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Dettaglio seduta n.60 del 04/06/96 - Legislatura n. VI - Sedute dal 23 aprile 1995 al 15 aprile 2000

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PICCHIONI


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto 3) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico:


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Bellingeri, Farassino, Ferraris e Vaglio.


Argomento: Delega di funzioni regionali agli enti locali - Norme finanziarie, tributarie e di contabilita - Tutela dagli inquinamenti del suolo - smaltimento rifiuti

Esame progetto di legge n. 132: "Tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi. Attuazione della legge 28/12/1995 n. 549 Delega alle Province"


PRESIDENTE

Passiamo all'esame del progetto di legge n. 132, di cui al punto 10) all'o.d.g.
La V Commissione ha licenziato questo progetto di legge con i voti favorevoli dei Gruppi Forza Italia, Alleanza Nazionale, CDU e CCD. Hanno espresso invece voto contrario i Gruppi PDS e Rifondazione Comunista.
E' relatore il Consigliere Salerno, che non è presente in aula. Diamo quindi per letta la sua relazione, il cui testo recita: "Il presente disegno di legge si propone di dare attuazione, come l'analoga legge della Regione Liguria già approvata dal Governo, alla legge 28/12/1995, n. 549 che all'art. 3, commi dal 24 al 41, ha istituito dall'1/1/1996 un tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, al fine di favorire la minore produzione di rifiuti e il recupero dagli stessi di materia prima e di energia.
Il tributo è dovuto alle Regioni, con una quota del 10% spettante alle Province e un 20% (al netto della quota spettante alle Province) destinato ad un apposito fondo istituito proprio per favorire la minore produzione di rifiuti, le attività di recupero di materia prima e di energia.
La legge statale fissa inoltre, a proposito di tale fondo, precise priorità a cui la Regione dovrà attenersi, sia per iniziative che siano alternative all'attuale sistema di smaltimento, sia per il recupero e la bonifica dei suoli inquinati e delle aree degradate.
La legge statale fissa inoltre la base imponibile, l'ammontare minimo iniziale dell'imposta, che le Regioni con propria legge, da approvarsi entro il 31 luglio di ogni anno, possono variare entro un minimo ed un massimo stabilito dall'art. 3, comma ventinovesimo, della legge citata.
Il versamento del tributo compete al gestore della discarica e deve avere cadenza trimestrale. Inoltre, a fine anno è prevista una dichiarazione riepilogativa dei rifiuti conferiti e dei versamenti effettuati.
Sono previste precise sanzioni per il gestore stesso qualora ometta o non registri fedelmente le operazioni di conferimento, ometta o ritardi il versamento del tributo od ometta la dichiarazione di fine anno.
Sono previste sanzioni, oltre quelle già esistenti, anche per i gestori di discariche abusive e per tutti coloro che abbandonano, scaricano od effettuano deposito incontrollato di rifiuti.
Le sanzioni valgono anche per i proprietari dei terreni, ove non dimostrino di aver presentato tempestiva denuncia ai competenti organi della Pubblica Amministrazione.
La contestazione delle violazioni compete ai funzionari provinciali, che si avvalgono della cooperazione della Guardia di Finanza, ai sensi dell'art.
3, comma trentatreesimo, della legge citata.
Il successivo comma trentaquattresimo stabilisce che 'l'accertamento, la riscossione, i rimborsi, il contenzioso amministrativo e quanto non previsto dai commi dal 24 al 41 del presente articolo sono disciplinati con legge della Regione'.
Da questo dispositivo della legge statale scaturisce il presente disegno di legge regionale, che si propone pertanto sia di dare attuazione alla normativa statale, sia di dare agli operatori e ai cittadini un testo di legge organico e chiaro, di facile comprensione ed utilizzo, evitando inutili rimandi alla legge statale, anche a costo di ripetere esplicitamente norme già definite dal Parlamento.
In particolare, il presente disegno di legge stabilisce le modalità organizzative per la riscossione e il versamento del nuovo tributo previsto dalla legge finanziaria.
Le questioni più rilevanti sono: per l'anno 1996 (art. 14) il tributo stabilito dalla legge finanziaria è fissato, per chilogrammo di rifiuti conferiti, nella misura minima, cioè: a) 10 lire per rifiuti speciali b) 20 lire per rifiuti urbani (e rifiuti speciali assimilabili agli urbani che vengono conferiti in discarica di prima categoria) c) per i rifiuti dei settori minerario, estrattivo, edilizio, lapideo e metallurgico, la misura del tributo deve essere fissato con decreto del Ministro dell'Ambiente che è di imminente definizione.
Con la legge regionale, da adottare entro il 31 luglio p.v. e di ogni anno come stabilito all'art. 3, comma ventinovesimo, della legge finanziaria potranno essere previsti importi superiori al minimo, a partire dall'anno 1997, per i rifiuti di cui ai punti a) e b).
Tuttavia dovrà prima essere definito dal Ministero dell'Ambiente un coefficiente di correzione che deve essere utilizzato per il computo dei nuovi eventuali tributi per il 1997, sempre relativi ai rifiuti di cui ai punti a) e b).
Nel disegno di legge l'attenzione è stata posta alla necessità di coordinare le norme statali con quelle già vigenti per la nostra Regione in attuazione della L.R. n. 59/95 (art. 41), per non appesantire, ma anzi ove possibile, snellire le procedure a carico delle Amministrazioni provinciali e comunali nonché dei privati.
A tale scopo sono stati anche recepiti svariati suggerimenti scaturiti dall'ampia consultazione effettuata con le Province piemontesi, che molto hanno collaborato con i settori regionali, sia in base alla loro esperienza in materia ambientale che in materia di tributi.
Anche a seguito delle consultazioni effettuate con gli Enti locali sono stati definiti i seguenti punti. In coerenza con la L.R. n. 59/95 e con l'ampia delega di funzioni amministrative in materia di smaltimento rifiuti e relativo finanziamento alle Province, già effettuato dalla Giunta in attuazione della legge regionale all'inizio del 1996, viene delegata (artt.
4 e 7) interamente alle Province la funzione di riscossione dei tributi e il relativo contenzioso tributario ed amministrativo.
Inoltre, vengono incrementati gli importi dei contributi (art. 14) destinati dall'art. 41, comma primo, della L.R. n. 59/95 ai Comuni sedi di impianti di innocuizzazione e di eliminazione o di discarica e ai Comuni sede dell'impianto di stoccaggio provvisorio (rispettivamente da un minimo di 2 lire ad un minimo di 3 lire, e da un minimo di 1 lira ad un minimo di 2 lire, per ogni chilogrammo di rifiuti).
Inoltre, resta invariato l'importo minimo di 5 lire del contributo destinato alle Province, ai sensi del comma terzo dell'art. 41 della L.R.
n. 59/95 per le Province sede di discarica; a norma dell'art. 13 si è consentito alle Province un utilizzo più ampio e discrezionale, in materia di smaltimento rifiuti e per l'esecuzione della delega in oggetto, delle entrate conseguenti al contributo di 5 lire suddetto.
Si è infine valorizzata la scelta del legislatore statale in merito all'istituzione da parte della Regione di un fondo (previsto all'art. 12) per investimenti di tipo ambientale prevedendo la possibilità da parte della Regione di assegnarvi risorse 'almeno pari al 20%' anziché del 20%.
L'art. 1 stabilisce quali sono i rifiuti soggetti a tributo speciale e le modalità di smaltimento che danno luogo al tributo stesso.
Nulla si aggiunge alla normativa vigente, tuttavia pare opportuno esplicitare in un modo organico e in un unico articolo quanto la legge statale prevede in più commi.
L'art. 2 precisa quali sono i soggetti passivi che sono tenuti a versare il tributo.
L'art. 3 oltre a stabilire in attuazione delle norme statali la base imponibile e la determinazione del tributo, precisa pure come devono essere considerati ai fini tributari sia i rifiuti speciali assimilabili agli urbani e conferiti nelle discariche per quelli urbani, sia gli scarti e i sovvalli dei rifiuti speciali, tossici e nocivi. A tal proposito, si fa presente che, sulla base delle osservazioni delle Province, si è precisato che gli scarti e gli avvalli devono essere trattati secondo quanto previsto dai Piani regionali e provinciali.
La precisazione, che nulla innova, è dettata dalla necessità di evitare inutili contenziosi nell'attuazione della normativa statale di riferimento.
Con l'art. 4, oltre a stabilire le modalità di versamento, si procede all'attribuzione, tramite delega, alle Province delle funzioni relative alla riscossione del tributo, nonché del relativo contenzioso tributario ed amministrativo e l'eventuale rappresentanza in giudizio. Questo è in coerenza sia con la L.R. n. 59/95, che all'art. 28 ha previsto precise deleghe alle Province, sia in termini di rilascio di autorizzazioni di impianti di smaltimento che di rinnovo, di controlli e di emanazione dei provvedimenti conseguenti, sia con la stessa legge n. 549/95 che all'art.
3, comma trentatreesimo, ha posto in carico alle Province la vigilanza e la contestazione delle violazioni.
Pare quindi corretto, sia per il buon funzionamento della Pubblica Amministrazione, che così può essere più efficace e celere, sia per evitare duplicazione di atti e di livelli di controllo per i soggetti passivi di questo tributo speciale, che sia l'Amministrazione provinciale competente per territorio a svolgere tutte le funzioni proprie della vigilanza e della repressione di eventuali evasioni ed irregolarità, dalla contestazione delle violazioni fino all'eventuale riscossione coattiva.
L'art. 5 si propone di precisare modalità di presentazione, termini e contenuti della dichiarazione annuale prevista dall'art. 3, comma trentesimo, delle legge statale. Per esigenze di omogeneità su tutto il territorio regionale ed anche per favorire gli utenti nella compilazione si prevede che la Giunta regionale predisponga uno schema tipo di dichiarazione.
L'art. 6 riepiloga le modalità di accertamento e contestazione delle violazioni tributarie, che saranno a carico delle Province.
L'art. 7 stabilisce le modalità con cui le Province dovranno esercitare la delega, loro attribuita, ed attribuisce alle stesse il gettito derivante dalle sanzioni amministrative e tributarie, quale finanziamento delle funzioni delegate. In particolare, con questo articolo si precisano le modalità con cui le Province verseranno alla Regione il tributo di sua spettanza, procederanno ai rimborsi agli aventi titolo, produrranno annualmente la relazione sullo stato di attuazione della delega.
Inoltre, con questo articolo si intende tutelare anche gli utenti in quanto si prevede che gli eventuali rimborsi siano effettuati dalle Province anche per la parte di competenza regionale (salvo successiva compensazione fra i due Enti) per evitare duplicazioni e lungaggini burocratiche.
Con l'art. 8 si stabiliscono le modalità per l'applicazione delle pene pecuniarie, con la fissazione al minimo, almeno in prima battuta, delle pene stesse per coloro che pagano entro trenta giorni dalla notifica e non sono recidivi nelle violazioni.
Oltre al sistema dei ricorsi alle Commissioni tributarie previsto dalla legge statale, l'art. 8 introduce la possibilità di far pervenire alle Province scritti difensivi o documentazione atta a dimostrare l'infondatezza o la parziale inesattezza dei provvedimenti verbali e questo per favorire sia la funzionalità della Pubblica Amministrazione che il singolo utente, che così non sarà costretto, per errori risolvibili in autotutela dall'Ente pubblico, a ricorrere alle Commissioni tributarie.
L'art. 9 rinvia per le sanzioni amministrative alla legge n. 689/81 e introduce una sanzione per coloro che neghino l'accesso o non collaborino con i funzionari provinciali come stabilito dall'art. 3, comma trentatreesimo, della più volte citata legge statale.
L'art. 10 prevede che, rimasto inevaso l'avviso di accertamento, si ricorra alla riscossione coattiva ai sensi dell'art. 63 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/88.
L'art. 11 prevede la decadenza triennale, in analogia con gli altri tributi regionali, sia degli accertamenti per le violazioni tributarie che dei rimborsi, mentre per le violazioni punite con sanzioni amministrative non tributarie si prevede una prescrizione quinquennale.
L'art. 12 prevede l'istituzione dei due fondi per la minore produzione di rifiuti, ai sensi dell'art. 3, comma ventisettesimo, della legge statale.
L'art. 13 modifica alcuni commi dell'art. 41 della L.R. n. 59/95 prevedendo importi diversi e modalità operative più snelle per i contributi a favore delle Province e dei Comuni e la facoltà per la Giunta regionale sia di rivedere triennalmente gli importi di tali contributi sulla base dell'indice ISTAT, sia di utilizzare una quota parte del miliardo stanziato al capitolo 15620 del bilancio 1996 per finanziare l'esercizio delle funzioni delegate dalla presente legge.
L'art. 14 prevede alcune disposizioni di prima applicazione della legge quali la necessità di predisporre un archivio dei soggetti passivi di questa legge, la modalità di assoggettamento al tributo delle discariche abusive, nonché il rinvio del termine per il versamento del tributo relativo alle operazioni di deposito effettuato nel primo trimestre del 1996, al 31/7/1996, ai sensi dell'art. 12, comma primo, del DL 29/4/1996 n. 230.
Con l'art. 15 si prevede la dichiarazione d'urgenza".
La parola al Consigliere Bertoli.



BERTOLI Gian Pietro

Noi non abbiamo sentito alcuna introduzione a questo proposito, quindi non sappiamo neanche quali sono i motivi che hanno indotto il Consigliere Salerno ed altri a presentare l'emendamento all'art. 5 della legge n. 132 che pur'essa non è stata presentata in aula, ed intervengo quindi sul nulla.
Dobbiamo andare dunque per deduzione e pensare che la ragione per cui il Consigliere Salerno ed altri l'hanno proposto sia la volontà di rispondere ad un'esigenza abbastanza diffusa, che è quella di semplificare le procedure. In questo caso non sappiamo se quanto è stato proposto sia in effetti una semplificazione. Questo tributo è dovuto dai gestori di stoccaggio definitivo - quindi non da tutti i cittadini piemontesi, ma da persone che sanno gestire e praticare molto bene le questioni amministrative - e dai gestori di impianti di incenerimento, che sono circa 150. Noi non riusciamo a valutare se è più semplificato, com'era previsto nell'art. 5, presentare due copie all'Amministrazione provinciale e contemporaneamente una copia alla Regione Piemonte, oppure, come dice l'emendamento, presentare queste due copie all'Amministrazione provinciale la quale a sua volta invia alla Regione questa comunicazione. Di sicuro è un carico di lavoro superiore assegnato alla Provincia.
Detto questo, sull'emendamento ci esprimeremo negativamente non soltanto per la sostanza dell'emendamento, ma anche perché si inserisce in una legge che non condividiamo. Non condividiamo questa legge perché la filosofia nella quale si ascrive questo provvedimento è quella di utilizzare la tassa ecologica, chiamiamola così, che è stata posta proprio per questa ragione, una ragione ecologica, per andare incontro alle emergenze ambientali del nostro Paese, per altri fini.
Il disegno di legge presentato dalla Giunta non definisce criteri neanche per la ripartizione di quel 20% del fondo regionale derivante dal gettito della tassa ecologica, ma soprattutto il restante, circa il 70%, di questo gettito è stato annegato nel mare magnum dei vari capitoli del bilancio regionale. Anche se questa scelta è ammessa dalla legge nazionale n. 549, ribadiamo la nostra critica già espressa in occasione dell'approvazione del bilancio regionale e cioè che questa tassa doveva essere utilizzata prevalentemente per affrontare l'emergenza e l'urgenza delle questioni ambientali in Italia e soprattutto in Piemonte.
L'altra filosofia a cui pare si ascriva questo provvedimento è quella che ho già sentito denunciare in quest'aula e in altre circostanze: delegare, se possibile, soprattutto alla Provincia, le questioni e i problemi, ma non le risorse necessarie per affrontarli.
Questa delega di compiti, di accertamento, di riscossione e gestione del contenzioso tributario ed amministrativo imporrà alle Province l'istituzione di nuovi servizi ed uffici di entità non trascurabili sia in termini di risorse umane che di mezzi ed attrezzature. Sarebbe stato utile e ragionevole che la legge in questione avesse previsto, soprattutto in questa fase di prima applicazione e quindi di istituzione di uffici, ecc.
un concorso nelle spese sostenute dalla Provincia per l'esercizio della delega. Invece l'approccio a quest'ultimo aspetto è stato - come ho già avuto occasione di dire - molto levantino da parte della Giunta. In un primo tempo si è abbozzato di delegare alla Provincia questi compiti riducendo il contributo che la L.R. n. 59 prevedeva per le Province (il contributo era di 5 lire e si pensava di ridurlo a 3 lire); poi, con un emendamento della Giunta, si è ripristinato quello che si era tolto prevedendo che tali risorse introitate dalla Provincia (quelle prima tolte e poi ridate) possano essere utilizzate anche per l'esercizio relativo alla delega delle funzioni che questa legge prevede di porre in capo alle Province. Naturalmente questo a discapito della realizzazione di strutture di servizio, degli impianti tecnologici e delle discariche di cui c'è un'urgente necessità.
In sostanza, viene distolta una parte di risorse provinciali da interventi ecologici ed indirizzata ad interventi esattoriali. Insomma, c'è una filosofia complessiva. La tassa ecologica prevista dalla legge nazionale n. 549 è utilizzata in parte per esigenze varie dei bilanci regionali e la tassa ecologica prevista dalla legge regionale per le Province viene indirizzata verso fini esattoriali.
Voglio concludere questo mio intervento osservando, tra l'altro, che il disegno di legge n. 132 prevede un aumento di 3 lire al chilogrammo per i rifiuti da addossare ulteriormente ai cittadini, inasprendo ulteriormente il carico fiscale che la L.R. n. 59 prevedeva. Questo inasprimento secondo me è da sottolineare in senso negativo, perché un certo dibattito di maniera molto diffuso, alimentato dalla maggioranza, accusava la legge n.
59 di eccessivo fiscalismo e poi, con questo provvedimento, si va ad incrementare ulteriormente il carico fiscale sui cittadini previsto delle 5 lire.
Questo non è un esempio di coerenza tra quello che si dice e quello che si fa. Per queste ragioni, il nostro voto è contrario sia all'emendamento che alla legge nel suo complesso.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Moro.



MORO Francesco

Signor Presidente, il disegno di legge n. 132, in attuazione della legge n. 549, art. 3, commi dal 24 al 41, istituisce dall'1/1/1996 un tributo speciale per il deposito dei rifiuti solidi in discarica. Questo disegno di legge nel suo complesso è troppo lacunoso ed impreciso, per cui noi come Gruppo Rifondazione Comunista siamo contrari.
Nella relazione del provvedimento vi è un aspetto politico grave perché, così come viene concepito dall'Assessorato competente, si tende a scaricare (sulle Amministrazioni provinciali) tutta la complessa e difficile tematica della riscossione del tributo, senza però dare i dovuti e concreti poteri di accertamento e di attuazione economico-amministrativa necessari e corretti. Ciò ha creato anche incomprensioni, come si è percepito durante le consultazioni specialmente da parte delle Province di Torino, Cuneo ed Asti e non solo sulle famose 5 lire previste per le Province sede di discarica, ma anche per i meccanismi di accertamento e per il personale competente da collocare alla riscossione del tributo stesso.
Il trasferimento delle competenze citate, attraverso l'istituto delle deleghe, è concepito dalla Giunta regionale solo come un passaggio tecnico alle Province dei complessi problemi connessi al rifiuto solido urbano con le conseguenti grane giuridico-amministrative.
Certamente poi va rimarcato e ribadito che i proventi finanziari, che saranno incamerati dalla Regione Piemonte a seguito del progetto di legge dovranno essere assolutamente mirati ed utilizzati solo per i fini ecologici ed ambientali nell'esclusivo interesse del territorio piemontese e non nel calderone generale delle entrate.
Credo infine che l'esecutivo regionale, l'organo di governo del Piemonte debba dimostrare veramente di essere all'altezza del proprio ruolo politico ed amministrativo che viceversa, dagli atteggiamenti partitici che assume non pare proprio andare in tale senso.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cavaliere.



