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Dettaglio seduta n.68 del 16/07/96 - Legislatura n. VI - Sedute dal 23 aprile 1995 al 15 aprile 2000

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PICCHIONI


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto 3) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico:


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Botta, Farassino, Ghigo e Riggio.


Argomento: Informazione

Esame ordine del giorno n. 260 relativo all'Authority per le telecomunicazioni (Proposta al Governo di costituire la sede a Torino)


PRESIDENTE

Iniziamo i lavori con l'esame dell'ordine del giorno n. 260, presentato dai Consiglieri Chiezzi, Marengo, Montabone, Casari, Dutto, Cavaliere Rossi, Ferraris, Gallarini, Spagnuolo, Burzi, Ghiglia e Peano, iscritto all'o.d.g. nel corso della seduta di questa mattina.
La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Grazie, Presidente. Poche parole, anche per ringraziare i colleghi di tutti i Gruppi che hanno firmato il documento.
Vorrei solo segnalare che non si tratta, nello spirito di tutti i firmatari, di intentare una lotta di campanile, nel senso di richiedere l'insediamento in Piemonte, a Torino, di una struttura purché sia, pur di avere un elemento nuovo presente sul territorio. Riteniamo, invece, che non si tolga alcunché a nessuno affermando che in Italia la città di Torino e la regione Piemonte costituiscono obiettivamente la sede più capace di accogliere nel migliore dei modi questa struttura. Questo sia per la capacità della struttura stessa di sviluppare la propria azione, sia per l'influenza positiva che l'inserimento di questo nuovo tipo di attività pu avere su tutte le attività già esistenti nel settore.
Non si tratta di fare richieste in antagonismo e contro altre soluzioni; non vogliamo entrare in questa polemica. Riteniamo sia nell'interesse nazionale ubicare questa struttura nel luogo più congruo.
Torino, per la sua storia, per le sue attrezzature già esistenti è, in Italia, il luogo più adatto.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Masaracchio.



MASARACCHIO Antonino, Assessore ai trasporti e comunicazioni

Va rimarcato il fatto che la Regione Piemonte è una delle sei Regioni europee investite di responsabilità dirette dal progetto IRIS.
Se ciò venisse considerato di poca rilevanza, prenderemo atto che il Governo non tiene conto dei rapporti con la Comunità Europea. Ma ricordiamoci che a Torino, città dell'informazione, è in atto il processo della società dell'informazione, e che il Piemonte è considerato Regione ponte per aprire sportelli ad altre Regioni dell'Italia e dell'Europa. Se tutto questo non dovesse essere tenuto nella debita considerazione da parte delle autorità governative, mi chiedo perché si programma un rapporto con la Comunità Europea, quando poi non si hanno i titoli per esercitarlo concretamente.



PRESIDENTE

Non essendovi altre richieste di parola, pongo in votazione tale ordine del giorno, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte in relazione alla prossima istituzione da parte del Governo Prodi della 'Authority' per le telecomunicazioni osservato che nella Regione Piemonte la città di Torino è sede di attività di eccellenza nel settore delle telecomunicazioni che storicamente insediate hanno dato vita ad una realtà economica e di ricerca qualificata ed obiettivamente predisposta e capace di ospitare la sede dell'Authority consentendo ad essa di sviluppare nel modo migliore e con più ampi benefici le proprie attività per la sinergia con le strutture già esistenti nel settore delle telecomunicazioni considerato che il Piemonte è una delle sei Regioni europee delegate ad attuare il progetto IRIS (autostrade informatiche) richiede al Governo Prodi che la città di Torino venga scelta come sede dell'Authority per le telecomunicazioni, corrispondendo questa soluzione sia agli interessi della comunità che la ospita sia a quelli dell'intero Paese di collocare tale organismo in una struttura economica e di ricerca capace di qualificare l'attività dell'Authority in sinergia con le attività presenti sul territorio".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato all'unanimità dei 40 Consiglieri presenti.


Argomento: Programmazione e organizzazione sanitaria e ospedaliera

Esame ordine del giorno n. 262 relativo al nuovo Prontuario sanitario nazionale


PRESIDENTE

Passiamo all'esame dell'ordine del giorno n. 262, presentato dai Consiglieri Rubatto, Griffini, Casari, Galli, Angeleri, Angeli, Mancuso Moro, Peano, Cotto, Rosso, Benso e Racchelli, iscritto all'o.d.g. nel corso della seduta di questa mattina.
La parola al Consigliere Rubatto.



RUBATTO Pier Luigi

Solo qualche parola per ringraziare tutti coloro che hanno dato la loro adesione all'ordine del giorno, che si commenta da solo. Un "grazie" da tutti quei pensionati che da questo decreto vengono penalizzati e che devono pagare medicinali di cui invece avrebbero diritto gratuitamente.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cavaliere.



CAVALIERE Pasquale

Personalmente, credo che bisognerebbe capire meglio come si formulano da parte del Governo, provvedimenti di questo tipo.
Per quanto ho capito - non ho letto il provvedimento, ma articoli di giornale che ne hanno spiegato il contenuto - sono stati tolti dalla fascia di esenzione quei medicinali per i quali le case farmaceutiche non si sono adeguate a prodotti equipollenti con costo minore.
E' un provvedimento verso il quale c'è stata, anche sui giornali, la protesta delle case farmaceutiche. Vorrei capire; da quanto ho inteso personalmente, non sembrerebbe esserci alcuna ricaduta sui pensionati. Vi è invece una richiesta alle società farmaceutiche di equiparare i medicinali ai costi base minori, in presenza di moltissimi prodotti a volte a costi anche diversi tra loro.



PRESIDENTE

Con i dubbi sollevati dal Consigliere Cavaliere mettiamo in votazione l'ordine del giorno, auspicando che la giusta gestione della sanità possa essere un termine onnicomprensivo che tutti possiamo abbracciare.
Pongo pertanto in votazione tale ordine del giorno, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte premesso che nel provvedimento finanziario preso dal Governo ancora una volta si sono ignorate le esigenze dei pensionati e degli anziani con questa risibile decisione di eliminare dal Prontuario sanitario nazionale 900 specialità medicinali tra le quali molte di uso quotidiano per alcuni soggetti affetti da patologie croniche considerato che persiste diabolica la convinzione da parte del Governo di salvare il bilancio dello Stato tagliando le spese sulla sanità a scapito delle fasce più deboli della popolazione tenuto conto che coloro che purtroppo quotidianamente devono ricorrere ad alcuni farmaci contemplati nell'elenco dei 900 soppressi dal Prontuario, in stragrande maggioranza sono anziani e per lo più percepiscono pensioni minime o ai limiti della sopravvivenza invita il Governo ed il Parlamento a cancellare questa norma iniqua che tende sempre più a penalizzare quanti già versano in situazioni di disagio chiede una giusta gestione della sanità al servizio della popolazione ed in particolare di chi ha più necessità di ricorrere alle cure mediche, nella fattispecie anziani e pensionati; una sanità che non si migliora facendo pagare i farmaci, bensì operando un più stretto controllo sugli sprechi con Organi e Rappresentanti degli stessi di provata serietà e competenza".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato con 37 voti favorevoli e 12 astensioni.


Argomento: Problemi del lavoro e della occupazione

Esame ordine del giorno n. 261 relativo alla situazione occupazionale presso lo stabilimento ILVA di Novi Ligure


PRESIDENTE

Passiamo all'esame dell'ordine del giorno n. 261, presentato dai Consiglieri Chiezzi, Cavaliere, Montabone, Spagnuolo, Moro, Cavallera Gallarini, Angeli, Foco, Ferraris, Griffini, Marengo, Bellingeri e Peano iscritto all'o.d.g. nel corso della seduta di questa mattina.
La parola al Consigliere Angeli.



ANGELI Mario

Vorrei solo presentare la situazione esistente nello stabilimento ILVA di Novi Ligure. E' una situazione a dir poco esplosiva.
Lunedì mattina si è tenuto un incontro con il Prefetto di Alessandria non pare ci siano aperture; credo che ci si trovi in una situazione a rischio per quello che riguarda l'incolumità pubblica delle persone e delle cose. Hanno forzato il blocco degli scioperanti; la situazione chiede urgenza anche da parte della Regione Piemonte.
Non vogliamo fare alcun tipo di forzatura.
Credo che con questo ordine del giorno si vadano a sottolineare quali sono effettivamente gli investimenti del nuovo proprietario dello stabilimento, fiore all'occhiello del Gruppo IRI, non solo a Novi; si è preso Taranto, Novi e le grane di Genova per quanto riguarda la Liguria.
Dobbiamo cercare di arrivare ad una soluzione. Una soluzione positiva ritengo. Per questo si chiede che la Giunta regionale si faccia portatrice verso il Governo, per avere questo incontro onde chiarire definitivamente una volta per tutte, quali sono le prospettive dei nostri stabilimenti, che sono costati non poche centinaia di miliardi alla collettività.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Moro.



MORO Francesco

Grazie, Presidente. Ho partecipato anch'io all'incontro di lunedì insieme al Consigliere Angeli e all'Assessore Cavallera, con gli operai cassintegrati dell'ILVA di Novi. E' inutile dire che è una situazione di grande emergenza e drammaticità. Gli operai chiedevano un maggiore impegno delle istituzioni e soprattutto un maggior impegno della Regione Piemonte che sentono troppo distante.
In quell'incontro ho chiesto, e qui presenterò una lettera, che si svolga un Consiglio regionale a Novi, sull'esempio di quello che si è tenuto ad Alba per la crisi nella Valle Bormida legata l'ACNA e di quello ad Ivrea per l'Olivetti.
Nel Piemonte sud l'Alessandrino è in una situazione molto preoccupante: occorre che le istituzioni, in questo momento, facciano valere la propria autorità.



PRESIDENTE

Grazie, Consigliere Moro, prenderemo in considerazione la sua proposta nell'ambito dell'Ufficio di Presidenza e poi dei Capigruppo.
La parola all'Assessore Masaracchio.



MASARACCHIO Antonino, Assessore al lavoro

Ero stato chiamato presso l'azienda qualche tempo addietro e ho avuto un incontro, del tutto informale, con il Prefetto che si trovava in quella sede e usciva dall'ufficio del massimo dirigente per accogliermi in corridoio. Poi mi sono portato presso i lavoratori ai quali ho comunicato che il Prefetto mi aveva fatto sapere che aveva risolto tutto in quanto la trattativa era stata da lui condotta personalmente.
Siccome non vi ho creduto, al rientro ho diramato un comunicato stampa prendendo atto della probità dell'attivismo del Prefetto di Alessandria che mi pare piuttosto categorico nelle sue affermazioni.
Per quanto riguarda le responsabilità della Regione, che i dipendenti reputano distante, ribadisco quello che si è detto questa mattina, cioè che noi più che essere presenti così come ci capita di poter e dover fare, non solo quali amministratori, ma anche come uomini politici, non possiamo davvero fare.
Appena avuta la lettura del testo di questo ordine del giorno ho attivato gli uffici dell'Assessorato industria e lavoro chiedendo al Ministro che l'incontro avvenga al più presto. Vedremo in quella sede nell'ambito della politica centrale che è quella della privatizzazione di alcuni settori della nostra produzione, cosa ci sarà risposto e quanto potremo garantire ai lavoratori.
Nella fattispecie a me era stato detto dal signor Prefetto di Alessandria che tutta l'operazione rientrava nell'ambito della liberalizzazione di taluni servizi che dovrebbero essere affidati a cooperative e, onde ovviare al problema occupazionale, anziché avere servizi affidati a cooperative si sarebbe addivenuti alla risoluzione di declassare addirittura livelli superiori per attività di livelli inferiori.
Se è questa la politica industriale che si consente nell'ambito del territorio nazionale, e quindi anche della Regione Piemonte, vedremo come affrontare anche questo aspetto quando ci incontreremo con il Ministro competente.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Angeli.



ANGELI Mario

Solo per dare due informazioni in più.
C'erano 130 dipendenti della SECO, ditta che lavorava per l'ILVA questi 130 dipendenti all'inizio dell'anno erano passati da un servizio di tipo industriale, ossia dal settore metalmeccanico, al settore dei servizi.
Non potevano andare in mobilità.
Si diceva che l'accordo era stato fatto per mettere in mobilità queste 130 persone; i sindacati, d'accordo con il Prefetto, avevano stabilito di mandare 130 persone in cassa integrazione e recuperarle nei vari stabilimenti. I 130 in cassa integrazione, con i pre-pensionamenti e tutta una serie di questioni esistenti, avrebbero dovuto rientrare mano a mano.
Pare invece che non rientri più nessuno.
La trattativa con il Prefetto era andata avanti in quei termini, per la soluzione è che oggi ci troviamo peggio di prima.



PRESIDENTE

Pongo in votazione l'ordine del giorno, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte considerato che gli accordi precedentemente assunti dalla nuova proprietà dell'ILVA nei confronti delle maestranze ex SECO e degli stessi dipendenti non sono stati rispettati i tagli all'occupazione sono una prassi indiscriminata da parte dei proprietari dell'ILVA dall'incontro avuto in Consiglio comunale sabato 13 luglio è emerso che all'interno dello stabilimento, malgrado i tagli all'occupazione, si effettuano circa 20.000 ore di straordinario al mese la situazione dopo la privatizzazione degli stabilimenti ILVA si aggrava sempre di più per quanto riguarda il settore siderurgico in Piemonte giudica perlomeno singolare il comportamento della nuova proprietà che più che ad una programmazione tende ad uno sfruttamento del giorno dopo giorno senza tenere conto delle professionalità che esistono nel settore della nostra regione chiede che la direzione ILVA tenga fede agli impegni assunti senza ulteriori perdite di tempo impegna la Giunta regionale affinché chieda congiuntamente con la Provincia di Alessandria ed il Comune di Novi Ligure un incontro urgente con i Ministeri del Lavoro e dell'Industria onde chiarire una volta per tutte con i proprietari del gruppo RIVA quali sono gli obiettivi di strategia industriale che la stessa si prefigge".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato all'unanimità dei 46 Consiglieri presenti.


Argomento: Spettacoli: teatro, musica, cinema, danza

Esame ordine del giorno n. 258 relativo al miglioramento dell'acustica al Teatro Regio di Torino


PRESIDENTE

Passiamo all'esame dell'ordine del giorno n. 258, presentato dai Consiglieri Chiezzi e Peano, iscritto all'o.d.g. nel corso della seduta di questa mattina.
La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Grazie, Presidente. Illustro brevemente il significato di questo ordine del giorno che inizia, sin dalle prime righe, a chiarire che di fronte alle iniziative intraprese dalla Sovrintendente al Teatro Regio, dal Direttore artistico Carlo Maier, dal Sindaco e dall'Assessore al Comune di Torino non si intende dare, in alcun modo, un giudizio negativo sull'opera svolta che ritengo personalmente assolutamente meritoria e sulla quale occorre esprimere il più alto consenso - consenso che, tra l'altro, è giunto anche dagli addetti ai lavori sia in campo nazionale che internazionale.
All'interno di questa opera, che oggi vede impegnata la città di Torino e la Sovrintendenza al Teatro Regio ad un tentativo di miglioramento dell'acustica del Teatro Regio, occorre prendere atto delle segnalazioni che giungono da ambienti qualificati, come "Italia Nostra", da qualificati tecnici del suono e da scenografi sul fatto che il miglioramento del Teatro Regio, sulla base degli elementi venuti a conoscenza solo pochissimi giorni fa, avviene con interventi che hanno un rapporto molto pesante di sovrapposizione all'architettura esistente rispetto al Teatro così com'è oggi.
Quindi, si sono levate voci preoccupate sul fatto che per raggiungere miglioramenti nell'acustica, in realtà, si realizzano delle compromissioni all'unità architettonica del Teatro stesso.
E' un teatro che è un eccellente esempio di architettura moderna, è un teatro apprezzato nell'ambiente in modo assoluto sia nazionalmente che internazionalmente. Aggiungo anche che è un Teatro che, nella sua forma attuale, oggi fa parte, nel nostro immaginario collettivo, dell'identità di Torino.
Sono previsti degli interventi che, in effetti, lasciano seri dubbi. In particolare, vi è un intervento sul quale tutti si sono un po' allarmati che è quello relativo al boccascena.
L'arco scenico, il boccascena, all'interno di una struttura teatrale ancora di più all'interno della struttura di Mollino che è questo guscio ha un po' il significato di chiusura del progetto volumetrico. Tutti i volumi corrono verso il palcoscenico, e come conchiudere questi volumi in un progetto architettonico è uno dei temi centrali del teatro.
Tra l'altro, il boccascena, il palcoscenico è il punto dove tutti gli sguardi si volgono, quindi rappresenta una soluzione progettuale di primo piano. Si tenga conto, in particolare, che la forma data all'arco scenico da Mollino corrispondeva ad una sua idea di progetto assolutamente esplicitata e, come tale, valorizzata.
Il problema che pone l'ordine del giorno è il seguente: non instaurare alcun tipo di polemica, di schieramento o di carattere politico, ma un invito al Sindaco e alla Sovrintendenza a fare attenzione a questo fattore.
Innanzitutto non esiste l'acustica perfetta nemmeno nei teatri di nuova progettazione, perché il livello dell'acustica che si ottiene all'interno di un teatro è il frutto di un compromesso tra progettista architettonico tecnici del suono, risorse disponibili e numero dei posti. E' sempre un equilibrio, quindi non esiste in astratto la perfezione acustica.
Esiste una congruità dell'acustica. Quindi, di fronte a questo relativismo del problema, l'ordine del giorno tende a dire: bene, se miglioramenti sono doverosi - e ritengo che alcuni lo siano - il miglioramento dell'acustica avvenga sino dove un ulteriore miglioramento porterebbe viceversa al peggioramento di un altro valore artistico, che è il valore architettonico.
Qui non ci sono forme prevalenti; siccome il teatro costituisce un'opera d'arte che ormai fa parte del patrimonio della città, si facciano quegli interventi che, a detta di tutti, non violano l'altro valore artistico, quello architettonico.
L'ordine del giorno rimane ovviamente in forma del tutto generale. Cita i problemi sollevati da esperti e da associazioni e richiede semplicemente al Sindaco e al Sovrintendente di discutere, di valutare queste osservazioni. Inoltre, siccome è un miglioramento da portare avanti negli anni, chiede al Sindaco e al Sovrintendente di attuare tutti quei miglioramenti che, a detta di tutti gli esperti, non violano degli elementi di unità architettonica, rimandando semmai, fatta la prima verifica, i primi miglioramenti - e sicuramente ci saranno, perché sulla fossa dell'orchestra, sulla moquette, sui pavimenti e sulla stessa conformazione della sala che viene variata miglioramenti acustici saranno introdotti senz'altro.
Quindi, si chiede di valutare con molta attenzione, semmai procedendo per fasi, ad esempio una prima serie di lavori un primo anno, per vedere lo stato dell'arte.



