4, 5, 6,importanti proprio perché tracciano la guida, le linee direttrici lungo le quali si dovrà poi collocare non soltanto il testo statutario, ma l'attività futura della Regione. Da questi articoli programmatici emerge una visione della Regione Piemonte, come Ente che mira a promuovere lo sviluppo economico e sociale della comunità piemontese, che chiama la comunità piemontese a partecipare autonomamente alla fissazione ed alla realizzazione di questi obiettivi, attraverso il metodo e gli strumenti della programmazione. E' importante sottolineare il richiamo che lo Statuto compie all'autonomia, al decentramento, a problemi che sono emersi in questi anni con forza crescente nella coscienza sociale, come quelli della difesa dell'ambiente e della salute pubblica, a problemi che hanno nella realtà della nostra Regione un rilievo ed una forza e che devono perciò essere riconosciuti come quello della difesa del patrimonio culturale di cui sono portatrici le comunità locali e le minoranze linguistiche.
Quanto agli organi della Regione, lo Statuto si è prefisso di introdurre, anche attraverso istituti nuovi, un sistema di rapporti tra organi che garantisca da un lato efficienza e stabilità alla Giunta, come organo di governo e di programmazione, e dall'altro forza e reali poteri al Consiglio per l'esercizio delle sue funzioni legislative e di controllo.
Noi crediamo che in effetti la soluzione al problema di corretti rapporti fra i diversi organi debba emergere non tanto dalla limitazione dei poteri dell'uno o dell'altro, ma dal potenziamento e rafforzamento di ciascuno di essi, nella sfera che gli è propria.
Quindi, Giunta stabile ed efficiente, da un lato, Consiglio forte e dotato di poteri, dall'altro. Il meccanismo attraverso il quale lo Statuto prevede l'elezione della Giunta e del Presidente e il modo col quale si giunge alla votazione, che avviene a voto palese, collegata ad un documento politico-programmatico, devono garantire che l'elezione della Giunta e del Presidente sia un momento di dibattito, di dialogo, di confronto politico al più alto livello possibile nel Consiglio Regionale, sottratto alle influenze clandestine, ai colpi di mano dei "franchi tiratori", ai giochi e ai ricatti di potere e di sottopotere. Così come gli ampi poteri di informazione e di controllo riconosciuti al Consiglio, l'organizzazione dell'attività consiliare in Commissioni permanenti, la stessa previsione statutaria di una Commissione consiliare, quella della programmazione e del bilancio (alla quale viene demandato, tra l'altro, un compito di controllo sulla gestione patrimoniale e contabile della Regione) sono momenti che esaltando le funzioni e i poteri del Consiglio, valgono a stabilire il giusto contrappeso al potere e alla stabilità, riconosciuti all'esecutivo.
La materia delle deleghe e dei controlli sugli Enti locali viene regolata in modo da sviluppare, accentuare e favorire le autonomie, rendere le Province, i Comuni e gli altri Enti locali pienamente partecipi della vita e delle scelte della comunità regionale piemontese e farne non degli esecutori, ma dei collaboratori e dei compartecipi di una politica che deve coinvolgere, nei suoi momenti essenziali, tutte le realtà della società regionale. L'esercizio delle deleghe e dei controlli deve essere anche uno stimolo al rinnovamento delle strutture attuali degli Enti locali, uno stimolo ad andare avanti sulla strada della modernizzazione degli uffici della razionalizzazione delle procedure di lavoro, dell'organizzazione di una diversa politica di programmazione e di bilancio anche a livello locale, deve diventare, insomma, un modo attraverso il quale condurre innanzi quel discorso di rinnovamento delle strutture dello Stato e della pubblica amministrazione a tutti i livelli, nel quale noi socialisti vediamo uno degli aspetti più significativi dell'entrata in vigore delle Regioni a Statuto ordinario. Passaggi necessari per questa azione di profondo rinnovamento devono essere una nuova legislazione sulla finanza locale, e un nuovo Testo Unico sulla legge comunale e provinciale.
Tutti questi sono argomenti sui quali ci siamo già soffermati in Consiglio; se torno ora su questi temi è soltanto per ribadire che in questa materia la Regione dovrà combattere una battaglia per ottenere dallo Stato che siano portate avanti sollecitamente adeguate iniziative di riforma dell'attuale legislazione e soprattutto perché venga data alla Regione la possibilità di intervenire, esercitando ampi poteri regolamentari sulla materia della legislazione comunale e provinciale e della finanza locale.
Gli istituti della partecipazione, ai quali viene dedicato un apposito Titolo dello Statuto sono importanti e rappresentano uno dei momenti di svolta più significativi (come riconosceva nella sua introduzione il Presidente Vittorelli) non solo perché vengono riproposti gli istituti "classici" della partecipazione: il referendum, l'iniziativa legislativa popolare e degli Enti locali, i diritti di petizione e di interrogazione ma perché a tutto questo insieme di istituti e di strumenti, lo Statuto cerca di attribuire una concreta possibilità di realizzazione. Noi riteniamo, infatti, che questi istituti valgano nella misura in cui ad essi possano avere accesso, concretamente, gli Enti locali, i cittadini, tutta la comunità regionale. Solo a questa condizione essi meritano di essere introdotti, perché rappresentano un fatto di rinnovamento e di progresso, e non solo un tributo pagato alla moda della partecipazione. Merita poi di essere sottolineata in modo particolare la partecipazione alle Commissioni consiliari, sia legislative sia speciali. Lo Statuto prevede che il lavoro del Consiglio si svolga prevalentemente attraverso un lavoro di commissione e che a queste possano avere accesso, in forma continuativa e costante, gli Enti locali, le rappresentanze del movimento dei lavoratori e delle altre forze sociali. Questa partecipazione alle Commissioni consiliari garantisce la presenza delle forze reali presenti nella società nel momento più delicato e più importante di vita della Regione, nel momento in cui si formulano le proposte di legge, i più importanti provvedimenti amministrativi; il piano di sviluppo regionale, le diverse leggi di piano i programmi settoriali di intervento, ecc. E' soprattutto attraverso questa partecipazione che noi offriamo alle forze vive della società piemontese la possibilità di una loro consultazione permanente, di una loro presenza non velleitaria né demagogica nei momenti più significativi della attività della Regione.
Lo Statuto dedica un altro Titolo alla programmazione e vorrei soffermarmi più ampiamente su questa parte, non solo perché in seno alla Commissione, unitamente ad alcuni colleghi, mi sono occupato di questi problemi, ma perché ritengo (e del resto non sono il solo a farlo), che dipenderà prevalentemente dalla capacità delle Regioni a divenire soggetti della politica di programmazione, il ruolo che i nuovi istituti regionali assumeranno nel nostro sistema. Questo tema è particolarmente complesso: da un lato, tutti oggi riconosciamo nell'attività di piano una delle funzioni essenziali delle Regioni; dall'altro, dobbiamo constatare che, quando le Regioni furono previste dal legislatore costituente, di politica di programmazione ancora non si parlava nel nostro Paese e perciò gli strumenti e gli istituti attraverso i quali la politica di piano si è venuta configurando non potevano essere presenti e non trovarono in effetti spazio nella carta costituzionale. E' dunque da questa paradossale situazione con delle Regioni che nascono per essere sostegno e strumento indispensabile della politica di programmazione, della quale non vi è per altro alcuna menzione nelle norme costituzionali che scaturisce una problematica estremamente complessa, ma ricca e stimolante, sulla quale noi crediamo lo Statuto abbia dato una prima serie di importanti risposte.
E' necessario, affrontando questo tema, premettere alcune brevi considerazioni sulla situazione attuale della politica di piano, la quale sta attraversando una fase di profondo ripensamento, seguita al sostanziale fallimento delle prime esperienze di programmazione nel nostro Paese. Credo che non si faccia torto a nessuno né si forzi la realtà quando si dice come noi francamente diciamo - che il primo piano quinquennale ha registrato un sostanziale fallimento. E' proprio la revisione in corso a livello di tecnici, di programmatori, a livello scientifico e politico, a mettere in luce quali sono le difficoltà, che non hanno consentito l'attuazione del primo piano quinquennale. Oggi emerge con chiarezza che le difficoltà sono dipese soprattutto dalla astrattezza di quel primo disegno dalla impossibilità di passare da uno schema generale ed astratto a scelte concrete, non diciamo a livello dei centri decisionali privati, ma della stessa pubblica amministrazione, del governo, delle amministrazioni locali e delle aziende pubbliche. E non si può neppure dire che mancasse, nei primi documenti della programmazione nazionale, l'indicazione delle riforme, delle cose da fare, delle scelte concrete da operare. Se noi rileggessimo oggi il vituperato piano Pieraccini, ad esempio, vi troveremmo in realtà già indicate buona parte delle riforme che oggi sono all'attenzione del Paese. Ciò che mancava, perciò, non era l'indicazione delle riforme o degli obiettivi da perseguire, ma piuttosto l'indicazione dei mezzi, degli strumenti e dei tempi per realizzarli; cosicché, da un lato, c'erano sì le riforme, ma sospese quasi a mezz'aria,non calate nella realtà, dall'altro, c'era un documento di piano puramente indicativo incapace di trovare gli strumenti per realizzarsi. Le esperienze regionali attraverso i comitati regionali di programmazione economica, hanno risentito dello stesso limite, accentuato dal fatto che i CRPE erano del tutto privi di strumenti di intervento. Cosicché i piani regionali nella loro grande maggioranza, se non nella loro totalità si sono risolti, da un lato, in documenti previsionali, più o meno fondati, riferiti a tutte le grandezze più significative della realtà socio-economica della Regione dall'altro, in un elenco di opere, di progetti, di interventi infrastrutturali - che spesso era soltanto la somma delle richieste avanzate dalle diverse comunità locali - senza che tra i due momenti ci fosse alcun raccordo di tipo operativo. Questa impostazione che corrisponde alla prima fase della politica di programmazione è entrata in crisi e viene oggi profondamente rivista. Indicazioni nuove ci provengono dallo stesso "Progetto 80" e da tutta l'elaborazione successiva, alla quale ha dato un contributo particolare il prof. Saraceno, con una serie di saggi (ora raccolti nel volume "La programmazione degli anni '70") molto stimolanti e molto importanti.
