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Dettaglio seduta n.106 del 14/07/72 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE OBERTO


Argomento: Piani pluriennali

Primo esame del rapporto preliminare dell'Ires per il Piano di sviluppo del Piemonte 1971-1975


PRESIDENTE

La seduta è aperta Ha chiesto di parlare il Consigliere Simonelli. Ne ha facoltà.



SIMONELLI Claudio

Signor Presidente, colleghi, penso che il dibattito sui primi elementi forniti dall'Ires per la redazione del Piano regionale di sviluppo si svolga un po' emblematicamente dopo il dibattito sul bilancio e direi altrettanto emblematicamente un po' in sordina dopo le discussioni di ieri quasi che fosse convinzione dei Consiglieri che ormai il gioco è fatto, che cioè quello che la Regione poteva fare l'ha fatto tracciando il suo quadro di spesa per il 1972 e dunque quello che noi oggi facciamo è una specie di supplemento ornamentale, di svago che ci concediamo per discettare anche di cose di maggiore respiro e di maggiore portata ma non destinate a incidere sulla realtà della nostra Regione. Io credo che contro questa tentazione che pure trova dei puntelli nella realtà (e noi socialisti, votando contro il bilancio preventivo '72 ieri sera abbiamo spiegato perché riteniamo che queste considerazioni abbiano un fondamento e un puntello nella realtà) dobbiamo sforzarci di reagire, cercando di dare al dibattito intorno ai lineamenti del prossimo Piano regionale piemontese quel respiro e quell'ampiezza che, per quanto ho letto da resoconti sommari, ha dato ad esempio questa mattina nel suo intervento il collega Minucci.
Questo dibattito si colloca in un momento particolare, in cui le forze politiche, soprattutto le forze della sinistra, il movimento dei lavoratori, registrano una battuta d'arresto grave della politica di piano nel nostro Paese. E io credo non sarebbe serio se noi pretendessimo di discutere oggi del Piano regionale di sviluppo lasciandoci guidare dallo stesso generoso e un po' utopistico sforzo con cui negli anni passati abbiamo parlato di queste cose, quasi che potessimo ancora credere alla programmazione come una specie di miracolosa risorsa alla quale affidarci tutti, e non valutassimo invece in modo estremamente chiaro e preciso perché la programmazione nel nostro Paese è fallita, o almeno perché fino ad oggi la programmazione nel nostro Paese è stata poco più che una serie di documenti largamente inevasi e largamente improduttivi di effetti. E io credo di dovere a questo punto dire che il motivo per cui la programmazione nel nostro Paese non ha dato risultati non può certo essere ridotto ad un problema che mi sembra sia stato con molto schematismo, direi da favola per bambini, ricondotto dal collega Gandolfi questa mattina ad una stringata individuazione di responsabilità: i socialisti hanno avuto per molti anni un loro esponente a reggere il Ministero del Bilancio e della programmazione, ergo la colpa del fallimento della programmazione è dei socialisti. Il lupo cattivo cui si riconducono determinate conseguenze l'orco malvagio appartengono alla novellistica per bambini: quello che si deve individuare in questi fenomeni è il gioco reale delle forze economiche, sono le ragioni concrete che a livello di struttura di un Paese giocano sui processi economici e sulle linee di politica economica. E allora dobbiamo individuare perché la programmazione nel nostro Paese non ha decollato: non certo per la cattiva volontà di Giolitti, di Pieraccini o dei tecnici del Ministero del bilancio.
Cominciamo allora con il dire che la programmazione non ha decollato nel nostro Paese per la mancanza di volontà politica, in primo luogo da parte delle forze di Governo che avevano responsabilità di portare avanti la politica di piano. Una politica che esigeva evidentemente anche il gesto difficile della scelta impopolare; ma esigeva soprattutto coerenza di atteggiamenti e precisa volontà nel proporsi di raggiungere determinati risultati. Questa volontà è mancata nelle forze di governo, nella classe dirigente del nostro Paese.
In secondo luogo il decollo della programmazione ha urtato, direi contro il sabotaggio più ancora che la mancanza di volontà politica, della macchina della pubblica amministrazione. La politica di piano non ha trovato ossequio nei grandi commi dell'amministrazione pubblica, nei manager dell'azienda pubblica, nella struttura delle aziende autonome dello Stato, nell'apparato della pubblica amministrazione. Noi abbiamo assistito ad una serie di scelte di carattere aziendale o di settore portate avanti da settori o da branche dell'Amministrazione dello Stato che andavano in direzione esattamente opposta a quella indicata dalla politica di programmazione. Abbiamo scontato poi le diffidenze, le ostilità delle forze economiche, delle forze imprenditoriali del nostro Paese, le quali, in assenza di volontà politica, nel sabotaggio dell'apparato e della macchina amministrativa, hanno evidentemente avuto buon gioco nel rifiutare le scelte di piano, soprattutto là dove queste scelte indicavano per il mondo imprenditoriale italiano, per le forze economiche dominanti, dei punti di svolta cruciali, punti nei quali si limitava e si riduceva il loro potere nei quali si mettevano in discussione certi meccanismi di accumulazione nei quali si indicavano diversi modi di impiegare le risorse, di destinare gli investimenti, di determinare le linee di crescita e di sviluppo del sistema economico nazionale.
E' dunque attraverso questo insieme di fattori che si è determinata la stasi, la paralisi, l'inefficacia dell'azione di piano nel nostro Paese. Se noi ci dimenticassimo di questo, daremmo al nostro dibattito di oggi un contenuto veramente di astrazione, saremmo fuori dalla logica, dal terreno concreto sul quale dobbiamo verificare per i prossimi anni i nostri passi.
E se la programmazione a livello nazionale ha conosciuto queste battute di arresto, queste difficoltà, che sono ancora più gravi oggi, nel momento in cui la programmazione, facendo i conti con gli errori compiuti e con le debolezze manifestate negli anni passati, aveva cercato, con l'ultimo Governo di centro-sinistra, di ritrovare una sua nuova possibilità di ripresa, attraverso quella programmazione per progetti che era legata alla politica delle riforme e per la quale l'insabbiamento della politica delle riforme segna dunque la pietra tombale e il momento di chiusura anche della nuova fase della politica di piano; quando noi scontiamo a livello nazionale queste conseguenze, dobbiamo farne scaturire anche delle conseguenze a livello di programmazione regionale.
Discorso già difficile, questo della programmazione regionale, e non per ragioni, evidentemente, di metodo o per ragioni scientifiche, ma perch la programmazione regionale è sempre stata più una aspirazione, più un moto verso il quale tendevano le forze operanti nelle società delle nostre Regioni che non una realtà definita e precisa. Un attento cultore di studi economici, non di parte socialista, Pasquale Saraceno, che ha dedicato a questa problematica della programmazione regionale una attenta cura rilevava con molto acume come, quasi per un paradosso, le Regioni, prima ancora di nascere, si fossero date carico dell'unica competenza che nella Costituzione non era loro attribuita, cioè della programmazione; cioè che le Regioni erano venute emergendo, come realtà già operante ancor prima che istituzionalmente prendessero vita, come enti di programmazione, come centri di studio, di ricerca e di proposta, in quell'unico settore nel quale la Costituzione non attribuiva loro alcuna competenza e alcun potere diretto.
Se questo è vero, è anche vero che la programmazione regionale, quale l'abbiamo conosciuta negli anni passati, la dobbiamo etichettare, se non vogliamo vivere, in uno stato di perenne illusione, se non vogliamo autoilluderci continuamente, tra la preistoria della programmazione regionale. E quello di cui oggi discutiamo qui appartiene ancora a questa fase preistorica della programmazione regionale; alla fase, cioè, in cui una società regionale registra i suoi problemi, che è una fase che necessariamente viene prima della politica di piano. Se noi ci illudessimo che il primo schema di sviluppo fatto dal CRPE del Piemonte, che questi stessi studi di cui stiamo discutendo siano fare la politica di piano del Piemonte, credo, cari Colleghi, che noi continueremmo a perpetuare per noi stessi prima di tutto, che qualcosa stia veramente cambiando in questa Regione. Noi dobbiamo essere invece consapevoli che viviamo ancora nelle nebbie della preistoria della programmazione regionale, e quindi sapere che quello che noi dobbiamo fare è ancora edificare tutti gli strumenti realizzare tutte le condizioni per potere nei prossimi anni cominciare a portare avanti una politica di piano.
Dentro questo discorso, che non è un discorso di carattere pessimistico, ma che tende ad essere un discorso realistico, noi dobbiamo valutare gli studi dell'Ires e la relazione della Giunta che l'accompagna che sono due cose diverse e che è giusto che noi valutiamo come due cose diverse. Gli studi dell'Ires sono un aggiornamento, e una sintesi, visto che il numero delle pagine è diminuito, dei più ponderosi lavori che l'Ires ci aveva consegnato negli ultimi anni, quei lavori che per alcuni di noi hanno occupato alcune pareti delle stanze degli uffici o delle case di abitazione, proficuamente, beninteso.
Questa volta l'Ires ha aggiornato i suoi dati e ci ha fornito una prima serie di elementi per la redazione del Piano regionale di sviluppo. E credo che non sia difficile riconoscere a questi risultati, a questi studi che l'Ires ci ha consegnato il valore di un contributo accettabile. Mi sembra che non si possano mettere in forse i risultati cui l'Ires è giunta.
Quindi, trascuro di commentare e di analizzare ciò che in questo rapporto è contenuto, ritenendolo acquisito al nostro dibattito e al nostro approfondimento. Quello che dobbiamo dire è però se questo tipo di analisi e questo tipo di studi siano sufficienti per predisporre il Piano regionale di sviluppo e poi se la Giunta mostra di ricavare da questi studi quello che essi contengono. Ed evidentemente noi riteniamo di dare una risposta negativa all'una e all'altra di queste questioni che sorgono dalla lettura del rapporto Ires. Noi diciamo che questi studi, pur essendo un contributo importante, non possono costituire l'unica piattaforma, non esauriscono la serie di ricerche necessarie per la redazione del Piano di sviluppo, se non altro perché vi manca l'approfondimento - dico subito la prima, la più macroscopica indicazione che emerge da questi studi - e l'analisi per area ecologica, per area-programma, giacché non è concepibile che si possa realizzare un piano regionale di sviluppo considerando il Piemonte composto dall'area metropolitana torinese da una parte e dal resto della Regione dall'altra parte. Giacché se noi procedessimo con questo schematismo Parigi e il deserto della Francia, noi veramente arriveremmo a programmare il Piemonte come se fosse entità astratta e non la realtà estremamente composita, in cui i problemi si intrecciano e si confondono, che è invece la realtà vera della nostra Regione. Quindi manca tutto un discorso di approfondimento per aree ecologiche che deve essere portato avanti in relazione poi a quegli strumenti di pianificazione che sono i comprensori e che, come vedremo, sono significativamente assenti anche dalla relazione della Giunta.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Solo perché si chiamano circondari, non comprensori.



SIMONELLI Claudio

Sono stati scritti volumi sul problema dei comprensori e dei circondari. Non credo che noi faremmo una questione di tipo nominalistico se ai circondari venisse attribuito quello che lo Statuto regionale attribuisce ai comprensori, cioè quel valore di unità subregionali di programmazione, dotati di poteri, di strutture, attraverso le quali si realizza la partecipazione delle comunità locali alla politica di piano. Ma questo è un discorso che deve essere tutto impostato e tutto ancora fatto.
C'è un altro aspetto: quello delle ricerche da condurre avanti oltre a queste che costituiscono il rapporto Ires. E la relazione della Giunta ce ne indica alcune - se non vado errato tre che riecheggiano quelle contenute nel programma della Giunta regionale di centro-sinistra e che erano contenute anche nelle indicazioni del Gruppo socialista fornite in sede di discussione del bilancio: in particolare l'indagine sulle localizzazioni industriali, quella sulla finanza degli Enti locali e quella sui livelli e sulla struttura occupazionale e delle dinamiche migratorie.
Noi prendiamo evidentemente atto con soddisfazione dell'indicazione di queste ricerche, anche se abbiamo visto qui scomparire qualcosa che riteniamo essenziale. Per esempio, nell'indagine sulla finanza degli Enti locali noi avevamo proposto che si facessero ricerche sulla finanza e le condizioni strutturali, lo stato di funzionamento della macchina amministrativa degli Enti locali; proprio perché il discorso della programmazione da una parte, quello delle deleghe di funzioni dalla Regione agli Enti locali dall'altra, esigono che si conosca esattamente non solo la capacità di spesa e di indebitamento degli Enti locali ma anche la loro possibilità dì rispondere alle funzioni che la Regione delegherà loro giacché non possiamo pensare che possa esser fatta una delega indiscriminata caricando di funzioni degli Enti che, per la loro struttura interna, o magari perché non hanno potuto rinnovarsi negli anni passati attesa l'impossibilità di dotare gli organici dei funzionari occorrenti, di modificare le loro strutture, proprio per quel tipo di politica chiusa dei controlli prefettizi cui gli Enti locali sono stati sottoposti negli anni passati, non siano in grado di rispondere alle attività nuove che la delega regionale comporta. Quindi, l'indagine non deve riguardare solo la finanza cioè le capacità di spesa e di indebitamento degli Enti locali, ma le loro strutture, la loro efficienza come imprenditore pubblico, la loro capacità di rispondere a queste sollecitazioni nuove e diverse che la delega di funzioni della Regione comporta.
Ma noi riteniamo che questo discorso debba tradursi in alcune concrete indicative altre ricerche e studi, oltre a questi di cui pure prendiamo atto che la Giunta si impegna a far partire. C'è, per esempio, la ricerca sui settori industriali, che deve essere realizzata e che è estremamente urgente realizzare, giacché mi sembra di notare un attenuarsi via via dagli studi dell'Ires degli anni passati, fino a questo stesso rapporto ancora più marcato nella relazione della Giunta, di quell'obiettivo di fondo del primo Piano regionale di sviluppo che era la diversificazione del tessuto industriale della Regione Piemonte. Si diceva, nei dibattiti al CRPE degli anni passati, che l'obiettivo primario del Piano regionale di sviluppo avrebbe dovuto essere la diversificazione del tessuto industriale per una serie di ragioni che andavano dal rischio di crisi congiunturali alla necessità di mettere in moto una serie di processi di sviluppo della piccola e della media impresa non legata all'industria motrice.
Progressivamente queste ragioni sono venute perdendo di peso, soprattutto nelle indicazioni della Giunta regionale, quasi che oggi si scontasse, in un momento di congiuntura difficile, che, ringraziando Dio, abbiamo la Fiat, e che quindi appare estremamente pericoloso, per non dire forse ingiusto, richiedere una diversificazione del tessuto industriale della nostra Regione, che, così benedetta dalla nostra grande industria motrice solo da questa industria motrice, trova oggi finalmente la possibilità di non essere una Regione tutta in crisi. Perciò si attenua la spinta ad una articolazione diversa del tessuto industriale della nostra Regione. Ma guai se la nostra classe dirigente avesse la miopia di affidarsi a considerazioni di questo genere, guai se avesse la miopia di perdere di vista gli obiettivi di lungo periodo, gli obiettivi strategici dello sviluppo industriale della nostra Regione, che sono indicati dal primo Piano regionale di sviluppo, guai se ci lasciassimo trascinare ad una attenuazione di questi obiettivi di fondo. Allora veramente non solo metteremmo la nostra Regione a rimorchio delle scelte dell'industria motrice, ma ci condanneremmo come classe dirigente di questa Regione, per aver abbandonato la linea tracciata da anni di studi, di dibattiti verificata nel vivo delle lotte di questa Regione.
Ma se questo rischio c'è - e io credo, signori Consiglieri, che lo dobbiamo avvertire, forse più tra le righe, forse più per le parole non dette che per quelle scritte nel documento della Giunta -, credo che per uscirne, per vincere la tendenza a mettere in sordina questo obiettivo di fondo della programmazione regionale, si deve affrontare concretamente il problema degli altri settori industriali, lo studio e la analisi degli altri settori industriali il cui sviluppo può essere concretamente operativo, per garantire alla Regione Piemonte la diversificazione del suo settore industriale.
Nel rapporto ci sono già indicazioni di questo genere, abbiamo una serie di dati che si riferiscono ad altri settori industriali. Occorre approfondire questo discorso, avviare questi studi di settore, per poter verificare in concreto questo discorso. Faccio un caso solo, a titolo di esempio: gli studi dell'Ires ci ricordano la funzione che può avere il decentramento dei porti liguri nel Piemonte come fattore incentivante nuove e diverse localizzazioni industriali. E questo è un discorso che deve essere una volta per tutte affrontato concretamente da questa Regione.
Giacché solo quindici giorni fa il Consiglio comunale di Genova, ad esempio, ha votato un ordine del giorno in base al quale prevede il decentramento oltre Appennino di tutto il sistema delle raffinerie esistenti a Genova, nello stesso momento in cui approvava il progetto per la costruzione della piattaforma galleggiante per l'attacco delle super petroliere a Multedo. Questo significa che ci troveremo a fare i conti - ed il rapporto dell'Ires accenna a questo discorso - in tempi brevi, con richieste di localizzazione sul territorio del Piemonte di impianti di raffinazione e presumibilmente di impianti petrolchimici legati agli impianti di raffinazione.