CAVALIERE Pasquale

Il problema - come ha ricordato il collega Bertoli - lo avevamo già affrontato in sede di discussione di bilancio, ora però la questione si è ulteriormente modificata, nel senso che dobbiamo - io auspico presto approntare il Piano regionale dei rifiuti.
Il Piano regionale dei rifiuti dovrebbe essere un atto importante, in grado di determinare la politica complessiva della nostra Regione sulla materia dei rifiuti; dovrebbe cercare, in qualche modo, di dare le linee direttrici, di dire insomma cosa fare. Allora non ha proprio alcun senso procedere adesso in questa direzione, senza sapere cosa ne faremo del Piano dei rifiuti, quali risorse bisognerà attivare, quali saranno le scelte anche tecnologiche, e via di seguito. Credo che questo provvedimento, per i motivi che prima richiamava anche il Consigliere Moro, abbia, da una parte questa fondamentale incongruenza.
Rimane poi in piedi tutta la critica generale al fatto che non si pu utilizzare, ma questa dovrebbe essere una scelta politica della Giunta altrimenti non ha senso fare dibattiti come quelli che sono stati fatti recentemente sul federalismo. Il nostro sforzo dovrebbe essere già con le leggi esistenti, sapendo che alcune risorse sono state tolte e sostituite con altre.
In qualche modo, si chiede ai cittadini una tassa su un problema dovremmo invece affrontare quel problema. La nostra richiesta è che tutte le risorse di questa tassa sui rifiuti vengano utilizzate per affrontare la politica dei rifiuti. Questa è la questione generale.
Ma ritorno al primo motivo. Ritengo che, senza sapere cosa si farà senza aver ancora deciso cosa si farà, si pregiudicano delle scelte che sicuramente andremo in qualche modo a modificare. Sui rifiuti si continua allora con la politica del giorno per giorno. Al riguardo, voglio sottolineare quattro volte all'Assessore che la politica del giorno per giorno è funzionale a qualcuno, soprattutto a chi vuole che sui rifiuti rimanga tutto tale e quale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Salerno.



SALERNO Roberto

n riferimento all'ultimo intervento, non capisco perché il collega Cavaliere definisca incongruente questa legge. Incongruente perché forse secondo lui, non c'è ancora un Piano generale dei rifiuti.
Comunque questa legge è un grande passo avanti: è una legge che io giudico, dal punto di vista tecnico dell'impianto, della sua ratio, la prima vera legge, nel vero senso della parola, di questa legislatura. Se noi la leggiamo attentamente troviamo che c'è un impianto classico, cioè viene identificato un tributo che fino a ieri non c'era perché la tassa sui rifiuti non era basata sull'effettiva quantità del rifiuto, ma sull'effettivo costo generale del servizio; con questa legge si impianta il vero concetto di base imponibile e cioè non c'è più un costo caricato semplicemente su una gestione, ma c'è una base imponibile che è diventato il chilogrammo. Un chilogrammo di rifiuti costa x, un tipo di rifiuti costa x, un altro tipo y o z.
La legge n. 549 dice quali sono le aliquote previste, 10 lire per i rifiuti speciali, 20 lire per gli RSU ed è ancora da determinare l'aliquota per i rifiuti di tipo diverso.
Credo che questa sia veramente un'ottima legge, ancorché la legge n. 549 che la prevede e che lascia quindi alla Regione l'obbligo di redigerla, non dia molto spazio ad essere razionale o ad essere in armonia con gli altri adempimenti cosiddetti generali. Di qui l'emendamento che ho presentato, in quanto questa legge prevede, oltre all'inserimento di una base imponibile di un'aliquota, che i gestori delle discariche tengano un'apposita contabilità, verificabile dalla Provincia e dalla Guardia di Finanza. E' un criterio logico e trasparente che, a mio parere, non fa una grinza.
Il mio emendamento riguarda la modalità di presentazione della dichiarazione che annualmente questi gestori devono presentare all'Amministrazione, però voglio ancora fare alcune considerazioni.
Intanto è una legge che istituisce e completa una vera e propria delega alla Provincia, perché può passare inosservato, però la legge n. 59, che prevedeva già una delega alla Provincia per la vigilanza, adesso prevede non solo questo, ma tutta la riscossione e il contenzioso, con il che si completa una vera e propria delega alla Provincia. Credo che questo sia in armonia con l'intendimento del famoso discorso delle deleghe.
Inoltre, c'è una ripartizione del gettito, che è la chiave di questa legge. Ammettiamo che il Consigliere Cavaliere l'abbia anche letta; saprà che il 10% di tutto il gettito di questa tassa va alle Province, per svolgere l'attività di delega, di riscossione contenzioso e vigilanza, e il rimanente 90% viene ripartito tra il Fondo per l'ambiente e le casse della Regione. Il 20% di questo rimanente, destinato al Fondo per l'ambiente, che è la chiave di questa legge, è il fondo che prevede la politica dei rifiuti, quindi la tendenza e la promozione della minimizzazione dei rifiuti, il recupero ambientale e quant'altro, è destinato genericamente in questo senso.
L'emendamento che ho proposto riguarda la modalità di presentazione di queste dichiarazioni: i gestori annualmente redigono un piano di entrata ed un piano di uscita. Il mio emendamento prevede una modifica laddove la legge stabilisce che i gestori spediscono sia alla Provincia sia alla Regione. Nell'emendamento ho previsto che la presentazione o la spedizione debba avvenire ad un unico ufficio, che è la Provincia, delegata al controllo e alla riscossione. Per cui l'emendamento prevede in triplice esemplare che i gestori delle discariche presentino alle Province; la Provincia poi ne manderà una copia alla Regione.
Concludo questo mio intervento dando pieno assenso e pieno parere favorevole alla legge in oggetto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Saitta.



SAITTA Antonino

Intervengo per rilevare come questo disegno di legge sia stato oggetto di una serie di consultazioni che ne hanno modificato la struttura originaria, nel senso che la proposta definitiva è anche il risultato di alcuni suggerimenti che sono pervenuti da parte delle Province, soprattutto nelle modalità di gestione di questa delega. In particolare per il contenzioso e per le modalità di sostegno dei costi per la gestione vera e propria di questo tributo.
L'opinione del mio Gruppo è di contrarietà, tuttavia il nostro voto sarà di astensione, non tanto perché questo tributo non debba essere applicato, il tributo va applicato in quanto lo prevede la legge n. 549, ma perché noi avevamo proposto ed individuato un meccanismo molto più completo.
L'applicazione della legge n. 549, per quanto riguarda il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, poteva essere anche l'occasione per riflettere sulla L.R. n. 59 del 13/4/1995, che all'art. 11 prevede l'aumento di 100 lire al chilogrammo per compensare il costo ambientale dei rifiuti. Noi abbiamo presentato una proposta in questo senso per coordinare le due imposizioni e far riflettere sulle risorse che la Regione potrebbe avere a disposizione per affrontare le questioni rifiuti.
Nella nostra proposta sosteniamo che i due tributi, cioè le 100 lire previste dalla legge n. 59 e le 20 lire previste dalla legge n. 549 sarebbero una cifra enorme per i cittadini ed enorme anche in termini di risorse, con il rischio che possano tentare di costruire un meccanismo di realizzazione degli impianti di trattamento dei rifiuti troppo assistito e quindi in contrasto con le esigenze del mercato. Questa nostra riflessione contenuta nella proposta di legge, non è stata discussa. C'è stato detto che sarà discussa in occasione del Piano di smaltimento dei rifiuti, per vedo che nella proposta che è stata già distribuita si dice poco o nulla sui finanziamenti necessari per la realizzazione degli impianti.
Siamo quindi dell'opinione che questo disegno di legge doveva e poteva essere l'occasione per fare un ragionamento più ampio sulle risorse necessarie per le politiche ambientali. Anche la stessa ripartizione del fondo contenuta nel disegno di legge non è il risultato di una riflessione attenta, mi sembra molto improvvisata. Non aver scelto la strada da noi indicata è stato un grande errore, perché rimanda il problema al Piano di smaltimento dei rifiuti che non si sa quando sarà esaminato.
In conclusione, siamo d'accordo per l'applicazione di questo tributo che è dovuto per legge, ma riaffermiamo come si sia persa un'occasione per pensare in termini realistici alla soluzione del problema rifiuti.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Cavallera.



CAVALLERA Ugo, Assessore all'ambiente

Ringrazio tutti i colleghi che sono intervenuti nella discussione, in particolare il relatore. Sull'emendamento presentato dal relatore sono d'accordo, perché introduce una semplificazione, anche se è una cosa minima.
Per quanto riguarda le altre osservazioni, per buona parte riportano in aula quanto già discusso in Commissione, ma per un'informazione anche all'esterno farò alcune puntualizzazioni. Ci troviamo ad applicare una tassa che certamente ha delle caratteristiche positive perché penalizza la produzione dei rifiuti, quindi sotto certi profili è un fatto che va in una certa direzione.
Tuttavia, dobbiamo anche prendere atto, con rammarico, che questo lo si decide all'interno di una legge finanziaria, non nell'ambito di una legge quadro sui rifiuti e lo si decide svolgendo delle manovre di tamponamento nei bilanci degli Enti locali. Per cui prendiamo l'ARIET, la diamo alle Province, prendiamo la tassa dei rifiuti, la diamo in parte alla Regione in parte alle Province, con dei meccanismi che poi alla fine sono anche un po' incomprensibili e fanno sorgere degli interrogativi come quelli che ci siamo sentiti rivolgere in questa sede dai colleghi che sono intervenuti.
Devo dire che le cifre indicate nel disegno di legge derivano da stime avremo modo di vedere le denunce effettive che verranno fatte con le modalità semplificate a cui faceva riferimento il Consigliere Salerno, e quindi anche l'andamento dei versamenti. Noi abbiamo compiuto delle stime che differenziano i rifiuti complessivamente dai fanghi palabili.
Quindi un 20% minimo dei fanghi palabili assomma a circa un miliardo un 20% presunto; per quanto riguarda i versamenti dai rifiuti, assomma a 10 miliardi, la somma ammonta a 11 miliardi di fondo investimenti nuovo che si determina in materia ambientale. Il fatto di aver previsto di indirizzare queste risorse tutte ad investimento è comunque una scelta. Certamente si può sempre dire che si può fare di più e meglio, però noi sappiamo anche che l'ARIET - mi ricordava il collega Gallarini prima - dava 70 miliardi circa; qui abbiamo una presunzione di incasso complessivo che si aggira a malapena sui 65 miliardi, togliamo il 10% che diamo alle Province, alla fine capite che la cifra è quella che è. Già la Giunta per fare la proposta di bilancio che ha fatto ha dovuto fare sforzi per recuperare non meno di una decina di miliardi per tamponare la falla del meccanismo ARIET Ecotassa.
Per il resto credo che non si possano - come diceva il collega Bertoli fare degli artifici del tipo prima ti tolgo e dopo ti ridò.
Colgo l'occasione per ringraziare sia gli uffici dell'ambiente sia gli uffici della ragioneria e del Settore tributi perché hanno svolto un lavoro veramente encomiabile in una fase in cui tutti i giorni vi erano delle novità in merito; vi era anche tutto un dibattito da seguire che poi è sfociato in un decreto legge che ha prorogato un po' i termini. Gli uffici avevano presentato una proposta che tendeva a mantenere un certo limite di gettito; alla fine ci siamo resi conto che le Amministrazioni provinciali avevano già steso i propri bilanci, quindi andare a modificare, in corso d'anno, un'aliquota anche se non molto rilevante poteva creare dei seri problemi alle Province, specialmente in un momento in cui le stesse si stanno ristrutturando per dare attuazione completa alla legge n. 59.
Quindi si è ritenuto che, a differenza di altre Regioni, dove ad un certo punto le Province portano a casa "solamente il 10%", nella nostra Regione vi sono comunque le 5 lire al chilogrammo della legge n. 59 che restano in essere e che sono prioritariamente finalizzate all'organizzazione del sistema di smaltimento integrato dei rifiuti.
Con questo disegno di legge abbiamo introdotto un emendamento che consente di utilizzare queste risorse anche per organizzare il nuovo servizio che è collegato anche a questa legge di delega. E' certamente un'ampia apertura di credito alle Amministrazioni provinciali e sono convinto che le stesse sapranno rispondere in modo adeguato.
Per il resto confermo ai colleghi - e in particolare al collega Saitta che avremo senz'altro occasione di discutere delle problematiche collegate alla contribuzione o alla fiscalità legata ai tributi. Certamente con il Piano di smaltimento, che consentirà un ragionamento complessivo avremo comunque una scadenza ineludibile che è quella del 31 luglio, entro la quale dovremo decidere il livello tariffario per il 1997.
Ci saranno quindi due occasioni, una di pianificazione complessiva e una particolarmente mirata alla fiscalità e alla contribuzione che ci consentiranno di fare chiarezza su questo argomento.



PRESIDENTE

Terminata la discussione, si proceda alla votazione dell'articolato.
ART. 1 - Si proceda alla votazione per alzata di mano, ai sensi dell'art.
44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 47 voti favorevoli 26 voti contrari 18 astensioni 3 L'art. 1 è approvato.
ART. 2 - Si proceda alla votazione per alzata di mano, ai sensi dell'art.
44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 47 voti favorevoli 26 voti contrari 18 astensioni 3 L'art. 2 è approvato.
ART. 3 - Si proceda alla votazione per alzata di mano, ai sensi dell'art.
44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 47 voti favorevoli 26 voti contrari 18 astensioni 3 L'art. 3 è approvato.
ART. 4 - Si proceda alla votazione per alzata di mano, ai sensi dell'art.
44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 47 voti favorevoli 26 voti contrari 18 astensioni 3 L'art. 4 è approvato.
ART. 5 Emendamento presentato dal Consigliere Salerno: il comma secondo dell'art. 5 è modificato come segue: "La dichiarazione in triplice copia deve essere presentata dall'Amministrazione provinciale competente per territorio, che provvederà entro il mese successivo ad inviarne una copia alla struttura tributaria della Regione Piemonte".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvato con 26 voti favorevoli, 4 contrari e 3 astensioni (non hanno partecipato alla votazione 4 Consiglieri).
Si proceda alla votazione dell'art. 5 come emendato, per alzata di mano, ai sensi dell'art. 44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 37 voti favorevoli 26 voti contrari 8 astensioni 3 L'art. 5 è approvato.
ART. 6 - Si proceda alla votazione per alzata di mano, ai sensi dell'art.
44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 37 voti favorevoli 26 voti contrari 8 astensioni 3 L'art. 6 è approvato.
ART. 7 - Si proceda alla votazione per alzata di mano, ai sensi dell'art.
44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 37 voti favorevoli 26 voti contrari 8 astensioni 3 L'art. 7 è approvato.
ART. 8 - Si proceda alla votazione per alzata di mano, ai sensi dell'art.
44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 37 voti favorevoli 26 voti contrari 8 astensioni 3 L'art. 8 è approvato.
ART. 9 - Si proceda alla votazione per alzata di mano, ai sensi dell'art.
44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 37 voti favorevoli 26 voti contrari 8 astensioni 3 L'art. 9 è approvato.
ART. 10 - Si proceda alla votazione per alzata di mano, ai sensi dell'art.
44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 37 voti favorevoli 26 voti contrari 8 astensioni 3 L'art. 10 è approvato.
ART. 11 - Si proceda alla votazione per alzata di mano, ai sensi dell'art.
44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 37 voti favorevoli 26 voti contrari 8 astensioni 3 L'art. 11 è approvato.
ART. 12 - Si proceda alla votazione per alzata di mano, ai sensi dell'art.
44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 37 voti favorevoli 26 voti contrari 8 astensioni 3 L'art. 12 è approvato.
ART. 13 - Si proceda alla votazione per alzata di mano, ai sensi dell'art.
44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 37 voti favorevoli 26 voti contrari 8 astensioni 3 L'art. 13 è approvato.
ART. 14 - Si proceda alla votazione per alzata di mano, ai sensi dell'art.
44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 37 voti favorevoli 26 voti contrari 8 astensioni 3 L'art. 14 è approvato.
ART. 15 - Si proceda alla votazione per alzata di mano, ai sensi dell'art.
44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 37 voti favorevoli 26 voti contrari 8 astensioni 3 L'art. 15 è approvato.
Si proceda alla votazione per appello nominale dell'intero testo della legge.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 50 hanno risposto SI' 31 Consiglieri hanno risposto NO 17 Consiglieri si sono astenuti 2 Consiglieri La legge è approvata.


Argomento:

Iscrizione argomenti all'o.d.g.


PRESIDENTE

Propongo di iscrivere all'o.d.g. l'ordine del giorno n. 225, presentato dai Consiglieri Marengo, Riggio, Bortolin, Manica, Suino, Angeli Cavaliere, Peano, Chiezzi, Simonetti, Moro e Dutto, relativo alle nuove forme di organizzazione dei servizi sanitari (day-service).
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' iscritto all'unanimità dei 40 Consiglieri presenti.


Argomento: Statuto - Regolamento - Consulte, commissioni, comitati ed altri organi collegiali

Esame proposta di deliberazione n. 221: "Costituzione di una Commissione speciale per la revisione dello Statuto della Regione Piemonte"