Questa profonda revisione - sulla quale ha fornito ampie ed autorevoli indicazioni il Ministro del Bilancio e della Programmazione Giolitti aprendo pochi giorni or sono i lavori della Commissione interregionale per la programmazione economica - conduce ad uno schema della politica di piano che si articola, grosso modo, così: da un lato quello che Saraceno chiama "il piano-messaggio", cioè un documento che indica i problemi aperti, esamina i grandi aggregati dell'economia nazionale, prospetta le opzioni e i possibili programmi di intervento (qualche cosa sul tipo del "Progetto 80" che conosciamo); dall'altro una serie di progetti, cioè i programmi di intervento per settore, e per area territoriale, che costituiscono i veri impegni politici del piano, si chiamino essi "programmi di promozione" se rivolti alle imprese, "progetti sociali" quando sono di competenza della pubblica amministrazione. Questi programmi sono legati e coordinati tra loro attraverso un quadro di controllo, di verifica, di coerenza, nel quale vengono assunti gli impegni dei finanziamenti, che è il vero e proprio piano quinquennale, nel quale i progetti, gli interventi per settore vengono calati, fusi e coordinati successivamente, la politica a breve, che è insieme attuazione e aggiornamento del piano, il quale viene continuamente e costantemente realizzato e verificato tramite gli strumenti di politica monetaria economica e di bilancio a disposizione del Governo e della pubblica amministrazione. E' chiaro che in questo schema articolato su più momenti e che deve garantire l'efficienza della politica di programmazione, il momento di maggiore impegno politico, il più significativo non è certo come appariva negli anni passati -, quello delle cifre, delle previsioni sugli incrementi del reddito, delle esportazioni o delle importazioni, ma il momento delle scelte, dei progetti, dei grandi interventi di settore; ed è anche evidente che è intorno a questi progetti che deve avvenire, ed infatti sta già avvenendo, la mobilitazione e l'impegno delle forze politiche e sociali interessate alla politica di rinnovamento, dalla cui convinta adesione, e solo da questa, il piano acquista credibilità, forza e possibilità di attuazione.
Ebbene, colleghi Consiglieri, io credo che non a caso possiamo parlare oggi di possibilità di rilancio della politica di piano, proprio perché il piano si cala in questo modo nuovo nella realtà di oggi del nostro Paese perché questi progetti che dovrebbero essere la sostanza del piano coincidono in realtà, per gran parte, con le grandi riforme per le quali si sta battendo il movimento dei lavoratori (politica della casa, della sanità, dell'assistenza, dei trasporti, dell'urbanistica, ecc.). Il fatto che oggi si discuta intorno a questi temi, significa che la politica di piano affonda questa volta le radici nella realtà viva dei problemi che il Paese ha di fronte; la programmazione è perciò finalmente in grado di mobilitare delle energie su problemi concreti, di non essere più il famoso "libro dei sogni", ma qualcosa di ben diverso che può realizzarsi, proprio perché trova consensi, adesione, forza all'interno del movimento dei lavoratori e delle forze reali del Paese.
Il ruolo delle Regioni si colloca in questo contesto, in questo modo nuovo di intendere la politica di piano; non deve perciò ridursi alla richiesta di un ruolo autonomo, di una "fetta" di competenze programmatorie, quasi che il piano fosse un meccanismo di scatole cinesi ognuna contenente un'altra, e le Regioni chiedessero, ciascuna per sé, di poter riempire una scatoletta da inserire nel grande gioco. Il ruolo delle Regioni non può essere questo, ma deve tradursi nella partecipazione costante, nella consultazione continua, nel controllo, e nel condizionamento delle scelte; nella misura in cui la politica di piano a livello nazionale andrà avanti, essa investirà necessariamente tutta l'organizzazione e tutto il complesso dell'attività regionale. Giustamente il Ministro Giolitti sottolineava queste cose nel suo discorso alla Commissione interregionale per la programmazione economica, ricollegando il discorso sulla programmazione a quello sul trasferimento delle competenze dallo Stato alle Regioni e al potere di indirizzo e di coordinamento che l'art. 17 della legge finanziaria riconosce allo Stato nei confronti dell'attività amministrativa delle Regioni. E' giusto ritenere che questi momenti siano necessariamente collegati, perché se la politica di piano diventa veramente la linea guida dell'attività della pubblica amministrazione, allora l'esercizio dei poteri di indirizzo e di coordinamento non può avvenire se non attraverso la programmazione economica stessa, che è l'unica via attraverso la quale viene ad emergere in modo non arbitrario, l'esigenza unitaria che deve presiedere a tutta l'attività dei centri decisionali pubblici. In concreto, perciò, il coordinamento del governo, della pubblica amministrazione centrale, si concretizza attraverso l'attività di programmazione e i suoi strumenti saranno perciò soprattutto il piano, il bilancio, il fondo per il finanziamento dei piani regionali di cui all'art. 9 della legge sulla finanza regionale.
E del resto, che questa e non altra debba essere l'interpretazione da dare ai problemi del coordinamento e dell'indirizzo e, d'altro lato, che sia assurdo pensare a piani regionali in sé autonomi e svincolati dalla logica del piano nazionale, lo si ricava facilmente solo pensando alla ovvia necessità che tutta la politica del Paese sia finalizzata al perseguimento prioritario dei grandi obiettivi che la politica di piano si è data. Tra essi, emerge il problema dello sviluppo del Mezzogiorno, che noi saremo in grado di risolvere nella misura in cui sarà il Parlamento a decidere, nella sua veste di supremo garante delle scelte che riguardano la collettività; mentre non può essere riconosciuta a ciascuna Regione la possibilità di scardinare questo disegno unitario e globale, se non al prezzo di vedere gravemente accentuati gli squilibri tra il Mezzogiorno e le altre Regioni.
Nello Statuto che stiamo discutendo, colleghi del Consiglio, tutte queste esigenze sono presenti, gli istituti della programmazione trovano adeguato spazio ed emerge una visione della Regione come Ente di indirizzo e di programmazione. In primo luogo, si afferma che la Regione è soggetto di programmazione e si prefigge di esercitare un suo ruolo permanente di partecipazione alle scelte della politica nazionale, quindi non ritagliando una fetta di competenze sue proprie, ma partecipando in modo continuativo alla programmazione nazionale. E lo stesso piano di sviluppo regionale si colloca come un momento di questa continua partecipazione. In secondo luogo, nello Statuto, si afferma che il concorso della Regione si realizza in collaborazione con gli Enti locali e con l'autonomo apporto delle organizzazioni sindacali, economiche e sociali (e questo sia nella fase di partecipazione al piano nazionale, come nell'elaborazione del piano di sviluppo regionale e nella formulazione dei piani comprensoriali). Questi ultimi, poi, rappresentano un altro importante elemento di novità nello Statuto della Regione Piemonte, proprio perché l'istituto dei comprensori viene visto come momento necessario, per l'articolazione a livello subregionale della politica di piano e come strumento di partecipazione e di raccordo di tutte le istanze che salgono dal "basso".
Un altro punto importante acquisito dallo Statuto è l'articolazione della politica di piano attraverso l'adozione di programmi pluriennali di attività e di spesa, che comprendono i programmi per settore e per progetto, nei quali vengono coordinate tutte le materie di competenza della Regione ed anche quelle delegate alla Regione dallo Stato. Da questo conseguono altre norme importanti, come quelle che stabiliscono che il bilancio della Regione deve essere coerente con le linee del programma così da rappresentarne in pratica lo strumento di attuazione per ogni singolo esercizio finanziario, e che le leggi che comportano spese devono essere conformi alle indicazioni del programma stesso. Il controllo relativo è demandato alla Commissione consiliare programmazione e bilancio (non a caso unica, fra le Commissioni consiliari permanenti, che abbia rilievo statutario), alla quale, oltre al controllo sulla gestione patrimoniale e contabile, e all'elaborazione in sede referente delle leggi di piano, è demandato un controllo di coerenza, in forma continuativa dell'attività legislativa della Regione rispetto alle linee del piano. Devo prendere atto che in Commissione Statuto, su questo ultimo punto, vi sono state perplessità e riserve, che peraltro mi sembrano non accoglibili nella misura in cui esse, forse inconsapevolmente, nascondono una ingiustificata diffidenza verso la logica della programmazione economica. Proprio perch vogliamo stabilire, ed abbiamo stabilito in concreto con le norme dello Statuto, un legame permanente e continuo tra partecipazione e programmazione, proprio perché il piano non nasce a tavolino, frutto dell'elaborazione di un gruppo di tecnici e di esperti sradicati dalla realtà della Regione, ma nasce attraverso una consultazione amplissima alla quale tutte le componenti della società regionale partecipano, proprio per questo il piano una volta che c'é deve essere la guida alla quale la Regione adegua tutta la sua attività: altrimenti diventa un'ennesima illusione, di cui ci facciamo portatori. Questa logica esige che l'attività della Regione sia conforme a ciò che il piano ha stabilito; naturalmente il piano non deve essere rigido ed immutabile, ma scorrevole, modificabile e aggiornabile con le stesse procedure con le quali è stato redatto. Una volta che siano stabiliti in questo modo democratico, partecipativo, le priorità e l'ordine degli interventi, non è possibile disarticolarne la logica con interventi disorganici, episodici, con quello stillicidio di leggi e leggine alle quali va attribuita una buona parte di responsabilità per il difficile e faticoso avvio della politica di piano a livello nazionale.
Passando ad esaminare i punti che lo Statuto avrebbe potuto accogliere e non ha accolto e sui quali il gruppo socialista si riserva di presentare emendamenti nel corso di questa discussione merita qualche parola la necessità, per noi evidentissima, di dotare la Regione al suo interno di uffici per l'elaborazione del piano regionale. Proprio perché diamo alla programmazione un ruolo decisivo nella vita della Regione, pensiamo che questa debba avere gli strumenti per condurre avanti la politica di piano.
Il primo degli strumenti necessari a questo fine (a livello burocratico, a livello di organizzazione degli uffici) deve essere un Ufficio del piano formato da funzionari altamente qualificati, con specifiche competenze tecniche, in grado di garantire al Consiglio Regionale ed alla Giunta la massa dei dati tecnici e tutti gli strumenti conoscitivi dei quali la politica di piano si alimenta, attraverso l'impostazione, prima, ed il controllo, poi, degli studi e delle ricerche relative. Affermare in modo così incisivo, come fa lo Statuto, il rilievo della programmazione per la vita della Regione e non prevedere degli uffici adeguati per dare a tutto questo concretezza operativa, può significare due cose: o lasciare sulla carta la previsione dell'impegno programmatorio della Regione, oppure demandare ad organi esterni, che non fanno parte dell'Ente Regione, il compito di essere garanti dell'elaborazione del piano regionale. Ora, come è vero che se oggi la Regione pensasse di poter fare a meno del momento tecnico, nascerebbe davvero viziata da un deleterio provincialismo, è altrettanto vero che la stessa dignità democratica dei nuovi organismi verrebbe duramente colpita, se questo momento tecnico diventasse momento tecnocratico, in altri termini, se l'elaborazione della politica di piano non appartenesse alla Regione stessa, e cioè ai suoi organi tecnico burocratici, sottoposti al controllo e alla direzione della Giunta e del Consiglio, ma venisse demandata ad organismi esterni, dai quali la Regione finirebbe per recepire delle valutazioni, dei giudizi, delle indicazioni che essa dovrebbe poi accettare o respingere in blocco, senza potere esercitare le sue capacità di controllo e di scelta, (con ciò ripetendo l'esperienza,non certo positiva sotto questo aspetto, del CRPE).
