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Dettaglio seduta n.100 del 06/07/72 - Legislatura n. I - Sedute dal 6 giugno 1970 al 15 giugno 1975

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE OBERTO


Argomento: Bilanci preventivi

Bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 1972 (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta. Ha chiesto di parlare il Consigliere Rossotto. Ne ha facoltà.



ROSSOTTO Carlo Felice

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, mi sono accinto ad esaminare questo primo bilancio della Regione Piemonte con l'umiltà, suggeritami dalla novità dell'atto sia per la Regione che per il sottoscritto e dalla consapevolezza di condurre una indagine su un documento che può portare attraverso l'utilizzazione delle singole voci dei suoi capitoli all'attuazione di un disegno economico che possa recare sollievo soddisfazione e soluzione ad alcuni dei problemi che a noi operatori pubblici incombono.
Per prima cosa, ho dovuto rilevare una notevole carenza di elementi di conoscenza, di elementi di fatto sulla reale situazione della nostra Regione in relazione ai suoi singoli problemi, carenza che può portare molte volte ad interventi errati o non sufficientemente adeguati e calibrati. Occorre ricercare, ottenere - e questo è compito che ci dobbiamo proporre - una carta toponomastica del Piemonte in rapporto ai singoli problemi, per sapere esattamente quali sono le reali sue necessita e ci perché, attraverso l'istituto della consultazione, della partecipazione noi molte volte conosciamo soltanto spicchi di realtà. Che si arrivi all'assurdo che organizzazioni sindacali, durante le consultazioni, dicano di non sapere esse stesse quante siano le piccole e medie industrie, e quale sia la loro ubicazione sul territorio, che si arrivi a non conoscere esattamente certe situazioni di deficienza oppure di efficienza nel settore dei servizi, può essere, per chi come noi si sente impegnato ad una azione di integrazione e di intervento riformistico effettuato con opportuni provvedimenti, fonte di gravi errori.
Da una rapida scorsa sul progetto di sviluppo della Regione Piemonte elaborato in base agli studi dell'Ires, che sarà da noi esaminato nei prossimi giorni, e che dovrebbe essere compendio all'indagine di questo bilancio, si ricavano alcune interessanti considerazioni.
A pag. 8 sono riferiti dati che dimostrano e mettono in evidenza la situazione della nostra Regione e le sue cause, indipendentemente da ogni valutazione politica sul verificarsi di queste. Anzitutto, rileviamo che nei quattordici anni che vanno dal 1958 al 1971 ben 2 milioni e 800 mila sono stati gli immigrati nella Regione Piemonte, contro 2 milioni e 160 mila emigrati, con saldo attivo di 640 mila persone che si sono insediate sul territorio della Regione. Il saldo attivo, fra nati e morti, pur risentendo anche di questa componente immigratoria, porta soltanto a 117 mila unità di incremento. E' questo il fenomeno che ha determinato tutti quegli elementi negativi dei quali una realtà sociale in lento e costante mutamento impone si prenda coscienza. Ad un incremento naturale di 117 mila si è aggiunto un incremento di 640 mila persone.
Alla luce di questo grosso problema, di fronte alle grosse lacune che questa situazione ha determinato nella Regione, noi dobbiamo esaminare il bilancio e vedere quali possibilità di operare esso ci consente, per dare un giudizio positivo o negativo, pur nella brevità di tempo di esecuzione che esso potrà avere, dato che siamo già a metà dell'anno 1972.
Come già è stato rilevato da parte del collega Dotti nella sua relazione, abbiamo la possibilità di determinare, di mettere in moto attraverso strumenti appositi, mediante mutui a tassi agevolati investimenti dell'ordine di 43 miliardi; ed inoltre, pur bloccati nelle singole competenti voci, abbiamo già possibilità di investimento o di intervento, essendo precisate le singole voci di imputazione e di giustificazione legislativa, in tutti i settori nei quali possiamo intervenire (opera questa veramente apprezzabile, che permette l'esecutività immediata e consente per prima cosa di dare una risposta concreta a quelle istanze che vengono da coloro che ci hanno mandato qui ad amministrare i loro interessi).
Questa mattina il Consigliere Sanlorenzo diceva che ci possono essere contrasti politici su certi argomenti relativi alla formazione delle Giunte, ma sui problemi concreti, quando dobbiamo rispondere di fronte alla nostra gente, dobbiamo trovare una intesa. L'intesa non servirebbe a nulla se non realizziamo lo strumento che ci consente di poter spendere.
Questo bilancio che ha reperito le leggi già esistenti a giustificazione delle spese, è un bilancio ben fatto. In un momento di crisi come il presente che richiede spesa pubblica basta pensare che attraverso i capitoli 1210-1212-1214 noi possiamo già muovere un flusso di investimenti di oltre dieci miliardi e mezzo nel settore della viabilità provinciale, comunale, degli enti locali, basta pensare che con i capitoli 1340-1342-1344 possiamo spendere (qui non è più questione di mettere in moto, perché è una spesa in conto di investimenti di trentacinque anni) 165 milioni per il demanio silvestre regionale, basta pensare che abbiamo, con i capitoli 1220-1222-1224, la possibilità di affrontare determinati investimenti nel settore delle fognature e degli acquedotti per oltre 17 miliardi e mezzo di lire. Ci si rende così conto che abbiamo nelle mani veramente uno strumento di pronto impiego capace di portare rapidamente a soluzione e porre rapidamente rimedio a determinate situazioni di stasi che si stanno determinando nella nostra situazione economica o di arretratezza dovuta proprio ad una centralizzazione di poteri che ha ritardato l'esecuzione di determinati investimenti, provocando il fenomeno negativo dei residui passivi, che oggi noi dobbiamo impegnarci anzitutto di evitare che si riformino. Dimostreremo la nostra efficienza o inefficienza non tanto sulla base di discussioni più o meno sottili in ordine alle grandi linee democratiche dello sviluppo del nostro Paese, ma in forza della nostra capacità di dare immediata rispondenza alle istanze di coloro che sono venuti qui sulle tribune a chiederci di aiutarli a mantenere il loro posto di lavoro, ad ottenere cioè garanzia per il livello della occupazione. Noi potremo rispondere concretamente con opportuni investimenti, sorretti da un bilancio che li consenta.
Oltre a queste voci indicate in bilancio, e che trovano già giustificazione nella legge, in luce in questo bilancio, esiste ancora il fondo comune, che può permettere, con i suoi 3100 milioni, interventi dell'ordine addirittura di 30 miliardi, se il coefficiente di moltiplicazione è dieci. Questo è proprio un campo specificamente nostro che presuppone, però, la nostra volontà di fare leggi e di renderle operanti entro il mese di novembre. Deve dunque esserci l'impegno da parte nostra di lavorare. Ma in quali settori? Nei settori per i quali possiamo fare noi delle leggi, non possiamo ovviamente, andare a cercare tutte le necessità che riscontriamo intorno a noi, ma dobbiamo essere così responsabili da renderci conto che abbiamo dei limiti entro i quali dobbiamo legiferare, limiti che ci sono dati dalla Costituzione, non da volontà accentratrici, non da volontà di sopraffazione della volontà regionale. Se superassimo questi limiti allora sì che verremmo meno al nostro dovere nei confronti di coloro che qui rappresentiamo, perch metteremmo in opera una legislazione che sarebbe ad un determinato momento dichiarata illegittima da parte degli organi centrali, da parte dell'organo costituzionale, e l'utilizzazione dei 3100 milioni ci sarebbe precluso mentre la somma va spesa entro questo esercizio, sulla base di leggi regionali, leggi che dobbiamo fare noi.
A questo punto ritengo opportuno tornare a sottolineare la validità dell'impostazione di questo bilancio. Noi non dobbiamo lasciarci trascinare dalla presunzione che il Consiglio Regionale sia un qualche cosa di più di un Consiglio Comunale o di un Consiglio Provinciale; noi abbiamo prima di tutto un potere legislativo, che è riconosciuto dalla Costituzione, e abbiamo il potere di amministrare in funzione e delle leggi dello Stato e delle leggi che noi ci diamo. Soltanto se riusciremo ad assimilare bene questo concetto, che non si deve trasformare il Consiglio Regionale in un Consiglio Comunale, o in un Consiglio Provinciale, che hanno altra collocazione costituzionale, noi assolveremo la nostra funzione.
Dimostreremo allora che la Regione Piemonte può, in un momento in cui il Paese conosce una grave stasi, in questo momento di stallo dell'economia nazionale, in cui l'attenzione di tutti, nonostante la vivacità e la violenza delle espressioni è rivolta all'opera del Governo nazionale, che poco può fare, nel momento in cui ci si sta rendendo conto che non vale più un discorso di schieramenti, ma occorre fare un discorso di contenuti affrontare con serenità questa drammatica situazione economica, mettendo a disposizione del rilancio dell'economia ben 70 miliardi d'investimenti in sei mesi.
Sarà possibile far questo? Io credo di no, proprio per l'estrema difficoltà di utilizzare in così breve lasso di tempo una così grande capacità di spesa. Ma il riuscirvi almeno in parte dipende da noi: non soltanto dalla Giunta. Perché gran parte dei trenta miliardi almeno di possibilità teorica di spesa (mi riferisco all'utilizzo del famoso fondo di 3100 milioni) dipende da leggi che ci dobbiamo dare: leggi inquadrate nell'art. 117 della Costituzione.
E' un giudizio positivo, quindi, quello che il Gruppo liberale dà su questo bilancio, per la possibilità che esso offre, in un momento così drammatico, di risolvere problemi partendo dalla realistica considerazione che ci siamo trovati di fronte ad un fatto abnorme, ad un aumento improvviso di popolazione, rilevato in quel documento dell'Ires che sarà motivo di dibattito e di ulteriore indagine in Consiglio quanto prima.
Ritengo pertanto di poter pronunciare, a nome del mio Gruppo, piena approvazione a questo documento, dichiarando altresì la disponibilità a far sì che si manifesti anche da parte del Consiglio la volontà di dare gli opportuni strumenti legislativi perché la Giunta, come potere esecutivo possa realizzare gli investimenti in quei settori ove saranno ritenuti necessari dalla nostra volontà politica.



PRESIDENTE

Sarebbe ora iscritto a parlare il Consigliere Ferraris, ma non è in aula, e pertanto con un suo collega di gruppo. Poiché i Consiglieri Fabbris e Bono preferiscono rinviare al pomeriggio i loro interventi, inviterei a prendere la parola il Consigliere Revelli.