PRESIDENTE

Non essendovi altri interventi, pongo in votazione tale ordine del giorno, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte in relazione ai lavori in corso per il miglioramento dell'acustica nel Teatro Regio di Torino condivide l'iniziativa di raggiungere migliori risultati nell'ascolto dell'opera lirica e delle esecuzioni musicali rilevate le preoccupazioni espresse da Associazioni quali Italia Nostra e da qualificati esperti sull'effetto negativo che alcune opere previste avrebbero sulla composizione architettonica progettata e realizzata da Carlo Mollino, che rappresenta un esempio di pregio dell'architettura moderna che valorizza Torino e tutto il Piemonte invita il Sindaco di Torino e la Sovrintendenza al Teatro Regio a valutare con attenzione tutte le osservazioni che segnalano con preoccupazione interventi che comporterebbero compromissioni irreversibili all'opera architettonica incompatibili con il mantenimento dell'unità e del pregio architettonico del Teatro Regio di Torino a realizzare in questa fase, in presenza di opere previste di dubbia compatibilità con l'opera di Carlo Mollino, soltanto opere di miglioramento acustico unanimemente considerate rispettose della struttura architettonica del Teatro".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato con 34 voti favorevoli (non hanno partecipato alla votazione 7 Consiglieri).


Argomento: Diritto allo studio - Assistenza scolastica

Esame progetto di legge n. 18: "Contributi ai Comuni per concorrere al funzionamento delle scuole materne autonome" - Presentazione questione pregiudiziale


PRESIDENTE

Passiamo al punto 8) all'o.d.g. che prevede l'esame del progetto di legge n. 18.
Il voto in Commissione è stato così espresso: voti favorevoli Forza Italia, AN, CDU, Federalisti democratici, PPI e Pensionati per l'Europa voti contrari Rifondazione Comunista; astenuti Patto dei Democratici, PDS e Lega Nord per l'Indipendenza della Padania.
La parola alla Consigliera Simonetti.



SIMONETTI Laura

Grazie, Presidente. Il Gruppo di Rifondazione Comunista, ai sensi dell'art. 63 del Regolamento interno del Consiglio regionale, pone la questione pregiudiziale rispetto alla proposta di legge n. 18, che ha come dicitura "Contributi ai Comuni per concorrere al funzionamento delle scuole materne autonome".
Tale questione pregiudiziale scaturisce conseguentemente al parere fornito in Commissione dal Servizio Legislativo che dichiara tale progetto di legge in contrasto con gli artt. 33 e 117 della Costituzione.



PRESIDENTE

E' stata posta una questione pregiudiziale da parte della Consigliera Simonetti. Su questa questione può parlare un Consigliere per Gruppo.
La parola al Consigliere Ghiglia.



GHIGLIA Agostino

Forse è un po' avventato dire che è in contrasto con gli articoli della Costituzione. Sarei un pochino più attento, e direi che "potrebbe esserlo" semmai; non essendo un costituzionalista, non essendo un padre costituente e non potendo dare un'interpretazione autentica delle leggi costituzionali posso tranquillamente sostenere l'esatto opposto, cioè che questo disegno di legge è assolutamente costituzionale. E se ce ne fosse bisogno, ci è anche stato garantito da eminenti docenti che, forse, di diritto costituzionale ne sanno senz'altro più del sottoscritto, e forse di qualche altro.
Quindi, mi esprimo contro la richiesta di sospensione, e chiedo che si proceda alla discussione e alla votazione della legge.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cavaliere.



CAVALIERE Pasquale

Credo che su questo punto vi sia un'interpretazione abbastanza autorevole, richiesta peraltro dal Presidente del Consiglio regionale all'Ufficio Legislativo del Consiglio, che suffragherebbe l'ipotesi di incostituzionalità di questo provvedimento, al di là di cosa possano sostenere vari luminari.
Credo sia stato espresso un parere specifico dal nostro sistema legislativo che dice, in maniera abbastanza netta, che il provvedimento è così come viene proposto, non avendo subìto peraltro in Commissione modificazioni sostanziali sui punti che l'Ufficio Legislativo individuava.
Credo che il Presidente debba fare riferimento ad un parere che egli stesso ha richiesto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Deorsola.



DEORSOLA Sergio

Sulla pregiudiziale il nostro orientamento è che non ci sia questa lesione dei principi della Costituzione. Noi abbiamo una valutazione assolutamente dignitosa, che però non proviene da un organo che ha la competenza di dare delle sanzioni di incostituzionalità a determinati provvedimenti.
Ritengo pertanto che il provvedimento, così come è stato licenziato dalla Commissione, possa avere il suo corso, eventualmente saranno gli organi previsti dalla Costituzionale a dare la sanzione di incostituzionalità, qualora il provvedimento riceva l'approvazione di questo consesso.



PRESIDENTE

Vorrei dire al Consigliere Cavaliere che non è stato l'Ufficio di Presidenza, né tanto meno io, a promuovere un giudizio sulla costituzionalità o meno della legge, ma la VI Commissione e noi non abbiamo fatto altro che seguire le procedure di rito.
Sulla valutazione di questo giudizio naturalmente mi rimetto alla Corte Suprema: non sono io che posso giudicare sulla costituzionalità o meno di questa legge.
Pongo in votazione per appello nominale, come richiesto dal Gruppo Rifondazione Comunista, la questione pregiudiziale.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 53 hanno risposto SI' 6 Consiglieri hanno risposto NO 36 Consiglieri si sono astenuti 11 Consiglieri La questione pregiudiziale è respinta.
Passiamo pertanto all'esame del progetto di legge n. 18.
La parola al relatore, Consigliere Montabone.



MONTABONE Renato, relatore

Le scuole materne autonome hanno validamente contribuito e contribuiscono tuttora a rimuovere uno di quelli che la Costituzione indica come ostacolo all'effettiva uguaglianza dei cittadini. Lungo oltre un secolo dalla loro storia hanno svolto un'indispensabile opera educativa a favore dell'infanzia, particolarmente nelle realtà popolari più disagiate del nostro Paese. Esse rappresentano, oggi, oltre 1/3 del servizio prescolare esistente in Regione.
Nell'attuale situazione storica le scuole materne autonome rappresentano soprattutto un'occasione di articolazione della società pluralistica, fornendo possibilità di esercizio delle libertà di scelta educativa.
In altre parole - e ciò va fermamente ricordato - esse si inseriscono con piena legittimità nel quadro istituzionale stabilito dalla Costituzione repubblicana, promuovendo l'attuazione per quanto concerne i principi sanciti negli artt. 3 (Libertà della cultura e della scuola) e 34 (Diritto all'istruzione di tutti i cittadini).
Di fronte ad un fenomeno così importante deve sottolinearsi come l'intervento statale, il contributo di gestione erogato dal Ministero della Pubblica Istruzione, che mediamente si aggira sui 3.500.000/3.600.000 all'anno di lire per sezione, sia ancora molto lontano dal coprire i costi reali di gestione.
Indipendentemente dal colore politico delle Amministrazioni, in molti Comuni, più diretti testimoni del rilievo sociale ed economico del problema, si è assistito, nel recente passato, al nascere e proliferare di convenzioni, attraverso le quali l'Ente locale contribuisce alla gestione delle scuole materne autonome, riconoscendone l'insostituibile funzione sociale. Ovviamente, attraverso le convenzioni vengono confermate e regolamentate le modalità con cui le scuole autonome esplicano il loro servizio, al fine di realizzare il massimo di equipollenza tra le prestazioni delle diverse scuole materne.
Per quanto riguarda la competenza regionale ad un intervento quale quello sollecitato con la presente proposta di legge, ricordo soltanto che non si possono intendere in senso restrittivo le funzioni di assistenza scolastica che l'art. 117 attribuisce all'Ente Regione. E' comunemente accettato il principio di comprendervi tutto ciò che vale a garantire e promuovere l'esercizio del diritto allo studio e non c'è chi non veda come a questo sia finalizzata ogni attività tendente ad assicurare la più diffusa presenza di scuole materne e a facilitarne l'accesso degli alunni alle stesse, in condizioni di parità, quale preparazione e grado preliminare dell'assolvimento dell'obbligo scolastico.
Non a caso l'art. 4 dello Statuto della Regione Piemonte stabilisce che la Regione, in concorso con lo Stato e gli Enti locali, opera in particolare, tra l'altro, per realizzare le condizioni atte a rendere effettivo il diritto allo studio, promuovendo l'adeguamento delle strutture e dei contenuti della scuola alle esigenze della società regionale e nazionale, nonché per coordinare e sviluppare servizi sociali con particolare riguardo alla scuola.
Dalle considerazioni sopra premesse nasce la proposta di legge che dopo numerose ed approfondite sessioni, la VI Commissione ha rassegnato a maggioranza all'esame del Consiglio.
Scelta fondamentale della legge è quella di puntare su contributi ai Comuni, al fine di incentivare, da parte degli stessi, la stipula delle convenzioni. La forma del contributo, rispetto all'onere assunto dal Comune, tende a produrre un effetto aggiuntivo, rispetto ai contributi che il Comune assume a proprio carico.
L'art. 1 oltre a dichiarare le finalità della legge, sottolineando il perseguimento della parità degli alunni utenti delle diverse scuole statali e non statali, precisa che i contributi previsti vanno distinti dagli interventi di assistenza scolastica erogati a norma delle vigenti disposizioni, i quali sono destinati agli alunni in relazione alla loro condizione di bisogno e indipendentemente dal tipo di scuola frequentata.
Le convenzioni, quindi, riguardano la gestione della scuola e il servizio sociale da essa prestato per la generalità dei cittadini. Non sono soggetti a convenzionamento previsto dalla presente legge i contributi relativi al diritto allo studio, che sono regolamentati dalla L.R. n. 49 del 29/4/1985.
L'ambito di applicazione della legge è precisato nell'art. 2 e si riferisce alle scuole materne non statali e non dipendenti da Enti locali territoriali, purché non abbiano fine di lucro e siano aperte alla generalità dei cittadini.
L'intervento regionale di cui all'art. 3 è finalizzato al sostegno delle scuole materne autonome e viene erogato tramite i Comuni che intendono, attraverso convenzioni, concorrere alle spese di gestione delle stesse, favorendo in tal modo la parità di trattamento dei cittadini nell'esercizio del loro diritto di scelta della scuola per i propri figli.
In eventuali casi, per motivato non intervento del Comune, è previsto il potere sostitutivo della Regione nella stipula della convenzione medesima.
Le convenzioni tra i Comuni e i gestori delle scuole materne autonome e le loro organizzazioni rappresentative dovranno contenere alcuni elementi essenziali specificati nell'art. 4 della proposta di legge: la durata, la misura e la modalità di erogazione del contributo, gli adempimenti della scuola, la Costituzione e i compiti di una Commissione paritetica e il riconoscimento delle libertà di scelta della scuola da parte delle famiglie.
Gli artt. 5 e 6 prescrivono la procedura per la richiesta del contributo e stabiliscono il finanziamento della spesa a carico del bilancio regionale.
Infine, una norma transitoria (art. 7) stabilisce i termini relativamente all'esercizio 1996 e precisa, nel caso di convenzioni in atto, che il contributo regionale deve essere aggiunto a quello già stanziato dal Comune.
Confido che la proposta in esame, per le chiare finalità sociali e per la coerenza con i principi di parità e di giustizia garantiti dalla Costituzione a tutti i cittadini, sia considerata con il dovuto interesse da parte di tutte le forze politiche.



PRESIDENTE

Si apre la discussione generale.
La parola alla Consigliera Casari.



CASARI Raimonda

Grazie, Presidente.
"La libertà e la parità della scuola sono la prima conseguenza di quel carattere sussidiario dello Stato, senza il quale esso scivola inarrestabilmente verso forme di egemonismo etico e culturale". Con questa affermazione di notevole spessore politico-culturale l'ex Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, ha voluto affermare con autorevolezza come la parità scolastica sia uno degli indici di democraticità e di libertà di una nazione.
In Italia, purtroppo, nonostante i presupposti di libertà contenuti nella Costituzione, e le solenni dichiarazioni degli organismi comunitari europei, la libertà di educazione e le parità tra le istituzioni scolastiche non hanno ancora trovato sostanziale riconoscimento a livello legislativo nazionale.
I cittadini italiani, ad onta di quanto proclamato dall'art. 3 della Costituzione, sono, sul piano educativo-scolastico, discriminati. Pur pagando fra tasse dirette ed indirette il proprio contributo al servizio scolastico nazionale, si vedono impediti, da un'odiosa discriminazione economica, dal compiere una libera e responsabile scelta del modello educativo-scolastico per i propri figli. In particolare a livello di istruzione infantile ove nell'anno scolastico 1994/1995 le iscrizioni si ripartirono per il 54% nelle scuole statali e per il rimanente 46% in quelle non statali, comprendenti queste ultime una certa presenza - specie nei grandi centri - di scuole materne comunali, ma soprattutto scuole materne autonome sorte nel tempo e sorrette dalla libera iniziativa di privati, di enti, di associazioni e di comunità religiose, non esclusivamente cattoliche.
All'osservatore straniero lascia un certo senso di disorientamento sapere che il cittadino italiano che intenda dare ai propri figli un'educazione coerente ed in sintonia con le proprie idealità morali culturali e religiose sia costretto a sopportare un onere finanziario aggiuntivo, cioè il pagamento di tasse di iscrizione e di frequenza superiori rispetto a quelle delle scuole statali e comunali, interamente finanziate dal pubblico erario (e quindi anche dai genitori che scelgono la scuola autonoma), quasi che la formazione responsabile e coerente dei figli sia considerata un lusso, un optional, privo di valore sociale e culturale.
Questa anomala situazione denunciata e stigmatizzata da autorevoli esponenti del mondo politico e culturale italiano cattolico e laico (oltre ai Presidenti Scalfaro e Cossiga, ricordo i magistrali scritti di Don Luigi Sturzo e di Luigi Einaudi) ha trovato un supporto in una superficiale e distorta interpretazione del terzo comma dell'art. 33 della Costituzione ("senza oneri per lo Stato").
Interpretazione già autorevolmente e categoricamente smentita dallo stesso proponente, il deputato laico-liberale Mario Orso Corbino, e ampiamente superata da tutta la più recente ed autorevole pubblicistica giuridico-costituzionale. E mi limito a tal proposito a ricordare quanto affermato dal costituzionalista torinese, prof. Giorgio Lombardi, a proposito della presunta incostituzionalità del progetto di legge che andiamo discutendo.
"L'art. 33 della Costituzione" - ha sottolineato il prof. Lombardi "non preclude qualsiasi aiuto o sovvenzione, anche indiretta, a favore di scuole libere, ma significa soltanto che le sovvenzioni non rappresentano un diritto. Nulla vieta quindi che la legge, anche regionale, preveda la possibilità di sovvenzioni, anche tenuto conto della libertà di istituire scuole non statali da parte di enti e privati, come sancito dalla Costituzione".
Con questa legge la Regione Piemonte non fa altro che porsi in sintonia e con colpevole ritardo - con interventi legislativi di altre Regioni e con la vasta prassi amministrativa di molti Comuni - fra cui ricordo Torino e Cuneo - che evidenziano l'interpretazione che il "senza oneri" non è un divieto di finanziamento, ma una facoltà da attivare, a precise condizioni oggettive, per il raggiungimento dell'obiettivo di consentire l'esercizio di diritti costituzionali riconosciuti (libertà di scelta educativa libertà di insegnare dove si vuole, libertà di dar vita ad iniziative che siano espressione di solidarietà sociale ed educativa) e di quello del risparmio di risorse economiche: ad un Comune e allo Stato conviene di più sostenere una scuola non statale che gestirla in proprio. Nel 1995 il Comune di Torino ha risparmiato circa 100 miliardi per merito della convenzione con la FISM.
L'esperienza maturata nelle attuazioni parziali della parità costituite da rapporto tra scuole materne (associate FISM) con Regioni e Comuni, ha coinvolto migliaia di comunità e di amministrazioni comunali, in ogni parte d'Italia, nei contesti politici più differenti, senza grossi contrasti.
Lo stesso può dirsi per le leggi regionali che non si sono limitate al solo ambito del diritto allo studio, ma hanno esteso interventi a sostegno della gestione (copertura totale si ha in Trentino e Valle d'Aosta semitotale in Sardegna e Molise, significativa in Friuli, Veneto ed Emilia). Ne deriva che la questione, come indica il generale assetto legislativo presente nel resto della Comunità Europea, è una questione di razionalità giuridica, di giustizia. E' tempo di dotarsi di strumenti attuativi di riconoscimento concreto in termini di spesa di risorse economiche.
La presenza pressoché paritaria sul piano quantitativo di scuole statali e non, nonché quella significativa delle scuole dei Comuni, il forte radicamento nelle comunità sociali in cui operano, costituiscono un patrimonio di grande valore.
E' fondamentalmente un principio di equità economica verso le scuole, e soprattutto verso le famiglie, quello che andiamo risolvendo. Certamente i 5 miliardi destinati dalla Giunta a favore delle scuole materne autonome del Piemonte non risolveranno al 100% i gravi problemi della scuola libera ma sarà un significativo segnale per superare una discriminazione finanziaria perpetrata dall'amministrazione centrale.
Nel bilancio 1996, mentre alle scuole materne statali, come ho già ricordato, sono stati stanziati ben 3.624 miliardi, al rimanente 46% sono stati assegnati unicamente 94 miliardi. Vanno aggiunte poi le spese obbligatorie a carico dei Comuni per le scuole statali, mentre per le scuole autonome gli interventi (convenzioni) sono facoltativi: una sperequazione che non ha bisogno di ulteriori commenti.
Di fronte all'aumento dei costi di gestione, in particolare del personale, ormai in larga maggioranza (oltre il 70%) laico, che rappresenta i 2/3 delle uscite di bilancio (in questi giorni è stato rinnovato il contratto di lavoro con un aumento del 6% per il 1996 e di un ulteriore 3 per il 1997), molte scuole sono costrette a ridurre la propria presenza o addirittura a chiudere, con grave danno per le comunità in cui sono inserite. Oltre a venire così meno la possibilità per i genitori di scegliere liberamente fra più modelli educativi, come vorrebbe una corretta situazione democratico-liberale, viene meno anche un pezzo significativo della storia scolastica, ma anche culturale e sociale della nostra Regione.
Ricordo che il primo asilo infantile è sorto in Piemonte, e per la precisione a Rivarolo Canavese, nel 1837, grazie all'impegno personale di alcuni padri del nostro Risorgimento come Camillo Cavour, Carlo Boncompagni e Maurizio Farina.
Solo molto più tardi sono state aperte in Piemonte le prime scuole materne statali: non per sostituirsi all'iniziativa degli Enti locali delle comunità religiose, delle libere associazioni o, come nel caso della IPAB, della beneficenza individuale o collettiva, ma per integrarla e potenziarla.
Questa legge intende, dunque, porre anche la nostra Regione, che tanto ha dato nei secoli allo sviluppo della pedagogia e dell'istruzione infantile, in linea con quell'indirizzo nazionale che ritiene oggi più che mai indispensabile per il progresso della scuola nazionale il riconoscimento legislativo della parità scolastica, sotto il profilo giuridico, economico e culturale.