Altro, evidentemente, è il compito che la Regione può delegare ad Enti ed istituti esterni: l'attività di ricerca, di studio, di indagine. Certo gli istituti di ricerca e gli uffici studi pubblici che esistono in Piemonte sono pienamente in grado di collaborare alla politica di programmazione e l'esigenza che questi istituti ed uffici, nella loro piena autonomia, portino avanti un'attività di ricerca e di studio che hanno dimostrato di saper svolgere bene, è particolarmente sentita dal gruppo socialista: anzi, noi pensiamo che la loro attività debba andare al di là della stessa utilizzazione che ne può fare l'Ente Regione e porsi al servizio dell'intera comunità regionale. Badate, colleghi, quando dico queste cose non faccio che riecheggiare e forse soltanto leggermente ampliare ciò che parecchi Enti locali hanno chiesto e sollecitato rispondendo alle domande che la Commissione Statuto ha formulato sottolineando in particolare la duplice esigenza di poter essi stessi partecipare, attraverso una propria attività di studio e di ricerca all'acquisizione dei dati necessari per la programmazione sia a livello regionale che locale, e di vedere garantito il controllo democratico della politica di piano, senza abdicazioni della Regione ai suoi compiti, e quindi con la costituzione al suo interno di uffici adeguati e forniti delle necessarie competenze.
Tra gli altri voglio ricordare i contributi che su questo specifico tema sono pervenuti dalle amministrazioni provinciali di Novara, di Cuneo di Alessandria, dalla Camera di Commercio e dal Comune di Asti, dai Comuni di Ovada, Valenza, Tortona, dall'Istituto nazionale di urbanistica. Certo questa è materia che può anche essere oggetto di una successiva legge regionale, ma è bene comunque che anche su questo punto il nostro dibattito chiarisca fin d'ora le posizioni dei diversi gruppi.
In conclusione, questo Statuto che il Consiglio della Regione Piemonte è chiamato a discutere ed approvare, è per noi socialisti un buon Statuto.
Noi cercheremo, con gli altri colleghi del Consiglio, di farne un'occasione per andare avanti sulla strada che abbiamo scelto, quella che a nome di tutti noi il Presidente del Consiglio Vittorelli aveva indicato fin dal momento del suo insediamento, fissandoci scadenze e impegni che abbiamo fin qui puntualmente raggiunto ed onorato.
Già in altra occasione avevo avuto modo di ricordare che la Regione è nata tra grandi attese e grandi speranze della parte più avvertita e sensibile dell'opinione pubblica del Paese; la Regione è anche nata, per tra avversioni, ostilità, sospetti di cui si è fatto eco recentemente un giornalista un tempo brillante ed ora ridotto ad essere penna, e non delle migliori, del qualunquismo nazionale; Mario Missiroli, il quale ha testualmente dichiarato a proposito delle Regioni che "ogni giorno di più si ha la prova e la riprova che esse saranno un sistema di collocamento per i parlamentari bocciati, per i grandi elettori dei capi partiti, per i vitelloni di periferia". Ciò che noi facciamo e faremo è dunque sottoposto anche a questo tipo di analisi e di giudizio, qui espressi in modo paradossale ed offensivo, ma in realtà espressione di uno stato d'animo che esiste in certi strati dell'opinione pubblica che si alimenta degli errori e delle debolezze della classe politica, e viene esaltato e sfruttato dalle forze conservatrici e reazionarie, interessate a diffondere l'avversione alla Regione e agli istituti democratici. E non è detto che ogni Regione abbia fatto fin qui tutto quello che poteva per dissipare questi dubbi e far venire meno queste ostilità. Per quanto ci riguarda, io credo che noi abbiamo fatto fin qui il nostro dovere e dobbiamo continuare a farlo nei prossimi tempi, per dimostrare con i fatti che la Regione Piemonte merita il consenso, la partecipazione, l'apporto costruttivo che la popolazione piemontese ha già cominciato a darci. Con ciò, renderemo un servizio non solo a noi stessi ma agli istituti democratici e allo sviluppo civile del Paese.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Sanlorenzo. Ne ha facoltà.



SANLORENZO Dino

Signor Presidente, signori Consiglieri, dare un giudizio sul progetto di Statuto che la Commissione presenta oggi alla discussione in Assemblea vuol dire prima di tutto prendere coscienza dei tempi e dei modi con i quali questo progetto di Statuto è stato redatto. Sono passati tre mesi dal giorno della prima seduta della Commissione, tre mesi dal 24 luglio al giorno dell'ultima riunione conclusasi alle quattro del mattino, mercoledì 28 ottobre 1970. Ma in questi mesi non si sono solo scritti e riscritti documenti e articoli nel chiuso di qualche sala di Palazzo Cisterna e non si sono "solo" fatte trentadue riunioni di Commissione e sottocommissione.
A scrivere e a discutere non si sono solo trovati i Consiglieri, hanno scritto e discusso e lavorato con loro, direttamente, gli eletti del popolo del 65 per cento degli abitanti della Regione, hanno contribuito e sono intervenuti, nella elaborazione di questo progetto, i lavoratori delle fabbriche della Rhodiatoce, di Verbania, di Spinetta Marengo, le operaie tessili della valle del Biellese, della Botto, della Bozzalla, gli operai della Falconi di Novara che oggi hanno voluto sottolineare con la loro presenza di fronte all'Assemblea che, appunto, lo Statuto deve riflettere prima di tutto la società reale, i problemi, le lotte dei lavoratori, le aspirazioni di coloro che vogliono contribuire a scrivere una legge nuova perché sia possibile governare in modo nuovo. Così hanno fatto le associazioni, che hanno scritto e anche quelle che non hanno scritto ma che si sono fatte ricevere e che hanno espresso la speranza che la Regione saprà essere cosa corretta e viva. Questo ci hanno detto quelli che abbiamo incontrato, quando siamo andati noi a parlare loro davanti alle fabbriche o nei Consigli Comunali della Regione che si sono aperti, in modo nuovo, alla ricerca delle soluzioni da dare allo Statuto regionale. Ecco, è nato così questo progetto ed è un primo elemento di valutazione politica, un primo giudizio sul "come". Noi comunisti abbiamo proposto, abbiamo voluto che questo metodo si attuasse, anche quando la maggioranza della Commissione era incerta, pensava che la Regione fosse nata con più diffidenze di quanto le risposte hanno dimostrato ci fossero. Abbiamo voluto la traduzione concreta di quell'impegno, di quella proposta di una Regione aperta, per la quale ci eravamo dichiarati nella campagna elettorale, nella prima seduta costitutiva della Regione Piemonte, nel primo dibattito introduttivo sullo Statuto. E se abbiamo voluto che vi fosse la consultazione, se avremmo gradito che essa fosse stata anche più sollecita e più ampia e più precisa è perché abbiamo avvertito che senza questo collegamento diretto, questo contatto, questa partecipazione realizzata nella concretezza (prima ancora di scriverla nella legge della Regione) non ci sta solo un metodo nuovo e un modo nuovo di governare, ci sta la scommessa stessa della vita, del rinnovamento o del decadimento di tutte le nostre istituzioni democratiche.
Ecco perché certa stampa, non tutta e non quella dei partiti, che pure si professa regionalista, "piemontesista", ha capito subito che si doveva ignorare il metodo seguito, il "come" si stava facendo lo Statuto e ha cercato di ignorare i risultati parziali cui si stava arrivando e ha deciso di non "partecipare". Anche questo ha il suo significato preciso e colloca questa stampa, per parlarci chiaro "La Stampa" della Fiat, al di fuori del processo di vero rinnovamento che abbiamo iniziato. La sera del 7 gennaio 1848, a Torino ben diversamente parteciparono alle istanze di rinnovamento coloro che rappresentavano allora la stampa liberale. All'Albergo di Europa i direttori dei giornali torinesi, di concerto con alcuni "alti distinti personaggi" e su proposta di un certo Camillo di Cavour (come raccontano le cronache di allora) decidevano di presentare al re una petizione per lo stabilimento di un regime rappresentativo. Per questo solo fatto, allora si discusse se dovevano essere perseguiti, portati in giudizio penale. Oggi cento anni dopo, si compie la parabola inversa da parte del principale giornale della borghesia piemontese, oggi il giornale della Fiat dedica tre pagine e un titolo a nove colonne ma non alla Regione, bensì al "tempio delle auto" e non trova lo spazio, in 32 pagine di giornale, per dare la notizia che sta per nascere lo Statuto della Regione Piemonte.
Questa sala che ci ospita, così piena di suggestione e di ricordi, ci permette di ricordare prima di tutto una cosa: questo Statuto non è stato scritto dai nobili del re, non è stato concesso da nessuno, non è stato necessario, per scriverlo, né rivolgersi agli uffici studio, né ai titoli accademici di grandi soloni della giurisprudenza sovente più sensibili al potere di ieri e di oggi che alle esigenze di rinnovamento che scuotono la società italiana. Abbiamo cercato di capire e di scrivere ciò che capivamo assieme e ciò che non abbiamo potuto scrivere assieme non avrebbe potuto essere scritto né da uno, né da dieci giuristi. Ciò che consegniamo al giudizio, al lavoro, alla riflessione, alla critica, al dibattito costruttivo ancora è un documento largamente unitario e credo che possa risultare unitario anche alla fine se si continuerà con lo stesso spirito costruttivo. Ma io credo che anche i tempi entro i quali questo progetto è stato elaborato non debbano sfuggire a qualche considerazione. Ha già detto il Presidente Vittorelli che noi rispetteremo i tempi indicati dalla legge i 120 giorni e che avremo lo Statuto entro i primi di novembre. Ebbene, che la Regione nasca mantenendo ciò che promette, che un'Assemblea politica faccia ciò che dice di voler fare non è già un fatto quasi rivoluzionario? E quando mai, negli ultimi vent'anni, e successa una cosa simile? Pensate la Regione non ha ancora una sede, non ci sono ancora le sedie e nemmeno le poltrone, nemmeno il pericolo quindi che le poltrone rimangano attaccate più del necessario e la Regione avrà invece, prima di tutto, il suo Statuto. La legge prima delle cose e del loro possibile corrompimento, una riaffermazione del primato delle idee e anche del primato della politica correttamente intesa, almeno come un impegno di partenza. Oh, noi sappiamo bene, come comunisti, come marxisti, quanto poco possano valere a volte le parole, anche le più giuste, anche le meglio scritte, se esse rimarranno solo scritte. Sappiamo bene quanto sono forti coloro che nella società piemontese e anche qui, in questa stessa Assemblea hanno guardato a questa fase statutaria con l'atteggiamento di chi subisce un processo che non pu impedire frontalmente. Sappiamo bene che è già in corso, evidente, la manovra tipica e trasformistica di impadronirsi dei concetti nuovi per continuare un discorso vecchio. D'altra parte l'elaborazione di questo progetto non si è tradotta solo in un dialogo fra gentiluomini, è stata una lotta anche contro i gattopardi che non nascono solo in Sicilia e non vestono solo necessariamente le palandrane del passato e non si presentano sempre a viso aperto. Nella nostra Regione, lo scontro di classe è sovente aspro, ma la classe dirigente borghese capitalistica ama paludarsi e camuffarsi e fingersi profondamente diversa da quella che in sostanza è: gretta, a volte incapace di andare al di là di un paternalismo che non ha niente a che fare nemmeno con una volontà, anche soltanto correttamente intesa, di promuovere riforme effettive.