RASCHIO Luciano

Respinti da tutti.



SIMONELLI Claudio

E' questo un grosso discorso, che dovremo prima o poi avere il coraggio di affrontare. E' un problema che si colloca sotto due angoli diversi che vanno valutati attentamente: da una parte, si colloca come problema di inquinamenti, che possono anche essere ridotti e mi sembra che con molto senso di responsabilità il rapporto Ires dica che impianti di questo tipo a cui per il fattore inquinante possono essere assimilate anche le centrali termo-elettriche non possono tout-court essere rifiutati, perch indispensabili come fonti di sviluppo per il nostro Paese, ma che deve essere garantita e una loro ubicazione conforme alle indicazioni di piano e un attento controllo di tutti i fattori inquinanti connessi a questi insediamenti. Ed ecco allora che su questo terreno è necessario che la Regione incominci a muoversi; anche perché, se non ci muoviamo in questa fase, in cui non esistono poteri, in cui non esistono di fatto possibilità se non quelle di una contrattazione affidata al potere politico che ha la Regione, rischiamo di trovarci davanti a scelte già fatte, a fatti compiuti da registrare soltanto a posteriori, sui quali potremo fare poi lunghi studi e lunghe riunioni di commissioni speciali senza riuscire ad arrivare a modificare il quadro che deriva da queste localizzazioni, da questi insediamenti. E teniamo conto che, nel bene e nel male, questo discorso dei possibili insediamenti indotti dai decentramenti da Genova e in generale dai porti liguri, rappresenta, forse, oggi, l'unica concreta alternativa di insediamenti industriali localizzabili nella Regione rispetto al potenziamento ulteriore della quota della industria motrice.
Cioè, oggi, in concreto, è il settore petrolchimico e chimico che pu rappresentare un'alternativa allo sviluppo indiscriminato dalla sola industria metalmeccanica. E questo significa, nel bene e nel male, fare i conti con una realtà che, al limite, potrebbe essere peggiore di quella che è, ma che noi dobbiamo verificare, analizzare, discutere, studiare, per poter avere indicazioni concrete. Giacche non possiamo continuare ad illuderci che una ristrutturazione del tessuto industriale piemontese possa essere affidata soltanto a qualche indicazione di uno studio, quando poi in concreto la situazione va avanti diversamente, e noi da sei-sette anni registriamo studi che ipotizzano diversi tassi di sviluppo del sistema industriale cui corrisponde poi nella realtà, viceversa, un ulteriore aumento e della presenza percentuale assoluta dell'industria motrice e del peso dell'area metropolitana torinese sul resto della Regione. Cioè, i due obiettivi di fondo - quello della diversificazione del tessuto industriale e quello del decentramento e della tonificazione di tutto il contesto regionale, - per quanto affermati da tutti i piani e da tutti i documenti che si sono succeduti negli ultimi sette-otto anni, sono entrambi contraddetti dalla realtà, e i dati economici di ogni anno ci portano una realtà che va in direzione marcatamente opposta, nell'uno e nell'altro campo.
Dobbiamo, quindi, incominciare ad affrontare questo discorso, insieme con quello dell'industria ad avanzata tecnologia, di cui pure il rapporto dell'Ires parla, e che è un altro settore nel quale occorre cercare di chiarirsi le idee. Così come quell'altro riferimento di cui parlava Minucci nel suo intervento di questa mattina, cioè quello del terziario dell'organizzazione del terziario, che in una Regione come la nostra ha un grosso peso ed è destinato ad avere una grossa funzione; del terziario da intendere sia come servizi collettivi, sia come struttura della pubblica amministrazione, sia come terziario superiore, come insieme di organizzazioni per la ricerca scientifica, per la cultura, per il tempo libero, che ha una sua forza, una sua potenzialità di articolare diversamente il tessuto economico della nostra Regione.
Sono tutti discorsi che devono cominciare a trovare indicazioni operative. E io credo che ci si debba dolere che laddove il discorso comincia ad essere fatto la relazione della Giunta finisca, cioè che dove queste indicazioni operative potrebbero cominciare a trovare il terreno per manifestarsi in propositi e in programmi precisi di attività e di iniziative, lì la relazione finisca e ci si dica che adesso dobbiamo iniziare a discutere. Ma noi vogliamo iniziare a discutere anche degli strumenti, perché l'altro elemento al quale resta legata la sorte negativa l'insufficienza, il fallimento della politica di piano nel nostro Paese sta nella mancanza di strumenti. Abbiamo perso anni a discutere in questo Paese se la programmazione aveva da essere indicativa, vincolata, operativa e così via, ci sono stati cervelloni illustri che si sono dedicati a scrivere libri in argomento, sono passati decenni, e la programmazione non esiste ancora, cioè non l'abbiamo dotata di un solo strumento per renderla efficace.
Io credo che lo Statuto della Regione Piemonte indichi in modo abbastanza preciso i caratteri della programmazione che noi possiamo fare e che non è fuori luogo riepilogare per sommi capi. Noi partecipiamo alla politica nazionale, ma vi partecipiamo, colleghi Consiglieri, non solo discutendone accademicamente una volta ogni tanto, non solo con la benemerita presenza dell'Assessore al Bilancio e alla Programmazione in seno alla Commissione interregionale per la programmazione economica: vi partecipiamo, se abbiamo qualcosa da dire di preciso e di concreto, con gli organi nazionali della programmazione, entrando dentro la logica della programmazione, anche della programmazione per progetti, che costituisce l'evoluzione, lo sviluppo ultimo del Piano nazionale. Perché la nostra sia una partecipazione dotata di qualche efficacia, dobbiamo dunque cominciare a mettere a punto qui gli obiettivi che questa Regione, che la società regionale piemontese si dà nella politica di piano.
Poi abbiamo il piano regionale. Un piano regionale che certamente deve essere un piano globale, cioè deve abbracciare l'insieme di tutte le componenti sociali ed economiche della Regione, anche se sotto questo profilo è certamente un piano indicativo. Io credo che in questo Consiglio nessuno si sogni di dire che la Regione può attraverso il piano globale dare degli ordini o delle direttive vincolanti all'imprenditore privato.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Privato e pubblico.



SIMONELLI Claudio

In rapporto all'imprenditore pubblico il discorso è leggermente diverso. Ne parlerò fra breve.
E' un piano, quindi, globale, ma indicativo, che vincolante per qualcuno deve pur esserlo: innanzitutto per la Regione stessa perché dal piano globale deve scaturire quel programma pluriennale di spesa cui i singoli bilanci si devono uniformare, devono scaturire i piani di settore che non sono soltanto programmi specifici, singoli, ma devono indicare la volontà politica, pro grammatica precisa della Regione di intervenire nei diversi settori per tutte le materie di sua competenza. E poi deve articolarsi nei piani di comprensorio, cioè in quella realtà sub-regionale alla quale soprattutto in ordine all'assetto territoriale e alla politica urbanistica è affidata buona parte dell'esito positivo o negativo della programmazione regionale.
Veniamo infine al discorso dell'impresa pubblica, giacché è chiaro che tocchiamo qui un tasto estremamente delicato ma importante, sul quale non credo che la Regione possa fare a meno di cominciare a fare i suoi conti anche con gli organi della programmazione nazionale. I punti in cui l'attività della Regione si interseca con quella dello Stato, quando si parla di programmazione, sono molteplici, giacché è evidente che più che di competenze rigidamente delimitate, quando facciamo il discorso della programmazione noi ci troviamo con lo stesso metodo ad affrontare, in fondo, una problematica che è comune. E la Regione, per poter programmare seriamente la sua attività, deve conoscere con tempestività e con precisione qual è l'attività almeno degli altri centri decisionali pubblici, dallo Stato alle imprese pubbliche. Se noi non ci poniamo nei confronti degli organi centrali della programmazione come portatori dell'esigenza di conoscere con esattezza, di avere come dati precisi gli impegni dell'impresa pubblica e dell'Amministrazione dello Stato sul nostro territorio, avendoli cioè come dati della nostra programmazione, e non come incognite, che magari ex post ci fanno saltare i piani e ci inducono alla tradizionale politica degli enti locali, quella di turare dei buchi che si sono continuamente verificati...



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Guarda che Minucci ci ha detto questa mattina che noi i buchi li vogliamo fare...



SIMONELLI Claudio

Non ero presente mentre Minucci svolgeva il suo intervento. Comunque un illustre economista ci aveva insegnato la utilità economica anche di fare dei buchi e di turarli: l'abbiamo studiato a scuola tanti anni fa.



VIGLIONE Aldo

Quelli sono i lavori a regia.



SIMONELLI Claudio

Ora, io credo che sia un problema politico grosso quello che hanno le Regioni davanti a sé. Nel richiedere una "conferenza delle Regioni" credo che Minucci indicasse un'esigenza legittima, vera che c'è: le Regioni incominciano a darsi carico del fatto che non faranno mai una politica di programmazione se, ad esempio, non saranno in grado di sapere, non dico controllare, quello che lo Stato farà nel loro territorio, quello che l'impresa pubblica può fare nel loro territorio. Poniamoci allora questo problema, perché andiamo a toccare uno dei nodi fondamentali cui mi riferivo all'inizio del mio intervento: il sabotaggio vero che della politica di programmazione ha fatto la mano pubblica, ha fatto l'impresa pubblica hanno fatto le Amministrazioni dello Stato, ha fatto la burocrazia, l'apparato della pubblica amministrazione del nostro Paese.



GANDOLFI Aldo

E anche i Ministri.



SIMONELLI Claudio

Tu non eri presente poco fa, quando io ho spiegato che la tua teoria che la colpa del fallimento della programmazione va ascritta a Giolitti.



GANDOLFI Aldo

Io non ho fatto nomi.



RASCHIO Luciano

Racconta quella bella favola, che è interessante ed educativa.



SIMONELLI Claudio

Dato che il resto del Consiglio l'ha già sentita, gliela racconterò in separata sede.
Si riferiva forse a Giovanni Giolitti. Se il collega Gandolfi si riferisse più di frequente all'opera di Giovanni Giolitti credo che questo Consiglio Regionale non ne avrebbe discapito. Certe volte i repubblicani con il loro neo-liberismo, scavalcano Giovanni Giolitti, ma all'indietro in una specie di salto a ritroso che torna alle origini del pensiero liberale del nostro Paese.
Credo, quindi, che qui affrontiamo una serie di nodi grossi sulla tematica della programmazione, rispetto ai quali, evidentemente, questo studio e questa relazione della Giunta ci introducono ad un dibattito; un dibattito che noi oggi facciamo, ripeto, piuttosto in sordina, scontandone in questa calura di luglio, la almeno parziale inutilità, ma convinti per lo meno di una cosa, che questo processo di redazione del secondo piano - o primo, vedremo come lo chiameranno i posteri - di sviluppo della Regione Piemonte si è alfine messo in moto. L'unico dato positivo che io ritengo di poter registrare è che a questo punto non è dato tornare indietro. Noi consideriamo una buona base di partenza questi studi, riteniamo che la Giunta li abbia interpretati a modo suo, che la Giunta e le forze politiche che ne fanno parte, in primo piano la Democrazia Cristiana, si siano accorte, dopo non so quanti anni da che esiste l'Ires, che la politica di programmazione in Piemonte non la facevano le forze politiche, non la facevano gli enti pubblici non la faceva la Democrazia Cristiana, forza di maggioranza in questa regione, ma la faceva l'Ires; e quindi ha deciso di occupare uno spazio politico che, a torto o a ragione, la tecnocrazia nel momento in cui la Democrazia Cristiana ha fatto questa scoperta, ha dato ad essa un segno di restaurazione, di involuzione; cioè, lo spazio che una volta occupavano i tecnocrati dell'Ires non viene assunto dalle forze politiche che facciano il loro mestiere, cioè che diano all'Ires gli obiettivi per i quali condurre le ricerche ma che sappiano poi recepire queste ricerche ed utilizzarle in programmi politici, ma si cerca di minimizzare queste ricerche, di evirarle, di presentare i risultati cui l'Istituto di ricerche giunge in una versione minimalistica, riduttiva, per ricavarne soltanto quelle considerazioni che a questa Giunta fa comodo ricavare: ciò per tagliare le punte più interessanti, i risultati più drammaticamente veri cui portano le ricerche dell'Ires, e ridurre a poche sommesse proposte operative quelle che sarebbero le indicazioni di un grande programma di ricerche da una parte, di strumenti operativi dall'altra, per realizzare quanto in questi studi è additato.
Noi diciamo, quindi, che in questo senso dobbiamo oggi, con questo dibattito, registrare soltanto l'inizio del dibattito sul Piano regionale di sviluppo. Con queste poche considerazioni che abbiamo svolto impegnandoci a proseguire nei prossimi mesi questo lavoro, non solo qui ma fuori di qui, nella realtà viva della Regione, tra le forze sociali, tra i lavoratori, tra gli enti locali, che avranno certamente qualcosa da dire.
Ricordiamoci, signori Consiglieri, quale parte importante abbiano giocato magari solo di dibattito, di curiosità, di sensibilità, gli enti locali negli anni passati. Sul rapporto Ires, su quello dell'organizzazione del territorio, i Comuni e le Province del Piemonte hanno svolto lunghi dibattiti, dandosi carico di analizzarli, di vedere che cosa competeva ai diversi Comuni ed alle Province di fare per la realizzazione degli obiettivi. Non illudiamoci che la società regionale, la realtà degli enti locali si sia addormentata al punto da non chiedere oggi alla Regione di fare la sua parte.
Io credo quindi che dovrà essere compito delle forze regionaliste e democratiche portare questo dibattito fuori di qui, nei Consigli comunali provinciali, tra i lavoratori, nelle realtà di base, nei quartieri della nostra Regione, e di lì far emergere la volontà politica per cominciare davvero la programmazione regionale, quella volontà politica, signor Presidente, che non riscontriamo nella relazione della Giunta.