PRESIDENTE

La parola alla Consigliera Suino.



SUINO Marisa

C'è da dire subito che questa proposta ha visto un'ampia discussione in Commissione e peraltro anche in Commissione si è partiti da una pregiudiziale, che poi di fatto è la stessa presentata dalla collega Simonetti, relativamente all'art. 33 della Costituzione.
Va detto che comunque, indipendentemente dall'esito che la pregiudiziale ha avuto poc'anzi, rimane, perlomeno nel nostro Paese, un dubbio interpretativo molto chiaro e molto noto e che si ritrova a fasi alterne con diniego o con favore a seconda delle espressioni degli organi superiori in merito all'interpretazione dell'art. 33 della Costituzione che è quello che dice: "senza oneri per lo Stato".
La stragrande maggioranza della giurisprudenza amministrativa si rifà alla dichiarazione che viene così sintetizzata in claris non fit interpretatio, quindi senza vuol dire senza. Dopodiché, effettivamente, c'è un dubbio interpretativo su questa vicenda, motivo per il quale non ci sono condizioni certe di pregiudiziale.
Detto questo però dobbiamo avere l'onestà di dirci anche che una proposta di legge come questa non contiene solo questo dubbio interpretativo e questa carenza, perché già a partire dal titolo c'è un inganno o una falsa interpretazione. Infatti, si dice: "contributo ai Comuni", dopodiché in tutta quanta la narrativa non si ritrovano i contributi ai Comuni, ma si ritrova un contributo regionale alle scuole materne private. A meno che, con degli emendamenti, si voglia accedere a questo tipo di apertura.
C'è poi un'altra questione che ha già citato il collega Montabone, ma che vale la pena di riprendere, anche sentendo un'altra campana. Le Regioni hanno competenza in materia di assistenza scolastica, ma non in ordine all'organizzazione del sistema scolastico. E, quindi, quando si dice nella proposta di legge "prevedere finanziamenti distinti ed aggiuntivi con la finalità di conseguire il trattamento paritario degli utenti delle scuole statali e non...", il "prevedere" esula, perlomeno in parte - anche qui c'è un dubbio interpretativo - dalle competenze proprie del Consiglio regionale ed investe, invece, il ruolo di un organo superiore, che, in questo caso si chiama Parlamento.
Si cancella quindi oltre al dubbio sull'art. 33 anche il rispetto del DPR n. 616/77, che all'art. 42 evidenzia con chiarezza che "non possono essere erogati finanziamenti per il funzionamento". Si cancella, anche se viene citata, la legge n. 444 quando nell'art. 4 della proposta che abbiamo sotto gli occhi, nel descrivere i contenuti della convenzione - l'art. 4 è quello descrittivo della convenzione - si chiede alle scuole private di adeguarsi agli orientamenti didattici vigenti. Lo si scrive, ma per finta perché non si fa alcun cenno alla libertà didattica dell'insegnamento libertà che si garantisce anche con procedure trasparenti di reclutamento.
Non basta fare riferimento al contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale dipendente per garantire delle condizioni economiche e normative di equità. Sono in vigore contratti molto diversi, ne cito ad esempio due: uno è quello del personale degli enti religiosi, che è un contratto totalmente diverso, ad esempio, da quello delle cooperative sociali.
Incentivare questo contesto significa spostare il lavoro dall'area regolamentata dell'impiego pubblico a quella del lavoro precario, che oltre ad essere lavoro precario è anche lavoro povero di diritti e di tutele.
Ricordiamo che la legge n. 444, che nacque nel 1968, fu quella istitutiva della scuola materna statale e nacque proprio per riportare ordine in un settore alquanto caotico per la presenza di tanti enti e di tante istituzioni, tra loro anche molto diversi e non tutti e non sempre seri.
Se vogliamo poi considerare il problema sotto il profilo della libertà dei cittadini, va detto che la libertà nella scuola è parimenti garantita.
Infatti è data liceità ai privati di istituire delle scuole di tendenza e questo veniva già dichiarato nel 1907 da Gaetano Salvemini - visto che si amano le citazioni, ne facciamo qualcuna anche noi - che dichiarava con una certa efficacia: "La scuola laica non è posta sotto la sorveglianza di nessuna gerarchia ecclesiastica o comunque ideologica e quindi è atta a condurre gli studi con metodo critico e razionale". Ne scaturisce il vero rapporto tra laicità e democrazia.
La scuola pubblica è la scuola di tutti, è a disposizione di tutti; la scuola privata è giusto che ci sia ed è a disposizione di quanti la vogliono scegliere, senza però scaricarne il peso sulla collettività quindi sull'intera comunità.
Le scuole private nacquero prima dello Stato democratico, quando lo stato liberale non garantiva l'educazione e hanno dato un grossissimo servizio e lo danno tuttora, laddove la scuola pubblica non è in grado di provvedervi direttamente.
Dopodiché il compito primario è quello di far sì che uno Stato democratico provveda in primis alla garanzia dell'istituzione pubblica.
Un altro problema che ci siamo ritrovati e che è senz'altro il punto sul quale abbiamo, almeno noi, più preoccupazioni e che quindi sottolineiamo con maggiore forza, è la totale assenza di rispetto della legge n. 142, quindi dei terminali democratici e delle autonomie locali: sto parlando dei Comuni.
Nell'art. 3 si vede un gravissimo sconfinamento della Regione in ambiti che non le competono direttamente, scalvalcando a pie' pari l'autorità dei Comuni e andando a provvedere direttamente, in questo caso, con dei contributi, non avvalendosi, quindi, nemmeno del criterio della pubblica utilità.
Un altro problema è il budget, sul quale abbiamo disquisito anche in Commissione, che scende da una previsione di 5 ad 1 miliardo e poi ritorna a 5 miliardi. Fosse così per tutte le proposte, certamente si potrebbero fare dei grandi miracoli, perché se da 5 in una settimana si scende ad 1 e la settimana dopo si ritorna a 5, c'è certamente qualcuno della maggioranza o della Giunta che è dotato di bacchetta magica e questo ci impressiona favorevolmente. Se fosse stato 1 significava che ai 3 milioni 600 mila che già vengono riconosciuti ad ogni sezione di scuola materna esistente nella nostra Regione si sarebbero aggiunte all'incirca dalle 600 alle 900 mila lire.
Se sono 5 miliardi chiaramente il provvedimento diventa meno illusorio anzi è un chiaro segnale che ci sono soldi a disposizione e quindi si rimarca ulteriormente la questione ideologica.
Noi siamo contro, e l'abbiamo detto in Commissione, alla scuola ideologicizzata; l'abbiamo detto e abbiamo portato delle motivazioni; ci siamo anche sforzati di emendare con molta serietà la proposta di legge soprattutto su questi due aspetti: non deve esserci un ragionamento ideologico e non deve esserci uno scavalcare, in modo così grave e pesante quella che è la realtà dei Comuni.
Siamo contrari ad una scuola ideologica, perché siamo convinti che non è in questo modo che si serva la Costituzione, che concede delle libertà ma non per un abuso della risorsa pubblica e parlando di 5 miliardi parliamo ovviamente di risorsa pubblica.
La scuola privata può avere i più nobili fini; tra questi non sottovalutiamo quello di trovare del lavoro e quello della sopravvivenza che comunque rientra tra la nobiltà dell'essere, ma non regge il paragone sul piano delle garanzie culturali.
Sarà per difetto professionale, perché provengo da quel mondo, però mi corre l'obbligo di ricordare che è la scuola pubblica che si premura di accogliere l'handicap e non solo in chiave assistenzialistica, con strutture e servizi adeguati, che si interpella sul diverso, sia esso un Rom sia esso un musulmano, che offre una visione del mondo universale, che tenta di essere parte vera di quel villaggio globale che, in qualche modo si impone per la sopravvivenza del mondo, che ci fa incontrare tutti quanti, quelli che insegnano e quelli che vanno a scuola per imparare quindi docenti e discenti, nelle nostre diversità, che sono ricchezza.
Non è convincente nessuna scuola che dia una visione del mondo univoca.
Anzi, mi sorge il dubbio che da una visione del mondo univoca potrebbe partire la radice dell'intolleranza e del fondamentalismo.
Se le risorse finanziarie fossero infinite, allora si potrebbe tutto ma dato che così non è, bisogna difendere i diritti degli ultimi, garantire le pari opportunità con un comune modello di civiltà sul quale ognuno possa più o meno riconoscersi. Ci tocca scegliere un clima di ricorso storico e quindi di dettato costituzionale se vogliamo una società di liberi e di uguali, una crescita culturale finalizzata all'uomo, il modello non è certo quello dei privilegi, ma è quello della razionalità.
Venendo ancora ad un altro dei problemi che rimangono - e mi avvio alla conclusione - su questa proposta di legge, ragionando nuovamente sul budget, sia esso 1 miliardo o 5 miliardi, questo potrebbe essere utilizzato sempre nell'ambito della scuola e dell'assistenza scolastica, per compiti propri a quelle che sono le funzioni di programmazione della Regione. Ad esempio, per favorire l'apertura di nuovi asili nido pubblici nelle aree metropolitane, carenza reale, ad esempio per promuovere delle iniziative di prevenzione dell'abbandono scolastico, ad esempio per favorire il prolungamento dell'orario delle scuole materne, ad esempio per sovvenzionare l'acquisto dei testi scolastici nella scuola media inferiore contribuendo a realizzare il diritto all'istruzione sancito dalla Costituzione: 5 miliardi vorrebbe dire sovvenzionare 10 mila alunni. Oppure per rilanciare le biblioteche scolastiche e il prestito d'uso.
Sarebbero tutti interventi meritevoli, necessari e richiesti anche in sede clericale e sarebbero propri alle competenze di questa Regione, senza andare, con una sola scelta, a scavalcare tutta una serie di leggi, di norme sancite, esistenti ed attive. Tali norme sono: l'art. 33 della Costituzione, il DPR n. 616, la legge n. 444 e, non per ultima, la legge n.
142 per gli Enti locali.
E' un dovere dell'istituzione garantire a tutte le famiglie che ne hanno bisogno di poter fruire della scuola, possibilmente in modo gratuito e possibilmente in strutture pubbliche e dove ciò non è possibile devono potersi avvalere di una struttura privata, ma in stretta relazione, in stretto rapporto con l'Ente locale che ha compiti di promozione, di controllo e di coordinamento.
Questi diritti non vengono in ogni caso riconosciuti, queste finalità non sono presenti nella proposta di legge.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ghiglia.



