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Dettaglio seduta n.102 del 07/07/72 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE OBERTO


Argomento: Bilanci preventivi

Bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 1972 (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
E' iscritta a parlare la Consigliera Fabbris, ne ha facoltà.



FABBRIS Pierina

Signor Presidente, signori Consiglieri, è già stato ricordato da altri colleghi come, nell'esprimere il parere sul decreto delegato di trasferimento dell'esercizio delle funzioni alla Regione in materia di assistenza e beneficenza, il nostro Consiglio e la Giunta espressero parere negativo. Ed è a questo che desidero richiamarmi nell'impostare il mio intervento, perché mi sembra qualificante quello che abbiamo fatto in quel momento.
Infatti, nell'esprimere parere negativo su quanto trasferito o che intendevamo trasferire allora con la proposta di decreto, il Consiglio ebbe a dire che questo decreto era lesivo dei compiti della Regione per l'intera materia perché in contrasto con l'art. 117 della Costituzione, criticando tale fatto, anche in relazione ad una nuova definizione della materia, in riferimento appunto ai postulati della Costituzione, la quale (e cito testualmente il documento che allora approvammo sul decreto delegato) "ha posto le basi di un radicale rinnovamento nel rapporto tra organi pubblici e cittadini, in tema di assistenza nell'ambito dell'evoluzione sociale e politica degli ultimi tempi, che ha creato le condizioni per realizzarlo sostitutive del precedente sistema che era fondato su elargizioni di carattere discrezionale, a favore di predeterminate categorie di cittadini discriminati secondo un criterio di povertà. Ora invece si pone l'accento sul diritto soggettivo di tutti i cittadini ad un servizio di carattere sociale prevalentemente aperto. In tal senso si deve ribadire l'esigenza che l'intero settore venga riformato con una legge quadro e che tutta la legislazione sia adeguata alle esigenze delle autonomie regionali".
In questo senso il Consiglio precisò la propria interpretazione sulla definizione della materia, inquadrandola quindi nel contesto della situazione politica attuale ed affermando che "l'oggetto e la finalità di un adempimento regionalista si inquadrano nella realizzazione di un postulato costituzionale diretto a incidere in modo determinante nel processo di sviluppo sociale e politico del nostro Paese".
E continua il documento: "La Regione intende essere protagonista delle scelte di fondo, vuole essere l'originale matrice di un nuovo tipo di rapporti all'interno di un contesto sociale vecchio e superato e in particolare ciò vuol essere in un campo, come quello della beneficenza, che investe un arco di interessi e di prospettive di speciale rilievo e significato".
Continuo a citare quanto abbiamo approvato e riportato dal bollettino ufficiale in relazione alla discussione sul decreto delegato: "Per cui il superamento dell'intervento assistenziale, cioè dell'emarginazione sociale che è alla base dell'attuale sistema con cui viene elargita l'assistenza postula un'inversione di tendenza di cui si enunciano alcune imprescindibili condizioni, per l'attuazione della quale è necessaria una politica veramente sociale da parte della Regione, che si concretizzi in un indirizzo del tutto nuovo, atto a rimuovere le cause che creano il bisogno".
In particolare (risparmio a tutti voi Consiglieri, perché eravate presenti quando ne abbiamo discusso) si auspicava una serie di riforme di carattere generale a partire dal trasferimento degli stanziamenti dei consumi privati a quelli collettivi, all'unificazione di servizi, di interventi sociali a livello sia politico che tecnico onde evitare il riprodursi di fenomeni di divisione, settorializzazione ecc., auspicando nell'ambito di una serie di riforme di carattere generale, anche quella di carattere specifico del settore dell'assistenza.
Ho ritenuto opportuno questo richiamo - e vi chiedo scusa - non certo per far torto alla vostra intelligenza e alla vostra memoria nella quale penso, è ben presente questo atto politico che fu giudicato da tutti positivo, ma perché mi sembra che non solo in questa occasione noi ebbimo a precisare il carattere e la finalità della materia per rivendicarne la piena competenza da parte della Regione in una visione di carattere riformatore dell'attuale situazione in campo di assistenza e beneficenza.
Questo richiamo mi sembra opportuno perché, partendo da questa visione di carattere politico, è necessario che per impostare tutta l'attività, ci rifacciamo a questi presupposti politici che d'altra parte sono presenti nello Statuto. Questo però (ed è per questo che mi sono richiamata più volte al documento che ho citato) io non l'ho ravvisato nell'impostazione dell'attuale bilancio che è stato definito da alcuni di carattere transitorio, da altri in maniera più impegnativa della linea politica che intende seguire la Giunta in prospettiva. Questo orientamento io non l'ho riscontrato nell'impostazione dell'attività del bilancio, anzi, è proprio da qui che riscontro una palese contraddizione tra il valore di principio delle affermazioni contenute in questo documento e quanto invece si ritrova fra le cifre, le voci e i capitoli del bilancio.
La prima osservazione critica che mi sento di muovere a questo riguardo interessa proprio il metodo e l'impostazione seguiti nel fare il bilancio che a mio avviso è un metodo burocratico di pura amministrazione della spesa dello Stato. E qui voglio fare un inciso: so benissimo che per alcune cose che io citerò noi abbiamo solamente il compito di amministrare quello che negli anni precedenti era fatto dallo Stato. Questo lo dico perché non vorrei che il Consigliere Gandolfi (che non è presente) anche se ho sempre molte cose da imparare, mi facesse rilevare che sto facendo un discorso a sproposito. Io so benissimo, dicevo, che esiste questo particolare, ed è perciò che mi sento di rilevare una contraddizione tra i postulati politici votati dal Consiglio nei documenti sopracitati e l'affermazione della Giunta a proposito del capitolo che riguarda l'assistenza e la beneficenza e nella relazione di presentazione del bilancio, là dove si dice che è stato fatto quanto negli anni precedenti era stato fatto dalle prefetture.
Ma dobbiamo prenderlo così com'è questo capitolo e spostarlo nel nostro bilancio? So che vi sono voci obbligatorie, per cui dobbiamo spendere quei soldi solamente a quel fine, nel decreto delegato abbiamo reclamato perch lo Stato intendeva trasferirci solo una piccola parte di quanto ci veniva affidato invece dal legislatore nella Costituzione, e reclamavamo che l'orientamento della spesa, per quanto riguarda l'assistenza e la beneficenza, doveva essere un altro, sostitutivo dell'attuale, con un servizio aperto di carattere sociale. Perché non si è in questo bilancio tentato, pur nei limiti costrittivi del decreto delegato, di aprire questa possibilità, questo spiraglio attraverso un'impostazione diversa da quella adottata finora da parte delle prefetture? Mi pare cioè che, pur nell'ambito dei limiti - e lo dimostrerò citando alcuni esempi - che siamo costretti a tenere in considerazione, ai quali siamo legati per l'attuazione di queste materie da parte del decreto delegato, ci sia la possibilità di esprimere una volontà politica che ci consenta se non altro di aprirci la strada per modificare il modo col quale è stata impostata finora l'attività. Ed è proprio questa volontà politica che a mio avviso manca. E' qui la contraddizione con le osservazioni politiche positive che facemmo a suo tempo al decreto delegato e che perci non si qualifica il modo nuovo col quale la Regione ci proponeva di lavorare allorquando abbiamo steso insieme quelle osservazioni critiche al bilancio. Allora noi non solo rivendicavamo la complessità della materia ma individuavamo anche nuovi soggetti che dovevano essere, con la Regione o nuovi strumenti di attuazione di una politica diversa. E questi li individuavamo nei comuni, Province, e gli Enti locali. Cosa che invece non ritrovo nelle voci che abbiamo esaminato.
E porto un esempio: al cap. 500, là dove si parla di spese per rette e sussidi dalle istituzioni pubbliche e private di assistenza e beneficenza e altri istituti ecc., si stanzia la somma di 100 milioni. Ma questi cento milioni siamo sicuri che vadano bene per questa voce? Intanto io a monte di questa considerazione mi pongo un'altra domanda: perché dobbiamo pagare dei sussidi a delle istituzioni pubbliche e private nel momento in cui, con le osservazioni che facemmo a suo tempo al D.D. ed alle quali mi sono richiamata prima, prendevamo una posizione politica ben chiara che individuava nella piena competenza della Regione, attraverso gli strumenti che dicevo, il superamento di un'attività di carattere chiuso, settoriale e auspicavamo invece un'attività aperta? Perché dobbiamo continuare ad elargire sussidi non meglio precisati? Per che cosa? A me pare di interpretare che il sussidio non è che la garanzia della continuazione dell'attività di questi enti. Se non abbiamo ancora le strutture necessarie per svolgere autonomamente questa attività, paghiamo le rette, ma non i sussidi.
Oltre tutto noi non conosciamo la vera situazione del Piemonte a questo riguardo. Ricordo che durante le consultazioni mi aveva stupita l'affermazione di una persona che era venuta in rappresentanza di non so quante centinaia di enti privati. Quali e quanti sono gli istituti che hanno uno scopo così detto benefico ed ai quali diamo dei soldi? Qual è la loro funzione? Quanti sono i minori ricoverati in questi istituti? Perché non facciamo invece un'altra scelta? E' questo l'interrogativo che pongo alla Giunta. Nel momento in cui diciamo che questo è un tipo di attività che deve essere superata, proponiamoci di pagare solamente la retta per le persone che sono ancora in questi istituti, e contemporaneamente impegniamoci a studiare il modo di utilizzare i sussidi per creare una situazione alternativa all'attuale: credo che valga la pena quanto meno di riflettere su questo interrogativo, altrimenti c'è una discrepanza tra quanto affermiamo da un punto di vista politico, quando approfondiamo l'argomento e prendiamo posizioni avanzate e quanto invece andiamo facendo tutti i giorni. Mi sembra che non sia stato fatto molto per tentare di precostituire una situazione che si prefiguri la possibilità di cambiare l'attuale stato di cose.
Se andiamo a vedere i capitoli 510 e 518, vediamo che sorgono altri problemi come i contributi agli enti comunali di assistenza di carattere ordinario e straordinario. Questi enti sono oggi, per la loro struttura per la loro attività, rispondenti a ciò che noi ci proponiamo di realizzare nel campo dell'assistenza? Ci consentono, gli stessi, di attuare concretamente una nuova politica assistenziale? Così mi pongo un altro interrogativo per quanto riguarda gli anziani.
Non c'è una parola nel bilancio su questa grossa questione, mentre molto apertamente dobbiamo riconoscere che, indipendentemente da noi, ci sono molte iniziative in Piemonte, promosse da comuni e anche da province, per tentare di dare una soluzione nuova a questo problema. Io credo che sia assolutamente necessario che la Regione, anche se in quantità limitata, si proponga di aiutarle, di incoraggiarle queste esperienze, anche per coerenza a quanto abbiamo espresso nel decreto delegato.
Un altro campo che secondo me merita riflessione è quello relativo al cap. 520: concorso nelle spese per l'assistenza estiva ed invernale ai minori bisognosi ecc. A parte la questione di metodo, a me non sembra molto corretto il modo di procedere che è stato adottato dalla Giunta allorquando, con una circolare che è stata inviata ad enti gestori e non li informa di eventuali diritti che essi hanno di ottenere contributi per istituire le colonie. Questo l'ho appreso dal bollettino ufficiale che pubblicò la circolare dell'Assessore, mentre il Consiglio non è stato minimamente investito del problema.
E' vero che si tratta di una materia delegata per la quale ci sono dei limiti, però mi sembra che il Consiglio, tutto sommato, avrebbe avuto qualcosa da suggerire. Mi risulta che in qualche altra Regione il metodo seguito sia stato un altro; la cosa è stata discussa in Consiglio e insieme è stata esaminata l'opportunità di elargire agli enti quello che gli anni precedenti era stato dato dalle prefetture, fermo restando però l'obiettivo della Giunta di tentare di costruire un rapporto nuovo con gli Enti locali che consenta in futuro, in modo specifico il prossimo anno di impostare il lavoro in modo diverso, in modo nuovo.
Ecco la critica che io muovo alla Giunta. A me sembra di ravvisare in questi elementi la mancanza di una volontà politica di riuscire a creare una situazione che consenta di superare l'attuale fase che tutti abbiamo criticato e che ci proponiamo, se non altro nei documenti, di superare. In modo particolare mi pare di ravvisare elementi di critica nella mancanza di misure atte a determinare l'esatta conoscenza dell'attuale situazione. E qui ancora una volta mi richiamo al bilancio, là dove si dice che, per questa attività, spendiamo la cifra presa pari da quanto speso dalla Prefettura. Questo non mi pare sia in quella visione politica che ci eravamo prefissi di portare avanti. In secondo luogo mancano misure atte a creare un servizio nuovo aperto, democratico e partecipato di assistenza sociale, che risponda alle linee che ci siamo proposte quando abbiamo affermato i principi ai quali prima mi richiamavo.
In terzo luogo, ed è l'aspetto, a mio parere, meno positivo, non risultano iniziative atte a sollecitare la collaborazione da parte degli Enti locali in particolare dei Comuni nell'attività di ricercare delle misure necessarie per attuare, pure nei limiti consentiti, le condizioni a modificare la situazione e il modo con il quale dobbiamo svolgere l'assistenza e la beneficenza.
Vi chiedo scusa se più volte mi sono richiamata a queste cose, ma mi sembra che non si possa sfuggire ad un ragionamento che parte da un presupposto di carattere politico più generale, più globale. Io mi permetto quindi di proporre alcune linee atte ad impostare un'attività che tenga conto degli obiettivi politici che ci siamo proposti e nello stesso tempo che consenta di adeguare il bilancio a queste necessità di carattere politico.
Intanto a me pare necessario, per quanto riguarda gli istituti accettare le cause del ricovero e la possibilità di una progressiva eliminazione delle istituzionalizzazioni. Quando parlo di istituti comprendo anche gli ospedali psichiatrici, quindi tutto l'arco delle istituzioni. Occorre inoltre bloccare la costruzione e l'acquisto di nuovi istituti per minori, per anziani e per handicappati (vi risparmio un lungo elenco di istituti che sono in programma e di prossima apertura).
Infine bisogna istituire dei servizi alternativi, non dopo, ma contestualmente allo sviluppo coordinato dei servizi sociali di base assicurando la continuità delle prestazioni che diano la garanzia del necessario economico per vivere, all'assistenza domiciliare per minori anziani e handicappati, all'abolizione delle classi differenziali e delle scuole speciali, fatto che richiede la piena applicazione del decreto del Presidente della Repubblica per l'assistenza scolastica, sul quale altri colleghi sono intervenuti e atte a promuovere, a seconda dei casi l'adozione e l'affidamento familiare a scopo educativo dei minori l'applicazione non emarginante delle nuove leggi (parlerò poi della questione degli asili nido) prevedendo focolari per minori e pensionati per anziani, inseriti in modo sparso nelle comuni case di abitazione, curando la creazione di servizi culturali, ricreativi e sportivi per l'impiego del tempo libero aperti a tutti i cittadini, l'utilizzo dell'istituto della delega agli Enti locali, soprattutto ai Comuni ed ai loro consorzi, in vista della creazione delle unità locali dei servizi; infine il progressivo assorbimento da parte degli Enti locali delle funzioni oggi svolte ed altre istituzioni. Ho in mente, quando parlo di questo, per esempio l'OMNI sul quale più volte abbiamo iniziato il discorso.
Devo ancora dire alcune cose sulla questione degli asili nido, perch se queste critiche sono importanti in relazione ai presupposti che questo Consiglio si è posto quando rivendicava la piena potestà di legiferare e di programmare in materia di assistenza e di beneficenza in base a quanto è previsto dalla Costituzione, la cosa è ancora più problematica per non dire più grave per quanto riguarda gli asili nido. Infatti mentre per le cose che ho detto prima vi sono dei limiti imposti dai decreti delegati, per la legge sugli asili nido siamo in presenza, come abbiamo detto già nel mese di febbraio, nel corso della discussione avvenuta in Consiglio, della prima legge quadro fatta dal nostro Parlamento, la quale investe in pieno i poteri del Consiglio Regionale nell'ambito della programmazione e della attuazione della legge stessa.
Il fatto che dal mese di febbraio ad oggi non ci siano state iniziative concrete, è di una gravità eloquente. Così a mio parere non è giusto che nel bilancio si consideri solo una parte del fondo che dovrà essere usato per la costruzione degli asili nido, ben sapendo che una gran parte di questo fondo, ed è la parte maggiore, dovrà ancora essere conteggiata.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Finché non c'è non possiamo metterlo.