PRESIDENTE

Secondo l'ordine di iscrizione, dovrebbe ora parlare il Consigliere Vera. Poiché però chiede di intervenire il Presidente della Giunta, che dovrà poi assentarsi, devo pregarlo di cedere il passo.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Non desidero che fare brevi considerazioni in ordine a questa discussione, anche per collocare con esattezza la posizione della Giunta.
Voglio prendere spunto dal complesso dell'intervento del collega Simonelli, il quale nello stesso momento in cui ci dice che noi dobbiamo allargare tutto il discorso della programmazione, portandolo a livello degli enti locali, a livello, mi, pare anche, di tutta la comunità regionale, dei quartieri, accusa la Giunta di avere accompagnato questo documento con scarne riflessioni. Devo subito dire che sono riflessioni volutamente scarne. E' evidente che se noi abbiamo scelto nello Statuto di far nascere la politica di programmazione dal contributo della comunità regionale nelle sue diverse articolazioni, nel portare a conoscenza dei Consiglieri Regionali il documento preliminare dell'Ires non potevamo far altro che dare scarne indicazioni rispetto a quello che la Giunta ritiene sia, nell'ambito dell'arco in cui questo Consiglio Regionale è insediato il raggiungimento di alcuni obiettivi.
Il piano dell'Ires, così com'è stato formulato, parla di tempi brevi di tempi medi e di tempi lunghi. Noi come Giunta possiamo parlare, avendo ancora tre anni di lavoro davanti, di tempi brevi, ed è evidente che gli obiettivi sui quali abbiamo deciso di dirigere l'attenzione immediatamente in quanto obiettivi recepibili in un programma di attività regionale, siano ovviamente degli obiettivi modesti rispetto ad obiettivi di ben più lunga portata quali sono ovviamente quelli collegati ad un piano.
Vorrei ricordare al collega Simonelli che questo tipo di impostazione è perfettamente coerente al tipo di impostazione cui aveva egli stesso partecipato quando faceva parte della Giunta. Non a caso, nel presentare il nostro programma avevamo parlato di tempi brevi, di programmazione a breve a medio ed a lungo termine. Non si venga, dunque, ad accusare la Giunta di aver presentato alcuni obiettivi, che peraltro si inquadrano nel piano generale dell'Ires, ma che sono riferiti evidentemente al periodo di operatività della Giunta, per ribaltare addosso alla Giunta una carenza di individuazione di altre indicazioni politiche. Credo non si voglia ritenere la Giunta costituita da menomati psichici od intellettuali: è abbastanza chiaro che gli altri obiettivi fanno ovviamente parte di una programmazione di carattere generale. Non vi è quindi alcuna contrapposizione fra le posizioni della Giunta e la posizione dei "tecnocrati dell'Ires", come si è voluto definirli: semplicemente, la Giunta ha fatto alcune valutazioni come proposte programmatiche al Consiglio, senza peraltro porle, né volerle approfondire, perché riteniamo anche noi - l'abbiamo scritto nello Statuto e vogliamo essere coerenti e fedeli a questa linea - che le scelte di contenuto, di articolazione di contenuto, debbano nascere dalla larga partecipazione delle comunità locali e delle varie articolazioni di carattere politico, sindacale, economico e sociale esistenti nella Regione.
Mi sembra anche che, per l'economia di tutto il discorso che noi dobbiamo fare, questa posizione vada chiarita: altrimenti, rischiamo di andare al di là di quelli che, tra l'altro, erano stati gli accordi assunti nella riunione dei Presidenti dei Gruppi, nel senso che la Giunta avrebbe accompagnato il piano con un suo documento di delineazione di pochi obiettivi sui quali attirare in modo particolare l'attenzione del Consiglio rispetto alla discussione, all'approfondimento da fare. La Giunta si è collocata in questa posizione di suggerimento di temi su cui discutere evidentemente non approfondendoli perché non era compito del documento della Giunta l'approfondirli, ma ponendoli all'attenzione come argomenti da discutere, rispetto ai quali la Giunta ritiene prioritaria la discussione su tutti gli altri in quanto argomenti che possono essere più facilmente recepiti in un piano che la Giunta possa portare avanti come realizzazione nel corso dei pochi anni che le stanno davanti. Quello della Giunta è quindi un documento per una programmazione a breve termine, non per una programmazione a medio né a lungo termine. L'importante sarà che questa programmazione a breve termine si collochi in modo non incoerente, non contraddittorio rispetto alle linee generali a medio ed a lungo termine che dovranno essere assunte in sede di elaborazione di piano.
Questo dovrebbe servire, direi, per la economia dei nostri lavori. Noi abbiamo consegnato questo documento: rimandiamo tutta la discussione (se non vado errato, così si era concordato) ad una fase successiva, quando si sarà approfondito da parte di tutti i Consiglieri ed i Gruppi politici e di tutte le varie articolazioni sociali il suo contenuto per collocarlo in una visione programmatica che venga fatta propria.
Ecco perché noi ci sentiamo di accettare le proposte che questa mattina sono state fatte nell'intervento del consigliere e collega Minucci. Noi siamo ben lieti che venga precisata la posizione, proprio perché forse qui chiariremo molte cose tra l'economia del Nord e il Mezzogiorno, M questo quadro che noi vediamo di una economia del Mezzogiorno che si pu sviluppare "anche", evidentemente non "solo", nel quadro di una economia europea. Io credo che da un approfondimento di questo genere nascerà non una posizione di contrasto, per cui la crescita, lo sviluppo del Mezzogiorno sia scollegato dallo sviluppo della Comunità europea. Noi lo leghiamo molto, e io sono lieto che si possa su questo argomento approfondire, proprio perché le scelte che noi facciamo siano delle scelte che si inquadrino in una visione di carattere generale, che non esclude certamente ciò di cui siamo assolutamente convinti, cioè il fatto di collegare di più l'Italia rispetto al Mercato Comune Europeo non vuol certamente dire scollegare l'Italia da tutte le altre grandi realtà economiche che sono certamente le realtà dell'Est europeo così come sono le realtà dei Paesi del Terzo Mondo.
Quindi, noi cogliamo il suggerimento che ci è stato dato per una conferenza di carattere nazionale, nella quale la Regione Piemonte prenda l'iniziativa, per puntualizzare il problema dello sviluppo del Mezzogiorno in collegamento con i piani regionali. Così come siamo d'accordo sulla convocazione di conferenze regionali sull'agricoltura, sulla media e piccola industria, sull'artigianato, sull'occupazione femminile. Rispetto al problema dell'occupazione femminile penso ci siano molte idee, ma che in realtà un approfondimento del problema in termini concreti e uno studio approfondito non sia ancora stato fatto. Non si sono certamente valutate le componenti di questa caduta della occupazione femminile determinata dalle modificazioni strutturali dell'industria e della società nel suo complesso la componente di carattere psicologico e la componente di crescita di ricchezza, o di aumento di reddito, se vogliamo, che ha contribuito a questa caduta, e anche l'esodo dall'agricoltura e più in generale la modificazione strutturale in generale che ha diminuito il livello dell'occupazione femminile.
Mi pare che già questa mattina il collega Garabello avesse dato un suggerimento in questa direzione. La Giunta è d'accordo di accettarlo, nel senso che se noi vogliamo affrontare oggi, o in questi giorni, già in questa sede, una discussione approfondita che in definitiva porta poi ciascuno dei gruppi politici a precisare linee di tendenza senza aver recepito dalla comunità regionale i vari suggerimenti, è chiaro che noi precostituiamo già in questa sede degli indirizzi che potrebbero rendere non completamente utile quella consultazione che tutti qui diciamo di voler dare con le varie articolazioni della comunità regionale.
Per concludere, mi pare che la posizione della Giunta possa così definirsi: il documento della Giunta che ha accompagnato il rapporto preliminare dell'Ires ha mirato semplicemente ad indicare alcuni punti che a giudizio della Giunta possono essere obiettivi di breve termine, con i quali 'agganciare il programma dell'arco temporale in cui questo Consiglio Regionale può operare, rimanendo aperti tutti gli altri problemi, che si collegheranno certamente anche con parte del programma regionale ma che certamente lo superano nell'arco temporale. Avviare il fenomeno dell'approfondimento di questo documento non soltanto a livello di Consiglio Regionale sui singoli settori ma cogliendo, direi, le linee di grande sviluppo del nostro Paese, in relazione appunto al problema di fondo del Mezzogiorno e agli altri problemi ai quali ho accennato prima.
Mi pare che la Giunta possa accettare il punto di vista espresso dal collega Garabello: la Giunta, avuto dall'Ires questo rapporto preliminare lo ha oggi presentato al Consiglio accompagnato da un documento volutamente scarno (potevamo benissimo ampliare questo documento dando ad esso altri contenuti: il collega Simonelli sa che avevamo già anche dei documenti che potevano affiancare il documento dell'Ires in ordine ad altri problemi così da approfondire già altri temi), per rilevare semplicemente la differenza tra la posizione di un istituto di ricerche, che fa evidentemente delle analisi e delle ricerche, e la posizione di forze politiche che hanno il compito di realizzare talune cose, e abbiamo suggerito al Consiglio di voler guardare questi obiettivi a breve termine come gli obiettivi che la Giunta ritiene possano collocarsi in modo coerente rispetto alle scelte che potranno successivamente avvenire.
Infine, accogliamo, come dicevo, i suggerimenti che ci sono pervenuti e senz'altro vedremo di avviare il grosso discorso, che mi sembra anche emblematico, in un certo senso, della posizione del piano di una Regione ad alto sviluppo industriale, dei piani delle Regioni in generale, della pianificazione generale, rispetto al grande problema di sviluppo del Mezzogiorno; così come prendiamo impegno di far svolgere conferenze regionali sull'agricoltura, sulla piccola e media industria sull'artigianato e un convegno sull'occupazione femminile. Grazie.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Vera. Ne ha facoltà.