PRESIDENTE

Passiamo all'esame della proposta di deliberazione n. 221, di cui al punto 12) all'o.d.g.
Interverrò personalmente in quanto tale proposta di deliberazione è stata presentata dall'Ufficio di Presidenza.
La riflessione sulla revisione dello Statuto della Regione Piemonte si pone formalmente come conseguenza di un importante fatto tecnico-giuridico.
Infatti, con la nuova legge elettorale, la n. 49 del 1995, si è passati da un sistema di elezione degli organi regionali di tipo proporzionale puro che, in conformità alla normativa costituzionale rimetteva al Consiglio l'elezione del Presidente e dei membri della Giunta, ad un sistema elettorale di tipo misto in cui, almeno per il Presidente della Regione, la scelta viene rimessa, di fatto, al corpo elettorale.
In altri termini, da un sistema di governo costituito con l'assemblea eletta, che svolgeva una preminente funzione di indirizzo, si è passati oggi ad un sistema che, in qualche modo, prevede una legittimazione diretta del Presidente della Regione da parte del corpo elettorale, in cui lo stesso corpo elettorale è deputato a svolgere una sostanziale funzione di indirizzo.
Di conseguenza, gli istituti regionali elaborati in una stagione in cui dominava il sistema elettorale proporzionale richiedono oggi una revisione.
L'obiettivo che è necessario perseguire dovrà essere la modifica dei rapporti tra gli organi di Governo rispetto a quanto delineato dal nuovo sistema elettorale.
Lo Statuto della Regione Piemonte è stato antesignano e moderno nella parte in cui definisce i rapporti tra gli organi regionali.
Infatti, il modello in esso delineato è stato ripreso nella versione della legge n. 142 del 1990, antecedente alle modifiche apportate dalla legge n.
81 del 1993.
Oggi però questo stesso Statuto è superato.
La Regione Piemonte, proponendo la revisione dello Statuto, dimostra così grande sensibilità nell'interpretare i mutamenti del sistema politico che si sono verificati in seguito ad una legge nazionale approvata a Costituzione invariata.
La revisione dello Statuto, rispetto ai mutamenti del sistema elettorale, comporta un lavoro notevole, ma altrettanto notevole deve essere anche lo sforzo da compiere per quanto riguarda le norme relative all'individuazione del ruolo della partecipazione popolare.
Infatti la modifica dei sistemi elettorali implica anche una revisione della partecipazione dei cittadini alla decisione dell'Ente. Il ruolo della stessa partecipazione è del tutto diversa in un sistema nel quale i cittadini hanno una rappresentanza "mediata" attraverso il ruolo di indirizzo svolto dall'assemblea, rispetto, invece, al sistema in cui è il corpo elettorale stesso ad assumere una funzione di indirizzo.
In altri termini, la partecipazione dei cittadini nella struttura dello Statuto piemontese del 1971 era vista come correttivo al deficit di partecipazione popolare che nasceva dal sistema proporzionale.
Già lo Statuto della Regione Piemonte è stato assolutamente moderno nell'anticipare i principi di partecipazione del cittadino, sanciti poi dalla legge n. 241 del 1990, ma è altrettanto opportuno e necessario salvaguardare, estendere ed ampliare tale disposizione secondo i nuovi principi dell'amministrare che le leggi statali hanno introdotto.
Oggi la partecipazione nell'azione amministrativa deve essere vista come un canale di ampliamento del ruolo del cittadino. I procedimenti di partecipazione con cui il cittadino può interagire con l'Amministrazione regionale devono essere scanditi, come affermato dalla già citata legge n.
241/90, secondo i principi di efficienza, di economicità e di pubblicità.
A tal fine, per il raggiungimento di questi obiettivi, si reputa efficace l'utilizzo anche delle nuove tecnologie informatiche, che possono diventare lo strumento per la comunicazione effettiva, ma soprattutto immediata e assolutamente trasparente tra cittadino ed Amministrazione.
La Regione Piemonte, nella rivisitazione del suo Statuto, può allora dimostrarsi sensibile non solo al mutato quadro politico, ma anche a regolare i rapporti con il cittadino, adeguando ed adattando le proprie strutture ai moderni processi di comunicazione in un'ottica di democraticità ed imparzialità dell'informazione.
L'occasione della revisione statutaria deve tenere presente un'ulteriore prospettiva, quella di consentire un adeguamento alle modifiche avvenute nei rapporti che intercorrono tra la Regione, le Province e i Comuni.
Nelle pieghe dell'art. 3 della legge n. 142/90, e nelle altre norme che sempre la legge n. 142/90 prevede, è delineato un profondo ripensamento del ruolo che la Regione deve svolgere.
Naturalmente questa problematica, connessa con quanto sancito dall'art. 3 è magmatica perché per un verso richiede, da parte della Regione, norme di attuazione che ormai non è più possibile ritardare. Ma d'altro canto oggi è in corso una modifica proprio dei rapporti tra Regioni ed Enti locali, ed è quindi difficile avere punti fermi nella ricerca di un corretto equilibrio.
Basta ricordare il discorso dell'on. Violante qualche giorno fa a Milano.
Non c'è dubbio che gli Statuti pensati ventiquattro anni fa devono essere rimeditati anche alla luce dell'evoluzione di queste problematiche.
Questo tipo di revisione deve essere particolarmente significativo per la Regione Piemonte. Infatti, come il suo Statuto è stato antesignano nel definire il rapporto tra Giunta, Presidente della Regione e Consiglio; così come è stato concretamente moderno nel delineare la partecipazione dei cittadini all'attività dell'Ente, per quanto riguarda invece il rapporto tra Regione ed Enti locali, vi è, nelle norme statutarie, una concezione tesa ad affermare un ruolo di particolare accentramento nelle definizioni strategiche della Regione rispetto a Province e Comuni, intesi come terminali periferici della stessa Regione.
La Regione Piemonte, nel suo progetto di revisione, deve invece ricollocare e ridefinire il suo rapporto con Province e Comuni, cercando di attribuirsi un nuovo ruolo di programmazione e di coordinamento rivolto verso il basso, nel pieno rispetto delle norme costituzionali e del principio di autonomia degli Enti locali, quale delineato dalla legge n.
142/90. Proprio per avere uno Statuto assolutamente "moderno" sarebbe indispensabile tenere presente le evoluzioni legislative, anche se ancora in corso, sul principio di sussidiarietà.
Infine, ma non da ultimo, un'attenta rivisitazione dello Statuto della Regione richiede anche una curata analisi dei rapporti e degli eventuali nuovi vincoli, che discendono dall'istituzione della Comunità Europea (che non si limitano all'istituzione della Conferenza delle Regioni).
L'adesione dell'Italia alla Comunità Europea ormai comporta, per lo stesso ordinamento giuridico italiano, un adeguamento delle proprie leggi alla normativa comunitaria (regolamento, direttive).
Per quanto attiene all'ambito regionale, tutto questo non è privo di conseguenze per la Regione.
Le leggi regionali devono essere promulgate, secondo quanto sancito dall'art. 117 della Costituzione e dalla legge n. 281 del 1970, nel rispetto dei principi sanciti dalle leggi-cornice dello Stato o, ove non vi fossero, nei limiti sanciti dalle leggi statali sulla materia o dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico.
In realtà, anche se la materia è ancora in evoluzione - e la stessa giurisprudenza non ha definito dei precisi ed univoci criteri di applicazione - la Regione deve ormai cercare di analizzare, nel suo procedimento di revisione, gli eventuali limiti alla propria potestà legislativa che, già solo a livello di procedimento di formazione delle leggi e di legittimità, possono anche discendere dalla normativa comunitaria.
Molte delle riflessioni fin qui compiute tentano di dimostrare che sussiste un problema di ripensamento di alcuni aspetti centrali del ruolo della Regione.
Però, se si vuole volare più in alto, la rivisitazione dello Statuto deve essere l'occasione per ripensare anche "il posto delle Regioni nello Stato italiano e nel sistema istituzionale del Paese".
Si pensi, non per contestarne il valore, ma per cogliere la grande differenza politica e culturale tra la fase del 1971 e quella attuale all'art. 73, comma secondo, dello Statuto della Regione Piemonte, nel quale si afferma che "la Regione, nella politica di piano, opera per superare gli squilibri territoriali, economici, sociali e culturali esistenti nel proprio ambito e fra le grandi aree del Paese, con particolare riferimento allo sviluppo del Mezzogiorno".
Da questa disposizione emerge l'idea di una Regione che ha come obiettivo fondamentale non tanto quello di sviluppare e valorizzare, se pur nel rispetto del quadro unitario, le potenzialità della propria comunità quanto piuttosto quello di partecipare ad uno sforzo di integrazione della Comunità nazionale.
D'altronde, nello stesso art. 73, al primo comma, si delinea una partecipazione della Regione alla programmazione nazionale concepita come una vera forma di concorso della Regione alle decisioni programmatiche che divengono punto di riferimento e vincolo alle decisioni statali.
Inoltre nelle stesse disposizioni di principio (artt. 4, 5 e 6 Statuto Regione Piemonte), e anche questo lo si sottolinea per evidenziare il mutamento del clima culturale e non per contestarne i valori, è chiara la volontà di assegnare alla Regione un ruolo di impulso per una più penetrante "attuazione della Costituzione nel territorio regionale", più che non quello di soggetto politico istituzionale che si prefigge, come scopo, quello di esaltare, nel rispetto del quadro costituzionale comune le specificità e vocazioni della propria comunità.
Tali riflessioni sono la "spia" di quanto profondamente sia mutato il clima politico-culturale; del diverso ruolo che le Regioni, sotto la spinta della propria politica, chiedono oggi di svolgere e di quello che invece hanno assegnato a se stesse negli Statuti del 1971.
Le considerazioni fin qui svolte sono tese a dimostrare quanto profonde, urgenti e di alto spessore devono essere le riflessioni sul mutamento dello Statuto, che non possono quindi limitarsi a modifiche puramente formali e quasi burocratiche, bensì richiedono innovazioni che devono adeguarsi al nuovo modello che si vede delineare.
A differenza di quanto accadeva negli anni 1970/1972 (anni nei quali si parlava di modificare il quadro costituzionale, con la creazione di una Camera delle Regioni, ma soprattutto si considerava l'attuazione delle Regioni in quanto tali come fatto innovativo e le Regioni stesse di conseguenza avevano, o credevano di avere, anche attraverso la sola attuazione della Costituzione una funzione forte e precisa), negli ultimi anni le Regioni si sono preoccupate delle ipotesi di revisione della Forma di Stato, e non hanno invece dedicato particolare attenzione a se stesse e al ruolo che davvero possono e vogliono svolgere.
Mentre negli anni 1970/1972 si aveva un'idea forte di Regione alla quale si facevano seguire scelte giuridiche, oggi le Regioni cercano di elaborare proposte giuridiche dalle quali poi discendere, quasi per magia il loro ruolo.
Oggi le Regioni si preoccupano di "rubare il mestiere al Parlamento" piuttosto che di ridefinirsi culturalmente ed operativamente.
E' necessaria al termine di questo mio dire una riflessione sul ruolo che le Regioni vogliono svolgere.
L'affrontare queste tematiche significa allora per le Regioni essere davvero disponibili ad entrare nel merito dei problemi: significa chiarire prima di tutto quale ruolo vogliono assegnarsi.
Dalle funzioni che le Regioni intendono attribuirsi tutto discende: quale rapporto vogliono avere con lo Stato e con gli Enti locali quale "tipo" di decisione per l'approvazione del procedimento di formazione delle leggi, dei regolamenti e degli atti amministrativi ritengono più adatto quale modello di apparato burocratico-amministrativo è necessario quale rapporto tra politici e funzionari, pur nella obbligata rispondenza alla legge dello Stato, immaginano utile quali procedure decisionali in materie di finanza regionale ritengono opportune qual è lo sforzo finanziario da compiere quali modalità di redazione e di approvazione del bilancio si propongono come obiettivo quali strutture, mobili ed immobili sono in prospettiva necessari (dagli edifici ai sistemi informatici) qual è il salto qualitativo da fare negli apparati burocratici decisionali qual è il fabbisogno di nuove strutture quali sono i profili professionali che è indispensabile perseguire.
A tal fine la Regione deve predisporre un'analisi attenta e quanto più possibile realistica, sia pure svolta negli schemi obbligati della "simulazione", per meglio comprendere quali attribuzione rivendica e ad essa stessa assegna.
Un'idea "alta" di Regione: Come risulta evidente, si è apparentemente andati molto al di là di quanto un procedimento di revisione dello Statuto, per ampio che sia, a prima vista possa implicare.
I temi che ho voluto qui affrontare sono tuttavia tra loro strettamente connessi, infatti da un lato una revisione dello Statuto senza un'idea "alta" di Regione rischierebbe di tradursi in un mero adeguamento burocratico rispetto alle modificazioni legislative avvenute (ed eventualmente a quelle che sono in corso).
Per contro, la pretesa di elaborare un'idea "alta" di Regione, senza affrontare però il confronto con la realtà, e quindi senza definire un efficace progetto di fattibilità, è destinata soltanto ad accentuare la crisi del Paese e ad amplificare la cacofonia di un dibattito che rischia di essere inconcludente.
Signori, se per caso domani il Presidente della Repubblica dovesse firmare con un atto l'Italia federale, in che modo sarebbero organizzate strutturate, preparate le Regioni per poter realizzare l'Italia federale? Allora questa è una prova tecnica di trasmissione.
Credo che la Regione Piemonte, al di là di quello che potrebbe essere il conflitto o il contenzioso fra i Presidenti delle Giunte e i Presidenti dei Consigli, potrebbe effettivamente simulare una realtà virtuale di come una Regione come la nostra, con tutte le sue specificità, con tutte le competenze, con tutte le sue necessità, con tutti i suoi ruoli, potrebbe individuare domani, che cosa fare se domani effettivamente un decreto del Presidente della Repubblica, per un incanto, dovesse definire il passaggio dalla forma di Stato nazionale a quella di Stato federale.
Credo che questo sarebbe un buon campo di esercizio, al di là dello Statuto; sarebbe effettivamente offrire un contributo tangibile, fattibile concreto e reale a quella che è una discussione generale, che non pu limitarsi solamente ai sacri principi e che non può certamente, come ho detto prima, limitarsi a rubare le funzioni al Parlamento.
Come conclusione, auguro a tutto il Consiglio che l'impostazione di questo progetto di revisione statuaria, che potrebbe sembrare troppo ambizioso, ma che vuole essere solo attento alla realtà, non appaia n retorico né generico. E mi auguro che tutti i Gruppi politici vogliano dare, proprio per questa circostanza e per questo compito impegnativo, il meglio di sé stessi, della propria cultura giuridica, della propria esperienza di lavoro e anche della tradizione con la quale e nella quale hanno operato.
Affrontando la revisione dello Statuto, la Regione Piemonte pu oggettivamente dimostrare di saper cogliere la necessità di adeguarsi al "nuovo che si è già verificato" e di "anticipare un futuro che è già presente".
Il dibattito è aperto.
La parola al Presidente della Giunta, Ghigo.



GHIGO Enzo, Presidente della Giunta regionale

Credo che, gioco-forza, a quello che doveva essere un dibattito e una discussione su un tema, già per certi versi annunciato e deciso come quello di voler mettere mano ad una revisione dello Statuto della Regione Piemonte che chiaramente, com'è stato anche detto dal Presidente del Consiglio necessita oggi di una rivisitazione in relazione al meccanismo elettorale con il quale nella passata primavera siamo stati eletti come Consiglio regionale e poi, di conseguenza, come Giunta - si aggiunge oggi un tema di particolare contingenza, quello legato alle iniziative che il Governo sembra avere intenzione di assumere nei confronti di un decentramento delle funzioni o di un federalismo, come viene più comunemente chiamato. Anche se questo è un termine che a me personalmente non piace eccessivamente, sta di fatto un riammodernamento delle strutture dello Stato con un decentramento delle funzioni agli Enti locali periferici.
Oggi nel dibattito nazionale questo meccanismo sta assumendo - e di questo ne sono ampiamente preoccupato - delle posizioni di parte, nel senso che esiste la lobby dei Comuni, la lobby delle Province e la lobby delle Regioni, perché chiaramente anche i Presidenti delle Regioni cercano di portare avanti la tesi di un decentramento che passi, almeno per certe considerazioni, attraverso le Regioni.
Secondo me - e questa è una proposta che ho già fatto venerdì in un Convegno a Biella, ma essendo questa una sede costituzionalmente più importante colgo anche l'occasione per lanciarla qui - se Comuni, Province e Regioni non trovano un momento di contatto, un elemento di coesione nella proposta di un meccanismo di decentramento delle funzioni, credo che, vuoi per fatti contingenti, vuoi perché c'è la necessità assoluta di dare delle risposte immediate e veloci a questa strumentalizzazione del federalismo al nord, si rischia di creare un modello che, anziché risolvere e semplificare i problemi di gestione delle Amministrazioni, li complica.
Se come sembra, almeno da parte di alcuni esponenti del Governo, si vuole attuare questo decentramento a partire dai Comuni, a quel punto non si capisce quali Comuni, cosa fanno le Province e cosa fanno le Regioni se, per altri versi, da parte di alcuni esponenti sempre dello stesso Governo vi è l'intenzione di andare verso le Regioni, questo è estremamente preoccupante. In questo senso, come Presidente della Regione cercherò di attuare delle azioni nelle sedi opportune, in modo da creare un tavolo di concertazione e di proposta affinché il meccanismo di decentramento sia coordinato tra i vari livelli di enti amministrativi e che tutti questi enti compartecipino a questo tipo di progetto. Non c'è altro modo altrimenti si creerebbero obiettivamente una stortura e un meccanismo che come dicevo, anziché migliorare, peggiorerebbero di molto le cose.
Quella avanzata dal Presidente del Consiglio è una proposta, dal mio punto di vista, ricca di spunti e degna di particolare attenzione da parte di questo Consiglio regionale. Sono convinto che su temi come questo, di carattere costituzionale, debba essere un'assemblea come il Consiglio regionale a tentare, perlomeno, di fare delle proposte su un'ipotesi di decentramento delle funzioni. L'aspetto che però vedo, per certi versi, un po' contraddittorio e complicato è che non so in che modo le due cose possano vivere nello stesso momento; devono poi chiaramente confluire perché il cambiamento di uno Statuto regionale, nel suo evolversi, deve naturalmente tenere conto anche di quelle che sono le ipotesi di decentramento delle funzioni.
Oggi noi abbiamo una necessità primaria, quella di modificare e di ammodernare il nostro Statuto; nello stesso tempo, però, non possiamo aspettare che vengano delle azioni da parte del Governo sul decentramento o sul federalismo, che noi ci auguriamo avvengano in tempi e con discussioni corrette tra enti, ma obiettivamente non sappiamo quando potranno essere realizzate.
Ritengo opportuno, se è possibile - accogliendo la proposta del Presidente del Consiglio - partire con una revisione dello Statuto regionale e con una Commissione ad hoc, in grado di valutare eventuali modelli da proporre al Governo centrale nell'attuazione di un decentramento delle funzioni dello Stato.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Saitta.



SAITTA Antonino

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, le riflessioni svolte dal Presidente del Consiglio in ordine alla metodologia che intende adottare per la revisione dello Statuto sono totalmente condivisibili e tengono conto del particolare momento in cui questa discussione avviene.
Mi è parso di capire che la revisione dello Statuto non viene intesa come un procedimento fine a se stesso, ma come un procedimento che in qualche maniera deve aiutare la Regione Piemonte a diventare protagonista in questa fase del dibattito. Nel momento in cui lei parla di "prove tecniche di trasmissione" credo abbia immaginato - se è così ne siamo totalmente soddisfatti - che da questo momento si avvii al più presto una fase di riflessione concreta che possa mettere la Regione Piemonte in una condizione diversa rispetto alla situazione attuale: non più soltanto registrare in termini passivi un dibattito quasi di carattere nazionale, ma diventare un soggetto attivo.
Io credo ce ne sia fortemente bisogno perché le ragioni del federalismo, le ragioni del nord-est e le ragioni del Piemonte, se non sono chiaramente sostenute in termini forti e convincenti da parte delle istituzioni (il Presidente Picchioni lo ha fatto, ma ritengo lo debba fare il Consiglio regionale nella sua completezza) e se si accetta passivamente che federalismo voglia dire soltanto secessione, soltanto Padania, come molto spesso abbiamo discusso qui in Consiglio, credo che le difese delle nostre peculiarità verranno fatte soltanto dal potere economico.
Oggi abbiamo tutti quanti letto l'intervento su La Stampa del Presidente della FIAT, Romiti, che, con giuste motivazioni, sostiene con forza le ragioni del nord-ovest, la differenza del nord-ovest rispetto al nord-est. Mi pare questa un'utile considerazione di carattere non solo economico, ma anche sociale. Il Consiglio regionale deve rilevare questa interessante presa di posizione.



PRESIDENTE

Credo che questo sia uno dei momenti più alti di discussione della VI legislatura, perché sullo Statuto confluiscono un'infinità di riflessioni che non sono date solamente dall'attualità politica, ma anche dalla nostra cultura, non solamente giuridica, ma anche politica, per cui prego i Consiglieri, se vogliono collaborare, di tenere una compostezza riflessiva rispetto alle cose che si sentono.