FABBRIS Pierina

E' vero che finché non c'è non possiamo usarlo.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Metterlo, non usarlo.



FABBRIS Pierina

Però non possiamo neanche ignorarlo. Se aspettiamo di poter disporre di questo fondo per predisporre il suo utilizzo, partiamo con un anno di ritardo: il fondo è costituito da due parti, una è quella che ci hanno già comunicato, la seconda ce la comunicheranno a fine anno, per presumibilmente possiamo considerare che si aggirerà attorno al miliardo.
Ora noi possiamo disporre di circa due miliardi.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Se non ci è stato dato non possiamo metterlo in bilancio.



RASCHIO Luciano

Dovevate dire: intendiamo costruire per il '72 tanti asili nido, una parte con questi milioni, gli altri verranno. Ma non l'avete detto.



FABBRIS Pierina

Io so benissimo che non si possono spendere soldi che non ci sono, ma so che la volontà politica di attuare una certa cosa la si esprime anche con dei documenti. Per esempio: nel mese di febbraio, quando abbiamo esaminato per sommi capi la legge sugli asili nido, la sottoscritta fece alcune proposte e vi ricordo le più qualificanti perché secondo me sono ancora valide: è necessario fare il piano di previsione del fabbisogno non attorno ad un tavolo, ma attraverso delle conferenze provinciali, insieme con i Comuni, le Province, le organizzazioni sindacali e le formazioni sociali esistenti nelle località, per predisporre il piano annuale e programmare il piano quinquennale. L'Assessore Vietti quando discutemmo di questo (ed io mi trovai d'accordo allora con le considerazioni che ella fece) ebbe a dire che l'asilo nido è un servizio per la famiglia e per la prima infanzia e deve essere di tipo residenziale, ossia deve essere situato nell'ambito della zona di residenza delle famiglie che usufruiscono del servizio. Oggi esistono 97 asili nido con 4755 posti a fronte di 170.000 bambini residenti nella Regione, che coprono un fabbisogno del 3,29%. L'Assessore Vietti ebbe a dire che come minimo dobbiamo proporci l'obiettivo di soddisfare subito il 10% del fabbisogno, ragion per cui prevedeva un impegno integrativo del fondo da parte della Giunta. Io allora proposi di vedere se era possibile ottenere un ulteriore impegno dei datori di lavoro. Lo so che versano già lo 0,10%, so anche però che questa è una quota pattuita all'ultimo momento, quando è stata fatta la legge, ma che la richiesta delle organizzazioni sindacali era superiore. E so anche che in alcune località (cito la Lombardia perché non mi venga rimproverato che cito sempre l'Emilia) la questione è stata superata con accordi di carattere aziendale, e da impegni precisi da parte degli Enti pubblici per i quali si sono auto-tassati per un versamento pari allo 0,20%. Per questo mi permetto di dire che è necessario ricordare l'iniziativa della Giunta affinché anche attraverso questi canali si abbia la possibilità di aumentare il fondo disponibile.
Quando abbiamo fatto queste affermazioni, nel mese di febbraio, non sapevamo ancora ciò che abbiamo saputo dopo e cioè che al 30 aprile di quest'anno sono pervenute domande, da parte di 166 comuni per la costruzione di 315 asili nido. Se vogliamo fare due righe di conti vediamo che lo Stato prevede un contributo ai Comuni per la costruzione di asili nido di 40 milioni e se non mi inganno 40 milioni per 315 dà un totale di 12 miliardi e rotti. Come lo consideriamo questo, un piano annuale? Quinquennale? Io non mi sento di esprimermi né in un modo né nell'altro.
Quello che mi sento invece di dire è questo: è necessario trovare il modo di superare subito le more nelle quali siamo incagliati e dare immediatamente i soldi ai Comuni; per fare questo occorre predisporre gli strumenti necessari. Facciamo la legge per gli asili nido, e verifichiamo il fabbisogno attraverso quei convegni che io proponevo nel mese di febbraio. Se li avessimo fatti, ora potremmo discutere in termini molto più precisi e non correremmo il rischio di avere dei residui passivi.
Sollecito quindi la Giunta innanzi tutto a prendere le misure politiche che consentano al Consiglio di superare le difficoltà e di dare una applicazione corretta alla prima legge quadro con la quale lo Stato trasferisce alla Regione una materia così importante e nella quale la Regione ha piena potestà legislativa e di programmazione. In secondo luogo attraverso quello che è già stato proposto da altri colleghi, per quanto concerne la formazione professionale, occorre attuare subito misure urgenti, anche provvisorie che ci mettano nelle condizioni di avere al più presto il personale necessario ai bisogni dei Comuni. Terzo, stanziare la somma provvisoriamente in questo bilancio di un miliardo, oltre a quella che ci verrà data alla fine dell'anno dal fondo INPS, per dare immediato avvio all'attuazione di questa legge.
Queste le proposte concrete di ordine politico e pratico che noi ci sentiamo di fare.
Mi sembra opportuno far rilevare un particolare di carattere politico: lunedì 10, come è stato detto dall'Assessore Vietti, avrà luogo a Torino un incontro di tutti gli Assessori Regionali per discutere lo stato di attuazione della legge e per decidere insieme cosa fare per sollecitare il governo ad approvare una legge di riforma generale dell'attuale sistema di assistenza. Se noi vogliamo andare a quell'incontro con le carte in regola o meglio, con la dimostrazione pratica, concreta della volontà politica di qualificare la spesa della nostra Regione in questa direzione, non possiamo non prendere delle decisioni serie, concrete quali quelle che io mi sono permessa di sottoporre.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Rivalta, ne ha facoltà.



RIVALTA Luigi

Colleghi Consiglieri, la relazione che accompagna il bilancio presentato, nelle prime pagine fornisce alcune indicazioni di carattere metodologico: precisamente intorno al rapporto che deve esistere tra bilancio e programmazione; pertanto richiama indirettamente il problema della politica di piano. Sono delle indicazioni, dal punto di vista concettuale, corrette, che hanno attirato la nostra attenzione in quanto da un lato ci richiamano ad un metodo, che deve essere introdotto nella formulazione dei bilanci e nell'esercizio delle attività amministrative della Regione; dall'altro richiamandosi al rapporto bilancio-programmazione politica di piano, sottintende la ricerca di obiettivi e di finalità in relazione ai quali definire gli interventi annuali.
La situazione in cui la Regione e la Giunta hanno operato nella formulazione di questo bilancio preventivo e cioè: l'assenza di dispositivi legislativi per poter effettuare gli interventi, e l'assenza di una politica di piano, è una situazione che rischia o che può di per s rischiare di rendere velleitaria la filosofia con cui il bilancio è stato presentato. Ma la nostra attesa è rimasta delusa al di là di quanto potesse derivare da queste difficoltà oggettive. Gli obiettivi, che dovevano essere individuati per poter impostare correttamente il rapporto fra il bilancio programmazione e politica di piano, sono difficilmente riconoscibili nel documento della Giunta.
E non è che di obiettivi non se ne potessero individuare, anzi, direi che una serie di finalità e di obiettivi sono stati fissati fin dall'inizio al momento della costituzione della Regione, nello Statuto. Ciò che non abbiamo ritrovato in questo bilancio è una struttura delle spese articolate in modo tale da evidenziare il conseguimento di questi obiettivi.
Ci si dice che l'intervento non deve pregiudicare il futuro, ma si dice anche, e giustamente, che non deve essere soltanto rivolto a problemi di carattere congiunturale, bensì anche a quelli di carattere strutturale.
Ragion per cui gli interventi non devono avere una prospettiva soltanto di carattere immediato, ma inserirsi in un quadro di finalità di lungo termine. Ci troviamo invece di fronte ad un bilancio che sostanzialmente al di là della struttura tecnica, che può essere qualitativamente valida ripete la struttura degli investimenti che negli anni passati sono stati effettuati dallo Stato e che non è stata sufficiente a modificare la situazione di carenze presenti nel Paese, ma anzi ha favorito il loro generarsi.
Ci pare quindi che la Regione non vada prendendo piena coscienza delle responsabilità che su di essa incombono: che non misuri fino in fondo le sue possibilità di intervento. Sotto questo profilo emerge un primo aspetto connesso alla carenza di indicazioni necessarie per creare degli strumenti di intervento da parte della Regione.
Noi abbiamo sostenuto, e non da soli, che la Regione è uno strumento di decentramento, di rafforzamento delle autonomie, che costituisce la maggiore delle riforme conquistate in questi ultimi anni. Sosteniamo che questa riforma deve essere portata avanti e che non è stata sufficiente l'istituzione della Regione per dare compiutezza ai processi di decentramento e di autonomia.
Sotto questo profilo manca qualsiasi indicazione per cui il bilancio sembra essere coerente alla politica, che vuole limitare le possibilità di attivazione di processi di decentramento e di autonomia oggi in atto nel nostro Paese. Gli elementi più indicativi in questo senso sono dati proprio dall'assenza di finanziamenti rivolti al trasferimento di potere ed alle deleghe della Regione agli Enti subregionali . Ribadisco quindi che questo bilancio deve essere ascritto all'interno di quella posizione generale di restrizione del significato dell'istituzione delle Regioni: giudizio che è già stato dato dai miei compagni e che io ho voluto richiamare prima di introdurre l'argomento specifico che mi compete di discutere.
In questo quadro generale si colloca l'assenza nel bilancio di una qualsiasi indicazione verso quello che era già stato un obiettivo individuato nello Statuto, la costituzione dei comprensori.
Io non sto a leggere gli articoli 71 e 75 dello Statuto; penso che ai colleghi siano presenti. Ricordo soltanto che l'art. 75 dice che il piano di sviluppo regionale si articola in piani comprensoriali e che l'attuazione del piano di sviluppo avviene attraverso questa stessa articolazione. Il comprensorio è individuato quale strumento atto a promuovere la partecipazione degli Enti locali, dei sindacati e delle altre forze sociali. C'è quindi un riferimento preciso nella normativa del nostro Statuto che ci richiama agli strumenti che dobbiamo introdurre per potare avanti la battaglia per il decentramento e per le autonomie. E oggi, nella nostra Regione, la battaglia per il decentramento e per l'autonomia passa proprio attraverso la costituzione dei comprensori.
Con queste norme la Regione aveva inteso recepire l'esigenza di accedere ad una dimensione comprensoriale degli interventi di piano, che è maturata come una delle condizioni per superare i limiti dell'intervento operato a livello delle competenze degli Enti locali, Comuni e Province contestualmente il comprensorio è stato individuato in queste norme statutarie come una delle strutture atte ad organizzare processi di partecipazione da parte degli Enti locali e delle forze sociali, alla formulazione del piano di sviluppo, ai suoi successivi aggiornamenti, alla sua attuazione. Nello Statuto, cioè, il comprensorio è stato indicato come una dimensione di confluenza sia di un processo di consolidamento del potere di intervento degli Enti locali, sia di un processo di decentramento delle decisioni di competenza regionale attraverso le deleghe da darsi ai comprensori. Manca nel bilancio una qualsiasi prospettiva di intervento in questa direzione da parte della Regione. Già il collega Sanlorenzo aveva parlato dell'assenza di finanziamenti per attuare le deleghe; rilevo che qui manca ogni indicazione rivolta ad un'altra parte sostanziale di questa politica di decentramento e di autonomia: nessun investimento per la formulazione dei comprensori.
Noi abbiamo voluto richiamare l'attenzione su questo fatto e per essere concreti, carattere che contraddistingue in genere le nostre posizioni abbiamo anche cercato (con approssimazione, ma d'altra parte in questa sede ci interessa indicare dei capitoli di spesa anche di larga massima, che consentano poi di andare rapidamente alla costituzione dei comprensori) di individuare quali possono essere, al di là della formulazione istituzionale, politica, legislativa del comprensorio gli strumenti di cui esso abbisognerà.
Abbiamo quindi avuto la premura di preparare - anche se la parola pare eccessiva - un organigramma degli strumenti operativi comprensoriali, ed abbiamo individuato una prima necessità di organizzazione del comprensorio attraverso tre tipi di strutture operative: una per l'attività burocratico amministrativa; una seconda per l'attività tecnico progettuale e di intervento; una terza per l'attività di ricerca. Non sto a spiegare le ragioni che sostengono la presenza delle prime due strutture: le ritengo ovvie. Forse vale la pena spendere due parole per quello che riguarda quella di ricerca. Noi riteniamo che si debba dare ai comprensori la possibilità di una propria capacità di analisi della realtà territoriale: solo attraverso un approfondimento dei problemi comprensoriali è possibile intervenire in merito alle indicazioni generali che provengono dalle analisi formulate a livello regionale: solo attraverso la conoscenza della realtà comprensoriale, ed il dibattito sulle sue prospettive di sviluppo così è possibile dare vita ad una partecipazione attiva da parte dei comprensori, e quindi degli Enti locali, delle forze sociali che in essi sono compresi, allo sviluppo del piano regionale (richiamo di nuovo quanto abbiamo sancito a livello di Statuto).
Cercando di individuare queste strutture in termini articolati di persone e quindi di spese, abbiamo pensato che in una fase iniziale che pu e deve trovare un'evoluzione successiva, sia indispensabile un certo organico (non sto a leggere l'elenco, lo possiamo ritenere allegato ai verbali). In totale, tenuto conto delle spese iniziali di impianto, ogni comprensorio dovrebbe sostenere una spesa, tra assunzione di personale e mantenimento del medesimo per un anno, di circa 50 milioni, più dieci milioni per l'impiego di uffici.
In questo scorcio del 1972, quando sono già passati sei mesi è realistico pensare ad attività per un periodo di quattro mesi, a partire da settembre. Considerata la ripartizione delle spese, per lo meno di quelle variabili con il tempo, risulta che per ogni comprensorio si dovrebbe sostenere un costo di circa 27 milioni. In una condizione di funzionamento dei comprensori è pensabile che gli Enti che ne faranno parte siano i massimi sostenitori, o partecipino comunque in maniera consistente alle spese, però inizialmente queste spese debbono essere in buona parte sostenute dalla Regione, come indicazione promozionale e come stimolo all'aggregazione degli Enti locali in entità comprensoriali. Abbiamo fatto l'ipotesi che si debba operare con un investimento che copre il 75% delle spese, con un costo per ogni comprensorio di venti milioni.
I comprensori non esistono, dovremo definirli rapidamente se vogliamo discutere il piano di sviluppo e procedere alla sua attuazione ai sensi degli articoli dello Statuto. Noi abbiamo fatto la ragionevole ipotesi che i comprensori possano fare riferimento alle 15 aree ecologiche che erano state individuate nel primo piano di sviluppo e che mi pare, per quello che ho visto, sono ribadite dal rapporto preliminare sul secondo piano di sviluppo. In questo caso la cifra globale che deve essere introdotta nel bilancio per poter partire dai prossimi mesi, assume la dimensione di 350 milioni per le 15 aree ecologiche.
Noi abbiamo fatto riferimento ai 4/12 della spesa annua, ed è una previsione cauta, tenuto conto che alcuni di questi potrebbero avere un'attivazione immediata, mi riferisco per esempio a quelli dell'alessandrino e del casalese, dove la stessa provincia ha da anni incominciato, seppure con strutture e con personale estremamente ridotti un'attività di ricerca che richiede di essere sostenuta e ampliata; anche in altri comprensori hanno preso corpo attività di carattere politico e di ricerca come quelli del biellese, dell'eporediese e del pinerolese.
A fianco di queste situazioni, va citata quella dell'area ecologica di Torino, oltre che per i problemi che in essa emergono e che non possono più essere affrontati da singoli comuni, ma devono avere una visione comprensoriale, anche perché è in atto (ne hanno parlato i giornali, e ce ne dà informazione il progetto di programma quinquennale del Ministero del Bilancio) un'iniziativa per la formulazione di un piano territoriale dell'area.
Anche per questa iniziativa, che forse è partita, al di fuori degli stessi Enti locali dell'area ecologica, per intervento del Ministero del Bilancio.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

E' partita da quel convegno.