VERA Fernando

Signor Presidente, signori Consiglieri, il Presidente del Consiglio ha definito giustamente, questa mattina, quello che si sta svolgendo "un dibattito preliminare su una indagine preliminare". Siamo dunque in una fase di estrema preliminarità. Mentre sono perfettamente d'accordo sulla esigenza affacciata dalla Giunta che questa indagine preliminare sia seguita da un approfondimento, quindi da una seconda indagine preliminare ritengo sia anche auspicabile, proprio tenendo presente quanto diceva prima il Presidente della Giunta parlando di una programmazione a tempi brevi che ovviamente esige anche studi che abbiano tempi determinati e possibilmente brevi, che non ci dobbiamo trovare nel 1975 a fare un dibattito preliminare al decimo rapporto preliminare dell'Ires sul piano piemontese; perché abbiamo qualche precedente in questo senso nel passato e se è vero che anche i romanzi incompiuti hanno un loro posto nella storia letteraria, è però vero che ne hanno molto meno i romanzi composti soltanto della prefazione e mancanti di tutte le pagine, dalla prima in poi. Quindi mi pare che l'esigenza che il Consiglio deve affacciare alla Giunta e ai ricercatori dell'Ires è quella che, pur con tutte le indagini, con tutti gli approfondimenti possibili e necessari, siano rispettati dei tempi in questa ricerca.
Venendo a parlare del piano di sviluppo, di questa indagine dell'Ires e soprattutto delle indicazioni, sia pure scarne, come diceva poco fa il conte Calleri, che la Giunta ha ritenuto di accompagnare a questo piano indicazioni che forse avrebbero potuto trovare collocazione nella discussione sul bilancio (veramente, il tono un po' familiare e la scarsa partecipazione a questa discussione derivano dal fatto che abbiamo svolto per due o tre giorni un dibattito sul bilancio nel quale molti degli argomenti che riguardano il piano di sviluppo della Regione Piemonte sono già stati affacciati; oltre tutto, vi era una esigenza, prospettata proprio dalla Giunta, di ancoraggio del bilancio al piano di sviluppo, dal che è derivato il carattere monco della discussione di oggi), i problemi che il Consiglio regionale dovrà risolvere sono essenzialmente tre: il tipo di programmazione che la Regione Piemonte intende darsi, gli strumenti attraverso i quali realizzare questo tipo di programmazione, e naturalmente gli obiettivi che ci si propone di realizzare.
Deve trattarsi - mi pare che già altri l'abbiano detto - di una programmazione dinamica, tale cioè da avere una possibilità di costante aggiornamento, da non fornire uno schema già superato nel momento in cui viene presentato, o nel momento in cui viene adottato. Come d'altra parte penso che siamo tutti d'accordo che non si può trattare, stante il tipo di regime che abbiamo nel nostro Paese, di una programmazione a carattere coercitivo ma evidentemente a carattere democratico, partecipativo. Tipo di programmazione che ha dei limiti, evidentemente, ma d'altra parte ricordava stamani il collega Gandolfi - anche i gosplan sovietici hanno rivelato qualche limite, e quindi tra i due tipi di programmazione forse è ancora preferibile la nostra. Trattandosi di una programmazione democratica, di una programmazione partecipativa, evidentemente è essenziale la partecipazione dei soggetti chiamati ad operare nel quadro programmatico; partecipazione che non può essere soltanto la consultazione cui siamo abbastanza abituati nell'ambito della Regione piemontese, ma deve anche significare qualche cosa di più: un impegno degli operatori che partecipano alle scelte, alle decisioni, ad operare in modo che queste decisioni siano concretamente valide (questo vale ovviamente sia per gli operatori sindacali che per gli operatori imprenditori privati o pubblici nel settore economico).
Altro discorso è quello degli strumenti. Gli strumenti mi pare che siano identificati, sia pure in modo sommario, nei vari enti, nelle varie agenzie che la Regione intende creare, a cominciare dall'ente finanziario anche se non ci dobbiamo nascondere che le possibilità di promozione offerte dai finanziamenti di cui disporranno questi enti sono estremamente limitate. Proprio per questo è, a nostro giudizio, essenziale quella partecipazione che dicevo prima di operatori economici sia di mano privata che di mano pubblica, perché ho l'impressione che soltanto con gli strumenti promozionali di cui dispone la Regione non sia possibile attuare se non in minima misura, in misura frammentaria, in fondo in modo non programmatico, questi obiettivi della programmazione regionale.
Il discorso sugli obiettivi è evidentemente un discorso estremamente preliminare, perché discende da quelli che saranno gli studi che i ricercatori faranno, sulla situazione economica, sociale della nostra Regione, risultanti dalle scelte che proporranno poi ai politici proprio in ordine a questi obiettivi. Mi pare comunque che un punto molto importante della premessa della Giunta sia quello che accenna alla pianificazione sovranazionale. E' una lacuna, che lamentava mi pare l'altro giorno il collega Calsolaro, della discussione sul bilancio, che è colmata evidentemente nella relazione della Giunta al piano dell'Ires. Nell'epoca in cui viviamo, parlare di pianificazioni regionali, soprattutto a livello di Regioni storiche come sono quelle che si sono create nel nostro Paese può essere giudicato un discorso abbastanza out of date. Voglio ricordare che nell'ambito della Comunità economica europea, quando si era affacciato il discorso della costituzione delle Regioni nelle varie Nazioni d'Europa e della pianificazione regionale, erano state proposte delle Regioni di tipo diverso da quelle che poi noi abbiamo attuato nel nostro Paese, cioè non le Regioni storiche ma le Regioni socio-economiche, con dimensioni molto diverse, tal che, per esempio, per l'Italia ricordo che si proponeva come unica regione tutta la parte nord-ovest del nostro Paese, coincidente grosso modo, con quello che siamo soliti chiamare il triangolo industriale.
Al di là di questo, esistono problemi di carattere sovranazionale che collegano la nostra Regione alle Regioni limitrofe della Francia, ma non soltanto a quelle, perché il discorso sulla necessità di costituire accanto all'asse lotaringico, un asse Italia del Nord-Rodano, è valido fin che non viene inteso in senso di pura contrapposizione di un asse latino ad un asse germanico; occorre però evidentemente che questa impostazione programmatica, di livello sovranazionale, che riguarda questo asse meridionale della nostra zona si accompagni poi ad una integrazione con quella che è una programmazione proprio dell'asse lotaringico, che è senz'altro molto più avanti di noi su un piano di pianificazione (basta pensare alla pianificazione dell'Asia) ed anche sul piano tecnologico.
Nell'ambito di quelli che possono essere i settori traenti, i settori che hanno un carattere promozionale rispetto al resto della nostra società della nostra economia, penso che occorra non dimenticare (qualcuno mi pare l'abbia accennato stamattina) un settore che è oggi in una situazione di particolare depressione: il settore dell'edilizia. E' vero che esso non ha più, nei confronti di tutto un sistema economico, quel carattere particolarmente traente che aveva in passato (agli inizi del secolo si diceva: se l'edilizia marcia, marcia tutto il resto; oggi direi che questo discorso ha ancora una sua validità, ma non in modo così totale), ma è certamente un settore particolarmente depresso nel nostro Paese per ragioni non di carattere economico ma, direi piuttosto, come osservava l'altro giorno, nel suo discorso alla Camera, il presidente del Consiglio Andreotti, di carattere normativo, di carattere burocratico, che possono essere eliminate proprio dalle autorità che hanno questo potere: lo Stato e oggi, con le deleghe, anche la Regione.
E' evidente che la nostra Regione, che è una Regione tecnologicamente molto avanzata, se vuol mantenere il passo con gli altri Paesi, con le altre Regioni d'Europa, non può fermarsi ai settori industriali secondari e tanto meno a quelli primari, anche se indubbiamente esiste l'esigenza che è stata, mi pare, affacciata dalla relazione della Giunta, di una industrializzazione dell'agricoltura, ma deve volgersi a tipi più avanzati di attività economica, quelli, diciamo così, di carattere secondario superiore o di carattere terziario: quindi, le industrie elettroniche, che citava questa mattina il collega Gandolfi, e altre attività di carattere estremamente specializzato, o, nell'ambito del settore terziario, il turismo, che nella nostra Regione è indubbiamente piuttosto depresso aggiungerei anche le attività di carattere culturale, l'industria culturale, che con l'avvento dei mass-media ha assunto indubbiamente un carattere industriale, quindi una importanza anche come fatturato nell'ambito di una economia (il Piemonte, che ha solide tradizioni in questo settore della cultura, mi pare che operativamente non le rispetti molto, nel senso che siamo oggi particolarmente depressi in questo settore rispetto, per esempio, alla Regione limitrofa, che è la Lombardia, dove si concentra larga parte dell'attività di industria: culturale del nostro Paese).
Questi tipi di industria, di carattere terziario o di carattere secondario superiore, hanno naturalmente, proprio perché richiedono una elevata specializzazione, e quindi si pongono in un sistema estremamente concorrenziale, delle caratteristiche che importano dei rischi, che importano quindi, rispetto alle industrie di tipo tradizionale, anche una minore stabilità. Il che significa evidentemente che questa trasformazione dell'industria della nostra Regione non può essere operata che gradualmente e deve avere una base nelle industrie tipiche tradizionali di carattere secondario, come l'industria meccanica, sia pure senza grosse possibilità di espansione, ha una base nella nostra Regione, come altre industrie che già esistono e che possono essere sviluppate.
Un discorso a parte va dedicato, evidentemente, all'industria tessile che è quella della cui crisi ci siamo più occupati nell'aula di questo Consiglio Regionale, sulla quale concordo perfettamente con quanto diceva qualche giorno fa, mi pare, il Presidente Calleri, cioè che occorre seriamente valutare, proprio, nell'ambito di una programmazione, quindi nell'ambito non soltanto dell'esigenza di porre dei rattoppi ma di creare strutture industriali solide, concorrenziali, valutare fino a che punto convenga tenere in piedi delle industrie che in altri Paesi tecnologicamente avanzati sono considerate ormai tipiche di Paesi,sottosviluppati e se non convenga invece risolvere questo problema attraverso la riqualificazione da un lato e una specializzazione dell'industria tessile dall'altro.
Infine, ritegno che il discorso della programmazione della nostra Regione, proprio per non rimanere un discorso puramente economicistico debba tener conto di problemi di carattere non strettamente economico: quello, intanto - e non sto a ripetere cose già dette da altri - della difesa della natura e dell'ambiente della nostra Regione, e quello più generale della crescita sociale della nostra Regione. Crescita sociale che trova grossi problemi in tutto un mutamento di tipo di popolazione della nostra Regione conseguente al boom industriale degli anni Sessanta. E bisogna dire che proprio i piemontesi, i quali sono spesso portati a lamentare la polluzione sociologica introdotta nella nostra società dall'immigrazione, e quindi dall'inserimento nella nostra popolazione di una massa enorme di persone di provenienza diversa, di costumi diversi ritenute, in parte a torto, in parte a ragione, ad un livello inferiore di maturazione civile e culturale, non hanno fino ad oggi fatto molto per dare omogeneità a questa nuova popolazione, composta dai vecchi abitanti del Piemonte e degli immigrati stabilmente insediatisi nella nostra Regione per assicurare cioè stabilità ed organicità socioculturale alla nuova società piemontese che si è venuta così a creare. Se ciò fosse impossibile bisognerebbe dire che Paesi come gli Stati Uniti, che qualche decennio d'anni fa sono stati un crogiolo di nazionalità e di razze, o come l'Australia, come il Canada, dovrebbero essere rimaste allo stato in cui erano le popolazioni che hanno contribuito a formare questo crogiolo di razze. Evidentemente, la possibilità di una crescita sociale, di assicurare stabilità ed organicità socio-culturale alla società piemontese, esiste, ed è compito anche degli organi regionali dare un contributo, una spinta perché questo avvenga; proprio per evitare che questo nostro Paese soprattutto questa zona centrale della nostra Regione che è l'area metropolitana di Torino, si trasformi, come sta avvenendo, in una specie di accampamento di lavoratori sul tipo di certe città minerarie del Far West il che evidentemente non vogliamo sia e nell'interesse degli abitanti originari del Piemonte e anche dei lavoratori che sono venuti tra di noi e che hanno contribuito al progresso economico della nostra città e della nostra Regione e che è giusto quindi siano partecipi anche di un miglioramento di carattere sociale e culturale.
Concludendo, io ritengo che, nella elaborazione di quell'attività programmatica da parte della Regione e da parte degli strumenti di ricerca che la Regione si è scelta, occorra una estrema concretezza, una estrema operatività, un estremo dinamismo, nel senso non di fotografare delle situazioni e poi prospettarle come tali, senza tener conto delle modifiche che via via lo sviluppo di tutte le nostre strutture porta a questo quadro ma con una esigenza e uno sforzo di continuo aggiornamento; aggiornamento che evidentemente rende necessaria anche una continua consultazione, anzi una partecipazione anche in senso attivo di tutti gli operatori, di carattere economico, di carattere industriale, di carattere sociale e culturale della nostra Regione.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Garabello. Ne ha facoltà.