Vi sono stati dei momenti anche difficili e aspri in questi tre mesi dei momenti in cui è parso che 40 articoli che dicevano una cosa potessero essere cancellati da uno solo che diceva il contrario di tutti gli altri.
Qualche pericolo c'é ancora, anche nel progetto che avete sotto gli occhi.
Ci sono stati dei momenti in cui è potuto apparire che tendesse a prevalere di nuovo il metodo degli accordi di gruppo più che la dialettica, le intese di maggioranza più che il libero confronto delle idee. Questo i Consiglieri devono saperlo, dovranno saperlo i cittadini, i lavoratori quando valuteranno ciò che c'é e ciò che manca in questo Statuto, quando si batteranno ancora perché ci sia ciò che può esserci. Ma c'è stato anche positivamente, un processo di formazione, un travaglio ideale e politico che ha interessato tutti e che non ha permesso a nessuno di stare fermo sulle proprie posizioni. E' questo processo positivo il nuovo dello Statuto, ciò che deve continuare ancora nei prossimi giorni e che ha portato alla fine alla redazione di un progetto che non è di una forza politica, né soltanto né in prevalenza, ma il risultato di un incontro e di uno scontro e può risultare alla fine un patto unitario da cui rimangano fuori solo coloro che sono fuori già oggi dalla Costituzione repubblicana.
Ecco, aver ricordato i modi, i tempi ha soltanto voluto introdurre il discorso su alcuni dei contenuti. Il primo giudizio da dare sul contenuto del progetto di Statuto va rapportato ad una domanda: contribuirà, questo progetto, a definire il Piemonte come una Regione che si propone di trasformare profondamente l'attuale ordinamento dello Stato accentrato e burocratico, di eredità liberal-fascista? Secondo: riflette questo progetto la necessità di far sì che si operi per una nuova unità nazionale che non sia più basata sull'ingiustizia e sugli squilibri di ogni tipo, sul distacco fra le norme programmatiche della Costituzione e la condizione umana di grandi masse di lavoratori del Nord e del Sud, presenti nella nostra Regione a testimonianza di un processo di sviluppo capitalistico anarchico, che genera sprechi e miserie, anche se permette scandalose fortune? Terzo: è questo progetto di Statuto capace di recepire la necessità di un nuovo esercizio democratico del potere legislativo e amministrativo, con la partecipazione e l'autogoverno come la Costituzione voleva che fosse lo Stato italiano sin dal 1948? Io credo che la risposta, nel complesso, possa divenire affermativa.
Perché si realizzi tale tipo di risposta l'atteggiamento dei comunisti nel confronto del presente progetto continuerà ad essere quello che è stato quando abbiamo cominciato a scriverlo. La fase di dibattito che si apre oggi la consideriamo quindi ancora aperta, non formale, una continuazione del dialogo che non deve essere considerato chiuso da nessuno. Il bilancio lo trarremo alla fine.
Perché credo che possa divenire positiva la risposta finale? Leggiamo il progetto nei suoi contenuti programmatici, nei principi e nel complesso di articoli che vanno sotto il Titolo VI "Programmazione economica".
Leggere questo significa verificare se la legge fondamentale del Piemonte riflette le situazioni e indica con chiarezza le linee di azione per risolvere i grandi problemi, vecchi e nuovi, che stanno dietro a quelle norme e che sono oggi di fronte a noi, a tutta l'Assemblea. Recita l'art. 4 una dichiarazione di volontà politica, di perseguimento di obiettivi che sono già nella Costituzione, ma che abbiamo voluto riassumere e aggiornare con uno sforzo di aderenza alla realtà di oggi. Il progetto di Statuto ci impone di riconoscere che quegli obiettivi sono ancora tuttora da realizzare o sono divenuti persino più difficili da realizzare, perché le situazioni si sono distorte. "La Regione opera in particolare per realizzare le condizioni atte a rendere effettivo il diritto allo studio e al lavoro, la piena occupazione, la tutela dei diritti dei lavoratori".
Ecco, vogliamo che il giovane studente che leggerà domani lo Statuto, il giovane operaio che ha conquistato nel 1970 il suo Statuto per i diritti dei lavoratori nelle fabbriche, avverta che quello che approverà la Regione Piemonte non è cosa diversa e staccata dalla sua esperienza, non si presenta come un atto neutro, ma vuole essere un modo di essere della Costituzione repubblicana.
Quando abbiamo scritto che la Regione deve operare per determinare giusti rapporti sociali e civili condizioni di vita, abbiamo pensato anche a quel bracciante delle valli del Cuneese (e non dell'America Latina) che come ci diceva un quotidiano di informazioni torinese pubblicandone la fotografia, riceve 10 mila lire di salario al mese, vive in una stalla e mangia, quando può, polenta nel 1970, nella Regione che in questi giorni ospita l'orgoglioso Salone dell'Auto pieno di luci e di miti e nello stesso tempo ospita anche quel ristretto gruppo di grandi famiglie torinesi che guadagnano un milione al giorno e non pagano nemmeno tutte le tasse al Comune di Torino. Cittadini della stessa comunità regionale, come si dice ma cittadini di una comunità dove c'é qualcuno che è molto meno comune degli altri.
Ha scritto alla Commissione per lo Statuto il sindaco di un comune di 2080 abitanti, della bassa novarese, un paese dove c'é nebbia per sei mesi all'anno, in un documento di lineare chiarezza e saggezza, parlando del suo comune che ha perso in otto anni il 30 per cento della sua popolazione; "E' da noi tutti riconosciuta la situazione produttiva del nostro Comune - dice il documento - dove grosso modo possiamo affermare che il valore lordo annuo si aggira attorno al miliardo e mezzo. Poiché la rendita fondiaria aumenta continuamente, mentre il reddito di lavoro diminuisce, la situazione assume due volti ben distinti e cioè la nostra comunità presa nel suo insieme è in continua regressione economica, mentre la grande proprietà terriera registra un incremento della sua rendita. Non esageriamo se affermiamo che circa il 50 per cento del reddito lordo prodotto nel nostro Comune viene consumato o reinvestito in loco e rappresenta il minimo indispensabile per i fabbisogni vitali, mentre l'altro 50 per cento è appannaggio di pochi privilegiati o Enti che hanno, i primi, come loro prima preoccupazione, l'accumulazione di ricchezze, i secondi lo sviluppo in senso unilaterale del proprio patrimonio. Tutto questo quando i nostri abitanti hanno bisogno di case sane, civili, servizi sociali moderni e scuole funzionali".
Non si tratta solo di squilibri quindi, si tratta di rapporti di proprietà. Quanto si è parlato di squilibri senza parlare del meccanismo che li provoca! Ma, ecco, nel progetto si può trovare il riflesso di un'esperienza e di una consapevolezza che è già stata assunta dalla parte più avanzata delle classi lavoratrici, quella della necessità di una programmazione che da una parte non può più sembrare il libro dei sogni e dall'altra lasciare aperta la porta, invece, alla esasperazione di tutti gli squilibri. Oggi il Piemonte, dopo quattro anni di programmazione, che cosa è? E' una Regione dove vi è un rapporto di un lavoratore dell'agricoltura per ogni sette dell'industria nell'area torinese, ma questo rapporto passa da uno a 2,6 per l'area di Novara, a 1,8 per l'area di Alessandria e scende ancora a 0,98 per l'area di Vercelli, a 0,6 per l'area di Asti e infine a 0,55 per l'area di Cuneo. Ma è possibile sanare gli squilibri interni se non si ha un nuovo e corretto rapporto con ciò che è stata la base delle grandi contraddizioni fra aree regionali e soprattutto fra Nord e Sud? Ecco il punto. Il progetto di Statuto dice di no, che non sarebbe possibile risolvere questa questione soltanto nell'ambito regionale. Si tratta, sì, di accertare i fabbisogni e le esigenze della Regione, e poi di suscitare tutte le energie e di utilizzare tutte le risorse, di favorire tutti gli apporti, ma questo non basta: non è possibile continuare a fare come è stato fatto in questi vent'anni. Una crescita come quella del recente passato - ha detto mercoledì il Ministro del Bilancio - fondata sullo spostamento di risorse di lavoro verso il Nord, ha conseguenze intollerabili sui costi sociali e sulle finanze degli Enti locali e delle Regioni. Ha conseguenze intollerabili sui costi umani aggiungiamo noi. In questi giorni, mentre la Commissione redigeva il progetto di Statuto, la grande stampa piemontese che non parla dello Statuto, cercava di convincerci che la grande città che ci ospita è diventata un agglomerato di malavita e proponeva come rimedio sovrano l'aumento delle forze di polizia. Decine e decine di articoli ci hanno raccontato tutto sulle caratteristiche di questo o di quel personaggio criminale, ma non c'è stato un approfondimento minimo, un'assunzione di responsabilità che aiutasse ad affrontare i problemi reali da cui la disgregazione sociale ha origine, non un grano di consapevolezza delle responsabilità oggettive che incombono sulla classe dirigente monopolistica piemontese, che è così tanta parte di quella nazionale. Il giorno in cui la Presidenza del nostro Consiglio Regionale emetteva un comunicato stampa per dare notizia degli articoli dello Statuto che erano già stati approvati all'unanimità dalla Commissione, certi quotidiani censuravano il comunicato. Così, mentre le cosiddette "generiche" forze politiche, la cosiddetta classe politica incapace, prendeva invece coscienza di una funzione nuova da assolvere, gli stessi padroni del Piemonte, dell'Italia di ieri e di oggi incapaci di indicare una via di soluzione ai problemi da essi stessi creati non sapevano che fare appello allo Stato per risolvere con la polizia, i problemi che vanno risolti con una radicale svolta economica e politica. In Sardegna si spendono 17 miliardi all'anno per le forze di polizia, la metà della spesa complessiva annuale del piano di rinascita, ma non si riesce a catturare nemmeno un bandito. La mafia uccide ancora ogni giorno in Sicilia e al Nord, anche ieri, ma a risolvere il problema di ieri e di oggi non può essere chiamato solo il Prefetto di polizia Vicari, anche quando costui ha il coraggio di chiamare mafioso il sindaco di Palermo. No, per risolvere i problemi del nostro Paese occorre invece attuare ciò che il progetto pone come obiettivo, una politica di piano che sia non la somma aritmetica dei singoli piani regionali, ma una sintesi unitaria alla quale noi comunisti sappiamo che le classi lavoratrici sapranno dare il loro contributo determinante, meridionalista e nazionale, perché se vogliamo lo sviluppo del Piemonte sappiamo che questo è possibile a questo punto se c'é anche lo sviluppo civile, economico culturale della Calabria. Ecco il significato dell'art. 71 quando dice "La Regione nella politica di piano opera per superare gli squilibri territoriali, economici, sociali e culturali nel suo ambito, fra le grandi aree del Paese, con particolare riferimento allo sviluppo del Mezzogiorno".