SAITTA Antonino

Volevo sottolineare l'importanza della presa di posizione del Presidente della FIAT, Romiti, sulla peculiarità del nord-ovest. Credo che una presa di posizione simile in termini politici debba venire anche da parte della Regione Piemonte. C'è una differenza tra il Piemonte e il nord est, l'abbiamo già rilevato anche in occasione dell'incontro con i parlamentari piemontesi in quest'aula: c'è una differenza di tipo culturale e di tipo politico da parte del Piemonte rispetto al resto della cosiddetta Padania, che è una differenza profonda. Questa è la risposta concreta che noi possiamo dare a certe forme goliardiche espresse dalla Lega Nord di Bossi. Il Piemonte ha una sua realtà economica che è un'economia integrata un sistema di imprese integrate. Ha detto molto bene Romiti, non voglio enfatizzare questa presa di posizione, ma mi sembra oggi l'unica presa di posizione intelligente per rispondere ad una certa superficialità con cui il tema del federalismo è stato affrontato dalla Lega Nord.
Tornando alla questione della revisione dello Statuto, concordiamo sull'impostazione di un processo anziché di un compito a termine. E' evidente che, nel momento in cui si fa una riflessione sullo Statuto, non si può che fare riferimento a ciò che prevede la Costituzione italiana per quanto riguarda la capacità delle Regioni di darsi un proprio ordinamento.
Questo è uno dei primi limiti che dobbiamo rilevare: le capacità delle Regioni di darsi un proprio ordinamento sono ridotte. La Costituzione prevede questo potere generico di darsi un proprio Statuto, ma si tratta soltanto di un potere limitato. Se siamo interessati ad un sistema di regionalismo forte io credo che questo vincolo, che oggi esiste nella Costituzione, debba essere rimosso, cioè le Regioni devono avere una capacità propria di darsi un proprio ordinamento, che non vuol dire soltanto distribuzione dei poteri all'interno degli organi, ma probabilmente potrebbe anche voler dire capacità di decidere le modalità democratiche con le quali darsi gli organi. I riferimenti ai sistemi federali lo dimostrano chiaramente: si potrebbe decidere una forma elettorale anziché un'altra o una modalità di elezione dell'esecutivo anziché un'altra. In ogni caso, l'esigenza di rivedere lo Statuto pone questo problema: la Costituzione è troppo restrittiva.
In questo senso io credo che la Costituzione, in questo aspetto, ma anche in altri articoli, rilevi come ci sia una contraddizione tra alcune dichiarazioni che fanno riferimento alle Regioni ed altre considerazioni più forti sul piano giuridico che fanno riferimento alle Province e ai Comuni. In fondo la nostra Costituzione sotto questo aspetto è abbastanza "equivoca" e in qualche maniera tutto il nostro ordinamento risente di questa caratteristica: non esiste una gerarchia tra sistemi di governo (Regione, Province e Comuni) perché la Costituzione li considera tutti allo stesso livello, perlomeno in termini politici ed istituzionali.
Probabilmente questo è ancora uno schema valido, ma dobbiamo rivendicare la capacità di darci un proprio ed autonomo ordinamento, che ritengo sia la base minima per cominciare ad essere veramente federalisti.
Evidentemente il lavoro che compiremo sarà all'interno della legislazione vigente, all'interno della Costituzione, ma dobbiamo anche fare lo sforzo, nel momento in cui progettiamo una revisione, di pensare ad alcune modificazioni di carattere costituzionale. Pertanto, le "prove tecniche di trasmissione" devono essere fatte al di là e in certi momenti anche al di fuori della legislazione vigente, non per essere eversivi, ma perché possiamo immaginare delle proposte di revisione costituzionale praticabili.
Così come credo che, nel momento in cui noi discutiamo di revisione dello Statuto, non possiamo non riflettere sull'impianto regionale previsto dalla Costituzione, attuato poi con la legge n. 382 e il DPR n. 616.
Un altro tema che deve essere oggetto di riflessione è il riferimento alla legge n. 81 del 1970 per quanto riguarda la parte finanziaria che solleva l'altra questione, quella della fiscalità federale e della sua compatibilità con la sussidiarietà.
Sono queste alcune delle numerose questioni che dobbiamo affrontare, se ci interessa un dibattito, ma soprattutto un lavoro utile, così come ha indicato il Presidente del Consiglio.
L'osservazione degli Stati che hanno un sistema federale ci permette di elencare i nodi che devono essere affrontati in queste prove tecniche di revisione dello Statuto.
Il primo è come le Regioni possono partecipare alla formazione degli organi dello Stato centrale: è il tema della Camera delle Regioni (la Germania e gli Stati Uniti lo prevedono, ma in modo diverso).
Il secondo è stato citato prima: come le Regioni possono darsi un proprio ordinamento.
Il terzo è quello della ripartizione delle competenze legislative. Il nostro sistema costituzionale è un sistema che ha dei limiti.
Occorre decidere se superare il nostro modello che "enumera" le competenze della Regione e degli Enti locali e riserva allo Stato tutte le altre.
Personalmente, sono sempre più convinto che il modello debba essere capovolto: lo Stato deve avere competenza su materie definite e le Regioni e gli Enti locali sulle residue, possedere quindi la generalità delle competenze.
Il quarto nodo non è sufficientemente messo in evidenza, ma lo considero: è quello della ripartizione delle competenze e l'organizzazione degli apparati amministrativi.
Il modello da noi adottato, in base alla Costituzione, è ispirato al principio dell'integrazione delle competenze amministrative dei diversi soggetti istituzionali. Se si vuole cambiare questa impostazione, le strade percorribili sono due: il modello tedesco, che è un modello di federalismo amministrativo, cioè i Länder hanno la competenza amministrativa per dare esecuzione alle leggi federali il modello americano è invece improntato ad una totale separazione anche per quanto riguarda gli apparati amministrativi.
Non so qual è la soluzione migliore, ma non possiamo ignorare che gli Enti locali sono più vicini ai cittadini ed in grado di gestire, probabilmente meglio, molte competenze amministrative.
Il quinto nodo è sul sistema finanziario e fiscale. Qui non aggiungo altre considerazioni, oltre a quelle note nel dibattito politico sul sistema fiscale, ma mi pare ovvio che l'attuale sistema fiscale, previsto nella legge n. 81, deve essere rivisto completamente, perché una finanza quasi totalmente trasferita come quella attuale è un non senso.
Il sesto nodo è quello dell'organizzazione giudiziaria. Il sistema tedesco e il sistema americano sono caratterizzati dall'esistenza di giurisdizioni federali attraverso i singoli Länder. A mio avviso, la "giustizia" sarebbe proprio una delle funzioni da mantenere in capo allo Stato, ma si potrebbe avere un decentramento per la Magistratura amministrativa e contabile.
L'ultimo nodo che occorre sciogliere è quello delle garanzie costituzionali riconosciute alle Regioni, per quanto riguarda la revisione costituzionale, la giustizia costituzionale ed il loro territorio.
Mi sembrano, in termini molto sintetici, questi i nodi di una certa rilevanza che dovrebbero essere affrontati, anche discutendo dell'aggiornamento del nostro Statuto che, per forza di cose, se avviene all'interno della legislazione vigente, non può condurre a grandi risultati, ad eccezione, forse, di una puntualizzazione più aggiornata del potere degli organi in conseguenza del cambiamento della legge elettorale.
Mi auguro quindi, e da parte nostra c'è l'impegno, che questo lavoro sia utile proprio per presentarci, ai prossimi appuntamenti al dibattito sul federalismo, con un nostro contributo che non può che puntare essenzialmente su un atteggiamento cooperativo con gli Enti locali. Oggi mi sembrano prevalenti, a ragione, le esigenze delle autonomie; se l'atteggiamento delle Regioni è un atteggiamento di contrasto, finalizzato a frenare questa forte esigenza, credo che si faranno pochi passi in avanti. Occorre, invece, che le Regioni si pongano nell'ottica di tutelare le esigenze delle autonomie locali e di raccordarle.
Solo così la contrapposizione che c'è oggi, ad esempio, tra la prevista Conferenza Stato-Regioni o la prevista Conferenza Stato-Comuni, sarà possibile superarla, facendoci carico di un problema più generale e non soltanto dell'esigenza di mantenere un potere che non sempre le Regioni hanno esercitato bene. Grazie.



PRESIDENTE

La parola alla Consigliera Spagnuolo.



SPAGNUOLO Carla

Grazie, Presidente. Devo dire che mi riconosco nell'introduzione di tipo politico-istituzionale che il Presidente Picchioni ha voluto fare augurandomi che questo dibattito non sia di ordinaria amministrazione perché per tante ragioni in fase di ordinaria amministrazione certamente non siamo. Quindi, più acquistiamo questa consapevolezza, più rendiamo un servizio alla nostra Regione e credo anche al nostro modo di stare all'interno di questo Consiglio regionale.
Bene ha fatto l'Ufficio di Presidenza a porre la questione della revisione dello Statuto e io credo che l'introduzione nella quale il Presidente Picchioni ha voluto dare un taglio alto a questo dibattito sia molto condivisibile, così come ho condiviso l'intervento che è immediatamente seguito e che a mio avviso, dal punto di vista politico, era essenziale, nel quale il Presidente della Giunta ha posto interrogativi di percorso costituzionale perché tutte queste questioni sono sul tappeto.
E' evidente che abbiamo uno Statuto che ha venticinque anni; i valori ispiratori di questo Statuto, i cosiddetti principi dello Statuto, sono assolutamente validi e condivisibili a tutt'oggi; è chiaro che uno Statuto che è stato redatto all'inizio degli anni '70, è uno Statuto che risentiva della situazione politica ed anche economica di quegli anni. Pensiamo che sono passati soltanto venticinque anni, ma anche a cosa aveva significato in quegli anni la problematica dell'immigrazione dal sud dell'Italia al nord, che era tutta in fase di definizione, con tutte le grandi problematiche di carattere economico-sociale che essa comportava.
Lo Statuto viene redatto agli inizi degli anni '70, all'indomani del boom economico; pensiamo cosa ha significato, dal punto di vista della democrazia, per quegli anni tutta la fase del terrorismo. In questi anni il Piemonte è cambiato ed è cambiato il nostro Paese, complessivamente. Oggi e dovremo tenerne conto nella revisione dello Statuto - sono diversi i partiti, è diverso il ruolo dei partiti, lo ha citato il Presidente Picchioni, abbiamo dei diversi sistemi elettorali che tanta importanza hanno oggi rispetto agli organi della Regione Piemonte, quindi all'organo Giunta, all'organo Presidente della Giunta regionale.
Oggi nel nostro Paese si tende a governare con il sistema dell'alternanza, la politica e il Governo nazionale agiscono in una logica di aggregazioni politiche, è cambiato il personale politico. Il Presidente ha citato la problematica dell'Europa, dell'adeguamento essenziale, per governare il Piemonte, così come le altre Regioni, alla normativa legislativa dell'Unione Europea. Sono tutte grandi questioni con le quali dobbiamo fare i conti e talvolta sentiamo che non sono risolte nella nostra Carta Costituzionale. Di tali questioni si dovrà ridiscutere in occasione della revisione dello Statuto, in una stagione nella quale non possiamo prescindere, dal punto di vista politico generale, dalla revisione delle regole.
Certamente i principi ispiratori dello Statuto, validi tutt'oggi, sono dei principi ispiratori di straordinaria modernità. Pensiamo soltanto a quella norma di Statuto che fa riferimento alla tutela del paesaggio allora decisamente avveniristica. Recentemente si è svolto un importante convegno internazionale sul tema della tutela del paesaggio, argomento che è diventato un elemento portante della cultura moderna.
Ci sono anche altre questioni. Se dovessimo rivedere oggi i principi dello Statuto, dovremmo anche pensare alle grandi emergenze, perché negli anni '70 lavoravamo in città nelle quali si organizzavano le scuole per i tripli turni.
Dovendo oggi riformulare i principi ispiratori della Regione Piemonte non dobbiamo dimenticare la grande emergenza anziani, le residenze per anziani, soprattutto se malati e poveri. Un altro grande problema è legato all'emergenza occupazione.
Rileggendo lo Statuto, ho constatato che in esso si parla, almeno tre o quattro volte, di Consigli di fabbrica; oggi probabilmente non useremmo più questa terminologia. Abbiamo l'emergenza occupazione e abbiamo altre emergenze. Pensiamo quanta importanza culturale e morale ha oggi l'emergenza che io voglio chiamare "prevenzione". Penso alle tossicodipendenze, penso all'AIDS: sono grandi questioni che una Regione che voglia dare un progetto al proprio futuro deve affrontare. Penso alla questione dell'informazione - ne abbiamo parlato l'altra volta - e del ruolo della comunicazione. Lo Statuto già lo prevedeva, perché tratta a lungo dell'informazione. Oggi dobbiamo affrontare il problema del rapporto con la comunità internazionale e con le reti di comunicazione di carattere internazionale.
Nel dibattito sulla rilettura dei principi dello Statuto della Regione Piemonte, bisogna riflettere su queste emergenze, mentre devono essere mantenuti a pieno titolo i principi della partecipazione e della consultazione. Pensiamo anche alla modernità di questi principi.
Non voglio riprendere la parte di intervento del Presidente del Consiglio regionale sulla questione della partecipazione, ma noi siamo arrivati, non a caso nazionalmente, alla formulazione della legge n. 241 che sostanzialmente rappresenta il diritto del cittadino rispetto alla Pubblica Amministrazione e alla partecipazione nella Pubblica Amministrazione.
La parte dei principi è fondamentale, perché disegna una morale e una strategia per la Carta Costituzionale del Piemonte. Quindi, credo che opportunamente sia stato posto il secondo interrogativo, perché se mettiamo mano alla revisione tracciamo un bilancio di che cosa abbiamo fatto, noi in questi venticinque anni, e delle leggi che abbiamo emanato. Noi siamo stati in questi venticinque anni dei buoni legislatori? In un suo intervento, Galli della Loggia ha in proposito formulato molte perplessità. Noi abbiamo risposto, così come prevedeva tutta la filosofia dell'attività regionale, al principio della programmazione? Le nostre leggi sono improntate troppo spesso al principio della gestione. Il non aver corrisposto a tale filosofia ci fa dire che i nostri rapporti con le Province e i Comuni non sono rapporti ottimali e che devono essere migliorati. C'è troppa gestione nelle nostre leggi, ma ormai lo si dice anche.
Ringrazio quel funzionario che l'altro giorno - io non faccio parte della IV Commissione - ha citato una legge, ma in realtà non è una legge che ci riguarda, perché è una legge che eroga dei contributi, sebbene con delle motivazioni. Abbiamo posto la questione discutendo della legge che riguarda le scuole materne private, non per contrastare un principio che oggi è nella logica ed è anche già un po' nella cultura generale, ma perch il sorpassare i Comuni comportava per la Regione una logica di gestione diretta, che non agevola la soluzione del problema che quella stessa legge voleva affrontare. C'è troppa gestione e questo fa sì che i Comuni e le Province stiano sollevando rivendicazioni nei confronti dello Stato centrale e anche nei confronti delle Regioni. Non ci ha certamente aiutato la legge n. 142, perché essa, pur individuando un grande comparto di competenze (le grandi competenze delle Province), evidentemente corrispondeva alla storica fase nella quale è stata emanata, caratterizzata dall'appannamento dell'immagine delle Regioni e del loro ruolo. Non essendo queste cose casuali, dobbiamo tenerle in conto.
Non è un caso che oggi il dibattito si stia sviluppando nella direzione della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Stato-Città, perché c'è una modificazione della legge elettorale, che ha portato - vedete come le questioni si collegano - all'elezione diretta del Sindaco, che evidentemente conferisce ai Sindaci, soprattutto nelle grandi città, un livello di rappresentatività del quale essi si sentono portatori e che vogliono esprimere al massimo. In questo senso io ho letto le dichiarazioni di Violante, per esempio, e le dichiarazioni di Napolitano.
Credo che la Regione, non per allentare la tensione, ma per fare ci che già nello Statuto è scritto, debba attivare il sistema delle deleghe.
Lo dobbiamo attivare per come nella Costituzione, in un titolo apposito quindi non soltanto in un passaggio, esso è previsto. Evidentemente ispirandoci al principio della sussidiarietà, non vedendo nel sistema delle autonomie, considerate nel loro insieme, delle conflittualità, ma ponendoci, come Regioni, un po' a capo di un'azione più vasta. Io sono sempre per il principio dell'aggiungere. Non vorrei vedere nel rapporto Sindaci-Governo una questione di conflittualità, ma noi dobbiamo far sì che il sistema delle autonomie si presenti più forte rispetto al Governo centrale, perché in qualche modo, rispetto ai Comuni e alle Province, anche noi siamo stati centralisti e non sempre abbiamo emanato buone leggi di delega. Penso, per esempio, alla legge n. 59, che ha previsto le deleghe con deliberazione, mentre invece le deleghe sono un momento alto della vita di una Regione, quindi anche della nostra vita.
Che cosa possiamo già cambiare noi in questo Statuto? Ritengo certamente la questione delle deleghe. Ho letto con attenzione la lettera del Presidente Ghigo - Presidente, prendo anche il tempo del collega Angeli, perché non faremo altri interventi - di cui ho avuto notizia dai giornali, indirizzata al Presidente della Regione Veneto, mi pare, che condivido quando dice che dobbiamo incentivare il ruolo di iniziativa legislativa regionale nei confronti del Parlamento. E dobbiamo, da questo punto di vista, pensare di incentivare il principio della partecipazione popolare; se c'è un tempo nel quale i cittadini ci hanno detto - ci piaccia o non ci piaccia - che esiste un problema di partecipazione popolare, nel nostro Statuto dobbiamo assolutamente incentivare la questione.
Esiste poi il capitolo dei rapporti con il Parlamento; e ci sono cose che il Parlamento già oggi può fare. C'è stato un deficit, nella Conferenza delle Regioni, negli anni, di iniziativa politica; c'è stata una conflittualità esagerata ed esasperata fra Presidenti delle Giunte e Presidenti dei Consigli: credo che noi dobbiamo vedere, nella Conferenza Stato-Regioni, la sede corretta nella quale - voglio usare le parole di un Ministro competente, Bassanini - "utilizzare tutti gli spazi di autonomia consentiti dalla Costituzione vigente". L'attuale, evidentemente, è un momento di grande iniziativa costituzionale; e io credo che in questo le Regioni abbiano già fatto tutti gli studi possibili. Come ho già detto, il "documento Caprarola" riprende altri dieci documenti che in questi anni e nel passato sono stati presentati; oggi però ci troviamo in un'emergenza politica importante, alla quale io credo, quella del federalismo. Penso che le Regioni debbano avere un ruolo attivo, utilizzando, appunto, "tutti gli spazi di autonomia consentiti dalla Costituzione vigente".
Sono stati toccati tutti i temi: la modifica dell'art. 117, l'autonomia finanziaria, la Camera delle Regioni. Occorre rivedere, per esempio, la questione dei controlli. Non è più possibile che il Governo attui controlli di merito rispetto alle nostre leggi; la quasi maggioranza dei controlli finisce per non essere un controllo di legittimità, ma di merito. Se andiamo verso l'autonomia, dobbiamo arrivarvi anche relativamente all'eliminazione dei controlli, a prescindere dal federalismo.
Dobbiamo andare ad una rilettura della problematica federalista, quel federalismo che Alfiero Spinelli individuava: il vero federalismo, che non è fatto per dividere, ma per unire. In questo senso, credo che i grandi commentatori di questa fase politica, quando parlano di unità, intendano un federalismo attuato per unire.
Tutto ciò in una fase che non è - dobbiamo averne la consapevolezza di ordinaria amministrazione: non lo è sotto l'aspetto economico, non lo è sotto l'aspetto politico. Non certo sotto l'aspetto economico perché il debito pubblico, la disoccupazione, i problemi emergenti di altre immigrazioni ci pongono in una situazione di eccezionalità; non certo sotto l'aspetto politico: il Presidente della Repubblica, Scalfaro, ha fatto recentemente un discorso nel quale si dice che siamo nell'eccezionalità e che con realismo dobbiamo affrontarla; "Pontida" ci richiama, da un altro versante, alle stesse valutazioni.
Ho voluto leggere come risposta all'eccezionalità, anche le dichiarazioni recenti del Presidente del Consiglio, Prodi, quando parla "di immediato e profondo trasferimento di funzioni". Non dimentichiamo che c'è un decreto del Governo Dini che dice che entro il 30/11/1996 devono essere trasferite le funzioni.
In conclusione, credo che la revisione dello Statuto sia un'occasione di carattere politico-istituzionale. Intanto, per un rilancio dell'immagine della Regione e non certamente attraverso manifesti o quant'altro, ma di carattere politico-istituzionale, per ripensare ai nostri ruoli e alle nostre potenzialità, e per un coinvolgimento vero della realtà piemontese.
C'è poi un'altra occasione da non sprecare: vedere la revisione dello Statuto della Regione Piemonte alla luce di tutti questi grandi interrogativi, alcuni dei quali dipendono da noi, altri meno perché in fase de iure condendo, e in rapporto con il lavoro degli Stati Generali del Piemonte. Rivediamo uno Statuto non a caso, ma per ripensare anche alla nostra identità.
Credo che questa sia anche un'occasione importante di autorevolezza nei confronti del governo centrale: una grande occasione di dibattito e di crescita un po' per tutti noi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montabone.