GARABELLO Enzo

Signor Presidente, a questo punto è quasi doveroso da parte mia scusarmi con i presenti, anche se ridotti numericamente ai minimi termini se prendo la parola. Però, mi corre l'obbligo, avendo io questa mattina proposto un rinvio del dibattito, precisare che la richiesta di rinvio nelle mie intenzioni, non era nei termini in cui l'ha interpretata prima il Presidente della Giunta.
L'ordine del giorno votato dal Consiglio Regionale prevede dibattito iniziale in Consiglio, la consultazione, il lavoro delle Commissioni, il ritorno, come quarto tempo, in Consiglio per la relazione finale. Io non mi richiamavo, con il rinvio al quarto tempo, come ha inteso il Presidente della Giunta, bensì soltanto ad un rinvio di carattere, se vogliamo unicamente strumentale, da questa alla prossima settimana, all'ultima tornata di sedute; ciò avrebbe consentito a me e ad altri di intervenire più adeguatamente preparati, e probabilmente anche in una atmosfera di minore stanchezza dell'assemblea di quella che si ha ora, dopo due giorni di lavoro.
Mi vedo pertanto costretto ad intervenire ora, cercando di essere il più possibile conciso, affinché alcune idee possano rimanere registrate agli atti di questo Consiglio.
Io partivo da una considerazione che avevo rilevato anche nel documento della Giunta stessa, che riguarda i limiti 1971/1975 che questo piano ha.
Nella Commissione Bilancio e Programmazione questo aspetto era già stato discusso, perché evidentemente, dato il grosso impegno che comporta la formulazione di un piano, la limitazione del tempo a disposizione alla metà del periodo previsto (se tutto andrà bene, riusciremo ad avere il piano nei primi mesi dell'anno prossimo, per cui rimarranno a questo Consiglio sì e no due anni e mezzo o poco più per metterlo in pratica) dà giustificazione a molte preoccupazioni che lo stesso Presidente della Giunta ha avanzato. A me pare chiaro, invece, che se è necessario, per ragioni legate al piano nazionale '71-'75, che per ora non esiste ma che un certo giorno dovrà pure trovare la sua formulazione, mantenere questo ritmo, tenuto conto del discorso di pianificazione dinamica, scorrevole di cui oggi si parla occorrono delle prospettazioni di tempi più lunghi: un grosso lavoro di questo genere, in due anni e mezzo o tre anni soltanto, non sarebbe assolutamente realizzabile, e noi non andremmo al di là di quella modesta programmazione che oggi sono usi fare molto lodevolmente, a gradi diversi molti enti locali, ma senza la visione aperta, ampia di un piano di sviluppo. Quindi, se è giusto, per senso di responsabilità, voler fissare o termini formali così come stanno, per chiarire gli impegni formali che ne conseguono, non c'è alcun dubbio che bisogna andare più avanti, non in una fuga in avanti ma nella definizione di alcuni obiettivi di fondo che vanno al di là di questi tempi troppo modesti, per poi trovare una fase definitoria, attuativa, operativa per i tempi di cui ci stiamo occupando.
Attenendomi alle linee dell'intervento che ha svolto poco fa il Presidente della Giunta, seguirò nel mio esame il documento che ha prodotto la Giunta, rilevando anche alcuni aspetti critici, o quanto meno alcuni elementi che ritengo debbano essere puntualizzati anche per responsabilità politica all'inizio di questo dibattito. Perché è bene che questo dibattito venga conosciuto anche all'esterno e ciascuno si assuma le sue responsabilità nell'impostazione anche della consultazione che fra poco avrà inizio.
Si parla e con incertezza, delle cosiddette aree-programma, all'inizio della seconda parte del documento della Giunta, documento che è stato definito questa mattina dal Consigliere Minucci "scritto a più mani" (osservo che il numero delle mani non è di per sé impedimento ad un buon risultato: c'è anche dell'ottima musica a quattro mani, quello che importa è che le quattro mani la eseguano al tempo giusto, per avere un risultato di buona armonia, mentre se il ritmo non è quello voluto da parte di tutte vi saranno inevitabili le stonature). Noi dobbiamo fare qui immediatamente un richiamo alla necessità che si passi anche a livello di concretizzazione del piano stesso attraverso la individuazione delle linee del piano di assetto del territorio, e, sul piano strumentale, in base alla prima e alla seconda parte del documento cui mi riferisco, alla necessità di una sollecita discussione sulla legge urbanistica regionale, che dovrà essere la linea di guida di tutto quanto riguarda l'assetto del territorio.
E' stato aperto stamane, negli interventi del Consigliere Minucci e di altri Colleghi, con angolazioni diverse, il grosso problema Piemonte Mezzogiorno-Italia-Europa-Mondo. E' un problema di grandissimo rilievo politico, determinante di molte delle scelte che noi dovremo fare, perch dall'inserimento del Piemonte in questo grande giro deriva evidentemente la possibilità di avere un piano concreto, rispondente alle esigenze.
Giustamente è stata richiesta e concessa dalla Giunta la Conferenza delle Regioni, affinché non accada come nel caso del primo piano di sviluppo quello del CRPE, che ciascuna Regione si preoccupi solo di sé stesso. Si disse allora, sul piano nazionale, che l'unica Regione settentrionale che aveva dimostrato preoccupazione per la depressione esistente nel Mezzogiorno era proprio stato il Piemonte: anche altre Regioni aperte sul piano sociale, di idee moderne, avevano bellamente dimenticato questa interrelazione.
Io vorrei dire, senza entrare nel merito, ai Colleghi comunisti che evidentemente il problema del nostro rapporto con il Mezzogiorno sulla pianificazione nazionale non è da porsi in alternativa - non credo che loro lo vogliano fare, ma preferisco puntualizzare - al discorso dell'inserimento europeo, o, se vogliamo, anche dell'inserimento in aree più ampie di quelle della Comunità economica europea. Lo sappiamo, i comunisti hanno qualche difficoltà a considerare certi aspetti della Comunità europea: è un discorso che ha grossi aspetti politici, deve essere affrontato e dobbiamo senza paraocchi da alcuna parte vedere di chiarirci le idee anche a questo proposito. Certamente, in questo quadro dobbiamo dire che il nostro piano non può essere autarchico né in senso nazionale n in senso regionale: non vogliamo l'autarchia nazionale rispetto all'Europa e al mondo, non vogliamo l'autarchia regionale rispetto alle altre Regioni rispetto all'intero Paese, segnatamente rispetto al Mezzogiorno.
D'altra parte, dobbiamo ricordare che questo discorso riguarda molto più da vicino la programmazione nazionale: è stato rilevato lo stato di impasse in cui si trova oggi, dopo le tante incertezze degli anni precedenti. E' chiaro, la volontà politica in questa direzione non è stata positivamente determinante: caso mai, è stata determinante in senso contrario, nel senso di fermarsi a vaghe indicazioni, senza mai arrivare alla stesura di un piano approfondito e serio. Però, dobbiamo dire che se la programmazione nazionale è matura, noi vogliamo partecipare alla programmazione nazionale. Richiamo qui tutte le argomentazioni svolte in Consiglio Regionale, direi con un certo reciproco affiatamento da tutti i Gruppi, o quanto meno da gran parte dei Gruppi, al tempo delle discussioni a proposito della legge sul Mezzogiorno: il famoso discorso, ancora vivo degli incentivi e dei disincentivi, il discorso delle localizzazioni industriali, il discorso delle imprese pubbliche e del loro significato nel riequilibrio economico del sistema generale del nostro Paese. Noi Regione ci riteniamo - l'abbiamo affermato nello Statuto ma dobbiamo dimostrarlo in questa fase, e mi pare che anche in questo senso la conferenza fra le Regioni possa avere un significato positivo - parte integrante degli strumenti della programmazione nazionale.
Altro tema affrontato nella relazione della Giunta è il problema dell'industria. Non c'è dubbio che si tratta di un problema prioritario, se non altro per l'importanza economica che ha, per il grande significato che ha in rapporto alla occupazione, e quindi alla produzione di ricchezza. C'è un taglio comune fra l'Ires e la Giunta in questo, un taglio che sostanzialmente mi pare sia stato largamente colto questa mattina nel dibattito: la tendenza è a favorire piuttosto la piccola e media industria e l'artigianato che non la grande industria, anche perché la grande industria rientra in quel discorso precedente del riequilibrio del sistema economico nazionale. Questa preferenza a me pare giusta.
Maggiore ambiguità, invece, trovo nel documento della Giunta - per cui la discussione dovrà essere approfondita in questa direzione - circa l'opzione di settore. Perché, parlando soltanto di preferenza alla piccola e media industria potremmo intendere soltanto e semplicemente la tendenza alla conservazione di un sistema economico che stamattina da tutti è stato a vari livelli, a vari gradi, definito ormai sorpassato, non più in grado di garantire lo sviluppo della nostra Regione. Se si favorisce la piccola e media industria che vive soltanto al servizio e come ausiliario dell'industria automobilistica dominante (la FIAT) è ovvio che vengono a mancare le prospettive di alternativa: la strada verso alternative produttive è invece nel senso di ricercare nuovi settori di traino dell'economia regionale.
All'amico Rossotto, che pareva preoccupato che dal Consiglio Regionale potesse uscire una qualche iniziativa contro l'apparato produttivo attuale mi pare possiamo dire che questa preoccupazione è immotivata. Lui dice: in fondo, il mastodonte torinese ha ancora dei margini: sarà maturo, ma non è ancora completamente cotto, avrà o capelli grigi ma non ancora del tutto bianchi, quindi cerchiamo di sfruttare le possibilità che esso crea.
Nessuno vuol qui opporsi a che si portino ad una determinata quota, la più elevata possibile, le industrie oggi esistenti. Però, non possiamo permetterci di sfruttare tranquillamente fino all'ultimo il settore dell'auto, la cui maturazione avverrà entro tempi ormai prevedibili, senza preoccuparci, prima e durante questa fase, di ricercare delle alternative ad esso. A me pare che questa sia una impostazione su cui, pur rimandando ogni discussione ed ogni decisione su quali siano questi settori alternativi, non debbono esistere ambiguità, perché altrimenti il nostro piano non sarebbe altro che uno strumento, cosa che può razionalizzare ma non certo innovare e portare avanti lo sviluppo piemontese.
Per la piccola e media industria e l'artigianato vi é, si diceva, la necessità che intervengano gli strumenti finanziari, gli strumenti operativi di cui la Regione può disporre. Si è parlato di Finanziaria pubblica. Io non sono fra coloro che ritengono che la Finanziaria pubblica come la può fare la Regione, debba essere necessariamente una gestionaria di fallimenti, un'altra Gepi. Però penso - e anche su questo dovremo aprire un dibattito, anche con coloro che lo hanno proposto fuori di quest'aula tra cui alcune forze sindacali - che la Finanziaria pubblica non possa limitarsi ad un puro intervento di ordine infrastrutturale, peraltro necessario, certamente strettamente legato ai compiti di istituto della Regione come attuazione di un piano urbanistico, ma debba trovare anche attraverso l'approfondimento del discorso, delle vie per costituire un elemento diretto di intervento, di sostegno, di spinta, di sollecitazione e quindi di guida, all'economia, usato con criteri di visione politica.
Non mi soffermo su agricoltura e settore terziario. Dirò qualcosa sugli impieghi sociali. Qui il discorso, volendo, sarebbe amplissimo, ma credo che lo faremo nelle Commissioni. E' certo che quello degli impieghi sociali è un grosso impegno che ha la Regione, e direi che poi sul piano operativo costituisce il telaio fondamentale del proprio piano programmatico. La Regione lo vede, cito fra virgolette, come "una ricerca di un miglioramento del quadro di vita".
Io lo definisco, in termini forse più espliciti, "la ricerca della misura dell'uomo nella impostazione del territorio e delle attività economiche". Quindi, quando si parla di case, di scuole, di università, di sanità, di sicurezza sociale, dobbiamo collocarci in questo angolo visuale in questo nuovo taglio, per cui questi non sono più gli strumenti, le strutture determinate da un certo tipo di sviluppo che viene avviato e viene guidato al di fuori della visione collettiva e pubblica del problema ma devono diventare determinanti di quello sviluppo. Qui mi pare che ci sia il salto, per cui l'impiego sociale, oltre a rispondere ad esigenze individuali e collettive, ha anche un nuovo taglio proprio nel determinare lo sviluppo produttivo. E' un discorso che evidentemente meriterebbe, e avrà a suo tempo, un approfondimento veramente deciso. Per alcuni aspetti mi richiamo all'intervento che fece sul bilancio il collega Conti a proposito di scuola, di rapporto educativo: è quello il terreno sul quale ci dobbiamo portare nel determinare gli impieghi sociali.
Naturalmente, penso che in questa direzione la Giunta dovrebbe fin d'ora prendere qualche determinazione: bisogna predisporre presto gli elementi di fondo della ricerca per i piani di settore. L'Ires predisponendo il poderoso volume, non ha fatto un piano ma un rapporto preliminare ai problemi del piano; lo stesso dev'essere fatto, nelle dimensioni adatte, a proposito dei piani di settore, in particolare relativamente agli impieghi sociali - la casa, la scuola, la sanità alcuni dei quali sono già in avanzata elaborazione. Ritengo che la Giunta dovrebbe cominciare fin d'ora a promuovere, attraverso la richiesta di elementi di approfondimento, di elementi quantitativi, una ricerca da parte dell'Istituto regionale.
Sugli strumenti vi è una parte importante nel rapporto dell'Ires e anche nel più scarno rapporto della Giunta, cioè il livello subregionale e il livello della delega agli Enti locali. Io ho l'impressione che bisognerà approfondirla maggiormente perché se il punto d'incontro dell'attuazione dei programmi regionali è la delega, bisogna anche individuare dove la delega deve essere data e qual è il livello di gestione della programmazione.
Noi nello Statuto abbiamo fatto delle dichiarazioni molto esplicite dicendo che il comprensorio, l'insieme dei comuni di una area ecologica, è il punto di incontro per la predisposizione, l'attuazione e la gestione del piano. A me pare che non vi sia in proposito una chiara presa di posizione da parte della Giunta, si direbbe anche che vi sia una certa opzione per la Provincia. Io non sono un antiprovincialista, non ritengo che si debba demolire la Provincia per costruire la Regione, però se ricordiamo i discorsi della fase preparatoria della Regione e quelli a chiusura dello Statuto regionale, ci si rende conto come la Provincia sempre meno rappresenti un livello subregionale veramente rispondente alle esigenze di oggi. Noi dobbiamo dirle queste cose, prendendo veramente atto di una situazione e quando utilizzeremo le Province per le deleghe sapremo quali dovranno essere i limiti delle deleghe stesse e della loro utilizzazione.
E' vero che gli Enti locali tradizionali attualmente esistenti: i Comuni, rappresentano singolarmente e in molti casi una debolezza più che una forza; quando parliamo di Comuni ci viene facile parlare di Torino Novara, Alessandria, Biella, Ivrea, Pinerolo ecc., cioè di quei Comuni che hanno una loro dimensione, mentre dimentichiamo i 520 Comuni depressi e le altre centinaia che, pur non facendo parte delle aree depresse, non hanno certamente i mezzi, la disponibilità immediata per inserirsi come elementi attivi di attuazione di programma.
Nelle discussioni sullo Statuto il livello sub regionale era individuato non nel comune singolo, bensì nell'area ecologica, nel comprensorio; lo Statuto dice: "La Regione può istituire, con propria legge, i comprensori". Lo Statuto è stato approvato, non è una cosa che inventiamo oggi e per la nostra Regione è diritto positivo, è diritto scritto sul quale merita approfondire il discorso in sede alternativa.
Visto così il livello subregionale, probabilmente ci metterebbe in condizioni di vedere la realtà più concretamente.
Io sono andato una volta, ad un convegno di amministratori a Romagnano Sesia; si trattava di un possibile comprensorio, a cavallo di due province però con problemi analoghi di natura economica e sociale. In quell'occasione i rappresentanti delle due amministrazioni provinciali erano i più imbarazzati di tutti, mentre i più disponibili al dibattito erano proprio gli amministratori comunali. Io riconosco che non tutto il Piemonte è diviso in zone quasi naturali come il Biellese, che da tempo ha scoperto questa sua vocazione e si è dato una struttura organizzativa. Ci sono, specialmente nelle zone di contatto fra diverse province, parecchie località più difficilmente individuabili, che però hanno delle realtà comuni e noi non possiamo, per difficoltà di natura polemica, ed organizzativa, passarci sopra, ma dobbiamo individuarle, approfondirle arrivare a una definizione. Se i comprensori saranno fatti con criterio potrà anche trovarsi una composizione di natura formale attraverso il circondario che corrisponda al comprensorio. Il decentramento amministrativo burocratico, il controllo sugli Enti locali si può sposare con un punto d'incontro di maggiore potere politico, certamente superiore a quello della Provincia che, anche per la formula di elezione, rappresenta molto meno la popolazione di quanto le rappresentino l'insieme dei consigli comunali.
E' evidente che, per rimanere nelle linee dello Statuto, la programmazione dovrà essere gestita sul posto da coloro che ne devono fruire ed è per questo che c'è il richiamo ai comuni non singoli ma associati.
Stamattina molti, anche Rossotto, mettevano in rilievo come i problemi di Torino siano ormai quelli di un'area metropolitana che forse al di fuori della cinta daziaria è in peggiori condizioni sociali dell'interno della città. Neanche più le grandi città sfuggono alla logica dell'associazione con altri comuni, perché forse soltanto lì riescono a trovare una linea di equilibrio, non nella vecchia tendenza di tipo fascista che eliminò a Genova i Comuni minori e fece la grande Genova, ma attraverso un diverso modo di capire le esigenze, le tradizioni e la volontà popolare.
Il giorno in cui la Fiat pensò di costruire nell'area propria ubicata nel centro direzionale la direzione generale, il comune ritenne di farle presente, con preoccupazione, le difficoltà che il sorgere di un così grosso centro avrebbe provocato e indicò alla Fiat l'opportunità di uscire dal centro della città e, al limite, di uscire addirittura dalla città.
Oggi (e come dico in questo momento non ho gli elementi per dire bene o male) rilevo come una decisione di questo genere non può essere presa dal Consiglio comunale di Candiolo. Anche se alla fine dovessimo giungere ad una conclusione coerente con questa scelta, la scelta ha da essere fatta con una visione di area metropolitana, perché il centro direzionale della più grande azienda che sta in quest'area non può non rispondere ai criteri direttivi dell'area metropolitana, perché troppe cose determina all'interno dell'area stessa.
Questo soltanto per dire come, secondo me, la logica del comprensorio nelle aree di programma abbia una sua urgenza. Analogo motivo - lo cito solo a titolo di ricordo per il verbale - gli enti di sviluppo di settore i quali offrono delle grosse possibilità, del resto affermate dallo Statuto, di una gestione democratica, della possibilità di una partecipazione attiva delle popolazioni interessate.
Giunto alla partecipazione concludo. Nella fase di elaborazione del rapporto preliminare e del pensiero sintetico della Giunta, avremo la consultazione di larga parte delle forze sociali della nostra Regione.
Nella Commissione I, esaminato il problema a larghe linee, si è detto che dobbiamo metterci, come del resto è affermato anche nella mozione a suo tempo approvata, in condizione di sentire i comuni non singolarmente, ma in una visione subregionale, che potrebbe essere un precollaudo di fatto di questi comprensori, quasi se i comuni saranno così attivi da ricercare un proprio modo di associarsi.
Naturalmente sentiremo sindacati e associazioni di categoria rappresentativi dei più vari rami, a livello regionale, per avere una voce univoca (almeno questo è il pensiero uscito dalla I Commissione).
Questa mattina il collega Gandolfi si dimostrava preoccupato che si possano esercitare sul Consiglio Regionale nel momento della scelta finale delle pressioni, perché vi sono classi sociali o categorie che hanno più voci che le rappresentano all'interno dei partiti, all'interno di organizzazioni sindacali o altro. Io non sarei così preoccupato, proprio in linea di principio, anzitutto perché siamo in uno Stato democratico pluralistico e ciascuno sceglie di farsi rappresentare, magari da angoli visuali diversi, da un'associazione sindacale o dai partiti e poi perch non vi è una divisione rigida di interessi tra organizzazioni e partiti.
Questa mattina Minucci diceva: noi sentiamo di rappresentare qui gran parte dei lavoratori dell'industria ecc. Ritengo di poter affermare che non è l'unico partito il suo (del resto non lo ha affermato neanche lui) a rappresentare esclusivamente questi interessi. Vi è la possibilità di una sfumatura diversa di voci, che deriva dal mondo del lavoro. In questa visione pluralistica non sarei preoccupato delle pressioni, mi preoccuperei piuttosto di un aspetto positivo che credo specialmente i grandi partiti debbano porsi con estrema serietà: se siamo capaci di gestire con apertura democratica questo discorso, forse possiamo ricuperare ad una visione di logica globale la voce organizzata dei lavoratori, come di altre categorie una visione non di fuga rispetto ad un tentativo di pianificazione pubblica seria, ma una visione, seppure di contrattazione, di critica, di stimolo che si ricostruisce però ad una logica unica. Io credo che possiamo ammonire i nostri amici che si trovano nelle varie organizzazioni sindacali e non solo dei sindacati dei lavoratori (cui del resto annetto, se non altro per l'enorme importanza numerica, una particolare importanza) ma anche da organizzazioni rappresentanti altri interessi, che qui si giocano i destini della nostra Regione e vogliamo giocarli tutti assieme apertamente, in una logica democratica in cui ciascuno dice quello che ha da dire, ma non fa né fughe in avanti, né ritirate. Cerchiamo di non farcelo sfuggire questo momento e questo invito va particolarmente a coloro che hanno agganci, nei confronti delle grandi masse organizzate dai sindacati, affinché i sindacati si portino in questa logica, pur nella loro completa autonomia di giudizio, che è fuori discussione.
Andiamo così verso un dibattito esterno con apertura, le forze politiche credo debbano sforzarsi di ricavare il meglio di sé per metterlo a disposizione di tutti. Auguriamoci che lo facciano anche le forze sociali, che non ci siano riserve mentali, perché in questa visione vi è il domani della nostra Regione.
Non c'è niente di definito, abbiamo degli elementi di elaborazione e di studio che sono apprezzati da tutti, anche se con sfumature politiche o categoriali diverse (ricordo l'intervento di Menozzi stamattina rispetto ai problemi della gente dei campi) tutti hanno riscontrato elementi di obiettività e valori notevoli nell'interno di questo rapporto. La Giunta ha dato un suo taglio che è da precisarsi e il presidente Calleri nella sua dichiarazione ha detto essere queste soltanto indicazioni di alcune linee di fondo affinché l'approfondimento della discussione e della consultazione preliminare che si è aperta oggi possa consentire a tutti di dare il meglio di sé. Per parte nostra riteniamo di fare in questa e nelle fasi successive il nostro dovere, nella speranza che specialmente con la consultazione e con la elaborazione che nelle commissioni consiliari, la prossima tornata di discussioni in aula già ci dia elementi più sicuri, un confronto più aperto di quelle che sono le ultime linee di sviluppo della nostra Regione.