Questi obiettivi si realizzano se le coerenze vengono definite in un rapporto dialettico, se la programmazione sarà democratica nella fase di impostazione e nella fase di attuazione. Né gli uffici del piano interni né gli istituti di studio esterni, da soli possono risolverci il problema che è invece di scelte politiche, di indirizzo e di priorità.
Ma attuare le parti programmatiche dello Statuto non è possibile se non si va ad una profonda trasformazione della struttura del potere. Recita l'art. 3 del presente progetto: "La Regione opera per l'effettiva autonomia degli Enti locali e per rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla sua realizzazione, informando la propria attività legislativa ed amministrativa a criteri di ampio decentramento". Ecco uno degli articoli guida, una delle idee-forza dello Statuto cui in realtà si ispirano altri otto articoli.
Questo gruppo di articoli fissano non solo il concetto che l'autonomia va riconosciuta, ma indicano che essa deve essere ancora conquistata effettivamente, che non c'è autonomia se non c'è decentramento, che la Regione Piemonte che nasce non può essere un trasferimento di vecchi meccanismi di potere dal centro alla periferia, ma che toccherà davvero fare in modo che la Regione sia messa concretamente in grado di svolgere in modo nuovo quelle funzioni amministrative e legislative che le competono. A sua volta, occorre che tutto il sistema di decentramento e di autonomia non si fermi alla Regione, ma concepisca come unità di misura, punto di arrivo e di nuova partenza il Comune, sia singolo che associato in comprensori (forma nuova che compare nel sistema istituzionale) o in altre forme di aggregazione. Non una Regione, quindi, che fa della diretta amministrazione, che considera dipendenti oggi gli Enti locali come ieri li concepiva lo Stato, né uno Stato che appena istituita la Regione, si attardi a considerarla come un nuovo dipendente da governare e amministrare, ma Regione, Comuni, Province come elemento di una concezione veramente pluralistica dello Stato democratico.
Ecco quindi che redigendo gli articoli del Titolo V del progetto di Statuto si è voluto anche dire chiaramente che si deve iniziare subito lo smantellamento della struttura burocratica e verticistica dei Ministeri dell'Agricoltura, dei LL.PP., della Sanità, del Turismo, degli Interni della Prefettura e dei controlli. La Regione deve, sin dall'inizio esercitare davvero le funzioni amministrative delegandole alle Province, ai Comuni e agli altri Enti locali e non dovrà essere consentito alla Regione un ritardo, che oggi è solo del Governo e dello Stato. Tale delega deve essere normalmente a tempo indeterminato, come hanno chiesto i 240 Enti locali che hanno risposto alla consultazione; tale delega deve avvenire con il consenso e con la concreta possibilità poi dei Comuni, delle Province di esercitare le funzioni delegate. Ecco una parte dello Statuto che noi avremmo voluto scritta in modo più netto e inequivoco di quello che è risultato il testo finale, anche se il testo finale è ben diverso dalla presentazione iniziale, perché ha dovuto tener conto delle "scritture" che sono venute dagli Enti locali, di una situazione oggettiva, di una pressione che è venuta esercitandosi in modo lineare da parte delle autonomie del nostro Piemonte.
Quanto sia necessaria una piena corrispondenza fra ciò che chiedono tutti i Comuni d'Italia e ciò che deve essere recepito e quanto sarà ancora lunga la strada che deve portare alla Repubblica dell'autonomia ed all'autogoverno ce lo dicono, al di là delle cose scritte e dette, i ritardi del Governo, le resistenze della burocrazia, l'incredibile atteggiamento assunto in questi giorni dal Governo con gli ostacoli frapposti in Emilia alla concreta entrata in funzione del nuovo sistema di controlli sugli Enti locali da parte degli organi regionali. Un atteggiamento del Governo in profondo contrasto con ciò che era stato unanimemente espresso dalle presidenze di tutte le Regioni, a Firenze.
Egregi Colleghi, la parte più nuova dello Statuto, la parte che risulta più originale e che risulterà più originale in tutti gli Statuti che avremo nelle Regioni è quella sulla partecipazione, sui suoi istituti, sulla nuova realtà politica che l'ha ispirata. Pensate proprio in quest'aula, 122 anni fa poteva nascere e fu considerato un fatto storico - e lo era - il Senato del Regno composto però solo di vescovi dello Stato, di Deputati dopo tre legislature, di ambasciatori, di avvocati e "uffiziali generali" e di persone che "da tre anni pagano 3 mila lire di imposizione diretta, in ragione dei loro beni o della loro industria", come diceva il punto 21 dell'art. 33 dello Statuto Albertino. E il massimo di partecipazione non era certo il voto, che era riservato a pochi. Il massimo era quello di presentare petizioni, ma ciò poteva essere fatto solo dalle autorità costituite e le Camere, diceva l'art. 59, "non possono ricevere alcuna deputazione, né sentire altri fuori dei propri membri, dei Ministri e dei commissari del Governo".
Oggi il progetto che ci viene presentato non registra solo per la prima volta nella storia su un documento che diventerà legge del nostro Paese che sono i cittadini da consultare in Italia, persino i giovani di 16 anni mentre 120 anni fa solo il re diventava maturo a 18 e 22 anni or sono la Costituzione repubblicana considerava il giovane maturo sì per andare a lavorare a 14 anni, maturo a 18 anni per la scuola e per l'esercito, maturo per conseguire la patente ma non per votare! Lo Statuto cioè non registra solo questa novità pur così necessaria. Per la prima volta, è indicata la necessità che un'Assemblea legislativa dia relazione della sua attività non solo qui in quest'aula ma agli Enti locali, agli organismi di azienda, di scuola, di comunità locali. Lo Statuto non fissa solo il dovere e il diritto dell'informazione come condizione della partecipazione, ma indica gli strumenti nuovi attraverso cui si può e si deve legiferare, governare dirigere.
"La Regione - dice l'art. 2 - riconosce che la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche, alla funzione legislativa e amministrativa e al controllo dei poteri pubblici è condizione essenziale per lo sviluppo di vita democratica e salvaguardia dei diritti di libertà e di eguaglianza di tutti i cittadini." Ciò che c'è dietro a queste norme e agli istituti della partecipazione deve essere inteso in tutta la sua portata. Lo Stato, la Regione, il Comune non debbono più essere entità misteriose, quasi sempre incomprensibili lontane ed ostili, forti con i deboli e deboli con i forti, ma tutto deve fondarsi su un nuovo rapporto fra assemblee e masse. La democrazia politica non può esaurirsi nelle elezioni ogni cinque anni dei rappresentanti delle forze politiche. Non basta che 122 anni fa qui sedessero solo coloro che pagavano 3 mila lire di tasse di allora, mentre ora si siede un operaio della Pirelli e tanti rappresentanti di quelle classi lavoratrici che sono entrate da protagonisti nella storia del Paese in questo secolo. Questo è certo importante, sappiamo quanto è stato duro e faticoso realizzare queste conquiste, ma se pensassimo che questo è l'essenziale, è tutto, oggi commetteremmo un errore fatale. Ciò che è maturato negli ultimi vent'anni nel nostro Paese e nel mondo è che la sostanza, la vita vera della democrazia politica è nella partecipazione continua delle masse lavoratrici alla formazione e all'attuazione delle volontà popolari. Proprio perch questa parte dello Statuto è così nuova e così aderente, io credo, ai problemi che la democrazia italiana deve risolvere per la sua sopravvivenza ed il suo sviluppo, proprio per questo noi comunisti consideriamo meno coerente e più un residuo di vecchie preoccupazioni e concezioni centralistiche il voto palese nelle elezioni degli organi della Giunta e del suo Presidente e un rapporto di tipo parlamentare che scaturisce dall'istituto della fiducia invece che da una corretta concezione del rapporto che deve esistere fra Consiglio e Giunta. Il discorso non è fra chi sostiene un Consiglio che funzioni in forma assembleare e chi ipotizza una Giunta presidenziale; questi termini del confronto sono superati da tempo. Il problema è e rimane quello di avere presente che, se è vero che non si governa con i franchi tiratori, né si può fondare una politica utilizzando i franchi tiratori, è altrettanto vero che non si risolve con artifici l'assenza di unità politica, né si fa rivivere una formula morta né si può pensare che il centro sinistra di oggi che esala gli ultimi respiri di fronte alla realtà politica in movimento nell'Italia, possa consegnare agli Statuti, per il domani, una costrizione, una norma che cerca di far sopravvivere l'involucro di una formula quando la formula e finita.
Ecco, queste sono solo alcune delle considerazioni che il nostro gruppo ha pensato di sviluppare in questa prima fase del dibattito. Ma sappiamo che altre ne potremo sviluppare non soltanto nel dibattito generale, ma nella discussione sugli articoli. E crediamo che la realtà che si è messa in movimento in queste settimane possa portare tutte le forze politiche ad un ripensamento positivo, anche su quello che hanno licenziato in questi giorni.
Ecco, ho esposto una linea di condotta che credo sia coerente con ci che la politica dei comunisti ha reso evidente in questi mesi.
Parteciperemo ancora al dibattito che si apre oggi per migliorare ancora quelle parti dello Statuto che ci paiono meno coerenti con l'impostazione generale. Voglio terminare ricordando che in questi giorni, mentre noi apriamo il dibattito conclusivo per l'approvazione del nostro Statuto, la classe operaia italiana a Firenze sta gettando le basi della sua unità sindacale. Certo è un processo che sarà ancora lungo, difficile, ma forse irreversibile. Sono momenti, quelli che viviamo, che stanno già cambiando la realtà politica e possono dare un nuovo corso storico alla nostra Regione e al nostro Paese. Le condizioni fondamentali di partenza ci sono perché questo si realizzi, se l'Assemblea vorrà, migliorando il progetto al di là del progetto stesso, cogliere ciò che di meglio hanno cercato di portare i membri della Commissione.
L'avvocato di provincia cattolico e lo scrittore socialproletario che non si sono, credo, mai dimenticati in questi mesi di avere imparato quasi tutto ciò che conta quando erano valorosi partigiani, l'esperto parlamentare socialista, l'antifascista amico di Rosselli che non ha fatto tanta strada e accumulato esperienza da essersi dimenticato di andare sempre a scuola dalla realtà, il professore liberale che si è forse ricordato in questi mesi più di Einaudi e di Gobetti che di Malagodi e credo, i comunisti, che hanno portato lealmente, coerentemente il contributo delle classi lavoratrici che rappresentano e che sanno di poter essere classe dirigente anche senza governare, se portano avanti la politica unitaria che ha fatto la Costituzione repubblicana e farà domani lo Statuto della Regione Piemonte come momento di una nuova democrazia.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare, ed è l'ultimo iscritto di questa sera, il Consigliere Bianchi. Ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Signor Presidente! Provo disagio, non per me ma per la pazienza dei Colleghi, a prendere la parola a quest'ora, dopo un dibattito così nutrito di argomentazioni, di idee, di suggestioni.