REVELLI Francesco

Signor Presidente, colleghi, farò alcune osservazioni in rapporto a questo bilancio per quanto concerne le materie che ci sono state trasferite con i decreti delegati sull'assistenza scolastica, musei, biblioteche di enti locali, istruzione artigiana e professionale.
In linea generale, va rilevato che, nel bilancio regionale, per queste specifiche materie, sono stati riportati pari pari o capitoli di spesa esistenti nel bilancio dello Stato, ripartiti quantitativamente tra le Regioni ed incaricati nei rispettivi decreti delegati di trasferimento delle funzioni. Va anche detto, e ne siamo perfettamente consapevoli, che i capitoli di spesa relativi alle funzioni trasferite o delegate sono previsti dalla legislazione dello Stato e che la Regione si avvale di questa legislazione fino a quando non la si voglia modificare con una legislazione regionale.
Su questo contesto vanno collocati i limiti dell'operato della Giunta non solo in merito ai capitoli specifici riportati nel bilancio quanto a tutta l'azione svolta in questi due anni. Rileviamo, cioè, che nulla è stato disposto dalla Giunta (salvo la discussione che abbiamo avuto questa mattina in merito a progetti di legge da noi presentati, alla sorte che dovranno subire nelle prossime settimane) in merito alla distribuzione intanto, delle competenze fra i vari organi del Consiglio. Poi, di fronte all'urgenza di accertare il fabbisogno e di garantire la continuità degli interventi, si è proceduto con "circolari". E' un modo anche questo di procedere, ma non certamente quello che era lecito aspettarsi da una Regione che voglia funzionare bene, o almeno da una Regione che ha un retroterra, acquisito in questi due anni, di elaborazione su tutte queste materie. E un'elaborazione c'è stata da parte del Consiglio; c'è stato un lavoro nelle Commissioni, si sono approntati i pareri sugli stessi schemi dei decreti delegati, che il Consiglio ha ampiamente discusso ed approvato.
E all'interno di questi pareri erano bene espresse le posizioni generali ed anche particolari, che potevano essere la prima premessa programmatica all'azione della Giunta, e in particolare dell'Assessore, in questi due settori di estrema importanza per l'intervento della Regione.
Richiamo, molto brevemente, in merito a queste materie, quel che avevamo detto. Avevamo approvato, a chiusura della discussione sul parere circa lo schema di decreto delegato per la formazione professionale quattro ordini del giorno: uno sulla riforma universitaria, uno sul diritto allo studio, uno sulla riforma della scuola media secondaria superiore, uno sull'apprendistato; e su questi obiettivi di fondo c'era stata una larga convergenza di forze politiche di tutto il Consiglio. Si rilevava, cioè che non è possibile istituire veramente a livello regionale una formazione professionale se non si risolve il problema della riforma della scuola media secondaria superiore. Sappiamo anche che all'interno di tutto il dibattito dello scorso anno sul trasferimento delle funzioni in questo campo specifico c'è sempre stata la premessa della riforma della scuola media secondaria superiore. La Regione affermava allora che, pur non spettando ad essa promuovere le riforme, purtuttavia le riforme non si possono fare senza il concorso e l'intervento delle Regioni. Avevamo dato un parere insieme alle altre Regioni, che aveva pesato, in quel momento.
Collegavamo sia l'assistenza scolastica che la formazione professionale, al problema del diritto allo studio, ed al ruolo che deve svolgere l'Università in tutto questo processo; e quindi, pur non avendo ancora la Regione delle competenze specifiche ponevamo il problema che la Regione fosse l'interlocutore politico valido dell'Università ad ogni livello e che l'iniziativa della Giunta e dell'Assessorato fossero orientate ad accertare il fabbisogno, le necessità ed il ruolo che l'Università può svolgere in questo campo.
Orbene, il parere del Consiglio non è stato rispettato, in questo anno e mezzo; l'Assessorato non ha fatto nulla su questo piano. Si può poi dire che non era nemmeno necessario che si facessero delle leggi, o che si preventivasse di farle e come farle, in attesa dell'emanazione dei decreti delegati. Se non si poteva andar subito ad una legge organica, purtuttavia si poteva scegliere la strada di una normativa transitoria, adottando un programma che la Giunta poteva sottoporci anche con suo provvedimento amministrativo, come viene a proporci adesso, ma avendo acquisito tutto un bagaglio importante di dati, capace di metterci in grado di formulare una strategia degli interventi. Perché anche nella fase pur transitoria dell'anno formativo '72-'73 vi può essere un intervento programmatorio che leghi il "vecchio" con il "nuovo" attraverso il quale la Regione pu qualificare la sua azione. Ugualmente dicasi per l'assistenza scolastica per il settore dei musei e delle biblioteche degli enti locali. In particolare, avevamo rilevato un fatto di estrema importanza (che era stato poi ripreso nel parere sullo schema di decreto delegato sull'urbanistica) e cioè, avevamo detto che il concetto di assistenza scolastica è ancor oggi volutamente scisso da quello di edilizia scolastica. Il piano dell'Ires per quel che ho potuto scorrerlo, ci mette di fronte ad una realtà drammatica, cioè al fatto che non potremo fare una politica reale di diritto allo studio se non avremo una capacità di intervento anche in questo settore.
Voglio aggiungere ancora poche considerazioni, prima di formulare le proposte che noi avanziamo in queste materie. Leggendo il rapporto sulle consultazioni effettuate dalla I Commissione, si rileva che un po' da tutte le parti è venuta avanti la richiesta di destinare un maggiore stanziamento al settore della formazione professionale: l'hanno avanzata gli industriali, i sindacati, varie forze, gli artigiani eccetera. Noi rileviamo che il settore della formazione professionale è un punto centrale dello scontro che c'è oggi nel nostro Paese per quanto riguarda il rapporto, essenziale, del nostro sistema scolastico con l'attuale meccanismo di sviluppo economico e sociale ed il diretto legame che ha la scuola con l'occupazione, con gli sbocchi professionali, con la organizzazione e la divisione sociale del lavoro, con le esigenze e le esperienze che son venute emergendo dalle lotte dei lavoratori, che ci hanno dato indicazioni anche di livello culturale per intervenire in questa problematica. Dall'altro lato, i problemi, dicevo già prima, della formazione professionale ci riportano a quelli della riforma della scuola di una scuola che si immiserisce sempre più, che sempre più genericamente qualifica la forza lavoro e che anzi mostra la corda proprio nella incapacità di darsi reali strutture per la formazione specifica.
A questo punto il discorso sulla formazione professionale si fonde completamente, con quello sull'assistenza scolastica; perché si tratta intanto, di eliminare la stortura per cui il 40 per cento dei ragazzi non arriva alla licenza dell'obbligo nel nostro Paese (ed i livelli sono spaventosi per la nostra Regione, in particolare nell'area torinese, ed anche nelle zone più periferiche). Allora, anche qui dobbiamo saper fare delle scelte, vedere come in questo bilancio si può intervenire concretamente. Da un lato c'è poi anche, la tendenza ad accentuare l'intervento privato dei monopoli in questo campo della formazione professionale. Non a caso questo elemento risulta bene da quanto è stato detto nel corso delle consultazioni da parte degli imprenditori. I casi sono due: o si fa la riforma della scuola nella sua globalità, e la Regione acquista una sua funzione di promozione, potendo così intervenire in modo organico, a partire dai suoi poteri attuali sulla formazione professionale prendendo iniziative per particolari corsi, favorendo anche il disegno più generale di riforma dello stato e dotando di strutture per la formazione professionale specifica il territorio regionale; oppure tutto viene lasciato in mano ai privati, secondo la tendenza emersa dal convegno alla Fondazione Agnelli, e allora avremo delle scuole di un certo tipo: aziendali, per i quadri intermedi, per gli operai, e delle superuniversità private per i quadri dirigenti.
Noi proponiamo di ritornare al discorso che abbiamo condotto con l'Assessore in sede di Commissione, al di fuori dell'argomento del bilancio. Non essendosi voluto accettare di percorrere la strada di una normativa transitoria, con legge regionale, per l'anno formativo '72-'73 in merito della formazione professionale e dell'assistenza scolastica sostenendosi l'opportunità di avviarsi subito alla legge sulle deleghe, per responsabilizzare i Comuni e gli Enti locali direttamente in queste competenze, anche per ambiti comprensoriali (cioè tra coloro che vorranno esercitare a livello associato la delega) noi diciamo che bisogna pervenire subito ad una legge organica sull'ordinamento della formazione professionale in Piemonte, che modifichi sostanzialmente il tipo di intervento previsto dalla legislazione attuale, in considerazione non solo della necessità di avviare la discussione sul piano di sviluppo e le politiche dell'occupazione, ma anche perché nel bilancio del '73 dovrà già essere totalmente rovesciata, a nostro avviso, l'impostazione data con questo bilancio, legato alle leggi dello Stato. Si dovrà inoltre elaborare una legge organica sull'ordinamento del diritto allo studio e dei servizi scolastici in Piemonte, che tenga anche conto di un rapporto che va stabilito, come già per la formazione professionale, con l'Università per intervenire in un settore sul quale, anche se non è di nostra diretta competenza, avendo noi tutti i poteri sul resto dell'ordinamento scolastico in merito all'assistenza e al diritto allo studio, abbiamo la possibilità e il dovere di incidere considerevolmente.
Fatte queste premesse, passo alle proposte di fondo che formuliamo per il bilancio del '72 al fine di ovviare all'esiguità di certi stanziamenti e di attenuare gli effetti negativi del modo tradizionale con cui vengono esercitate dalla Giunta le funzioni che ci sono state trasmesse dai decreti delegati. Noi pensiamo che non si debba lasciar cadere l'iniziativa rivelatasi estremamente positiva, condotta da vari Enti locali nella nostra Regione, i quali si sono già dati una struttura di intervento nel campo dell'assistenza scolastica, che è del tipo di "diritto allo studio": cioè hanno preso l'iniziativa di realizzare mense, doposcuola, attività integrative, finalizzando questi interventi all'obiettivo del tempo pieno.
Questi comuni sono finanziariamente alla corda quanto a investimenti in questo campo, per cui c'è il rischio che non possano più svolgere tali funzioni. Essendo convinti che ai Patronati scolastici (questi strumenti che nella nostra Regione sono particolarmente burocratici non essendo neanche stati adeguatamente trasformati al loro interno) non devono andare ulteriori stanziamenti oltre a quelli già previsti (la cifra già maggiorata che appare nell'ultima stesura del bilancio presentata dalla Giunta) riteniamo che la Regione debba concedere agli Enti locali in generale, ma in particolare a questi Comuni, un contributo immediato, disposto con legge regionale, dell'ordine di un miliardo, nel quale sia prevista anche, in particolare, una quota con la quale garantire la gratuità della frequenza ai corsi serali per i lavoratori studenti con particolare riferimento all'area torinese.
Sempre nel campo dell'istruzione, al capitolo 232 è previsto uno stanziamento di 395 milioni sotto la voce: "Spese e rimborsi per il trasporto gratuito degli alunni della scuola dell'obbligo e degli alunni degli istituti professionali ecc. ecc. in base alla legge del '66, n. 942".
All'interno di questa legge sono, tra l'altro, fissate anche le percentuali di intervento, per cui può riuscire difficile accogliere la proposta che noi presentiamo.
Purtuttavia, la Giunta ha ampi modi per accedere alla nostra richiesta di aumento senza dover violare la legge: la legge generale di approvazione del bilancio dice che per ogni capitolo nuovo bisogna fare una legge, ma poi la legge è da intendersi come "decreto del Presidente", come l'esperienza ci insegna. In realtà, ci si minaccia con lo spauracchio della legge per poi disporre dei fondi diversamente. La nostra proposta è di portare lo stanziamento da 395 a 600 milioni.
Per il capitolo 256, "Buoni libro agli alunni in disagiate condizioni ecc. frequentanti le Scuole medie statali dell'arco dell'obbligo", il fabbisogno, calcolato grosso modo dai Provveditorati, è dell'ordine di alcuni miliardi. Pur precisando che noi non siamo per una politica indiscriminata del libro ma per una politica di diritto allo studio attuata attraverso diversi investimenti in edilizia scolastica, secondo tipologie edilizie diverse, mense, eccetera ed altri modi formativi, per cui auspichiamo tutta una serie di interventi culturali in merito agli audiovisivi, a varie altre forme di insegnamento e di didattica, ed affermiamo che con i capitoli "Musei e biblioteche degli Enti locali" dovrà essere dato ampio spazio alla diffusione delle biblioteche, da considerare strumento pubblico e collettivo cui i giovani devono essere abituati fin dalla scuola dell'obbligo, proponiamo un intervento in questo campo, come richiesto anche dai sindacati, più sostanzioso di quello preventivato: non la copertura del fabbisogno, ma un miliardo anziché i 355 milioni indicati cioè il minimo indispensabile per poter dare veramente un aiuto concreto che incida realmente su alcune situazioni e al tempo stesso sia indicazione della linea che vuol seguire la Regione, con leggi organiche, soprattutto a partire dal bilancio del '73.
Il capitolo 258 prevede uno "Stanziamento di 160 milioni per buoni libro" da concedere agli alunni delle Scuole secondarie superiori. A nostro avviso, il modo in cui vengono distribuiti questi fondi - divisi indiscriminatamente fra i vari Istituti cosicché si verifica anche in questo caso il fenomeno per cui i fondi rimasti inutilizzati presso Istituti, come ad esempio i licei classici, ove difficilmente si presenta l'opportunità di distribuirli, non vengono rimessi in circolo a favore di altri, mentre sarebbero assai più utilmente collocati in altri tipi di scuola, ove in certe classi anziché due o tre studenti che avrebbero i titoli occorrenti per l'assegnazione ve ne sono dieci o dodici - non corrisponde ai criteri previsti dalla Legge istitutiva. Occorrerebbe secondo noi, cercare di favorire gli alunni bisognosi delle Scuole secondarie superiori avendo però particolare riguardo a quelli che frequentano gli Istituti professionali.
Preciso ancora che anche per quanto riguarda la materia "Musei e biblioteche degli Enti locali", seppure non riteniamo di fare richieste specifiche, perché ci rendiamo conto che è difficile arrivare ad una visione generale, pensiamo che si sarebbe potuto fare assai di più in questo anno e mezzo (su questo punto, come per altri, la nostra critica alla Giunta è decisa).
Quelli che ho indicato sono tre settori che vanno compresi e rivisti in una politica globale che sarà uno degli elementi più difficili, credo della programmazione regionale: anche qui ci vuole una legge organica.
Fatte queste richieste, desidero porre alla Giunta una domanda. Con i fondi attualmente previsti per l'addestramento professionale, citati qui per memoria, previsti dall'art. 17 del Decreto delegato, come si potrà far fronte alle iniziative che la stessa Giunta dice di voler portare avanti con fermezza, tipo quella degli asili-nido oltre che del personale sanitario? Come si finanzieranno dei corsi per la formazione professionale per esempio, del personale degli asili-nido? Sappiamo che intanto mancano gli asili-nido, ce ne sono forse uno o due che potrebbero funzionare, ma non funzionano perché non dispongono di personale qualificato. La legge istitutiva, come potrà dire meglio la compagna Fabbris, non prevede la formazione professionale: però, un tale stanziamento occorre, perché non possiamo certamente andare a fare prelievi sul già misero fondo di gestione o di contributo per la costruzione degli asili-nido, e abbiamo bisogno di corsi accelerati: va da sé che nella legge organica sulla formazione professionale dobbiamo prevedere corsi a più lungo termine, nelle caratteristiche, sempre, di breve o medio periodo.
Io ritengo, e su ciò attendo una risposta dalla Giunta, che all'art.
560 si dovrebbe elevare la cifra di 100 milioni prevista per i Consorzi Provinciali dell'Istruzione tecnica (che voi avete già stanziato invece degli iniziali 60 milioni a ciò costretti dalla pressione popolare, fatta di richieste, però, sempre frazionate e frammentarie, mentre noi desideriamo interventi qualificati, e per questo abbiamo chiesto che si provvedesse con urgenza alla presentazione della legge per la nomina dei Consigli d'amministrazione per intervenire in questo settore) portandola a 250 milioni, cifra che ci pare congrua, sulla base di calcoli approssimativi che abbiamo fatto, per la costituzione di un primo fondo per la formazione degli asili-nido.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Simonelli. Ne ha facoltà.
SIMONELLI Credo, signor Presidente e signori Consiglieri, che sarebbe fare un torto alla Giunta pretendere di dare a questa discussione sul bilancio un carattere strettamente tecnico. Sarebbe fare un torto all'Assessore al bilancio, al Presidente stesso della Giunta, che non a caso con grande diligenza sta seguendo questo dibattito dal primo minuto prendendo appunti giustamente, su ognuno degli interventi. Quindi, cercheremo di dare alla discussione su questo bilancio preventivo per il '72 della Giunta un carattere eminentemente politico, come è giusto che sia, dal momento che la discussione sul bilancio è discussione sull'indirizzo politico e programmatico della Giunta. Non che ne sottovalutiamo gli aspetti tecnici e che tendiamo a sottrarci a quella che è una prassi costante, ma in questo caso un riconoscimento doveroso, di rivolgere un elogio agli Uffici e al Personale che ha collaborato alla redazione di questo bilancio, al quale riconosciamo sotto il profilo tecnico una precisione encomiabile.
Crediamo giusto verificare, sotto le cifre, sotto il materiale che ci è stato consegnato, sotto i dati riportati dalla relazione della Giunta quale sia il tipo di scelte che questo bilancio rispecchia, quale la politica che questa Giunta si propone di seguire, di cui questo preventivo '72 è ovviamente una espressione. Noi, come abbiamo preannunciato in Commissione, e poi in una pubblica conferenza-stampa, diamo di questo bilancio un giudizio non positivo: riteniamo che questo bilancio sia conforme ad una concezione della Regione che non è quella per la quale le forze più autenticamente regionaliste si erano battute, che non è quella delineata attraverso i documenti essenziali del nostro istituto, in particolare lo Stato, non è quella di cui parlava il programma presentato dal centro-sinistra. Esso lascia intravedere una Regione piuttosto omogenea alle scelte che hanno fatto e vogliono che noi facciamo le forze politiche conservatrici, l'establishment centralista dell'alta burocrazia ministeriale, per le quali essa ha da essere soprattutto ente di erogazione, strumento di decentramento burocratico.
Ci rendiamo conto dei limiti che per una concezione rigorosamente autonomista sono posti dalla legislazione vigente. Sappiamo, e ne abbiamo discusso tante volte, come la legge finanziaria regionale abbia posto all'autonomia finanziaria delle Regioni un grosso vincolo dal punto di vista dell'entrata, in quanto noi relativamente alle entrate siamo condizionati in grandissima parte ad un trasferimento di fondi che sono dello Stato. Però nel legislatore c'era la convinzione, facendo quella legge, di consentire alla Regione almeno un'autonomia finanziaria dal lato della spesa, un recupero, cioè, di autonomia non concessa dal lato della entrata.
Allora, perché la spesa sia veramente autonoma, occorre che la Regione possa attingere nei limiti del possibile a delle riserve globalmente trasferite dallo Stato, che poi può redistribuire secondo propri programmi a suo piacimento, con autonome scelte. Viceversa, il criterio di rimettere in modo meccanico gli stanziamenti, le modalità, i livelli di spesa dei vari Ministeri rischia di stroncare il discorso sull'autonomia regionale di trasformarci in effetti in pagatori per conto dello Stato, cioè in redistributori di risorse che sono dello Stato, che ci vengono trasferite dallo Stato, che noi trasferiamo seguendo gli stessi criteri, gli stessi canali che lo Stato ha fin qui seguito; canali, tra l'altro, sui quali lo Stato è stato inefficiente, inadeguato negli anni passati, manchevolezza la cui constatazione è stata una delle cause della costituzione delle Regioni.
Sotto questo profilo è giusto sottolineare anche i limiti di quello che è il merito, il pregio che la Giunta si attribuisce e che in certa misura il bilancio ha, cioè la estrema analiticità delle voci, il fatto che si sia cioè individuato un ventaglio amplissimo di leggi alle quali fare riferimento. Poiché se questo è un passo doveroso, che è necessario compiere, non dobbiamo pensare assolutamente che la Regione possa limitarsi a registrare queste sue competenze, questi suoi canali di spesa: altrimenti ci ridurremmo ad una specie di grande prefettura o di grande provincia.
Credo che sotto questo profilo non sia pure del tutto valido l'altro motivo di fondo, l'altro leitmotiv sotteso a tutto il bilancio: cioè che questo sarebbe un bilancio operativo, un bilancio che consente di evitare l'accumulazione di residui passivi, proprio perché non pretende di innovare ma si limita a ripetere gli stanziamenti dei bilanci dello Stato, li va ad individuare uno per uno, fa riferimento alle singole leggi. Io condivido naturalmente, né potrebbe essere diversamente, la critica al meccanismo con cui procede il bilancio dello Stato, con accumulo di residui passivi, ma non vorrei che ci adagiassimo a fare le battaglie contro alcuni bersagli comodi, che tutti riconosciamo da abbattere. Credo che trasferire nell'ambito regionale, e soprattutto in occasione del primo bilancio della Regione, la polemica contro il rischio dei residui passivi, potrebbe portare ad una battaglia un po' di principio, un po' di maniera, un po' di comodo, dalla quale non usciremmo, in realtà, con una vittoria. Perché se noi ci preoccupiamo di non fare stanziamenti nel timore che questi non si esauriscano nel corso dell'esercizio, ma non spendiamo le somme, avremo alla fine dell'esercizio, anziché residui passivi, degli avanzi di amministrazione: sono due modi di non spendere, e rispetto a questi due modi uguali di non spendere quello dei residui passivi ci consentirebbe almeno di avere delle indicazioni operative, cioè di sapere in che modo avremmo potuto spendere. Il che, al di là di qualsiasi considerazione sul valore giuridico di una ultra-attività dello stanziamento di bilancio ci dà però delle indicazioni concrete, politiche, operative per i bilanci futuri.
Viceversa, il rifiuto di dare indicazioni di spesa non dà formalmente luogo a residui passivi, però ci consegna delle somme non spese, degli avanzi di amministrazione. Il risultato è lo stesso: di non impiegare delle risorse.
Ecco perché noi critichiamo la predisposizione dei due fondi globali mancante dell'elenco dei provvedimenti, perché facciamo oggetto del nostro contributo critico a questo dibattito la richiesta di stanziare interamente i quasi sette miliardi contenuti nei fondi globali: perché riteniamo indispensabile, essenziale, compiere subito le scelte necessarie ed indicare i progetti che possono essere finanziati con i fondi globali. Con ciò non mettiamo in discussione né il fondo globale in quanto tale né la sua legittimità.
E' chiaro che il fondo globale, pur senza essere disciplinato da norme legislative, è nella prassi parlamentare.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Contabilità dello Stato.



SIMONELLI Claudio

.Fatto oggetto di molte critiche in relazione alla sua eventuale contraddittorietà con le norme dell'art. 81 della Costituzione: però è accettato, c'è. Ma c'è in un certo modo, c'è se accompagnato dall'elenco dei provvedimenti che devono essere finanziati con il fondo globale, se no noi ne facciamo un fondo di riserva, e quindi ne facciamo un qualche cosa che nella contabilità dello Stato non è consentito, proprio perché il fondo di riserva può essere generico e non contenere - salvo quello per le spese obbligatorie, che lo deve contenere - l'elenco dei provvedimenti, perché si riferisce comunque a spese che hanno già un provvedimento legislativo sostanziale, una legge di spesa a monte, laddove il fondo globale riguarda spese non ancora perfezionate, per le quali quindi giustamente la legge di bilancio non può essere legge di impegno. Se noi non prevediamo a quali fondi, a quali spese, a quali progetti il fondo globale viene destinato, ne facciamo un fondo di riserva, e io dubito della legittimità di un fondo globale che non sia accompagnato, come avviene sul bilancio del Tesoro dall'elenco dei provvedimenti.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Scusa se ti interrompo. Tu dubiti della legittimità: noi invece abbiamo la certezza della illegittimità di fare imputazioni di spesa non accompagnate da una legge.



SIMONELLI Claudio

Io non sono convinto di questo, né in linea generale né in particolare per quanto riguarda questo primo bilancio. In linea generale perché se è vero che la legge di bilancio non può impegnare delle spese, le può per prevedere.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Ma non in riferimento a quello.



SIMONELLI Claudio

Cioè, io ritengo - non io, perché non ritengo di averne la veste, ma la dottrina che si applica alla contabilità dello Stato - che non sarebbe contraddittorio al sistema della legge fare dei capitoli di spesa con l'avvertenza che l'impegno è subordinato al provvedimento legislativo da prendere nell'esercizio.
Ma c'è una seconda questione. Questo è il primo bilancio della Regione: quindi, le considerazioni che valgono a far ritenere illegittima l'apposizione in bilancio di capitoli corrispondenti a spese non ancora finanziate con legge hanno in questo caso una efficacia molto relativa. In un primo bilancio infatti non esistono spese nuove e maggiori, perché tutte le spese sono nuove. Quindi, in sede di primo bilancio della Regione è dubbio che possa valere il limite dell'art. 81.
Comunque, non facciamo neppure questa questione, proprio per evitare qualsiasi pericolo di illegittimità: chiediamo però che il bilancio comprenda l'elenco dei provvedimenti fra i quali vada ripartito il fondo globale; anzi, i due fondi globali, delle spese correnti e delle spese in conto capitale. Chiediamo, cioè, che i 7 miliardi dei fondi globali debbano essere interamente destinati non con singoli capitoli ma allegando l'elenco dei provvedimenti ai quali questi fondi vanno applicati, presupponendo che con ciò non si dia luogo ad un puro fatto formale ma si assuma un impegno politico. Riteniamo, cioè, che fare questo equivalga a fare una serie di scelte in ordine a priorità che si sono già evidenziate in questi due anni di vita della Regione, sulle quali non abbiamo dubbi, sulle quali pensiamo il Consiglio debba manifestare una sua precisa volontà politica. Non preoccupandoci poi del fatto che, se anche su tutte queste spese non si riuscirà, nel corso dell'esercizio, ad esaurire il provvedimento, l'iter legislativo, a introdurre la norma sostanziale che consentirà di impegnare la spesa, avremo dato una indicazione politica e il bilancio '73 recepirà questa indicazione. E noi nel corso del dibattito, al quale parteciperanno tutti i colleghi del Gruppo socialista, daremo una indicazione precisa di quali sono, a nostro avviso, queste priorità, che io ora sintetizzo soltanto molto brevemente.
Noi riteniamo sia importante prevedere uno stanziamento in attuazione dell'art. 6 dello Statuto, secondo le indicazioni che il movimento sindacale ha dato per la realizzazione di interventi a tutela della salute dei lavoratori nelle fabbriche; riteniamo che si debba accogliere l'indicazione del movimento cooperativo in ordine alla costituzione di un fondo di rotazione per il finanziamento delle cooperative di edilizia economica e popolare; riteniamo debba essere previsto un intervento diretto ad incentivare l'organizzazione associativa dei commercianti, ad evitare che da un lato la razionalizzazione del settore distributivo proceda solo sulle gambe dei grandi gruppi e dall'altro che la battaglia al prevalere di forme monopolistiche ed oligopolistiche si combatta sulla linea arretrata di retroguardia di una difesa indiscriminata della struttura del piccolo commercio così com'è oggi, certamente superata e da trasformare; noi riteniamo non si possa dimenticare - evidentemente questa è materia di contrasto politico, come evidenzieranno gli interventi dei colleghi del mio Gruppo - la necessità dell'Ente regionale dei trasporti, a proposito del quale occorrerà che ci intendiamo per decidere quale tipo di politica dei trasporti si vuol fare nella nostra Regione; noi riteniamo che debba essere fatto un primo stanziamento per quegli interventi in direzione della acquisizione di beni naturali che sono - sono stati, almeno, per quanto riguarda la Giunta di centro-sinistra - una componente essenziale dei programmi di questa nostra Regione, e si debba indicare un primo tipo di intervento preciso ed analitico, quello sul parco della Mandria, per il quale è opportuno che la Regione si faccia carico di intervenire con un contributo a favore, magari, di un consorzio dei Comuni, perché procedano ad acquisire, servendosi della legge 865 che consente l'esproprio, prima che il patrimonio della Mandria sia definitivamente liquidato (già oggi sui 2700 ettari che lo componevano, ne rimarranno sì e no duemila a disposizione).
E riteniamo che questo sia un fatto importante, perché quando parliamo di interventi nell'area metropolitana dobbiamo parlare di tutti gli interventi in essa, senza trascurare queste componenti, che hanno costituito oggetto di studi, di richieste, di rivendicazioni, alle quali ci dichiariamo aperti, di tanto in tanto, in qualche dibattito, ma per le quali dobbiamo anche impegnarci al momento delle scelte; riteniamo poi che debbano essere inserite a bilancio, come indicazioni operative degli interventi nel settore della pianificazione territoriale, per il quale gli stanziamenti - la stessa relazione lo riconosce - sono poco più che simbolici, mentre questo è a mio parere uno dei settori in cui più sono urgenti interventi della Regione; così come riproponiamo qui, dopo averli proposti per esserceli visti accolti nel programma della Giunta di centro sinistra, tutti quegli studi, quelle indagini, che avrebbero dovuto sorreggere, insieme al progetto dell'IRES, la pianificazione regionale mentre sono invece caduti: lo studio sulla localizzazione dei grandi complessi industriali, lo studio sui livelli di occupazione e sui movimenti migratori, lo studio sui comprensori e sui livelli sub-regionali della pianificazione, lo studio sullo stato della finanza e delle condizioni degli Enti locali della nostra Regione. Un complesso di ricerche che avevano fatto oggetto in quest'aula di una disamina da parte dello stesso Presidente della Giunta di centro-sinistra e che sono state lasciate cadere. Noi riteniamo sia indispensabile riprenderle, perché non si fa programmazione senza neanche acquisire gli elementi di base. E mi sia consentito richiamarmi una volta tanto ad un documento presentato dall'Unione Industriale in sede di consultazioni, che evidenzia con parole che sotto questo profilo non abbiamo alcuna difficoltà a sottoscrivere l'esigenza che studi di base di questo tipo debbano essere compiuti dalla Regione perché altrimenti non si programma nulla in questa Regione.
Riteniamo, quindi, che l'intero fondo globale debba essere impegnato sostanzialmente, anche se non formalmente, con un elenco di provvedimenti da finanziare che copra tutto l'intero spazio dei sette miliardi.
Non ci pare invece - e in questo concordiamo con quanto affermato nella relazione - che sia il caso in questo bilancio di prevedere l'assunzione di mutui: e perché la politica di indebitamento richiede provvedimenti legislativi, e soprattutto perché riteniamo corretto che una politica destinata ad impegnare per più esercizi, attraverso il pagamento degli oneri corrispondenti, il bilancio della Regione, debba necessariamente partire nel momento in cui esista già uno schema di programmazione pluriennale al quale riferirsi.
Non abbiamo paura che una parte di queste cose siano destinate a non trovare realizzazione nel corso dell'esercizio, che restino sulla carta anche perché pensiamo che scontare dei ritardi è giusto. Ma se noi non ci decideremo a cominciare ci troveremo poi a scontare gli stessi ritardi in seguito, ci scontreremo con le stesse difficoltà nell'esercizio '73. E anche gli effetti anticongiunturali che pure questo bilancio si ripromette di perseguire evidentemente non sono compatibili con la tranquilla ammissione del fatto che una fetta consistente delle risorse non verrà utilizzata nel corso dell'esercizio.
Noi crediamo che queste considerazioni critiche che facciamo sul bilancio abbiano a loro punto di riferimento una visione della Regione, che si traduce in questo bilancio, che ha abbandonato sostanzialmente il disegno programmatore, che presta, certo, alla programmazione un certo ossequio. Nella relazione è espressa la volontà di preparare il bilancio sotto il profilo tecnico perché sia nei prossimi esercizi adeguato alla logica della programmazione; c'è un discorso di impegni, di recriminazione perché questo bilancio non può essere, mentre dovrà essere, stralcio di attuazione di un programma pluriennale. Però queste considerazioni fondamentalmente giuste e condivisibili, andavano bene fatte due anni fa quando noi stessi le avevamo svolte: il ripeterle nel 1972, dopo due anni di vita della Regione, equivale a pronunciare un primo epitaffio, che ci auguriamo provvisorio, sulla programmazione regionale. Occorre invece ribadire che la programmazione è il metodo con il quale si gestisce questa Regione, come abbiamo proclamato nello Statuto. Il cammino, rendiamocene conto, dev'essere ancora tutto percorso in questo senso. Certo, non ci sentiamo di criticare la Giunta perché, ad esempio, non abbia tentato di fare già nel '72, che so?, una bozza di bilancio funzionale o di bilancio per obiettivi; perché ci rendiamo conto che non era fattibile. Ma in questa direzione ci si dovrà pur muovere. Ricordo che con il collega Gandolfi avevo presentato una proposta di emendamento all'art. 76 dello Statuto che prevedeva l'obbligo per la Regione, in aggiunta al bilancio richiesto dalle norme della contabilità dello Stato, di fare un bilancio di questo tipo emendamento poi ritirato in una delle tumultuose notti dell'ottobre o novembre '70 ma che tuttavia resta come esigenza, io credo, indilazionabile della Regione.
Fatto concreto: il riconoscimento del metodo della programmazione come sistema al quale la Regione ispira costantemente le sue scelte, non da esibire come ornamento occasionalmente per poi metterlo da parte, come si mette il garofano all'occhiello ai Festival dell'"Avanti" e poi da parte di qualcuno subito dopo lo si toglie.
Non basta presentare un grosso volume con gli studi dell'Ires così, una tantum, per farsi assolvere dal non aver fatto fin qui programmazione, non basta dire: il piano non c'è ancora, e quindi perdonateci se facciamo le scelte così come vengono, episodicamente, casualmente, perché poi, quando il piano ci sarà, allora le scelte saranno rigorose e legate al discorso della programmazione. Se noi affrontiamo il discorso all'interno di questa logica il piano non ci sarà mai, almeno in questa tornata amministrativa non lo vedremo mai. Perché procedendo con questi ritmi, nel '75 non avremo ancora approvato il piano '70-'75 e neanche avremo cominciato a studiare gli strumenti destinati a realizzarlo. Occorre anticipare, in una certa misura, il discorso della programmazione.