PRESIDENTE

Gli interventi relativi a questo primo esame del Rapporto preliminare dell'lRES si sono chiusi. Mi pare che siano stati costruttivi, soprattutto sotto il profilo del primo esame.
Io penserei, per quello che è il modo di utilizzare tutto questo materiale, di sentire nella riunione dei capigruppo il loro pensiero, di sentire il pensiero della Giunta e poi il Consiglio di presidenza, cui spetta, in definitiva, di predisporre il lavoro esterno della consultazione, prenderà le sue determinazioni con la massima sollecitudine possibile.
La discussione comunque è chiusa e io pregherei i capigruppo, per non interrompere la seduta, di attendere a riunirsi subito dopo che siano esauriti almeno gli altri tre punti dell'ordine del giorno che mi si dice hanno una certa premura e sono abbastanza rapidi nella loro decisione.


Argomento: Nomine

Nomina dei dieci componenti del Consiglio di Amministrazione dell'IRES (Rinvio)


PRESIDENTE

Sulla nomina di dieci componenti del Consiglio di amministrazione dell'IRES mi pare che l'accordo non sia ancora raggiunto, quindi questo articolo dell'o.d.g. viene aggiornato.


Argomento: Formazione professionale

Esame della proposta di deliberazione della Giunta Regionale in ordine a formazione e istruzione professionale


PRESIDENTE

Passiamo al punto ottavo: esame della proposta di deliberazione della Giunta Regionale, in ordine a formazione e istruzione professionale.
L'Assessore Visone ha da dare qualche ulteriore illustrazione della delibera, o non c'è motivo di farlo?



VISONE Carlo, Assessore all'istruzione

Credo che la delibera si spieghi da sola: è stato un atto che la Giunta ha voluto compiere per guadagnare tempo e soprattutto per avere la possibilità di operare nel settore con le scadenze che inizieranno a ottobre.



PRESIDENTE

C'è la presentazione di tre emendamenti aggiuntivi dovuti al Consigliere Conti.



BESATE Piero

Desidererei intervenire sulla delibera.



PRESIDENTE

Prima devo dare la parola al Consigliere Conti che illustri i suoi emendamenti e poi la darò a lei.



CONTI Domenico

Sono senz'altro disponibile a ritirare questi emendamenti per non complicare eccessivamente il testo della delibera, là dove l'Assessore volesse darmi, sotto forma di assicurazione, quello che è contenuto invece come oggetto di emendamento.
La prima assicurazione è questa: al terzo comma vorrei sapere se il programma regionale per la formazione professionale, si intende comprensivo dell'orientamento professionale e dei sistemi di controllo relativi all'attività formativa.



VISONE Carlo, Assessore all'istruzione

Desidero assicurare il Consigliere Conti che quanto egli ha espresso è nei nostri intendimenti.



CONTI Domenico

Ultimo comma. Anche qui la formazione professionale di questi studi ricerche, necessari per l'approntamento del progetto è comprensiva dell'orientamento professionale, ne sono parte integrante.
Altro chiarimento desidererei avere: se la legge organica sull'ordinamento della formazione professionale, oltre che il programma regionale, sono comprensivi della formazione e dell'aggiornamento degli operatori del settore, cioè degli organizzatori della formazione professionale, sono comprensivi della formazione e dell'aggiornamento del personale della Regione, degli Enti locali e dei servizi sociali. Questa mi sembrerebbe la logica conseguenza, perché se si è accettato al primo punto della delibera di unificare tutta la materia relativa alla formazione e all'istruzione artigiana professionale della Regione e siccome la formazione professionale è comprensiva della formazione e dell'aggiornamento degli operatori del settore e del personale degli Enti pubblici e dei servizi sociali, mi parrebbe che coerentemente la risposta dovrebbe essere affermativa.



VISONE Carlo, Assessore all'istruzione

Per quanto riguarda la materia in oggetto è evidente che formazione e orientamento sono strettamente connessi, quindi mi pare sia ovvia la risposta.
Circa ciò che dovrà comprendere la legge organica sull'ordinamento poiché la legge sarà frutto di un lavoro comune, noi ne terremo conto e si inserirà anche la formazione del personale della Regione, perché se dobbiamo formare il personale di altri Enti dovremo preoccuparci anche di formare il nostro.



PRESIDENTE

Con queste dichiarazioni il Consigliere Conti si ritiene soddisfatto? Ritira gli emendamenti?



CONTI Domenico

Si perché penso che comprenda anche la formazione del personale dei servizi sociali. Io ritiro quindi gli emendamenti perché sono pleonastici.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Besate.



BESATE Piero

Su questa delibera il nostro gruppo concorda, in complesso, pur avendo come già detto l'altra volta, preferenza per lo strumento di legge. Non ripeto le argomentazioni che ho svolto nella precedente seduta, ma mi preme sottolineare che la delibera ci sembra corretta perché: in primo luogo il Consiglio dà mandato alla Giunta di espletare tutte le operazioni e le attività che vi sono precisate, così affermando che la titolarità dell'esercizio di questa attività appartiene al Consiglio, stabilendo quindi un correttissimo rapporto tra Consiglio e Giunta, al di là delle diatribe che alle volte si fanno sulle questioni di principio più generali.
Vuol dire che la politica ha molto buon senso e la dimensione politica è quella sulla quale si risolvono tante questioni che se affrontate di petto molte volte non vengono risolte; è limitata nella sua efficacia fino all'adozione della relativa legge di delega e mi preme sottolineare come ormai, in ogni discussione, si inciampi nella grossa questione delle deleghe e non potrebbe non essere così, per cui risulta tanto più urgente ad ogni momento, pervenire all'elaborazione ed all'approvazione della legge di delega dell'esercizio delle funzioni. Noi abbiamo approvato il bilancio e abbiamo potuto vedere come questa materia sia sparsa in tutte le sezioni e categorie perché ci è stata trasferita per Ministero e non per settori mentre la delibera la unifica sotto una sola branca dell'amministrazione quella dell'Assessorato al Lavoro, dando un carattere organico alla politica della Regione e in special modo della Giunta in rapporto al problema della formazione professionale. Infine predispone il programma, i criteri e i parametri per l'erogazione dei contributi e dà alla Giunta il mandato di svolgere tutta un'attività di ricerca, di studio per fornire al Consiglio, ai consiglieri e a tutti coloro che hanno l'iniziativa, anche esterna, legislativa, la possibilità di una legge organica.
Detto questo, mi preme chiedere all'Assessore se nel terzo comma, dove si parla di programma da stabilirsi già per l'anno formativo '72/'75, si intende compresa ogni altra attività che derivi alla Regione dalle leggi dello Stato o per diretta competenza o per competenza statutaria. Faccio esempi concreti: la legge sugli asili nido all'art. 6 n. 3 dice che la Regione provvede con propria legge ecc., secondo determinati criteri e parla di personale qualificato ed idoneo. C'è quindi il problema della formazione del personale, come diceva il Consigliere Conti e vorrei sapere se dove si parla del programma si intende comprendere anche questo tipo di attività. Se sì non pretendiamo nessun emendamento alla proposta di delibera, se ci sono dei dubbi lo presentiamo. Mi pare che la risposta data dall'Assessore Visone a nome della Giunta al collega Conti sia positiva comunque l'Assessore mi risponderà.
Inoltre al terzo comma, dove si dice "predispone il programma e stabilisce i parametri" propongo (e qui presento formale emendamento) di far precedere la parola "parametri" dalla parola "criteri" in modo che risulti dalla lettura "predispone i criteri e i parametri" essendo ovviamente due cose diverse ma complementari.



PRESIDENTE

L'Assessore Visone vuole rispondere?



VISONE Carlo, Assessore all'istruzione

Per quanto è stato illustrato dal collega Besate senz'altro nel programma terremo conto anche di queste esigenze, compatibilmente con quelle che saranno le nostre effettive possibilità di incidere in questo primo anno nel settore. Comunque siamo disponibili per operare anche nel settore che è stato sottolineato.
Quanto all'emendamento sono d'accordo.



PRESIDENTE

Il Consigliere Calsolaro chiede di parlare, ne ha facoltà.



CALSOLARO Corrado

Il Gruppo socialista è d'accordo sulla delibera proposta dalla Giunta e per essa dall'Assessore Visone, che corrisponde a precise proposte fatte nel corso della discussione sul bilancio dal Gruppo socialista sullo studio di un programma regionale per l'organizzazione della formazione e dell'addestramento professionale ai fini della elaborazione di una serie organica di interventi, e del coordinamento delle iniziative nel settore secondo criteri di ordine qualitativo e quantitativo. Questa delibera, che riproduce la nostra proposta e che viene presentata per l'approvazione al Consiglio, ha senz'altro il nostro consenso.
Naturalmente insisto (e l'Assessore già ha dato assicurazioni) perch dalla materia della formazione non venga stralciata quella dell'orientamento, che deve essere considerata secondo un'interpretazione non formalmente letterale dei decreti di passaggio delle funzioni ma per quella di sostanza data per esempio, dalle linee di sviluppo elaborate dalla Comunità economica europea sul programma dell'istruzione professionale. Essa comprende due diversi momenti, rispettivamente della formazione e dell'orientamento professionale; quindi è un'interpretazione che si riferisce al criterio seguito nella politica, a livello europeo della formazione professionale.
Vorrei poi chiedere all'Assessore, se è in grado di rispondere, se sono già state fissate le linee degli studi e delle ricerche, attesa la difficoltà denunciata dallo stesso rapporto preliminare dell'Ires che non affronta il problema e che (come appunto faceva notare il collega Conti) in una breve nota a pag. 340, dà atto di queste difficoltà.
Vorrei ancora sapere, se nel piano per l'unificazione della materia per l'esame globale della formazione e dell'orientamento professionale, si intenda anche affrontare il problema della formazione degli orientatori secondo una proposta che i socialisti hanno fatto, cioè la eventuale istituzione di una scuola pilota per istruttori professionali.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Visone.