Non potrò certo approfondire le mie considerazioni, che cercherò di mantenere nei limiti di tempo il più possibile ristretti. Preannuncio fin d'ora che rinvierò alla successiva fase della discussione generale la trattazione di argomenti di notevole importanza quali sono quello della programmazione, nei suoi significati, nelle sue implicazioni, e quello dei rapporti tra la Regione e gli Enti locali, e delle deleghe.
Prima di avviare il mio discorso desidero però inviare un saluto ed un augurio affettuoso all'amico avv. Oberto, che ci ha - parlato attraverso la sua lettera poc'anzi, e che ha sofferto e soffre, credo, ancor più per il non poter partecipare a questa fase conclusiva di lavori, ai quali aveva dato il suo apporto appassionato, che per la sua infermità, a quanto apprendiamo ora meno preoccupante ed in via di risoluzione.
Esprimo anche, in premessa, la soddisfazione mia e del mio Gruppo per il fatto che si sia potuto giungere a questo primo traguardo in tempo per il rispetto di un termine che del resto non era altro che ordinatorio grazie alla volontà e capacità da tutti dimostrata, di imprimere uno stile un ritmo ai nostri lavori, facendo sentire all'esterno della nostra Assemblea che le esigenze che si impongono con carattere di urgenza nella società sono da noi avvertite e recepite integralmente. Il lavoro compiuto in questi mesi, cui abbiamo dedicato giorni e notti, quando non bastavano le ore del giorno (desidero chiarire subito, perché non si possa equivocare su qual che accenno che vi è stato, che non abbiamo lavorato solo di notte ma quando non è stato sufficiente il giorno, perché i lavori di questa importanza richiedono una freschezza e un impegno che soltanto il giorno garantisce) è stato e resterà una prova ed una esperienza politica che non si conclude in se stessa, in un momento di reciproco compiacimento quale si è manifestato qui oggi, ma una esperienza che vogliamo proiettata ad informare le nostre azioni future, non solo per la indicazione, i precetti le regole, le spinte morali, le ispirazioni che ci verranno dallo Statuto così come abbiamo cercato, in modo magari un po' artigianale, ma più autentico, di stendere e di proporre ai cittadini con la loro collaborazione; ma anche per quella parte viva, e per i nostri limiti forse non compiutamente espressa, di cui ci sentiamo portatori, quella parte dello Statuto che si è scritta e riscritta dentro di noi attraverso l'esperienza politica e culturale fatta da tutti noi insieme in questa prima fase e che vogliamo approfondire andando avanti.
Abbiamo convenuto che in questa prima seduta, svolta in un clima di una certa solennità, che richiama insieme a sentimenti di umiltà e di consapevolezza dei compiti che si addensano su questa Assemblea, piuttosto che entrare nel vivo della discussione generale sullo Statuto e nell'analisi dei singoli istituti che proponiamo, ci saremmo collocati rispetto alle sue linee essenziali - e qualcuno lo ha fatto magistralmente con grande calore e convinzione, qualcuno magistralmente con grande lucidità razionale, - nei confronti dei problemi sorti e superati o meno nella elaborazione della proposta che è oggi alla nostra attenzione. Dico "proposta" perché, pur senza nutrire propositi di inversioni di rotta, noi ci accingiamo a quest'ultima fase non come alla celebrazione di un rito vuoto ma con impegno di approfondimento, di partecipazione totale e generale, affinché il giorno della votazione conclusiva ciascuno di noi senta egualmente proprio questo documento, che vuol realizzare una sostanza politica determinante per le sorti future dell'istituto regionale e delle istituzioni democratiche del nostro Paese.
Diciamo subito che abbiamo avvertito l'importanza della occasione che ci era offerta, sul piano umano, sul piano culturale e sul piano politico di ripensare e di affrontare temi e decisioni che attengono all'essenza delle ragioni di convivenza che ci legano non secondo le regole della strategia o della tattica di forze schierate in campo, ma secondo lo spirito di ricerca delle motivazioni più profonde e delle aspirazioni più autentiche che muovono gli uomini e le comunità, di cui siamo tutti secondo diverse misure ed esperienze, portatori. Sono state rare, in questi anni, le occasioni - dopo quella della Costituzione, dopo il momento della Resistenza, che è stata qui ricordata - nelle quali, abbandonando le chiusure, le contrapposizioni dettate dalle regole della lotta politica sia pure corretta, si è avuta la possibilità di verificare quanto c'è di comune tra noi. Perché pur lavoriamo insieme, pur viviamo insieme ogni giorno nella fabbrica, nell'ufficio, nella strada, qui nell'Assemblea, e non possiamo accettare che le divisioni, le barriere fra noi, fra tutti e ciascuno di noi, siano tali da impedirci di rinnovare, verificando con sincerità le condizioni in cui si sviluppa la nostra cultura, anche nel riconoscimento delle divisioni, un patto di convivenza, una spinta nuova che ci dia conforto ad affrontare le nostre responsabilità. Non è una forma di abbassamento della guardia, non è una forma di cedimento di fronte a problemi e ad urgenze nuove: è una forma di consapevolezza e di forza, per cui ciascuno ritrova la propria individualità, ritrova l'originalità delle proprie aspirazioni, che quanto più sono chiare, quanto più sono culturalmente motivate, tanto più sono capaci di consentire le più ampie forme di collaborazione. Senza cedimenti, però, alle facili suggestioni del sincretismo, cioè della mescolanza generica delle motivazioni opposte; ma con impegno verso gli obiettivi dell'unione, non diciamo neppure noi dell'unità, che è un concetto che ha una crudezza matematica, ma diciamo dell'unione, che ha la pluralità come presupposto e che è una conquista delle volontà e degli intelletti.
Le divergenze ciononostante rilevate e rilevabili dal testo dello Statuto, dagli emendamenti già proposti e da quelli che saranno ancora proposti, e che esamineremo, affronteremo con animo completamente sgombro da ogni pregiudizio, completamente sgombro da ogni questione di prestigio questo è stato anche il nostro comportamento nel corso dei lavori: mai abbiamo voluto far apparire delle tentazioni di prestigio, e quando ne sono affiorate ci siamo adoperati, pagando di persona, perché fossero subordinate alle questioni vere, di sostanza, quelle che attengono alla interpretazione più autentica delle forze, delle volontà che sono in noi e che sono fuori di noi - le divergenze dicevo non sono poche, né di rilevanza trascurabile; ma di gran lunga prevalenti sono, per importanza di materie e di contenuti, i momenti di convergenza e di consenso. Questo senza debolezze, ma come prova di forza, di maturità, come constatazione che gli anni che ci separano dal 1945 non sono trascorsi invano. E forse non è un fatto da considerare negativo che la fondazione della Regione sia avvenuta in un momento così significativo della trasformazione della società italiana. Così possa essere delle ulteriori fasi di attività legislativa e di riforma cui questo Consiglio si accinge: chiarezza delle posizioni, ricerca delle vere fonti ispiratrici che sono in ciascuno di noi, ma ricerca altrettanto fervida e sincera di tutti i momenti unificatori che sono indispensabili per rifondare una società che sappia riconoscersi, che sappia comprendere; che i motivi di contrasto non devono porre in discussione la sua esistenza, la sua possibilità di riforma, la sua possibilità di attestarsi su posizioni nuove, al centro delle quali torni ad essere la fratellanza, l'unione degli uomini. Ai propositi di unione si accompagnava, secondo un dovere non rinunciabile di chiarezza verso noi stessi e verso gli altri, l'esigenza della coerenza. Abbiamo visto che quando si parte da una volontà di unione, e poi ci si attesta sulle esigenze della coerenza, questa coerenza non è motivo di contrasto non è mai motivo di offesa o di divisione.
Attenzione primaria abbiamo voluto portare alla Costituzione, ai motivi ispiratori della nostra Costituzione, che appare per tanti aspetti, persino negli aspetti lessicali della lingua, invecchiata, pur essendo così giovane e così da riscoprire e da rifondare. Con modestia, senza montarci la testa senza megalomanie, abbiamo cercato di riproporci uno spirito costituente cercando di assumere, secondo i limiti, secondo le funzioni, secondo i compiti che alla Regione possono essere affidati, una identificazione, una rielaborazione di quanto di più valido e di più specifico la Costituzione ci poteva indicare, presentandolo in veste nuova, in veste moderna coerente con la realtà di oggi. Abbiamo visto la Costituzione come limite come garanzia dell'unità nazionale, ma soprattutto come fonte di ispirazione politica e morale, che importava una spinta alla traduzione in termini rinnovati, alla incarnazione in istituti nuovi, suggeriti alla nostra sensibilità dallo sviluppo sociale e culturale del Paese, al quale noi vogliamo adeguare lo sviluppo culturale delle forze politiche. In ciascuno di noi è la consapevolezza della insufficienza della forza politica cui appartiene; e parlo soprattutto per me, per quanto riguarda il mio partito, al quale dò tutta l'adesione profonda che può sentire chi ha abbracciato quella fede con entusiasmo giovanile, ma penso che lo stesso sentimento provino tutti coloro che militano in un partito, perché credo che nessuno si possa orgogliosamente considerare molto all'avanguardia perfettamente in linea con le esigenze che premono, penso che tutti sentiamo il valore di questa occasione concreta al tempo stesso e ideale.
E' veramente, Colleghi, il momento che noi viviamo, molto più importante di quanto non appaia dalla eccezionale grandiosità della sede che ci ospita. Noi vediamo fondere insieme una esigenza concreta, un qualcosa che spinge, nella storia e nella vita del nostro Paese, è una esigenza ideale che ci fa riprendere slancio, ci fa riprendere forza da una carica che abbiamo ricevuto in una fase importante della nostra vita personale e nazionale. Le parole usate per definire il concetto dell'autonomia, come è stato visto ed elaborato, considerate da chi non ha partecipato al nostro lavoro appassionato di questi giorni, potranno apparire insufficienti ed inadeguate; ma da tutto il contesto io penso che trasparisca il calore, la sincerità della volontà di reinterpretazione di questi concetti profondamente democratici.
Lo sforzo della Costituzione italiana era stato ancora ispirato da molte preoccupazioni di tipo negativo, di tipo garantista. Noi qui procediamo oltre: pur restando nel solco di uno Stato di diritto sosteniamo uno Stato di diritto che ritiene di potersi realizzare soprattutto attraverso l'assunzione in concreto dei problemi della partecipazione popolare, della autonomia delle comunità locali, della distribuzione, divisione, utilizzazione delle energie, del potenziamento delle energie culturali, economiche e politiche che sono davanti a noi.
Contenuto e fatto politico, l'autonomia, diffusore del potere e diffusore delle responsabilità. L'autonomia della Regione comporta l'occupazione di tutto lo spazio costituzionale. E noi abbiamo sentito con piacere esprimere in una sede per me importante ed autorevole l'indirizzo ad una interpretazione quanto più estensiva possibile dell'art. 117 sulle competenze della Regione e l'esigenza di una rapida attuazione della volontà di delega da parte dello Stato, di avvio delle Regioni, da parte dello Stato, alla acquisizione di tutte le loro competenze. E' così che in questi giorni in breve tempo abbiamo assistito allo svuotarsi anche della polemica, che sembrava così dura, di cui abbiamo sentito qui solo una eco ancora una volta tardiva, su quella legge che pure si intitola ad un uomo illustre, che illustra la mia parte politica: intendo dire l'on. Scelba che non rappresenta certo la parte più retriva o poliziesca, come si era voluto strumentalmente in qualche parte definire, della nostra azione politica.