RIVALTA Luigi

Al convegno vi è stato un dibattito; altra cosa è l'iniziativa per cui è stato avviato un rapporto tra Regione e Ministero del Bilancio, tale iniziativa deve trovare un'esplicitazione a livello democratico, a livello di partecipazione degli Enti locali dell'area ecologica. Anche qui occorre avere rapidamente delle strutture operative, delle possibilità di intervento e di lavoro che non siano puramente quelle della Regione e dei suoi istituti di ricerca, ma del comprensorio a cui gli Enti locali possano fare riferimento, e attraverso a cui dar vita ad un rapporto dialettico con la stessa Regione. Mi pare che in questo senso la situazione dell'area torinese richieda un'immediata definizione del rapporto Regione area comprensoriale di Torino, altrimenti potremmo rischiare di assumerci come Regione la responsabilità di decidere sulla testa di tutti, su una grossa parte della Regione piemontese, e d'altra parte potremmo rischiare di essere trascinati dai problemi di questa parte in una visione deformata dell'economia piemontese.
Ecco quindi una serie di strumenti che devono essere creati rapidamente e che hanno già, nelle iniziative prese dagli Enti locali, dalla Regione dal Ministero le ragioni della loro necessità.
Accanto a queste esigenze che non troviamo riflesse nel bilancio, e la cui assenza appare estremamente indicativa, ce ne sono altre di carattere specifico che noi vogliamo sottolineare, perché di estrema gravità. Una è quella della casa: l'occasione per chiedere un intervento della Regione ce la dà l'applicazione che dovrà essere fatta dell'art. 72 della Legge 865.
Riportiamo qui e facciamo nostre, come è già stato fatto mi pare dal gruppo socialista, una serie di rivendicazioni che provengono dal movimento cooperativo. Io non sto a leggere nel dettaglio le argomentazioni che sono state da noi presentate per iscritto, e che credo possano essere date per lette, richiamo solo l'attenzione sul fatto che l'art. 72 fornisce possibilità di investimento nel settore della casa. Se la ripartizione dei fondi stanziati a livello nazionale, relativi a questa voce viene fatta con gli stessi criteri adottati dal CER comportante per il Piemonte l'8% si potrà attivare un intervento nel settore della casa di circa 5 miliardi.
Non è una cifra rispondente alle esigenze, ma comunque da utilizzare.
Questi soldi sono da attribuire a coloro che costruiscono con diritto di superficie (lo dice espressamente l'art. 72) e ci pare che gli organismi gli Enti più adatti a usufruire dell'investimento dovrebbero essere le cooperative a proprietà indivisa che non perseguono lo scopo di addivenire alla proprietà della casa: quindi la loro posizione nei confronti del bene casa si concilia, concorda, è coerente, con le indicazioni di attribuzione dei diritti di superficie sul suolo.
I finanziamenti previsti dall'art. 72 vengono fatti sul 75% della spesa e sono a scomputo degli interessi: intervengono in modo da ridurre gli interessi al 3% calcolate le spese di ammortamento del 75 per cento del costo e questo interesse del 3% su tale capitale, ed aggiunto l'interesse e l'ammortamento del restante 25 per cento del costo (sostenuto senza agevolazioni dall'ipotetico cooperatore), ne deriva una spesa mensile di 15.000 lire a vano; spesa assolutamente non competitiva sul mercato; non coerente con quella che deve essere la politica della casa come servizio sociale; non compatibile con le esigenze della cooperazione a proprietà indivisa, o comunque con la domanda che si rivolge alle case costruite dall'IACP e da dare in locazione.
Ci si pone quindi il problema di un intervento in termini competitivi.
Questi termini debbono essere fissati non tanto con riferimento al mercato ma con riferimento alle quote mensili pagate per le case Gescal, che sono di circa 6000 lire. Un intervento della Regione potrebbe consentire di abbassare la quota mensile di affitto nelle case costruite con i finanziamenti dell'art. 72, alle 6000 lire. Ciò è possibile solo se venisse stanziato un fondo di rotazione per il finanziamento del 1972, da restituire senza interessi, in un periodo di 35 anni, ammontante a 1270 milioni. Questa somma consentirebbe di incidere sulla quota di ammortamento e sugli interessi del 75 per cento coperto dall'intervento del Ministero dei LL.PP. Rimangono poi investimenti, che dovrebbero essere pari a 110 milioni, a fondo perduto, per coprire il costo degli interessi del denaro di quell'altro 25% che viene invece a gravare totalmente sull'utente.
Sono, queste, delle proposte che poniamo all'attenzione della Giunta con specifico riferimento all'attuazione dell'art. 72 della legge sulla casa. Ci pare che questa richiesta si possa ricollegare a una delle indicazioni formulate dallo Statuto, all'art. 4, nel senso che è chiaramente un'attività che tende a promuovere la cooperazione, finalità che ci siamo appunto prefissa all'art. 4.
Oltre a ciò, poiché il problema della casa è di una gravità tale che non ci consente di intervenire soltanto con queste limitate possibilità noi ci facciamo portatori di un'altra richiesta e precisamente: l'iniziativa della Regione per la formazione di un fondo di rotazione al fine di intervenire sulla questione della casa, soprattutto in direzione delle situazioni più critiche che si possono individuare nei centri abitati malsani (come già abbiamo detto per l'utilizzo dei fondi della legge 865).
Questo fondo dovrebbe rientrare in quella linea politica che abbiamo già dibattuto e che deve vedere la Regione promotrice della costituzione di un fondo al cui contributo dovrebbero partecipare le grosse imprese produttive, soprattutto le grandi industrie per i problemi che provocano con l'immigrazione. Tale fondo dovrebbe consentire alla Regione un intervento in direzione delle situazioni che hanno più immediata urgenza di soluzione. D'altra parte l'esigenza di costituzione di un fondo di questo tipo è richiamata anche dal fatto che con la Legge 865 ci siamo imposti giustamente, di intervenire con carattere prioritario nei centri abitati malsani. Quindi, costruzione di nuovi quartieri per alloggiare le popolazioni che si trovano nelle situazioni più disagiate.
Contemporaneamente è necessario impedire processi di ristrutturazione e di rinnovamento delle zone malsane fondati sulla speculazione, ed orientate ad un riassetto urbano non coerente con quello abitativo originario. Ci deve essere un intervento complementare della Regione capace di chiudere il circolo di questa azione attorno alla casa, promossa dalla Legge 865: e quindi nella misura in cui vengono allontanati gli abitanti dai luoghi malsani per portarli in quartieri nuovi, dobbiamo assumerci la responsabilità di intervenire nelle zone malsane liberate perché non diventino alloggiamenti di nuovi immigrati, e non siano soggetto di nuove speculazioni.
Con questi obiettivi richiamiamo l'attenzione della Giunta sull'esigenza dell'assunzione delle sue responsabilità. Facciamo anche presente che la politica edilizia è chiaramente uno strumento di realizzazione del piano; noi abbiamo già perso una battaglia quando abbiamo sostenuto nella discussione dei decreti delegati che l'edilizia economica popolare doveva essere materia trasferita alle Regioni. E qui sottolineo ancora come siamo in presenza di una politica che tende a limitare il potere della Regione. Io però non credo che dobbiamo ritenere la battaglia persa, ma dobbiamo cercare in tutti i modi di vedere come la Regione pu intervenire nel campo dell'edilizia economica e popolare, e usarla come strumento nella politica di piano; politica che è competenza della Regione.
Io non credo che possa essere data la facile risposta che noi non abbiamo competenze trasferite in materia di edilizia economica popolare; la nostra responsabilità ci deve indurre a ricercare le forme e gli strumenti tecnici per un intervento della Regione in questa direzione e a riaprire il discorso sulle competenze della Regione nel campo dell'edilizia economica popolare.
Molti hanno sottolineato l'esigenza di intervenire nei centri abitati e nei centri storici; noi chiediamo un impegno della Regione in sede di bilancio, anche se un intervento di questo genere per essere risolutivo richiede delle risorse elevate che non potranno essere sostenute solo dalla Regione. Abbiamo voluto dare un'indicazione di spesa che risulterà simbolica rispetto alle esigenze, ma che purtuttavia consentirà l'immediata costituzione di un fondo ed il suo utilizzo. Abbiamo indicato in cinque miliardi la cifra necessaria per le prime iniziative.
Chiedo scusa ai colleghi se il mio intervento sta diventando lungo, ma rimane un ultimo punto sul quale vorrei richiamare l'attenzione: l'urbanizzazione. Per gran parte delle urbanizzazioni primarie e secondarie, almeno a livello di quelle previste per la vita di un quartiere che sono elencate all'art. 2 del decreto n. 8 sull'urbanistica, non c'è nessun dubbio sulla competenza della Regione in materia.
La carenza delle infrastrutture è drammatica e caratterizza negativamente la condizione di vita della comunità regionale. L'assenza, ad esempio, di servizi essenziali per la formazione della personalità dell'individuo, dall'asilo nido alla scuola materna, alla scuola elementare, pone la Regione piemontese all'ultimo posto fra le aree industrializzate.
Correttivi a queste situazioni sono necessari. Sono queste le cose che pensavamo di trovare nel bilancio, coerentemente con gli obiettivi che ci siamo prefissi nei dibattiti per la formazione dello Statuto, per conseguire i quali occorre una svolta al tipo di utilizzo delle risorse che abbiamo avuto nel passato. Sostanzialmente, dobbiamo ancorare gli investimenti di questo primo mezzo bilancio ad una prospettiva qualitativamente determinata di sviluppo della Regione; un tale atteggiamento non può mettere in causa le scelte future, ma caso mai le rafforza, indicandole fin dall'inizio.
La situazione della urbanizzazione, dicevo, è talmente carente che le cifre da investire coprirebbero probabilmente il bilancio di qualche anno della Regione; basti pensare che mancano 240.000 posti in scuola media e scuola elementare rispetto al fabbisogno al '75 (come dice il rapportos preliminare dell'IRES). Si tratta di investire entro quell'anno circa 200 miliardi solo per le scuole, per non avere nel '75 la situazione che abbiamo adesso. Per la scuola materna al '75 mancheranno 130.000 posti, se gli incrementi di popolazione non supereranno quelli previsti dal piano di sviluppo, e si richiedono perciò investimenti dell'ordine di 100 miliardi.
Ci rendiamo conto che l'impegno nell'attuale bilancio può avere il segno soprattutto di un indirizzo politico, da consolidare poi nel bilancio del '73 che vale come un'indicazione delle scelte che devono essere fatte con riferimento al piano di sviluppo. Non si tratta quindi di chiedere in questo bilancio investimenti che soddisfino il fabbisogno di qui al '75; e neanche che coprano un terzo dei tre anni che stanno di qui al '75. Ci poniamo il problema realistico di garantire almeno che si realizzino le infrastrutture di servizi sociali necessarie per dotare le costruzioni finanziate dalla Legge 865, con i 63 miliardi attribuiti al Piemonte.
Abbiamo fatto conto che ogni vano costruito comporta degli oneri di urbanizzazione che approssimativamente arrivano a mezzo milione. Attraverso i finanziamenti del CER, riferendoci unicamente alle case che saranno date dall'IACP in locazione a quelle che saranno costruite dalle cooperative a proprietà indivisa, si può fare un conto di 20.000 vani.
Ciò significa costi di urbanizzazione per una cifra pari a dieci miliardi. Questa spesa pensiamo non debba essere sostenuta solo dalla Regione: ci sono gli interventi autonomi degli Enti locali e i finanziamenti dello Stato; noi abbiamo indicato la necessità di un intervento della Regione pari al 30% (tre miliardi), come contributo perch questi servizi vengano completati.
Riepilogando per la parte che mi competeva io ho sottolineato l'esigenza di un investimento in direzione della realizzazione della politica di decentramento e di autonomia, cioè la costituzione dei comprensori; e di due voci che riguardano problemi importanti, fondamentali per la vita della comunità, quelli della casa e delle urbanizzazioni sociali. Impegni che possono essere disattesi se non vogliamo che questo bilancio sia effettivamente, come propugnava il Consigliere del partito repubblicano stamattina, una meccanica trasposizione delle strutture di investimento operate nel passato dal Governo centrale.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Menozzi, ne ha facoltà.
Dopo questo intervento prevederei una breve sospensione della seduta per una riunione con i capigruppo, per stabilire l'o.d.g. della seduta del 13 e del 14. Questo tanto perché sappiano orientarsi.



MENOZZI Stanislao

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, non avendo, alla stregua dei colleghi comunisti, da premettere critiche e recriminazioni al così detto governo centrista, anzi, di centro-destra, nel cui seno si andrebbero sviluppando i germi della reazione e della conservazione (e chi più ne ha più ne metta) a tal proposito mi limito solo ad affermare che con il nominalismo dettato da motivi preconcetti si corre il rischio di perdere di vista la realtà che ci sta di fronte e non tali preconcetti sono certamente forieri di quella buona predisposizione necessaria per un esame serio ed obiettivo sul bilancio posto alla nostra attenzione. Convinti come siamo che il Governo centrale e la Regione Piemonte, offrono nell'attuale situazione politica tutte le garanzie di ordine democratico necessarie per credere e sperare nel superamento o meglio ancora, nel sanamento della crisi in essere, entriamo subito in argomento.



MINUCCI Adalberto

Per risanare i danni che hanno fatto prima!!