GHIGLIA Agostino

Inutile dire che non condivido praticamente nulla di quanto è stato sostenuto dalla collega Suino; io ho una visione assolutamente opposta di questa legge e di ciò che questa legge significa e significherà.
Noi di Alleanza Nazionale crediamo che questa sia una grande legge di libertà, una grande legge di democrazia e una grande legge di uguaglianza almeno per la concezione che noi abbiamo di uguaglianza, che è quella di assicurare a tutti una parità di accesso per avere una base comune dalla quale partire per poi progredire; questa è l'uguaglianza nella quale crediamo. Non è un qualche cosa di vago e puramente nominale, è qualche cosa di sostanziale.
Oggi questa uguaglianza sostanziale, non formale, non è garantita e noi vediamo questa legge come una grande legge di libertà e di parità nei confronti di tutti, ma soprattutto nei confronti della libertà di insegnamento e nella libertà di pensiero.
Noi auspichiamo che questa legge, se verrà approvata dalla Regione Piemonte - noi crediamo di sì - debba rappresentare il primo passo verso una totale, questa sì, uguaglianza tra la scuola pubblica e la scuola privata, tra la scuola pubblica e la scuola cattolica. Solo così si potrà giungere ad una reale libertà di insegnamento e ad una reale uguaglianza nell'accezione che ne davo prima.
Noi, nel corso degli anni, abbiamo sostenuto, in Parlamento ed altrove insieme con altre forze, la necessità di arrivare ad una totale parità di diritti ed ovviamente anche di doveri tra la scuola pubblica e la scuola privata. Come forza politica abbiamo presentato in Parlamento, nel corso degli anni, insieme con altre forze politiche della prima e della seconda Repubblica, tantissime proposte di legge per arrivare a questo; abbiamo proposto i buoni scuola ad esempio, con i quali le famiglie possono scegliere liberamente - partendo da un budget - se mandare i loro figli nella scuola cattolica o nella scuola pubblica e questo mi sembrava e mi sembra a tutt'oggi una grande legge di libertà e di democrazia. Libertà e democrazia che invece non viene assicurata da una scuola a senso unico monoideologica, come è oggi la scuola italiana. Non devo però dimenticare in questo discorso che questa legge si chiama "Contributo ai Comuni per concorrere al funzionamento delle scuole materne". Quindi, pur presumendo che tutti i frequentatori delle scuole materne un giorno diventeranno filosofi e dibatteranno di problemi di libertà e di democrazia, ora sono dei bambinelli e forse dei problemi della libertà di insegnamento si occuperanno in futuro. Comunque il principio è in senso generale, e quindi deve valere per la scuola in generale e non solo per la scuola materna.
Quindi una legge che assicura realmente il pluralismo nella scuola nell'insegnamento e nella cultura.
C'è un motivo ulteriore che mi convince ancora di più della bontà di questa legge: io non capisco e non vedo un solo motivo per dire no a questa legge. Cioè non colgo assolutamente, nelle critiche avanzate finora, e neanche nel lunghissimo dibattito che c'è stato in Commissione, un motivo reale e non tecnicistico per dire no a questa legge. Questa non è una legge tecnica, è anche politica, e questo è ovvio, ma allora le motivazioni di opposizione a questa legge non possono essere solo tecniche o tecnicistiche intendendo per tecnicistiche l'eccessiva attenzione a forme legislative alquanto vaghe, anche nella loro scrittura, come quella citata prima della Carta Costituzionale per quanto riguarda questo punto - ma motivazioni - e si tratta di una tradizione, non è novità - esclusivamente politiche potremmo dire ideologiche. Con ciò rovesciando il problema di chi accusa la scuola materna autonoma, privata, cattolica, di essere una scuola monoideologica. In realtà si tratta, a nostro avviso, di legittime posizioni, ma esclusivamente politiche e ideologiche. Motivi diversi non ci sono. Nel momento in cui una legge si propone di garantire il funzionamento delle scuole materne autonome, che non ricevono contributi da parte dei Comuni; nel momento in cui tutti riconoscono l'enorme valore che queste scuole hanno avuto; nel momento in cui tutti riconoscono che hanno svolto un ruolo sociale indispensabile - e questo è stato ribadito anche da chi non condivide la legge - non si capisce più il motivo per cui si debba dire "no". La spiegazione sta in termini politici, di posizione prettamente ideologica e aprioristicamente contraria ad una scuola diversa da quella che non sia la scuola sotto il controllo totalmente pubblico.
Questo è legittimo, ma a nostro avviso non è assolutamente motivo n sufficiente né valido per opporsi. Infatti, opponendoci, non andremmo a garantire una situazione già esistente di parità e di libertà, ma andremmo a danneggiare e a mettere a rischio di non esistere più centinaia e centinaia di realtà che tutti abbiamo riconosciuto come indispensabili.
Mi preoccupa ancor meno se per il finanziamento di una legge, che consideriamo assolutamente importante e basilare, si passi da 5 miliardi a 1 e poi si ritorni a 5. Certo, vorrei anch'io che l'Assessore al bilancio potesse avere qualità moltiplicative per il finanziamento di tutte le leggi, però sono contento che questa maggioranza e questa Giunta abbiano trovato le risorse in questo modo, in questo bilancio, in questo assestamento. Secondo me, infatti, le leggi di principio e di libertà sono basilari per un qualsiasi governo e maggioranza. E visto che personalmente credo in questi principi, ritengo sia una legge importante e fondamentale da finanziare. Merita dunque fare qualche sacrificio in più.
Quindi, non comprendiamo i motivi contrari; non c'è assolutamente alcun motivo contrario che non sia di contrapposizione ideologica.
Oltretutto, c'è un'interpretazione assolutamente forzata dell'art. 3 quando si dice che, addirittura, con questa legge, verrebbero scavalcati annullati e dimenticati i terminali democratici. Personalmente, non riesco a leggere questo nell'art. 3, che recita: "La Regione interviene annualmente con propri contributi finalizzati al sostegno delle scuole materne, tramite i Comuni, che, attraverso convenzioni...". Il terminale democratico è dunque il Comune.
Attenzione: dov'è che - sempre partendo da un'interpretazione ideologica e non di sostanza - non si supera e si scavalca, ma si ovvia alle mancanze e carenze e non volontà politica del terminale democratico? Laddove, semplicemente, il terminale democratico non stipula le convenzioni e in tal modo non dà un contributo alle scuole materne. Ma questo non è uno scavalcamento del terminale democratico; anzi, secondo me, questo terminale, nel momento in cui non stipula convenzione, non fa una scelta di libertà, di democrazia. E quindi vedo come perfettamente giusto, corretto e legittimo che si possa, non scavalcare, ma ovviare a questa carenza del terminale democratico. Se quest'ultimo stipula le convenzioni non c'è alcun problema.
Alla carenza del terminale democratico che magari si spegne soltanto quando ci sono da dare i contributi alle scuole materne, magari perché c'è un virus nel terminale e nell'hardware, secondo me è giusto che si ovvi con un contributo che arriva dalla Regione.
Ho sentito dire che la scuola pubblica - e solo la scuola pubblica tutela le diversità, le differenze culturali e si pone il problema delle altre religioni, dei musulmani, dei portatori di handicap. Se la scuola non pubblica, e segnatamente la scuola cattolica - io ho esperienza di scuola cattolica - avesse gli stessi diritti della scuola pubblica oggi in Italia se questa scuola avesse gli stessi finanziamenti, gli stessi soldi tranquillamente potrebbe seguire le stesse finalità. Fino al momento in cui le famiglie saranno costrette a pagare un quantum per accedervi, è chiaro che può essere, come diceva una pubblicità, una scuola per molti, ma non per tutti. Questo è assolutamente ovvio. Ribaltiamo allora il problema: garantiamo una reale parità ed equiparazione alla scuola non pubblica e garantiamole di poter essere, attraverso finanziamenti sostitutivi a quelli della scuola, così democratica, così aperta, così funzionale alle nuove esigenze della società come lo è la scuola pubblica.
Non si possono fare paragoni nel momento in cui ci sono scuole di serie A, pubbliche, e scuole di serie C - perché la B sarebbe già una categoria di promozione - come sono le scuole non pubbliche.
Nessuno può chiedere la parità dei doveri, quando non esiste una parità dei diritti; molto semplicemente io credo che all'interno della scuola non pubblica non manchino certo le sensibilità nei confronti del mondo che cambia, nei confronti delle nuove esigenze, di raccogliere le esigenze dei musulmani, dei buddisti, degli induisti, degli scintoisti - che non menziona mai nessuno. Ci sono le sensibilità, ma mancano i denari.
Impegniamoci allora tutti per garantire a tutti questi denari e per garantire a tutti, nella libertà democratica di ciascuna famiglia, di scegliere liberamente dove mandare i propri figli. Quando avranno diciotto anni, decideranno da soli! Come dicevo prima, noi crediamo in una società di liberi e crediamo in una società di uguali solo nella misura in cui tutti - e questo significa per noi l'uguaglianza - hanno uguale base di partenza, dalla quale poter esprimere le proprie capacità, le proprie intelligenze, le proprie creatività, le proprie genialità; il resto non è uguaglianza, perché non esiste eguaglianza in senso assoluto, come parola vuota e vacua. Esiste una libertà ed una eguaglianza di inizio; non può esistere un'eguaglianza dalla culla alla bara, perché questo si chiamava socialismo reale o forse marxismo, ma noi, manco a dirlo, non lo condividiamo.
Ho sentito dire, per esempio, "facciamo degli asili-nido non pubblici"! Eh no, ce ne sono già fin troppi! Tant'è che il Comune di Torino sta addirittura tagliando il numero degli insegnanti nei nidi pubblici perch sostiene che ci sono pochi bambini: deliberazione dell'Assessore Alfieri non l'ho sono inventata io! Togliamo allora del denaro alle scuole materne autonome per aumentare gli asili nido pubblici, che sono già troppi? Mi sembrerebbe una contraddizione.
Detto questo, riservandoci un ulteriore intervento per la dichiarazione di voto, ribadiamo il nostro pieno e convinto sostegno a questa grande legge di libertà, di democrazia e di uguaglianza.



PRESIDENTE

La parola alla Consigliera Simonetti.



SIMONETTI Laura

Grazie, signor Presidente, colleghe e colleghi. Visto e considerato che come Gruppo avevamo inizialmente sollevato, prima di iniziare la discussione generale su questo testo, una questione pregiudiziale in riferimento al parere fornito, che dichiarava questa proposta di legge in contrasto con alcuni articoli della Costituzione e considerato che in VI Commissione c'è stata una lunga discussione rispetto a questo e ad altri problemi nonché a tutto il parere sulla legge fornito dal Servizio Legislativo, io ci terrei ad informare tutti i Consiglieri, anche coloro che non erano presenti in VI Commissione, sul contenuto di questo parere.
Noi reputiamo questa legge non solo brutta, ma molto sbagliata nell'impostazione e in tutti i contenuti che essa propone. Ritengo quindi opportuno leggere il parere che è stato fornito: "La richiesta di parere in oggetto concerne l'ammissibilità giuridico costituzionale della proposta di legge n. 18 recante 'Disposizioni in materia di contributi ai Comuni per concorrere al funzionamento delle scuole materne autonome'.
I parametri normativi di riferimento in base ai quali procedere all'esame della questione proposta sono: in primo luogo l'art. 117 della Costituzione - che ricomprende l'assistenza scolastica tra le materie assegnate alla competenza legislativa delle Regioni a Statuto ordinario - così come precisato e delimitato nel suo contenuto normativo dall'art. 42 del DPR n. 616/77, che definisce le funzioni amministrative trasferite alle suddette Regioni nella materia 'de qua' in via secondaria e complementare, l'art. 33, terzo comma, della Costituzione, che stabilisce il diritto per Enti e privati di istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo Stato.
Il primo comma dell'art. 42 del DPR n. 616/77 individua le funzioni amministrative relative all'assistenza scolastica in quelle concernenti 'tutte le strutture, i servizi e le attività destinate a facilitare mediante erogazioni e provvidenze in denaro o mediante servizi individuali o collettivi, a favore degli alunni di istituzioni scolastiche pubbliche o private, anche se adulti, l'assolvimento dell'obbligo scolastico nonch per gli studenti capaci e meritevoli ancorché privi di mezzi, la prosecuzione degli studi'; il secondo comma - con funzione esemplificativa e chiarificatrice del contenuto del primo - contiene la specificazione di alcune funzioni ausiliarie ed integrative (interventi di assistenza medico psichica, l'assistenza ai minorati psico-fisici, l'erogazione gratuita dei libri di testo agli alunni delle scuole elementari).
Dal dato testuale della disposizione in discorso si ricava con tutta evidenza che: a) il legislatore, nel perseguimento delle finalità proprie dell'assistenza scolastica (assolvimento dell'obbligo scolastico e, per i meritevoli e capaci, la prosecuzione degli studi), ha enucleato gli strumenti attraverso cui realizzare le stesse nelle erogazioni (prestazioni dirette di cose: cibo, indumenti, libri di testo, sussidi didattici e simili), nelle provvidenze in denaro in senso stretto (borse di studio, premi, sussidi in forma monetaria) e nei servizi sia individuali (posti gratuiti o semi gratuiti nei convitti) sia collettivi (scuole popolari per adulti, servizi relativi ad attività doposcolastiche ed extrascolastiche) o suscettibili di essere prestati individualmente o collettivamente, a seconda dei casi o del modo di organizzazione dei medesimi (ad esempio, trasporti gratuiti e relative assicurazioni, assistenza ai portatori di handicap) b) i destinatari delle predette facilitazioni sono gli alunni, anche adulti, di istituzioni scolastiche pubbliche o private e non queste ultime.
A tale conclusione è pervenuta anche la dottrina in base ad argomentazioni di ordine sistematico, e cioè non considerando isolatamente l'art. 117 della Costituzione (in collegamento con il precitato art. 42 del DPR n. 616/77), bensì ponendolo in relazione con l'art. 33, terzo comma della stessa Costituzione. Infatti - anche non riconoscendo al suddetto art. 42 la natura di norma-cornice, espressiva cioè di principi fondamentali, come tali vincolanti, alla stregua dell'art. 117 della Costituzione, il legislatore regionale e, quindi, il carattere di 'norma interposta' della medesima disposizione - la configurazione dell'assistenza scolastica intesa come complesso di facilitazioni rivolti agli alunni, e non alle scuole, si ricava proprio dall'esigenza di rendere costituzionalmente compatibile, in riferimento al terzo comma dell'art. 33 della Costituzione, la piena equiparazione operata dallo stesso art. 42 fra i discenti delle istituzioni scolastiche pubbliche e private, quali destinatari degli interventi agevolativi. In effetti il divieto esplicitato dalla suddetta norma costituzionale, di corresponsione di finanziamenti pubblici alle scuole private intanto non rileva nella materia 'de qua', in quanto le provvidenze alla medesima inerenti siano apprestate a favore degli utenti degli istituti gestiti da privati. Ma anche chi peraltro in posizione assolutamente minoritaria, interpreta il disposto del terzo comma dell'art. 33 della Costituzione non come un divieto, ma come una norma rivolta ad escludere un diritto a contribuzioni pubbliche costituzionalmente sancito in capo alle scuole private - cui potrebbero quindi, secondo questa tesi, essere destinate sovvenzioni facoltative a carico dell'Erario - finisce per adottare una concezione estremamente restrittiva del campo d'azione riservato al legislatore in tale materia: a quest'ultimo non sarebbe consentito infatti emanare leggi che prevedessero l'erogazione dei contributi alle scuole private come obbligatorie, cioè 'automaticamente discendenti dalla norma legislativa al verificarsi di determinati presupposti obiettivi', ma soltanto disposizioni che contemplassero contribuzioni facoltative pur sempre subordinate ad un ampio apprezzamento discrezionale, da parte dell'autorità preposta dell'interesse pubblico alle prestazioni rese dalla scuola privata.
Ed è significativo che il medesimo autore concluda che 'la legislazione, consapevole di tali necessità, tende a superare il problema di costituzionalità apprestando provvidenze a favore degli alunni anziché a favore delle scuole'.
Anche la giurisprudenza amministrativa ha confermato che 'dalla considerazione coordinata dell'art. 33 della Costituzione e dell'art. 42 del DPR n. 616/77 emerge con chiarezza il concetto che alle scuole private non possono essere erogati fondi a finanziamento della loro istituzione e del loro funzionamento, ma che ciò non esclude l'apprestamento di provvidenze di assistenza a favore dei loro alunni' (così TAR Emilia Romagna, Bologna, 6/4/1983).
Sembrano ulteriormente confermare le conclusioni sovraesposte le leggi emanate in materia di assistenza scolastica da numerose Regioni a Statuto ordinario, le quali prevedono - in linea con il disposto dell'art. 42 del DPR n. 616/77 - interventi volti a favorire l'accesso e la frequenza del sistema scolastico consistenti nella messa a disposizione degli utenti (alunni delle scuole materne, dell'obbligo e secondarie superiori, statali e non, e dei frequentanti corsi per adulti) servizi individuali e collettivi (trasporti, mense, libri di testo ed altro materiale didattico servizi residenziali, iniziative destinate ai portatori di handicap, ecc.) e di strumenti diretti alla qualificazione del processo educativo (sostegno ad iniziative volte a creare rapporti con strutture extrascolastiche ricreative, culturali, sportive e raccordi fra scuola, formazione professionale e mondo del lavoro, ecc.).
Alla luce di quanto esposto sembra plausibilmente prospettarsi l'esistenza di un possibile profilo di incompatibilità fra la proposta di legge in esame - nella parte in cui stabilisce (art. 3) l'intervento finanziario regionale mediante l'erogazione di propri contributi finalizzati al sostegno delle scuole materne di cui all'art. 2 (e cioè le scuole materne non statali e non dipendenti da Enti locali territoriali) tramite i Comuni, che attraverso convenzioni concorrono alle spese di gestione delle stesse (genericamente intese, senza ulteriori specificazioni ed eventuali vincoli di destinazione finalizzati a convogliare direttamente o indirettamente, nei modi già visti, tali contribuzioni a favore degli alunni) - e le norme di cui agli artt. 117, come precisato ed attuato dall'art. 42 del DPR n. 616/77, e 33, terzo comma, della Costituzione".
Ho voluto leggere affinché rimanesse a verbale - visto che è stata respinta dalla maggioranza di questo Consiglio, e non solo, la pregiudiziale di incostituzionalità di questa legge, che noi avevamo posto il parere che è stato fornito dal Servizio Legislativo.
Vorrei ancora brevemente riprendere alcune affermazioni che sono state fatte da colleghi intervenuti in precedenza. Che le scuole private ad oggi siano un segno di libertà, di eguaglianza e di democrazia, detto da personaggi che appartengono ad un determinato movimento politico, che chiaramente io non condivido, anche secondo l'impostazione ideologica che assumono, mi sembra molto, ma molto discutibile. A nostro parere la democrazia, la libertà, soprattutto in riferimento ad un sistema formativo e ad un sistema scolastico, può essere utilizzata attraverso le strutture pubbliche.
Le strutture pubbliche, in quanto pubbliche - quindi direttamente dipendenti dallo Stato, che noi continuiamo a chiamare, nonostante i continui processi di smantellamento del concetto, "Stato sociale" corrispondono esattamente a quei principi di laicità, di democrazia e di pluralismo necessari all'interno della scuola pubblica.
La scuola pubblica, in quanto tale, deve e può esclusivamente offrire dei servizi liberi ed uguali a tutti coloro che accedono alla scuola materna, e quindi a tutte le strutture scolastiche e formative. Pensare che queste forme di leggi possano, in qualche modo, introdurre nel nostro territorio un nuovo sistema di libertà e di uguaglianza, dando la possibilità agli alunni che non possono usufruire della scuola pubblica di frequentare la scuola privata, mi sembra alquanto grave.
Ci sono delle situazioni per cui in molte zone territorialmente difficili ed isolate non esistono, per questioni funzionali o di investimento pubblico e quindi anche per incapacità della volontà politica delle strutture pubbliche che possano offrire un servizio formativo e scolastico ai bambini e agli studenti; di conseguenza, in queste realtà nascono delle scuole private.
Ed è proprio per questo motivo che, anche se a priori c'è una volontà politica - la nostra in questo caso - di difendere la scuola pubblica, non bisogna meravigliarsi del fatto che vengono spesi ben 3 mila miliardi per finanziare le scuole materne. Mi spaventerei se tale somma fosse spesa già sono troppi 94 miliardi - per le scuole materne non statali o le scuole private, perché le scuole private offrono un servizio sociale che deve sopperire alle lacune del sistema sociale, laddove il sistema pubblico non interviene o non c'è la volontà politica di intervenire.
Offriranno anche un servizio sociale, ma non siamo assolutamente d'accordo che, con continui investimenti di denaro pubblico - e quindi con i soldi di tutta la collettività, anche di coloro che non scelgono di mandare i loro figli alla scuola privata - questi servizi privati si sostituiscano progressivamente, anzi molto rapidamente, attraverso questi strumenti legislativi, al sistema pubblico per fornire dei servizi sociali.
Tra l'altro, nella legge questi servizi non si specificano come "privati con scopo sociale o senza scopo di lucro" o "associazioni o cooperative" ma si definiscono scuole autonome, che non si sono volute chiamare con il loro vero nome, che è "private", ma che in realtà sono tali.
Su due questioni fondamentali è irrinunciabile il diritto ad avere un servizio pubblico: la questione sanitaria e la questione scolastica.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Peano.