MONTABONE Renato

Colleghi Consiglieri, è la seconda occasione di alto livello politico che questo Consiglio regionale ha, ed è un'occasione che giunge in un momento in cui nel nostro Paese è in atto una stagione caratterizzata da forti tendenze, ma non solo, anche da forti tensioni riformatrici, che investono tutti i livelli in cui si articolano i ruoli e le funzioni di governo, ponendo anche in discussione gli assetti costituzionali ed istituzionali di fondo; in ultima analisi, mettendo in discussione la forma dello Stato.
In questo panorama in movimento, in questo panorama mosso, i soggetti istituzionali territoriali, ma anche i singoli movimenti e partiti politici hanno intrapreso una campagna di forti rivendicazioni di autonomia corrispondenti ad altrettanti modi di intendere e di declinare l'ormai proverbiale federalismo.
Proprio qualche giorno fa, in un lucidissimo articolo apparso su La Stampa, Francesco Cossiga si è posto, in termini che riecheggiano gli antichi dilemmi di Norberto Bobbio, la seguente domanda: "Quale federalismo?".
Non certo una risposta, ma un tentativo di rispondere dal mio modesto punto di vista, è quanto vorrei fare in questa circostanza. Non c'è dubbio che sul federalismo sono state spese, in questi anni, troppe parole; quello che però è innegabile è che ormai questo termine, con tutti i significati che ha assunto, è entrato al primo posto nell'ordine del giorno della vita civile degli italiani.
La domanda che mi pongo è quale ruolo le Regioni possano giocare in questa grande partita di rifondazione repubblicana, e soprattutto se, date certe caratteristiche del dibattito nel nostro Paese, il ruolo delle Regioni possa consistere nella conservazione dell'ordinamento esistente o piuttosto nel tentativo di cercare di raggiungere equilibri più avanzati ed in linea con le esigenze quotidiane di cambiamento.
Certo è che un modo per prendere parte attiva a tale processo è mettere mano, come oggi ci accingiamo a fare, alla revisione del nostro Statuto; e questo non solo per obbedire ad una moda o ad una maniera o per conformarci passivamente a quanto in altre realtà regionali sta avvenendo, ma perché è ormai comune convincimento, come ho ricordato nell'occasione del dibattito sul federalismo, che l'esperienza delle Regioni italiane, soprattutto quelle a Statuto ordinario, è un'esperienza dimezzata, radicata in una concezione centralistica dello Stato, che ha fatto dell'istituto regionale dal 1970 ad oggi, pur con risultati per certi aspetti positivi e fondamentali per la vita democratica, la riproduzione in una scala più ridotta degli impianti e degli assetti governativi e funzionali dell'amministrazione centrale del Paese.
Mi pare significativo, al riguardo, ricordare che in una ricerca di qualche anno fa il CENSIS sottolineava come in Italia si stesse passando sotto la spinta di rivendicazioni autonomistiche, da una forma di centralismo statale ad una forma di verticalismo regionale, come dire che il punto di vista del cittadino si sarebbe spostato da una visione in lontananza della capitale ad una visione dal basso verso l'alto del capoluogo regionale.
Questa considerazione non vuole certo essere un atto di accusa, ma il riconoscimento delle virtù e dei vizi del regionalismo. Non si può non rilevare con accenti critici l'attivismo, un po' troppo libertario, dei grandi Comuni italiani, che sembrano rivendicare un federalismo articolato su di un insieme di rapporti tra realtà metropolitane a discapito, forse o quasi certamente, dei piccoli e medi Comuni e delle nostre Comunità montane.
Così come è ferma la nostra contrapposizione rispetto a qualsiasi disegno secessionistico, pur non essendo insensibili alle istanze, in qualche modo legittime, che lo sostengono.
Ma se questo è il quadro complessivo, esiste per questo Consiglio regionale un problema più particolare e specifico: è indilazionabile infatti, e per riconoscimento pressoché unanime, la revisione dello Statuto. Una necessità che si impone, non solo sulla scorta dei profondi mutamenti intervenuti nella nostra comunità ancora alle prese con una realtà socio-economica in accelerata evoluzione, ma anche per adeguare l'impianto normativo statutario a quelle disposizioni legislative che hanno inteso, da un lato, ridefinire e riordinare il sistema delle autonomie locali e, dall'altro, riorganizzare la Pubblica Amministrazione.
In questi venticinque anni la società piemontese si è radicalmente modificata, sono emersi problemi e bisogni nuovi - come diceva anche la collega Spagnuolo - che si sono sovrapposti o affiancati ai precedenti, di cui bisogna tenere conto nello stabilire le nostre strategie di azione.
Occorre, dunque, far assumere dignità statutaria ai nuovi valori accordare tutela ai nuovi bisogni.
E' poi necessario recepire tutta la nuova problematica del DL n. 29/93 che modifica profondamente il rapporto fra tecnici e politici all'interno delle strutture pubbliche.
Del resto, è una precisa previsione costituzionale che lo Statuto definisca l'organizzazione dell'ente ed è perciò necessario che si colga questa occasione per ridefinire la nostra struttura interna.
Ricordo poi che l'esigenza di trasparenza e di fruibilità delle strutture pubbliche, da parte dei cittadini, ha portato all'emanazione della legge n. 241/90. Noi abbiamo già ampiamente recepito quanto disposto da questa legge, ora dobbiamo recepirne lo spirito e tradurlo nello Statuto.
Vi è poi da affrontare il problema dell'attuazione della legge n. 142 del 1990 e tutto il sistema della sua applicazione per quanto concerne le deleghe agli Enti locali. Si tratterà, dunque, di procedere alla ridefinizione del complesso dei rapporti tra i diversi Enti locali territoriali, individuando corrette modalità di interazione anche attraverso l'istituzionalizzazione di sedi di confronti e di alto raccordo.
Ma al di là di queste sommarie indicazioni non si può fare a meno di notare come la stessa riforma elettorale regionale abbia prodotto cambiamenti tali che dobbiamo provvedere a "sistematizzare".
Il ruolo del Presidente della Giunta è mutato perché eletto su indicazione dei cittadini, per questo bisognerà trasporre negli Statuti questo cambiamento.
In altre Regioni a Statuto speciale, ad esempio la Sardegna, è già stata introdotta, non essendoci vincoli costituzionali in questo senso contrariamente a noi, l'incompatibilità del ruolo tra Assessore regionale e Consigliere; ancora va ripensato il ruolo assessorile ed il problema della sua rilevanza esterna.
Occorrerà poi riflettere sulle stesse deleghe assessorili superando il sistema della rigida suddivisione, della loro spesso scarsa omogeneità di accorpamento in un'unica figura di Assessore. Questo ha comportato che la gestione ordinaria fosse privilegiata rispetto al ruolo strategico che l'ente avrebbe dovuto e potuto espletare secondo i principi istitutivi e le intenzioni dei sostenitori del decentramento regionale, impedendo così che la Regione svolgesse un forte impulso di sviluppo e di innovazione sul piano economico-sociale ed istituzionale.
Non mi dilungo poi sulla necessità di ripensare all'intera problematica dei rapporti Giunta-Consiglio, anche alla luce del rafforzamento degli esecutivi che si è attuato in tutte le realtà istituzionali, dai Comuni alle Province, al Governo centrale. Il che conduce ad una necessaria ridefinizione e distinzione dei ruoli di governo rispetto a quelli di controllo sull'attività di governo.
Bisogna prendere atto che si stanno profilando due ruoli ed immagini distinti: gli eletti per rappresentare e gli eletti per governare.
D'altro canto, in un quadro di revisione dello Statuto non potrà mancare un riferimento di principio e di sostanza al tema dell'autofederalismo, rivendicato in modo opportuno e perentorio dai tre Presidenti delle Giunte regionali del Piemonte, della Lombardia e del Veneto, in un documento congiunto inviato al Presidente del Consiglio Prodi.
Se il federalismo vuol dire autonomia, più responsabilità e quindi autogestione delle proprie risorse in un contesto permeato dai valori dell'unità e della sussidiarietà, autofederalismo significa avviare la macchina delle riforme fin d'ora, utilizzando, colmando quegli spazi di autonomia di cui le Regioni sono titolari in forza della Costituzione vigente, ma che mai nella loro storia, quasi trentennale, hanno utilizzato.
Per queste ragioni ritengo che il mio Gruppo non possa non sostenere le proposte contenute nel documento citato. Sottoporre cioè al Consiglio regionale un disegno di legge di riforma costituzionale in senso federale su cui possa esprimersi il giudizio dei cittadini attraverso referendum consultivi e proporre, ai sensi dell'art. 75 della Costituzione, su istanza di almeno cinque Consigli regionali, un referendum abrogativo delle principali leggi nazionali, come il DPR n. 616 del 1977, che ostacolano una compiuta applicazione del principio dell'autonomia regionale.
Vorrei però aggiungere un'osservazione. Credo che il federalismo possa realizzarsi non solo attraverso una chiara, determinata volontà politica ma anche, e forse soprattutto, attraverso la disponibilità, l'efficienza e la trasparenza della burocrazia locale.
Senza il consenso della burocrazia non c'è classe dirigente e questo perch una classe dirigente è il risultato dell'incontro tra gli eletti dai cittadini e il responsabile dell'azione amministrativa.
Allora l'interrogativo è il seguente: se domani lo Stato centrale decidesse finalmente di attribuire alle Regioni quelle funzioni, a lungo rivendicate e mai concesse, ritagliando per se uno spazio limitato alle responsabilità effettivamente nazionali, le tante macchine regionali sarebbero in grado di mettersi immediatamente in movimento? Avrebbero la capacità di trasformare questa immissione di responsabilità in un combustibile capace di inaugurare una fase veramente nuova e quindi autenticamente federalista della vita di questa Nazione? Da questo interrogativo che pongo, senza avere la pretesa di rispondere, deriva la necessità di avviare realisticamente un'opera di riforma attraverso la revisione della carta fondamentale della nostra Regione. E' un'occasione da non perdere in cui misureremo non solo la capacità progettuale, ma anche la nostra capacità di dialogare e trovare punti di convergenza, al di là di ogni spinta di parte.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cavaliere.



CAVALIERE Pasquale

Interverrò con qualche breve riflessione perché l'argomento è importante e merita quindi il contributo di tutti.
Sono abbastanza d'accordo con la relazione del Presidente Picchioni pur con qualche riserva. La riserva è che comunque interverremo in un momento in cui maturerà qualcosa - questo auspichiamo tutti - a livello nazionale, e non possiamo prepararci a contemplare tutto, a meno che il Presidente Picchioni non voglia fare uno Statuto che vada bene sia se arriva la Padania o qualcos'altro! Comunque ci sono degli aspetti fondamentali che dovranno essere contemplati se - come tutti auspichiamo verrà determinata qualche forma diretta di federalismo regionale delegata in più dallo Stato. Questa è la riserva fondamentale.
Dai punti focalizzati dal Presidente mancano due aspetti fondamentali che, in parte, sono già stati richiamati da altri: l'attuale Statuto infatti, non contempla gli elementi verso i quali è maturata la società.
E' tutta la questione dei nuovi diritti dei cittadini; penso, ad esempio, a come è stata contemplata - o come non è stata contemplata perch non era una maturazione della società - tutta la questione della preservazione, della tutela dell'ambiente naturale e anche dei valori storici, architettonici e dei beni ambientali della nostra Regione; ma anche i diritti nuovi di cittadinanza che la società moderna pone, ad esempio, l'immigrazione extracomunitaria, ma anche i diritti degli altri esseri viventi, degli animali. Sono tutte questioni che devono essere al centro di un nuovo Statuto, che voglia contemplare le novità di una Nazione e di una Regione.
L'altro grande aspetto, che credo dovrà vederci riflettere, è la questione della partecipazione e del rapporto tra i cittadini e la Pubblica Amministrazione, che nel vecchio Statuto è affrontata in termini abbastanza vecchi e prefettizi, e che invece deve essere adeguata ad una concezione più trasparente, più accessibile nel rapporto con i cittadini.
L'ultima questione, che evidentemente non possiamo rivendicare, è relativa ad un'Assemblea Costituente come nell'equivalente dibattito nazionale. Credo che dovremmo attuare una forma di grande coinvolgimento della società piemontese in questo dibattito e che sia adeguato al compito che ci prefiggiamo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ghiglia.



GHIGLIA Agostino

Devo fare un'ammissione di colpa: non ero preparato ad un dibattito di questo genere. Sono rimasto un po' spiazzato dall'importanza, dalla consistenza anche culturale di questo dibattito.
Mi aspettavo di andare incontro ad una deliberazione, ad un'iniziativa normale, che tendesse a formare una Commissione per la revisione dello Statuto della Regione Piemonte, e che questa revisione consistesse soprattutto in una razionalizzazione, modernizzazione ed attualizzazione dello Statuto, affinché esso risultasse più confacente alle recenti leggi di riforma, anche delle elezioni dei Consigli regionali, e quindi delle nuove potestà, più immaginifiche che reali, di cui è dotato il Presidente della Giunta regionale e i Consigli regionali.
Invece mi sono trovato di fronte ad un dibattito importante, molto fondato e sostanzioso in termini politici e culturali.
Devo dire che condivido in toto la relazione del Presidente del Consiglio regionale, anche se sono un po' pessimista riguardo agli obiettivi che realisticamente oggi una Commissione per la revisione dello Statuto si potrà porre.
Condivido pienamente la riforma dello Statuto, condivido la relazione del Presidente, sono d'accordo che si faccia la Commissione, ma mi chiedo quali saranno i limiti della Commissione Statuto, di cosa dibatterà, ma soprattutto di cosa potrà dibattere oggi.
Uno dei colleghi a cui accennava prima il collega Cavaliere sono io quando ci siamo chiesti, vedendo ed ascoltando il peso di certe esposizioni, cosa succederebbe di questa Commissione - che si appresta ad un lavoro sicuramente complesso e multiforme di cui, a mio avviso, non si possono prevedere neanche gli sviluppi - se la Commissione Bicamerale anche sulla spinta delle novità e delle continue sollecitazioni da parte dell'attuale momento politico, in due-tre-quattro mesi ci presentasse un bel progetto di riforma dello Stato in senso federalista, magari addirittura comunale, visto che ho sentito alcuni esponenti della maggioranza, del PDS, parlare di una preferenza nei confronti di un maggior decentramento comunale piuttosto che di un maggiore decentramento regionale. Cosa faremmo noi? In quel momento la nostra Commissione Statuto diventerebbe una Commissione tecnica di mera attualizzazione e razionalizzazione dell'esistente? O diventerebbe anche una proposta politica e culturale indipendente e, magari, alternativa rispetto alla proposta di deliberazione dell'eventuale Commissione Bicamerale? Perché al contrario dovremmo ipotizzare che, in Italia, le Commissioni Bicamerali funzioneranno come in passato, cioè si riunivano, discutevano, qualcuno faceva la relazione di maggioranza, qualcuno faceva una relazione di minoranza, dopodiché tutto rimaneva lettera morta, e non hanno mai avuto un peso sostanziale nel mutamento della vita politica e della sua organizzazione.
Ma questo è un momento politico diverso, molto più teso, anche artificiosamente teso, montato dai mass media. Però è un dato di fatto che oggi tutti parlano di federalismo, è una delle prime esigenze della Nazione, è sulla bocca di tutti, dal Presidente della Repubblica alle opposizioni, alle maggioranze. Si stanno apprestando probabilmente e verosimilmente a lavorare in un certo modo.
Secondo me - e mi scuso per questo mio pessimismo - l'approccio della nostra Commissione rischia di diventare un po' minimalistico, in quanto si costituisce una Commissione che dovrà discutere su cosa discutere. Si fa in fretta a parlare di riforma dello Statuto, però riforma dello Statuto è tante cose; la riforma dello Statuto è anche la riforma del lavoro delle Commissioni, è anche la riforma delle competenze. Ma se noi partiamo dal dato più importante della riforma statutaria, che è il ruolo della Regione il ruolo storico della Regione, il mutamento di ruolo storico della Regione, rischiamo in parte di arenare il lavoro della Commissione.
Tuttavia non è questo ciò che mi preoccupa. Credo che tutti puntiamo ad una Regione proiettata al futuro e penso che nessuno voglia affrontare una discussione di riforma dello Statuto con un approccio, per puntare al presente e per fare qualche riformucola magari furbesca che consenta poi domani di cambiare il Regolamento. Sicuramente questo non è lo spirito e non è l'approccio da parte di nessuno di noi. Però - e queste sono domande che pongo al Presidente che ha fatto la relazione e a me stesso - cosa potremmo fare noi veramente, sostanzialmente per questa riforma dello Statuto? Cosa ci lasceranno fare? Perché se noi andiamo avanti, magari anche con l'accordo di tutti i Gruppi (o quasi tutti), su una linea, su un'impostazione anche culturale di riforma dello Statuto che si trovasse poi in contraddizione o in divergenza con quello che accade a livello centrale, che peso avrebbe, che significato avrebbe il nostro lavoro in quel momento? Anche se io sono sempre stato d'accordissimo su questa Commissione, la mia preoccupazione è che forse questo è il momento meno adatto per lanciarla, mi sembra un momento un po' confuso per riuscire a far sì che una Commissione Statuto possa porsi degli obiettivi raggiungibili mentre a livello di Stato è in discussione la forma di Stato e quindi il ruolo delle Regioni e addirittura il ruolo degli Enti locali minori, che qualcuno (prima ho citato un esponente del PDS, ma ve ne sono anche altri) vedrebbe come riforme in senso maggiormente decentrato anziché in senso più marcatamente regionalistico.
Di conseguenza, credo che purtroppo il lavoro di questa Commissione sarà molto problematico, perché temo che sarà costretta a studiare meditare e modificare la parte più tecnica, senza poter influire sulla parte più importante, che è la parte storica, la parte dell'immagine, del senso stesso dell'Ente Regione. Questa è una preoccupazione sul momento contingente; per dirla in breve, non vorrei che noi lavorassimo per nulla perché se domani arrivassero degli ordini, più o meno "centralisti", di fare in un determinato modo, noi ci troveremmo molto spiazzati in questa Commissione Statuto.
Ho voluto sollevare solo questo problema; lo sollevo a me stesso, lo sollevo al Presidente che ha fatto la relazione. Secondo me si tratta di un problema abbastanza reale ed abbastanza attuale in Italia.
Credo nell'importanza della riforma dello Statuto come credo nell'importanza degli Stati Generali, che sono un'altra cosa, ma lo si vede anche come un unicum, visto che è il nostro ruolo che andrà a cambiare.
Tuttavia temo che questa seconda parte, cioè la Commissione Statuto, in questo particolare momento storico della vita della Nazione, rischi di isterilirsi, di doversi fermare troppe volte in attesa di input esterni che potrebbero stravolgerne i contenuti, i significati e soprattutto gli intendimenti per il futuro.
Nel ribadire la nostra posizione favorevole alla Commissione per lo Statuto e alla relazione del Presidente, vorremmo porre questo problema affinché sia alla base di una discussione preliminare, magari della Commissione Statuto, la quale si dovrà dare degli obiettivi, a nostro avviso realistici, raggiungibili e non ultronei rispetto a quelle che sono le nostre proposte e anche le nostre facoltà.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rosso.



ROSSO Roberto

Devo dire che oggi sono soddisfatto e mi sento a mio agio, perché siamo diventati tutti federalisti (quasi tutti) o, almeno, negli interventi che ho sentito finora la parola federalismo è comparsa diverse volte.
Sul discorso della revisione dello Statuto, la Lega Nord è favorevole, in quanto si tratta di uno Statuto vecchio e superato: è chiaro che, con il dibattito esistente in Italia in questo momento, non possiamo mantenere uno Statuto del 1971.
Mi sono posto, però, alcune domande. Siccome tutti (quasi tutti) parliamo di federalismo, che tipo di Statuto potremmo elaborare considerando che questa revisione dello Statuto avverrà prima di un'ipotetica riforma federale dello Stato, quindi di una variazione della Costituzione? Potremmo fare uno Statuto che rientri comunque nell'ambito costituzionale, quindi non potrà essere uno Statuto che porta al vero federalismo. Voglio ricordare che il vero federalismo non è solo il cosiddetto "federalismo fiscale", in cui ci sono delle deleghe di competenze e anche di entrate; il vero federalismo è anche politico.
Se si vuol fare un vero federalismo, dobbiamo stabilire di costituire dei nuovi Stati che, insieme, creino l'Italia federale, e questi nuovi Stati dovranno avere non le deleghe, ma tutte le competenze; saranno poi questi Stati che delegheranno allo Stato federale alcune di queste competenze e alcune delle loro entrate per gestire lo Stato federale.
E allora ci sono due possibilità. O si parla tanto di federalismo e non si vuole il vero federalismo, e allora sortirà una revisione di Statuto blanda, che parlerà bene o male di federalismo, una mediazione tra le posizioni dei vari Gruppi politici, ma che non sarà una vera spinta verso quello che comunque noi vogliamo, che è il vero federalismo. Oppure, se veramente ci sarà questa riforma federale in Italia, noi andremo ad elaborare un nuovo Statuto che nasce già vecchio, perché prima di rivedere questo Statuto forse sarebbe meglio conoscere quale sarà la prossima forma dello Stato italiano; in caso contrario, uno Statuto blando, nel momento in cui ci sarà un'Italia federale, non sarà uno Statuto, ma una Costituzione per cui ben presto dovremmo rivedere il nostro Statuto, perché dovremmo fare una Costituzione che sarà la Costituzione dello Stato piemontese inserito in Italia federale o potrà anche essere la Costituzione dello Stato Padano inserito in Italia federale.
Noi, comunque, siamo favorevoli a che si inizi a discutere di questo.
Personalmente sono contento che in meno di un mese si sia parlato ben due volte di questi temi fondamentali.
Noi avremmo delle proposte per modificare lo Statuto e sicuramente vorremmo dare un segnale forte a Roma, quindi io vorrei che questo Consiglio scegliesse la strada forte, non blanda, di richiedere unitariamente nella nostra Regione - il federalismo vero, fiscale e politico: che il Piemonte diventi uno Stato che ha tutte le competenze e deleghi parte di queste competenze allo Stato centrale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Scanderebech.