DOTTI Augusto

Non hai fede.



SIMONELLI Claudio

Noi ci facciamo vanto di essere un po' razionalisti, tutto sommato, e quindi più che sulla fede fondiamo le nostre convinzioni sul ragionamento ed anche un po' empiristi, e quindi attenti alle prove che vengono date delle buone intenzioni, dei buoni propositi. Pragmatisti, anzi per dirla con l'"Unità", che affibbia questo difficile aggettivo all'on. Cariglia.
Noi, in sostanza, non abbiamo fede nella capacità programmatoria di questa Giunta, e in questo senso convengo sulla interruzione del collega Dotti.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Siccome siete razionalisti, non avete fede, ma avete la certezza della razionalità. Ti ringrazio.



SIMONELLI Claudio

No, non abbiamo certezze signor Presidente: siamo laici, e quindi il nostro metodo è quello del dubbio e della ricerca continua.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Almeno del fatto che esistete avrete la certezza.



SIMONELLI Claudio

Fino a prova contraria, questo sì.
Crediamo sia nostro dovere fare questo discorso estremamente critico verso questa Giunta, alla quale non risparmiamo e non risparmieremo il nostro dissenso su queste che più che scelte sbagliate consideriamo "non scelte". E' una linea che non passa solo attraverso il bilancio, che noi abbiamo avuto modo di contrastare e di criticare in occasione di vari dibattiti svolti in questo Consiglio; una linea che, sotto l'apparente senso della realtà, delle proporzioni, del rifiutare tutto quello che potrebbe essere pleonastico, velleitario, in realtà rifiuta non solo i grandi voli di fantasia, che anche noi riteniamo superflui, ma anche le grandi battaglie politiche in contestazione per riempire tutti gli spazi di autonomia che la Regione ha. Noi non possiamo accettare di essere quello che la burocrazia ministeriale vuole che noi siamo, non possiamo essere all'ultimo posto fra le Regioni nel combattere per difendere la nostra sfera di autonomia. Non possiamo, per esempio, non cominciare a far sentire la nostra protesta perché la Commissione interregionale per la programmazione economica non si è più riunita da tempo, perch l'interlocutore Regione non esiste più nel contesto della programmazione nazionale.
Ecco allora perché riteniamo che questo bilancio, da valutarsi in tutta la sua complessità, e quindi come espressione di una linea politico programmatica contro la quale abbiamo votato, e che non possiamo condividere, non sia adeguato alla realtà della nostra Regione, manchi cioè di quella aderenza, da un lato, ai dati reali della società regionale e dall'altro anche di quella carica di fantasia e di forza creativa che sono necessarie. Manca di aderenza ai dati della realtà regionale proprio perché, configurandosi come un bilancio certamente più simile a quello dello Stato che a quello degli Enti locali - e non mi riferisco al fatto formale, cioè al tipo di legislazione che lo disciplina, ma al fatto sostanziale - non rivela, per esempio, quegli sforzi di progredire che i Comuni e le Province nei dieci anni passati avevano cercato di fare attraverso una dilatazione della loro spesa facoltativa, quel continuo tentar di forzare i limiti della legge per guadagnarsi uno spazio maggiore per venire incontro ad esigenze nuove che emergono dalla realtà degli enti locali. E ricordiamo che quei tentativi, da parte degli Enti locali minori Comuni e Province, per cercar di forzare i limiti angusti di una legge comunale e provinciale anacronistica, conquistandosi nuovo spazio erano sempre fatti in funzione della Regione, perché si diceva: quando ci saranno le Regioni, tutte queste cose saranno le Regioni a farle. Ora che questa Regione, alla quale certamente si chiede più di quello che può dare comincia a funzionare, noi ci rifiutiamo di compiere la stessa operazione di allargare la sfera delle nostre possibilità di intervento, chiudendoci in una visione tradizionale, una visione d'ordine della Regione, quella visone che ho definito "timida" in seno alla Commissione bilancio e programmazione, di ente erogatore per conto dello Stato di risorse che lo Stato trasferisce, e nulla più.
Il seguito del dibattito, con gli interventi degli altri Consiglieri del Gruppo socialista, preciserà ed evidenzierà ulteriormente il nostro punto di vista, che io definisco in termini sintetici ma estremamente precisi in questi concetti: il bilancio preventivo '72 non potrà essere votato dal Gruppo socialista; riserviamo però la nostra decisione sul comportamento da tenere in sede di votazione, facendolo dipendere da una valutazione sul modo in cui la Giunta, a conclusione del dibattito consiliare, avrà tenuto conto delle indicazioni critiche che abbiamo fatto critiche espresse senza nulla concedere alla linea politica, alla composizione, alla formula e agli indirizzi di questa Amministrazione Regionale, ma anche senza lasciarci prendere la mano da visioni aprioristiche e preconcette di opposizione, di schieramento, che non sono nella logica autonoma con la quale noi combattiamo, all'opposizione ma in piena autonomia, per fare di questa Regione qualcosa di più avanzato, di più perfezionato rispetto a quello che è oggi.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare la Consigliera Soldano. Ne ha facoltà.



SOLDANO Albertina

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, ho chiesto la parola perché mi sembra doveroso richiamare, in questa concezione, i principi ai quali ispirare l'azione del Consiglio Regionale secondo quella linea di logica coerenza che noi abbiamo iniziato in occasione dell'approvazione delle osservazioni agli schemi dei decreti delegati per il trasferimento delle materie assistenza scolastica, Musei e biblioteche, di Enti locali o istruzione artigiana e professionale, cioè quei due decreti delegati che l'anno scorso, pressappoco a quest'epoca, ci tennero impegnati.
Mi pare sia fondamentale richiamare questi principi, in quanto i particolari tecnici di applicazione ai medesimi dovranno essere interpretati al momento opportuno, in sede competente, senza perdere ulteriore tempo, nel chiaro quadro di una programmazione secondo quanto è già stato auspicato da coloro che mi hanno preceduto.
Tra questi principi vorrei richiamarne alcuni, che forse in sintesi si riconducono ad uno soltanto: il problema della promozione dell'uomo. Vorrei ricordare quanto noi avevamo asserito, relativamente allo schema di decreto delegato per il trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni in materia di istruzione artigiana e professionale, quando avevamo preso atto del mutato rapporto tra cultura e professione in una società che tende a qualificarsi come sempre più tecnologicamente avanzata.
Così, avevamo preso atto del deciso superamento del concetto di mestiere, affermando il concetto di formazione professionale proiettato nel quadro più ampio della educazione e formazione permanenti, cioè considerando il processo di formazione professionale come momento qualificante dell'intero sistema educativo. Eravamo giunti ad affermare pertanto la necessità di promuovere, nell'ambito della formazione professionale, una autentica capacità di critica, che si traducesse in auto formazione.
Analogamente, allorché avevamo affrontato i problemi dell'assistenza scolastica, inserendola nel quadro più ampio della sicurezza sociale avevamo affermato il diritto allo studio, collegato al diritto al lavoro convinti che fosse necessario promuovere in una società in trasformazione lo sviluppo della persona umana. In questo senso l'assistenza scolastica fu considerata da tutti noi come un autentico servizio sociale educativo, che doveva tendere, come deve tendere, alla realizzazione di condizioni e di ambienti efficaci ai fini dello sviluppo della persona, con riferimento a tutto quanto attiene ai processi educativi e formativi. Quindi, avevamo preso posizione decisa nei confronti di certi aspetti negativi oggi in atto nello sviluppo educativo che si sintetizzano nei seguenti termini: condizionamento, disadattamento, emarginazione scolastica. Anzi, vorrei ricordare che gli stessi musei e biblioteche erano stati considerati come nuclei di base per l'educazione permanente, e sotto questo punto di vista cioè considerandoli come mezzi di mediazione culturale, non li avevamo inseriti in un concetto nuovo di assistenza scolastica intesa in una nuova direzione.
Questi concetti, richiamati nelle osservazioni ai due decreti menzionati furono da noi ripresi nelle analoghe osservazioni al decreto di riordinamento del Ministero della Pubblica Istruzione. Io credo che, al di là del pur necessario esame tecnico del bilancio che oggi ci viene presentato, sia doveroso ribadire la volontà di realizzare in termini concreti, quanto abbiamo in precedenza affermato, senza porre limiti definiti di tempo ma senza rinunciare ad agire con una precisa volontà politica; credo cioè che sia venuto il momento di prendere atto della necessità di impostare qualunque forma di attività, pur, ripeto, nei limiti tecnici imposti dal bilancio, secondo una chiara visuale promozionale dell'uomo.
Ho preso atto con compiacimento, stamane, della precisazione dell'Assessore Paganelli, nel capo della sua lucida presentazione del bilancio, là dove denunciava una lacuna del bilancio stesso, a proposito delle attività turistiche che sarebbero state non trascurate ma in un certo senso sottaciute perché considerate in senso promozionale.
Non vorrei che questo mio intervento fosse considerato come dettato esclusivamente da una visione settoriale del problema. In verità sono convinta che gli elementi relativi alla formazione e alla promozione dell'uomo siano fondamentali per affrontare qualunque problema di ordine tecnico, sociale ed economico.
Perciò chiedo che oggi si prenda atto di quello che ci viene presentato e piuttosto si riconferma da parte di tutti una precisa volontà politica di attuazione di quanto all'unanimità il Consiglio Regionale decide di assumersi come impegno penso ben specificato alcuni mesi addietro. Mi rendo conto delle difficoltà tecniche, e vorrei dire anche cronologiche, per l'attuazione di una politica che indubbiamente non può essere limitata nel tempo ma deve proiettarsi con coraggio verso il futuro, in un continuo processo di ricerca e di rinnovamento. Però credo sia altresì doveroso precisare che non bisogna più perdere tempo, pertanto trovati gli strumenti per avviare decisamente questa azione, la si intraprenda con coraggio e con risolutezza.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Raschio.