PEANO Piergiorgio

Signor Presidente, colleghi, siamo in presenza di un dibattito di buon livello, ma ancora molto ideologico e i riferimenti in merito alla giurisprudenza rischiano di essere soggettivi nella ricerca di una conferma delle proprie idee.
Da una parte e dall'altra.
Lo stesso riferimento di un collega e la stessa affermazione che oggi la scuola pubblica sia a filo unico monoideologica è inaccettabile.
Affrontiamo per la prima volta una norma sulla scuola autonoma. Non ce ne siamo mai occupati.
Il dibattito politico nazionale l'ha affrontata in alcune occasioni senza risultato; anche durante l'ultima campagna elettorale.
I due schieramenti, Polo e Ulivo, registravano nei programmi proposte diverse. Ad esempio, il "buono scuola" che può non essere la soluzione. Il rischio è di vedere l'apertura di scuole che, pur di assicurarsi una fetta di mercato, riducano i costi a scapito della qualità del servizio.
Le scuole materne autonome non hanno mai ottenuto cittadinanza nella nostra Regione, che peraltro ha approntato con proposte normative la risposta per molte situazioni.
La legge n. 22, per strutture per anziani e non autosufficienti, da anni opera e concede contributi a soggetti sia privati che pubblici.
E' all'ordine del giorno l'approvazione della legge n. 182 che consente finanziamenti a residenze assistenziali e sanitarie con l'abbattimento del 6% della quota interessi sull'intero importo, ancora a soggetti sia pubblici che privati.
La legge dello sport ed il relativo programma attuativo di finanziamento consente l'accesso sempre a soggetti pubblici e privati.
Sulla scuola autonoma vige una sorta di omertà e non siamo intervenuti in quanto preoccupati dello scontro ideologico o confessionale.
La Regione non è mai intervenuta neanche per le strutture edilizie delle scuole materne. Con la legge n. 23 la Regione potrà usufruire di fondi per circa 23 miliardi a fronte dei 200 miliardi di richiesta di finanziamento, ma le scuole private autonome ne saranno ancora escluse.
Così non abbiamo fatto con gli asili nido.
Il contributo annuo di circa 18 miliardi è stato mantenuto a bilancio anche se sugli asili nido si potrebbero dire e fare alcune considerazioni quali ad esempio che i parametri della qualità hanno raggiunto a volte limiti "fin troppo" elevati, con costi materiali e a scapito della possibilità di accesso per tanti.
In Piemonte le scuole autonome sono una realtà che ha dato risposte alcune ormai secolari: ex IPAB, parrocchiali, laiche, statuti con assemblee di soci, molte sono nate per volontà testamentarie, per donazioni e lasciti. Ma tutte oggi sono amministrate da Consigli di amministrazione anche in presenza della privatizzazione, con la presenza di membri nominati dai Consigli comunali.
Sono quindi un patrimonio pubblico, o se volete privato, che ha dato e dà una risposta pubblica. Non è stata semplice supplenza, ma ha reso un servizio.
E' giusto intervenire? La convenzione può risolvere tutto? Chiediamocelo.
Non dimentichiamo che in presenza di convenzioni già siglate tra gli Enti qualsiasi contributo comunale è di gran lunga inferiore alla spesa che un Comune dovrebbe affrontare se la scuola fosse statale: spese per mensa pulizie, bidelli, gestione e manutenzione dei servizi e delle strutture.
La legge odierna dà dignità e riconosce un servizio svolto e contribuisce non intervenendo in favore dei Comuni, ma della scuola per s stessa, per migliorare la qualità del servizio, le strutture, ridurre i costi di accesso.
Come Gruppo PPI avevamo presentato un emendamento per modificare l'art.
3 della legge ritenendo che la stessa, perché legge di principi, non possa escludere una parte delle scuole materne dal territorio. So che non pu essere accolto, pertanto riteniamo di ritirarlo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cavaliere.



CAVALIERE Pasquale

La legge che ci apprestiamo a votare è, come ha ricordato il collega Peano, un aspetto importante della vita sociale, anche della nostra Regione, ma non solo. L'impatto reale di questa legge per le scuole materne autonome è in realtà minimo e trascurabile, ma con essa i proponenti intendono condurre una battaglia politica, e quindi usare impropriamente il processo legislativo della nostra istituzione, in un'accezione non consona e non utile al lavoro che dobbiamo svolgere.
Ripeto, si tratta di una legge che ha un impatto quasi insignificante viene usata in termini quasi propagandistici; ma non voglio entrare nel merito degli effetti della legge in se, quanto dialogare piuttosto dei principi che credo ci possano servire quando parliamo di certe questioni per ricordare a tutti noi alcuni aspetti fondamentali del nostro ordinamento.
Quando si parla di scuole materne autonome si parla in realtà, nel nostro Paese, della scuola cattolica e dunque non si può eludere un ragionamento su un delicato problema quale il rapporto tra lo Stato e le confessioni religiose.
Compito dello Stato, sancito dalla Costituzione, è quello di assicurare l'istruzione a tutti i suoi cittadini. Purtroppo non possiamo dire che la scuola statale oggi in Italia adempia in modo soddisfacente a questa sua funzione. Ma se così stanno le cose, se lo Stato è debole, se l'efficienza della scuola pubblica lascia non poco a desiderare, il primo dovere di tutti i cittadini, e prima ancora di un'istituzione quale la nostra, è di concorrere a rendere più forte questo Stato, non certo di affidarsi alle più disparate attività surrogatorie e lasciare quindi andare in malora lo Stato e la scuola pubblica.
In un Paese come l'Italia, sempre più pluralista in relazione agli interessi, alle fedi, alle lingue e alle genti, diventa sempre più indispensabile che la scuola di Stato adempia con forza la sua funzione conciliante e superatrice di tutte le diversità e contrasti nei confronti di tutti gli abitanti.
Lo Stato laico, infatti, Consigliere Ghiglia, non ha una tavola dei suoi valori, una dottrina, un'ideologia, una fede da suggerire o imporre ai cittadini. Non fa suo un particolare orientamento di idee, ma promuove e garantisce la pacifica coesistenza di tutti gli orientamenti, difende la reciproca tolleranza, il libero confronto.
Con questa iniziativa legislativa regionale si privilegia una confessione religiosa in rapporto alle altre confessioni e ai cittadini agnostici ed atei. Si determina uno jus singolare che in quanto tale discrimina i cittadini. Questa iniziativa è assolutamente in contrasto con il dettato costituzionale ed in particolare con l'art. 33 che recita: "Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo Stato".
Questa norma non si presta a dubbi interpretativi. Onere è qualsiasi misura che comporti una spesa, un aggravio finanziario per lo Stato.
Norberto Bobbio sull'argomento ha osservato che "il dettato del testo costituzionale preso alla lettera preclude il finanziamento... la Costituzione che sempre chiara non è, in questo caso non poteva adottare un'espressione meno ambigua".
Nella fattispecie, come ha fatto giustamente osservare in sede di consultazione il coordinamento dei genitori, la Regione non disporrebbe nemmeno delle competenze sull'organizzazione del sistema scolastico e dunque la finalità di conseguire il trattamento paritario degli utenti delle scuole statali e non statali; esulerebbe dalle prerogative regionali.
Ma al di là delle interpretazioni costituzionali ciò che ci appare inaccettabile è l'anacronistica volontà di determinare la religione cattolica nell'antica condizione di sola religione dello Stato e di conseguenza gli altri culti in quella di semplicemente tollerati.
In gioco con questo piccolo provvedimento ci sono grandi valori di democrazia e di libertà.
Voglio ricordare un padre fondatore del nostro Stato laico, Cavour, e le sue parole indelebili, quando diceva: "Spero che la nostra Carta consacrerà il principio della libertà religiosa. Se ciò non dovesse accadere, non rinnegherei tale principio che ho professato per tutta la mia vita".
La democrazia non può essere, nella sua accezione più matura, una maggioranza contro la minoranza; quando si sceglie su problemi di coscienza, come tali possono essere diversamente interpretati, da una, o più minoranze. La ragione dei più non può mai, nella democrazia matura calpestare le minoranze.
Sulla libertà, e soprattutto quella religiosa, che non prende partito né per la fede, né per la miscredenza, né per l'ortodossia, né per l'eterodossia, voglio ricordare le bellissime parole di Alessandro Galante Garrone, che in un suo recente saggio dedicato all'opera di Francesco Ruffini, grande giurista piemontese, dice di lui: "Egli non pensò mai ad uno Stato portatore di una propria fede o ideologia che dir si voglia contrapposta ad altre fedi o ideologie, ad uno Stato che pretendesse di imporre, difendere o sostenere, con favori o privilegi di qualsiasi natura un qualsiasi orientamento religioso, tale da creare una discriminazione a danno degli altri cittadini".



PRESIDENTE

La parola alla Consigliera Ferrero.



FERRERO Caterina

Grazie, Presidente.
Non mi dilungherò su molti aspetti già dibattuti da Consiglieri di maggioranza, che per altro condivido.
Vorrei, invece, riportare l'attenzione sull'aspetto importante di questa giornata di discussione - a mio parere e a parere di Forza Italia ovvero l'aspetto politico.
Quella in esame è sicuramente una legge, come alcuni appartenenti alla minoranza hanno sostenuto, che avrà risalto minimo dal punto di vista reale. In effetti, i fondi stanziati sono esigui, anche se peraltro è da ammirare lo sforzo della Giunta, in questa fase di assestamento di bilancio, di aumentare da 1 a 5 i miliardi destinati al finanziamento della legge.
Ma l'importanza politica di questa proposta è di aver sollecitato oggi, come diceva il Consigliere Peano, per la prima volta, un dibattito su posizioni che prima non erano mai emerse e che sono sicuramente posizioni diverse, anche ideologicamente, e che vedono, per quanto riguarda Forza Italia, il Gruppo sicuramente volto nei confronti di una maggiore libertà e di pari opportunità, questa volta ad ampio spettro non soltanto delle donne nei confronti degli uomini, ma anche in altri campi.
Questo è un esempio, a mio avviso, di democrazia che si è manifestata anche oggi nel dibattito che si sta svolgendo, come precedentemente era già accaduto nell'ambito del dibattito sul federalismo, sul grosso sforzo che tutti i Gruppi avevano avanzato nelle proposte di legge sulla famiglia, che poi hanno avuto un seguito e tutt'oggi sono in dibattimento.
Dal nostro punto di vista sicuramente questo è un primo passo che non sarà probabilmente risolutivo dei problemi, ma che pone una questione fondamentale: tutti quanti, indipendentemente dalle ideologie politiche di ognuno, siamo coscienti che non c'è pari opportunità tra quello che è l'utente della scuola pubblica e quello della scuola privata. Quest'ultima non è una persona che si ritiene privilegiata per il fatto di essere utente della scuola privata, ma semplicemente ritiene - e molto spesso verifica che ci sia un disservizio da parte del servizio pubblico, per il quale comunque versa dei contributi, per il quale comunque versa dei soldi che non vengono poi utilizzati per le sue esigenze, essendo utente della scuola privata.
Preannunciando il voto favorevole di Forza Italia, tengo a ribadire questa nostra posizione e condivido le delucidazioni sul testo da parte del relatore e di tutti gli altri Consiglieri di maggioranza.



PRESIDENTE

La parola alla Consigliera Spagnuolo.



SPAGNUOLO Carla

Grazie, Presidente. Ho ascoltato con grande rispetto, come sempre tutti gli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto. Devo dire che non riesco a calarmi in questa dimensione così fortemente, esasperatamente ideologica che il dibattito ha voluto darsi, e non soltanto oggi. Ricordo che quando abbiamo parlato, in sede di VI Commissione, se costituire una sottocommissione sulle scuole materne, mi ero un po' stupita del fatto che si volesse andare ad un approfondimento su questo tema, che a mio avviso è forse più semplice di come è stato affrontato, e forse più scontato nella vita e nella quotidianità delle famiglie.
E' vero, anch'io mi sono posta di fronte al quesito della costituzionalità o meno di questi provvedimenti; però mi sono interrogata sullo straordinario cammino che la società ha compiuto da quando la Costituzione è stata scritta ad oggi e di come ha toccato nella quotidianità concreta la vita delle famiglie proprio su questo punto.
Intanto, ci troviamo di fronte ad un livello di istruzione che non è dell'obbligo; livello di istruzione straordinariamente importante, perch la scuola materna pone già fondamenti importanti nella psiche e nella costruzione dell'individuo, sui quali probabilmente bisognerebbe ritornare.
Poniamoci il problema del perché, per esempio, le insegnanti di scuola materna non sono soggette all'obbligo di studi universitari: questione sulla quale in qualche modo si dovrà tornare. Non siamo a fronte di un livello di scuola dell'obbligo, e siamo a fronte di una situazione che ha toccato profondissimamente l'organizzazione della vita delle famiglie, e che oggi probabilmente in larghissima misura influisce su queste questioni.
E' evidente che il contenuto ideologico dato al tema è forse più dibattuto in quest'aula di quanto, probabilmente, non avvenga nelle valutazioni e nelle motivazioni che hanno condotto, nell'arco di cinquant'anni, ma in particolare negli ultimi trenta, a vedere istituite delle sezioni di scuole materne private.
Chiediamoci quanto, questo livello di istruzione - che non è obbligatorio - costerebbe se fosse interamente istituito dallo Stato. Ci rendiamo conto che moltissime di queste sezioni private sono state istituite per una diversa organizzazione della vita delle famiglie.
Trent'anni fa le donne, prevalentemente, non andavano a lavorare fuori casa; via via che la donna è andata a lavorare fuori casa e quindi ha dovuto affidare i figli a qualcuno, si è posta sempre più l'esigenza di istituire e di fruire di questo servizio. E io credo che anche per questo motivo sia nata tutta una serie di risposte in termini di servizio, che per carità - sono state proposte anche da strutture di carattere religioso a partire dalla Chiesa cattolica; a questo proposito mi risulta che in Italia vi siano parecchie scuole materne istituite dalle Comunità ebraiche.
Penso però al futuro e penso che rispetto ai problemi del futuro ci dovremo anche porre. Penso che, via via che ci sarà l'inserimento dei cittadini extracomunitari, ci troveremo di fronte a questo fenomeno e mi auguro - voglio dire questo prevalentemente alla componente religiosa cattolica - che si vorranno rispettare anche altre culture, altre religioni. Non credo che questo problema ce lo dovremo porre fra vent'anni probabilmente fra dieci dovremo già porcelo. E' per questo che forse questa questione, nel suo insieme, avrebbe dovuto essere vista con maggiore laicità, prima di tutto da noi.
Le stesse scuole materne cattoliche oggi hanno dei problemi che forse non sono prettamente di natura religiosa, ma che sono anch'essi di natura economica. Avendo istituito delle scuole che hanno anche del personale in larga misura laico, molte di queste hanno dei problemi dal punto di vista della gestione. Per questa ragione ritenevo che fosse data un po' più per scontata la questione che la scuola deve essere laica, che chi sceglie di andare in una scuola cattolica o ebrea o musulmana, se può, se la deve pagare. Ricordiamoci che molte famiglie hanno scelto la scuola cattolica non solo perché era l'unica scuola - a volte l'hanno scelta solo per questo motivo - ma magari perché esisteva a monte un problema di orario, di servizi, di vicinanza, per cui quella scelta rispondeva meglio all'organizzazione familiare.
Allora credo che la legge, nel modo in cui è stata posta, in particolare nella relazione, abbia forse un po' deviato. Infatti, proprio nelle prime due frasi della relazione vi è un impatto di carattere ideologico. Credo che coloro che l'hanno presentata - e in questo c'è un altro vizio - probabilmente volevano parlare ad un determinato mondo, ma mi sembra che il problema sia più generale. Anche qui sono un po' torinocentrica nella mia esperienza, in quanto al Comune di Torino sono stata Assessore alle scuole materne; devo dire che nel Comune di Torino ci sono delle scuole materne splendide, organizzate benissimo, ma costosissime, stracostosissime: non ce le potremmo permettere, se dovessimo guardare al servizio rispetto a tutti i bambini che oggi fruiscono della scuola materna.
Tuttavia credo che se questa legge non avesse voluto essere, da un lato, troppo ideologizzata e, dall'altro, voler parlare quasi ad un determinato mondo, avrebbe fatto più attenzione almeno a due aspetti, che secondo me sono i limiti veri di questo provvedimento e rispetto ai quali mi auguro che gli articoli e gli eventuali emendamenti possano rispondere.
Un limite vero sta nel concetto che il potere sostitutivo che viene dato alla Regione fa della Regione un ente di gestione: questo è un errore.
Inoltre, è importantissimo che anche la scuola materna privata abbia un ottimo rapporto con il Comune. Invece la costruzione di questa legge crea dei problemi da questo punto di vista, mentre è fondamentale impostare ripeto, un buon rapporto.
L'altra questione che mi sembra sia stata affrontata poco nella legge è quella degli standard educativi. Questa legge si preoccupa troppo poco degli standard educativi, che sono uno dei veri problemi della scuola materna. Allora anche in questo caso mi pongo degli interrogativi.
Il terzo punto è che, fatta questa scelta, non mi sembra che il livello di finanziamento proposto sia poi così straordinario. Ma, Assessore Gallarini, non voglio fare questa critica; è semplicemente un'osservazione anche perché tutti sono capaci di dire: "Cinque miliardi sono troppo pochi: ne servirebbero venticinque!". Avendo fatto l'amministratore per tanti anni, non scivolo mai su questo terreno, anche se mi permetto di dire che il finanziamento non mi sembra così eccezionale.
Faccio pure notare che in un numero altissimo di casi il rapporto tra i Comuni e le scuole materne private è sì un rapporto che funziona da tantissimi anni, ma che talvolta funziona anche a prescindere dalla componente religiosa. Non dimentichiamo, infatti, che anche nelle scuole cattoliche gli insegnanti sono in maggioranza laici, con tutta una serie di problemi che si pongono all'interno.
In tempi nei quali è caduta ogni ideologia - quando persino l'on. Fini giunge a dire: "Ma non importa; anche se cade il Governo Prodi, facciamo qualcos'altro senza andare alle elezioni" - credo che questo Consiglio abbia voluto riservare, per la prima volta in un anno, una dimensione di ideologia gigantesca, dimenticando l'organizzazione economica delle famiglie e le modificazioni di carattere economico-sociale che sono intervenute nell'arco di questi quarant'anni. Modificazioni che hanno toccato anche la Costituzione, perché probabilmente se il costituente dovesse scrivere quello stesso articolo oggi, lo scriverebbe in maniera diversa. Perché? Perché la società ha bisogno di determinati servizi.
Rispetto alla questione dei servizi, perché di servizi si tratta secondo me questa legge avrebbe potuto porsi in maniera un po' più laica chiamando le cose con il loro nome, dicendo che probabilmente stiamo affrontando anche i problemi del settore delle scuole confessionali materne, che hanno anch'esse dei problemi non solo di sopravvivenza; ad esempio, il personale lì impegnato, che lavora, se non c'è un aiuto rischia di perdere il posto. Tutto ciò sapendo che siamo in un campo nel quale il problema dovrà essere posto, perché non dimentichiamo che sono le donne che lavorano (che lavorano sempre di più, soprattutto in una determinata fascia) ad aver bisogno di questo tipo di servizio, e questa utenza prestissimo cambierà, cambierà per la scuola pubblica e cambierà per la scuola materna cattolica privata. Dunque questi problemi di maggiore laicità si porranno, perché comunque sarà l'utenza ad imporli.
Credo che nella discussione degli articoli si dovrà valutare se migliorare la qualità del rapporto tra scuola materna privata, Comuni e Regione, perché la Regione non è un ente di gestione: la Regione è un ente di legislazione. Non possiamo, per nostre finalità, che sono tutte interne alle forze politiche, cambiare questo tipo di rapporto.
A seconda di come la discussione sarà andata, faremo una dichiarazione di voto in relazione alla migliore qualità di un servizio, sapendo che ci sono anche scelte di natura ideologica - per carità - ma non volendo vedere solo queste, perché chi sceglie è nella condizione di non dover vedere solo queste. E perché la società, rispetto all'istituzione della Costituzione e rispetto al grande sviluppo di questo servizio, è radicalmente cambiata certamente da cinquant'anni, ma soprattutto negli ultimi trenta.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Saitta.