SCANDEREBECH Deodato

Anch'io, come i colleghi che mi hanno preceduto, non ho preparato un intervento rispetto all'argomento in oggetto, perché pensavo che non entrassimo in una problematica così delicata, importante e molto frequente in questi ultimi giorni: il cosiddetto "federalismo".
Al contrario di quanto ha detto il Consigliere della Lega Nord, io sono preoccupato del fatto che si continui a parlare di federalismo, perch ancora non ho capito qual è il concetto di federalismo che la Lega Nord tende a portare avanti: è quello di Miglio o è quello di Bossi? O è quello tuo, Rosso, che parli di federalismo fiscale, politico e dici ancora che la Regione Piemonte deve costituirsi in Stato? Vorrei capire ed essere sicuro di aver capito; tutti qui dentro siamo convinti di cosa vuol dire federalismo? Perché esiste un federalismo di destra ed esiste un federalismo di sinistra. Dobbiamo chiarire qual è il federalismo che vogliamo portare avanti: è quello di Miglio, basato sulla competitività sulla disuguaglianza, o è quello della sinistra, basato sulla solidarietà sulla sussidiarietà, che definisce le deleghe dall'alto verso il basso e non dal basso verso l'alto? Prima di ogni altra cosa - ripeto - sarebbe opportuno chiarire il concetto di federalismo che vogliamo portare avanti come Consiglieri regionali. Questo federalismo è visto come progresso economico e sociale o è visto, com'è avvenuto a suo tempo negli Stati Uniti, come una forma confederale per evitare la guerra? Definiamo quindi una volta per tutte cosa vuol dire federalismo! Una volta definito questo, in funzione delle problematiche economiche e sociali diverse tra nord e sud, possiamo anche fare un progetto politico, perché mi sembra assurdo e inaudito dover costituire degli Stati quando per fare uno Stato abbiamo avuto tre guerre e mezza; ci sono stati 3.500 morti! Se vogliamo cavalcare a tutti i costi il fenomeno federalismo, bisogna che questo fenomeno sia prima individuato, focalizzato in funzione delle problematiche della nostra Regione e soprattutto sviluppato in funzione di quello che prevede sia la Costituzione sia il nostro attuale Statuto, ossia solidarietà e programmi improntati ad un equilibrio sociale ed economico del nostro Paese e delle sue Regioni.
Ritengo quindi - e concordo con quanto detto prima dal collega Ghiglia opportuno fare uno studio molto oculato e serio su quello che vogliamo intendere per federalismo. Una volta fatto questo, se ne può discutere in aula.
Purtroppo devo scusarmi con il Presidente Picchioni perché non ho avuto modo di ascoltare la sua relazione, ma ciò non mi impedisce di capire che i Consiglieri della Lega Nord continuano a cavalcare questo fenomeno come una protesta fiscale che non c'entra niente con il federalismo! Lo vogliamo capire? Detto questo, se vogliamo essere costruttivi, seri e collaborativi troviamoci attorno ad un tavolo e discutiamone.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Signor Presidente, care colleghe e cari colleghi, si vuole parlare di revisione dello Statuto? Parliamone.
Nello Statuto occorre vedere cosa si è a suo tempo scritto, cosa si è fatto in tutti questi anni e cosa va riscritto, perché che non è più attuale (ci sono cose che possono e devono essere riscritte perché non più attuali in base ad evoluzioni legislative di vario tipo, dalla legge elettorale a quelle che regolano i rapporti tra autonomie locali). Occorre verificare cari colleghi, che nel corso di questi lunghi anni avete avuto direttamente o indirettamente responsabilità di governo a vari livelli (Comuni Province, Regioni, Governo nazionale), semplicemente cosa è bene fare delle cose scritte che non sono mai state attuate o che lo sono state in modo talora o troppo spesso, insufficiente.
Questo è il modo in cui il mio Gruppo vuole affrontare una riforma dello Statuto della Regione Piemonte. Non vogliamo dare nessuno spazio ad equivoci, retorici, di linguaggio o di prassi politica, che assolvano, in nome dell'esigenza di revisione dello Statuto, le cattive esperienze di governo a chiunque siano ascrivibili. E vogliamo evitare il rischio che si scambi l'insufficienza di un potere regionale come derivante da carenze nella scrittura dello Statuto invece che da carenze nelle strutture dei governi, nella capacità di essi di governare e di fare fronte ai problemi.
Questa revisione dello Statuto - l'agenda politica dice così - trova la secessione per il federalismo sulla propria strada. Questa proposta di affrontare la revisione dello Statuto, in modo anche enfatico con una nuova Commissione anziché con la Commissione che poteva occuparsene, trova sul cammino - ci piaccia o non ci piaccia - questo problema: il problema che la Lega Nord aveva proposto all'inizio, a pagina 1 della propria esistenza sotto il nome di federalismo e che poi via via ha cercato di rinforzare rincorsa sul federalismo da forze che ne storpiano il significato e il senso, fino a giungere alla secessione.
Noi su questo ripetiamo che siamo contrari alla proposta di federalismo per come il linguaggio la spiega e quindi per come si può trovarla spiegata sui dizionari della lingua italiana, ossia "Stati autonomi che hanno propri poteri in tutti i campi e si federano su una Costituzione comune". Dato che il linguaggio è la cosa che unisce un popolo ed unisce anche questo Consiglio, continuiamo ad auspicare che con le parole non si giochi e non le si storpi, per cui chi dice di essere favorevole al federalismo deve essere certo di essere compreso, nel senso che il federalismo ha nel linguaggio comune. Si può anche dire che il linguaggio comune cambia, che anche i dizionari possono essere rifatti e può anche darsi che una prassi in uso per lungo tempo da grandi masse di popolazione prenda una parola che ha un significato e gliene metta addosso un altro. Siamo già in questa fase? Lo si dica! Perché se il federalismo non è questo, allora qualcuno dica cos'è e proponga però anche alle case editrici, per non indurre i giovani in errore, di redigere rapidamente nuove stampe dei dizionari.
Il nostro lavoro, però, inciampa, nel senso che inevitabilmente - pur non approvando affatto la relazione del Presidente, approvo il fatto che l'abbia voluta svolgere, dando una serietà e uno spessore a questo lavoro la stessa relazione del Presidente sconfina da quelli che potevano essere gli adempimenti ordinari di una revisione dello Statuto e cerca già sin da questi momenti di intersecare nel proprio cammino delle intenzioni di revisione che tengano conto di quanto si discute anche a livello nazionale.
Revisione dello Statuto della Regione Piemonte, ma sempre all'interno della Repubblica Italiana. Teniamo conto di questo limite mentre revisioniamo l'art. 1 dello Statuto. Vedete, la riflessione che propongo si può spingere fin più in là del tema provocatorio del federalismo della Padania, nel senso che non è scritto da nessuna parte che le Regioni debbano esistere.
L'ha scritto la Costituzione, era una previsione di assetto amministrativo della nostra Italia repubblicana: "L'Italia si ripartisce in Regioni Province e Comuni", si potrebbe scrivere qualcos'altro. Allora, il tema che sarà affrontato anche in questa Commissione può ben essere "se riteniamo che le Regioni siano un livello di amministrazione e legislazione dello Stato acconcia alla bisogna". Perché potrebbe anche non essere così, e sarebbe legittimo un punto di vista che elabori un progetto di riforma costituzionale in cui le Regioni non esistono.
Il mio Gruppo, la mia forza politica, ritiene invece - e spererei anche in un contraddittorio - che le Regioni siano una struttura portante dello Stato Italiano, utile per l'amministrazione generale dell'Italia e per l'amministrazione particolare di tutti gli Enti locali, e che la sostanza di questa necessità e quindi di questa utilità della Regione sta nel fatto che i livelli in cui si pongono oggi i problemi, sia di carattere sociale sia di carattere economico, sia di carattere politico, vedono nel territorio regionale un ambito nel quale essi possono essere utilmente risolti, sia nei confronti delle popolazioni, in senso sociale, sia in senso economico nei rapporti di lavoro, sia nel senso della necessità che hanno gli Enti locali, Regioni e Province, di dare delle risposte concrete e coordinate ai problemi.
Crediamo nelle Regioni per due caratteristiche fondanti le Regioni stesse, scritte nello Statuto, che speriamo qualcuno non proponga di cancellare. Nello Statuto è già prevista una funzione di coordinamento delle azioni degli Enti locali da parte della Regione.
Crediamo nelle Regioni perché le Regioni devono fare due importanti atti di governo: atti di programmazione economica, il Piano regionale di sviluppo innanzitutto, oggi più estesi che in passato, e in questo una revisione dello Statuto può aggiungere cose scritte a cose che non sono scritte; atti di pianificazione territoriale, con tutto il tema del paesaggio e dell'ambiente, già compreso nello Statuto che si pu ulteriormente enfatizzare.
Ora, il nodo da sciogliere tra le forze politiche è proprio questo: si riafferma l'utilità dell'istituto regionale in forza soprattutto di questi due atti fondamentali di governo? Se su questo si è d'accordo - ma su questo si è d'accordo? - una revisione dello Statuto che tenga fermo e rafforzi questi due elementi è assolutamente necessaria. Ho messo il punto interrogativo retorico "ma si è d'accordo?", perché ritengo, viceversa, che ci siano forze che per varie ragioni, nobili e meno nobili, esplicitamente oppure implicitamente presuppongono che la necessità di questo ruolo delle Regioni non ci sia. Chi arriva alla Padania uccide le Regioni perché le sostituisce con un'altra entità o con gli Stati federali. Chi giunge a delle riflessioni, che non condivido, che cercano di enfatizzare quello che enfatizzabile non può essere e cioè il ruolo dei Comuni in alternativa alle Regioni.
Sono, anche per esperienza, veramente convinto che nella cultura dei cittadini italiani la prima fondamentale cellula insopprimibile del rapporto "individuo-collettività" è il Comune; questo è la nostra storia d'Italia che lo dice. Il Sindaco è una figura a tutti nota; al Sindaco si fa riferimento, non succede questo nei confronti dei Presidenti delle Giunte regionali. Il Comune è sicuramente una cellula fondamentale dell'ordinamento dello Stato, ma non penso che le città - e tornerò poi su cosa si intende per "le città" - da sole possano essere il riferimento statuale, cioè il riferimento dello Stato, in un'opera di riorganizzazione delle nostre istituzioni di governo. Innanzitutto per un motivo: si parla di città, ma si intende alcune città e questo è già un elemento di contenuto politico discriminante. Nel senso che si propone che la Repubblica Italiana si possa governare attraverso un'azione dello Stato che privilegi alcuni, pochi punti del territorio, in cui sono oggi concentrate attività economiche ed insediamenti, con leggi e finanziamenti, per riformare lo Stato. Idea inadeguata della realtà.
Innanzitutto non è vero che l'Italia è il paese "delle decine di città". L'Italia non è Napoli più Venezia più Torino più Milano più Roma non è vero. Non è tanto più vero qui in Piemonte; il Piemonte è sempre meno Torino ed è sempre più una metropoli regionale ricca di caratteristiche che tutta insieme deve crescere. Allora, in questa visione penso ci sia un difetto che sta proprio nel manico, nel senso che se si trascura il ruolo primario che accanto allo Stato devono avere le Regioni nei confronti di tutte le città del proprio territorio, si fa un buco nell'acqua.
A mio modo di vedere, i problemi dell'occupazione, dell'economia, del riassetto del territorio, della qualità dello sviluppo non possono essere chiusi in confini comunali, dalle geometrie arruffate ed insufficienti dal punto di vista socio-economico. I confini della città di Torino, come tutti i confini delle città, sono assolutamente irrazionali. Come si può pensare di raddrizzare e riformare la nostra Italia facendo leva su alcuni punti del proprio territorio, privilegiando, una tantum o in occasioni estemporanee od eccezionali, i Mondiali, un'emergenza o un'alluvione, un giubileo e via dicendo, alcuni punti del territorio? Questo è un elemento di riflessione. Se passa una linea dello Stato che fa un corto circuito tra le proprie attività e risorse ed alcuni Comuni, penso che in tal modo si svuotino le Regioni, le si condanni ancora di più ad un ruolo marginale.
Anche per questo verso possiamo lasciare il destro a chi vuole smantellare proprio tutto con la costruzione di nuovi Stati, di avere qualche forza in più nel proporre la secessione.
Certo bisogna dire che i due contenuti fondamentali, programmazione e pianificazione, non sono stati realizzati in forma apprezzabile da parte dell'insieme delle Regioni. Qualche Regione si è distinta; all'interno di qualche Regione, in qualche periodo, si è operato meglio, in altri peggio ma di certo - e su questo sono d'accordo con quanto diceva il Presidente Picchioni all'inizio - le Regioni che, in tutti questi anni, hanno contribuito ad una forte polemica contro lo Stato che le soffocava qualche mea culpa devono recitarlo.
Su questi due obiettivi fondamentali non abbiamo dato il meglio o quanto richiesto dallo Statuto. Pertanto, il problema è: intendiamo fare una verifica su questo merito previsto dallo Statuto che non ha avuto un'attuazione e vedere forse non tanto le cose che bisogna ancora scrivere in questo proposito, ma le cose che un Consiglio regionale può indurre, nei governi che pro tempore si avvicendano, affinché vengano fatte, e delineare semmai quale rapporto debba essere forse riscritto o, meglio, governato, o entrambe le cose? Quali rapporti fra la Regione, che programma e pianifica e gli altri Enti locali? Qui forse c'è da ragionare, ma c'è da ragionare a mio modo di vedere - tenendo ferma la priorità che lo Stato si ripartisce in Regioni che legiferano e programmano il proprio territorio. Un rapporto con gli Enti locali più organico, di delega, di indirizzo sulla base della forza di una politica che forse non c'è stata, ma va fatta.
Cosa faremo in questa Commissione? Consigliere Ghiglia, se si farà la Bicamerale, cambia il quadro e cambia la natura del lavoro, ma ritengo utile, così come l'abbiamo ritenuto per la proposta degli Stati Generali, che ci sediamo attorno ad un nostro tavolo con all'ordine del giorno la revisione dello Statuto e cominciamo a ragionare. Perché ci sarà da ragionare parecchio. Commisureremo l'agenda dei nostri lavori al fatto che c'è uno Stato che sta ragionando sugli stessi temi. Così stando le cose, la nostra revisione avrà dei limiti limiti tutti da esplorare.
Per giungere proprio ad un'estrema sintesi - ci tengo a dirlo anche a nome del Gruppo - siamo per la revisione dello Statuto nell'ambito della ripartizione della Repubblica in Regioni, Province e Comuni. Diciamo forte un bel: "Viva il Piemonte, Regione d'Italia".



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Pichetto.



PICHETTO FRATIN Gilberto

Grazie, Presidente. Ho apprezzato, nell'intervento di apertura del Presidente del Consiglio, l'indicazione delle motivazioni di fondo di questa revisione statutaria, e anche quella parte in cui si dice che è un importante fatto tecnico-giuridico, ma anche politico. Perché tecnico giuridico? Chi mi ha preceduto, la Consigliera Carla Spagnuolo, ha detto più volte che è necessario intervenire sulla Carta statutaria proprio per una questione di tempi, di modernizzazione della Carta stessa che in quel momento importante e all'avanguardia rispondeva a certe esigenze.
Ma ora, a ventisei anni di distanza, le esigenze sono cambiate e quei ritocchi, che sono avvenuti lungo il percorso, non sono stati sufficienti a portarla alla modernità. Ritengo, però, che si possa fare un'altra riflessione, già forse accennata nell'intervento di Ghiglia e ripresa da Chiezzi: la questione della tempestività. E' opportuno in questo momento o meglio, tempestivo, un intervento di adeguamento della normativa nazionale richiamata, la legge n. 142/90, anziché della legge n. 241 o del DL n. 29? Oppure anche queste norme nazionali, anche se hanno solo sei anni o addirittura tre, come il DL n. 29, sono frutto di una contingenza specifica della nostra realtà nazionale? Se si rilegge la legge n. 142 - invito i colleghi a farlo - si nota che sono passati anni luce nel pensiero politico degli addetti alla politica, quali dobbiamo essere noi, così come nel pensiero e nelle esigenze dei cittadini, ma così vale anche per la legge n.
241, norma amministrativa che si basa su un principio giusto di garanzia e di informazione, ma che, ad esempio, indica procedure assurde, a soli sei anni dalla sua nascita, per raggiungere gli obiettivi che si prefissava. Lo stesso vale per il DL n. 29/93, che, con sforzo, si sta tentando di portare anche nella normativa regionale specifica del personale; decreto che secondo me, deve essere eliminato presto.
Certo, è una legge dello Stato, siamo ancora la Repubblica italiana spero di rimanere nella Repubblica italiana anche in futuro al di là di tutte le considerazioni di secessione, ma il DL n. 29 è stato nient'altro che il frutto di un momento contingente e particolare, e doveva "salvare" scusate l'estremizzazione - la parte politica, trovando un nuovo equilibrio che individuava sul funzionariato o sulla struttura del personale i responsabili di procedura. Anche su questo, quindi, l'adeguamento pu risultare non tempestivo, poi mi si può dire "obbligato", perché è un'applicazione di legge.
E' comunque importante l'istituzione di questa Commissione anche per mettere mano all'impianto procedurale, alla nostra procedura legislativa al sistema che questa Regione vuole utilizzare per meglio rispondere alle esigenze dei cittadini.
Tempo fa ho udito un ex Consigliere regionale, che, in critica a questa legislatura o a questa maggioranza, diceva che si sono prodotte poche leggi. Era un metodo di misura della produttività. Ritengo che la produttività di un Consiglio regionale non debba essere misurata sul numero di leggi che produce, ma sulle buone leggi; questo è ciò che conta. Quindi mettere mano allo Statuto significa anche trovare dei meccanismi per produrre buone leggi nell'interesse dei cittadini, non con una valutazione solo in termini numerici, ma in termini sostanziali.
Tramite lo Statuto si può veramente dare alla Regione la possibilità di riacquisire il suo vero ruolo. Ruolo che può essere di Stato nello Stato se di federalismo vogliamo parlare, o comunque di soggetto e decentramento amministrativo che assume il suo ruolo di indirizzo, di programmazione, di coordinamento, di controllo. Questo è importante, così come è importante la questione della partecipazione. Il nostro Statuto ha, tra i pregi, quello di essere stato il primo, nel 1970, ad introdurre le famigerate consultazioni, argomento che forse, in sede di approfondimento, la Commissione Statuto dovrà ritrattare proceduralmente, non sostanzialmente.
A mio avviso, infatti, è stata una grande innovazione, un grande passaggio: la possibilità di sentire la gente, di sentire le lobby, in fin dei conti lo Statuto della Regione Piemonte, venticinque anni fa, ha istituito la possibilità di sentire le lobby. La lobby è l'associazione dei costruttori piuttosto che quella dei pescatori: rappresenta comunque delle categorie sociali. Le consultazioni hanno rimodernato il sistema delle informazioni partecipazione ed informazione sono due cose molto diverse. Nel sistema delle informazioni va trovato il modo attraverso il quale raggiungere tutto il popolo, tutti i cittadini piemontesi.
Il secondo motivo di importanza della Commissione Statuto è quello politico; forse possiamo avere dubbi sulla tempestività o sul fatto che la Commissione può lavorare sei mesi, un anno, due e poi alla fine buttare tutto nel cestino perché è cambiato il quadro di riferimento, ma la questione politica è sempre importante. Questa Commissione e il dibattito dell'aula consiliare devono portare anche noi piemontesi - con il coraggio di essere i primi - ad elaborare, a produrre qualcosa di diverso, qualcosa che - essendo di quella parte che va verso il federalismo - modelli le nuove Regioni di uno Stato federale.
Questa è una parte non giuridica, ma tecnico-politica, che pu permettere al Piemonte di presentare una proposta e di essere ancora una volta il primo, come centotrenta anni fa. Quindi la prima Regione a dare all'Italia una chiave, un contributo, una soluzione al Parlamento o alle Costituenti. Questo il Piemonte lo fa con un parallelismo che ritengo importante: stanno partendo gli Stati Generali.
Gli Stati Generali erano una rappresentanza dei tre Stati della Francia feudale. Il Presidente richiama la Sala della Pallacorda, dove convennero i rappresentanti del terzo Stato, ma tale istituzione rappresentava anche il primo e il secondo Stato. Forse oggigiorno non ci sono più gli Stati della società feudale - mi insegna il colto Presidente Picchioni - siamo tutti confusi nel terzo Stato. Attraverso gli Stati Generali, il Consiglio regionale e la Commissione Statuto possono tastare il polso dei piemontesi che lavorano, che producono beni e servizi, ma anche cultura. C'è quindi la necessità di mantenere questo "parallelismo" per garantire un efficiente ed efficace soddisfacimento delle esigenze dei cittadini piemontesi.
Questa Commissione offre quindi la possibilità di non limitarsi soltanto ad un passaggio tecnico-giuridico, ma di fare qualcosa di sostanziale, sotto l'aspetto politico, e di contribuire alla riforma della Repubblica italiana.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marengo.