MENOZZI Stanislao

Vi chiedo scusa, cari e simpatici colleghi comunisti, ma quelle libertà democratiche ci consentono ancora di contrapporre nostre tesi alle vostre e mi auguro che le nostre abbiano ad avere ragione.
E riprendendo il discorso affermiamo che non si può non condividere l'impostazione tecnica e giuridica del bilancio di previsione della Regione, testimoniante un tentativo di modificazione a livello regionale delle tendenze spontanee in atto, al fine di conseguire un riequilibrio dell' intervento pubblico nei confronti delle esigenze della società civile. D'altra parte il documento in esame non ha termini di raffronto o di confronto, essendo la prima esperienza in tal senso e, sotto questo aspetto, è doveroso tributare alla Giunta, e principalmente all'Assessore competente e a quanti hanno con esso collaborato, un peculiare riconoscimento per l'impegno profuso.
Per quanto attiene all'aspetto tecnico, si potrebbe, in avvenire esaminare, con la delicatezza che il caso comporta, l'opportunità di provvedere all'adozione di un bilancio di cassa, accanto al bilancio preventivo di competenza, che tenga conto dei tempi effettivi di attuazione dei flussi di entrata e di spesa, in modo da valutare tempestivamente l'impatto effettivo di essi sull'economia della Regione. Tale bilancio previsionale di cassa permetterebbe di preordinare lo sviluppo delle entrate e delle spese, in modo che tali flussi, pur provvedendo alla realizzazione delle programmate iniziative, siano coerenti con le esigenze della situazione congiunturale e con la possibilità di finanziamento offerto dal mercato (vedi prestiti, mutui ed entrate tributarie proprie della Regione). Si eviterebbe ancora il pericolo di un eccessivo divario tra bilancio di competenza e risultati di cassa, che avrebbero conseguenze negative sia dal punto di vista di chiarezza del comportamento dell'amministrazione, sia da quello della sua efficacia, e con ciò, intendo fare riferimento anche ai fatidici residui passivi di infausta memoria costituenti, fra l'altro, il più grave ed anacronistico contrasto soprattutto in una società come la nostra, che ha sete di pubblici interventi, programmati in rapporto alle effettive possibilità di finanziamento.
Inoltre, per quanto concerne l'intervento per il settore agricolo, pur con i riconoscimenti espressi, non possiamo e non dobbiamo esimerci dal fare rilevare come esso, se ci limitiamo a quanto è potuto emergere dal documento, sia contenuto nella percentuale del 5,50% circa, mentre non pu non considerarsi l'apporto rilevante del medesimo in termini di popolazione attiva (15%) e in termini di reddito prodotto, 8/10%, oltre alle fondamentali ragioni di discrepanza sociale ed economica in cui si trovano le popolazioni rurali ed in particolare, gli addetti al settore agricolo.
Risulta quindi evidente come sarà necessario (e non dubitiamo che ci avvenga) integrarlo nei successivi interventi, per effetto dell'attività legislativa, in modo da pareggiare i dati statistici in percentuale ma da corrispondere alle reali esigenze umane e sociali del settore. Vedi i trasferimenti di modelli di vita dalle città nella campagne piemontesi e in contrapposizione, gli attuali problemi dello spopolamento delle aree rurali e fenomeni dell'urbanesimo. In sintesi, invochiamo un serio decentramento industriale dei servizi, il quale si dovrà realizzare attraverso una coerente politica di programmazione e di riassetto territoriale, per ricreare quegli equilibri anche ecologici, ogni giorno di più compromessi, attuando il motto che abbiamo già avuto altre volte occasione di ripetere "non più la campagna in città, ma la città in campagna", bene inteso nei suoi aspetti positivi. E qui concordiamo con quanto ebbe e sostenere in proposito il collega Viglione: è indubbio che una volta raggiunti detti equilibri ne saremmo estremamente paghi e non penseremmo minimamente di disturbare quelli più avanzati, perché allora (caro e simpatico amico Viglione, e colleghi socialisti tutti), come ebbe ad affermare un noto uomo politico nel corso della recente campagna elettorale, ricadremmo fatalmente in nuovi squilibri.
Così, mentre da un lato viene chiaramente ad esprimersi un preciso e positivo impegno politico, in ordine alla situazione dell'Ente di sviluppo agricolo (cap. 1404) non tanto per l'entità della cifra esposta, quanto per la volontà espressa di creare un Ente operativo che il Consiglio nella sua competenza e pienezza di poteri dovrà delineare, definendone caratteristiche e funzioni e ad un intervento integrativo regionale sulla Legge 25.5.70 n. 364 detto "fondo nazionale di solidarietà" (cap. 742,) e per altri aspetti quali la zootecnica, ecc. non viene fatto alcun richiamo specifico circa eventuali interventi per la viabilità rurale, per l'elettrificazione rurale e per gli acquedotti rurali, che meriterebbero per la loro importanza ed indispensabilità, una considerazione a parte nel bilancio di previsione e che proponiamo, se possibile, fin da questo bilancio, con appositi capitoli di spesa. Si renderebbero così maggiormente recepibili ciò che oggi non si evince chiaramente dal bilancio, nel senso che, per la viabilità si parla genericamente di strade provinciali e comunali, e di opere stradali a cura della Regione (cap. 1206), per l'elettrificazione (cap. 1310), si fa riferimento a comuni e frazioni senza alcuna specifica indicazione alle aziende agricole in sé e per sé, vuoi per l'elettrificazione ad uso di illuminazione, vuoi per la forza motrice.
Altrettanto dicasi per quanto concerne gli acquedotti ed opere igieniche (cap. 1220-22-24) nei quali sarebbe stata forse opportuna una netta distinzione tra esigenze di carattere più genericamente pubblico ed esigenze più strettamente rurali. A tali esigenze necessiterà per il futuro far fronte con un impegno legislativo regionale, per il quale occorrerà sempre più assicurarsi circa la consistenza di un apposito fondo nel bilancio di previsione dei prossimi anni.
Rimane tuttavia, in tutta la sua validità, il discorso di un finanziamento straordinario da parte dello Stato alla Regione, per gli interventi a favore del settore agricolo, secondo la ben nota proposta di legge, ripresentata nell'attuale legislatura, volta a concedere 250 miliardi alle Regioni. E questo dovrebbe essere il momento perché il Consiglio abbia modo di esprimersi umanamente su tale esigenza.
Ecco perché non ci siamo abbandonati ad elencare una miriade di richieste, come l'esigenza vorrebbe, e come ha fatto il collega Ferrarsi, e ciò per due specifici motivi: 1) perché i limiti globali del bilancio in esame sono quelli che sono e, nostro malgrado, non possiamo dilatarli 2) perché i richiami alla legge 26.10.66 n. 610, il cosiddetto secondo piano verde, sono inattuali poiché tali normative sono morte e sepolte dal 31.12.70 e la stessa legge ponte dell'agosto '71 è superata pure essa per scadenza di termini. Da ciò l'indispensabilità dell'invocata promulgazione della riproposta legge di finanziamento straordinario alle Regioni per l'agricoltura di Bonomi ed altri. Altrimenti le richieste come quelle avanzate dal collega Ferraris e nell'entità dallo stesso indicate potrebbero apparire solo elencazioni di bisogni e non più anche realisticamente indicazioni di possibilità vere di intervento.
E' ovvio che in sede di discussione del bilancio previsionale per l'anno prossimo e per quelli successivi, accentueremo le nostre osservazioni e le relative richieste per quanto attiene al settore primario, anche in riferimento alla lettera dallo spirito dell'art. 4 dello Statuto, ove si afferma che la Regione è impegnata a determinare giusti rapporti sociali e civili condizioni di vita nelle campagne. E perché ci avvenga, il discorso deve calare anche sugli irrisolti problemi igienico sanitari, sportivi, culturali, abitativi, asili nido, case di riposo, ecc.
delle nostre comunità rurali, previa una opportuna azione tendente ad introdurre il non più dilazionabile discorso sulla revisione ed aggiornamento territoriale di parecchi nostri comuni aventi dimensioni insufficienti a recepire un serio discorso per un progresso civile, oltre che sociale ed economico, discorso anche questo che abbiamo già avuto occasione di fare in altre circostanze, e che nonostante il suo carattere di impopolarità qui oggi lo riconsideriamo, in quanto voluto da un serio impegno politico e soprattutto imposto da una visione realistica della situazione, altrimenti sarebbe solamente pura accademia.
Come è possibile fare il discorso sulle introduzioni di civili condizioni di vita delle nostre campagne, le quali presuppongono necessariamente l'istituzione di servizi e di attrezzature che io ho citato, con gli attuali angusti limiti accusati da circa il 50% dei nostri comuni? Ecco perché ritengo che questi discorsi, seppure impopolari, si debbano fare.
Signor Presidente, e colleghi Consiglieri, perché ciò sia reso possibile, come in questo Consiglio più volte è stato affermato, deve considerarsi funzione primaria della Regione quella legislativa; occorrerà quindi, in avvenire, anche in ragione delle prevedibili maggiori entrate dare il massimo rilievo ad un fondo per gli interventi legislativi della Regione.
Concludendo, riteniamo che questo Consiglio debba unanimemente ed energicamente far sentire la sua voce perché lo Stato, nel riparto del fondo comune, per gli anni futuri, incominciando subito da quello prossimo abbia a destinare maggiori finanziamenti alle Regioni. Quando pensiamo che la spesa pubblica annua oscilla sui 14.000 miliardi circa, l'averne assegnati 500 alle 15 Regioni a Statuto ordinario e che, in base ai 9 (12) del bilancio dell'anno in corso, quelli effettivamente stanziati sono 365 circa, dei quali 31 alla nostra Regione, riteniamo che lo Stato possa e debba tenere maggiormente presenti gli impegni finanziari gravanti sul nostro istituto in rapporto alle funzioni ed ai compiti di cui al 117 e 118 della Costituzione. Senza detti finanziamenti, al di sopra e al di fuori di ogni e qualsiasi discorso tecnico, metodologico, giuridico e di contenuto del bilancio, ogni nostra seppur buona volontà ed impegno verrebbero per essere vanificati e, nel contempo, le attese e le speranze suscitate nell'animo dei cittadini dal nuovo istituto regionale si tramuterebbero in amare e cocenti delusioni.



PRESIDENTE

Sospenderei per qualche minuto la seduta e pregherei i Capigruppo di venire da me, poi riprendiamo i nostri lavori.



(La seduta, sospesa alle ore 17,50, riprende alle ore 18,30)



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Nesi. Ne ha facoltà.



NESI Nerio

Signor Presidente, signori Consiglieri, i Consiglieri regionali socialisti, ciascuno per la parte di sua specifica competenza, hanno messo in rilievo le nostre osservazioni critiche sul bilancio di previsione e sulla relazione che l'accompagna. In particolare, il compagno Simonelli ha messo a punto i rilievi anche di carattere metodologico che il Gruppo socialista formula sul bilancio nel suo complesso.
Vorrei tentare ora una sintesi politico-amministrativa dell'impostazione di bilancio, per giungere ad alcune conclusioni.
L'impostazione che la Giunta ha dato del bilancio si può dividere in tre momenti fondamentali: la filosofia del bilancio, la politica del bilancio, gli strumenti per attuare questa politica.
Secondo la Giunta, la filosofia del suo bilancio si fonda su due punti di riferimento: la politica di programmazione (la Giunta afferma che la sua è una politica di piano) e le esigenze congiunturali del Piemonte.
Così facendo, la Giunta, secondo quanto ci riferisce, intende dare alla Regione (lo leggiamo a pag. 6 della sua relazione) la figura di "guida" dello sviluppo economico del Piemonte.
Questa è un'affermazione di grande rilievo politico, ed è anche, devo dire, una fraseologia inusitata per il Presidente della Giunta, che notoriamente non ama le grandi proposizioni. In questo caso, per l'impostazione generale del bilancio, quale risulta anche dalle pagine successive della relazione, contraddice ogni intenzione in questo senso.
La Giunta parla di politica di piano: ma non vi è traccia nel bilancio di stanziamenti che lascino intendere che la Giunta vuol fare per lo meno dalle cose che la mettano in condizione di conoscere la realtà economica e sociologica del Piemonte. Non vi è traccia di quelle indagini conoscitive che non sono, come probabilmente pensa il Presidente della Giunta, un luogo di discorsi accademici, ma sono un preciso indirizzo politico. E' chiaro che quando la Regione ha istituito, ad esempio, la Commissione per gli insediamenti industriali a Crescentino, ha compiuto una scelta politica anche se giuridicamente si è posta in una posizione di neutralità.
L'assenza nel bilancio di uno stanziamento di somme, per esempio, per la ricerca di una nuova politica delle localizzazioni industriali in Piemonte (che può anche contraddire la scelta delle localizzazioni compiuta dai centri di potere pubblici e privati) è una scelta di segno opposto poiché costituisce obiettivamente una rinuncia a porre la Regione come interlocutore in quell'incontro-scontro fra le componenti sociali del nostro territorio. Ed a questo proposito non possiamo non ricordare ancora una volta, anche se può sembrare velleitario il farlo, che nel programma della Giunta a partecipazione socialista era contenuta chiaramente una frase importante: "Esigenza prioritaria assume, a questo proposito, uno studio volto ad individuare il sistema delle localizzazioni dei grandi complessi industriali, che possa consentire senza indugi l'avvio della politica di 'contrattazione programmata' della Regione con i centri decisionali del mondo imprenditoriale. Questa azione è indispensabile per la 'salvaguardia' delle scelte della programmazione regionale, e cioè per impedire che questa, intervenendo dopo l'assunzione delle decisioni da parte delle aziende, si riduca ad un semplice tentativo di razionalizzazione a posteriori, anziché produrre i suoi effetti con l'indirizzo e la guida dei processi di localizzazione sul territorio regionale". Sembrano parole che risalgono indietro nella storia economica del nostro Paese, ma sono state scritte poco più di un anno fa, nel febbraio-marzo del 1971.
Così come è chiaro che il non avere previsto alcuno stanziamento per altre indagini conoscitive - quella sull'immigrazione, quella sull'occupazione nei settori industriali primario, secondario e terziario quello, per esempio, assai importante sulla situazione della finanza locale in Piemonte, riflette la sfiducia della Giunta verso un ordinamento nel quale gli Enti locali minori siano partecipi della ricerca di un nuovo equilibrio e di una integrazione orizzontale fra i diversi livelli di potere: lo Stato, la Regione, gli Enti locali.
Noi conosciamo la posizione della Giunta e del suo Presidente su questi problemi. Questa posizione può essere definita una posizione che si prospetta soltanto la fattibilità immediata. Essa potrebbe avere delle giustificazioni se si ponesse in contrapposizione a posizioni astratte e teoriche non calate nella realtà, ma non si giustifica quando tende a coprire, copre in realtà la mancanza di fantasia politica, l'immobilismo in sostanza la rinuncia a svolgere quel ruolo di protagonista che per altri versi la Giunta dice di volere svolgere quando si proclama guida dello sviluppo economico del Piemonte, ripeto con frase estremamente ampollosa.
Questa è le prima grave contraddizione in cui cade la Giunta nel presentarci il suo bilancio.
Un secondo elemento di contraddizione lo ritroviamo nell'asserita volontà della Giunta di governare in modo coerente con il prossimo Piano regionale. Dice la Giunta: il piano non c'è, noi non possiamo quindi governare con il piano, però non faremo niente che sia in contrasto con questo piano, anzi precostituiremo le cose in modo da essere pronti a realizzare il piano quando esso ci sia. Per la verità, così non è. Era compito della Giunta, a nostro parere, fare un bilancio che precostituisse questa possibilità, che precostituisse soprattutto un collegamento con i bisogni popolari che stanno emergendo. Noi viviamo un momento, in Piemonte come del resto in tutto il Paese, per certi versi drammatico: un momento in cui, dopo un quindicennio di sviluppo, durante il quale il nostro sistema è stato in grado di rispondere a certe domande anche sfrenate di beni di consumo individuali, dando anche l'impressione - e siamo tutti colpevoli in questo senso - che fosse a portata di mano quella società del benessere che in realtà non c'era perché mancavano le premesse di fondo a che ci fosse una responsabile riflessione ci induce a considerare che le modifiche pur avvenute - sarebbe assurdo, non onesto, ammettere che sono venute in questi quindici anni, modifiche nello sviluppo spontaneo del processo produttivo ed economico del Paese - non hanno inciso, in realtà, nel corso del nostro sistema economico, e non hanno contribuito nemmeno alla soluzione dei reali problemi della nostra società. Se è stata appagata infatti, in una certa parte del Paese, in certe zone del Nord Italia, e per certi strati della popolazione, non per tutti, una sete indotta di consumi privati, è rimasto inalterato - e lo riscontriamo sol che ci guardiamo attorno nella nostra città, nella nostra regione - un retroterra spaventoso di bisogni sociali ed una esigenza enorme di beni di consumo collettivi, fra i quali emergono alcuni (questo è il problema, questa è la contraddizione più forte nella quale è caduta la Giunta) bisogni sociali collettivi, reali, bisogni che possono essere risolti o per lo meno per i quali la collaborazione della Regione è utile, che non sono di pertinenza diretta dello Stato ma di pertinenza della Regione, o della Regione insieme allo Stato e viceversa: la casa, la sicurezza sociale, i trasporti, certi lati della vita scolastica. E il modo in cui la Giunta si pone, noi ci poniamo di fronte a questi bisogni costituisce la verifica di ogni seria volontà riformatrice sempre che la Giunta questa volontà riformatrice l'abbia ancora, come dice di averla, salvo poi cadere in queste contraddizioni.
In questo quadro, le contraddizioni che emergono dal bilancio e dalla sua relazione, così come dalla relazione del collega Dotti, che pure ha fatto uno sforzo di approfondimento in questo senso, si fanno più precise perché non sono più di carattere generico ma di carattere specifico.
Per esempio, riteniamo assai grave che la Giunta non abbia sentito il bisogno di dare attuazione, proprio quale sua qualificazione, all'art. 6 dello Statuto regionale. Ricordo che questo art. 6 fu allora votato da tutti, ad esclusione dei missini; perché era emerso un bisogno reale che nasceva da una situazione che avevamo riscontrato in una azienda presso Torino, di Settimo Torinese - situazione che una delegazione di lavoratori era venuta a prospettarci. E' un articolo di cui deve andare orgoglioso tutto il Consiglio Regionale del Piemonte. Il fatto di non aver previsto alcuno stanziamento per la creazione di organismi sanitari nelle fabbriche gestiti dai consigli di fabbrica, è tanto più grave, signor Presidente della Giunta, proprio nel momento in cui emergono da fatti drammatici come quello dell'Ipca di Ciriè, ad esempio, situazioni altamente allarmanti. Ho partecipato sere fa alla riunione del Consiglio Comunale di Ciriè, laddove questi fatti sono stati denunciati, e, notiamo, da tutti i gruppi politici senza esclusioni. Quanti saranno i casi di "omicidi bianchi" come questo in fabbriche che non conosciamo di cui si viene a conoscenza solo quando emergono in modo drammatico. In questo momento io penso che una Giunta di qualsiasi colore avrebbe dovuto avere la sensibilità di porre questi problemi: perché questi sono problemi che ci sono per tutti, anche per una eventuale Giunta di destra, non sono problemi di sinistra.
Cosi riteniamo assai significativo che la Giunta non abbia utilizzato una parte del fondo comune per promuovere lo sviluppo cooperativo anche nel settore della casa. Questo è un altro dei punti in cui la politica delle Regioni può essere condotta, ed anche con immediatezza. Dirò poi qualcosa anche sulla situazione congiunturale che provvidenze di questo genere avrebbero potuto colmare.
Terzo punto, già rilevato da alcuni Colleghi, vediamo con sorpresa che è scomparsa ogni indicazione per quanto riguarda l'Ente regionale dei trasporti, al quale al contrario fa esplicito riferimento il rapporto preliminare dell'Ires distribuito dalla Giunta.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Non è il rapporto della Giunta, è solo distribuito.