RASCHIO Luciano

Signor Presidente, colleghi, a nome del Capogruppo comunista mi accingo ad esaminare il problema dell'artigianato, nel quadro delle osservazioni delle critiche che muoviamo al bilancio '72 presentato dalla Giunta e nel quadro anche di tutta una serie di esperienze che abbiamo avuto modo di ulteriormente considerare in occasione delle consultazioni ai fini di recepire, da parte delle organizzazioni interessate (in questo caso delle organizzazioni artigianali) le aspirazioni della categoria.
Non dico nulla di nuovo se riaffermo che l'art. 45 della Costituzione così recita "la legge provvede alla tutela ed allo sviluppo dell'artigianato" e non dico nulla di nuovo se riferisco come l'artigianato, passando alla Regione ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, del decreto presidenziale del 14/1/72 n. 2, ha tutte le carte in regola per essere assunto come tale, come grande momento politico sociale ed economico, dall'Istituto regionale.
Le gravi difficoltà economiche del momento attuale impongono all'artigianato uno sforzo di ricerca per nuovi orientamenti produttivi che non possono non collegarsi ad uno spostamento generale della domanda interna e ad una modificazione profonda delle strutture economiche e sociali; ad esempio una riforma agraria, fondata sull'impresa contadina singola ed associata, un regime di piena occupazione, una politica di forte utilizzazione delle risorse regionali, possono tradursi in un elevamento generale dei consumi, vale a dire in una nuova domanda di beni e di servizi il cui soddisfacimento viene anche per l'impresa artigiana. Ciò comporta la ricerca da parte dell'Impresa artigiana (e questo bisogna dirlo con molta franchezza) di una nuova dimensione aziendale, ricerca che vede, come sempre, impegnati in prima persona, gli artigiani e le loro organizzazioni e che deve trovare conforto, ritengo, in adeguati interventi da parte della Regione, del potere pubblico nei decisivi settori della ricerca tecnologica, della formazione tecnica e professionale, della politica del credito e del mercato.
Abbiamo potuto constatare, anche con le consultazioni per il bilancio come gli artigiani vogliano essere sempre più partecipi nel conferire all'istituto regionale tutti i poteri che la Costituzione gli conferisce per trovare nella Regione, seppur dopo vent'anni, la concreta realizzazione di quella politica di tutela e di sviluppo che lo Stato verso l'artigianato non ha mai compiuto.
Mettiamo l'accento sullo sviluppo di questo settore che presuppone per il riconoscimento totale del ruolo dell'artigianato nella programmazione economica e nella prossima elaborazione del piano regionale piemontese.
Particolarmente in una regione come il Piemonte, ad ampia presenza dell'artigianato e della piccola industria, una visione dinamica dello sviluppo dell'artigianato sottolinea contemporaneamente la responsabilità e la capacità di rinnovamento dell'artigianato da un lato e la sensibilità dall'altro che la Regione deve avere a fronte di questi problemi. Non è nella capacità di competere con le imprese industriali che deve essere individuata, secondo noi, l'ottimalità dell'impresa artigiana e l'esercizio della sua funzione. Nessuno, credo, potrà contestare in Piemonte il ruolo e la funzione che rappresentano la prevalenza delle imprese artigiane.
Nei settori manifatturieri questa funzione non può realizzarsi che nella produzione di qualità e di elevata specializzazione, che è la più marcata titolarietà dell'impresa artigiana. Di qui il rifiuto netto preciso dell'artigianato di accettare un ruolo di supporto della politica di quelle forze che sotto il pretesto della stabilità tentano di mantenere un ordinamento squilibrato, non corrispondente ai dettami costituzionali.
Le riforme di struttura quindi per gli artigiani e piccoli imprenditori, stanno a significare un elemento di rottura della situazione esistente, fondata sulla sperequazione dei costi economici e sociali attraverso i quali si realizza poi quella condizione di inferiorità che subordina la piccola azienda artigiana alla grande impresa.
Per gli artigiani, insomma, "riforma" non è un astratto richiamo ai principi generali della democrazia, ma vuol ad esempio dire cessare di pagare il Kwh 24 lire, quando la Fiat e le grandi industrie che consumano 500 Kwh, le pagano 8 lire; così la grande maggioranza delle aziende artigiane è contro la discriminazione sul costo delle materie prime metalliche, lavorate, e fornite dalle aziende siderurgiche IRI dello Stato e che vengano forniti agli artigiani ad un prezzo ben superiore di quello concesso alla Fiat.
Se qualche settore dell'artigianato (mobili, oreficeria, argenteria) ha registrato in Piemonte sensibili sviluppi (e questo in un recente passato al momento purtroppo siamo in fase di stallo) questi non si sono realizzati per effetto di una politica economica varata dal governo, ma attraverso sforzi indicibili delle categorie per adeguare le proprie possibilità competitive ad una situazione in cui gli interventi prevaricatori e condizionati del grande capitale finanziario e industriale, le hanno costrette.
Si può asserire (questo lo dicono da più parti, non solo le sinistre) che finora in Italia si è provveduto alla tutela dell'artigianato ma non si è operato da parte del Governo per la sua difesa ed il suo sviluppo.
Infatti gli strumenti pubblici dello sviluppo, da quelli della politica finanziaria dello Stato (tributi e spesa pubblica) a quelli della politica sociale (contributi e tutele previdenziali ed assistenziali) a quelli della politica dei servizi (tariffa per l'energia idrica, per le comunicazioni ecc.) a quelli della politica creditizia in mano pubblica, sono stati utilizzati in forme distorte, sostanzialmente a sfavore dell'artigianato e nell'interesse invece dei grandi gruppi industriali.
L'artigianato quindi, pur essendo, come ho detto, passato alle Regioni presenta come fenomeno politico, economico e sociale, nel bilancio della Regione varato per il 1972, insufficienti stanziamenti e lacune gravi particolarmente nell'ambito di quegli impegni da più parti richiesti, che finanziariamente non trovano articolata e concreta presenza. In particolare osserviamo che l'art. 1404 del bilancio, che prevede in tre miliardi e cento milioni la quota della disponibilità residuale per il finanziamento mediante provvedimenti legislativi regionali; della partecipazione di una società finanziaria regionale; dell'istituzione dell'ente regionale di sviluppo agricolo; dell'istituzione dell'ente di sviluppo dell'artigianato è talmente vago che non assicura in alcun modo che quanto viene stanziato sarà realmente deciso e speso per il 1972. Avrebbe ad esempio già dovuto essere costituita e resa operante la Commissione regionale permanente di consultazione per i problemi dell'artigianato. Si sarebbe così accelerata l'indagine conoscitiva sulla situazione artigianale in Piemonte e si avrebbe già oggi in occasione del bilancio, una linea essenziale, almeno per sommi capi, di intervento che si fonderebbe su di una specifica conoscenza delle situazioni globali e della condizione operativa delle varie categorie componenti il settore.
Intendo qui rimarcare, ad esempio, che per quanto concerne la Commissione regionale permanente di consultazione, questa si dovrà rilevare non solamente come uno strumento di ausilio per l'assessorato ed il Consiglio tutto per conoscere la situazione artigianale ma anche come uno strumento che ci aiuti nell'ambito della programmazione regionale a recepire le linee fondamentali per uno sviluppo dell'artigianato in Piemonte, che raccoglie oltre 600.000 lavoratori.
Noi proponiamo perciò di costituire entro il mese di settembre e non oltre, di questo anno, la Commissione regionale permanente di consultazione per l'artigianato, dotando l'art. 818 del bilancio di 30 milioni, contro i cinque milioni previsti dalla Giunta, per garantire a questa Commissione per gli studi che essa deve fare al servizio della conoscenza politica ed economica del Consiglio Regionale e anche a difesa degli interessi dell'artigianato, mezzi adeguati per il suo funzionamento. Noi riteniamo che l'art. 818 sia la postazione di bilancio più giusta per collocare lo stanziamento, ma naturalmente il Consiglio e la Giunta hanno ampia facoltà di giudicare l'idoneità dello stanziamento in altre postazioni di bilancio.
Ciò che a noi comunisti interessa non è tanto il collocamento finanziario in un articolo, quanto la affermazione concreta della competenza promozionale della Commissione regionale permanente consultiva per l'artigianato e quindi mettendola in grado, anche con il finanziamento di poter funzionare.
Inoltre pur avendo ritoccato, la Giunta, dopo le consultazioni, l'art.
827 concernente sussidi e premi, per promuovere l'incremento dell'artigianato e della piccola industria al fine di favorirne la partecipazione a manifestazioni fieristiche passando da 30 a 45 milioni ravvisiamo tuttavia ancora l'assoluta inadeguatezza della spesa preventiva a fronte dei problemi che tale voce puntualizza.
Ferma restando inoltre la genericità di quanto viene indicato dalla Giunta sotto la voce "ente di sviluppo per l'artigianato", non si vede come sia possibile alla Regione rispondere oggi all'esigenza di concreti aiuti e quindi ad un assolvimento del decreto delegato per l'artigianato, con tutte quelle critiche che abbiamo mosso allorquando lo stesso ci venne sottoposto. Ritengo inoltre che occorra una qualificazione del nostro intervento per il credito di esercizio artigianale, esigenza questa che è stata manifestata fortemente da parte degli artigiani e delle associazioni di categoria.
Pertanto proponiamo, all'art. 828 del bilancio, un considerevole arricchimento (da 45 a 100 milioni) per creare, in questi mesi che ci separano dalla fine del 1972, una prima serie di strutture che potenzino le "mostre mercato" già esistenti in Piemonte e facilitino l' esposizione dei prodotti artigianali, avviando in pari tempo, insieme agli stanziamenti previsti dal bilancio nel settore urbanistico, un concreto studio sulla dislocazione della economia artigiana per quanto concerne le mostre mercato permanenti per settori tipici di produzione. Lo sappiamo, sei mesi sono pochissima cosa, ma le mostre mercato sono elementi fondamentali nell'ambito della stessa ricerca di mercato e per uno sviluppo tecnologico razionale dell'artigianato e assieme alla Commissione regionale urbanistica, strumento del Consiglio, dovremo vedere nel Piemonte localizzando i territori e le zone per l'insediamento artigianale, quali sono i punti più idonei per far confluire mostre mercato permanenti per settori; proprio perché è chiaro che dovranno fare una mostra generica dell'artigianato.
Occorre inserire poi in un articolo apposito di bilancio, oppure utilizzando l'art. 1360, la voce "credito di esercizio per l'artigianato" mentre per quanto riguarda il credito per il capitale di investimento facilitazioni all'azienda artigiana per il progresso tecnologico e per la dotazione di efficienti macchinari ed attrezzature, si dovranno attendere le leggi regionali che mettano in opera l'ente di sviluppo per l'artigianato e che conseguentemente regoleranno tutta la materia. Invece il credito di esercizio crediamo debba essere subito messo in funzione perché rappresenta un pronto ed immediato intervento per sostenere l'azienda artigiana in un momento di grave crisi che non può permettere dilazioni.
Che cosa vuol dire "credito di esercizio"? Vuol dire intervenire con una somma per il pagamento di buona parte degli interessi del capitale che viene utilizzato dall'azienda per acquistare la materia prima e non per rinnovare tecnologicamente tutta l'azienda, per darle la possibilità di non essere soffocata dalla mancanza di liquidità, che oggi purtroppo è uno degli elementi che pesa negativamente sull'azienda artigiana.
Noi - e lo diceva già molto bene Sanlorenzo a nome del Gruppo comunista stamattina - quando abbiamo visto, presentato dalla Giunta, uno stanziamento di 400 milioni per l'ente di sviluppo dell'artigiano, abbiamo manifestato la nostra contrarietà proprio per evitare dei residui passivi mancandoci infatti il tempo per impegnare il denaro. Portiamo invece a bilancio cento milioni e vediamo come utilizzare per l'artigianato gli altri 300. Il Gruppo comunista si permette di sottoporre al Consiglio una propria indicazione: 300/320 milioni a un tasso di interesse del 7/8 per cento di fatto potrebbero mettere in moto circa quattro miliardi impegnarli per il credito di esercizio in direzione dell'artigianato e delle sue forme associative danno modo di mettere in moto, nel volgere di pochi mesi, una possibilità concreta per il credito di esercizio venendo a soddisfare, come primo urgentissimo provvedimento, le esigenze di una categoria che non può ulteriormente attendere per l'aumento elevato del costo delle materie prime e per la stasi del mercato.
Ci sono a tale proposito due esperienze veramente interessanti, una in provincia di Cuneo e l'altra in provincia di Alessandria di consorzi fra artigiani con l'aiuto degli Enti locali e delle Casse di Risparmio, che hanno creato con la partecipazione della base artigiana di condizioni per un sistema creditizio agevolato. Hanno previsto nei loro Statuti consortili di superare quella tremenda spada di Damocle che si chiama garanzia singola alla banca mediante i beni immobili e che come tutti sappiamo diventa per le Banche elemento di valutazione al fine di concedere o meno determinati mutui; infatti associandosi nel Consorzio e partecipando ogni artigiano con un capitale di 1 milione si dà già la possibilità all'azienda associata di svolgere senza garanzia sui beni immobili mutui considerevoli. Inoltre la Cassa di Risparmio ha concordato ad esempio con il consorzio in provincia di Alessandria di offrire il denaro con una lieve riduzione sul tasso normale di interesse. Questo è un problema molto importante e che dovrà vedere anche un concreto intervento della Regione, volto non solo per aiutare finanziariamente i consorzi fra artigiani esistenti, ma anche per facilitarne la formazione in Piemonte.
Circa la formazione professionale (e questo non spetta solamente all'artigianato, ma è un discorso venuto fuori dalla consultazione dei sindacati, degli artigiani, delle piccole industrie e di altre categorie) si segnala la necessità di un arricchimento della voce che la Regione destina al settore e l'esigenza che si tenga conto di quanto questo rappresenti per un sano sviluppo dell'artigianato in direzione dei giovani.
Perché (e qui denuncio un fenomeno veramente preoccupante che si nota in alcuni settori dell'artigianato della provincia di Alessandria, dove è più facile per me poter fare una diagnosi, non avendo ancora davanti agli occhi nemmeno a grosse linee lo studio regionale sull'artigianato) noi assistiamo ad un'evasione in massa dei giovani che frequentano gli istituti artigianali qualificati, alla ricerca di un impiego. Occorre quindi non solo qualificare il lavoro dell'artigiano, ma dare borse di studio, ed un'assistenza finanziaria agli istituti ed agli allievi tale da garantire una qualificazione maggiore degli istituti stessi. Dicendo questo ho davanti a me il problema dei mobilieri, degli orafi, degli argentieri, ma ho anche quello generale dell'azienda artigiana che si rivolge ai servizi.
Un primo elemento è quello della qualificazione e di una ricerca nuova di come collocare l'artigianato e di come collocare la Regione. Un altro è di condurre uno studio critico nei confronti di tutti quegli enti che hanno sovrinteso l'artigianato fino a questo momento e mi riferisco all'INIASA per la formazione professionale ed artigiana; all'ENAPI per l'assistenza tecnico-commerciale, all'Artigiancassa per l'assistenza creditizia. Se dovessimo fare un referendum per farci dire cosa ne pensano gli artigiani di queste tre sigle, brevi nel loro contesto, ma nulle nei confronti dei loro problemi, troveremmo un plebiscito negativo: chi, degli artigiani conosce l'esistenza dell'intervento dell'Artigiancassa nei confronti ad esempio del credito di esercizio? Quanti artigiani hanno potuto beneficiarne? Tant'è che da più parti si fa presente l'esigenza che l'Artigiancassa passi alle dirette dipendenze della Regione, e ciò non solo il Gruppo comunista lo richiede.
Quindi ci pare che le nostre proposte e le nostre osservazioni critiche sul bilancio del '72 a proposito dell'artigianato, debbano essere accolte dalla Giunta e dalla maggioranza, perché pur collocandosi in un quadro di negazione documentata al bilancio stesso per tutta una serie di ragioni che è già stata esposta da altri interventi del Gruppo comunista, intendono contribuire con una critica costruttiva una modifica di ciò che invece il bilancio del '72 predispone per l'artigianato.
Sono indicazioni le nostre, che respingendo facili fraseologie demagogiche, hanno sottolineato le immediate esigenze a cui la Regione non può assolutamente sottrarsi, portando a tale scopo concrete proposte di lavoro e di intervento finanziario.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE OBERTO



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Benzi, ne ha facoltà.



BENZI Germano

Signor Presidente, signori Consiglieri, nell'intervenire nella discussione sul bilancio di previsione per l'anno finanziario 1972 possiamo affermare che si tratta di un bilancio di transizione poiché le scelte, non suffragate dallo studio di un piano, possono essere non sempre le più felici. Con lo studio del piano di sviluppo dovremo, fra qualche mese, preparare un bilancio programmatico per le cose più essenziali e con almeno tre anni di validità.
C'è pure da porre in evidenza che le modalità di redazione e di gestione dell'attuale bilancio preventivo sono quelle che lo Stato ha voluto. Bisogna tenere ancora presente che la carenza di leggi regionali non consente di fare un bilancio come tutti avremmo auspicato. Possiamo però affermare che il bilancio di quest'anno si propone di fornire gli strumenti per la futura programmazione, inoltre che è un bilancio credibile, con settori ben delimitati che dovrebbero dare un bilancio politico alla Regione, anche perché c'è stata una riduzione di interessi nei nostri confronti.
Teniamo senz'altro conto che le somme da spendere in realtà sono esigue, ci manca la continuità in quanto che essendo noi al primo bilancio stiamo iniziando con degli oneri che lo Stato ha passato a noi e con degli enormi problemi che dobbiamo risolvere con scelte prioritarie che possono anche non trovarci tutti d'accordo.
Gli strumenti per la futura programmazione sono indicati nella Finanziaria pubblica, nell'Ente di sviluppo agricolo e nell'ente per lo sviluppo dell'artigianato. Un fatto che va messo in evidenza nella discussione odierna è l'apporto recato dai vari enti e associazioni a carattere regionale, nella consultazione effettuata il 19, 20 e 21 giugno.
Abbiamo avuto dei suggerimenti, dei consigli interessanti, qualche cosa si è potuto recepire con qualche stanziamento nuovo al cap. 243 "Sussidi per l'assistenza educativa agli anormali" 40 milioni, al cap. 249 "Posti gratuiti o semigratuiti nei convitti alpini" 50 milioni, oppure con stanziamenti aumentati, come al cap. 452 "Contributi ai comuni e agli altri enti locali territoriali per l'impianto e l'ampliamento dei servizi medico scolastici" da 25 a 80 milioni.
Ma la cosa più importante sono state le discussioni di merito che ogni organizzazione ha portato fornendo dati, cifre e facendo proposte che per lo più non era possibile recepire nel presente bilancio, sia per mancanza di tempo, sia per la mancanza di un piano programmatico regionale; ma queste consultazioni vanno tenute presenti per il prossimo bilancio, per l'apporto tecnico costruttivo che hanno dato.
La relazione della Giunta sul bilancio di previsione di quest'anno è il documento politico che la qualifica, in quanto che preannuncia ed inizia una politica di piano tenendo presenti le attuali situazioni economiche e politiche, sia nazionali che regionali. La relazione riconosce le difficoltà di stesura per la mancanza di un piano regionale, ma indica i primi strumenti operativi che come ho già detto sono: la Finanziaria l'Ente regionale di sviluppo agricolo e l'Ente regionale di sviluppo dell'artigianato.
Il punto di partenza del bilancio è la situazione economica del Paese che sta attraversando una crisi particolarmente grave e che da noi, come zona a carattere industrializzato, si fa sentire con maggiore intensità e pertanto nei provvedimenti presi c'è il tentativo di introdurre elementi di aiuto e di riforma dell'apparato produttivo. Si può dire che questo compito è affidato, per buona parte, alla Finanziaria regionale. L'intervento della Finanziaria è importante soprattutto per le piccole e medie imprese, perch dovrebbe creare servizi di assistenza tecnologica, commerciale e creditizia.
Per quanto riguarda la parte tecnologica si tratta di approfondire le possibilità di utilizzazione delle materie prime, di studiarne i processi tecnologici che riescano ad accrescere l'economicità di costo nel processo produttivo.
Bisogna operare nel campo della ricerca. In Piemonte esistono circa ottomila industrie minori in cui la ricerca ha un valore enorme, ma non avendo potenzialità economica non sono in grado di fare nessuna ricerca, o peggio, qualche volta scoprono nuovi processi produttivi quando da anni altri già li stanno applicando. Dobbiamo individuare i laboratori di ricerca industriale, specie nell'Università, qualcuno andrà creato ed è chiaro che i laboratori per l'industria devono essere a carattere e con obiettivi puramente di natura economica, con previsioni a breve e a lungo termine. Forse sarà necessario creare un ente apposito per le piccole e medie aziende, per la loro innovazione tecnologica, nel loro interesse e per quello della comunità in cui operano.
Sempre per quanto riguarda le industrie minori, tramite la Finanziaria si dovrebbe costituire un ufficio regionale commerciale, onde poter fornire notizie ed informazioni sulle prospettive, sia del mercato interno che estero, per ogni singola categoria merceologica. Questo ufficio commerciale dovrebbe poi propagandare e far conoscere i prodotti delle industrie minori all'estero ed aiutare le aziende che vogliono esporre ed esportare i loro prodotti.
Un altro elemento di rilievo, nel bilancio, è quello dello stanziamento di 300 milioni per la difesa dell'ambiente. In questo campo vi sono problemi di scelta e di organizzazione. Si dovrebbe innanzitutto fare un censimento regionale dei beni naturali (proposte di parchi naturali riserve naturali, oasi di protezione, biotopi da conservare, bellezze naturali, flora e fauna da proteggere). Il censimento potrebbe essere realizzato in un anno circa, dovrebbe essere di tipo "aperto", ossia con la possibilità di aggiunte; dovrebbe condurre alla formazione di uno schedario; per ciascuna scheda dovrebbero essere indicati, nei limiti del possibile: denominazione, localizzazione topografica, comuni interessati estensione, brevi descrizioni e ragioni per cui la zona è interessante pericoli che la minacciano o potrebbero minacciarla, proprietario o proprietari ed altri dati utili.
Ovviamente non si chiede la realizzazione di altrettante zone di protezione, ma lo schedario dovrebbe essere consultato in relazione con l'approvazione di piani regolatori, con l'esecuzione di opere pubbliche o private, ed ogni qualvolta si possa presumere che vi sia un pericolo. Copia delle schede che lo riguardano possono essere inviate ad ogni Comune, con l'invito a tenerne conto.
Lo schedario, attentamente studiato e valutato, potrebbe inoltre fornirei dati per la formazione di un elenco di beni naturali da proteggere disposti in ordine di priorità, così che si possa formulare un piano a medio e a lungo termine per la graduale realizzazione degli opportuni mezzi di protezione.
Si dovrebbe provvedere all'istituzione di un ufficio tecnico per l'ecologia, comprendente un certo numero di naturalisti specializzati e in grado di ricorrere, in determinati casi, anche ad esperti esterni.
L'ufficio dovrebbe essere consultato in occasione di lavori che possono incidere sul territorio (strade, canali, ferrovie, dighe, grandi costruzioni ecc.); dovrebbe fornire agli Assessorati le indicazioni necessarie in materia di ecologia (assetto territoriale, inquinamenti ecc.); potrebbe venire incontro a un'esigenza molto sentita dagli amministratori locali, ossia fornire ai Comuni indicazioni e consigli per risolvere i loro problemi di pianificazione territoriale, di eliminazione dei rifiuti, di istituzione di zone di conservazione, di formulazione dei regolamenti di polizia urbana e rurale per quanto riguarda la conservazione ambientale ecc.
I quadri di questo ufficio potrebbero comprendere un paio di naturalisti (un botanico, uno zoologo, un geologo, un sociologo, un urbanista), che dovrebbero sempre lavorare in equipe, in modo che si venga a creare fra loro l'affiatamento necessario per un esame veramente multidisciplinare dei problemi, oggi indispensabile in campo ecologico.
Stanziamento di una somma per la propaganda e l'educazione ecologica con vari mezzi (riunioni, tavole rotonde, manifestazioni, manifesti volantini, cartelli ecc.) e c'è da osservare che il bilancio della Regione prevede uno stanziamento per l'istruzione e la propaganda forestale.
Istituzione di centri di aggiornamento per l'insegnamento delle scene e dell'ecologia, come quello in via di costituzione nella Regione autonoma della Valle d'Aosta ad opera della Federazione Nazionale Pro Natura e dell'Assessorato regionale all'istruzione.
Interventi per avviare concretamente a soluzione alcuni problemi relativi alla conservazione ambientale e alla creazione di zone di verde pubblico (per esempio: La Mandria, Collina di Torino, Parco di Entracque Valdieri, Appennino piemontese).
Un rapido accenno al capitolo 302 in cui sono stanziati 45 milioni per concorsi nelle spese restauro e conservazione di opere di antichità e d'arte di enti locali ecc. La cifra stanziata deve servire, secondo noi, a mettere in moto tutta una serie di provvedimenti per salvare il patrimonio artistico piemontese, che per lo più è sconosciuto a noi stessi e che in molti Comuni non solo è trascurato, ma addirittura ignorato. Dobbiamo censire tutte le opere d'arte, monumenti, costruzioni che devono essere difesi, catalogati, valorizzati perché una fonte del turismo è proprio la conservazione di queste opere disseminate in ogni angolo del Piemonte ignorate e qualche volta distrutte sia dalle intemperie che dalla nostra ignoranza. Perciò nel prossimo bilancio è da sperare che lo stanziamento sia adeguato all'importanza della materia.
Al cap. 574 vi è uno stanziamento per l'addestramento professionale dei lavoratori di 675 milioni. Più che discutere la cifra che riteniamo bassa primo tenuto conto dell'immigrazione di manodopera dal centro meridione secondo dalla riconversione forzata di manodopera qualificata ad altre attività (per esempio tessili costretti a cambiare mestiere), terzo dell'esodo dalle campagne, a consuntivo si potrà vedere se i milioni stanziati sono o non sono sufficienti. Ma vorremmo entrare nel merito del funzionamento didattico di queste scuole. Perché se vogliamo che lo sviluppo economico regionale aumenti, dobbiamo pensare a preparare degli operatori in grado di inserirsi nel mondo attuale, per poterlo vivificare.
Dobbiamo impedire che gli istituti professionali rimangano sorpassati in confronto alle nuove tecnologie e non siano isolati in confronto ai nuovi mezzi di ricerca scientifica, grosso problema a cui dovremo dedicare particolare cura ed attenzione.
Per l'industria e artigianato in bilancio a questa voce, sono stanziati complessivamente 113 milioni. La cifra non è rilevante, ma dobbiamo ricordare che si è previsto come strumento operativo per la gestione del piano regionale, l'Ente regionale di sviluppo dell'artigianato.
Una parte di considerazioni svolte per le industrie minori è valevole anche per l'artigianato che raggruppa circa il 20 per cento della manodopera attiva della nostra regione e che nonostante l'impressione che qualcuno può avere, l'artigianato non è in diminuzione, si può, anzi, deve trasformare, ma continuerà la sua vita ancora per molti anni. Questo è suffragato dai dati statistici dei paesi più evoluti, in cui l'artigianato non ha nessuna tendenza a diminuire.
Che cosa dobbiamo chiedere a questo Ente regionale di sviluppo dell'artigianato? 1) la ricerca tecnica e scientifica per l'aggiornamento del settore; 2) finanziamento a condizioni eque, senza richiesta di particolari garanzie; 3) intervento perché si affronti il problema dei posti di lavoro degli artigiani. Non si può pretendere che si mandino i ragazzi ad apprendere un mestiere nei garages, negli scantinati o in locali senza servizi igienici adeguati. La Regione può affrontare il problema delle costruzioni ad uso artigianale, con tutti i criteri per una produttività adeguata al nostro tempo. E' un grosso problema, per qualificante.
In oltre l'istruzione professionale degli artigiani dovrebbe essere curata in modo particolare e si dovrebbero aiutare finanziariamente, o con borse di studio, o con un pre-salario, i figli degli artigiani che frequentano corsi professionali.
In questo breve intervento sono stati puntualizzati alcuni elementi delle varie voci che formano il documento del bilancio regionale, ma prima di concludere dobbiamo dare atto della chiarezza di impostazione contabile e porgere un ringraziamento al relatore collega Dotti per la mole di lavoro smaltita e molto bene. Si poteva fare il bilancio in una maniera diversa? Sì, senz'altro, si potevano accendere mutui per 70/80 miliardi che si potevano giustificare proprio per combattere la stasi congiunturale che ci travaglia. Ma noi crediamo che la soluzione, che a prima vista ha una sua forza di attrazione, abbia il suo punto debole, facciamo solo due considerazioni; 1) il poco tempo disponibile renderebbe pressoch impossibile attuare i piani operativi per la messa in cantiere delle opere prescelte; 2) la carenza di un piano regionale renderebbe dubbia qualche scelta che a prima vista potrebbe sembrare di quelle a carattere prioritario. E' però evidente che non si deve scartare l'eventualità di fruire della possibilità che abbiamo per fare anche dei mutui e anche rapidamente. Pensiamo che dovremmo essere tutti d'accordo, come dovremmo essere d'accordo nel considerare il bilancio e l'attività legislativa della Regione come strumenti atti a stimolare in tutti i settori quello sviluppo economico e sociale equilibrato, atto ad eliminare le aree depresse, le sacche di miseria, i sottoccupati, o addirittura i disoccupati.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Curci, ne ha facoltà.