MARENGO Luciano

Grazie, Presidente. Mi ritrovo pienamente concorde con quanto detto dal Presidente del Consiglio, dai colleghi del centro-sinistra, dalla Consigliera Carla Spagnuolo e dal Consigliere Saitta. Pertanto, mi limiter ad alcune brevi considerazioni.
Siamo di fronte ad un importante atto, quello dell'istituzione della Commissione, siamo di fronte - lo sottolineava anche il Consigliere Ghiglia nel suo intervento - ad una discussione di carattere politico-culturale molto alta. Magari domani gli organi di stampa dedicheranno quindici o sedici righe a questo dibattito così importante, dico forse perché il dibattito sul federalismo - che io consideravo di grande importanza - è stato assolutamente ignorato dagli organi di stampa e televisivi. Questo è un altro problema che dovrà essere affrontato, anche rispetto al modo di essere delle istituzioni, della politica, dei media.
Questo era solo un inciso.
Credo che l'istituzione della Commissione per la revisione dello Statuto andrà incontro a verifiche e modifiche. In questi ventisei anni tanti anni ha lo Statuto della Regione Piemonte - si sono verificati eventi tumultuosi (soprattutto in questi ultimi anni) sul piano politico, sul piano dei rapporti istituzionali, ma soprattutto nel rapporto istituzioni cittadini. C'è stato uno stravolgimento generale rispetto al rapporto istituzione-cittadini negli anni '70; anche le forme di partecipazione sono molto cambiate in questi anni.
Negli anni '70 si scontravano due filosofie: quella della partecipazione diretta e quella della partecipazione organizzata. E' una discussione che oggi non esiste quasi più. Credo invece che le forme di partecipazione e le regole per le forme di partecipazione vadano riviste ridiscusse anche nel rapporto fra istituzioni e cittadini e non solo tra cittadini e le loro associazioni od organizzazioni.
L'ultima legge elettorale pone questioni di modifica dello Statuto rispetto a previsioni che assolutamente non erano prevedibili negli anni '70.
Noi - l'impegno nella discussione di oggi lo dimostra - possiamo dare un contributo alla riforma dello Stato.
Non so se la Commissione Bicamerale - me lo auguro - in tempi brevi deciderà la riforma dello Stato, la riforma istituzionale, ma noi non possiamo permetterci di essere assenti a questo dibattito.
Per questo oggi, con l'istituzione formale e l'approvazione della legge istitutiva della Commissione, dobbiamo accelerare i tempi per essere pienamente dentro al dibattito. Dobbiamo obbligare lo Stato centrale, il Parlamento ed il Governo a richiedere alle Regioni un contributo, non possiamo stare ad aspettare che ce lo chiedano. Dobbiamo obbligarli a richiederlo perché la riforma federalista dello Stato non può prescindere dal ruolo delle Regioni.
Questo perché le Regioni sono l'asse portante del federalismo, ma anche perché va ridefinito il ruolo delle Regioni - ma su questo ritornerò dopo.
Federalismo, autonomie locali, il Partito dei Sindaci, la secessione, la Padania, sono le questioni che abbiamo sentito in questi ultimi mesi, in particolare in queste ultime settimane: innanzitutto dobbiamo cercare di evitare di dividerci sul nulla. Perché una divisione tra le autonomie locali, il Partito dei Sindaci, le Regioni, è una divisione sul nulla.
Discutiamo, cioè, tutti di niente; le Regioni, i Comuni, le Province, le altre associazioni e gli altri soggetti economico-sociali devono essere coinvolti nella discussione sulla revisione dello Statuto e su ciò che si intende per riforma federalista, quali contenuti, quali poteri, quali risorse devono avere le Regioni, le autonomie locali, cioè i Comuni e le Province.
Recentemente non ho visto delle contraddizioni su chi esalta più le autonomie locali e chi esalta il federalismo delle Regioni. Non vedo una contraddizione in questo, credo ci sia un problema vero da affrontare, cioè che non possiamo permetterci il lusso (come forze politiche) di sostituire al centralismo dello Stato il centralismo delle Regioni, perché questo non sarebbe capito da nessuno, anzi, sarebbe un tremendo boomerang nei confronti di una riforma istituzionale.
Abbiamo invece bisogno di partire dai punti sui quali la Commissione Bicamerale, quella presieduta da Nilde Jotti, aveva già deliberato. Il capovolgimento dell'art. 117 - quanto richiamava giustamente il Consigliere Saitta - è già deciso dalla Commissione Bicamerale. E' un punto di partenza assolutamente utile ed efficace per una riforma federalista che affronti l'insieme di questi problemi in un equilibrio istituzionale e funzionale anche del rapporto tra lo Stato, le Regioni e le autonomie locali.
Così come abbiamo bisogno di discutere - sottolineava il Presidente Picchioni nel suo intervento - il posto che occuperanno le Regioni nello Stato e nell'Europa. Oggi si pone in termini molto diversi da come si poneva nello Statuto degli anni '70.
Tutto questo va accompagnato da una grande capacità della Regione, e questo è un compito nostro, sul quale non abbiamo bisogno di attendere n la Bicamerale né altre decisioni di carattere parlamentare o costituzionale: è il processo di autoriforma della Regione.
Abbiamo bisogno di accompagnare la discussione dello Statuto con il processo delle deleghe, altrimenti rischiamo di fare un buco nell'acqua.
Hanno ragione il Presidente Picchioni e il Presidente Ghigo, quando dicono che se domani ci fosse una decisione di riforma dello Stato federale, con queste Regioni non saremmo in grado di gestirla, di portarla avanti. I poteri che ci verrebbero concessi non saremmo in grado di sostenerli, non solo perché non abbiamo gli apparati burocratici, ma perch non siamo in grado di svolgere il nostro ruolo di legislazione, di indirizzo, di programmazione e di coordinamento degli Enti locali, delle Province e dei Comuni in un rapporto che appunto sia di delega per la gestione a questo livello territoriale.
Per questo considero importante un confronto, la capacità che avremo di affrontare questi contenuti e il problema dei poteri, ed è per questo che sono assolutamente contrario alla secessione. Mi pare che il Consigliere Rosso, nonostante abbia giurato domenica per la secessione, oggi si sia limitato a parlare di federalismo, e questo forse è un passo in avanti che ci permette di affrontare la questione per quello che è. Non credo che con il "più uno" si possano affrontare questioni e problemi di questa natura: con il "più uno" si fa propaganda.
Una propaganda molto pericolosa, perché quando davanti a decine di migliaia di persone si lanciano delle parole d'ordine, il tornare indietro come si sa, è sempre molto difficile. Agli Stati Maggiori è facile imporre il ritorno indietro, ma quando alcune parole d'ordine fanno presa, diventa difficile fare marcia indietro, al di là della volontà che esiste all'interno di queste parole d'ordine.
Sottolineo l'importanza di questo confronto, perché è un confronto sulle regole fra tutte le forze politiche alla pari, non tra maggioranza e minoranza. Un confronto fra tutte le forze politiche rispetto alle idee che ciascun Gruppo e ciascun Consigliere è in grado di portare avanti, che obbliga le forze politiche stesse, in base alle idee, alle opinioni, alle aree culturali che ci sono all'interno di questo Consiglio, a trovare un accordo sulle regole.
Credo che a livello nazionale si sia persa una grande occasione, anche se sono soddisfatto che quella occasione si sia persa per aver permesso a noi di vincere le elezioni. Mi riferisco alla caduta dell'ipotesi del governo Maccanico, ma ricordo questo soprattutto perché io non ho condiviso e non condividerò mai, sulla questione delle regole, "la regola della spallata".
Il governo Maccanico non è nato perché c'era chi - forse attraverso dei sondaggi - pensava di vincere tranquillamente le elezioni e che fosse meglio dare una spallata, andare alle elezioni all'insegna del "non faremo prigionieri, cammineremo, le riforme le faremo da soli".
Questo non ha funzionato, non solo perché chi ha sostenuto queste tesi ha perso le elezioni - e questo caso lo sottolineo con grande forza - ma nel caso specifico dell'on. Fini, perché è venuta meno l'occasione storica di firmare la Costituzione repubblicana e democratica di questo Paese. Ha perso l'occasione di apporre la sua firma...



(Commenti del Consigliere Ghiglia)



MARENGO Luciano

No, adesso arrivo anche citando la relazione di ieri del mio Segretario di Partito. Noi, appunto, non siamo per non fare prigionieri, siamo per fare le regole con tutti e per questo ho premesso che è un problema aperto al di là di come sono andate le elezioni. Ma voglio dire che l'on. Fini capisco che questo possa fare arrabbiare Alleanza Nazionale - ha sbagliato politica, ha sbagliato scelta fino in fondo. Ha voluto vincere le elezioni dando una spallata al governo delle regole, ha perso il governo delle regole e ha perso pure le elezioni, con tutte le conseguenze che questo comporta.
Queste questioni una forza politica se le deve porre; peraltro mi pare che Alleanza Nazionale se le stia ponendo e così pure, a livello nazionale anche il resto dei Partiti del Polo.
Ieri il Segretario del mio Partito, Massimo D'Alema, nella sua introduzione alla direzione ha detto che bisogna ripartire dal lodo Maccanico, cioè da quelle che erano le intese fino ad allora raggiunte tra l'Ulivo e le forze del Polo.
Credo che D'Alema abbia fatto bene a ribadire la scelta che abbiamo fatto e che vogliamo continuare a fare.
Nell'ambito delle nostre competenze, cioè rispetto allo Statuto, è necessario operare in questo modo per cercare un accordo sulle regole fra tutte le forze politiche. Anche questo lo dico in modo molto chiaro, con grande fermezza sui valori e sui principi politici. Personalmente considero grandi valori e principi politici sul tema istituzionale la Costituzione Repubblicana (con tutte le modifiche che sarà necessario apportare per riuscire ad avere le riforme che ricordavo prima), l'unità del Paese, i valori, nella riforma federalista, della solidarietà e della sussidiarietà alla quale ha fatto riferimento il Consigliere Scanderebech nel suo intervento.



SCANDEREBECH Deodato

Dal basso verso l'alto.



MARENGO Luciano

Certo, dal basso verso l'alto, è sempre così, ma se non c'è una rispondenza dall'alto, le riforme dal basso non si riescono a fare; solo dal basso le riforme non partono. Abbiamo bisogno che, insieme, dall'alto e dal basso sia possibile procedere su questa strada.
Se questi sono i punti, non si possono fare "pateracchi" su questi problemi, non si possono fare sconti rispetto a questi principi, magari in vista di scadenze elettorali e di alleanze spurie.
Non si possono fare accordi di questo tipo, neanche si possono cercare soluzioni che magari garantiscono sopravvivenza di Governi e di Giunte, ma che non garantiscono nulla sul piano della riforma istituzionale e di un sistema politico che davvero sia incentrato sul bipolarismo, nella chiarezza dei principi e degli obiettivi da portare avanti.
Questo, da parte nostra, è un punto assolutamente fermo, e vogliamo dirlo con molta chiarezza e fermezza oggi, nel momento in cui ci accingiamo a tentare, tutti insieme, di verificare lo Statuto della nostra Regione nell'ambito della riforma istituzionale più generale.
Proprio per l'insieme di questi motivi, credo utile la composizione della Commissione di revisione dello Statuto; abbiamo bisogno che sia all'altezza della situazione, che sia diretta in modo esperto, capace ed anche autorevole, anche perché è una Commissione che dovrà muoversi a tutto campo nei confronti dei livelli nazionali, così come nei confronti dei vari soggetti che operano a livello territoriale nella nostra Regione.
La discussione di oggi, al di là delle polemiche sul piano politico, mi pare un elemento molto importante che ci può far fare dei passi in avanti molto utili in questa direzione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Burzi.



BURZI Angelo

Dapprima un ringraziamento sincero all'Ufficio di Presidenza e al Presidente del Consiglio per l'idea, cui fin d'ora dichiaro il favore del Gruppo che rappresento, dell'istituzione della Commissione per la revisione dello Statuto. Un ringraziamento sincero per l'intervento di apertura che per l'ampiezza dei temi, ha permesso lo svolgersi di un dibattito non inerente soltanto ai temi tecnici e specifici dello Statuto, ma, proprio perché non siamo affatto in un momento di ordinaria amministrazione, lo ha reso più importante, più interessante e, spero, più fattivo.
Peraltro credo che, proprio per non dividersi da subito sul nulla come sottolineava il Consigliere Marengo - alcuni motivi debbano essere ripresi, alcune riflessioni debbano essere fatte sul come siamo arrivati a questo punto.
E' evidente che lo Statuto deve essere rivisto, data l'obsolescenza tecnica relativa ai venticinque anni che sono passati. Oggi viviamo in un momento estremamente diverso, non solo storicamente, ma anche istituzionalmente, dal momento in cui le Regioni e lo Statuto nacquero.
Sono ormai più di vent'anni che è in atto una crisi di sistema sempre più grave, una crisi di sistema che già più di vent'anni fa in qualche modo obbligò il sistema a proporre le riforme istituzionali come tentativo di arginarne i contenuti (la Commissione Bozzi). Un caso estremamente originale di un sistema che tenta di riformare se stesso e, non a caso proprio per questo, il tentativo fu inefficace.
La crisi è diventata sempre più generale, accelerata, negli ultimi anni contrassegnata dalla nascita del fenomeno leghista, in qualche modo sancita in maniera violenta dal successo della volontà referendaria del 1993 e direi - spero - non resa definitiva, patologica dagli eccessi e dalle conseguenze tuttora non risolte di ciò che Tangentopoli ha causato e sta causando nell'ambito della società civile.
I tentativi, man mano, di porre rimedio ai segnali di questa crisi sono stati quasi sempre fatti tramite le necessità evidenziate dalle parti politiche, nessuna esclusa, di porre mano a fasi istituenti, a riforme istituzionali.
E' stato un lungo periodo contrassegnato da passionalità emotive, da divisioni sul nulla, da passionalità scientifiche, lunghe e dotte osservazioni sulla necessità delle riforme (Pasquino, Barbera) sull'inevitabilità delle riforme (le teorie di Miglio), sull'opportunità delle riforme (le teorie di Galeotti), addirittura sull'impossibilità delle riforme. E' un punto sul quale invito ad un po' di attenzione: lo dice anche un nostro illustre conterraneo, Gustavo Zagrebelskj, sostenendo che "se una riforma è necessaria, allora non è possibile; se una riforma è possibile, allora è inutile".
Che cosa significa questa esposizione paradossale? Che se un sistema è tuttora sufficientemente solido e saldo da riconoscere la necessità di una riforma, proprio per quell'istinto di conservazione che in questi vent'anni si è dimostrato puntualmente efficace, non è in grado di farlo, e quindi non riesce a porlo in atto. Se questa riforma diventa possibile è soltanto perché il sistema è talmente degradato da non essere più in grado efficacemente di effettuare le riforme di cui a quel punto esisterebbe la possibilità. No, non c'è solo la morte, ma quando Ghiglia dice di essere pessimista non lo dice senza ragione, perché questa storia va avanti da più di vent'anni. Ripeto: dalla Commissione Bozzi, fino alla De Mita-Jotti del 1992 del Governo Amato, all'istituenda Commissione Bicamerale.
Se si vuole fare in modo, appunto per deludere per l'ennesima volta il Consigliere Bertoli, che non ci sia altro che la morte a porre fine a questo sterile dibattito, bisogna far sì che le riforme siano necessarie.
Mi pare che il dibattito di oggi abbia ampiamente convenuto su questo e oso sperare che, a livello di Consiglio regionale, non siamo così degradati da dividerci sul nulla. Quindi, rendere possibili, efficaci ed utili le riforme.
Questo vuol dire non discutere - almeno non in questa fase - del che cosa.
Se fossimo in campagna elettorale potremmo applicare, più o meno bene il più uno. E lo dice qualcuno che, prima della campagna elettorale per le elezioni regionali, sosteneva che la riforma dello Statuto potesse essere un buon modo di fare campagna elettorale, quindi che il programma del Polo per le regionali del 1995 potesse essere basato sulle riforme dello Statuto, perché ve ne sarebbe stato ben donde.
Se si volesse considerare il centralismo di allora, la forte ideologizzazione che esiste nel nostro Statuto, alcuni aspetti della partecipazione, l'assenza non soltanto di temi federalisti, ma, ad esempio nell'ambito del principio di delega (non solo riguardo alle Province), i riflessi sugli Enti strumentali, si potrebbe tranquillamente chiedere come potrebbe piacere uno Statuto a chi appartiene ad una parte che ha una sua ragion d'essere ed una sua ideologia. Se questo fosse il modo, credo che potremmo fare una serie di dibattiti molto interessanti, molto divertenti magari per alcuni aspetti culturali e politici, ma sostanzialmente inutili quindi daremmo del tutto ragione al pessimismo, al realismo - se mi si passa il termine - oggi enunciato dal Consigliere Ghiglia, che comunque è figlio di un'esperienza di vent'anni di sterili dibattiti.
Se vogliamo, al contrario, che la revisione dello Statuto diventi un'occasione di lavoro, e di lavoro utile, non per la lobby della Regione cui peraltro apparteniamo con orgoglio, ma per la lobby dei cittadini bisogna trovare il modo di lavorare insieme.
Le carte istituzionali non devono essere uno stereotipo, una trasposizione di passionalità politica o scientifica; devono essere un tentativo, magari minimo, ma efficace, di condivisione di valori (quando si parlava prima della necessità di porre anche la Regione, rispetto a venticinque anni fa, all'interno - ci piaccia o meno, ad alcuni più, ad altri meno - dell'Unione Europea), di valori condivisi, di un uguale destino, del quale tutti comunque godremo vantaggi e svantaggi.
Desidero fare un richiamo all'intervento che questa mattina il Consigliere Chiezzi faceva nell'ambito dell'approvazione della legge, se vogliamo chiamarla tale, di deroga dei Piani Particolareggiati. Mi ha colpito il fatto che abbia utilizzato termini come deregulation, "interessi del privato", e un paio d'altri che, per me, hanno un forte connotato positivo, quindi apparentemente neutri, a seconda di come vengono usati e del significato che si attribuisce loro. Se la metodologia è questa, è evidente che non otterremo alcun risultato.
La metodologia deve essere quella per cui, dibattendo della revisione dello Statuto, si abbia il coraggio di riflettere sui valori condivisi da un Consiglio regionale in un momento particolare, non da una maggioranza non da una minoranza, ma da un Consiglio regionale che situi se stesso in un momento di forte riflessione, rappresentando quella lobby dei cittadini senza preconcetti, ma con la fondata speranza o perlomeno con la fondata possibilità che si possa, anche da qui, contribuire con un tassello alla riforma dello Stato.
Ognuno di noi è legato a pensatori che gli sono particolarmente cari.
Uno di quelli che amo di più è Popper che, oltre ad essere un pensatore duro della corrente liberale, era anche un eminente scienziato. E' uno di quelli che ha contrapposto alla teoria del positivismo, della scienza come conoscenza certa, la teoria del fallibilismo, quindi della crescita tramite il metodo della prova e dell'errore, che è un metodo che appartiene fortemente a chi non crede nella sintesi... Prego?



(Interruzioni dei Consiglieri Cavaliere e Manica)



BURZI Angelo

Nei riguardi di Cavaliere, non vorrei ci fosse discussione tra chi ha torto e chi ha ragione. Non credo neanche che si ponga il fatto di votare.
Posso regalarti il libro di Popper: "La società aperta e i suoi nemici", potresti anche imparare delle cose.



(Interruzione)



BURZI Angelo

Gli regaliamo l'edizione in brochure con dedica.
Popper diceva che soltanto tramite gli errori successivi e rendendosene conto si può crescere, visto che non esistono - e non devono esistere dogmi.
Lo stesso vale per l'esperienza: come nella scienza, in politica.
Lo Statuto risente certamente di errori, che fanno parte della storia di come nacque e di questi venticinque anni. Ma non è dagli errori che nascono le soluzioni. Come nella scienza, così in politica le soluzioni nascono dalla creatività degli uomini; gli sviluppi nascono dalla creatività degli scienziati che hanno l'esperienza come base di conoscenza ma poi innovano. E - buon Dio! - non è detto che ciò debba avvenire oggi ma non è neanche affatto escluso che possa avvenire! Compito nostro è semplicemente quello di creare le occasioni paritetiche, non aprioristiche, perché il dibattito avvenga. Un dibattito inserito in un momento di forte discussione.
Oggi si discutono temi che soltanto sei mesi fa in quest'aula non sarebbero neanche stati oggetto di considerazione e, come convengo che si è buttata via un'occasione a gennaio, non sono così tanto dispiaciuto.
E' già successo di avere perso, il che porrà la parte che ha vinto nella condizione di fare. E' un esperimento interessante vedere la sinistra attuare una politica di destra, una politica che avremmo dovuto fare noi.
Si possono imparare anche delle cose. Noi non dobbiamo governare, non temiamo i riflessi - buoni o cattivi che siano - di quello che succede a Roma. Possiamo lavorare utilmente all'interno della Commissione Statuto senza ideologie, ma con la convinzione che - come dice sempre Popper - il futuro è aperto: bene o male dipende solo da noi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Deorsola.