SAITTA Antonino

Signor Presidente, intervengo anche per eliminare, se ci riesco, un dubbio che rimane presente in quest'aula: pare che chi sostiene questa legge, in modo particolare chi ha una tradizione di cattolicesimo democratico, sia quasi componente delle falangi del Papa o delle truppe parrocchiali che vogliono trasformare questo Stato e renderlo uno Stato clericale. Questo non è assolutamente vero: la storia lo dimostra.
La nostra tradizione di cattolicesimo democratico è una tradizione molto laica, nel senso che abbiamo sempre distinto i due piani, quello religioso da quello politico, sapendo che le vicende politiche sono vicende umane e che debbono essere ordinate in modo umano, con un riferimento di carattere ideale, ma è un livello completamente diverso. In questo senso tutto il cattolicesimo democratico e anche quello della Democrazia Cristiana (in modo particolare quello della Democrazia Cristiana) si è sempre contraddistinto per questo fatto, perché il nostro Stato ha sempre garantito la libertà a tutti ed è stato garantito un forte pluralismo credo che nessuno possa mettere in discussione questa lunga e forte tradizione.
Quindi non siamo né falangi del Papa né truppe parrocchiali; sosteniamo questa legge per un'esigenza di pluralismo e la sosteniamo in modo diverso rispetto, ad esempio, ad alcuni accenti forti fatti dal collega Ghiglia quando ad un certo punto ha parlato di una scuola pubblica che ha il monopolio ideologico. Noi abbiamo una concezione diversa dello Stato nel senso che sostenendo una legge di questo tipo affermiamo che la scuola statale ha una funzione che è importante, ma crediamo che accanto alla scuola pubblica debba poter svilupparsi anche la scuola privata. Questo per un'esigenza di pluralismo, nel senso che il compito fondamentale viene riconosciuto allo Stato, ma non assegnamo allo Stato una funzione di tipo monopolistico, quasi esclusiva dell'educazione scolastica. La differenza è questa: noi non riteniamo che oggi nella scuola pubblica ci sia un monopolio di carattere ideologico.
Così come credo debba essere detto che - lo dico alla collega Simonetti nella proposta di legge non c'è scritto "scuole private qualunque", c'è scritto chiaramente "senza fini di lucro" (l'art. 2 lo dice, mi pare nell'ultima riga, in modo esplicito). Quindi non si tratta di una proposta per sovvenzionare qualche imprenditore, ma soltanto le scuole che hanno queste finalità che sono ormai riconosciute, credo, da tutte le forze politiche.
Rispetto ad alcune polemiche qui ricorrenti e in modo particolare su alcune pregiudiziali di carattere giuridico che sono state avanzate, non si può neppure ignorare, al di là delle interpretazioni più o meno favorevoli che possono essere fatte attorno a questa proposta, qual era l'opinione del Costituente. E' vero, l'art. 33 della Costituzione al terzo comma dice: "Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato"; però io sono andato a rileggere il testo di diritto costituzionale relativo alla discussione che ci fu attorno a questo emendamento. Il testo concordato in Commissione prevedeva soltanto: "Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione". Nell'assemblea della Costituente del 17/4/1947 vennero proposte le parole finali "senza oneri per lo Stato" dagli onorevoli Corbino, Marchesi, Preti, Pacciardi, Rodinò, Codignola e Bernini. L'on.
Gronchi obiettò in aula che era "estremamente inopportuno precludere per via costituzionale allo Stato ogni possibilità di venire in aiuto ad istituzioni le quali possono concorrere a finalità di così alta importanza sociale". La risposta dell'on. Corbino, a nome anche degli altri firmatari l'emendamento (credo che Corbino, Marchesi ed anche Codignola siano noti politicamente), fu la seguente: "Noi non diciamo che lo Stato non potrà mai intervenire a favore degli istituti privati; diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato", quindi non ha escluso questa possibilità, ha solo impedito un diritto costituzionale automatico. Questa possibilità da parte di chi propose quell'emendamento era quindi prevista e fu anche ripresa dall'on.
Codignola il quale chiarì nuovamente che "con questa aggiunta non è vero che si venga ad impedire qualsiasi aiuto dello Stato alle scuole professionali; si stabilisce solo che non esiste un diritto costituzionale a chiedere tale aiuto". L'Assemblea approvò pertanto la formula "senza oneri per lo Stato" alla quale va attribuito il significato precisato dai proponenti. Durante la discussione si parlò di tutte le scuole non statali parificate e non parificate, nonché delle scuole istituite da Comuni e da altri Enti e delle scuole professionali; quindi tale formula e la sua interpretazione autentica si riferiscono a tutte le scuole non statali. Il Costituente aveva questa volontà, poi sono state date delle interpretazioni giuridiche diverse, però qui in aula mi è parso di sentire più che interpretazioni giuridiche aggiornate, qualche fossile di carattere culturale. Clericalismo, anticlericalismo: mi sembra più una polemica prerisorgimentale, addirittura neppure risorgimentale, del rapporto tra Stato e Chiesa che mi pareva fosse ormai superata, che sicuramente il Costituente superò nel momento in cui nell'art. 33 della Costituzione ha tolto allo Stato il monopolio dell'educazione. E' stata quindi fatta una scelta chiara da parte del Costituente a favore non di un certo laicismo o giacobinismo, ma di una concezione seria del liberalismo. Quindi coniugò il pensiero cattolico con una concezione liberale vera: questo mi sembra un fatto importante ed utile da richiamare.
Richiamo inoltre, perché ci credo completamente, anche per la sua attualità, che cosa Moro, sempre nell'Assemblea costituente, disse a questo proposito quando in alcune occasioni Nenni ed altri contestarono questa questione. Disse Moro alla Costituente: "Si dice che noi democristiani vorremmo umiliare lo Stato per sostenere la scuola privata. Non è vero: noi attribuiamo allo Stato ed alle sue istituzioni, e quindi alla scuola di Stato, una straordinaria importanza nella vita umana. Noi crediamo nello Stato che, pur con tutte le sue insufficienze, che sono ad esso connaturate, resta una forma elementare ed essenziale di solidarietà umana alla quale non possiamo rinunziare. A noi sembra essenziale" - diceva ancora Moro - "perché vi sia una vera libertà in materia di educazione, che sussista accanto all'iniziativa statale una molteplicità di iniziative educative ed una possibilità effettiva di scelta da parte di coloro i quali sono interessati al processo di educazione". E aggiungeva: "Non posso riconoscere allo Stato il monopolio dell'educazione, una capacità quasi esclusiva di educare, perché accanto alle esigenze di universalità che lo Stato sa far valere quando è democratico, quando rispetta l'uomo, vi sono altre esigenze di universalità che sono altrimenti proposte". Quindi non soltanto lo Stato è in grado di esprimere esigenze universali, ma possono esprimerle anche altri (associazioni, gruppi, religioni).
Rispondo alla collega Suino che ha avanzato quasi l'ipotesi che alla base di questa proposta ci fosse una radice di fondamentalismo e di intolleranza; dico assolutamente no, questa proposta è fortemente coerente con il dibattito e con quello che vollero i nostri padri costituenti.
Ma oltre alle riflessioni fatte, per non riferirci soltanto al passato credo che non si possa ignorare il fatto che il Parlamento europeo ha assunto delle posizioni chiare in ordine all'insegnamento privato; ha detto chiaramente in una sua deliberazione del 1984: "La libertà di insegnamento e di istruzione comporta il diritto di aprire una scuola e svolgervi attività didattica. Il diritto alla libertà di insegnamento implica per sua natura l'obbligo per gli Stati membri di rendere possibile l'esercizio di tale diritto anche sotto il profilo finanziario". Non per nulla Germania Francia, Gran Bretagna, Danimarca, Olanda, Belgio, Grecia e Portogallo prevedono interventi a favore delle scuole private senza fini di lucro, con modalità diverse. Addirittura in Germania le spese per il personale della scuola libera sono coperte dal finanziamento pubblico; in Gran Bretagna lo Stato concorre abbondantemente al finanziamento (manutenzione, costruzione ed altre provvidenze); in Francia sono previste sovvenzioni legate ad accordi tra scuola privata ed apparato pubblico. Abbiamo quindi in Europa un sistema legislativo a favore della scuola privata, ma con quelle finalità pubbliche, a differenza dell'Italia. Per noi la scuola privata non è qualcosa di diverso rispetto alla scuola pubblica, c'è un sistema integrato tra scuola pubblica e scuola privata e in questo senso la scuola privata ha il diritto di avere dei sostegni da parte dello Stato.
Alcuni colleghi hanno richiamato il parere negativo dell'Ufficio Legislativo. Ci pare che questo parere sia fortemente lacunoso perché la giurisprudenza ha opinioni diverse, qui è stata soltanto accolta una parte dell'interpretazione dell'art. 33, terzo comma, della Costituzione. Noi non condividiamo quel parere per le ragioni che ho detto prima citando il dibattito in ambito di Costituente e poi perché il problema sostanziale che noi poniamo al di là delle norme specifiche della proposta è quello della parità di trattamento degli alunni che frequentano le scuole autonome rispetto a quelli che frequentano la scuola statale. La Costituzione parla di parità di trattamento e di libertà di educazione.
Il quarto comma dell'art. 33 stabilisce questo concetto di parità, ma il problema della parità per forza di cose rischia di essere soltanto un'indicazione teorica se non viene affrontata la questione finanziaria.
Questo è ovvio, altrimenti diventa un fatto puramente fittizio. E la questione economica non è irrilevante anche parlando soltanto della scuola cattolica perché la scuola cattolica, per chi non lo sa, con i suoi 30.000 docenti e 400.000 alunni svolge un servizio di grande utilità per lo Stato italiano. Qualcuno ha fatto il conto che lo Stato risparmia con le scuole cattoliche - e parlo solo di queste - circa 3.000 miliardi all'anno. Vuol dire che i genitori delle scuole cattoliche rendono un servizio del valore di 3.000 miliardi al bilancio dello Stato di cui tutti beneficiano e che grava sulle loro spalle. Questa è la contraddizione: tutti ne beneficiano! Il secondo livello di ingiustizia consiste nel fatto che questa libertà educativa di scelta non è consentita fino a quando non è possibile accedere alle scuole autonome. Quella sulla parità senza oneri per lo Stato è una vecchia discussione così com'è stata presentata in alcuni interventi, cioè la formula non ha affatto il significato né il potere di bloccare autonome determinazioni dell'autorità pubblica e in questo senso noi esercitiamo un diritto che ci deriva dalla Costituzione.
La formula "senza oneri per lo Stato" serve solo a stabilire, come dicevano gli onorevoli Corbino, Codignola e Marchesi, che non esiste un obbligo automatico da parte delle scuole private ad esigere una sovvenzione, ma esiste una possibilità da parte dell'Amministrazione pubblica di poter intervenire.
Concludo dicendo che per noi da questa affermazione ("senza oneri per lo Stato") non deriva alcun obbligo, ma non nasce alcun divieto e quindi noi esercitiamo questo spazio offerto dalla Costituzione.
Qualcuno ha anche detto che lo Stato non deve intervenire per l'istituzione, per la costruzione, ma questa è un'interpretazione molto restrittiva sulla quale non mi soffermo. In ogni caso, al di là delle questioni di carattere giuridico che sono fondamentali e che possono sicuramente aiutare a dire che questa legge ha tutte le caratteristiche di costituzionalità, resta da fare ancora una considerazione di carattere sociale e politico che è altrettanto importante e dà più forza a questa proposta.
La legittimazione della scuola autonoma trova il suo fondamento soprattutto nella sua tradizione storica a servizio della società italiana specialmente nelle sue esigenze più popolari. Basti pensare ai Comuni piccoli: che cosa è stata la scuola materna? La risposta ad una domanda fortemente popolare.
Con questa proposta quindi non ci contrapponiamo alla scuola pubblica che deve svolgere un ruolo importante, ma l'esistenza di una scuola autonoma è fondamentale per la democrazia del nostro Paese.
Diceva prima il collega Peano che questa discussione è importante perché può finalmente trovare la luce un provvedimento che era stato elaborato in passato dal Gruppo dei cattolici democratici che hanno sempre creduto a questa concezione dello Stato. Oggi noi siamo non soltanto convinti sostenitori perché abbiamo firmato la proposta e abbiamo partecipato alla sua elaborazione, ma soddisfatti anche perché una parte del mondo laico presente oggi in Consiglio ha assunto una posizione di grande attenzione. Vuol dire che certi steccati, certi fossili di carattere culturale li stiamo superando; c'è un riconoscimento della funzione sociale da parte delle scuole autonome che ci lascia sperare che questo dibattito in corso non assuma più le caratteristiche risorgimentali da contrapposizione tra Stato e Chiesa, che è un fatto che bisogna ormai superare. Occorre procedere con grande attenzione a riconoscere ciò che è utile per la società, indipendentemente dalle forme di gestione, sempre evidentemente all'interno di un sistema che deve garantire l'ente pubblico come lo garantisce questa proposta, perché il contributo sia dato soltanto là dove c'è una convenzione, che deve garantire certi diritti di carattere pubblico e certi diritti individuali che vengono garantiti nella formula con cui è stata studiata la proposta, in modo particolare l'art. 3.
Il collega Peano ha detto che su alcune questioni probabilmente bisognerebbe ripensarci, soprattutto là dove si parla di Comuni piccoli e di Comuni grandi. Credo che questo sia un fatto importante. Al di là di questo aspetto che non è marginale, ma in ogni caso non è sostanziale, noi non solo condividiamo, ma invitiamo i colleghi che hanno espresso delle opinioni a ripensare alla luce di quanto detto (spero di esserci riuscito) che questa non è una proposta per difendere la scuola cattolica.
Assolutamente, collega Spagnuolo, non ha queste caratteristiche, l'ho detto in questo intervento, spero di aver dato un contributo utile al dibattito.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Papandrea.