CURCI Domenico

Signori Consiglieri, dobbiamo riconoscere che la prima impressione che si ricava dall'insieme del bilancio e dalla lettura della relazione che lo accompagna, è quella che si tratta di un documento per la cui elaborazione e stesura, si è compiuto uno sforzo apprezzabile per superare i limiti della tradizionale struttura dei bilanci pubblici che ne restringono il fine ad un mero controllo giuridico-contabile, per adeguare strutturalmente il bilancio stesso alle esigenze della politica di piano.
Sforzo di volontà, quindi, che apprezziamo, anche se le riserve che più avanti enumereremo riguardo ai contenuti della politica che nel bilancio è impostata, rendono il nostro giudizio sostanzialmente negativo.
Già per quanto riguarda gli strumenti operativi, previsti per la gestione del piano; abbiamo avuto in passato occasione di muovere delle critiche, delle obiezioni che non si riferiscono tanto al principio che sta alla base dell'intendimento di costituire enti come la Finanziaria regionale, l'Ente regionale di sviluppo agricolo e l'Ente regionale di sviluppo per l'artigianato, ma alla pratica della loro attuazione sulla base delle esperienze compiute nelle regioni a statuto speciale, dove, in realtà, tali istituti si sono trasformati in carrozzoni ed in centri di controllo clientelare.
Lo svolgimento della funzione anticiclica che con l'impostazione del presente bilancio ci si propone di attuare e per cui - com'è detto nella relazione - si fa grande assegnamento sulla Finanziaria regionale presuppone ovviamente l'attuazione di una analoga vasta azione anticongiunturale da attuarsi ad opera del Governo su scala nazionale nella quale l'azione della nostra Regione dovrà essere opportunamente integrata.
L'incertezza che, al momento, pervade la politica governativa, il rinvio delle fondamentali scelte politiche, la volontà manifestata di disattendere quell'inversione di tendenza reclamata dagli elettori col sensibile spostamento a destra rivelato dalle elezioni politiche del 7 maggio, sono tutti fattori che potrebbero far risultare l'indirizzo anticiclico della nostra Regione in contrasto con la politica economica nazionale, qualora nella nuova coalizione governativa che potremmo avere nel prossimo autunno, dovesse gravare, come nel passato, il condizionamento del partito socialista. Mentre apprezziamo, quindi, la volontà manifestata nel bilancio di affrontare la congiuntura economica con criteri di sana e moderna economia, non possiamo non essere preoccupati dalla possibilità che tale volontà venga vanificata da una contrastante politica governativa contrasto che bloccherebbe le iniziative piemontesi determinando la trasformazione degli impegni di spesa in quegli ingenti residui passivi con conseguenti effetti negativi ammessi nella relazione.
L'augurio, quindi, che sulla base di questa considerazione, possiamo rivolgere alle forze che compongono l'attuale maggioranza, è che le eventuali svolte politiche non contraddicano l'impostazione politica di questo bilancio e le scelte politiche ed economiche che ne costituiscono il fondamento. Scelte che hanno consentito di impostare il bilancio in forma coerente ad una visione programmatica a lunga e breve scadenza.
Il gruppo del MSI considera corretto o socialmente producente tale concetto, ma rileva che la scarsa conoscenza di molte quote in entrata che sono iscritte a memoria - riduce sensibilmente tale volontà operativa anche per il fatto che il programma regionale è ancora "in fieri".
Si manifesta pertanto il pericolo di riportare, nei prossimi bilanci grossi stanziamenti nei residui passivi, come di riportare nei residui attivi quegli stanziamenti che ora sono segnalati "per memoria" e che saranno noti forse soltanto alla fine dell'esercizio finanziario, oppure negli esercizi venturi. Ma non è tanto questa impostazione tecnica, anche se limitatrice di una sana impostazione, che ci preoccupa, quanto la possibilità che la Regione può avere di intervenire nel processo di recessione economica in atto.
Nella relazione, si afferma che l'attuale situazione economica non deve influenzare né il programma a breve e lungo termine, né il bilancio. E questo è condiviso dal MSI che respingendo la politica del "tanto peggio tanto meglio" vorrebbe vedere già il superamento della stasi attuale, per una ripresa dinamica di ogni attività economica.
Purtroppo, però, i fatti contraddicono tali speranze perch dall'iniziativa contrattazione dei 40 e più contratti che deve essere portata a termine entro il mese di dicembre, sono già emersi contrasti di fondo che rendono difficile la ripresa economica e che esigono l'immediato intervento equilibratore e mediatore del governo nazionale e l'intervento immediato a favore delle medie e piccole imprese, le quali sono le più colpite dalla congiuntura e che potrebbero anche sparire per il grave peso che i vecchi e nuovi oneri contrattuali loro impongono.
Anche se la Regione non può intervenire in una politica contrattuale a carattere nazionale, noi riteniamo che abbia tuttavia largo spazio mediatore per intervenire, onde assicurare il mantenimento in vita di aziende economicamente sane e socialmente valide, che soffrono soltanto di carenze di capitali, dovute a tutta una serie di provvedimenti legislativi assunti nel corso del decennio del centro-sinistra, che hanno colpito gravemente lo sviluppo economico e che di fatto, al di là di ogni fumisteria ideologica e politica, ne impediscono la ripresa produttiva.
Quando ad esempio la Regione, la Provincia ed il Comune di Torino attraverso i loro Assessorati al lavoro, fanno il possibile per mantenere il posto di lavoro degli operai della Caesar e della Leumann e nel biellese si tenta di salvare la Gallo ed altre imprese, occorre anzitutto superare ogni tentazione di demagogia e ricordare che la crisi del settore tessile è europea, è strutturale e non congiunturale, come fin dal 1.966 fu riconosciuto in un convegno a Torino del Fondo sociale della Comunità economica europea, i cui dirigenti, francesi, belgi, tedeschi, italiani riconobbero che non sarebbe stato più possibile riconquistare la gran parte dei mercati perduti, in quanto i nuovi Stati africani, sorti all'indipendenza dalla colonizzazione, avevano pensato, con i fondi ricevuti in auto dall'Europa, di creare una propria industria tessile, con cotone e fibre a buon mercato e manodopera a basso livello. Nasceva, sin da allora, la necessità, che permane, di riconvertire la manodopera di migliaia di operai con corsi di riqualificazione per altre attività e di anticipare e migliorare il trattamento pensionistico dei più anziani, non più adatti ad una riconversione. Ne deriva pertanto, a mo' di esempio, che a nostro avviso appaiono insufficienti gli stanziamenti di cento milioni e di 180 milioni previsti ai capitoli 560 e 568 del bilancio, che dovrebbero servire per interposte persone, con sovvenzioni cioè a consorzi e enti specializzati, a preparare giovani lavoratori alle esigenze delle vecchie e nuove strutture socio-economiche.
Ma se da queste considerazioni d'ordine generale, appena esemplificate si passa all'esame di alcuni stanziamenti, il discorso assume un carattere più vicino alla realtà operativa del bilancio ed entra nel vivo delle situazioni. Ho premesso che l'impostazione del presente bilancio è il risultato di scelte politiche ed economiche che ne costituiscono il fondamento. Tali scelte si individuano soprattutto nella parte riguardante le spese per investimenti. Perciò chiediamo che gli investimenti, di cui al capitolo n. 1210 (contributi in capitali ed anticipazioni alle Province nella spesa per la sistemazione generale delle strade provinciali), per lire un miliardo e 951 milioni e la spesa di lire due miliardi e 15 milioni di cui al capitolo 1212 per l'ammodernamento e la costruzione di strade comunali, trovino immediato impiego a sollievo della disoccupazione grave e socialmente pericolosa dei lavoratori dell'edilizia, la categoria cioè che più soffre degli errori commessi dal centro-sinistra; errori commessi con la cosiddetta riforma della casa, che non dà casa ai lavoratori e che ha tramortito l'iniziativa privata.
Insufficienti, invece, ci appaiono gli stanziamenti di 165 milioni di cui al cap. 1304 per opere idrauliche e sistemazioni in pianura dei corsi d'acqua. Altro stanziamento insufficiente ci sembra quello di cui al cap.
1334 di 500 milioni, per contributi a favore della produzione zootecnica e dell'industria lattifera, considerata la necessità di svincolare la nostra Regione, già all'avanguardia nelle produzioni zootecniche, dalla schiavitù di pesantissimi contributi all'estero per l'importazione di carni.
In ordine agli investimenti in campo finanziario, gli stanziamenti, di un miliardo per la società Finanziaria regionale, di 600 milioni per l'istituzione dell'Ente regionale di sviluppo agricolo e di 400 milioni per l'istituzione dell'Ente regionale di sviluppo dell'artigianato, sono secondo noi praticamente insufficienti agli scopi perseguiti; ma il discorso su questo tema si ferma qui, in quanto tali enti sono ancora da costituire, e le loro strutture ancora da regolamentare. Inoltre tali enti e relativi finanziamenti sono coordinabili con la programmazione regionale e pertanto un più ampio discorso sarà fatto in sede di piano. Mentre i criteri che hanno determinato l'ammontare della spesa relativa all'istruzione, alla formazione ed alla cultura, ci appaiono corretti sotto un profilo puramente contabile, ma del tutto lacunosi riguardo all'esigenza di ravvivare la vita culturale del Piemonte, che sta rischiando di diventare un'area culturalmente depressa. Ci rendiamo conto della mancanza di esperienza specifica nel settore delle biblioteche e dei musei, ma riteniamo che uno sforzo di fantasia per incentivare la formazione di biblioteche, la costituzione di biblioteche circolanti soprattutto nei comuni meno popolati, poteva essere compiuto. Come pure estremamente generiche - anche se riconducibili ad una visione di fondo che condividiamo ci appaiono le intenzioni manifestate per quanto riguarda gli interventi per l'assetto del territorio. Mentre del tutto insufficienti ci appaiono i propositi manifestati per l'azione in campo sociale.
Nel campo della prevenzione e della lotta contro le malattie tubercolari, non si va più in là di un intervento atto a consentire ai Consorzi provinciali antitubercolari l'erogazione delle prestazioni sinora fornite. E' però vero che l'assistenza mutualistica previdenziale in questo campo si estende in forma diretta ed indiretta ad una grandissima parte della popolazione, ma tale assistenza è limitata alla fase attiva della malattia e cessa col chiudersi del ciclo di attività della malattia stessa lasciando l'assistito in balia di sé stesso, salvo l'erogazione per un modesto contributo finanziario che non surroga certo la cessazione del normale reddito del lavoro, lo lascia in balia di sé stesso nel periodo più delicato della convalescenza, quando la sorveglianza che solo in apposito convalescenziario può essere attuata è la sola misura in grado di scongiurare un riacutizzarsi della malattia. Oggi tale sorveglianza viene esercitata a mezzo dei controlli periodici cui gli assistiti sono tenuti a sottoporsi presso i Consorzi antitubercolari, ma a parte la superficialità di tali controlli, ad essi l'assistito si sottrae del tutto quando cessa l'erogazione dell'indennità post-sanatoriale.
Altrettanto insufficiente ci sembra poi l'impegno della Regione per quanto riguarda l'assistenza ai profughi. A parte il funzionamento del campo di Tortona, avrebbe dovuto essere impostata una politica di avviamento all'attività produttiva e di incentivazione - mediante prestiti a tasso agevolato - per l'inizio di piccole attività imprenditoriali. Si dimentica - e ciò vale soprattutto per gli ultimi profughi, quelli della Libia - che si tratta molto spesso di cittadini italiani che sono stati derubati di attività fiorenti create col lavoro di generazioni ed improvvisamente gettati sul lastrico, anche perché è loro mancata l'energica difesa del governo italiano.
Inoltre rileviamo che alla categoria terza "Beni e servizi" mentre sono stati stanziati appena 15 milioni per spese per l'organizzazione di convegni, riunioni, incontri ed altre iniziative che sono particolarmente necessarie, specie nei primi anni di vita della Regione, al cap. 44 sono stati stanziati ben 50 milioni per collaboratori, consulenti, stanziamento che dovrebbe essere ridotto di molto, perché molto raramente la Regione dovrebbe aver bisogno di ricorrere a collaborazioni ed a consulenti esterni. Su questo terreno è facile scivolare negli abusi e nelle scelte politiche, senza garanzie di equità e di meriti e perciò è molto meglio ricorrere ai funzionari ed ai collaboratori interni della Regione.
Alla categoria terza, della III Sezione, precisamente al cap. 332, ci sembra eccessivo lo stanziamento di 20 milioni per "programmi di localizzazione inerenti all'edilizia residenziale pubblica". E' una materia, questa, alquanto scottante, anche per la dotta assegnazione avuta dallo Stato per l'edilizia residenziale pubblica. Poiché Comuni, Province ed enti vari dovrebbero provvedere ai programmi, a proposte, a piani ecc.
20 milioni di spesa sembrano troppi, mentre insufficiente appare lo stanziamento di 300 milioni per la difesa e l'igiene del suolo e l'ambiente dell'abitato, di cui al cap. 350.
Alla IV Sezione, azione ed interventi in campo sociale, eccessivamente modesti sembrano gli stanziamenti di cui ai capitoli 432 e 126, il primo per l'ispezione alle farmacie ed industrie farmaceutiche, tre milioni, il secondo per la profilassi della malattie veneree, stanziamento di appena 12 milioni. Sarebbe a questo proposito opportuno fare un'indagine per conoscere lo stato attuale della piaga, allargata e resa purulenta dalla legge Merlin ed aumentare opportunamente gli stanziamenti per le forme preventive.
Inoltre, tutta la categoria IV della IV Sezione, pecca di ottimismo, in quanto lo stanziamento di 10 milioni al cap. 512 per assistenza e cura di infermi poveri, non ricadenti nella competenza di istituti ed enti pubblici, si mostrerà assolutamente insufficiente come quello di 20 milioni per l'assistenza per gli inabili al lavoro.
Infine, in ordine al trattamento del personale della Regione, per ora e fino a quando una maggiore esperienza non potrà permetterci altri rilievi ed altri consigli, osserviamo che in tutte le categorie di spese è stanziata una somma per il personale non di ruolo. E' appena da osservare che quella del personale fuori ruolo, da tenere in servizio, è una pessima politica, mentre una sana politica rivolta ai collaboratori di ogni ordine e funzione, è quella di eliminare o di ridurre al massimo il personale fuori ruolo, il quale in effetti è costituito da lavoratori in continuo periodo di prova, periodo che non cessa alla scadenza dei termini dello stesso, come previsto dalla legge sull'impiego privato e nei contratti di lavoro, ma quando la Giunta, dopo molte proposte, rapporti ecc. e qualche volta dietro pressioni politiche, si decide a farne entrare in ruolo una parte, a volte la più meritevole, a volte la più raccomandata.
Signor Presidente, signori Consiglieri, un anno fa, nel dibattito che diede inizio alla crisi che doveva poi risolversi con la costituzione della Giunta tripartita attualmente in carica e con l'estromissione dei socialisti, noi rilevammo che si trattava del primo gesto di energia del partito di maggioranza relativa, la cui politica in questo Consiglio, nei dodici mesi trascorsi, era stata contraddistinta da tutta una serie di cedimenti nei confronti del gruppo socialista ed in definitiva dei comunisti.
Per tutto il primo anno di vita della Regione la politica della D.C.
era stata caratterizzata da una continua, progressiva, irrefrenabile ed inoccultabile cupidigia di sbracamento nei confronti degli alleati socialisti e quindi dei comunisti. Il campanello d'allarme del 13 giugno 1971 indusse la D.C. in Piemonte a rompere coi socialisti ed a seguire un diverso indirizzo. Il voto del 7 maggio 1972 ha indotto la D.C. a seguire un uguale indirizzo nella politica nazionale. In entrambi i casi è mancato però il coraggio di dichiarare apertamente che trattasi di un radicale mutamento. Si presentò allora, come oggi, tutta l'operazione come una soluzione di attesa e di necessità. Allora come oggi si disse che la porta rimaneva aperta alla ripresa della collaborazione coi socialisti.
Se le perplessità che un anno fa ci indussero a negare la fiducia alla Giunta pertanto permangono, tali perplessità ci inducono a dare il nostro voto contrario, per ragioni prevalentemente politiche, al bilancio in esame.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Calsolaro, ne ha facoltà.