NESI Nerio

Dal che si evidenzia che o la Giunta ignora il rapporto dell'Ires, e lo ritiene esclusivamente un contributo, o nell'ambito di questo settore nell'ambito delle alternative poste dal rapporto, ha già fatto una sua scelta, la scelta che è enunciata nel bilancio.
Questo problema introduce un altro elemento di contraddizione: quello dell'assenza di qualsiasi menzione nella relazione della Giunta del rapporto Giunta-Ires-Ufficio del Piano. Dell'Ufficio del piano non si parla più, probabilmente perché questa Giunta non ritiene più necessario averlo.
Ricordo tutte le notti che avevamo perduto nel lavoro per arrivare a formulare, con la collaborazione dei socialisti, l'accordo su come doveva essere l'Ufficio del piano, se ci doveva essere. Tutti erano d'accordo che dovesse esserci, e il Presidente della Giunta in pectore sosteneva che certo doveva esserci, ma doveva dipendere direttamente dal Presidente della Giunta e non dall'Assessore alla programmazione (perché sapevamo anche chi sarebbe stato l'Assessore alla programmazione). Nessuno metteva in dubbio che una Regione che voglia fare seriamente opera di programmazione non abbia necessità di disporre di un Ufficio del Piano.
Ecco le prime contraddizioni, mi pare molto evidenti, nelle quali la Giunta è caduta nella formulazione del suo bilancio.
C'è però un secondo elemento, altrettanto e forse più importante. La Giunta, dopo aver detto che la sua filosofia è quella del piano, dichiara che la sua filosofia, inoltre, è quella della congiuntura. Dice la Giunta: noi predisponiamo le cose in modo che questo sia un bilancio anticiclico.
Debbo dire che vien da sorridere al pensare a questo bilancio in funzione anticiclica. "Essa ritiene, con le sue scelte, di recare un contributo leggo delle dichiarazioni della Giunta - alla ripresa economica della nostra Regione, sia rianimando la domanda, sia introducendo elementi di sostegno e di riforma all'apparato produttivo". Non è poco. In altre parole, questo dovrebbe essere un bilancio la cui approvazione rianimerà automaticamente la domanda: quella interna alla Regione Piemonte come quella esterna: cioè nei rapporti di dare ed avere, la domanda di Cuneo comincia a rianimarsi, quella di Vercelli un po' di più eccetera, e così pure nei rapporti fra Piemonte e Lombardia, Piemonte e Francia e via dicendo.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

No, finché non avremo ambasciatori.



NESI Nerio

Sono solito differenziare i lati negativi e i lati positivi. Se c'è un punto su cui posso concordare con lei, è nel riconoscere che noi non abbiamo mandato ambasciatori, come ha fatto invece la Lombardia.
" .sia introducendo - dice sempre la Giunta - elementi di sostegno e di riforma dell'apparato produttivo". E' anche questa una frase che o non vuol dire niente o è importante, signor Presidente.
Aggiunge la Giunta che per quanto riguarda la domanda, il suo obiettivo è "la prontezza della spesa e la mobilitazione del massimo di risorse esterne". Di qui deriverebbe, sempre secondo la Giunta, "la decisione di impegnare i fondi propri della Regione in settori che consentano di operare con tempestività, in modo da evitare la formazione di residui passivi".
Altra affermazione della Giunta: "Per quanto riguarda invece il sostegno dell'apparato produttivo, esso deriverà dall'azione degli Enti di sviluppo". Su questo piano, signori Consiglieri, il discorso deve essere posto in termini di estrema chiarezza. Risultato intanto più che evidente che la Giunta ha abbandonato, o per lo meno, ci auguriamo, accantonato una concezione della Regione che si ponga come protagonista dello sviluppo del suo territorio. Questo era l'intento della Giunta a partecipazione socialista, che poneva fra i suoi obiettivi quello di "orientare l'azione politica e amministrativa allo scopo di contrastare un processo spontaneo di sviluppo meccanicamente accettato e di determinare metodi e obiettivi di uno sviluppo diverso". Noi prendiamo atto di questo, ma facciamo contemporaneamente rilevare alla Giunta che anche nell'ambito del sistema attuale l'utilizzazione del bilancio come strumento anticiclico non ha un senso economico se non è indirizzato a fini precisi.
Tutta la recente storia dei provvedimenti cosiddetti anticongiunturali i famosi "decretoni", che il Presidente della Giunta conosce bene, sta a dimostrare: che essi si sono risolti in genere in favori fiscali concessi ai grandi operatori economici, in secondo luogo che questi favori fiscali non hanno mai determinato alcuna ripresa produttiva, in quanto i grandi operatori economici hanno intascato quello che veniva loro dai favori fiscali, in termini di risparmio o monetario, ma non hanno mai utilizzato quelli che per loro sono residui attivi (in questo caso veri residui attivi) per incentivare la loro attività produttiva.
D'altra parte, anche gli effetti anticongiunturali della spesa della Regione sono opinabili: la Giunta, infatti, si propone semplicemente di spendere, cioè di utilizzare, le stesse risorse che avrebbe speso lo Stato e nello stesso modo, con applicazione seria, diligente, molto citata (e dobbiamo dar atto ai funzionari della Giunta di aver fatto bene il loro dovere), e io non capisco come questo possa servire (spero voglia spiegarmelo lei, signor Presidente della Giunta, che di queste cose s'intende) a creare un sostegno alla domanda. Avviene, infatti, una semplice trasposizione di cifre dal bilancio dello Stato al bilancio della Regione, in termini semplicemente nominalistici. Se non creiamo strumenti nuovi, se non creiamo mezzi nuovi, una politica nuova, delle energie nuove come potrà la domanda della nostra Regione essere incentivata di più dal fatto che ai patronati scolastici, ad esempio, quei 500 milioni di contributo vengono dati dalla Regione anziché dallo Stato? Il rapporto è semplicemente nominalistico, e non determinerà assolutamente nulla di nuovo.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Io so che lo Stato ne dava di meno.



NESI Nerio

Non credo che fosse possibile, perché c'erano leggi in proposito.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Pare di no.



NESI Nerio

Al contrario, noi riteniamo che una politica più coraggiosa in questo senso, una politica che cercasse di sfruttare anche, come diceva il collega Simonelli, le possibilità di cambiamento, una politica autonoma, fosse quella da adottare. Guai a noi - in questo senso non c'è un problema di maggioranza o di minoranza, ma un problema di credibilità - se ritenessimo che la Regione deve limitarsi a fare dell'ordinaria amministrazione identificandosi, quindi, con i soli poteri trasferiti dai decreti delegati o la considerassimo, come lei la intende, signor Presidente, un braccio secolare dell'Amministrazione centrale dello Stato governato da Torino. Mi accadeva di pensare oggi come anche questo dibattito avvenga in modo filosoficamente, intellettualmente - se mi è consentita la espressione più arretrato di quelli che sono stati i dibattiti sullo Statuto. Avrebbe dovuto essere il contrario, perché le Regioni hanno fatto dei passi avanti in questi due anni. A meno che noi stessi siamo influenzati da elementi negativi che troviamo in noi stessi, in questo Consiglio, in questa Regione.
Signor Presidente, nei loro interventi i compagni Calsolaro, Fonio e Viglione hanno posto una serie di problemi che riguardano i loro settori specifici. Il compagno Simonelli ha fatto anche un'analisi globale del bilancio, ha indicato la linea della nostra posizione anche sul piano metodologico.
So che la Giunta non condivide questa impostazione, anche sul piano scientifico della possibilità di utilizzazione del fondo comune.
Tutti i Consiglieri socialisti si sono mossi, nei loro interventi, sul presupposto non di una pura e semplice azione di schieramento, ma soprattutto di una precisa contestazione di contenuti; poiché siamo convinti che la gente, i lavoratori, ci giudicano da quello che facciamo giorno per giorno, più che da posizioni precostituite.
Dobbiamo dire che ci attendevamo dagli esponenti della maggioranza un più approfondito dialogo, sia sulle nostre proposte che sulle nostre critiche. E' vero che non conosciamo ancora il pensiero di alcuni fra i più autorevoli esponenti della maggioranza (il Capogruppo della Democrazia Cristiana ed il Presidente della Giunta), ma se dovessimo giudicare sinceramente, qual è il pensiero della maggioranza nel suo complesso dal discorso del rappresentante del Partito repubblicano, dovremmo dire in modo sconsolato che il dialogo è divenuto impossibile, tanto grandi sono le differenze sulla nostra e la sua concezione del compito della Regione. Ci auguriamo che quella non sia la reale posizione del Partito repubblicano italiano, almeno a livello di Regione Piemonte, ma sia una posizione personale del Consigliere Gandolfi.
La realtà è, signori Consiglieri, che il processo di involuzione che è in atto nel Paese, e che ha investito la Regione Piemonte prima dello Stato, non consente più equidistanze, posizioni intermedie, terzaforzismi.
Abbiamo la coscienza di avere operato e in questa Regione e a livello nazionale, nel Parlamento nazionale, con il proposito, che è stato sempre in cima ai nostri pensieri, di non creare il muro contro il muro, poich siamo convinti che il muro contro muro è, se non l'ultima spiaggia, certo un momento assai difficile per la classe lavoratrice.
Se questo non è stato possibile in Piemonte, così come non è stato possibile a livello nazionale, non è stato certamente mai a causa dei presunti ed inesistenti, falsi massimalismi del Partito socialista italiano. Io sfido chiunque in quest'aula a citare un qualsiasi documento politico, amministrativo, scientifico del nostro Partito che avesse in sé i caratteri dell'estremismo e che non fosse basato su dati di fatto reali e riscontrabili. Una sola cosa il Partito socialista italiano non può fare: costituire un alibi per uno schieramento che non è nemmeno di centro ma di centro-destra, non soltanto per la sua forma ma per i suoi precisi contenuti.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Berti. Ne ha facoltà.



BERTI Antonio

Mi riallaccio all'intervento, che ha affrontato questioni di carattere generale, economico e politico, svolto dal collega Sanlorenzo, rinviando ad eventuali dichiarazioni di voto, da pronunciare a conclusione di questo dibattito, dopo le dichiarazioni della Giunta, altre considerazioni che ritenessi necessario fare. Il mio discorso si limiterà pertanto ad alcuni punti di carattere politico e generale emersi dal dibattito. In particolare, affronterà ancora un elemento settoriale, al fine di riproporre, così come siamo venuti facendo in questa discussione, una questione che attiene alla salute e alle proposte che noi comunisti facciamo nel merito.
Ritengo di dover respingere l'accusa implicita di demagogia contenuta nel giudizio espresso qui dal rappresentante del Partito repubblicano credo rivolta in particolare a noi ed ai compagni socialisti, secondo il quale non avremmo valutato seriamente il bilancio ed avremmo presentato proposte comunque inaccoglibili in quanto con la loro attuazione si violerebbe la legge vigente, ci si porrebbe in contrasto con la Contabilità dello Stato. Sarebbe facile, per una opposizione preconcetta, proporre cento laddove la maggioranza propone cinquanta. Nessuno che abbia la capacità di intendere seriamente il senso ed i contenuti della proposta pu onestamente sostenere che il modo in cui noi comunisti abbiamo affrontato questo bilancio possa essere considerato tale.
Da parte nostra vi è stato un intervento di carattere generale, che ha inquadrato le nostre proposte in una situazione economica e politica italiana; secondo un metodo che è indispensabile seguire, riteniamo, perch le scelte proposte abbiano un senso. Sono poi seguiti vari altri interventi di nostri compagni. La stessa accettazione da parte del Presidente della Giunta, questa mattina, della proposta di lasciare alla Giunta maggior spazio di tempo perché possa valutare i contributi che sono venuti dal Consiglio ci è sembrato intesa ad ammettere che si è trattato di interventi di carattere costruttivo, seri e di qualità. Credo si debba dare atto che gli interventi dei Consiglieri comunisti - su quelli degli altri non esprimo giudizi - abbiano avuto il pregio, in questo dibattito, di rifarsi a situazioni reali, situazioni poste dal movimento dei lavoratori, ma non solamente dai lavoratori dell'industria, bensì anche dal ceto medio, siamo partiti dal riconoscimento che esigenze prioritarie si pongono nella nostra Regione e vanno affrontate subito. Le nostre proposte hanno colto queste esigenze, per lo meno le più importanti. Per alcune sono state delineate delle posizioni, delle prospettive di intervento; per molte altre, quasi tutte, sono state date chiare indicazioni in ordine agli stanziamenti del bilancio.
A prescindere, quindi, dal merito delle nostre proposte, che possono logicamente scontrarsi con una diversa filosofia del bilancio - per rifarmi a quanto diceva il compagno Nesi -, rimane la validità della serietà con la quale, come sempre, credo, il Gruppo comunista ha affrontato questo dibattito. Direi che questo possa portare ad una conclusione: che la nostra presenza nelle assemblee elettive locali, così come nelle altre parti, è una presenza indispensabile, perché il confronto si basi su posizioni vere reali, su posizioni produttive.
Vorrei riassumere il nostro atteggiamento nei confronti del bilancio così com'é stato inquadrato efficacemente prima da Sanlorenzo e quindi nelle premesse di ogni intervento dei nostri compagni.
Prima di tutto noi abbiamo proposto un problema di strumenti per la programmazione. A questo impegno abbiamo attribuito - proponendo per l'attuazione di questi strumenti anche precise integrazioni al bilancio una importanza che giudichiamo essenziale. Abbiamo, come altri sottolineato che il nostro bilancio si apre praticamente in contemporaneità con il dibattito sulla formazione del secondo, che in effetti è poi il primo, piano di sviluppo economico della Regione. Il nesso è abbastanza evidente: noi non abbiamo ancora introdotto nel dibattito gli elementi che emergono dal piano preliminare dell'Ires, e perché la valutazione non è ancora sufficientemente approfondita, e perché un dibattito è aperto proprio su queste questioni. Tuttavia, ognuno di noi ha presente che le scelte che la Giunta, che ogni Gruppo, che ognuno di noi ha proposto in questo bilancio devono e possono essere coerenti con le finalità, gli obiettivi del piano che ci accingiamo a costruire.
Sul piano degli strumenti, abbiamo preso atto che nel documento della Giunta sono contenute proposte di strumenti che il Consiglio Regionale ha deciso come strumenti essenziali per la vita della Regione nei molti dibattiti che nel corso di questi due anni ha svolto, se mi consentite molte volte proprio su proposta del Gruppo comunista. Abbiamo dichiarato cioè di essere d'accordo sull'Ente di sviluppo agricolo, sulla Finanziaria sull'Ente di sviluppo per l'Artigianato. Quando nel dibattito sul piano ci rifaremo alle premesse più importanti del rapporto preliminare dell'Ires vedremo che è stato giusto sottolineare il settore dell'artigianato e della piccola e media industria, che si presenta come una delle diversificazioni più importanti alla situazione produttiva del Piemonte, oggi dominata dalla produzione monoculturale della Fiat.
Mentre affermiamo questo, diciamo però anche che riteniamo opportuno indispensabile, anzi, discutere nel merito di ognuno di questi enti. Sono state fatte considerazioni di non poco rilievo: qualcuno, non ricordo bene chi, ha parlato di apprendista stregone. Mentre come Gruppo comunista siamo impegnati ad elaborare, con il maggior concorso possibile di forze esterne proposte precise in tal senso, sollecitiamo anche la Giunta a produrre nel minor lasso di tempo le indicazioni legislative in ordine ad ognuno di questi strumenti, affinché alla decisione relativa alla loro istituzione si addivenga entro il 1972.
Abbiamo indicato tra i vari strumenti alcuni elementi importanti quali, per esempio, i comprensori. Mi richiamo, senza ricalcarlo all'intervento recentemente svolto in proposito dal mio compagno Rivalta: siamo veramente convinti che è questo lo strumento, già contemplato nello Statuto come fondamentale per la politica di piano, intermedio tra Regioni e Comuni, che occorre costruire. Quindi, la iscrizione di un capitolo a bilancio per finanziare la futura iniziativa legislativa in proposito, che per quanto ci riguarda è ormai giunta alla conclusione che entro breve termine presenteremo al Consiglio Regionale, sta a significare la volontà effettiva di operare per una politica di piano. Noi pensiamo che se entro il 1972 non riuscissimo a creare questi strumenti non potremmo efficacemente corrispondere all'affermazione che ognuno di noi, della minoranza, ma soprattutto la maggioranza attraverso i documenti che ci ha portato, fa di voler aprire efficacemente una politica di piano.
Mi limiterò ad un accenno sugli altri strumenti che servono la politica di programmazione: sono quelli che indica il rapporto dell'Ires, per esempio, rifacendosi alla legge che rifinanzia la Cassa per il Mezzogiorno e cioè l'istituto dell'autorizzazione, per quanto riguarda il CIPE, da attuarsi con il concorso della Regione, ed i compiti che attengono invece particolarmente alla Regione. In sostanza, il discorso sugli strumenti della programmazione che noi abbiamo posto con molta forza, è da noi ritenuto elemento indispensabile per svolgere in modo nuovo e diverso la politica della Regione.
Abbiamo poi operato sulla base di integrazione di fondi a voci proposte dal bilancio della Regione. A questo proposito, sottolineo soltanto quanto ha detto il collega Nesi circa il fatto che le voci trasferite dallo Stato sono state riportate nel bilancio della Regione senza alcuna modifica. A questo proposito, l'Assessore Gandolfi ha affermato, prendendo da ciò le mosse per sostenere la tesi della genericità, e, tutto sommato, della illegittimità, della nostra impostazione: la Regione in questo caso non pu che applicare nello stesso modo le voci che ci vengono trasferite dallo Stato.