Ebbene, la polemica sulla legge del 1953 n. 62 è andata svuotandosi completamente: si è capito strada facendo che una realtà come questa, di questa forza e di questa evidenza, non poteva essere costretta in una camicia tecnicamente persino inadeguata, che era stata tagliata e cucita nel 1953. Abbiamo accettato questa indicazione con tutto rispetto, senza spirito contestativo, abbiamo accettato tranquillamente questa legge come transitoria, che ci preparava, ci aiutava, ci sosteneva, con tutto rispetto, sino al traguardo al quale stiamo per arrivare, raggiunto il quale formalmente la volontà politica a livello nazionale, si manifesterà in termini e in modi da eliminare ogni contrasto formale con le leggi dello Stato.
La vita politica di un popolo e di un Paese è sempre condotta in questa alternativa: del dare una definizione precisa, attraverso una legislazione di fatti che sono andati maturando, e nell'opporsi a questa definizione per cercare di rinnovarla e modificarla, quando i fatti hanno superato quella definizione che si era calata su una realtà ormai superata. E' questa la storia, la ragione delle riforme. Quindi, noi siamo nello stesso tempo sempre su una posizione legalitaria, sempre per il richiamo al rispetto della legge, ma non rispetto mitico, non rispetto farisaico formalistico della legge come tale. Sì, la legge, con le istituzioni che essa comporta, quando è invecchiata va riformata, va modificata. Abbiamo partecipato anche a questa spinta per modificare questa impostazione: non per fare della Regione una istituzione vaga, senza confini definiti o compiti giuridicamente ben delineati, senza rapporti chiari con le altre istituzioni dello Stato, ma per affermarla come momento, come spinta, anche vista dal livello nazionale, per riformare l'intero Stato italiano, per riformare gli interi rapporti tra le forze politiche e i cittadini, tra le forze sociali e il momento dei potere pubblico.
Noi non siamo in posizione contestatrice rispetto allo Stato e alle sue istituzioni. Ma credete davvero, amici, che se riusciremo a realizzare quegli istituti della partecipazione che abbiamo delineato, magari in modo non perfetto, nello Statuto, noi daremo un colpo per abbattere lo Stato democratico? E' l'unica via di salvezza, questa, in un tempo in cui dominano le tendenze all'anarchia, al disinteresse, al distacco per tutte le cose che riguardano il bene pubblico, le cose collettive; l'unica via di salvezza, che qualcuno potrebbe concepire perfino in termini mistificatori e reazionari, per fondare e rifondare ogni giorno lo Stato democratico dando ad esso dei contenuti, dando ad esso delle istituzioni che siano coerenti e compatibili con lo stato di sviluppo in cui è una società.
Attardandosi formalisticamente a difendere delle istituzioni vuote, delle istituzioni marce, delle condizioni arretrate, si abbattono gli Stati, si abbattono le Repubbliche, non si costruiscono; mentre noi siamo qui per continuare a costruire la Repubblica italiana fondata sul lavoro, sulla partecipazione popolare, sulla libertà dei cittadini. Quindi, non siamo in posizione contestatrice ma siamo in posizione costruttiva, in posizione positiva. Questo abbiamo cercato, in modo informe, insufficiente forse, di documentare attraverso questo Statuto.
In esso sono riformati profondamente i rapporti tra i cittadini, le forze sociali e gli istituti in cui si organizza e si manifesta il potere politico, perché nessun potenziale, come dicevo, democratico, nessun potenziale di energia costruttiva e di intelligenza resti inutilizzato. E sono contemplati i problemi della partecipazione e quello degli istituti e dei momenti in cui si realizza, e, al di la di questi, della volontà, del modo, della fantasia, della inventiva con cui si esercita il potere. Certo ci sono aspetti di scomodità in queste cose nuove, ma una scomodità stimolante, una scomodità costruttiva: o si accetta questo rischio, o sicuramente si va incontro a qualcosa di tragico, che rischia di travolgere quanto ci è di più sacro, di più valido, di più positivo, e che noi riteniamo sia da salvare, insieme a quanto, invece, tutti insieme dobbiamo avere il coraggio di gettare a mare.
Di fronte a questi istituti non si deve nutrire scetticismo né la timidezza, che fa ritenere buono e valido solo quello che già conosciamo e già abbiamo sperimentato, ma neppure la mistificazione, pratica molto diffusa, che scambia i riti, scambia le rappresentazioni, scambia il teatro per la vita. Qualche volta anche da parti che hanno tanto sincero afflato sociale io avverto la tentazione, che è anche in me, anche in noi, di risolvere certe situazioni con questa impostazione, che pone una esigenza di rappresentazione per cui ci si accontenta di certe affermazioni di principio, di certa mescolanza di posizioni, di certe indicazioni che stanno per la realtà. No, vigile e insieme coraggioso senso storico ci porta a ricercare una formulazione precisa, che insieme salvaguardi e solleciti la responsabilità e la capacità di decisione e l'efficienza di realizzazione degli organi pubblici, ma li tenga collegati ad ogni sede in cui si riveli o possa essere esercitata una esigenza di autogoverno.
Le discussioni che abbiamo avuto, lo sforzo che abbiamo fatto per formulare gli istituti della partecipazione, il problema dei modi per far intervenire a livello di Commissioni consiliari le esigenze che battono esternamente a noi sono proprio mosse in questa alternativa: evitare da un lato la chiusura e dall'altro la mistificazione; responsabilizzare senza corrompere, senza compromettere, senza esautorare l'Assemblea. Ecco, questo è un compito difficile di costituenti, di modesti costituenti, non di Provincia ma di Regione, come noi siamo. Quindi, una partecipazione che costituisca una forma di autogoverno che faccia guarire la nostra opinione pubblica, la nostra società dai malanni del qualunquismo, dal particolarismo, dalle tentazioni settoriali e corporative, e ci porti a collocarci nella visuale determinante dell'armonia e dell'interesse collettivo e pubblico.
Io penso, in contrasto con l'opinione di molti, che il rovesciarsi di valanghe di sollecitazioni, di interrogazioni, di lettere con richieste di risposta, delle presenze alle Commissioni e così via, anziché rischiare di travolgere il lavoro della Assemblea, costringerà quanti sono stati abituati in questi anni a porre sempre l'accento sui propri diritti e mai sui propri doveri, a prendere posizione di fronte alle responsabilità, a raccordare le proprie impostazioni ai problemi dell'interesse generale, a prendere coscienza, ogni qual volta vorranno chiedere qualche cosa, fare qualche proposta, che la Regione non è un che al di fuori, da contestare cui si possa chiedere soltanto, ma qualcosa cui bisogna portare, quanto meno, in termini di chiarezza, il proprio apporto, se si vuole che quanto si chiede sia recepito.
Ebbene, amici, questa nostra impostazione ha dato luogo anche alla indicazione di soluzioni, per le forme di elezione degli organi di governo che sono motivo di contrasto e delle riserve ancora qui formulate. Su questo punto che attiene all'opinabile: e nessuno di noi sa bene cosa avverrà di forme e di istituzioni nuove, o cosa suggerirà, quali difetti farà emergere la pratica devo solo dire che la formulazione che ci siamo assunta la responsabilità di presentare è ispirata soprattutto ai concetti che ho cercato di proporre poc'anzi, in modo informe, disordinato per la stanchezza dell'ora: di equilibrio fra la partecipazione e la responsabilità, di armonia che non consente esautoramenti e neanche mistificazioni. In particolare, le nostre proposte si ispirano (e qui mi riallaccio in gran parte, ripetendolo, ad un intervento che al proposito volli già fare fin dal 9 settembre in Commissione, a testimoniare, con affettuosa cordialità, al collega Zanone che forse noi non siamo stati presi sul serio quando dicevamo alcune cose) ad una chiara distinzione di compiti (riguardo agli organi) e ad una precisa distribuzione ed attribuzione delle responsabilità fra gli organi, per assicurare alla Regione, nel concerto delle funzioni riservate ad ogni organo costituzionale, efficienza operativa, rapidità decisionale, coerenza ed omogeneità di indirizzo e di scelte politiche, effettivo, tempestivo controllo.
In particolare, rispetto al Consiglio ed ai suoi poteri, è acquisito che l'aspetto più qualificante dei poteri attribuitigli, ed attraverso di esso alla Regione, è quello della funzione legislativa, a mezzo della quale si esercitano, nel modo più penetrante e significativo; l'iniziativa politica e l'indirizzo politico. L'ulteriore serie di poteri riconosciuti e da riconoscere al Consiglio: regolamentari, amministrativi, di indagine, di controllo gravano già quest'organo fondamentale di tali e così decisivi compiti da far ritenere che l'introduzione di più pesanti procedure e la commistione con poteri riservati ad organi esecutivi, secondo una tecnica ed una logica di ripartizione delle funzioni che poggiano sui fondamenti di una autentica democrazia, costituirebbero un vero e proprio attentato all'efficacia dei compiti decisionali ed alla efficienza che si attendono da un organo che è prima di tutto legislativo, che vuol poi essere sollecitatore di partecipazione ed utilizzatore tempestivo delle indicazioni emergenti dalle varie articolazioni sociali.
La Giunta, organo collegiale (e abbiamo cercato di eliminare ogni anche indiretta affermazione che potesse porre in dubbio il carattere collegiale della Giunta, costituente, insieme al suo Presidente, il governo della Regione), non può essere considerata un mero comitato di esecuzione delle deliberazioni prese dal Consiglio: essa è certamente chiamata alla responsabilità di realizzare organicamente gli indirizzi che il Consiglio esprime attraverso l'esercizio della potestà legislativa e regolamentare nonché a mezzo dell'approvazione che al Consiglio è demandata dei piani generali, dei programmi di bilanci eccetera. La Giunta è però un organo costituzionale della Regione: è cioè l'organo esecutivo della Regione, è il suo governo, espressione sì del Consiglio, ma come sintesi di una organica maggioranza politica e di un indirizzo che si presume, si vuole, è desiderabile, per la funzionalità delle istituzioni, sia omogeneo e coerente. Si può essere o meno d'accordo sulle critiche che si fanno sulla consistenza di questa o di quella maggioranza politica che in un determinato momento storico si propone, ma non si può negare che esista permanente l'esigenza che siano coerenti e chiare le maggioranze politiche che nella giusta dialettica democratica si propongono la responsabilità di indicare le linee di governo. La Giunta è appunto uno dei soggetti dell'iniziativa, nella sua collegialità; essa detiene l'iniziativa legislativa, con altri, l'iniziativa per la formulazione di progetti, di piani, di programmi, di proposte, in cui si articola e realizza la sua politica regionale, che naturalmente il Consiglio discute, critica modifica, approva, respinge. Riducendo i compiti ed i poteri amministrativi, di promozione, di stimolo e di coordinamento riservati alla Giunta e trasferendoli in modo diretto, in modo surrettizio, al Consiglio si otterrebbero sicuramente alcuni gravi risultati negativi: l'affievolimento dell'azione esecutiva e di governo, quando invece la società, l'opinione pubblica ne reclama la maggiore incisività concorrerebbe allo screditamento delle istituzioni ed in primis di quella regionale, dalla quale ci si attende che sia emendata dai difetti che sono così evidenti nell'Amministrazione dello Stato e degli stessi Enti locali attingendo punte intollerabili in alcune situazioni regionali che è bene non citare. Il Consiglio Regionale, poi, ove fosse progressivamente impegnato nelle questioni amministrative incalzanti nel contingente finirebbe con lo smarrire quella visione unitaria e quella diversa prospettiva che deve presiedere alla funzione legislativa, che è come dire alle riforme.