CALSOLARO Corrado

Signor Presidente, signori Consiglieri, la discussione sul bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 1972 e sulla relazione che l'accompagna ci offre l'occasione di introdurre in via preliminare il problema della politica regionale sovranazionale che, per la parte che riguarda il gruppo socialista, è stato affrontato con la presentazione di una proposta di legge al Parlamento, a norma degli artt. 11 e 121 della Costituzione della Repubblica e dell'art. 17 lettera a) dello Statuto regionale, per l'elezione unilaterale a suffragio universale diretto dei delegati italiani al Parlamento europeo.
Secondo l'avviso del gruppo socialista, l'attuale fase del processo di integrazione europea è dominata dallo scontro fra la linea di sviluppo sempre più chiaramente confederale della Comunità economica europea, che dovrebbe consolidarsi attraverso l'istituzionalizzazione dei vertici dei Capi di Stato e di Governo e la linea di sviluppo federale democratico e popolare che passa, per l'appunto, attraverso l'elezione diretta del Parlamento europeo, che implicherebbe necessariamente la nascita di un potere federale e democratico europeo.
La linea confederale si fonda sul mantenimento della sovranità nazionale e sul rifiuto dell'elezione del Parlamento europeo, vale a dire della partecipazione dei cittadini al processo di integrazione europea, e implica quindi che le fondamentali decisioni comuni vengano adottate all'unanimità da organi di carattere diplomatico.
Su questa base è impossibile, a nostro avviso, una programmazione europea che affronti effettivamente gli squilibri economici, sociali e territoriali esistenti in Italia e in Europa ed è in particolare impossibile un'incisiva politica regionale.
E' d'altra parte evidente che la nascita di strutture federali democratiche europee e cioè di un Parlamento e governo europei, traenti direttamente la propria legittimità democratica dai cittadini europei ed integrati da strutture partitiche e sindacali di dimensioni europee rappresenta la condizione indispensabile per attuare una politica di programmazione europea e una politica di programmazione regionale corrispondente agli interessi generali dei cittadini europei e non più ostacolata dal diritto di veto dei singoli Stati nazionali.
Siamo stati sorpresi per il fatto che una maggioranza che si dichiara sensibile ed attenta ai problemi dell'integrazione politica ed economica europea, una maggioranza che condivide sicuramente la tesi di un'Europa democratica e federale delle Regioni, in contrapposizione a quella di un'Europa Confederale degli Stati, quale ancora in occasione dei decimi Stati generali dei Comuni d'Europa tenutisi a Nizza ha sostenuto il Primo Ministro, o meglio l'ex primo ministro Chaban-Delmas, non si sia preoccupata di accennare né nella relazione al bilancio, né in alcuno dei capitoli che qualificano politicamente la spesa, all'esistenza di una politica regionale comunitaria, all'opportunità di un'organizzazione unitaria delle Regioni di confine, ad un'azione comune per il piano programmatico europeo volto a superare un accordo con le Regioni sottosviluppate, i problemi delle Regioni congestionate e quelle in declino produttivo.
La carenza, che definiremmo "europea", della relazione e del bilancio regionale ci appare particolarmente sensibile ove si pensi che la proiezione della dimensione locale e regionale su scala europea è ormai un'impostazione costante di larga parte dei programmi delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali e che tutti i grossi problemi di competenza della Regione, come l'assetto del territorio, la programmazione economica, la tutela dell'ambiente, la politica agricola, l'evoluzione delle comunità locali di base, la formazione professionale, i problemi connessi alla libera circolazione della manodopera nei paesi della Comunità economica europea, la cooperazione culturale e così via, sono gli stessi problemi delle altre Regioni del nostro Paese e dell'Europa intera. Per questo noi pensiamo che sia opportuna l'iscrizione nei capitoli della spesa di una somma destinata a sviluppare l'iniziativa della Regione in questo campo: l'avvio potrà essere compiuto secondo le linee indicate dall'Assemblea Consultiva del Consiglio d'Europa per l'organizzazione di un confronto delle Regioni di frontiera.
La tipologia dei settori di cooperazione, predisposta dalla Commissione della pianificazione del territorio e dei poteri locali dell'Assemblea Consultiva di Strasburgo, comprende l'assetto del territorio, la politica economica regionale, il miglioramento delle infrastrutture, la protezione dell'ambiente e la cooperazione culturale. Lo strumento più idoneo per realizzare l'iniziativa potrà essere costituito dal Consiglio dei Comuni d'Europa quale associazione che raggruppa gli Enti locali (Comuni, Province e Regioni) per una politica europea delle diverse collettività locali e dall'Istituto di Studi Europei per le parte relativa alla ricerca giuridica e scientifica, in questo modo il motivo di interesse per lo studio delle soluzioni più appropriate ai problemi indicati si realizzerà nella collaborazione fra la Regione, le Province ed i Comuni piemontesi.
La relazione al bilancio accenna, molto sommariamente, al problema delle circoscrizioni comunali. Vi è, per questo settore di competenza istituzionale della Regione, una modesta previsione di spesa di 12 milioni di lire, interamente devoluti a stipendi, compensi per lavoro straordinario, gettoni di presenza e simili. Si tratta di un problema molto importante, che non è evidentemente la rettifica dei confini, ma quello di una dimensione minimale necessaria all'esercizio di un'autonomia effettiva quello cioè delle mini-amministrazioni comunali. In questo senso esso si colloca su di un binario parallelo a quello dell'indagine conoscitiva proposta dal compagno Simonelli nel corso del suo intervento, sullo stato della finanza locale. I risultati di questa indagine non possono che portare al libero raggruppamento dei Comuni, preparato con la stretta ed attiva partecipazione degli eletti interessati, affinché i Comuni, come nucleo essenziale delle nostra vita, politica e sociale, siano realmente in grado di adempiere i compiti loro affidati.
La grande maggioranza dei Comuni piemontesi, di collina e di montagna non raggiunge il limite dei duemila abitanti; essi sono costretti a consorziarsi per pagare lo stipendio ad un'ostetrica condotta che non conoscono, o ad un segretario comunale che vedono due volte alla settimana e la cui principale aspirazione è quella di essere trasferito, nel più breve tempo possibile, altrove. L'autonomia di questi comuni, è in realtà un'espressione priva di significato, e ciò in quanto essi finiscono con l'essere i vassalli dell'amministrazione provinciale o di quella dello Stato, rappresentate da singoli personaggi che li tengono in conto di oggetto di quella loro benevolenza cui alludeva stamattina il compagno Viglione.
Si tratta quindi, a nostro avviso, di procedere ad una seria riforma delle amministrazioni comunali che modifichi profondamente le condizioni amministrative dell'assetto del territorio, con la previsione di un minimo di abitanti che renda effettiva l'autonomia comunale e che contenga quel minimo di strutture attraverso le quali è applicabile il piano di sviluppo economico regionale. Non siamo ancora a livello della Francia che ha 38.000 comuni, di cui 37.000 con meno di 5.000 abitanti, con una media di 565 abitanti per comune; con circa 3.500 comuni con una popolazione inferiore ai cento abitanti e otto comuni disabitati; ma è indubbio che la nostra fascia collinare, e soprattutto quella montana, si stanno assestando su limiti di popolazione che, se non raggiungono quelli della vicina Francia tuttavia impongono un serio, immediato ed urgente esame della situazione.
La proposta quindi che noi avanziamo è di procedere alla determinazione dello stato della finanza locale, secondo la proposta fatta dal compagno Simonelli, accompagnata da uno studio della dimensione demografica minima per l'attuazione del piano di sviluppo economico a livello comunale.
Sono stato incaricato dal Gruppo Socialista di precisare la posizione che noi assumiamo in merito ai problemi dell'istruzione, intesa quale materia di competenza, come l'istruzione professionale e l'assistenza scolastica, o di intervento volontario di carattere politico ed autonomistico, come quello inerente al problema dei lavoratori studenti; ai problemi del turismo, ormai materia pressocché esclusiva dell'Ente Regione ed infine a quelli che derivano dall'applicazione dell'art. 7 dello Statuto, che prevede la difesa dell'originale patrimonio linguistico, di cultura, di costume delle comunità locali e la sua valorizzazione.
L'istruzione artigiana e professionale, unitamente all'assistenza scolastica, è uno degli unici settori dell'istruzione per i quali l'art.
117 della Costituzione prevede la competenza legislativa delle Regioni. Il fondamento di tale norma risiede nel fatto che l'istruzione professionale rispetto agli altri indirizzi scolastici, è più strettamente legata e quindi più sensibile allo sviluppo economico della Regione e ai mutamenti della politica economica.
La politica della Regione nel settore, dovrebbe porsi come primo obiettivo quello di porre fine al disordine legislativo (cui ha accennato stamane il Consigliere Besate nel suo intervento sui progetti di legge che interessano l'istruzione professionale) che attualmente regola la materia disordine che ha determinato, fino ad oggi, un insufficiente accertamento dei bisogni e delle esigenze da soddisfare, una eterogeneità di scopi e di linguaggio, un mancato approfondimento dei criteri e dei concetti adottati ed un'estrema difficoltà nell'elaborazione dei piani organici di sviluppo e di intervento.
Così come è stata fino ad oggi l'azione dell'amministrazione pubblica prima cioè del passaggio delle funzioni alle Regioni, non vorremmo fosse quella della Regione: e cioè frammentaria ed episodica; diretta, più che a sollecitare ed a promuovere iniziative secondo una linea di intervento che corrisponda ad una chiara visione delle prospettive, a svolgere una funzione di mero appoggio ad una politica dell'istruzione professionale che procede in modo disarticolato e per tentativi. Noi vogliamo evitare che proprio per la mancanza di un programma organico della politica dell'istruzione professionale, la somma portata al bilancio sia destinata a polverizzarsi in un numero infinito di erogazioni, perpetuando una situazione che la Regione è invece costituzionalmente chiamata a risolvere.
In questo senso il piano regionale di sviluppo potrà costituire una svolta nell'impostazione e nella risoluzione dei problemi inerenti all'istruzione professionale.
Noi proponiamo, per intanto, lo studio di un piano regionale per l'organizzazione della formazione e dell'addestramento professionale, che elabori una serie organica di interventi, provvedendo nel tempo stesso al coordinamento delle iniziative nel settore secondo criteri di ordine qualitativo e quantitativo. Per la prima ipotesi, la costituzione a cura dell'Assessorato competente, e con il concorso della terza Commissione permanente, di un comitato ad hoc del quale siano chiamati a far parte tutti gli enti rappresentativi del settore, delle collettività locali e del mondo della produzione, per l'elaborazione dei profili professionali scolasticamente rilevanti nella Regione: l'adozione di profili professionali unificati, aggiornati ed aggiornabili, offrirà la possibilità di coordinamento con soluzioni di efficienza e di omogeneità fra tutte le iniziative; consentirà una maggiore aderenza alle richieste dell'industria locale; la validità pratica del titolo rilasciato; identiche possibilità pratiche per gli allievi di tutte le scuole professionali di proseguire negli studi tecnici; ed infine l'utilità del materiale raccolto per l'elaborazione dei mansionari nei contratti collettivi di lavoro.
Ancora, nell'ipotesi di carattere qualitativo, noi proponiamo l'istituzione di una scuola per istruttori tecnico-pratici che potrebbe avere inizialmente una funzione sperimentale per istituzionalizzarsi successivamente come vera e propria scuola per istruttori professionali. I corsi dovrebbero essere riservati ai periti industriali con esperienza di lavoro, con durata di due o tre anni e con lezioni da effettuarsi a mezzo di insegnanti provenienti dall'industria: si potrebbe così realizzare un'esperienza pilota nella nostra regione, e dare l'avvio alla formazione di una categoria di istruttori veramente moderna e ad alto livello.
Per l'ipotesi di carattere quantitativo, ci sembra che i consorzi scolastici permettano di meglio rispondere all'esigenza di zone omogenee che consentano una notevole economia sulla spesa, con una razionale distribuzione delle scuole e degli allievi e che realizzino un'equilibrata distribuzione dei costi offrendo, per esempio, la possibilità di usare gli attuali mezzi di trasporto allievi della scuola media, e soprattutto rappresentino uno strumento assai agile a disposizione delle comunità locali, per l'attuazione di iniziative concrete nell'applicazione di quell'autonomia che viene loro riconosciuta dalla Costituzione.
L'obiettivo finale della politica della Regione per la istruzione professionale deve essere la realizzazione di istituzioni che offrono a tutti i giovani una valida possibilità di formazione professionale. Questa formazione deve corrispondere, nella misura del possibile, da un lato ai desideri, alle aspirazioni e alle attitudini degli individui, e dall'altro alle esigenze dell'evoluzione tecnica, di modo che ai lavoratori siano offerti i mezzi di utilizzare, di esprimere e di sviluppare le loro capacità, di rendere attuale il loro potenziale professionale, di valorizzare intellettualmente e normalmente e socialmente il lavoro che essi compiono, in una collettività di cui si sentano delle persone libere e responsabili.
Così in materia di orientamento professionale, che non appare dalle linee del bilancio presentato dalla Giunta, riteniamo opportuno proporre la creazione di una rete di centri permanenti di informazione e di studio; lo scambio di esperienze, di seminari e di visite alle realizzazioni più interessanti nei paesi della Comunità economica europea; la preparazione di personale preposte all'orientamento professionale; l'analisi e la comparazione delle disposizioni legislative ed amministrative ai fini del perfezionamento dell'orientamento professionale.
E così dicasi per l'adattamento delle strutture alle esigenze dello sviluppo economico e del progresso tecnico, sociale e culturale; per favorire l'utilizzazione ottimale di tutte le capacità disponibili, per dare effettivamente a tutti, in funzione delle loro attitudini, la possibilità di adire ai diversi gradi dell'istruzione generale e professionale, dal livello minimo al più elevato; per assicurare a tutti gli allievi una larga formazione di base, con l'acquisizione di conoscenze generali e tecniche e con lo sviluppo delle attitudini pratiche, per riservare ad un tempo successivo la qualificazione e la specializzazione professionale; per assicurare un coordinamento efficace dell'attività di formazione con una cooperazione stretta tra formazione e industria.
Per restare nel settore dell'istruzione, dobbiamo far notare la mancanza di una previsione di spesa per affrontare, quanto meno dal punto di vista di un'indagine conoscitiva, il drammatico problema dei lavoratori studenti; fenomeno caratterizzato dalla nostra società industriale e di per sé indice di una situazione sociale largamente carente, di cui le accertate deficienze delle strutture scolastiche non sono che la logica e naturale conseguenza. E' pur vero, si potrà osservare, che la materia sembra essere piuttosto di competenza del potere centrale (o di quello locale per quanto riguarda per esempio l'istituzione dei corsi serali a tutti i livelli dell'istruzione), ma è anche vero che il problema esiste (così come esiste quello dell'occupazione dei tessili: non c'è nessuna norma dello Stato che deleghi alle Regioni di occuparsi dei problemi dei tessili; ma la verità è che si tratta di problemi che esistono, di una realtà che è davanti a tutti noi) e che interessa, migliaia di giovani che si trovano nell'innaturale situazione di essere contemporaneamente lavoratori e studenti. E' un fenomeno che acquista nella nostra Regione, e specificatamente nelle aree industriali, proporzioni assai rilevanti e che ha dato origine ad un massiccio movimento di contestazione con rivendicazioni di natura scolastica, sindacale e sociale.
Il compito della Regione potrà essere intanto quello di esperire un'indagine statistica per l'accertamento della vastità del fenomeno, delle sue cause e dei rimedi opportuni per contenere, quanto meno, il suo progressivo allargarsi e per consentire la creazione di un sistema formativo che, premessa per un'effettiva crescita della comunità, fornisca alla società industriale quelle forze morali nuove che necessitano per un deciso superamento della crisi in cui si trova.
Il Gruppo socialista ha posto l'accento sul significato innovatore dell'art. 6 dello Statuto, che riguarda particolarmente la salute dei lavoratori all'interno delle fabbriche. Il Consigliere del Gruppo comunista Lo Turco stamattina, nel corso del suo intervento dedicato a questo argomento, ha detto che bisogna salvaguardare la salute dei lavoratori per salvaguardare la produzione. Io mi permetterei di allargare e completare questo principio dicendo: bisogna tutelare la salute del bambino per salvaguardare quella del cittadino. Le statistiche che sono state condotte per esempio dall'Amministrazione Provinciale di Torino alcuni anni fa sullo stato della salute dei bambini delle scuole elementari sono tutt'altro che confortanti. Da ciò l'esigenza di un grosso sforzo nel settore della medicina scolastica che dalle somme portate in bilancio sembra invece di proporzioni più che modeste.
L'art. 452, definito "spesa obbligatoria", prevede uno stanziamento di 80 milioni (che diviso per le sei province fa 12/13 milioni per ciascuna) per l'impianto e l'ampliamento dei servizi della medicina scolastica preventiva. E' vero che l'art. 454, successivamente, prevede una spesa di 360 milioni per il funzionamento di centri per le malattie sociali di colonie permanenti per bambini malati; ma è altresì vero che questa seconda spesa è tanto più evidente quanto più è limitata quella dedicata alla medicina preventiva. Crediamo quindi opportuno che la previsione di spesa per la medicina scolastica vada rivista e che soprattutto sia determinato il criterio da seguire per la sua attuazione concreta e la sua espansione su tutto il territorio della Regione.
Abbiamo notoriamente diversi tipi di servizi della medicina scolastica che vanno da un servizio medico-sociale-psicologico attraverso l'opera di equipes specializzate, con l'intervento oltre che del medico specialista dello psicologo e dell'assistente sociale; abbiamo un servizio attuato a mezzo degli specialisti della medicina sportiva, per arrivare poi come surrogato di serie C o di un autentico servizio della medicina preventiva alla affrettata e formalistica visita annuale del medico scolastico.
Poiché i Comuni e le Province già svolgono, in un modo o nell'altro bene o male, a seconda dei casi, il servizio, è opportuno a nostro avviso che la spesa della Regione (che delegherà, suppongo, per queste attività gli enti locali territoriali ed i consorzi scolastici) non si risolva in un duplicato di spesa, ma consenta un effettivo sviluppo del servizio ai più efficaci livelli, secondo la esperienza che è stata fatta fino ad ora dagli enti locali che hanno realizzato questo servizio.
Lo stesso discorso vale, evidentemente, per le borse di studio, che non possono essere una provvidenza aggiuntiva a quanto già gli enti locali e le aziende pubbliche fanno, ma un mezzo per incentivare certi settori dell'istruzione e disincentivare certi altri per consentire l'adempimento dell'obbligo scolastico da una parte e l'acquisizione culturale dei lavoratori-studenti dall'altra.
Il collega Sanlorenzo ha accennato giustamente al problema della mortalità scolastica e cioè ai giovani che non portano a compimento il ciclo scolastico dell'obbligo; mi sembra che questo debba essere un grosso impegno della Regione, che implica un costante sforzo di adeguamento delle strutture che va dagli asili nido alla scuola materna, dalla scuola elementare e media in poi, trattandosi di un ciclo ininterrotto di successive istituzioni che si propongono il progressivo inserimento dell'uomo nella vita associata.
Sono quindi d'accordo con la proposta che ha presentato stamane il collega Sanlorenzo sulla elevazione della previsione di spesa per gli asili nido di un miliardo. Mi auguro, naturalmente, che questa adesione non venga interpretata come manifestazione di frontismo, per giustificare il corso politico regionale, che ha portato alla costituzione della Giunta pilota di centro, chiaramente lodati dal collega Curci alcuni minuti fa; così come mi auguro che la costituzione di questo tipo di Giunta non costituisca un esempio pilota per arrivare alla costituzione di una Repubblica presidenziale nel nostro Paese.
Sui problemi del turismo non c'è evidentemente molto da dire in quanto il turismo è, in realtà, condizionato dalla politica dell'assetto del territorio, della tutela dell'ambiente, dell'agricoltura, delle foreste e dei parchi naturali, della cultura. Su quest'ultimo punto mi sembra urgente il problema della salvaguardia dei monumenti storici, a proposito dei quali la somma portata in bilancio è estremamente esigua. Un'azione valida in tale direzione potrebbe essere quella dell'individuazione di un certo numero di monumenti da salvare e da presentare per il 1975, proclamato dal Consiglio d'Europa anno della tutela dei monumenti storici, come esempio di una qualificata politica culturale da parte della Regione.
La norma dell'art. 7 dello Statuto, relativo al patrimonio culturale delle comunità locali, non trova spazio nello stato di previsione del bilancio 1972. Si tratta, da una parte del patrimonio linguistico del gruppo maggioritario e cioè del piemontese, dall'altra di quello delle minoranze residuali etnico-linguistiche (provenzale, franco-provenzale e tedesco). A queste minoranze va aggiunta la componente bilingue italiana francese, in via di estinzione. Ora, proprio dalla posizione confinaria della nostra regione, deriva la necessità di un'attenta e sollecita politica di cooperazione culturale che consenta la preservazione delle aree di cultura originaria. Ciò potrà realizzarsi con il riconoscimento, nei limiti di quanto consentito dalla legislazione nazionale e dalla norma statutaria regionale, delle entità territoriali etnico-linguistiche; mentre la tutela del dialetto o della lingua piemontese, potrà facilmente essere realizzata attraverso gli organismi già esistenti e funzionanti. Così come la norma dell'art. 7 è da rendere operante anche ai fini della conservazione dei villaggi rurali e montani, questi ultimi ormai in via di abbandono, i primi di lenta e deteriore trasformazione. Essi costituiscono una preziosa documentazione di un'architettura popolare di raro equilibrio ambientale, realizzata con povertà di mezzi, ma con sapiente ingegno ed estremo rispetto della natura.
Proponendo che la Regione conservi, secondo la norma statutaria, questo patrimonio culturale minacciato da più parti e da interessi diversi, noi proponiamo che si conservino quelle cose che danno alla nostra Regione quel tanto di proprio e di originale che la differenzia dalle altre e che non hanno trovato al momento della stesura del bilancio di previsione, nessun difensore.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

La conservazione riguarda che cosa?