PAPANDREA Rocco

Penso che il problema sollevato da alcuni, in modo sicuramente ideologico, della libertà dell'insegnamento c'entri poco con il dibattito che stiamo svolgendo, perché la libertà è garantita. Il fatto stesso che sussistano le scuole cattoliche ed altre scuole private, alle quali si pu accedere liberamente, secondo me trancia questo problema. Si discute d'altro, non della libertà, ma se il nostro Stato deve finanziare o meno queste strutture: questo è il vero problema! In ordine al finanziamento da parte dello Stato noi abbiamo posto il dubbio di legittimità di questa proposta, su cui si è pronunciata la struttura regionale che è preposta a questi compiti. Non esprimo un giudizio di merito perché non sono un costituzionalista, quindi non mi sento di dire se è stato interpretato bene o male, ci sono degli specialisti che fanno parte di una struttura regionale che analizza le varie leggi che la Regione predispone per valutare se sono compatibili o meno con il quadro legislativo nazionale e con la Costituzione, i quali hanno espresso delle serie perplessità. Credo che sarebbe stato più serio da parte nostra non considerarlo un parere estemporaneo, come alcuni Consiglieri hanno fatto, ma attribuirgli il giusto peso perché viene da persone più specializzate di noi su queste materie. Dico questo perché se passerà questo provvedimento il nostro Gruppo, anche sulla base di questo parere, lo impugnerà e chiederà al Commissario del Governo di fare una verifica. Noi pensiamo che eliminare sin dall'inizio una serie di perplessità potrebbe evitare l'interruzione di un iter legislativo sul quale si dovrà poi ritornare. Il fatto che esista un parere preventivo avrebbe dovuto suggerire una riflessione ulteriore e non semplicemente una discussione sulla correttezza o meno del giudizio, perché introduciamo elementi politici.
Se la Costituzione ha fatto certe scelte è perché alla base c'era la volontà che lo Stato garantisse a tutti i cittadini il diritto all'istruzione. Questo è il ruolo della scuola pubblica, che non è l'unica scuola. Credo che i cittadini di questo Stato debbano chiedere che ci sia una scuola pubblica che dà una formazione a tutti, che metta tutti sullo stesso piano e che sia in grado di svolgere questo compito. Il problema è questo e non la possibilità di rivolgersi ad altri. Semmai bisogna analizzare il fatto che questo diritto alla formazione da parte dei cittadini italiani non è sufficientemente garantito dalla scuola pubblica che non funziona sufficientemente bene perché non ha le risorse necessarie per svolgere questo ruolo. Noi sistematicamente sappiamo di scuole che vengono chiuse, ho anch'io dei bambini piccoli. Parlo con madri, residenti in piccoli Comuni, che vedono chiudere le loro scuole perché non c'è il numero sufficiente e così si obbligano bambini piccoli ad andare nel Comune vicino facendo magari dieci chilometri, o quanti ne sono necessari, lungo tutto l'arco dell'anno. La realtà della nostra scuola è sicuramente molto insufficiente rispetto alle esigenze delle famiglie e credo che ci sarebbe bisogno di investire di più in questo campo.
Qualche Consigliere ha detto prima che investiremo 23 miliardi nell'edilizia scolastica, però le richieste sono per 200 miliardi! Se le richieste nella Regione Piemonte sono per 200 miliardi e ne investiremo solo 23, vuol dire che saranno fatte delle scelte. Il nostro compito primario è quello di intervenire sul pubblico perché garantisca il diritto alla formazione.
Tra l'altro, è stato anche detto che dal punto di vista della formazione le scuole materne non sono poi così importanti. Non sono anche in questo caso un esperto in materia, però sono genitore di due figli piccoli e ritengo che da un punto di vista formativo la scuola materna non sia proprio così secondaria come importanza nella formazione degli individui. A mio parere, è molto importante e non deve essere banalizzata: la scuola materna non è il luogo dove "scaricare" i figli perché non si sa dove tenerli quando si lavora, ma è un momento in cui c'è un elemento di formazione del carattere più ampio dei bambini, di cui occorre tenere conto.
Concludo l'intervento con altre brevi considerazioni. Questo dibattito non si svolge solo nella nostra Regione o solo nel nostro Paese. Ricordo che in Francia, a fronte di leggi che andavano ad intaccare il principio dell'assoluta priorità della scuola pubblica, si erano avute le più grandi manifestazioni degli ultimi anni con centinaia di migliaia di persone scese in piazza per difendere il diritto alla scuola pubblica e la priorità della scuola pubblica sulle altre.
La Francia ha fatto una rivoluzione - quella francese di duecento anni fa - e ha quel tipo di cultura a cui ci dovremmo ispirare tutti quanti, che ha sancito una serie di cose importanti. Non siamo un Paese estemporaneo l'unico Paese in cui si parla di difesa della scuola pubblica, ma siamo in compagnia maggiore.
Un'ultima considerazione è questa: siamo anche preoccupati perché leggi come queste - e il tipo di dibattito che c'è stato rafforza questa preoccupazione - possono essere grimaldelli per una privatizzazione maggiore della scuola.
Ho sentito parlare di bonus e di altre cose. Credo che questo sarebbe ancora più negativo, perché se guardiamo i Paesi in cui la privatizzazione delle scuole è andata molto avanti (pensiamo agli Stati Uniti), vediamo che il diritto alla formazione non è garantito. C'è sicuramente una formazione legata al censo e alla ricchezza dei cittadini, che quindi non garantisce a gran parte della popolazione un tipo di scuola sufficiente per la formazione stessa.
Se si va in questa direzione pensando di utilizzare sistemi di questo tipo sarebbe ancora più negativo. Noi oggi facciamo questo tipo di pronunciamento e di discussione e il tipo di posizione che assumiamo è di difesa della scuola pubblica, ma soprattutto di difesa del diritto di tutti ad avere una vera formazione, che sia garantita indipendentemente dalla disponibilità delle famiglie.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FOCO



PRESIDENTE

La parola alla Consigliera Bortolin.



BORTOLIN Silvana

Grazie, Presidente. Vorrei far rilevare che sin dall'inizio della discussione di questo progetto di legge, avvenuta in Commissione stranamente ci si è voluta attribuire una posizione ideologica contraria all'intero progetto di legge da parte nostra, posizione che non corrisponde assolutamente alla realtà dei fatti.
Non siamo contrari a questo progetto di legge, non lo siamo perché men che meno intendiamo ideologizzare la proposta. Partiamo invece da considerazioni che riguardano un articolo specifico di questo progetto, sul quale abbiamo più volte richiesto un approfondimento e anche una disponibilità ad addivenire ad una mediazione da parte dei presentatori.
Non siamo contrari a questo progetto di legge, e più che le parole - mi rivolgo ai presentatori, ma anche all'intero Consiglio - per noi contano i fatti, perché non è così laddove noi amministriamo, e sono tanti i Comuni del Piemonte che amministriamo, dove siamo parte integrante e preponderante, a volte, dei Consigli comunali e delle Giunte; non è così perché, laddove amministriamo i Comuni, abbiamo istituito da tanti anni un buon rapporto di collaborazione con le scuole private.
Non è così, perché a livello di Regioni, dove noi esercitiamo il governo, abbiamo approvato delle buone leggi che hanno consentito un miglioramento delle scuole private o autonome in questa Regione, che è di tutto rispetto, anche riguardo alla proposta che stiamo discutendo.
Direi che l'ideologizzazione è venuta da altre parti, con dei pensieri davvero retrivi o con delle confusioni, come ha fatto il collega Ghiglia ad esempio.
Quella che stiamo discutendo non è una legge di principi, ma è una legge che prevede l'erogazione di contributi non ai Comuni, ma in specifico alle scuole private attraverso convenzionamenti con i Comuni convenzionamenti che possono essere liberi, ma possono anche essere convenzionamenti coatti, cioè che vedono i Comuni costretti da parte della Giunta regionale a convenzionarsi.
Non riteniamo che la scuola pubblica, e solo la scuola pubblica, sia il luogo dove si tutelano le differenze, differenze religiose o differenze fisiche. Credo che questo sia un pensiero fortemente deformato rispetto alla realtà. Così come non riteniamo che la scuola non sia libera e non sia democratica solo perché privata. Anche questo è un pensiero deformato rispetto alla realtà.
Poter scegliere liberamente da parte dei genitori significa avere a disposizione una pluralità di presenze sul territorio (scuola pubblica di buon livello, scuola privata ovunque, anche questa di buon livello).
Così non è, così non ce lo possiamo permettere in tutti i nostri Comuni, nemmeno per quanto riguarda la scuola materna e, per fortuna, in tutti i nostri Comuni prevale un forte buon senso nel lasciare, per esempio, soprattutto nelle piccole entità comunali, ampio spazio all'intesa tra Amministrazioni pubbliche ed enti od istituzioni private, utilizzando al meglio le risorse finanziarie ed umane a disposizione, che sono peraltro sempre limitate, evitando sicuramente sciocche rivalità ed inutili concorrenze sul piano della divisione ideologica.
Pochi sono i casi dove ciò avviene, quando si governano Comuni con più o meno di mille abitanti e dove l'infanzia, da 0 a 6 anni, è quasi ovunque ridotta al lumicino, e dove nella stragrande maggioranza dei casi il problema grande è quello della riduzione delle scuole o della chiusura di interi plessi scolastici.
La presenza della scuola materna privata o pubblica deve vedere invece un dibattito culturale serio sui programmi educativi, sulla qualità della didattica e del livello pedagogico che si è capaci di mettere in campo. Le scuole materne volute, ad esempio, da Maria Montessori competevano sul piano della qualità rispetto all'esistente.
Competere sulla qualità dei programmi educativi ha significato e significa ancora oggi elevare la qualità complessiva della scuola, con grande vantaggio di tutti; scuole private o pubbliche che siano e che sono presenti sul territorio.
Dopo, riteniamo, solo con la creazione di queste condizioni di fondo possiamo discutere di libera scelta da parte dei genitori con l'obiettivo di elevare la qualità complessiva della scuola.
Altro invece, a nostro parere, è il problema che viene posto con questa proposta di legge: garantire, attraverso contributi da parte della Regione Piemonte ad istituzioni private, la possibilità di esistere laddove il più delle volte questi contributi sono l'unica realtà che consente alle famiglie di poter disporre di una scuola materna.
Durante il dibattito in Commissione abbiamo più volte chiesto ai relatori, alla collega Casari, al collega Montabone e anche alla Giunta di offrire al Consiglio, ancorché alla Commissione, la conoscenza esatta della presenza delle istituzioni educativo-religiose private, ovviamente sul territorio della nostra Regione. Si chiamano asili e scuole materne infantili. Sono queste le diciture che vengono tuttora utilizzate e sono per lo più IPAB.
Non abbiamo avuto risposta nè da parte dell'Assessorato né da parte dei presentatori della legge.
Abbiamo voluto allora compiere noi una ricerca sulla realtà del territorio piemontese, e nella nostra ricerca siamo risaliti ad un provvedimento adottato dall'allora Assessore Mario Vecchione. Eravamo nell'anno 1977, il progetto obiettivo IPAB fu approvato dalla Giunta e poi dal Consiglio regionale. Era un progetto inserito nel Piano regionale di sviluppo, approvato per l'appunto dal Consiglio regionale nel 1977, e ancora prima dal DPR n. 616/77, che era stato emanato nello stesso anno dopo questo provvedimento regionale, che avviava il processo di trasferimento ai Comuni delle istituzioni pubbliche per l'assistenza e beneficenza, attraverso un censimento molto serio, terminato negli anni '80 (fatto tra l'altro dalla Regione in collaborazione con il CSI) abbiamo avuto di fronte uno spettro di conoscenza molto interessante, un punto serio di partenza, sia per l'Assessorato, ma anche per il Consiglio per poter discutere con conoscenza di causa la proposta di legge che abbiamo di fronte oggi. Noi non siamo in possesso di dati aggiornati sull'entità delle istituzioni pubbliche educativo-religiose che si occupano dell'infanzia così come non siamo aggiornati sull'entità del patrimonio, estremamente ragguardevole nella nostra Regione, di centinaia di miliardi e di quanto di questo patrimonio in questi anni, anche attraverso autorizzazione della Regione Piemonte, sia stato alienato.
Questa è una relazione che noi vorremmo avere, e che possiamo ancora richiedere, di accompagnamento a questo progetto di legge, che destina risorse della Regione, quindi risorse pubbliche, senza conoscere l'entità del fenomeno rispetto al problema che stiamo trattando.
Nel 1980 gli iscritti alle scuole materne infantili della nostra Regione e alle scuole elementari, istituti di educazione religiosa, erano 43.693; non conosciamo quanti sono i bambini da 0 a 6 anni o da 3 a 6 anni quello che sappiamo invece è che su 1.519 IPAB presenti sul territorio regionale, ben 506 (1/3) avevano e, probabilmente hanno tuttora, scopo educativo-religioso e che sono enti ed istituzioni in regola con la procedura ed i fini previsti dall'art. 25 del DPR n. 616/77 che è tuttora vigente.
Allora noi disponiamo con questa importantissima ricerca, censimento progetto IPAB, che aveva messo in piedi l'allora Assessore Vecchione, di dati anche suddivisi per comprensori e comunque per UU.SS.LL. e abbiamo l'entità, provincia per provincia o area per area, delle scuole educativo religiose presenti sul nostro territorio.
Sarebbe estremamente interessante sapere quante di queste scuole o istituzioni che hanno questo scopo educativo-religioso operano nel campo della scuola materna e quante - ed è questa una richiesta che abbiamo rivolto più volte in Commissione - di queste istituzioni, enti o associazioni private, hanno avuto il diniego da parte dei Comuni rispetto ad una richiesta di convenzionamento.
Questo punto è determinante, è fondamentale per approvare questa legge per destinare anche l'entità delle risorse; si passa da 1 miliardo a 5 miliardi. Colleghi Consiglieri, chi di noi ha in mano la situazione l'entità, gli importi necessari per far fronte a questo problema? Quanto possiamo disporre rispetto alle scuole materne private sul numero di bambini iscritti, di bambini frequentanti sulla realtà del nostro Piemonte? Quanti Comuni hanno opposto diniego alla convenzione? Quanti sono i bambini che frequentano scuole educativo-religiose nel nostro territorio di carattere non pubblico? Per approvare un progetto di legge come è stato presentato e come peraltro - ripeto - abbiamo sollecitato in Commissione, occorrerebbero anche questi dati, oltreché la discussione di carattere generale che non vede il nostro Gruppo contrario o in disaccordo per questioni di carattere ideologico, anzi, lo ripeto, le uniche osservazioni che noi facciamo su questo provvedimento vertono sul rapporto Giunta regionale-Amministrazioni comunali. Riteniamo che il rapporto prefigurato all'art. 3 - quando si tratta di contributo ai Comuni - veda il superamento di un aspetto di democrazia e di reciprocità, di rispetto reciproco tra Regione Piemonte ed Enti locali, Comuni prima di tutto, con la volontà, nonostante il rapporto che viene qui prefigurato con i Comuni stessi, di provvedere al convenzionamento e all'erogazione dei contributi.
Vi pongo una domanda, colleghi Consiglieri: e se il programma educativo non fosse adeguato? Noi vogliamo come Giunta comunque stipulare la convenzione? E se gli organi competenti della scuola non approvassero quell'istituzione privata come educativa nei confronti dell'infanzia? Non vogliamo dialogare, colloquiare, far sì che anche la scuola privata, la scuola materna privata sia messa in condizione di poter raggiungere il momento convenzionale con il Comune ed usufruire del contributo che noi siamo d'accordo possa essere dato da parte della Regione Piemonte? Per questo motivo l'unico problema che poniamo e gli unici emendamenti che abbiamo presentato sono di modifica dell'art. 3, ma con lo spirito di istallare con i Comuni un rapporto collaborativo per raggiungere lo scopo il convenzionamento, la finalità della legge ed erogare il contributo.
Voglio ancora fare una brevissima annotazione rispetto al comportamento del nostro Gruppo, e ancor prima dell'allora Gruppo rappresentato dal PCI.
Fu l'Assessore Mario Vecchione a stipulare, con un protocollo d'intesa, con le confessioni religiose del Piemonte una deliberazione della Giunta regionale del 4/7/1977, dove si volevano collocare le iniziative private facendo tesoro delle positive esperienze da parte di queste istituzioni nel quadro della programmazione zonale, comprensoriale regionale, oltrech posizioni negative e ideologiche.
Da questo punto di vista credo che valga la chiusura della presentazione del lavoro di censimento che fece l'allora Assessore Vecchione che diceva: "La Giunta regionale ritiene di aver agito in questi anni per evitare che strumentalizzazioni deteriori e disinformazioni mirate determinassero nella comunità contrasti artificiosi".
Credo che anche in questo Consiglio regionale, passati praticamente vent'anni, ci ritroviamo nella stessa identica fattispecie politica, e questo spiace molto soprattutto al nostro Gruppo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Care colleghi, cari colleghi, mi pare inevitabile che nel nostro dibattito si intreccino tanti elementi diversi di carattere politico finalità politiche differenti da parte dei vari Gruppi, esigenze, progetti tentativi, simulazioni d'effetto, precisazioni di posizione su un tema che in effetti è un tema di grande rilevanza. Non si può, a mio modo di vedere ridurre questa proposta di legge, che forse non a caso è di iniziativa consiliare, ad una proposta semplicemente di spesa. Non è giusto prenderla a basso livello, cercando di delinearne semplicemente dei contorni amministrativi; dietro a questo proposta di legge, dai promotori, e non solo dai promotori, ma da chi si affianca ad essa, o per accettarla su condizione o per contestarla alla radice, come fa il Gruppo di Rifondazione Comunista, ci sono problemi spessi. I problemi non stanno tanto nell'art.
33 della Costituzione, perché è di lì che i costituzionalisti hanno iniziato a riprogettare lo Stato repubblicano dopo l'esperienza fascista: uno Stato che, secondo l'art. 3, deve programmaticamente affermare, dal punto di vista di norma costituzionale, degli obiettivi con i quali ci misuriamo ancora oggi, fino al confronto in atto in quest'aula.
L'art. 3, al secondo comma, dice: "E' compito della Repubblica" quindi attribuisce alla Repubblica un compito preciso, che poteva non assumere, come hanno fatto altri Paesi - "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".
Questa è una delle architravi più importanti nella costruzione del nostro Stato, ed è importante perché poteva non essere scritta; si poteva proporre la costruzione, dopo il fascismo, di uno Stato che non prevedesse tra i compiti della Repubblica quello di rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano la libertà ed impediscono un pieno sviluppo della persona umana, poteva non essere scritto. Ma essendo stato scritto, cosa ne deriva? Ne deriva che l'istruzione pubblica rappresenta uno dei cardini e uno degli strumenti operativi per raggiungere l'obiettivo fissato nell'art.
3. Perché come si fa in una società diseguale, massacrata, come quella del dopoguerra, a rimuovere gli ostacoli economici e sociali? Bisogna che lo Stato, la Repubblica, organizzi - e sono articoli successivi - l'istruzione pubblica.
Vi è poi l'art. 33 che è un bellissimo articolo perché, fatta questa affermazione pesante nell'art. 3 (voglio, come Repubblica, rimuovere questi ostacoli), apre in un modo meraviglioso, dicendo: "L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento". Propone, in sostanza un'interpretazione di un modo d'essere dello Stato assolutamente laico ed improntato ad una libertà di principio di iniziativa assoluta. Ma dopo questa affermazione, giusta ("L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento"), nei successivi commi secondo e terzo l'enunciazione torna a legarsi in modo coerente e razionale con il compito che all'inizio, nel terzo articolo, si era dato questo Stato, ovvero di progettare un'istruzione pubblica con queste finalità di interesse generale. Tali commi infatti recitano: "La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi".
E poi aggiunge che "l'arte e la scienza sono libere", rendendo il tutto compatibile con l'obiettivo che "la Repubblica organizza" - perché vuole rimuovere gli ostacoli economici e sociali - "l'istruzione pubblica", e che "enti privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato". Possiamo avere tutti i pareri costituzionali e tutti gli arzigogoli di questo mondo, ma "senza oneri per lo Stato": è una frase di indubitabile chiarezza e, a mio modesto modo di vedere, anche ben inserita in questo progetto.
L'istruzione. Certamente l'istruzione è il luogo in cui si progetta quel futuro indicato nell'art. 3. L'istruzione, se ben vediamo, è anche un momento di una decisione statuale, in quanto, nell'ambito di una decisione su come organizzare lo Stato, due sono i settori che, almeno per il modo di vedere di un comunista degli anni '90, rimangono pieni del valore storico delle battaglie che la sinistra ha fatto: la sanità e l'istruzione. Ma tra questi due valori, la sanità - legata al diritto alla salute, per cui di fronte alla salute e alla morte siamo tutti uguali e lo Stato deve garantire, al di là dei redditi e delle provenienze, pari condizioni - e l'istruzione, è a quest'ultima che corrisponde ancora di più un elemento di qualità politica nell'organizzazione dello Stato. Infatti, mentre nella sanità eroghiamo servizi che riguardano il nostro essere naturale nell'istruzione affermiamo la volontà di uno Stato di portare le persone in prossimità di un'eguaglianza nelle condizioni di scelta.
Quello che intende garantire l'art. 3 della Costituzione a proposito dell'istruzione non è l'appiattimento, ma la possibilità, a fronte di un Paese con grosse diseguaglianze e grossi problemi, di avere un sistema di istruzione che prende il bambino e lo porta alle soglie della giovinezza quando può cominciare a lavorare o a studiare, in una condizione di coscienza di sé la più alta possibile, nonché di coscienza critica e di conoscenza della realtà tali da costruire gradualmente una società di persone libere che, in autonomia, possono decidere se studiare, non studiare, scegliere questa o quella strada.
L'istruzione è uno dei punti fondamentali, e la Costituzione lo dice.
Secondo l'opinione prevalente, la tendenza di questi ultimi anni è di elevare il periodo di obbligatorietà dell'istruzione sia spostandola in avanti - chissà quando ci riusciremo! - sia - e questo risulta meno evidente nelle intenzioni normative dello Stato italiano, anche se è molto diffuso nella prassi educativa - riconoscendo all'età prescolare (3/6 anni) un momento formativo molto più vicino all'istruzione dell'obbligo che non all'assistenza dell'asilo. Infatti oggi sappiamo che nel periodo che va dai 3 ai 6 anni si formano alcune strutture indelebili nel nostro modo d'essere e si pongono le basi della nostra capacità di ragionare. Per queste ragioni si giustifica già ampiamente l'intervento del settore pubblico.
Noi comunisti riteniamo che, quando si parla di istruzione (anche attraverso questa proposta di legge) e ci troviamo di fronte a discussioni e a punti di vista vari su come debba essere organizzato lo Stato in un momento cruciale di scelta dei ruoli, debbano essere rispettati i valori costituzionali. Bisogna assumere comportamenti politici e scelte amministrative che privilegino, non in termini astratti ed assoluti - la Costituzione così non dice - ma in termini programmatici e concreti l'istruzione pubblica, per una serie vastissima di valori che poco hanno a che fare con l'assoluto, ma molto hanno a che fare con la situazione della realtà italiana, che è molto diversa da quella del dopoguerra, ma che per certi aspetti è ancora quasi come nel dopoguerra. Ad esempio, quando si esaminano le differenze relative del grado di istruzione o nelle difficoltà relative che i ceti a basso reddito hanno di accedere ai livelli massimi dell'istruzione, molta strada è da fare.
Non siamo in un Paese in cui non c'è più bisogno dello Stato, in cui le persone sono tutte libere e in pari condizioni di scelta e di opportunità.
Allora, noi diciamo che la scuola pubblica è la scuola delle libertà. Quali sono le libertà della scuola pubblica e le libertà della scuola privata? La libertà della scuola pubblica è quella di impostare il pluralismo come la propria condizione d'essere obbligatoria, con una visione critica che non discrimina e non sceglie: questa è la grande libertà della scuola pubblica.
E solo non discriminando a priori e non scegliendo a priori, ma lasciando che all'interno di un organismo scolastico si esprimano i vari punti di vista e i vari orientamenti - la comparazione delle differenti opinioni anche politiche, delle differenti culture, religioni e quant'altro riusciamo a formare i giovani nel modo più libero.
Un percorso scolastico in grado di consegnare alla società persone che muovendo da punti di partenza i più eguali possibili, siano capaci di esprimersi in modo libero, è un'opportunità che solo la scuola pubblica pu dare, perché la scuola pubblica non sceglie, se non una cosa (perché la scuola pubblica una cosa la sceglie): i valori fissati dalla Costituzione e soprattutto i valori dell'antifascismo. E' questa la cosa che viene scelta, ed è una cosa che senz'altro rimane indigesta - lo vediamo ogni momento che tocchiamo questo tema - alla parte politica oggi rappresentata da Alleanza Nazionale. Ma questa è una scelta costituzionale.
Qual è la libertà della scuola privata? E' quella di scegliersi un orientamento, e la Costituzione dice: e sia, venga scelto. La scuola privata può scegliere orientamenti culturali, riferimenti economici orientamenti religiosi; ha questa libertà, ma è una libertà che, rispetto a quella garantita dalla scuola pubblica, è di un ordine tale che deve essere sì libera di esplicarsi, ma che non può essere oggi, nelle condizioni storiche date, caricata di un onere per uno Stato, che sta ancora lavorando in modo difettoso e con scarsità di risorse - all'attuazione dell'art. 3 e dell'art. 33 della Costituzione.
Non si tratta di dire che le due scuole sono uguali. Non sono uguali programmaticamente non lo sono, ed è anche giusto che non lo siano. E' giusto che chi richiede di mettere in piedi sistemi educativi confessionali o mirati al privilegio di una scelta culturale o di qualsiasi altro tipo debba poterlo fare, perché la Costituzione esce dal fascismo, e siccome nel fascismo la scuola pubblica e la scuola privata coincidevano (la scuola privata del Duce era la scuola pubblica dello Stato italiano), è importante mantenere questa distinzione.
Rispetto a questa tematica, in che situazione siamo in quest'aula? Senz'altro questa proposta per il centro-destra è un momento di affermazione di sé, anche programmatico. Le forze cattoliche presenti nella maggioranza di centro-destra hanno proposto questa legge sulla quale rappresentanti del Gruppo del Partito Popolare, che fanno parte storicamente dell'area del cattolicesimo, hanno un atteggiamento di totale o quasi totale consenso per le ragioni che ha rappresentato in quest'aula il collega Saitta sulle esigenze di pluralismo e sul sistema integrato.
Quello che ci divide da queste osservazioni è il fatto storico che oggi non esiste alcun obbligo - l'ha detto anche Saitta correttamente costituzionale di finanziare queste scuole, ma non esiste neppure la possibilità, che a nostro modo di vedere non può essere intrapresa oggi per il semplice motivo che gli obiettivi di riportare le persone da condizioni di diseguaglianza esistenti sono ancora molto là da raggiungere. Cosa succede allora? Che il togliere alla scuola pubblica queste risorse vuol dire ritardare il conseguimento di quell'obiettivo sociale. Può darsi che in realtà sotto questo ci sia, soprattutto dal centro-destra, una concezione delle differenze di classe che esistono, un'opinione che queste differenze di classe non siano nocive e non siano da superare, e cioè che le differenze di classe è bene che rimangano! Anche perch nell'interpretazione di tanti soggetti del centro-destra la differenza di classe viene vissuta dalla parte della classe dominante, quindi è ben comodo rimanere da quella parte e rallentare questo processo. Noi che rimaniamo contro uno Stato classista - e oggi è uno Stato classista diciamo non in astratto, ideologicamente, che leggi di questo tipo rallentano la composizione di una differenza di classe che per noi rimane un punto fondamentale.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PICCHIONI