GANDOLFI Aldo

Non mi sono riferito a voci, ma a leggi.



BERTI Antonio

Credo che si potrebbero citare qui discussioni che abbiamo fatto nella I Commissione Programmazione e Bilancio, in cui siamo partiti, sì, da questa affermazione, ma per giungere poi alla conclusione che era invece possibile operare accorpamenti, distribuire in modo diverso, fare comunque un tentativo di applicazione più organica, nuova, di certe impostazioni attualmente usate dallo Stato. In questo senso esperienze concrete sono state realizzate da altre Regioni: l'Emilia Romagna, per esempio, ha costituito per legge un fondo per la prevenzione, e in questo fondo, dal quale si dovrebbe poter attingere per intervenire in tutti i campi della prevenzione, ha inglobato i milioni che lo Stato ha trasferito, per esempio, per la medicina scolastica; ecco un esempio di come si pu raccogliere uno stanziamento, indirizzandolo però ad un uso diverso.
Noi sosteniamo che non è obbligatorio mantenere la destinazione originaria, soprattutto quando, come per certe voci proposte dalla Giunta subentrano integrazioni (quello della medicina scolastica è un caso specifico: lo Stato trasferisce trenta milioni, la Giunta propone di portare lo stanziamento ad 80 milioni). Secondo noi, proprio questa integrazione ci consente una destinazione diversa, un impiego diverso.
Certamente, con le possibilità molto ridotte consentite da attività finanziarie molto modeste i risultati non possono che essere modesti. Ma è importante, in questo primo bilancio, stabilire le direzioni da seguire.
Abbiamo affermato che il bilancio 1972 aveva anche carattere di indicazione per il prossimo bilancio '73: è indubbio che certe scelte che saranno fissate da questo bilancio non potranno che essere riprese con maggior forza nel bilancio '73. Esse non sono fine a se stesse, ma in certo qual senso costituiscono una indicazione di linea per le iniziative e di piano e di bilancio che dobbiamo assumere nei mesi prossimi. Di qui l'importanza di collegare e di fissare un certo indirizzo.
Ne deriva l'opportunità di una serie di integrazioni, ad alcune delle quali annettiamo grande importanza. Citerò, fra tutte, quella che riguarda il diritto allo studio. Lo stanziamento relativo ai libri gratuiti per i bambini bisognosi, lasciato al livello di 300 milioni, consente un intervento per bambini bisognosi equivalente a quello svolto dai patronati scolastici; un aumento di tale stanziamento fino a portarlo a un miliardo pur non risolvendo il problema, a nostro giudizio, perché l'entità dell'intervento dev'essere più massiccia, se deciso con l'impegno di significare agli Enti locali l'importanza che noi annettiamo a questo intervento e di richiedere agli Enti locali di fissare nei loro bilanci contributi in questo senso, giova a dare una indicazione di linea in questo senso. Collocandosi su un tale piano, la cifra a disposizione per la gratuità dei libri nella scuola dell'obbligo non è più a livello di bambini bisognosi, ma può interessare anche l'80% dei ragazzi che frequentano le scuole dell'obbligo, e senza un dispendio enorme si può cominciare ad incidere positivamente in questo campo. E' una indicazione che noi diamo.
Lo stesso vale per il trasporto allievi, per l'artigianato, il credito di esercizio (che non può essere per ora della misura organicamente necessaria: quella verrà dall'Ente di sviluppo, dalla ricerca di mercato dagli indirizzi di carattere tecnologico e da altre iniziative che sono state illustrate nell'intervento di Raschio, ma vale a dare immediato aiuto, soprattutto dal punto di vista della liquidità, come abbiamo detto alle piccole e medie aziende e soprattutto agli artigiani in difficoltà).
Le nostre proposte di integrazioni non hanno dunque il valore di richieste di qualcosa in più: sono tutte rivolte a conferire ad ogni tipo di intervento che noi proponiamo la possibilità di incidere effettivamente.
Condivido le considerazioni che ha fatto il collega Nesi circa la filosofia del bilancio e la critica al fatto che nelle proposte della Giunta non si trovi rispecchiata la più volte affermata volontà di operare per superare la fase anticongiunturale e nel contempo affrontare sul piano della prospettiva i problemi del Piemonte. Vorrei però rivolgere ai compagni socialisti una domanda: come si concilia questa impostazione, a mio parere giusta, con la dichiarazione fatta da Simonelli che il PSI non ritiene utile in questa fase l'accensione di mutui? Si pensa forse di assolvere questa funzione, che pure oggi è tanto necessaria, di interventi anticongiunturali con i cinque miliardi del fondo globale? Noi diciamo che invece questa funzione deve comportare la decisione da parte della Regione di aprire una fase di obbligazioni o di mutui. Le nostre proposte non vanno a coinvolgere i 110 miliardi che una tantum la Regione può fare (riconosciamo, e noi stessi ce ne siamo fatti assertori, l'esigenza che la Regione non debba decidere interventi giorno per giorno, ma debba rifarsi a finalità e ad obiettivi stabiliti dal piano, in modo da dare carattere di organicità agli investimenti della Regione); ma proprio perché siamo coscienti che in questa situazione, che abbiamo sottolineato essere drammatica e pesante, occorre incoraggiare la domanda, occorrono investimenti sociali, diciamo che questa volontà è valida nella misura in cui si esce dai 5-6-7 miliardi del fondo globale. Noi abbiamo indicato in 17-18 miliardi la misura tale da non compromettere per nulla le possibilità future della Regione ma da conferire per intanto al tipo di intervento del bilancio della Regione su certi capitoli una possibilità di incidenza effettiva; poiché non potrebbero ottenersi risultati tangibili - non conosciamo peraltro quali sono le priorità che la Giunta ha stabilito senza stanziamenti adeguati che non potrebbero esserci.
Un terzo settore di proposte riguarda l'inserimento di capitoli nuovi a bilancio. Noi sappiamo perfettamente che siamo vincolati dalla contabilità dello Stato e che pertanto a bilancio dobbiamo mettere cifre che corrispondano a iniziative o a leggi esistenti, dello Stato o della Regione. Per la verità, è un punto di vista abbastanza controverso trattandosi del primo bilancio della Regione; ma lo voglio dare per scontato. A noi pare che per quanto riguarda l'istituzione di capitoli di spesa quali quelli proposti, ad esempio, dal collega Ferraris per l'agricoltura, settore che occorre sostenere con la maggior forza, non sia sbagliato che ci si rifaccia a leggi dello Stato, nei termini esposti dal collega Ferraris, per costruire una base concreta di intervento a livello di 7-8 miliardi. A questo proposito, credo si possa affermare che all'evidenza del fatto che l'intervento va a sostegno di un settore che di esso ha veramente bisogno si aggiunge la possibilità effettiva di dare credibilità alla volontà della Regione di adoperarsi in favore di questo settore, in attesa del piano futuro, credibilità che non ci sarebbe se l'intervento della Regione si limitasse al 6%, secondo l'attuale proposta della Giunta.
Ecco gli elementi più importanti della nostra proposta. A questi se ne aggiunge ancora uno: noi proponiamo l'istituzione di vari fondi. Questi possono anche essere iscritti tutti a bilancio "per memoria": ciò vuol dire che la prossima iniziativa legislativa indicherà la cifra e la voce da cui attingere, se il fondo globale, oppure se il finanziamento attraverso mutuo o obbligazione. L'importante è che in questa sede siano date le indicazioni generiche di utilizzazione e di formazione dalla legge che preciserà gli interventi. Allora risulterà dal dibattito, dalla relazione, dalla decisione finale, comunque, dal Consiglio la volontà politica di intervenire rapidamente, di elaborare quindi rapidamente la legge opportuna per colmare quel "per memoria" messo nel bilancio. Così sarà comunque espressa in modo chiaro e netto la volontà politica della Regione di operare per questo o quel settore.
Da questo punto di vista noi abbiamo fatto alcune proposte, che riassumerò, intrattenendomi un poco più soltanto su una di queste. Devo però premettere ancora che la nostra proposta di ricorrere ai fondi, oltre che ai motivi che ho esposto adesso succintamente, si richiama anche ad un'altra considerazione: a nostro giudizio, il fondo corrisponde alla visione che noi abbiamo della Regione. (Faccio solo un accenno ad alcuni temi politici che attengono alla vita ed al funzionamento delle Regioni che potranno essere più ampiamente ripresi in sede di dichiarazione di voto). Tutti siamo ben consapevoli delle difficoltà che incontra nel suo cammino la Regione. Ad aggravarle contribuisce però la tendenza accentratrice che l'istituto regionale sta assumendo, direi soprattutto nella Regione Piemonte. Articoli del Presidente della Giunta apparsi sui giornali parrebbero dimostrare che ci sia una consapevolezza di questo e che si voglia procedere ad uno snellimento della vita regionale, affinch alla Regione competano essenzialmente compiti legislativi, amministrativi soprattutto di indirizzo politico e di coordinamento. Noi siamo convinti che sia questa la funzione della Regione, e desideriamo vederla attuata il più rapidamente possibile. Per questo abbiamo chiesto anche una voce al bilancio, che, al di là dello stanziamento, testimoni della volontà specifica di operare in questo senso: le leggi di delega delle funzioni agli Enti locali. Questo corrisponde ad attribuire alla Regione una funzione diversa, nuova nel quadro delle strutture istituzionali del nostro Paese, e nel contempo sviluppa l'autonomia degli Enti locali. Sono principi, a nostro giudizio, molto importanti, basilari per il futuro della Regione. Il fondo ha proprio questo carattere: la Regione, per gli indirizzi che precisa, stabilisce un fondo per contribuire alle iniziative che i Comuni, le Province ed i loro organismi assumono nelle loro materie.
Ciò ha anche un significato politico, cioè vuol dire che la Regione non sempre interviene direttamente in senso operativo, ma legifera, indirizza e contribuisce al funzionamento. I comprensori soprattutto, noi diciamo, e ne discuteremo a suo tempo, possono assolvere, alla scala giusta, molte delle funzioni che occorrerà appunto svolgere.
Nel prendere atto delle dichiarazioni del Presidente della Giunta apparse sui giornali ed anche fatte in Consiglio circa la volontà di operare rapidamente, anche per superare una fase in cui l'esercizio delle funzioni è stato svolto solo dalla Giunta, quando nelle altre Regioni, sia pur provvisoriamente, si è compiuta una distinzione tra le varie competenze, tra i vari organi della Regione, impegnando le forze politiche noi in primo luogo ma soprattutto la Giunta, a presentare sollecitamente le relative proposte di legge, devo però fare un rilievo: che anche le buone intenzioni o le indicazioni di linea a prima vista positive possono diventare pericolose. Il Presidente della Giunta, in una dichiarazione rilasciata a "La Stampa", pubblicata l'altro giorno, afferma ad esempio che, in sostanza, la delega riguarderebbe la possibilità per i Presidenti delle Province di firmare in vece del Presidente della Regione. Questo risulterebbe da un incontro che lo stesso Presidente ha avuto con i Presidenti delle Province. Se questo è il terreno, devo dire che, almeno per quanto ci riguarda, non ci siamo: per noi - e il principio è da tempo fissato nello Statuto - la delega agli Enti locali è un grande momento partecipativo, è il modo di costruire un tipo di partecipazione organizzata, di decentrare non soltanto a livello amministrativo ma anche a livello politico. Intendiamoci, è una delega conferita ai Consigli Comunali, i quali, strutturandosi in organismi di partecipazione di quartiere, allora, nello svolgere certe funzioni, assolvono e costruiscono un nuovo metodo di partecipazione e di gestione. Ma se la delega si risolvesse nella possibilità data ai Presidenti delle Province o a qualche sindaco importante di firmare i decreti in luogo del Presidente della Giunta non avremmo risolto il problema. Propongo questo come elemento di riflessione e di dibattito, in quanto appunto il dibattito si apre su altre questioni: è questione di essenziale importanza proprio al fine di costruire un istituto nuovo.
Fatte queste premesse di carattere generale, molto rapidamente riprendo il tema già introdotto dal mio compagno collega Lo Turco per precisare alcune questioni di merito.
Io credo che occorra partire da un dato ben preciso: la crisi generale dell'organizzazione sanitaria, un punto, ritengo, largamente acquisito. Un altro concetto considerato acquisito da tutti, per lo meno a parole, è l'esigenza di passare da una domanda spontanea individuale ad una domanda programmata e collettiva, che trovi il proprio momento qualificante nella prevenzione. Già altre volte abbiamo introdotto questo tema, ma non abbiamo avuto modo di sentire esporre dall'Assessore competente le sue idee in materia di Sanità, e neanche questa volta abbiamo il piacere di vederlo al suo posto.
Mi richiamo, perciò, ai discorsi già fatti, cioè che la prevenzione è intesa non solo come individuazione precoce della malattia ma soprattutto come rimozione delle cause: questa è la condizione fondamentale per una sostanziale riforma del sistema sanitario.
Per testimoniare la volontà di intervento della Regione Piemonte a correzione della situazione di estrema drammaticità in materia di salute (Lo Turco nel suo intervento ha citato vari casi, fra i quali quello dell'Ipca di Ciriè, che credo sia a conoscenza di tutti, un'azienda i cui proprietari e dirigenti sono stati sottoposti a procedimento giudiziario perché, sapendo che i lavoratori addetti a quella produzione erano praticamente condannati a morire di cancro, non avevano provveduto ad adottare idonee misure protettive), noi chiediamo l'iscrizione di un fondo nella misura di due miliardi, per la prevenzione, destinato a finanziare la promozione e l'incremento di iniziative di medicina e assistenza sociale dei Comuni, delle Province, dei Consorzi e delle Comunità montane, per servizi gestiti direttamente o mediante convenzioni. In quali settori? Proponendo un fondo per la prevenzione, per parte nostra, non indichiamo solo l'intervento nel campo della medicina del lavoro, la tutela dei lavoratori nelle fabbriche, ma una serie di settori: in particolare, la medicina e l'igiene del lavoro, la tutela della maternità e dell'infanzia la medicina scolastica e dello sport, la tutela della salute degli anziani l'igiene ambientale e della alimentazione, l'igiene mentale, la lotta contro le malattie sociali, l'educazione e la statistica comunale; tutti elementi che possono costituire una essenziale politica di prevenzione.
Nell'affermare questo quadro di esigenze, tuttavia, noi privilegiamo l'intervento nella fabbrica per la tutela dell'integrità fisica dei lavoratori. Come Gruppo, ci siamo impegnati a presentare sollecitamente una proposta di legge, di cui possiamo anticipare, per aprire un dibattito alcuni elementi essenziali: prima di tutto, deve fissare una normativa per la compilazione obbligatoria da parte dei datori di lavoro, con la partecipazione dei gruppi omogenei esistenti all'interno della fabbrica del registro sulle condizioni ambientali in cui si svolge il lavoro: ciò al fine di individuare, per eliminarli, gli elementi di turbativa, così da ristabilire all'interno dei luoghi produttivi condizioni ambientali positive. Riteniamo che uno degli aspetti essenziali, una possibilità che effettivamente la Regione ha, è quello di una normativa in questo senso occorre poi costruire altri tipi di intervento: un'iniziativa della Regione per un Centro di medicina del lavoro ecc. Il dibattito in proposito è aperto, e noi lo vogliamo svolgere con le forze interessate: i sindacati, i consigli di fabbrica, i consigli sanitari di fabbrica. Da questo punto di vista abbiamo già avuto recentemente ad analogo problema una risposta del Presidente della Giunta, che si è dichiarato disponibile ad affrontarlo.
Naturalmente non possiamo non sottolineare criticamente il fatto che le organizzazioni sindacali regionali abbiano più volte inutilmente richiesto interventi alla Giunta, per vedere come costruire un tipo di intervento nelle fabbriche: c'è stato un incontro e un impegno a ritrovarsi nel giro di quindici giorni, ma questo impegno è stato disatteso. Io non voglio fare il processo alle intenzioni: può essere che la ricerca delle origini storiche degli enti originali degli ospedali, sulla quale siamo informati dal Bollettino della Regione, impegni moltissimo l'Assessore, che ci sia un problema di strumenti. Dico però che la Regione, attraverso l'Assessore o la Commissione, se l'Assessore è oberato di lavoro, deve aprire in modo continuativo un discorso con le forze interessate, per mettere a punto il provvedimento legislativo capace di far muovere un meccanismo di intervento, nelle fabbriche e nei luoghi di produzione; successivamente, si dovrebbe studiare, sempre servendosi dei vari contributi esterni che possono venire, anche di carattere qualificato, in qual modo operare per gli altri settori nel campo della prevenzione, che io qui ho indicato ma sarà opportuno specificare in modo più preciso.
L'ultima proposta, che ci viene anche dalla Commissione Sanità del Comune di Torino (credo non sia mai stata esaminata in Consiglio e sia invece il risultato dei lavori della Commissione ma la cito perché mi sembra interessante), è la costituzione per iniziativa della Regione di un Centro di Igiene del lavoro, che è poi una specie di organismo sanitario di controllo dei luoghi di lavoro: dovrebbe essere composto da un laboratorio centralizzato dotato di unità mobili e degli altri servizi di cui al punto 3 (vi rimando al documento, risparmiandovi ora la lettura), capace di rappresentare un punto di riferimento per i vari centri comunali; propone quindi, il Comune di Torino, l'istituzione di vari centri cui il servizio corrisponde attraverso le unità mobili, e vengono indicati anche gli elementi per la costituzione del laboratorio, delle unità mobili. Anche se non l'accetto così com'è, questa indicazione mi sembra interessante.
E' possibile, quindi, costruire, insieme ad alcune norme di intervento anche alcuni strumenti di carattere politico e di carattere tecnico specializzato per offrire agli Enti locali, ai Comuni, alle Comunità montane, ai comprensori, in ultima analisi, una possibilità di indirizzo e di finanziamento per intervenire rapidamente in questo settore.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Bianchi. Ne ha facoltà.