CALSOLARO Corrado

I villaggi rurali e montani, le baite, i fienili, ecc.



PRESIDENTE

E' iscritto a parlare il Consigliere Ferraris. Ne ha facoltà.



FERRARIS Bruno

Signor Presidente, colleghi, nel corso di questo mio intervento sul bilancio cercherò di evitare per quanto possibile la riproposizione di un discorso generale sulla politica agraria, discorso che peraltro sarebbe quanto mai necessario. E' un argomento sul quale penso avremo occasione di tornare a soffermarci in occasione del dibattito sul progetto preliminare dell'Ires al Piano regionale di sviluppo.
L'impegno assunto con me stesso di non riproporre temi di carattere generale ma precise e concrete proposte non mi esime peraltro dal richiamare qui alcune questioni di fondo che si ricollegano, del resto, sia a scelte già precedentemente assunte sia alla nuova situazione politica venuta a determinarsi dopo il voto del 7-8 maggio.
Noi, come Regione, a suo tempo - nel corso del dibattito sullo Statuto e poi successivamente - abbiamo compiuto alcune scelte precise: la scelta della azienda contadina familiare in proprietà e ad affitto, la scelta dell'associazione e della cooperazione; poi più avanti, a grande maggioranza, abbiamo preso posizione a favore della legge di riforma dell'affitto. Quest'ultima grande conquista viene ora messa in discussione Malagodi e Almirante hanno praticamente strappato alla Democrazia Cristiana ed al Governo Andreotti un impegno teso a revisionare, e quindi a mutilare questa grande conquista degli affittuari italiani; conquista che un ampio arco di forze politiche e tutte le grandi centrali sindacali chiedono sia invece estesa anche ai contratti di mezzadria e colonia. Ecco la domanda: la Giunta e la maggioranza della Regione Piemonte su che versante si collocano? Con gli affittuari, i mezzadri eccetera o con i grandi proprietari del Sud o con i concedenti? Ma noi chiediamo qualcosa di più: chiediamo alla Giunta e alla maggioranza, e ci faremo parte diligente nel presentare i relativi strumenti - proposte di delibera o proposte di legge iniziative intese a favorire il consolidamento politico e pratico della legge sull'affitto dei fondi rustici.
Si tratta di inviare istruzioni agli Ispettorati agrari provinciali in ordine all'interpretazione degli articoli 11 e 14 della legge sugli affitti, relative, come tutti sapranno, alle opere di miglioramento del fondo e dei fabbricati rurali, relativi cioè a quella parte veramente riformatrice e importante nel senso che dà veramente agli affittuari le caratteristiche, le prerogative degli imprenditori agricoli. Così come si tratta di assumere iniziative a favore dei piccoli e piccolissimi concedenti ex coltivatori o comunque sforniti di altri adeguati redditi sull'esempio di quanto è stato fatto dalla Regione sarda, sollecitando altre misure a livello nazionale (vedi oggi la iniziativa del Gruppo comunista, che ha presentato una proposta di legge a favore dei piccoli concedenti, che peraltro era già stata approvata dal Senato prima dello scioglimento e che poi alcuni gruppi, soprattutto di destra, avevano impedito venisse approvata anche dalla Camera prima dello scioglimento del Parlamento). In parte, ad affrontare questi problemi della tutela del piccolo concedente e in ogni caso per intervenire in direzione dell'ulteriore sviluppo e consolidamento della proprietà contadina, si pu e si deve utilizzare le possibilità offerte dalla legge 817 del 14 agosto 1971 per lo sviluppo della proprietà coltivatrice, per la quale con il 1 luglio abbiamo acquisito le prerogative di determinare nuovi autonomi criteri per la utilizzazione del fondo che ci è stato o ci sarà trasferito fondo che potrà essere eventualmente integrato con stanziamenti tratti dalle risorse della Regione.
A nostro avviso, è possibile operare per queste vie e per altre ancora a difesa del consolidamento della legge dell'affitto ed a tutela dei legittimi interessi dei piccoli concedenti senza nulla concedere alla campagna orchestrata dalla destra conservatrice e fascista.
Detto questo per quanto attiene ai rapporti sociali e di proprietà nelle campagne, procedo solo per accenno ad alcuni dei problemi più scottanti, alla cui soluzione la Regione deve operare già a partire, a nostro parere, da questo bilancio.
Difesa a salvaguardia del territorio e assetti sociali e civili nelle campagne: politica, questa, che non interessa solo l'agricoltura, ma che trova nell'attività agricola e forestale indubbiamente una parte fondamentale (su questo aspetto particolare credo interverrà il nostro compagno Bono domattina), e che per quanto riguarda gli assetti civili e sociali troverà nei produttori agricoli, negli abitanti delle campagne i destinatari di servizi e strutture civili che più non possono essere dilazionati: mi riferisco ovviamente alla viabilità minore, alla elettrificazione rurale, agli acquedotti, e non solo a queste infrastrutture civili fondamentali. Si tratta qui di operare al superamento di un divario fra campagna e città non più accettabile. In merito, nel bilancio si prevede ben poco, o quasi nulla.
Di qui una nostra precisa proposta: di stanziare una somma, di 500 milioni, per il rifinanziamento degli articoli 19 e 16 della Legge 27/10/1960, la 910, insomma, il Piano verde, per acquedotti rurali elettrificazione....



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Abbiamo già una proposta di legge per 900.



FERRARIS Bruno

Benissimo. Naturalmente, siamo consapevoli che di fronte ad un monte di domande, per 1042 miliardi, e soprattutto di fronte a diecimila aziende agricole prive di allacciamenti elettrici, si potrà fare ben poca strada con tale somma. Ma almeno per quanto riguarda la elettrificazione proponiamo che al modesto stanziamento di 500 o 900 milioni o un miliardo faccia seguito una iniziativa politica della Regione nei confronti dell'Enel, con il quale occorre costituire un rapporto tutto da conquistare, in modo da costringerlo ad affrontare in modo organico ed a tempi brevi il problema della elettrificazione delle campagne. C'è non soltanto il problema delle cosiddette "zone buie" ma anche il problema delle zone, diciamo, semi-buie; e c'è una tendenza da parte dell'Enel a ridurre i suoi presidi nelle campagne, il che farà sì che quelle zone semi buie potranno finire con il diventare anch'esse buie del tutto.
In merito, noi riteniamo che occorra giungere al più presto ad un incontro fra Enel, sindacati, organizzazioni professionali ed enti locali promosso dalla Regione.
Non mi soffermo sul grosso problema dell'assistenza. La iniziativa per la estensione delle prestazioni farmaceutiche ai lavoratori autonomi, e fra questi ai coltivatori diretti, evidentemente, se non verrà limitata ai soli pensionati, così come vuole la Giunta, ma estesa, sia pure in misura ridotta, cioè non integrale, anche a quelli attivi, servirà non solo a qualificare la Regione anche sotto questo profilo, che è ed è giusto resti una competenza statale, ma riuscirà a rilanciare tutto il discorso della parità assistenziale e previdenziale fra lavoratori autonomi e lavoratori degli altri settori. In proposito, noi chiediamo che nel bilancio sia stanziata almeno per questo semestre la somma di un miliardo.
Così come non entrerò in dettagli sull'applicazione della legge della montagna, indicata in bilancio per memoria. Dirò soltanto che anche in questo settore si deve accusare un notevole ritardo da parte della Giunta nella presentazione degli strumenti, cioè delle leggi per la definizione delle zone omogenee, e quindi la costituzione delle comunità, delle norme per la elaborazione degli statuti, dei criteri per la elaborazione dei piani di sviluppo e per il riparto dei finanziamenti. So che è in opera un comitato costituito dalla Giunta, anzi ho partecipato ad una riunione alla quale ero stato invitato; non essendo poi più stato invitato non sono in grado di valutare il lavoro compiuto, ma solo di considerare che siamo in ritardo rispetto a certi traguardi che erano stati fissati e che prevedevano la presentazione di una prima proposta di legge entro giugno.
Vengo ora alle questioni di fondo. Già altra volta ho avuto occasione di dire che lo stato di crisi in cui versa l'agricoltura del nostro Paese è una delle componenti non secondarie delle ricorrenti tensioni inflazionistiche e quindi anche della presente situazione di crisi, che ha investito l'economia del nostro Paese con quei riflessi sulla situazione occupazionale di cui ha già parlato ampiamente il nostro compagno Sanlorenzo.
Non starò qui a descrivere una situazione che tutti, del resto conosciamo: abbiamo i dati dell'ultimo censimento agricolo, abbiamo il rapporto preliminare dell'Ires sul piano di sviluppo. Da tutto emerge che l'agricoltura, nazionale e regionale, non è più in grado né di produrre in modo da soddisfare le accresciute esigenze alimentari del Paese, in specie per certi settori fondamentali, né di garantire redditi adeguati ai suoi operatori, specie se contadini, coltivatori diretti, coloni e mezzadri.
I problemi che ci stanno di fronte nel settore dell'agricoltura sono certamente complessi e di non facile soluzione. Ci troviamo di fronte ad una realtà e ad una eredità, dal momento che l'agricoltura dovrebbe competere quasi esclusivamente alla Regione, pesanti. Si tratta del fallimento della politica agraria nazionale e della politica comunitaria fallimento che non trova ancora una risposta adeguata da parte delle forze politiche che hanno la responsabilità di governo nazionale e la responsabilità della Comunità. Per altro verso, sono noti i gravi limiti già imposti ai decreti delegati e quelli ulteriori che si vogliono imporre alle prerogative delle Regioni in fatto di agricoltura, come del resto in tutte le altre materie. Infine, quasi tutte le leggi di finanziamento dell'agricoltura sono da tempo, com'è noto, prive di fondi.
Ovviamente, da parte della Regione si tratta di affrontare i problemi dell'agricoltura in modo nuovo, diverso, rispetto al passato. Anche in questa direzione noi dobbiamo però accusare pesanti ritardi imposti dalla Giunta all'attività del Consiglio nella Regione nel suo insieme. Non disponiamo ancora, ad eccezione del rapporto dell'Ires, di alcuna indagine di alcuno studio o progetto di intervento; non si è tenuta la conferenza sulla Zootecnia, che avevamo richiesto e che l'Assessore si era impegnato ad organizzare per gennaio; non si è tenuto il convegno vitivinicolo. Ora però, non si può rinviare tutte le scelte e tutti gli investimenti al Piano di sviluppo e ad un programma regionale per l'agricoltura, che pure dobbiamo darci al più presto, anzi, direi, dobbiamo darci insieme alla costituzione dell'Ente regionale di sviluppo agricolo. A nostro parere, si tratta di compiere subito alcune scelte concrete; scelte che, partendo dai reali bisogni dell'agricoltura e del Paese, siano non solo coerenti con una politica di piano ma siano capaci di determinare le linee di fondo, e che nello stesso tempo siano tali da evitare che il cosiddetto e tanto paventato "biennio bianco", ormai purtroppo trascorso, non si traduca in un "triennio bianco", con una dura squalifica per la Regione. Noi siamo contrari, certo, ai residui passivi; ma, al limite, meglio qualche residuo passivo che il nulla, in quanto il residuo passivo sarebbe anche maggiore.
Di qui alcune scelte, e su queste scelte altrettante proposte concrete di stanziamenti, per un totale di 4 miliardi e 250 milioni, grosso modo. In parte a integrazione di capitoli già stanziati dalla Giunta, in parte come nuovi capitoli di stanziamento. La scelta di fondo è garantire, intanto, in attesa che ciò sia compiuto a livello nazionale, uno spostamento di risorse a favore dell'agricoltura: a tal fine ci riserviamo di presentare una proposta di legge-voto per la istituzione di un fondo nazionale da ripartire fra le Regioni in sostituzione del "Piano verde n. 2", ormai esaurito e che non riteniamo debba essere rifinanziato tale quale.
Questo ragionamento potrebbe indurre qualcuno a rilevare una contraddizione formale, o apparente, fra le proposte che noi veniamo a fare: dopo tante critiche al "Piano verde" siamo qui a chiedere oggi il finanziamento di alcuni articoli del "Piano verde". Ma è una contraddizione, riteniamo, appunto soltanto formale o apparente, perché noi proponiamo una scelta di alcuni articoli del "Piano verde", proprio per avere, in attesa di darci nostre leggi, una metodologia, degli strumenti che ci consentano di operare con immediatezza. E riteniamo che sia possibile ricondurre alcuni di questi articoli, che citerò, ad una politica coerente con i bisogni reali dell'agricoltura piemontese, con il Piano regionale di sviluppo ed il programma agricolo che ci accingiamo ad elaborare.
Le scelte sono lo sviluppo delle forme associative, cooperative, e quindi il finanziamento di opere, di impianti collettivi. Di qui la possibilità di rendere operanti gli artt. 9 e 16 del "Piano verde n. 2" per la realizzazione di strutture necessarie alla raccolta, conservazione lavorazione e vendita dei prodotti agricoli. Io qui penso al Centro latte novarese, penso al Centro cooperativo del vino di Asti ed alle altre iniziative analoghe che già da tempo sono in attesa di finanziamento. Per queste scelte, degli impianti collettivi, chiediamo la istituzione di un capitolo con stanziamento di 800 milioni. Ovviamente, con tale stanziamento sarebbe già possibile intervenire a sostegno di un settore particolarmente in crisi come quello vitivinicolo ed operare per il risanamento e la ristrutturazione delle cantine sociali.
Altra scelta, che del resto abbiamo più volte proposto, è quella della zootecnica. Ritengo che in questo settore abbiamo grosse responsabilità e grandi possibilità. Insieme, Piemonte, Lombardia, Emilia, Veneto possono prefiggersi l'obiettivo ambizioso di garantire gran parte del fabbisogno nazionale, per il quale oggi si spendono oltre due miliardi al giorno in importazioni, fra carne bovina e prodotti lattiero-caseari. Anche qui, è evidente, occorreranno scelte precise, occorrerà un piano organico occorrerà calare queste scelte nei piani zonali di sviluppo, occorrerà avere l'Ente di sviluppo come strumento operativo, secondo il discorso che abbiamo da tempo condotto avanti. Noi proponiamo però stanziamenti concreti già ora: suggeriamo uno stanziamento di 500 milioni ai sensi degli artt.
13, 14 e 16 lettera a, sempre del "Piano Verde n. 2", così come auspichiamo l'aumento dello stanziamento (500 milioni) di cui al capitolo 1334 del Bilancio da 500 a 750 milioni, per avere così un massiccio stanziamento a favore della zootecnica, da utilizzare, come del resto come tutte le leggi richiamate prevedono e consentono, per lo sviluppo di questo settore, per l'aumento dei redditi agricoli, attraverso contributi per la diffusione della fecondazione artificiale, per l'acquisto di bestiame selezionato da allevamento e da ristallo, per il risanamento e la bonifica del bestiame.
(Ricorderete che abbiamo dovuto qui occuparci di un caso lo scorso anno e chiedere praticamente al Veterinario provinciale di disattendere delle leggi dello Stato che impongono la bonifica e il risanamento perché i contributi, le previdenze contemplate da quella legge sono tali che costringerebbero chi deve risanare a cessare la propria attività. Quindi si tratta di intervenire ad integrazione di queste leggi e di queste provvidenze e, sempre rimanendo fedeli alla scelta dell'associazionismo, di promuovere alcune grandi stalle sociali).
Proponiamo poi la impostazione a bilancio di altri tre capitoli, per complessivi un miliardo e mezzo: uno stanziamento di mezzo miliardo a rifinanziamento dell'art. 8, sempre del "Piano verde", a sostegno di iniziative dei produttori agricoli per la commercializzazione dei prodotti.
Si tratta, in sostanza, di poter intervenire finalmente a copertura, sia pure parziale, delle spese di gestione delle Cantine sociali o di altre attività cooperative. E' noto a tutti che l'art. 8 del "Piano Verde" prevedeva la possibilità di un intervento statale pari al 90 per cento sulle spese di gestione: in pratica, alle Cantine sociali non è mai stato dato più del 5 o 10 per cento; solo la Federconsorzi, per la gestione ammasso di alcuni prodotti, ha potuto beneficiare di cifre elevatissime o del 90 per cento, e solo le Cantine sociali siciliane hanno potuto ottenere un concorso, all'incirca del 70 per cento, se ben ricordo, alle spese di gestione per l'intervento per una legislazione integrativa della Regione.
E' vero che la crisi in cui versano le Cantine sociali non dipende soltanto dalla carenza dell'intervento governativo, perché in altre Regioni il movimento è rimasto in piedi e si è sviluppato pur non avendo potuto fruire di particolari o maggiori provvidenze: è un fatto che c'è stata una legge che avrebbe potuto intervenire a sostenere questo processo, questo sviluppo, in una regione certamente poco incline alla cooperazione di quanto non lo siano l'Emilia, la Toscana o il Veneto, e che tale legge è stata disattesa.
Noi riteniamo che con lo stanziamento indicato sia possibile giungere al 30-40 per cento di contributo sulle spese di gestione e non soltanto delle Cantine sociali.
Infine, proponiamo un'integrazione dello stanziamento di cui al capitolo 730, che porta la somma di 10 milioni, in modo da elevarlo a 35 milioni; a meno che si preferisca fissare uno stanziamento apposito di 25 milioni, per contributo alle Associazioni professionali, alle organizzazioni della cooperazione agricola e delle forme associative, per l'assistenza tecnica, la sperimentazione, la ricerca di mercato a carattere regionale.
Infine, raccomandiamo l'integrazione di altri stanziamenti già previsti in bilancio. In particolare al cap. 742: "Contributi per la difesa attiva e passiva contro le calamità naturali, ai sensi della legge 25 maggio 1970 n.
364". Qui già uno sforzo considerevole è stato compiuto dalla Giunta con la stanziamento di 400 milioni. Noi chiediamo che questo stanziamento sia portato almeno a un miliardo, con aumento, quindi, di 600 milioni, per la estensione ed il potenziamento della lotta contro i fenomeni grandinigeni.
Mi si potrà dire che quel che è fatto è fatto, per quanto riguarda questo aspetto, si tratterà soltanto di garantire il contributo per le esperienze in atto nella Provincia di Asti, di intervenire a integrazione di questa legge, che è una conquista ottenuta attraverso lunghe e dure lotte condotte dal movimento contadino astigiano, piemontese, italiano, però largamente inadeguata e insufficiente. Noi non abbiamo nulla da eccepire sulla ipotesi che emerge dalla relazione al bilancio sulla integrazione o sui contributi ai consorzi, ma riteniamo che oltre a tale integrazione occorra intervenire ad integrazione della legge nel suo complesso. Intanto, mi pare valga la pena ricordare qui che, di fronte all'enormità dei danni che si sono avuti quest'anno, non sono ancora stati emessi i decreti di delimitazione del territorio.