VISONE Carlo, Assessore all'istruzione

Per alcune domande del Consigliere Calsolaro mi pare che la risposta che ho dato al Consigliere Conti possa soddisfarlo.
Per quanto riguarda gli strumenti che avremo a disposizione per un'indagine, devo dire con estrema franchezza che vi saranno grosse difficoltà in quanto non esistono degli istituti preparati per questo tipo di indagine conoscitiva; cercheremo di creare noi una commissione per poter fare almeno un lavoro di preparazione in questo senso.



PRESIDENTE

Nessun altro? Pongo in votazione la delibera, se mi consentono, integrandola senz'altro con la espressione "criteri e i" cioè non votando a parte questa proposta di emendamento perché la Giunta ha accettato. La delibera si intende quindi già estesa in questi termini "nonché o criteri e i parametri". E' da mettersi in votazione per alzata di mano. E' approvata all'unanimità con l'inserimento letto.


Argomento: Programm. e promoz. attivita" socio-assist. (assist. minori, anziani, portat. handicap, privato sociale, nuove poverta")

Esame dello schema di osservazioni alla bozza di D.P.R. di riordino del Ministero di Grazia e Giustizia


PRESIDENTE

Dovremo adesso occuparci del punto al n. 9 "Esame dello schema di osservazioni alla bozza di decreto del Presidente della Repubblica, di riordino del Ministero di Grazia e Giustizia". Relatore il Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo, relatore

Colleghi Consiglieri, il pericolo che corriamo ogni volta che siamo interessati ad un problema che riguarda la Regione e lo Stato è di essere queruli e rivendicatori, ma non vorrei che nel fornire il parere per il riordino del Ministero di Grazia e Giustizia cadessimo nell'errore di continuare una inutile contestazione nei confronti dello Stato. Noi vorremo soltanto essere ancora una volta rigorosi nello stabilire esattamente quelle che sono le competenze della Regione e quelle che invece sono le competenze che la Costituzione assegna allo Stato, con una netta divisione tra le materie di competenza decentrata regionale e quelle di competenza statuale. Questo per ribadire il concetto che nelle materie indicate dal 117 della Costituzione, non vi può essere competenza residua da parte dello Stato, il quale ha soltanto il potere di coordinamento e di indirizzo generale. Vogliamo solo essere chiari su questo punto, perché rileviamo che in ogni atto che riguarda le competenze specifiche della Regione e dello Stato, si sovrappone sempre la competenza residua mentre l'art. 117 elenca tassativamente, le materie che spetterebbero, nella loro interezza, alla Regione.
Allorché vi sono stati i decreti delegati abbiamo visto, specialmente per quel che riguarda il Ministero dell'Interno, che questo si è attribuito, nel decreto delegato e nel conseguente riordino degli uffici interni, una quantità di poteri che invece per il 117 spettano tassativamente alla Regione.
Così è accaduto per il Ministero di Grazia e Giustizia. A questo punto dovremmo dire: che cosa c'entra la Regione col Ministero di Grazia e Giustizia? C'è una questione di natura generale che lega la Regione al fatto che la giustizia sia correttamente esercitata, perché vediamo che anche là dove il Ministero non tocca la parte di competenza residua che il Ministero stesso si riserva, pur tuttavia nell'altra parte non opera nei termini in cui dovrebbe operare.
Abbiamo già rilevato il mantenimento di una struttura burocratica tenuto presente che molta parte della materia del Ministero di Grazia e Giustizia è assorbita dal Consiglio superiore della Magistratura che soltanto da una decina d'anni opera e giustamente si è attribuito, per legge una grossa parte di quelle che erano le antiche spettanze del suddetto Ministero. Rileviamo che oltre 125 magistrati ancora nel riordino attuale hanno dei compiti di natura amministrativa presso quel Ministero.
Che cosa possono fare questi 125 magistrati se non coprire spesso dei vuoti, essere messi a servizio di qualche ente, istituto, personaggio ministeriale (funzioni che potrebbero essere correttamente esercitate da impiegati)? Questi 125 (o quanti sono adesso) potrebbero invece coprire ruoli che a Torino, Milano, Napoli sono scoperti o per insufficienza dell'organico, o per malattia, assenza, congedi. Spesso vediamo che specialmente nei grandi tribunali, dove sono magari in 150/200, le presenze si riducono alla metà o quasi.
Ma questo è un discorso importante sì per la Regione, ma soltanto di contorno perché oltre al problema specifico della impostazione dell'organizzazione della giustizia che non spetta più solo al Ministero di Grazia e Giustizia ma anche e per grossa parte al Consiglio superiore della magistratura, resta il compito della pronuncia e della decisione da parte della magistratura, specialmente in campo penale, ove abbiamo da 35 a 40.000 ristretti in carcere e ne abbiamo altre migliaia tra minori soggetti a speciali misure, che debbono trovare una loro collocazione nell'ambito delle leggi istitutive e degli indirizzi che dovrebbero presiedere al recupero di chi ha sbagliato per essere riammesso nella società.
Ed ecco che il compito della Regione viene portato innanzi. Se vogliamo fare ancora un paragone guardiamo ciò che succede ad esempio negli Stati Uniti: è vero che all'interno della confederazione degli Stati Uniti le cose sono diverse dalla Regione e dal nostro Paese, anche perché l'ampiezza degli Stati Uniti è maggiore, ma vediamo per esempio che non soltanto la giustizia, ma anche quella che è la dispositività della pena, del regime carcerario, della conseguente applicazione della legge alle sentenze di condanna, spettano agli Enti locali che sono decentrati ed hanno e dovrebbero avere questo compito.
Evidentemente il Ministero di Grazia e Giustizia questo pensiero non lo sfiora nemmeno. Bene ha rilevato, bisogna darne atto, l'Assessore che ha compiuto un attento studio nei confronti del riordino del Ministero, che proprio il capitolo dell'assistenza che dovrebbe trovare un concetto unitario ed unificato di interventi e di poteri, viene nuovamente ripartito con il Ministero di Grazia e Giustizia.
Debbo dare atto che mi è stata di grande insegnamento la relazione dell'Assessore Vietti Proprio in questo capitolo in cui si dice che la competenza circa l'assistenza ai minori, ai carcerati e anche a coloro che sono soggetti a particolari misure, invece di essere delegata alla Regione viene completamente disattesa.
E' sotto questo profilo di carattere generale che conserva tradizionalmente un concetto burocratico nei confronti del Ministero di Grazia e Giustizia e per la caratteristica particolarmente qualificante della residua competenza che viene riaffermata in questo decreto di riordino del Ministero di Grazia e Giustizia, nei confronti specialmente dell'assistenza che per via del 117 spetta integralmente alla Regione, che abbiamo ritenuto di dare un parere negativo che oggi dobbiamo confermare perché non ci sono elementi, per ora, che possano farci ritornare sulla nostra decisione.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Vietti.



VIETTI Anna Maria, Assessore ai servizi sociali

Il Consigliere Viglione ha nel suo intervento notevolmente ampliata la relazione, rivendicando anche la competenza delle Regioni e in un certo senso l'intervento nel sistema carcerario. Nella contestazione dei compiti e delle funzioni alla Regione non giungo fino a rivendicare la competenza sul sistema carcerario, ma ritengo sia necessario introdurvi delle modifiche.
Per quanto riguarda la relazione che il Consigliere Viglione ha presentato, dichiaro a nome della Giunta di concordare pienamente su quanto è stato affermato, anche perché le osservazioni di Viglione a nome della VIII Commissione hanno recepito largamente quelle presentate dalla Giunta stessa, come Viglione ha dato atto anche nel suo intervento, e di questo lo ringrazio.
Nell'effettuare le osservazioni ritorna opportuno mettere ancora in evidenza, per quanto attiene alla materia della beneficenza pubblica, che il decreto del Presidente della Repubblica del 15.1.72 n. 9 ha trasferito alla Regione a Statuto ordinario solo alcune delle funzioni amministrative statali in precedenza svolte dal Ministero dell'Interno. Tutte le analoghe funzioni svolte da altri Ministeri, tra le quali quelle svolte dal Ministro di Grazia e Giustizia, non hanno formato oggetto di trasferimento e restano pertanto di competenza delle amministrazioni dello Stato, con conseguente grave dispersione di mezzi, sovrapposizioni di competenze disorganizzazione amministrativa.
Pertanto il giudizio negativo al decreto di riordinamento del Ministero di Grazia e Giustizia è conseguente al giudizio negativo al decreto n. 9 per il trasferimento delle competenze nell'ambito dell'assistenza.
In particolare, esaminando l'organizzazione e l'attribuzione della direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena ed i servizi periferici di tali istituti, si rileva che le stesse si estendono alla prevenzione, al trattamento del disadattamento minorile, alla protezione dei minori nei riguardi dell'istituto dell'adozione, della tutela e dell'affidamento. Inoltre si riferiscono anche all'assistenza ed al trattamento in libertà degli adulti, dei dimessi e dei loro familiari. I servizi, così attuati dal Ministero di Grazia e Giustizia, diventano fortemente discriminati e non riescono ad ottenere risultati concreti n per la prevenzione del disadattamento minorile, né per il reinserimento nel mondo del lavoro dell'adulto che ha subito la pena.
Pertanto noi riteniamo che si tratti in sostanza di azioni sociali che rientrando nell'arco dei servizi dovrebbero essere di competenza dell'amministrazione regionale, che dovrebbe poter legiferare in proposito e attuare i provvedimenti nel contesto delle istituende unità locali dei servizi sociali.
Analoghe osservazioni possono essere facilmente effettuate.



VIGLIONE Aldo, relatore

Hai parlato di unità locali dei servizi.



VIETTI Anna Maria, Assessore ai servizi sociali

L'ho sempre dichiarato ovunque; ritengo che la Regione nel settore assistenziale debba avere competenza legislativa, programmatoria e che invece l'azione amministrativa debba essere svolta dalle istituende unità locali dei servizi sociali che dovranno svolgere un'attività strettamente connessa con la sanità, l'assetto del territorio, la scuola ecc. Questo l'ho affermato in mille occasioni non so se Viglione non l'ha mai sentito.
Soprattutto desidero affermare che ne sono profondamente convinta perch ritengo che sia l'unico sistema valido per dare al settore socio assistenziale un'organizzazione non più verticalistica ma decentrata sul territorio.
Tornando in argomento rilevo che tutta l'impostazione del decreto concernente o servizi del Ministero di Grazia e Giustizia relativa alla prevenzione e il reinserimento nella società di chi ha subito una pena risente di questi difetti di base e del fatto che sono state trasferite alle Regioni solo alcune funzioni amministrative già del Ministero dell'Interno, interpretando la dizione di beneficenza pubblica nel senso più ristretto, tradizionale e meno consono alle esigenze della moderna società.
Per i suddetti motivi la Giunta è favorevole alle osservazioni del relatore dell'VIII Commissione, che vivamente ringrazia.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchesotti.



MARCHESOTTI Domenico

Concordiamo con la relazione del Consigliere Viglione ed approviamo le osservazioni presentate a nome della VIII Commissione.



PRESIDENTE

Più nessuno chiede la parola? Pongo in approvazione lo schema di osservazioni alla bozza del decreto Presidente della Repubblica di riordino del Ministero di Grazia e Giustizia nel testo che è stato inviato a ciascun Consigliere, con le osservazioni aggiuntive del relatore Viglione e le precisazioni dell'Assessore Vietti.
Chi approva è pregato di alzare la mano. E' approvato all'unanimità.


Argomento: Esercizio delle funzioni amministrative trasferite o delegate dallo Stato alle Regioni - Delega di funzioni regionali agli enti locali - Assistenza e sicurezza sociale: argomenti non sopra specificati - Sanita': argomenti non sopra specificati

Esame dello schema di osservazioni alla bozza di D.P.R. di riordino del Ministero dell'Interno


PRESIDENTE

Passiamo al n. 10 "Esame dello schema di osservazioni alla bozza del decreto Presidente della Repubblica di riordino del Ministero dell'Interno". Relatore il Consigliere Beltrami.