BIANCHI Adriano

Ci avviamo alla conclusione di una serie ampia ed importante di interventi, che hanno spaziato dagli argomenti che riguardano più propriamente, da vicino e in modo pertinente il bilancio, per passare alla formulazione di programmi a lungo e a medio termine, alla proposizione di richieste e a sollecitazioni particolari che comporteranno, per la serietà che rivestono, a parte il loro collegamento più o meno stretto con il documento che oggi dobbiamo discutere ed approvare, una verifica ed una azione di sintesi. E credo sia questo il significato della decisione che il Presidente della Giunta ha preso di accogliere la richiesta di spostare la conclusione di questo dibattito.
La presentazione e la discussione del primo bilancio della Regione Piemonte offre certamente un'occasione legittima, lo riconosco, per allargare il discorso ad ogni più generale considerazione politica e programmatica. Ne abbiamo avuto un esempio qualche minuto fa, molto elevato e rispettabile, sia per la trattazione di temi specifici che per la trattazione di temi generali. Osservo qui che quando Berti si richiama alla necessità di affrontare con mutui fin d'ora la soluzione di alcuni problemi ci fa ricordare che la struttura di questo bilancio non compromette minimamente né preclude, mi sembra, minimamente, questa possibilità futura.
Questa facoltà ed occasione, dunque, atta a dar voce e risonanza alle posizioni, ai giudizi e alle proposte delle forze politiche presenti in Consiglio non può consentire, però, che si determini quasi implicitamente una situazione, o meglio una valutazione ed un giudizio, per cui i documenti presentati dalla Giunta costituirebbero il momento tecnico, cui si riconosce, entro questi limiti tecnici, un certo pregio; momento che potrebbe trovare la sua integrazione, la sua veste, il suo contenuto politico, poi, soltanto nelle indicazioni e nelle proposte che vengono dalle opposizioni, o da alcune di queste.
Si tratterebbe di un bilancio omogeneo, ed una determinata visione ed impostazione politica, e quindi, nel giudizio nell'opposizione assolutamente carente e privo di anima. E' difficile vedere un'anima nei bilanci, stante la loro naturale aridità, ma certo una linea politica e una prospettiva politica è certamente legittimo vederla e ricercarla.
Dico subito che le indicazioni e gli apporti, apprezzabili, alcuni apprezzabilissimi, sussistono e non sono respinti dal mio Gruppo o dalla maggioranza, ritengo, in via aprioristica o pregiudizievole. Così come ha mostrato l'ampia discussione ed elaborazione già avvenuta in sede di Commissione I di bilancio, dei cui lavori in modo così completo ed ampio ci ha informati il relatore dott. Dotti. E come sarà ulteriormente provato nella replica che il Presidente della Giunta farà dopo attento e quindi rispettoso e serio esame delle proposte, che coinvolge non solo la Giunta ma tutta la maggioranza. Meno legittimo, invece è il giudizio che porta a vedere nei presunti limiti tecnici del bilancio l'espressione e i limiti di una linea e di una concezione politica. Questa, a mio avviso, sarebbe una evidente forzatura, che è avvertita quando a drastici giudizi politici di radicale sfiducia si fanno seguire più realistiche considerazioni sul terzo momento che staremmo vivendo, di confronto propriamente regionale o regionalistico che, come i primi due, quello dello Statuto e quello dell'approvazione dei decreti delegati, offre l'occasione per incontri ed apporti costruttivi. Legittima è la sfiducia politica, che trova del resto reciproci motivi, ora, in una direzione, di preclusione totale e definitiva, irreversibile, ora di inconciliabilità ideologica e di metodo o in altra direzione, di semplice dissenso sui modi, sugli schieramenti e sulle tecniche per conseguire mete non del tutto divergenti e spesso compatibili.
Queste posizioni che si traducono in sfiducia, vista in prospettiva sui modi di gestione di un bilancio e delle funzioni che ne discendono danno la giustificazione di un atteggiamento negativo o di perplessità. E' comprensibile che sia così. Per noi invece non un bilancio tecnico, privo di contenuto politico o esprimente una visione politica statica, riluttante ad entrare nel vivo, nella dinamica della realtà sociale e politica della Regione, ma un bilancio nel quale la validità e l'efficienza tecnica sono la conseguenza di una ricerca, di una volontà, di una scelta politica che vuol portare la Regione fuori da secche sterili e contestative, verso l'occupazione di uno spazio concreto ed immediatamente operativo, in cui l'autonomia si misura e si realizza facendo largo spazio a se stessa assumendo un ruolo di attrazione necessariamente sempre più irresistibile nei confronti delle riserve che esistono nei centri del potere politico e burocratico dello Stato. La domanda, le richieste, le esigenze diversificate che salgono dal Paese, e che lo Stato, anche il migliore degli apparati statali, non potrebbe soddisfare, se si attribuisce ancora un valore alle regioni democratiche di originalità, di autonomia, di peculiarità e quindi al pluralismo sociale; questa crescente competenza della Regione non potrà che essere assorbita, ribaltata su una Regione che mostri efficienza nell'affrontare i compiti già assunti di possedere ancora una larga disponibilità interpretativa dei bisogni sociali ed una correlativa capacità di operare. La stessa opinione pubblica, certamente irresistibile certo domani nel secondare questo moto di espansione dell'autonomia regionale, se meritata, se esiste uno spazio da coprire e la Regione si mostra atta a coprirlo, diverrebbe invece rapidamente severa - e in qualche momento già la vediamo ondeggiare -, alleata di ogni disegno burocratico efficientistico di marca centralista o anche, dal punto di vista politico, reazionaria.
Questo bilancio, nei limiti in cui è consentito caricarlo di significati politici, o di certi significati politici, vuol esprimere appunto - noi vogliamo confermare, ed accentuare questo indirizzo - la volontà di una autonomia dotata degli strumenti necessari al suo esplicarsi ed espandersi. A cercare, quindi, certe meccaniche corrispondenze dialettiche, certe deduzioni forzate si rischia non di acquisire delle prove ma di fornire confutazioni alle tesi che si enunciano. Apprezziamo invece certi altri cenni - mi riferisco sempre ad interventi, in questo caso dei colleghi socialisti - intesi a respingere ogni posizione aprioristica, a riaffermare originalità, autonomia e distinzione di atteggiamenti rispetto a quelli di altre forze politiche dell'opposizione.
Ma queste dichiarazioni, meglio, questi atteggiamenti psicologici un po' scontrosi dovrebbero piuttosto tradursi in prese di posizione insieme concrete e serene, dovrebbero consentire un più ampio ed esplicito riconoscimento - così come è stato espresso, del resto, in termini di realismo politico dall'opposizione del Gruppo comunista - che siamo di fronte, con questo bilancio e per la sua struttura ad un terzo momento significativo ed unificante della vita della Regione Piemonte.
Questo bilancio, che è insieme di raccordo e creativo, non solo perch è il primo ma perché come prima prova offre anche ad altre Regioni le modalità di soluzione di certi difficili problemi dell'avvio della vita regionale, frutto non di una banale e tediosa ripetizione di schemi, ma di una intuizione tecnica e di una finalizzazione politica, contribuisce, a nostro avviso, a realizzare un traguardo importante e decisivo della fase costituente della Regione. Contribuisce a farci uscire da frustranti ripetizioni di enunciazioni di principio, non secondo la visione di uno Stato burocratico decentrato che farebbe della Regione uno strumento amministrativo meramente erogatore, ma che inquadra, utilizzando ai fini dei contenuti di autonomia la materia, con riferimento alla legislazione vigente. Non è una traduzione automatica, è una utilizzazione, una assunzione autonoma di una iniziativa che non può che essere ancorata al quadro dell'ordinamento giuridico vigente. Non siamo l'ultima Regione a reclamare la sua autonomia: siamo tra le prime, e non trascuro il contributo che ognuno dei Gruppi qui presenti ha dato a costruircela nei fatti, nell'azione, nella concretezza. Facciamo limitato affidamento, posti come siamo su un terreno squisitamente politico, alla validità decisiva di ricorsi giurisdizionali, di ordini del giorno contestativi ai fini della definizione o meglio della occupazione di un ambito di autonomia che è affermato all'origine, in poche norme costituzionali, ma che dilaga a valle secondo un processo che è storico, legato quindi alla volontà e al comportamento consapevole degli uomini. Credo persino che certe doglianze e lamentazioni ricorrenti che sentiamo proporre da illustri rappresentanti di altre Regioni comincino ad essere accolte con fastidio dall'opinione pubblica, che avverte in esse la ricerca più o meno inconscia di alibi per le difficoltà che si incontrano nel fare. Noi abbiamo il senso dei limiti che ci sono obiettivamente posti, rifuggiamo da un panregionalismo di maniera, ma non cerchiamo altrove pretesti o giustificazioni. Se questa autonomia, che pur ci è contestata, limitata, ritagliata, se volete, sarà realizzata, tutta intera, la battaglia autonomistica regionale sarà vinta: l'inversione irreversibile, consentitemi il bisticcio, di un certo corso costituzionale e politico sarà compiuta.
Certo, avvertiamo come ad un ruolo politico di vasta rappresentanza degli interessi sociali e umani che sono in gioco, spesso in termini drammatici, nel territorio della nostra Regione non corrispondono adeguati poteri. Ma questo non ci fa rinunciare (e penso ai problemi dell'occupazione che toccano, specie nel settore tessile, la vita di tante famiglie, aziende, comunità) a svolgere una funzione di rappresentanza, di difesa, di puntuale duro richiamo a porre in primo piano il termine umano dei problemi che hanno una complicazione obiettiva, tecnica, economica, che non possono essere trascurati senza sfuggire in direzioni velleitarie.
Mentre abbiamo coscienza, in concreto, delle molte soluzioni articolate complesse, e non tutte, del resto, soddisfacenti cui abbiamo contribuito ci rifiutiamo di accedere a prese di posizione che suonino esasperazione delle situazioni o clamore di facciata per mettere a posto la coscienza senza un seguito concreto. Così come riteniamo che l'esigenza di una società dinamica ed in progresso, cioè l'esigenza di assicurare un'agile mobilità delle forze del lavoro e degli indirizzi produttivi, deve finalmente essere garantita, se non si vuole ripiombare in corporativismi paralizzanti e rovinosi, pagando un duro prezzo in termini di insicurezza di disoccupazione, di perdita della condizione di eguaglianza civile che deriva dall'assunzione di responsabilità in un posto di lavoro.
Gli strumenti dello stipendio minimo garantito in certe congiunture e per congrui periodi, una più efficace azione di programmazione e di approntamento delle occasioni di lavoro sostitutive, una più sicura verifica delle condizioni per il mutamento di indirizzo di una azienda o per la sua chiusura sono alla portata ormai di un Paese che voglia essere insieme all'avanguardia sul piano della democrazia e dello sviluppo economico. In questa direzione vogliamo che la Regione Piemonte operi in modo sempre più incisivo.
Nei momenti in cui si determinano le condizioni del "si salvi chi può" vengono a galla gli egoismi più spietati, in alto e in basso. Ma noi non cessiamo di credere che non risponda a verità, che si possano costruire oggi per chicchessia fortune stabili sulle disgrazie altrui. Rifuggiamo da forme e denunce manichee: o la società italiana, nelle inevitabili tensioni e lotte che accompagnano il progresso sociale ritrova le condizioni per un lavoro sereno e costruttivo, e per la generalità dei cittadini, se non per tutti i cittadini, saranno prospettive di un maggior ordine civile, o si corre il rischio di arretramenti, di perdite di contatto con chi sta camminando più speditamente, per ripiombare in un isolamento rissoso carico di astio, nel quale il giustizialismo non farà luogo alla giustizia né il populismo farà luogo all'effettiva tutela degli interessi popolari.
Questa autonomia e la identificazione della politica regionale che è lecito dedurre dall'impostazione del bilancio vede l'esigenza di non fare di questo documento un libro di promesse e di soli buoni propositi dilatando all'infinito le iscrizioni generiche o per memoria; di non compromettere il piano di sviluppo, alla cui impostazione questa formulazione e questa discussione contribuiscono a dare una prima visione di insieme, che si approfondirà nell'imminente, anzi ormai collegata discussione sul rapporto dell'Ires, sulla quale già si possono formulare dei giudizi illuminanti, forniti di concretezza più viva, e quindi di capacità politica di tradurre dei dati messi con un processo culturale insieme sì da raffrontarli efficacemente con la realtà verso la quale siamo chiamati politicamente ad operare; infine, di salvaguardare la programmazione legislativa in termini rispettosi della competenza del Consiglio. Consiglio che noi vorremmo vedere assumere sempre più la dignità, l'autorevolezza dell'organo e in cui ha sede il potere legislativo e di controllo. Il fondo globale può essere facilmente, rapidamente assorbito, lo sappiamo; ma quella impostazione data, è stato detto costituisce un riconoscimento tangibile, obiettivo della autonomia, della sovranità di decisione legislativa dell'Assemblea. Se si fossero invece presentati degli strumenti rigidi collegati al bilancio si sarebbe gridato probabilmente allo svuotamento politico dell'Assemblea, alla sua trasformazione in una mera camera di registrazione.
E' legittimo sottolineare l'esistenza di una serie di settori, di problemi verso i quali occorre operare integrando il bilancio con l'attività legislativa; gli asili nido, l'urbanistica, l'ambiente, la prevenzione, l'agricoltura, certo, alla quale bisogna dare un carattere di assoluta preminenza (pensiamo al problema della zootecnia: abbiamo risorse immense ormai completamente inutilizzate) uno studio approfondito, una mobilitazione delle risorse tecniche, dell'inventiva, della creatività su questo piano. Scusate se accenno ad una esperienza personale; a causa dell'uso indiscriminato, erroneo dei concimi chimici si vanno isterilendo i terreni e modificandone le caratteristiche. Non si praticano le analisi dei terreni per accertare quali integrazioni fertilizzanti richiedono, o se a seguito di una pratica fertilizzante di otto-dieci-quindici anni in una direzione univoca non si siano provocati gli squilibri tragici che oggi si vedono (percorrete in treno la piana di qui al confine della Regione, dove io abito, e vedrete dei frumenti, dei raccolti, scandalosi pur essendosi usati diserbanti in misura essa pure rovinosa).