FRANZI Piero, Assessore all'agricoltura

Abbiamo ricevuto oggi il telegramma.



FERRARIS Bruno

Sono stati finalmente emessi? Comunque, si tratterà allora di valutare i decreti, di vedere come e se contemplino effettivamente tutti i danni.
Perché quest'anno i danni non sono in genere raccolti in zone omogenee quelle che normalmente il Ministero cerca di delimitare: per cui il pericolo che aziende danneggiate non siano contemplate fra quelle indennizzabili è maggiore che negli anni precedenti.
Tenendo conto, comunque, dicevo, che le provvidenze sono limitate si tratta di intervenire ad integrazione, specie per quanto riguarda le frane i danni ai fabbricati rurali. In particolare, una iniziativa che potrebbe qualificare la Regione è quella di intervenire per quella parte di contributo, di mutuo, che viene concesso al danneggiato sotto forma di abbuono di una parte e restituzione dell'altra parte: la Regione potrebbe intervenire a restituire quella parte che ancora fa carico sul contadino del produttore agricolo.
Così chiediamo un aumento per i capitoli 774 e 784 per quanto concerne la difesa fitosanitaria. Riconosciamo che un passo è già stato fatto, con l'aumento a 30 milioni. Ma proponiamo una cifra più consistente, 100 milioni, che permetta di intervenire a favore dei consorzi come di altri organismi associativi costituitisi per la difesa antiparassitaria svolta in forma associativa. Anche per quanto concerne questo settore il "Piano verde" aveva sempre funzionato in modo da lasciare quasi interamente scoperta la Regione Piemonte, in particolare la viticoltura piemontese mentre notevoli contributi erano andati in altre Regioni proprio a favore dei consorzi fitosanitari che si erano costituiti. Lo stanziamento indicato permette, intanto, di assicurare i contributi a quei consorzi che hanno funzionato quest'anno, oltre ad altri interventi.
Concludendo, farò alcune proposte che riguardano il commercio e la distribuzione. Non intendo affrontare ora - poiché ci proponiamo di farlo la prossima settimana, in occasione della discussione del progetto dell'Ires - i problemi più grossi che stanno a valle della produzione quelli della distribuzione. Ma già fin da questo momento, mentre discutiamo sul bilancio, ricordando ai colleghi la mozione che abbiamo approvato in data 1° dicembre '71 sulla legge 426, ricordando alcuni impegni che in quella sede avevamo assunto (nel senso di contribuire ad operare allo sviluppo e alla redazione dei piani comprensoriali, di sviluppo e adeguamento della rete distributiva), ricordando che avevamo espresso un plauso per l'iniziativa, tuttora in atto, soprattutto nel capoluogo della Regione, per la costruzione da parte del Comune di alcuni centri di vendita controllata (per i quali sarebbero già state trovate le aree e sono in corso trattative per il reperimento delle risorse finanziarie occorrenti alla realizzazione), centri da dare poi in gestione o a cooperative di consumo o ad associazioni di dettaglianti, noi proponiamo che si trovi il modo di stanziare, a concretizzazione di quel plauso espresso nella nostra mozione, una cifra anche limitata a cento milioni quale contributo in conto interessi appunto agli Enti locali che vorranno seguire l'iniziativa di Torino o a Consorzi o Cooperative di consumo o di dettaglianti che si assumeranno direttamente la costruzione di tali moderni centri di vendita.
Auspichiamo altresì uno stanziamento, forse troppo modesto, di cinquanta milioni per contributi per la stesura di una carta commerciale regionale e per contributi a quei Comuni che si assoceranno nel lavoro di redazione dei piani di adeguamento e sviluppo della rete commerciale a livello comprensoriale. Dopo il voto su quella mozione ci sarebbe stata da attendersi una iniziativa da parte della Giunta - mentre mi pare che non ci sia stata, o sia stata in direzione opposta - tendente a fornire elementi per la redazione di tali piani. Alle indicazioni, tuttora da fare riteniamo necessario accompagnare questo stanziamento per contributi che facilitino lo svolgimento di questi studi.


Argomento:

Bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 1972 (seguito)

Argomento:

Sull'ordine dei lavori


PRESIDENTE

Facciamo un breve esame della situazione dei nostri lavori. Ci sono ancora dieci iscritti a parlare: cinque del Gruppo comunista, uno del Gruppo liberale, due del Gruppo socialista, due del Gruppo della Democrazia Cristiana. Si iscrive ora anche il rappresentante del Partito repubblicano cosicché il numero sale a undici. Da parte di tutti c'è stata la richiesta di poter parlare domani. Prima di chiudere la seduta odierna, vorrei per fissare l'ordine degli interventi, e avvertire che dovrò ritenere decaduta l'iscrizione di coloro i quali non fossero presenti in aula allorché sia venuto il loro turno secondo l'ordine cronologico che ora preciserò.
Darei per primo la parola al Consigliere Zanone, poi al Consigliere Conti, quindi al Consigliere Fonio, e successivamente ai colleghi Gandolfi Rivalta, Vecchione, che ha chiesto di poter parlare intorno alle 10 e mezzo; seguirebbero nell'ordine i Consiglieri Bono, Fabbris, fra i quali non ho più possibilità di intercalare altri, Nesi, Berti e Bianchi.
Calcolando che si arrivi a concludere la discussione al termine della seduta di domattina, verso mezzogiorno e mezzo o l'una, e supponendo che la Giunta abbia bisogno di qualche ora di tempo per preparare la sua replica...



BERTI Antonio

Vorrei fare una proposta. Mi è stato detto che in Commissione Bilancio la Giunta ha espresso l'intenzione di soppesare molto attentamente il contenuto dei vari interventi. Per una valutazione fatta in modo serio, non con carattere puramente formale, non è certo sufficiente un'ora. Dal momento che noi abbiamo previsione di sedute di Consiglio nei giorni 13 e 14 per la discussione sul Piano di sviluppo economico, e poiché la trattazione di quell'argomento, poiché sarà un dibattito informale (per il nostro Gruppo interverrà un solo Consigliere, per esempio) non richiederà certamente due giorni, se la Giunta non ha impedimenti potremmo rinviare la replica della Giunta e le votazioni al 13 mattino, per dedicare al Piano il pomeriggio del giorno 13 e il giorno 14. Così la Giunta avrebbe veramente tutto il tempo per valutare gli interventi e domani il dibattito potrebbe protrarsi per l'intera giornata e concludersi, senza restrizioni di tempo con tutta tranquillità.



PRESIDENTE

Che cosa ne dice la Giunta di questa proposta?



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

La Giunta si riserva di esaminarla e di dare domani mattina una risposta in merito.



BERTI Antonio

Si intende però abbandonato il proposito del Presidente di concludere la discussione domani, all'una.



PRESIDENTE

Potrebbe essere ancora valido se domattina la Giunta dicesse di ritenere sufficienti le prime ore del pomeriggio per la preparazione della sua replica.



BERTI Antonio

Quanti interventi sono stati svolti questa mattina?



PRESIDENTE

Nel corso della giornata 13, però incominciando alle 11. Nella mattinata hanno parlato Dotti, Sanlorenzo, Viglione e Lo Turco.



BERTI Antonio

Non potrebbero certamente essere svolti nella mattinata di domani tutti gli undici interventi che ancora rimangono. Nessuno qui vuol essere molto prolisso, ma il saper di disporre di un tempo limitato è sempre irritante per chi deve parlare, in particolare per me. Comunque, valuterete voi domani la situazione.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Sulla crisi della ditta Rossari &Varzi


PRESIDENTE

Mi rimane soltanto, a completamento delle comunicazioni di questa mattina, da dar lettura del testo del telegramma che dovrei indirizzare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai Ministri interessati, al Presidente della GEPI, e al liquidatore della Rossari &Varzi in relazione all'incontro avvenuto alla presenza dei Capigruppo: "Sindaci Comuni Ivrea Trecate, Galliate, Varallo Pombia, Borgomanero, interessati situazione Società Rossari &Varzi, preoccupati previsione chiusura sette Sezioni complesso et ridotta agibilità altre quattro Sezioni, comportante definitivo licenziamento già intimato 1300 dipendenti et perdita diritti acquisiti altri 1950 dipendenti, che sarebbero riassunti ex novo, habent rappresentato Consiglio Regione Piemonte urgente intervento, altresì preoccupati possibile turbativa ordine pubblico. Si chiede immediato intervento per revoca licenziamenti et mantenimento attuale livello occupazionale; si chiede provvedimento legislativo estendente applicazione legge 1115 agli impiegati, prorogando termini efficacia detta legge per durata di un anno onde consentire pendente applicazione trattamento economico at dipendenti raggiungimento congrue soluzioni occupazionali. Si chiede che elaborazione piani intervento GEPI et determinazione dei tempi avvenga attraverso discussione piani stessi con Enti locali et Regione. Si chiede subordinatamente rapido esame possibilità di proposte che consentano, ove non raggiungibile traguardo totale mantenimento mano d'opera presso stabilimento Rossari &Varzi, riassorbimento totale maestranze in attività sostitutive con incentivi adeguati. Infine affermasi esigenza mantenimento di tutti i diritti acquisiti da parte dipendenti Rossari &Varzi. Consiglio Regionale fa proprie richieste Sindaci Comuni interessati et sollecita intervento governativo rappresentando che situazione Rossari &Varzi collocasi in situazione grave et preoccupante più ampio raggio piemontese settore tessili. Chiede premuroso interessamento et urgenti comunicazioni merito richieste".
Devo, per completezza di comunicazioni, informare che i Sindaci non si sono trovati d'accordo in rapporto alla proposta di requisizione degli stabilimenti. L'argomento è stato comunque aggiornato per dare loro modo di acquisire ulteriori cognizioni anche sotto il profilo giuridico.
Ha facoltà di parlare il Consigliere Berti.



BERTI Antonio

Riepilogherò le nostre opinioni, che già abbiamo espresso nell'incontro con i Sindaci. A noi spiace di non poter approvare questo ordine del giorno, pure dando atto al Presidente della sua buona volontà, lo pregheremmo di inviarlo a titolo personale, o a nome delle forze politiche che lo vogliono sostenere. Riconosciamo senz'altro valide parti di questo ordine del giorno; quel che non riteniamo accettabile è soprattutto che già si avanzi la tesi subordinata, con il che viene completamente annullata la prima richiesta. Dopo aver sostenuto nella prima parte dell'ordine del giorno l'esigenza di mantenere ecc. ecc. si dice: "Nella tesi subordinata che.", quindi di fatto già si accetta la riduzione di 1300 operai e ci si preoccupa di salvaguardare i diritti acquisiti.
Devo poi aggiungere che noi riteniamo invece che in questa fase la decisione della requisizione da parte dei Sindaci sarebbe un grosso atto di carattere politico, che consentirebbe di trattare ai livelli giusti, da Governi locali a Governo nazionale, altrimenti la trattativa rischierebbe di svolgersi con fabbriche che già hanno liquidato i loro operai e quindi la ristrutturazione avverrebbe in assenza della parte interessata, che in questo caso sono anche gli operai.
Non possiamo, dunque, essere d'accordo su quel testo, che la pregheremmo pertanto di non inviare a nome del Consiglio Regionale. A meno che ci si possa esprimere con un voto, il che non credo non essendo stato presentato in tempo utile un ordine del giorno in proposito.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Non si tratta di un ordine del giorno ma di un telegramma.



NESI Nerio

Signor Presidente, vorrei dire anch'io, molto brevemente, qualcosa su questo telegramma. Anche noi abbiamo molte perplessità sul testo proposto proprio per la seconda parte. Non perché non ci rendiamo conto obiettivamente della situazione che si è creata ma perché riteniamo che offrire, in una situazione di questo genere, una possibilità subordinata voglia dire già mettere la controparte in condizione di neppur prendere in considerazione tutto il resto.
Il Gruppo socialista non ritiene opportuno, anche dal punto di vista tattico, inviare un telegramma nel quale, fatta la descrizione di una situazione, si chiede una cosa in linea iniziale e subordinatamente se ne chiede un'altra che annulla tutto il fatto precedente. Quindi, noi non ci sentiamo di sottoscrivere quel telegramma.



PRESIDENTE

Se venisse eliminata la richiesta subordinata, il testo potrebbe essere accettato?



NESI Nerio

Per quel che ci riguarda, sì.



PRESIDENTE

Lo stesso vale per il Gruppo comunista? Allora, cancelliamo il "si chiede subordinatamente" e consideriamo valido tutto il resto.



VISONE Carlo, Assessore al lavoro

Tanto vale, allora, per essere conseguenti, limitarsi alla prima formulazione: "Si chiede la revoca dei licenziamenti", punto e basta.



PRESIDENTE

Devo essere consequenziale all'impegno che ho preso con i Sindaci.



VISONE Carlo, Assessore al lavoro

E' una subordinata, allora, anche la richiesta di applicazione della 1115.



PRESIDENTE

Non mi pare. Con l'enucleazione di quel "Subordinatamente rapido esame possibilità di ecc. ecc." il Consiglio è d'accordo di dare la sua adesione al telegramma?



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Faccio presente che la Giunta non ha ancora preso posizione in proposito. Io devo tener conto dell'obiezione dell'Assessore. Se questo è un telegramma del Presidente del Consiglio, benissimo.



PRESIDENTE

No, no.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Allora, un ordine del giorno non è proponibile.



PRESIDENTE

Nella riunione dei Sindaci tenutasi stamane sono stati concordati sei punti, sui quali i Sindaci hanno espresso il desiderio di ottenere l'adesione da parte del Consiglio Regionale. Io mi sono fatto interprete credo fedele, della volontà espressa dai Sindaci. Poiché in Consiglio è stato detto che la subordinata rendeva impossibile un'unanimità di adesioni, mi sono ritenuto autorizzato ad enuclearla dal testo, con il che cadrebbero le opposizioni dei Gruppi comunista e socialista. Lascio comunque la parola all'Assessore Visone, perché esponga le sue obiezioni.



VISONE Carlo, Assessore al lavoro

Mi permetto di fare una sola osservazione. I sindacati sanno benissimo che è pronto un piano di intervento per la GEPI che prevede una certa riduzione di personale (che sarà attuato, sia pure con i dovuti accorgimenti, e noi chiederemo di essere sentiti in merito). In alternativa a queste riduzioni, che sono date per scontate dai sindacati e da voi stessi, si pongono alcuni punti fermi. Altrimenti, tanto varrebbe limitarsi a chiedere la revoca dei licenziamenti, punto e basta.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Signor Presidente, io non ho inteso bene, forse anche perché l'ora tarda rende più difficile la comprensione. Lei propone di mandare un telegramma redatto dai Sindaci sul quale è richiesta la solidarietà del Consiglio, o un telegramma del Consiglio sul quale evidentemente non c'è la solidarietà dei Sindaci? La questione sta tutta qui. Se ho ben capito, il testo richiesto dai Sindaci è quello che lei ha letto inizialmente: si tratta ora di vedere se i Sindaci approvano il testo senza quella frase.
Personalmente, penso che se il Consiglio vuol dare la sua adesione a questo telegramma dei Sindaci, rafforzato dalla firma del Presidente del Consiglio, tutto è in regola, mentre non sarebbe corretto inviare anche a nome dei Sindaci un testo modificato rispetto al loro pronunciamento. Non posso, quindi, che associarmi alla posizione espressa qui dall'Assessore Visone, e dire che la Giunta non è d'accordo sul testo ridotto.



PRESIDENTE

Cercherò di essere estremamente chiaro e preciso. Il testo del telegramma rispecchia esattamente e fedelmente quanto è stato convenuto dai Sindaci, senza aggiunta alcuna. I Sindaci hanno chiesto l'adesione del Consiglio alla loro proposta.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Nella prima stesura, senza cancellazioni. Quella la Giunta l'approva.



PRESIDENTE

Date le riserve da parte del Gruppo comunista e di quello socialista avevo pensato che si potesse togliere il "subordinatamente" che motivava il loro dissenso



NESI Nerio

Il problema è duplice: di ordine formale e di ordine sostanziale. Per quanto riguarda il problema formale, la questione si concreta in questo: se il Presidente del Consiglio Regionale possa mandare, nella sua qualità appunto di Presidente del Consiglio, un telegramma su richiesta di un gruppo di Sindaci e se per far questo egli debba sentire il pensiero del Consiglio Regionale. Se il Presidente del Consiglio Regionale, nella sua discrezionalità, ritiene di avere i poteri per indirizzare un telegramma che gli è richiesto dai Sindaci, nella stesura da essi indicata, egli non chiede il pensiero del Consiglio Regionale. Il Presidente del Consiglio Regionale, nella sua sensibilità politica, della quale non posso che dargli atto, ha ritenuto di chiedere il consenso del Consiglio Regionale, e il Consiglio Regionale ha espresso il suo pensiero nella forma indicata.



PRESIDENTE

Mi sono regolato così anche in adesione alla richiesta dei Sindaci.
Avevo assicurato loro che il telegramma l'avrei potuto spedire facendomi loro interprete e portavoce: essi hanno fatto presente che avrebbero gradito che il Consiglio Regionale desse adesioni al loro pronunciamento.



CALLERI Edoardo, Presidente della Giunta Regionale

Dal momento che non mi pare ci sia unanimità da parte del Consiglio Regionale in ordine a questo problema, a me sembrerebbe che disattenderemmo un'indicazione fatta dai Sindaci se votassimo su un testo ritoccato, che tra l'altro non vedo come potrebbe venir presentato, dal punto di vista formale, in sede di Consiglio. Compiuto questo atto di sensibilità dei confronti del Consiglio, mi sembra che resti al Presidente del Consiglio nell'autonomia del suo giudizio, la possibilità di appoggiare, con l'autorevolezza che gli deriva dalla sua carica, questo telegramma che i Sindaci hanno chiesto di spedire. Non essendosi verificata l'unanimità su questo telegramma, e non essendo possibile, in rapporto ad un impegno che l'Assessore ha preso con i Sindaci, inviare un testo presentante modifiche rispetto a quello concordato, pregherei il Presidente del Consiglio, dopo aver fatto questa comunicazione, di mandare il telegramma nel testo originario, unendo a quella dei Sindaci la sua firma di Presidente del Consiglio Regionale, senza esprimere l'adesione del Consiglio Regionale che per valutazioni politiche non può accoglierlo con unanimità di consensi.



PRESIDENTE

Nessun altro chiede di parlare? Allora mi determino in questo senso: manderò il testo integrale che è stato letto, compresa la richiesta subordinata. Pertanto, l'ultimo periodo: "Il Consiglio Regionale fa proprie le richieste dei Sindaci...." viene così corretto: "Presidente Consiglio Regionale fa proprie richieste Sindaci Comuni interessati". In tal modo il telegramma risulterà mandato dal Presidente, senza l'adesione del Consiglio Regionale, per le ragioni che resteranno ovviamente registrate a verbale.
La seduta è tolta e rinviata a domattina alle 9,30.



(La seduta ha termine alle ore 20,15)



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