Alla Giunta, quindi, non possono essere negati strumenti e modalità per esprimere il suo giudizio su iniziative che possono contrastare con l'indirizzo politico che essa esprime, o la eventuale facoltà di chiedere verifiche attraverso il confronto e il voto in Assemblea.
Si può dire, concludendo, che quanto più sono accentuati e chiariti i rispettivi compiti del Consiglio e della Giunta, tanto più risultano ampliati i complessivi poteri che vengono affidati alla Regione. Questa è premessa e motivazione.
Quando abbiamo posto la questione della stabilità, della coerenza politica della Giunta e degli organi di governo della Regione, non abbiamo manifestato una esigenza autoritaria o di prevalenza di un organo, non si è pensato di ovviare agli inconvenienti che possono sorgere da autentici conflitti tra le linee espresse dalle forze politiche; sappiamo bene che il sistema che noi proponiamo ha, se mai, il difetto di non coprire, di far emergere in via possibilmente anticipata dei contrasti, di non lasciarli trascinare, di non lasciarli mascherare, nascondere con pratiche di governo, con pratiche di compromissione che si legano alle persone, ma non hanno un chiaro riferimento alle impostazioni politiche, alle responsabilità politiche e programmatiche L'intento è invece di contenere ed eliminare, se possibile, tutte le forme degenerative, che sono più facilmente sollecitate in una situazione che presenta già un forte frazionamento politico e tentazioni centrifughe, personalistiche e demagogiche, costringendo ogni divergenza ad emergere pubblicamente, ad assumere dignità politica vera, comprensibile ai cittadini, che sempre meno capiscono ciò che avviene in tutti e ciascun partito, in tutte e ciascuna Assemblea, contenendo invece altre meno nobili motivazioni e sollecitazioni che la natura umana, con i suoi limiti, può facilmente proporre. E poi c'è ancora un altro significato, un significato morale: vuol dire che noi reagiamo di fronte ad effetti e manifestazioni degenerative del sistema e cerchiamo di proporre, rischiando di errare ed essendo pronti ad ogni modifica, anche nelle istituzioni, quei correttivi che ci sono dettati dal riconoscere che la natura umana ha i suoi limiti e che in politica non si può fare solo del moralismo ma che spesso è attraverso le istituzioni che si sono corretti i difetti degli uomini, correggendo poi questi nel tempo.
La preoccupazione di fondo che ci muove è quella di creare istituzioni che realizzino con fedeltà la fiducia e gli indirizzi espressi dal corpo elettorale e non se ne allontanino invece facilmente, pretestuosamente sotto la spinta di cosiddette ma incomprensibili necessità politiche contribuendo già il giorno dopo le elezioni a scavare solchi tra il Paese reale e quello legale, costituenti l'aspetto più preoccupante di una patologia delle nostre istituzioni.
Il Presidente è un organo costituzionale, che non ha bisogno di accentuazioni presidenzialistiche che avrebbero un vero significato solo se si riportasse quest'organo alla elezione diretta. Noi non possiamo ideare immaginare una soluzione efficientistica, presidenzialistica con una elezione di cinquanta pari sulla base di una legge proporzionale. Posto che al Presidente sono riservate la competenza e le responsabilità per la materia di delega di funzioni amministrative da parte dello Stato, che a lui è attribuito il compito di promuovere e di coordinare i lavori della Giunta e di tutelarne la collegialità, che dovrebbe, secondo noi, essere espressa anche nel fatto che l'unità dell'indirizzo amministrativo e di governo della Regione, che non vuole avere la diretta gestione di vasti compiti amministrativi, non consente la istituzionalizzazione di Assessorati. Abbiamo detto e sentito ripetere che vogliamo limitare al massimo la gestione diretta di servizi: vogliamo che anche attraverso la struttura della Giunta non faccia strada la tentazione di acquisire delle competenze amministrative, di avere una infinità di piccole cose da amministrare. Vogliamo veramente, anche attraverso questa formula, elevare la forma di governo come impulso, come guida, come ricerca di soluzioni da proporre al Consiglio e da realizzare con efficienza nella Regione riservando, quindi, al Presidente, soltanto la facoltà di delegare a singoli membri della Giunta determinate funzioni esecutive o di controllo amministrativo, secondo criteri che siano insieme organici ma non tali da sottrarre alcunché alla competenza ed alla responsabilità collegiale della Giunta medesima.
Giunta regionale e sua elezione. L'alternativa, quanto ai modi di elezione - e mi avvio rapidamente alla conclusione - era sostanzialmente posta fra il sistema adottato dalla legge n. 62 e altro sistema passibile di molte varianti minori, ma fondato essenzialmente sul voto palese e sulla espressione del voto per la Giunta su una lista bloccata, giustificata fondata e finalizzata sulla base di un chiaro accordo, prima, e documento di una linea politica, poi. Senza con questo sottrarre alla Giunta la sua competenza, una competenza istituzionale, di identificare un programma, di presentarlo al Consiglio e di ottenere su questo una indicazione di fiducia o di sfiducia. E' la fase pregiudiziale, preliminare, valida in ogni Assemblea, che deve vedere una forma corretta di ricerca degli uomini e delle linee politiche su cui esprimerla.
Sembra, in ogni caso, che per ragioni di opportunità e di corretta interpretazione del dettato costituzionale, le votazioni per la elezione del Presidente e della Giunta debbano essere distinte, perché sono distinti come organi, e perché sono distinte anche le funzioni; ma non sembra che possano essere distinte le linee politiche ed i momenti di assunzione di responsabilità in ordine alle linee politiche. Sembra egualmente eccessivo ma per valutazioni diverse, che la lista dei componenti la Giunta debba essere proposta dal Presidente: basta la previsione che la votazione debba essere effettuata su lista bloccata presentata da un numero determinato di Consiglieri; la lista così determinata dev'essere accompagnata da un documento di indirizzo, non dal programma, documento di indirizzo politico amministrativo, sul quale con il voto il Consiglio esprime il suo giudizio e sul quale la Giunta si qualifica. Non, quindi, una sovrapposizione di una struttura partitica, ma l'indicazione, la ricerca, attraverso questa formula, di una autentica e vera maggioranza politica nel seno dell'Assemblea.
Per coerenza, dal fatto che la riduzione della Giunta, per dimissioni o per altro evento, a metà del numero dei suoi componenti, ne comporta le dimissioni, discende l'esigenza che le dimissioni della Giunta comportano le dimissioni del Presidente, e viceversa. E' da prevedere che le dimissioni deliberate a maggioranza della Giunta comportino le dimissioni di tutta la Giunta e di ogni Assessore. E' pacifico che il voto contrario su proposte della Giunta non comporta né sfiducia né dimissioni, per non rendere rigido il rapporto fra il Consiglio e la Giunta, perché anche qui dovrebbe prevalere il momento libero, il momento collaborativo.
Voto di sfiducia. La possibilità del voto di sfiducia, con effetto di decadenza del Presidente e della Giunta, introduce il discorso sulle garanzie di continuità e di stabilità del governo regionale, con l'opportunità largamente riconosciuta di evitare che si producano facilmente, sotto la spinta di motivi eterogenei e non sempre prettamente politici, coalizioni negative, capaci di proporre una nuova maggioranza ed una nuova linea e quindi strumento di instabilità e di paralisi della Regione. Non abbiamo voluto insistere in quell'istituto della fiducia costruttiva automatica: ci è sembrato effettivamente che questo potesse costituire un impaccio al libero manifestarsi dell'esistenza di un fatto sfiduciante nei confronti della Giunta, ed allora lo abbiamo proposto, e proponiamo l'introduzione, come correttivo eventuale, ma che è anche un richiamo politico, della condizione che chiunque ritenga di dover proporre la sfiducia nei confronti della Giunta abbia il dovere di identificare una maggioranza alternativa che assuma la responsabilità di guida dell'organo.
Tale voto di sfiducia costruttivo diverrebbe operante solo con il compimento dell'intero iter formativo dei nuovi organi da sostituire a quelli che si vogliono far decadere, e cioè a conclusione delle votazioni per la elezione del nuovo Presidente e della nuova Giunta, secondo le norme prime previste. Quindi, si esprime così più una esigenza politica, una responsabilizzazione, che un automatismo.
Signor Presidente! Signori Consiglieri! Io mi scuso se, nonostante abbia apportato larghi tagli a quanto intendevo dire, sono andato oltre quanto ritenessi per l'apparente brevità degli appunti. Constato con rinnovata soddisfazione che ci avviamo tempestivamente all'approvazione di questo Statuto. Ripeto che anche in quest'ultima fase non saremo qui a celebrare passivamente un rito, ormai avendo consegnato, reso oggettivo quasi fosse fuori di noi, il progetto dello Statuto. Questo Statuto è ancora dentro ciascuno di noi, deve ancora essere reso esplicito. Noi saremo, quindi, disponibili ad ogni sereno esame, così come rivendichiamo alla nostra parte politica tutte le possibilità di riesame, di perfezionamento, di aggiunta, di confronto, secondo il metodo che abbiamo verificato in Commissione, che abbiamo per ogni Gruppo riportato all'interno delle singole forze politiche, e che ci consentirà, io credo di stabilire, nel costume e nei fatti obiettivi, un patto di lavoro serio di lavoro concreto, che ci faccia riacquistare tutta quella fiducia di cui c'è veramente bisogno, che non ci illudiamo di avere avuto solo attraverso l'espressione dei voti che abbiamo ricevuto, ma che bisogna sia rinnovata resa fresca ed autentica ogni giorno; la sola che ci consenta di attuare le notevoli riforme, le notevoli spinte di avanzamento che abbiamo cercato di esprimere in questo documento.



PRESIDENTE

La discussione proseguirà nella prossima seduta. Il Consiglio è convocato in quest'aula per il giorno di giovedì 5 novembre alle ore 10 con il seguente ordine del giorno: 1) approvazione verbale precedente seduta 2) esame del progetto di Statuto della Regione (seguito della discussione) 3) formazione delle Commissioni permanenti 4) esame della mozione sui problemi dell'agricoltura presentata dai Consiglieri Piero Besate e Bruno Ferraris.
Se non vi sono obiezioni, l'ordine del giorno si intende approvato.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 20,50)



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