BELTRAMI Vittorio, relatore

Signor Presidente, signori Consiglieri, la relazione è stata distribuita ai colleghi; mi auguro che il Consiglio - così com'è accaduto per la precedente votazione - abbia a farla sua. Immagino anche che i Consiglieri, almeno in parte, l'abbiano vista, quanto meno sfogliata, per cui evito la meccanica ripetizione estraendo per sommi capi il testo di alcune osservazioni. Esse di fatto ricalcano le linee seguite dalla Giunta che sono di reiezione, di totale rifiuto del progetto di riordino del Ministero degli Interni e vengono dilatate dalle Commissioni IV e VIII compiutamente per quanto attiene al settore degli enti locali.
Si ritiene che il Consiglio Regionale non possa che assumere una posizione di piena totale coerenza con le osservazioni che a suo tempo ha ritenuto di esprimere allorquando è stato chiamato a discutere il trasferimento alle Regioni a Statuto ordinario, delle funzioni amministrative statali, in particolare per quanto riguarda il settore della beneficenza pubblica che noi insistiamo nel definire settore "della sicurezza sociale".
Allora venne proposto, in termini allarmanti, il quadro di desolazione entro il quale sarebbero state chiamate ad operare le Regioni a Statuto ordinario, per la distorsione che il decreto di trasferimento, allora in discussione, arrecava ai principi informatori della carta costituzionale creando, tra l'altro, scompensi di gestione difficilmente sanabili nel futuro.
Dello stesso parere era la Commissione parlamentare per le questioni regionali che alla fine del 1971 esprimeva le stesse cose richiamandosi ancora ai concetti interessanti la sicurezza sociale, settore organicamente collegato, così diceva la Commissione, non solo con i servizi sanitari e con la previdenza, ma con la politica sociale della casa, della scuola della famiglia ed ancora avvertiva che la legge quadro di riforma del settore avrebbe dovuto precedere e non seguire il decreto delegato. L'avere concepito il trasferimento da beneficenza pubblica per Ministeri e non per materia ha impedito una visione organica del problema e quindi della sua soluzione, settorializzando in termini inorganici le varie attività consentendo la prosecuzione in termini strumentali ed accessori di quella di altri Ministeri e da ultimo riconferendo al Ministero degli Interni la vera competenza in materia.
A pag. 6 della relazione per memoria vengono individuate le funzioni residuali al Ministero. Di conseguenza nel Paese si dà luogo alla realizzazione di un quadruplice e costoso sistema di intervento nel servizio assistenziale, il primo regionale; il secondo privato e controllato dal Ministero dell'Interno, anche se si ha notizia proprio in questi giorni che, almeno sul piano della delega, questo controllo sarà dato alle Regioni; il terzo direttamente gestito dai vari Ministeri ed il quarto gestito dai vari enti pubblici nazionali assistenziali.
Nella sostanza, viene raggiunto il fine opposto a quello per il quale sono state create le Regioni, di semplificazione e razionalizzazione del sistema di decentramento e si moltiplicheranno ed aggraveranno a livello locale e regionale le caratteristiche di frammentarietà e di disarticolazione, conflitti di competenza, lacune, sovrapposizioni doppioni ecc. dell'attuale sistema assistenziale.
Sulla base di questa impostazione la beneficenza pubblica non solo non è estesa al criterio del servizio sociale, ma non comprende neppure il concetto limitato di assistenza e beneficenza che è stato fatto proprio dal legislatore sin dal 1923, in sostituzione della più ristretta dizione di "beneficenza" quale era quella che animava la legge del 1890 sulle opere pie; anche se in sede di note preliminari del bilancio del Ministero dell'Interno veniva riproposta la coincidenza concettuale tra assistenza pubblica e assistenza sociale. Questi indirizzi del resto sono confermati dal programma di sviluppo economico nazionale; inizialmente con la legge del '67 vengono riproposti per l'arco dal '71 al '75, là dove si propone una visione organica degli interventi per il ricupero dell'uomo e la sua affermazione globale in soluzioni non emarginanti ma promozionali verso la sicurezza sociale.
La Regione Piemonte ancora oggi riafferma il principio, al di là dell'articolazione del provvedimento, che non può essere il Ministero degli Interni per la vastità della sua sfera operativa, ad affrontare e risolvere il problema dell'assistenza con il carattere, riproposto di una presenza risolutiva, anche in ordine al reinserimento del soggetto dell'uomo nella società. Questo atteggiamento non vuole essere irriguardoso verso lo sforzo fatto dagli estensori del proposto riordino del Ministero degli Interni, ma semplice constatazione dell'inconciliabilità tra la visione organica del problema dell'assistenza pubblica sociale e beneficenza, in ordine alle competenze che la Costituzione affida alle Regioni ed il noto trasferimento attuato con il decreto delegato più volte richiamato nella relazione, che è stato innegabilmente, per chi ha potuto seguirne le diverse fasi dei passaggi romani, il decreto più tormentato di quelli che riguardavano i trasferimenti alle Regioni. Di fatto, rinviando i colleghi ad un approfondimento della relazione, essa verte su due settori: quello dell'assistenza e beneficenza e quello degli Enti locali, trascurando la complessa organizzazione del Ministero degli Interni, si è cercato di evidenziare gli aspetti contradditori del proposto provvedimento, là dove gli stessi esprimono un giudizio di rigida contrapposizione alla nuova articolazione strutturante la trasformazione della comunità nazionale, in dipendenza della nascita dell'Istituto regionale, avuto riguardo alle materie di cui agli art. 117 e 118 della Costituzione della Repubblica.
Quindi vengono esaminate, nella relazione, le strutturazioni della direzione generale dell'assistenza pubblica e della protezione civile dell'amministrazione per l'attività assistenziale italiana ed internazionale per i servizi centrali, le prefetture e gli stessi uffici regionali della predetta amministrazione per i servizi periferici.
Specificatamente alcune osservazioni riguardano l'art. 5 sulle divisioni 12 e 13 per i rapporti in chiave assistenziale col personale degli Enti locali; l'art. 29 sull'ordinamento delle prefetture per quanto attiene il coordinamento delle attività assistenziali; l'art. 52 riguardante la complessa organizzazione dell'amministrazione assistenziale italiana ed internazionale dell'A.A.I., in particolare per quanto attiene la mancata definizione dei compiti e del livello dei costituendi uffici regionali.
Altre osservazioni riguardano l'evidente volontà posta nel decreto di riordino, di interferire nel settore delle competenze attribuite alle Regioni nei confronti degli Enti locali, competenze, si sottolinea, che hanno radicalmente trasformato l'ordinamento giuridico positivo per quanto attiene alla sostituzione delle Regioni allo Stato, nei rapporti con la pubblica amministrazione locale, rifiutando il declassamento delle Regioni da elementi costitutivi dell'organizzazione costituzionale dello Stato a meri strumenti di decentramento amministrativo.
A tale fine vengono fatte diverse osservazioni: all'art. 1 dove si stabiliscono i rapporti tra l'amministrazione centrale e quella regionale con il rifiuto di un rapporto gerarchico e con l'individuazione dei modi di stabilire l'indirizzo e il coordinamento fra le due amministrazioni; agli artt. 2 e 5, là dove richiamandosi al trasferimento delle funzioni amministrative in materia di circoscrizioni comunali, di polizia urbana e rurale, si rivendicano queste competenze e quindi si nega alla direzione generale dell'amministrazione civile di sovrintendere agli affari che interessano i comuni, le Province, gli altri Enti locali, l'ordinamento territoriale ed il personale degli stessi. Vengono parimenti rivendicate alle Regioni le attribuzioni di esaminare i bilanci degli Enti locali deficitari, sottraendoli alla stessa direzione generale.
Si osserva inoltre che talune materie, rivendicate nell'ambito della direzione generale dell'amministrazione civile Divisione III, fanno parte di identiche competenze attribuite all'ufficio Regioni presso la presidenza del Consiglio dei Ministri e non tengono conto oltre tutto di un Ministero anche se destinato ad estinguersi naturalmente per termini di attività di cariche e di indirizzo, per l'attuazione delle Regioni che potrebbero avere pari competenze.
Altre osservazioni riguardano la Divisione V sulla organizzazione funzione, servizi affari comunali che rientrano nelle funzioni trasferite alle Regioni; per gli affari provinciali, Divisione VI; per l'attività economica per le Province ed i Comuni Divisione VII; la Divisione VIII in materia di bilanci comunali e provinciali i quali non hanno più bisogno di richiami a superiori adesioni in quanto sono approvati in termini definitivi dalle Commissioni di controllo regionale; la Divisione IX per i bilanci deficitari, ecc.
Concludendo l'esame dello schema di decreto si è voluto evidenziare che lo stesso, compilato contestualmente al decreto di trasferimento delle funzioni in materia assistenziale, non tiene conto né dell'esigenza degli utenti, né della funzionalità delle Regioni. Invade poi l'altra larga sfera operativa dei rapporti con gli Enti locali, le cui competenze sono state trasferite alle Regioni. Si evidenzia ancora come nonostante la costruzione di un nuovo ordinamento, di una nuova struttura intermedia, quella regionale, quindi con una diminuzione dell'attività centralizzata dello Stato, le direzioni generali rimangono ancora otto ed il numero delle Divisioni generali aumenta da 89 a 116, pur con le consentite ed intuibili registrazioni di strutture. Non si accenna alla riduzione degli organici che dovrebbero pur tener conto del limitato trasferimento avvenuto dal Ministero degli Interni alle Regioni.
Lo schema di provvedimento, dunque, oggi esaminato, conferma che il cammino della Regione è lento e difficile, che nell'immediato futuro saremo chiamati ad affrontare situazioni di confusione su una materia quale quella della beneficenza e assistenza che invece invoca organicità e tempestività di intervento, in una visione globale del quadro socio-politico che investe problemi angoscianti sotto il profilo umano, la soluzione dei quali non pu essere rimessa all'episodicità, alla frammentarietà e alla confusione delle competenze. Rimane da invocare, così come è stato fatto a chiusura della relazione, che sia offerta quanto prima alla Regione di riabilitarsi con l'acquisizione della pienezza delle competenze, in particolare nel settore della sicurezza sociale, attraverso il giudizio di appello riabilitativo che può giungere dal decreto delega supplementare (ed è nell'aria che sia imminente traduzione ed emanazione) e l'auspicata legge quadro per la riforma del settore assistenziale. Quest'ultima, alla luce di quanto è stato detto e di quanto particolarmente è stato scritto, appare oggi sempre più urgente e indifferibile.



PRESIDENTE

Qualcuno ancora chiede di parlare? La parola al Consigliere Marchesotti.



MARCHESOTTI Domenico

Non abbiamo nessuna osservazione da fare all'ottima relazione presentata dal Consigliere Beltrami, a nome della VIII Commissione, perci la approviamo.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Vietti.



VIETTI Anna Maria, Assessore ai servizi sociali

Ringrazio vivamente il Consigliere Beltrami. La Giunta concorda con la sua relazione sul decreto di riordinamento del Ministero dell'Interno perché essa recepisce fedelmente le osservazioni espresse dalla Giunta stessa che non sto quindi a ripetere. Il giudizio negativo che si esprime così com'è avvenuto per il decreto di riordinamento del Ministero di Grazia e Giustizia, è conseguente al giudizio negativo sul D.P.R. 15/1/72 n. 9 che ha un contenuto frammentario, disgregatore e che non tiene conto n dell'esigenza degli utenti, né della funzionalità delle Regioni di cui mortifica l'autonomia.
In particolare si rileva che qualora mediante il trasferimento delle funzioni alle Regioni fosse stato rispettato il dettato costituzionale che prevede un effettivo trasferimento per settori organici di materie conservando allo Stato solo i poteri di indirizzo e di coordinamento, gli obblighi internazionali e gli impegni connessi con il programma economico nazionale - quasi tutte le competenze attribuite alla Direzione Generale dell'Assistenza Pubblica ed all'A.A.I., dovrebbero essere invece competenze regionali.
Non si può quindi che evidenziare che lo schema del decreto in esame riflette e comprende tutte le carenze ed i limiti del decreto delegato n. 9 e che quindi non può che essere respinto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Viglione.



VIGLIONE Aldo

Quale Presidente dell'VIII Commissione ringrazio il relatore Beltrami del lavoro che ha fatto.
E' veramente incredibile, ma leggendo lo schema di decreto di riordino del Ministero dell'Interno si assiste ad una palese violazione del dettato costituzionale. Se una certa ragione vi poteva ancora essere, nel riordino del Ministero di Grazia e Giustizia per quanto atteneva al concetto di assistenza, perché si poteva dire che vi era ancora una logica tra l'inizio e la conclusione della giustizia, nel decreto del Ministro dell'Interno non vi è alcuna logica, il Ministero si trattiene tutto o quasi tutto. E' vero che si può dire che con il decreto attualmente in gestazione (pare che debba essere quanto prima concluso) si trasferisce, ma si trasferiscono le funzioni amministrative ai sensi del 118, che è tutta un'altra cosa, cioè si aggrava enormemente questa ripartizione. E' chiaro, leggendo la relazione, che è tutta una serie infinita di materie che viene o attratta esclusivamente dal Ministero dell'Interno o variamente ripartita con le Regioni.
C'è anche da fare un'altra osservazione: assisteranno le Regioni impassibili, a questa marcia che viene fatta da parte, si dice, della burocrazia? Intanto non è credibile che sia una marcia della burocrazia, la marcia è politica, non si può dire che la burocrazia non vuole cedere il potere decentrato alle Regioni e quindi preme per mantenerlo, non le crediamo, noi crediamo che c'è esclusivamente una volontà politica che viene meno perché se ci fosse una volontà politica diretta a fare finalmente scattare l'operazione di trasferimento delle competenze esclusive costituzionali, sarebbe assai più semplice perché il fatto burocratico può essere superato in ogni momento.
Questo e il riordino del Ministero dell'Interno, che tra l'altro è assai importante perché nel suo bilancio non bisogna dimenticare che esistono ben 106 miliardi annui per la così detta beneficenza. E' una cosa di estrema importanza quando si pensi che alla Regione Piemonte, per il solo fatto del trasferimento pieno, sul solo capitolo della beneficenza potrebbero essere trasferiti, data l'importanza della Regione, non meno di dieci miliardi all'anno; quando si tenga presente che il nostro bilancio è di 48 miliardi e che dal Ministero dell'Interno alla Regione Piemonte, sul solo capitolo beneficenza potrebbero essere trasferiti dieci miliardi, si ha l'idea di quale forza possa avere questa materia. Però non possiamo assistere impassibili a questo, bisognerà pure promuovere all'interno e all'esterno del Consiglio Regionale un movimento che investa i parlamentari, i cittadini, le forze politiche, gli Enti locali, perch finalmente sia dato al dettato costituzionale l'avvio per un trasferimento vero alle Regioni.
Quindi il giudizio negativo è dovuto a questa marcia che la Regione compie verso quell'altra marcia che viene compiuta dal settore centrale che, ripeto, è falsamente indicato nel termine "burocrazia" mentre sarebbe più giusto indicarlo nel termine "forze politiche".



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Fabbris, ne ha facoltà.



FABBRIS Pierina

Prendo la parola per dire che alla dichiarazione fatta dal collega Marchesotti in ordine alla relazione presentata da Beltrami per la VIII Commissione, lo stesso giudizio venga esteso anche per conto della IV Commissione che congiuntamente ha esaminato lo stesso decreto.



PRESIDENTE

Nessun altro avendo chiesto di parlare porrei in votazione per l'approvazione lo schema di osservazioni alla bozza del decreto del Presidente della Repubblica sul riordino del Ministero dell'Interno in base allo scritto della Giunta, alla relazione del Consigliere Beltrami e alle osservazioni che sono state fatte, a nome della Giunta, dall'Assessore Vietti.
Chi approva è pregato di alzare la mano. E' approvato all'unanimità dai presenti.


Argomento:

Esame dello schema di osservazioni alla bozza di D.P.R. di riordino del Ministero dell'Interno

Argomento:

Convocazione prossime sedute del Consiglio


PRESIDENTE

Io sono a disposizione del Consiglio, dovremmo passare a trattare le mozioni. Il Consiglio dice di no? Allora la seduta è tolta ed il Consiglio è riconvocato per le ore 9,30 e 16 di giovedì 20 luglio, per le ore 9,30 e 16 di venerdì 21, occorrendo per le ore 9,30 di sabato 22. Io mi auguro che le prime due giornate siano sufficienti.


Argomento:

Convocazione prossime sedute del Consiglio

Argomento:

Interrogazioni (Annuncio)


PRESIDENTE

Sono pervenute due interrogazioni, una a firma Garabello-Conti-Soldano che interrogano il Presidente e l'Assessore competente per sapere che cosa sia accaduto in una riunione di assessori all'assistenza convocata a Torino e un'altra del Consigliere Nesi al Presidente della Giunta regionale e all'Assessore all'urbanistica e all'industria per sapere se risulta che la Giunta comunale di Caselle Torinese avrebbe deliberato in giugno di concedere alla Società Venchi Unica la licenza per la costruzione di uno stabilimento alla frazione Mappano e cose inerenti. Verranno mandate insieme all'o.d.g.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19,10)



(La seduta ha termine alle ore 19,10)



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