BESATE Piero

In compenso, i periti agrari che escono dagli istituti tecnici agrari vanno a fare i rappresentanti di commercio.



BIANCHI Adriano

Non è tanto questo il problema quanto quello della liberazione di forze tecniche che sono state nel tempo impegnate in attività di carattere burocratico. Visto che tanti colleghi hanno parlato in una prospettiva a lungo termine spero sia concesso anche a me questo piccolo sfogo: penso che la Regione possa pensare a meglio dotare gli istituti esistenti, creando eventualmente accanto a questi nuove strutture, affinché pratiche di controllo del tipo richiesto possano essere generalizzate ed ampliate.
Quanto all'autonomia e all'assemblea, direi ancora che dovremmo respingere la tentazione, emersa ancora una volta attraverso la discussione sul bilancio, di caricare, o scaricare, sull'assemblea una serie di funzioni amministrative. Qui si colloca, a dare un significato alle scelte fatte con questo tipo di bilancio, l'indicazione della volontà di accelerare i tempi per addivenire alla realizzazione della più ampia delega delle funzioni amministrative agli Enti locali. Perché la concentrazione di attività amministrative sull'assemblea potrebbe rispondere benissimo ad un disegno volto a paralizzarne la funzione legislativa, la funzione primaria e se non stiamo attenti, con i tempi che richiede l'iter per approvare anche piccole leggi, rischiamo di avviarci da soli verso forme di semiparalisi per cui poi alle richieste ed alle sollecitazioni non potranno corrispondere risultati proporzionati.
A questo punto mi si consenta di rilevare che questa quasi puntigliosa azione dell'opposizione volta a sottrarre ad organi della Regione, al Presidente della Giunta funzioni o attività amministrative o a contestargliene la competenza rivela quasi un riflesso condizionato manifesta forme di reattività che danno occasione a sfumature addirittura umoristiche, tende a far coincidere le istituzioni con le persone o gli atteggiamenti nei confronti delle istituzioni secondo i livelli di personalità, alla capacità di occupare gli spazi che le persone hanno.



MINUCCI Adalberto

E perché non credi che sia una concezione della democrazia, non un fatto di persone?



BIANCHI Adriano

La democrazia si è consolidata ed è cresciuta a mano a mano che si sono saputi distinguere i poteri, bilanciarli, non confonderli. Io ho colto più volte l'aspetto umano e simpatico di una vostra quasi istitutiva, non confessata tendenza a partecipare alle funzioni amministrative, piuttosto che una vocazione alla funzione tipica che siete chiamati a svolgere come opposizione che non partecipa al Governo, cioè legislativa e di controllo.
Ed e dal punto di vista umano, legittima questa tendenza, perché è quello il momento finale, in cui si incide sulla realtà per cui passa l'aspirazione ed esser presenti in quel momento. Ma non bisogna lasciarci fuorviare tanto da rischiare di stravolgere il significato, la proporzione e i rapporti che esistono fra gli organi e gli istituti.



MINUCCI Adalberto

Noi non vogliamo confondere i poteri, ma distribuirli in modo diverso costituzionale.



BIANCHI Adriano

E' proprio su questo che verte questo confronto, senza processi alle intenzioni.



BERTI Antonio

Ridurre anche sempre tutto ad un attacco personale è un modo per sfuggire all'essenza del problema, che è questa.



BIANCHI Adriano

No, noi abbiamo dato qualche motivazione. Potremmo discutere a lungo su questo tema. Indubbiamente, le funzioni amministrative saranno tanto più utilmente delegabili quanto più la materia ed i contenuti che la riguardano avranno conosciuto un momento unificante atto ad impedirne una applicazione municipale condizionata da impostazioni particolarsitiche. Anche l'interpretazione partecipativa, che vedo in termini ancora molto generici in ordine all'esercizio di una funzione tipicamente amministrativa che si esprime attraverso la formazione di atti amministrativi, potrà essere tanto più efficace, vera e valida quanto più esista, nella prassi e nell'indirizzo, nella capacità di coordinamento, un momento unificante che non faccia scadere l'amministrazione nel particolarismo e nella spartizione abbassandone livello e tono. A questo riguardo, in relazione a tutte le altre questioni e richieste specifiche, il Presidente della Giunta, ed occorrendo, l'Assessore al Bilancio, gli altri Assessori, esprimeranno le valutazioni della Giunta e della maggioranza: io mi astengo, anche per ora dall'entrare in argomento. Osservo, però, che pare una pretesa eccessiva quella del collega Sanlorenzo di conoscere tutto in questo momento: contenuti, soluzioni. So che l'abilità dialettica, la vivacità della sua esposizione lo portano qualche volta a questi paralleli, a questi collegamenti; ma direi che ora, subito, tutto, anticipato, preciso, non è possibile conoscere. Se con la sua impostazione intende esprimere un'ansia di operare sollecitamente, efficacemente, sono con lui; ma non possiamo certo anticipare in sede di discussione di bilancio i contenuti specifici di ogni possibile provvedimento di legge, sul quale ci confronteremo in questa sede. L'impegno della maggioranza, della Giunta, è di accettare l'incontro, la discussione su quei provvedimenti di legge che sono stati preannunciati e che esprimono una volontà politica.
E non credo che sia del tutto pertinente la contestazione che è stata fatta alla Giunta da parte del collega Nesi circa la inesistenza di ogni volontà di contrattazione con le aziende. Basti pensare ai colloqui con la Montedison, alla stessa conferenza chimica. Così come sul problema delle aree attrezzate, ai fini di un decentramento industriale di sostegno delle aree deboli si deve trovare un punto minimo indispensabile di inquadramento nel disegno di sviluppo del piano regionale, nel conseguente schema di assetto territoriale, in una selezione delle aree nelle quali, alla luce del piano stesso, operare in via prioritaria.
Nella relazione della Giunta già sono indicati, sobriamente non trionfalisticamente, i vari settori di iniziativa. Quindi, ritengo non sia una operazione dialetticamente valida ed efficace quella di considerare oggi il bilancio come carente di prospettiva politica e di indicazioni laddove lascia aperta tutta l'iniziativa, anzi, costituisce un presupposto necessario, indicativo di soluzioni che scaturiranno dal confronto tra le forze politiche nell'ambito dell'organo fondamentale della Regione che è l'Assemblea.
Concludendo: in relazione alle critiche rivolte al Governo nazionale e ai collegamenti fatti rispetto alla situazione della Regione ciascuno di noi ha sue opinioni e valutazioni sul significato di certe operazioni politiche, di certi incontri politici, in ordine alla loro possibilità di durata, alle prospettive o alle cause delle rotture di certi rapporti; è certo però che qualcosa di estremamente positivo a mio avviso è avvenuto, e non riguarda tanto un problema di linea politica quanto di atteggiamento di fronte alle responsabilità di Governo.
Io penso che il Governo che da poco ha ricevuto la prima fiducia da una delle Camere voglia segnare almeno la fine di un'epoca nella quale si riteneva che il durare comunque fosse il maggior bene politico: un governo questo governo regionale, quello nazionale - deve avere come proprio scopo, come propria finalità quello di fare ciò che si propone, disposto a scontrarsi, a cadere in qualunque momento. Negli ultimi anni abbiamo snervato completamente le istituzioni, abbiamo messo in forse la vita democratica del nostro Paese proprio per questa specie di mitologia secondo la quale il durare, l'irreversibilità dei rapporti politici era un fatto che costituiva il bene supremo. I rapporti politici, gli schieramenti tra le forze politiche da soli non sono atti e capaci di risolvere tutti i problemi. Anche se riteniamo che su basi nuove e diverse le forze soprattutto le forze democratiche, debbano trovare tutte una solidarietà un incontro qualificante con scelte che mettono oggi in posizione di critica l'una o l'altra. Credo che una sollecitazione possa venire oggi dai banchi del Consiglio alla Giunta in questo senso: di proporsi di operare di fare, indipendentemente da ogni altra considerazione, disposta a giocare tutto il proprio peso, la propria forza politica nella verifica nei confronti sui fatti.
Io spero che, superata, proprio per questa scelta psicologica che il Paese raccoglierà, questa fase critica, si possano trovare i modi d'incontro, di collaborazione che utilizzino tutte le forze politiche democratiche del nostro Pese, e che ricostituiscano anche, in una forma più efficace, un rapporto più corretto e più costruttivo con la stessa opposizione; sono convinto infatti che da posizioni di debolezza, di confusione, di incapacità e impossibilità di scelta nasce anche un rapporto mistificante con l'opposizione, mentre in un rapporto chiaro e netto sono possibili integrazioni, apporti, confronti costruttivi per tutto il Paese.
In questo senso noi respingiamo delle illazioni che vengono a caricare anche noi di significati paralizzanti rispetto alla situazione nazionale che è certamente di emergenza e che deve necessariamente trovare sbocchi più duraturi, più stabili, che utilizzano più ampi archi di rappresentanza democratica e popolare. Così come ci siamo dichiarati disponibili ad una programmazione legislativa che integri i problemi dell'utilizzazione del fondo comune, che dia un contenuto ai problemi dell'accensione di mutui o di interventi che siano incisivi e decisivi nei settori fondamentali delle competenze regionali, auspichiamo concludendo che si riesca a trovare, oggi che siamo usciti da una attività più generica, discorsiva, di confronto di principi, di idee, di discussioni generiche, forme di lavoro più snelle più pertinenti, più sintetiche, per le Commissioni, per il Consiglio, per tutti gli organi regionali. Siamo unici anche come personale umano; in termini ridotti, insufficienti, e non possiamo frustrare il vicendare e poi cercar di rovesciare con operazioni di carattere dialettico le responsabilità gli uni sugli altri. Io credo che, arrivando a questo terzo momento, in cui, conclusa la fase costituente, si apre una fase operativa dovremo anche trovare un modo più efficace, più organico, più pertinente affinché i vari organi, ciascuno per le proprie competenze, e tutti in una efficace forma di integrazione e di collaborazione, possano operare in modo più spedito e concreto. Perché le attese che si avvertono attorno a noi sono di grande momento e la Regione non può permettersi, in mezzo a tante incertezze generali, politiche e persino di costume e morali, di dare un contributo alla generale sfiducia.
Abbiamo detto che la Regione è un momento decisivo per la riforma dello Stato, è un momento decisivo per il consolidamento della vita democratica nel nostro Paese. Crediamo di dare con questa discussione, con il documento che è stato presentato, con la sua approvazione un nuovo contributo a fare un passo avanti sulla strada non dell'ottimismo ma almeno della speranza.


Argomento:

Bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 1972 (seguito)

Argomento:

Ordine del giorno della prossima seduta


PRESIDENTE

La discussione generale resta così conclusa. La Conferenza dei Capigruppo avrebbe convenuto di cessare i lavori odierni senza passare alla trattazione dell'ultimo punto dell'ordine del giorno, che dovrebbe comportare l'esame di quattro mozioni e di due ordini del giorno proposti dai Consiglieri. Credo che i proponenti delle mozioni e degli ordini del giorno siano consenzienti su questa linea di condotta, stante anche l'ora piuttosto avanzata e l'impegno della giornata, che ha legato tutti ad una certa responsabilità.
Non essendovi opposizioni, debbo comunicare che il Consiglio Regionale è convocato nel Palazzo delle Segreterie per i giorni 13 e 14 luglio 1972 alle ore 9,30 e alle ore 16 di ciascun giorno con il seguente ordine del giorno, che verrà comunque trasmesso per iscritto: 1) Approvazione verbali sedute precedenti 2) Interpellanze e interrogazioni 3) Comunicazioni del Presidente del Consiglio 4) Deliberazioni del Consiglio Regionale a sensi degli articoli 44 comma 3 dello Statuto e 11 secondo stralcio di regolamento circa l'adozione di una procedura abbreviata per l'esame del progetto di legge n. 37 di iniziativa della Giunta Regionale sulla istituzione del servizio di tesoreria della Regione 5) Bilancio di previsione per l'esercizio finanziario '72 - Seguito della discussione 6) Primo esame del rapporto preliminare dell'Ires per il Piano di sviluppo del Piemonte '71-'75 7) Nomina di dieci componenti del Consiglio d'amministrazione Ires 8) Esame della proposta di deliberazione della Giunta Regionale in ordine a formazione e istruzione professionale, D.P.R. 15 gennaio '72 n. 10 (seguirà l'allegato) 9) Esame dello schema di osservazioni della bozza D.P.R. di riordino del Ministero di Grazia e Giustizia, relatore il Consigliere Viglione 10) Esame dello schema di osservazioni alla bozza di D.P.R. di riordino del Ministero dell'interno, relatore il cons. Beltrami 11) Esame delle mozioni e degli ordini del giorno che fanno parte dell'ordine del giorno della seduta odierna e che vengono così ricapitolati.
La seduta è tolta. Il Consiglio è aggiornato al 13 e 14 Luglio.



(La seduta ha termine alle ore 20,10)



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