PRESIDENTE

Prima di dare la parola al Consigliere Grasso, comunico che la seduta odierna avrà termine con la conclusione del dibattito generale su questo progetto di legge. L'esame dell'articolato e dei relativi emendamenti è pertanto rinviato alla seduta della prossima settimana. La I Commissione dovrà essere convocata per l'esame dell'emendamento finanziario, che è stato presentato dal Consigliere Montabone ed altri, giovedì 18 luglio p.v.
La Conferenza dei Capigruppo è convocata per venerdì 19 luglio alle ore 12 sotto la Presidenza del Vicepresidente del Consiglio, Foco, perché io parteciperò al Congresso del partito, e questa è una prassi che è sempre stata rispettata da tutti i Consigli.
Ha ora la parola il Consigliere Grasso.



GRASSO Luciano

Chi vi parla ha un'impostazione non comunista, ma laico-liberale. Non sono comunque stato impedito dal ricevere una prima infarinatura di istruzione da parte delle Suore, la cosiddetta istruzione che con questa legge dovremmo andare in parte a finanziare, perché non dobbiamo nascondere il fatto che gran parte delle scuole materne è gestita da strutture cattoliche. Questa prima infarinatura che ho ricevuto, non rinnego mi abbia consegnato dei valori; poi crescendo ci si può guastare, però certi valori originali non li voglio rinnegare nella maniera più assoluta. Questo va nell'ottica di quanto diceva Saitta; si stanno superando certe barriere certi steccati mentali, per cui il laico e il cattolico ormai hanno una visione più ampia della società.
Il rapporto tra Comune e scuole materne è stato comunque sempre molto difficile fino ad oggi, proprio per quell'equivoco di base: non si sapeva mai in che maniera si poteva finanziare una scuola privata. Nel Comune che ho amministrato ricordo che dovevamo arrivare a dei sotterfugi per poter finanziare in parte queste strutture: pagavamo ad esempio il gasolio per il riscaldamento con delibere che probabilmente in certi periodi, anche attuali, ci avrebbero mandato in galera. Forse non dovrei neanche dirle queste cose in Consiglio, però dovevamo cercare degli escamotage per poter dare dei fondi.
Il rapporto era difficile perché non era regolato da norme e c'era anche una forte carenza delle strutture pubbliche. Di fronte a questa grande carenza delle strutture pubbliche le strutture private sopperivano alle necessità impellenti ed oggi la situazione non è cambiata. C'è comunque sempre grande carenza delle strutture pubbliche, che è maggiormente evidente nei Comuni medio-piccoli e questa legge va nel senso di cercare di sopperire alle gravi carenze.
In ambito di PDS avevo sentito che la contestazione alla legge nasceva sul monitoraggio complessivo che si doveva fare per affrontare la legge stessa in maniera più organica, mentre invece da parte di Rifondazione Comunista ho sentito toccare dei temi che andavano a colpire l'essenza stessa dell'ordinamento democratico. Ho sentito dire che è lo Stato l'unico garante dei valori di democraticità e democrazia ed eguaglianza. Ho sentito dalla Consigliera Simonetti che quasi il verbo fosse questo: lo Stato è il verbo per garantire questi grossi valori. Devo dire che probabilmente non ci ricordiamo di quanto è successo, non tanti anni fa, con la caduta del muro di Berlino. Al di là del muro di Berlino esistevano delle realtà in cui lo Stato gestiva tutto: la cosa pubblica era comunque gestita interamente dallo Stato, lo Stato era il proprietario delle persone, delle case, della prole, degli indumenti, addirittura dei pensieri delle persone.
Non credo che questa fosse l'essenza più vera della laicità, della democrazia e dei valori più veri.
Oggi stiamo andando verso un mondo più tollerante e queste cose sono da lasciare al passato, così come dobbiamo lasciarne altre che riteniamo deteriori.
Stiamo cercando di arrivare alla soluzione di problemi emergenti. Il Consigliere Cavaliere diceva che questa gli sembra più una battaglia politica che non la ricerca di un dibattito vero: questa è certo una battaglia politica, ma tutte le battaglie che si fanno qui dentro sono politiche e devono arrivare alla determinazione di risolvere dei problemi che sono presenti sul nostro territorio, sono i problemi dei nostri cittadini e dobbiamo cercare di risolverli con spirito collaborativo.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FOCO



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Moro.



MORO Francesco

Grazie, signor Presidente. Da questo dibattito appare chiaramente che il progetto di legge n. 18 "Contributi ai Comuni per concorrere al funzionamento delle scuole materne autonome" è strumentale e fazioso da parte della maggioranza di centro destra che tenta sempre di privilegiare il privato nei propri programmi ed in ogni competenza istituzionale, dalla sanità al socio-assistenziale, all'agricoltura, all'ambiente e ai trasporti.
Il tentativo politico di enfatizzare un ipotetico finanziamento alle scuole materne private o autonome, perché avrebbero validamente contribuito all'uguaglianza effettiva dei cittadini, come prevede la Costituzione repubblicana nel rimuovere ostacoli all'effettiva uguaglianza dei medesimi è fazioso perché è lo Stato che deve provvedere alle effettive esigenze e ai diritti dei cittadini dall'infanzia alla vecchiaia. Questo, ovviamente non è sempre stato fatto.
La vera libertà, in un Paese democratico ed europeo, si misura concretamente nella possibilità di scegliere affinché il servizio pubblico in questo caso il funzionamento della scuola materna, offra dei servizi validi e abbia la possibilità di offrirli con risorse finanziarie concrete sufficienti, attraverso la scuola pubblica. Non intendo certamente affermare il monopolio del pubblico, ma ribadi sce che la garanzia costituzionale è lo Stato e che deve intervenire verso i bisogni dei cittadini. Ciò non implica che se un ente privato religioso o morale vuole, possa svolgere la propria attività educativa formativa o pedagogica verso l'infanzia o altro però in modo autonomo, guardando le leggi e senza finanziamenti pubblici che devono essere solamente prerogativa dello Stato che è garante di tutti i cittadini.
Come comunisti siamo da sempre in difesa del diritto allo studio libero, gratuito e democratico, contrastiamo le faziosità e i giochetti politici di una Giunta regionale che cerca i consensi elettorali facili.
Occorre governare seriamente questa importante Regione che è in bilico verso un grave degrado sia politico che economico che occupazionale. E' passato un anno di esecutivo ed i problemi urgenti del Piemonte si sono ulteriormente aggravati e peggiorati. Spero che governiate in modo più serio.



PRESIDENTE

La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18,20)



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