DEORSOLA Sergio

Grazie, Presidente, per l'opportunità che mi offre di esprimere alcune osservazioni.
Desidero innanzitutto esprimerle, a titolo personale e del mio Gruppo l'apprezzamento per le riflessioni che ha svolto in inizio di discussione.
Riflessioni che hanno adeguatamente motivato l'esigenza di procedere ad una revisione del nostro Statuto. Una revisione intesa non in senso burocratico o formale di adeguamento alle innovazioni legislative, ma un approfondimento - come adeguatamente esposto nella deliberazione - e un adeguamento al nuovo clima politico che si sta instaurando, che sta venendo avanti.
Il nostro Statuto, di conseguenza, ha subìto un processo di senescenza accelerato in questi ultimi periodi: se per una ventina di anni possiamo dire che era stato all'altezza, la mutata situazione politica, economica e sociale, il nuovo dibattito politico che si sta instaurando, che si è instaurato in questi ultimi anni nel nostro Paese ha fatto diventare il nostro Statuto in parte superato, e perciò bisognoso di modifica.
Non considero da accogliere l'osservazione di chi sostiene che, essendo in essere questo dibattito politico, dovremmo aspettare prima la fine del dibattito, vedere quali sono le modifiche introdotte nel nostro sistema costituzionale e successivamente adeguarci. Ritengo sia un nostro dovere perseguire ed approfondire argomenti su un tema così importante per il nostro futuro. Sicuramente dal punto di vista formale non potrà che essere una rivisitazione, una modifica del nostro Statuto a Costituzione invariata e devo rilevare a questo proposito che la Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali ha elaborato ed individuato alcune modifiche significative che possono essere introdotte già a Costituzione invariata.
Questa è una constatazione che fa rilevare come ci siano state negli anni passati significative carenze da parte delle forze politiche che hanno avuto la responsabilità di governo nel non attuare questa parte della Costituzione. Oggi non è più sufficiente attuare solo la Costituzione come prevista, ma noi non abbiamo nemmeno ancora attuato la Costituzione così com'è scritta, anche perché autorevoli studiosi (voglio citare il prof.
Giorgio Lombardi) hanno acutamente rilevato come la nostra Costituzione contenga dei principi di "criptofederalismo", come lui li chiama. Cosa vuol dire? Che noi abbiamo, specialmente nella previsione delle Regioni a Statuto speciale, dei principi che sono, in buona sostanza, principi di federalismo. Poi abbiamo avuto una lettura della Carta Costituzionale riduttiva rispetto alla previsione, perché la nostra Carta Costituzionale è il frutto di una sintesi fra posizioni diverse, ma dovevamo leggerla meglio. Già nella nostra Carta Costituzionale ci sono dei principi di federalismo: si tratta quindi di approfondire, da una parte, il dibattito senza dare una lettura omologatrice rispetto ad una previsione centralista della nostra Carta Costituzionale e, dall'altra, di procedere alla revisione a Costituzione invariata che pure ci permetterebbe, ma io dico ci permetterà, di introdurre da subito dei significativi adeguamenti e di dare un contributo a quel dibattito più ampio sulla modifica della Carta Costituzionale.
Parlando per ultimo ho l'occasione anche di richiamare alcuni punti trattati dai colleghi che mi hanno preceduto.
Per esempio, come sia difficile inquadrare, da una prima discussione la posizione politica delle persone, mi viene da un episodio che personalmente ho vissuto qualche giorno fa quando in rappresentanza del Presidente Picchioni alla Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali dopo aver esposto alcune argomentazioni che non facevano riferimento n alla secessione né alle posizioni della Lega Nord, qualcuno ha domandato a quale forza politica io appartenessi e in particolare se fosse la Lega Nord. Con ciò voglio dire che dovrebbe essere ripreso il discorso di un approfondimento e magari, questa è una proposta che vorrei lanciare organizzare una giornata di studio sul federalismo.
Bisogna avere l'umiltà, anche noi Consiglieri, di approfondire questo tema, proprio per non dividerci sul nulla, come diceva acutamente il collega Marengo, cioè per avere chiarezza su cosa vuol dire federalismo autonomia, per permettere di simulare - è la proposta del nostro Presidente quello che accadrebbe se mai dovessimo avere in tempi stretti una riforma di tipo federale, ovvero come saremmo noi, rappresentanti (parlo di Consiglio) delle varie Regioni, in grado di affrontare queste problematiche.
Mi riferisco soprattutto al rapporto tra la Regione e gli Enti locali in particolare i grandi Comuni perché quando prima si parlava del rapporto Stato-Comuni non si faceva certo riferimento al rapporto tra lo Stato e il Comune di Cortemilia o di Moncenisio, bensì al rapporto tra lo Stato e le grosse conurbazioni urbane, cioè quelle conurbazioni che hanno un significato economico più prevalente, più pregnante e che dobbiamo guardare con attenzione.
Dobbiamo però guardare con attenzione a che queste conurbazioni urbane non vengano ad essere individuate come aree privilegiate rispetto al resto del territorio e che venga perciò introdotto un nuovo tipo di accentramento, cioè una situazione di economia e di socialità più avanzata con la conseguenza che contestualmente vengono anche ad essere individuate delle zone delle varie regioni che hanno uno sviluppo sempre più rallentato e quindi con condizioni di vita sempre meno facili. Noi non vogliamo che questo avvenga, cioè vogliamo che l'Italia resti sicuramente unita, però in questa articolazione federalista.
Richiamo un'altra osservazione che sempre molto acutamente ha fatto il prof. Lombardi. Potremmo anche parlare, nell'ambito delle proposte di modifica della Costituzione, di "popolo italiano che si organizza" e non di "Stato federale che si ripartisce". Possono sembrare delle disquisizioni di fine tecnica giuridica, ma non è così; bisogna rendersi conto che oggi si devono riprendere quelle osservazioni che erano già implicite (in parte anche esplicite) nella nostra Carta Costituzionale, svilupparle e tenere presente l'esigenza attuale di un diverso rapporto.
Federalismo fiscale, sicuramente, ma non è più sufficiente oggi. Alcuni anni fa queste proposte di riforma a Costituzione invariata sarebbero state viste con estremo interesse ed apprezzamento anche da parte di quelle forze come la Lega Nord, che oggi usano provocatoriamente - mi auguro - la parola secessione. Oggi queste proposte di riforma non sono più sufficienti. Oggi bisogna ripensare uno Stato con nuove articolazioni.
Voglio richiamare, e mi avvio alla conclusione, che sicuramente le Regioni un domani dovranno fare quello che in realtà è già scritto oggi cioè programmazione e legislazione, fare leggi. Le Regioni non sono un grosso Comune, devono avere un ruolo diverso; l'amministrazione va lasciata il più possibile alle Amministrazioni locali minori, il ruolo tra l'Ente locale e la Regione è da rivedere e da riscrivere.
Se noi sapremo attuare il ruolo della Regione come artefice di legge di programmazione, sapremo costruire, sul principio della sussidiarietà, una nuova struttura per la nostra Italia, che potrà essere più condivisa dai cittadini e potrà essere un momento per lo sviluppo e il rilancio, sia economico che sociale, in una visione più aperta rispetto alla nostra Italia, in una visione europea e nella nuova dimensione della globalizzazione dell'economia che si sta instaurando nel mondo e contro la quale non è possibile andare. Dovremo, anzi, confrontarci con gli altri Paesi partendo da una diversa e più articolata organizzazione del Paese.



PRESIDENTE

Abbiamo terminato questa lunga, interessante e colta discussione.
Vorrei solamente riportare un flash di impressioni, se mi permettete innanzitutto prendendo spunto dall'intervento del Consigliere Burzi.
Il Consigliere ha citato molte volte Popper; Popper dice che "il riformatore è un uomo nero che in una stanza nera cerca un cappello nero che non c'è". Per cui vedete proprio il suo fallibilismo (come l'ha chiamato lui), cioè il suo profondo scetticismo che non può essere assolutamente richiamato in questo ordine di riflessioni che abbiamo fatto.
Se la concezione con la quale noi affrontiamo lo Statuto, al di là di tutte le enfasi che gli sono state date, è una concezione così crepuscolare, in cui la macchina va bene, il progetto è seducente, il traguardo è possibile però la macchina non ha ruote, probabilmente facciamo un esercizio assolutamente inutile. Sarebbe come dire, con Orazio in Shakespeare: "Abbiamo discusso molto sul nulla". Invece io credo che il confronto possa essere estremamente stimolante già partendo da un approccio con la Costituzione invariata.
Sono stati ricordati il problema dell'ambiente, il problema degli extracomunitari, quindi il problema dell'immigrazione. Pensate al problema dell'informazione. La terza rete della RAI è venuta dopo il 1970, nel 1973 ed è stata concepita come la terza rete federale già allora. Ne deriva che il problema dell'informazione, del quale si sta comunque discutendo sulle testate, ecc., è una questione assolutamente aperta, che deve portare chiaramente il nostro Statuto ad una rivisitazione o perlomeno ad un aggiornamento dei suoi canoni, delle sue intenzioni.
Ma non voglio pensare solamente a questo. Voi non credete che la legge n. 142, poi la legge n. 49, poi il semipresidenzialismo ed infine il presidenzialismo sarà comunque una forza ormai ineluttabile che esiste nel Paese? Basta vedere i Comuni. Il problema di autocittadinanza che nei confronti del dibattito federalista hanno assunto i Comuni non vuole in un certo modo, implicitamente, rivendicare agli stessi l'unico diritto di rappresentanza che hanno nei confronti dello Stato? E allora, tutto questo enorme problema, parlo sempre di Costituzione vigente, pertanto invariata dovrà trovare un riflesso, dovrà trovare un'estrinsecazione, una normalizzazione proprio dal punto di vista giuridico nell'ambito dello Statuto stesso: non c'è bisogno che si carichi il nuovo Statuto di fatti impropri come una Costituzione variata.
Io non voglio adesso parlare di federalismo, ma basta già tutto quello che esiste a livello statuale, a livello di normative, a livello di movimenti di opinione pubblica, a livello di diritti civili, come sono stati qui ricordati, per esigere dal nostro Statuto non solamente un restyling, una "pulitura di Pasqua", ma veramente una modifica sostanziale dello Statuto stesso. Su questo, quando si dice che il centralismo dello Stato oggi è quasi equiparato dai venti centralismi regionali, come ha detto nei giorni scorsi il Presidente Violante, si fa un chiarissimo atto di accusa e forse ha ragione il Consigliere Chiezzi: è una carenza di Statuto, oppure una carenza di governo? Bisogna verificare, approfondire queste cose. Allora, se è una carenza di governo e non è una carenza di Statuto, certamente devono entrare in gioco dei meccanismi che sono del tutto diversi da quelli che invece sarebbero se ci fosse uno Statuto...
Io non voglio assolutamente accentrare il mio discorso sulle tante riflessioni che sono state fatte, però credo che senza appesantire eccessivamente e senza dare degli eccessi massimalistici alla revisione dello Statuto, già una visione realistica di cosa c'è in ballo, ci pone effettivamente nella necessità di affrontare questo tema. Poi se questo tema, lo dico al Consigliere Marengo, vuole essere il tavolo nobile per un confronto sulle regole e per un confronto alla pari sulle regole, entrando tutti come cavalieri della Tavola Rotonda attorno ad un dibattito che ci vede soggetti primari e non comparse, perché qui non si tratta di ipotizzare la carta costituente delle Regioni domani, ma di registrare quello che nella società civile, nella società politica e nella società statuaria si è già registrato, credo che questo sia un atto di grande conforto per tutto il Consiglio, di grande provocazione culturale per tutto il Consiglio.
Guardate che non è una cosa da poco. Quando nel mio discorso introduttivo ho ricordato che nel 1970 i costituenti della Regione hanno anticipato di ben ventitré anni la legge n. 142, ho voluto riconoscere l'intelligenza politica di allora, quello che poteva essere ed è stato certamente un discorso di grande apertura politica e di grande anticipazione culturale.
Per cui, tutto quello che oggi noi riusciamo a fare, non registrando solamente l'esistente, ma intravedendo quello che sarà il rapporto fra gli Stati, la Regione e la Comunità Europea. Sono problemi che naturalmente competono a noi, ma competono soprattutto e sollecitano la nostra intelligenza.
Questa è quindi una grande occasione per la Regione Piemonte, poi si vedrà se dovrà essere grande soggetto di alta amministrazione, di programmazione o di legislazione; queste cose le abbiamo dette mille volte ma certamente dobbiamo iniziare dal confronto fra tutte le forze politiche per dare il meglio di noi stessi a questa stagione che per noi è una stagione costituente.
Grazie per questo dibattito.
Passiamo dunque alla votazione della deliberazione n. 221.
I Consiglieri Chiezzi, Moro, Papandrea e Simonetti hanno presentato i seguenti emendamenti: 1) alla lettera a) del punto 2, sopprimere le parole "alle tematiche del federalismo".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' respinto con 5 voti favorevoli e 32 contrari (non hanno partecipato alla votazione 6 Consiglieri).
2) Il punto 4) è sostituito dal seguente testo: "di determinare la composizione della Commissione a norma dell'art. 22 del Regolamento".
Io sarei per accogliere questo emendamento, perché credo che su una discussione di questo genere non ci debba essere un fatto proporzionalistico, ma debbano essere presenti tutte le forze vive del Consiglio.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvato all'unanimità dei 43 Consiglieri presenti.
Pongo in votazione la deliberazione così emendata, il cui testo verrà trascritto nel processo verbale dell'adunanza in corso.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata con 38 voti favorevoli e 4 contrari.


Argomento: Fondi sanitari - Edilizia sanitaria e ospedaliera

Esame progetto di legge n. 176: "Interventi urgenti nel settore sanitario"


PRESIDENTE

Passiamo all'esame del progetto di legge n. 176, iscritto all'o.d.g. nel corso della seduta di questa mattina.
Il Consigliere Grasso dà per letta la seguente relazione: "Il presente disegno di legge è redatto in attuazione della L.R. n. 10 dell'1/3/1996: 'Provvedimento generale di finanziamento per l'anno 1996 degli interventi previsti da leggi regionali nonché disposizioni finanziarie per l'anno 1997', che all'art. 2, comma quinto, prevede l'utilizzo di fondi globali per uno stanziamento di 15 miliardi destinato all'ammodernamento degli ospedali.
Gli interventi previsti dall'art. 1 interessano urgenze, già individuate dall'Assessorato alla sanità, che si collocano all'interno delle linee di sviluppo del Servizio Sanitario piemontese, quali si vengono delineando nell'attuale fase di revisione della rete ospedaliera e di predisposizione del PSSR 1996/1998.
L'art. 2 determina la procedura di finanziamento in conto capitale con successive tappe tecnico-amministrative: 1) presentazione progetto definitivo ai sensi dell'art. 16, comma quarto legge n. 109/94 2) parere del Servizio Difesa OO.PP. o C.R.OO.PP.
3) concessione finanziamento con DPGR di approvazione del progetto definitivo 4) erogazione del finanziamento mediante successivi atti di liquidazione emessi dal responsabile del procedimento 5) sanzioni per inadempienza e casi di revoca del finanziamento.
La procedura descritta consente di applicare sia la nuova legislazione nazionale in materia di OO.PP. (legge n. 109/94) che la legge sulla trasparenza delle procedure amministrative (legge n. 241/90)".
La parola alla Consigliera Simonetti.



SIMONETTI Laura

Intervengo solo per motivare l'astensione del Gruppo di Rifondazione Comunista rispetto a questo provvedimento.
Il nostro non sarà un voto contrario, perché il provvedimento prevede delle forme di stanziamento di 15 miliardi, delle somme cospicue per un intervento sanitario; quindi non interveniamo sul provvedimento in sé, ma sul metodo con il quale il provvedimento è stato preso. C'è un metodo che è stato dichiarato d'urgenza, un provvedimento che noi reputiamo provvisorio surrettizio.
E' un metodo di procedere che noi non condividiamo, se non in riferimento ad un piano complessivo di riordino, di razionalizzazione della programmazione della rete ospedaliera complessiva. Nel momento in cui questi criteri, quindi l'assegnazione di questi finanziamenti, saranno definiti sulla base di una programmazione seria, quindi sulla base di criteri che definiscono delle priorità, allora saremo concordi.
Il nostro voto, quindi, sarà di astensione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cavaliere.



CAVALIERE Pasquale

Credo che questo provvedimento sia improntato da una logica un pochino vecchia nell'affrontare queste questioni, nel senso che la distribuzione degli interventi fa riferimento non alle priorità di un piano preciso e razionale, ma alle priorità più politiche e anche di politica geografica della maggioranza.
Non è condivisibile e non è accettabile questo metodo, soprattutto nelle problematiche aperte che anche stamani abbiamo affrontato, come quella di Varallo, come quelle della Valle di Susa, degli ospedali di Giaveno ed Avigliana. Con la stessa logica vi sono stati, non tantissimo tempo fa, fior di finanziamenti in strutture che adesso vengono chiuse.
Non vorrei che si intervenisse con lo stesso difetto, senza cioè avere un piano preciso di razionalizzazione delle risorse. Non scorgo una tale precisione analitica in questo tipo di impianto; scorgo invece una scelta molto politica, incentrata a logiche un pochino vecchie.
Per questo motivo il mio voto sarà contrario.



PRESIDENTE

Non essendovi altri interventi, possiamo passare alla votazione del relativo articolato.
ART. 1 - Si proceda alla votazione per alzata di mano, ai sensi dell'art.
44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 39 voti favorevoli 34 voti contrari 1 astensioni 4 L'art. 1 è approvato.
ART. 2 - Si proceda alla votazione per alzata di mano, ai sensi dell'art.
44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 39 voti favorevoli 34 voti contrari 1 astensioni 4 L'art. 2 è approvato.
ART. 3 - Si proceda alla votazione per alzata di mano, ai sensi dell'art.
44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 39 voti favorevoli 34 voti contrari 1 astensioni 4 L'art. 3 è approvato.
ART. 4 - Si proceda alla votazione per alzata di mano, ai sensi dell'art.
44, comma secondo, dello Statuto.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 39 voti favorevoli 34 voti contrari 1 astensioni 4 L'art. 4 è approvato.
Si proceda alla votazione per appello nominale dell'intero testo della legge.
L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 44 hanno risposto SI' 39 Consiglieri ha risposto NO 1 Consigliere si sono astenuti 4 Consiglieri La legge è approvata.


Argomento: Cultura: argomenti non sopra specificati

Esame proposta di deliberazione n. 266: "L.R. 28/3/1996, n. 15. Approvazione del documento programmatico degli Stati Generali del Piemonte"


PRESIDENTE

Esaminiamo ora la proposta di deliberazione n. 266, di cui al punto 14) all'o.d.g.
Non essendovi interventi, pongo in votazione tale deliberazione, il cui testo è a mani dei Consiglieri e verrà trascritto nel processo verbale della seduta in corso.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata all'unanimità dei 44 Consiglieri presenti.


Argomento: Bilancio - Finanze - Credito - Patrimonio: argomenti non sopra specificati

Esame proposta di deliberazione n. 267: "Terzo prelievo dal Fondo di riserva di cassa di cui al capitolo 15970 dello stato di previsione della spesa del bilancio 1996 della somma di L. 25.189.895.290 per consentire pagamenti relativi alla gestione dei residui"


PRESIDENTE

Passiamo al punto 16) all'o.d.g. che prevede l'esame della proposta di deliberazione n. 267.
Tale proposta di deliberazione è stata approvata dai Gruppi Forza Italia, Alleanza Nazionale, PPI; si è astenuto il Gruppo PDS; ha votato contrario il Gruppo Rifondazione Comunista.
E' stato presentato un emendamento integrativo dall'Assessore Gallarini: "1) Per fare fronte alla richiesta di pagamenti ritenuti necessari da Assessorati vari in relazione a residui passivi del 1995 del capitolo 14332 per L. 11.601.806.000; del capitolo 12242 per L. 35.000.000 e del capitolo 13800 per L. 26.014.510, il presente emendamento integra la deliberazione avente per oggetto: 'Terzo prelievo dal fondo di riserva di cassa di cui al capitolo 15970 dello stato di previsione della spesa del bilancio 1996 della somma di L. 25.215.909.800 per consentire pagamenti relativi alla gestione dei residui', autorizzando un maggiore prelievo dal capitolo 15970 per L. 11.662.820.510. Contestualmente anche il titolo viene modificato".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' approvato con 24 voti favorevoli, 4 contrari e 12 astensioni.
Pongo ora in votazione l'intera deliberazione, il cui testo emendato sarà riportato nel processo verbale dell'adunanza in corso.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata con 26 voti favorevoli, 4 contrari e 12 astensioni.


Argomento: Diritto allo studio - Assistenza scolastica

Esame proposta di deliberazione n. 269: "DL 16/4/1994 n. 297, art. 74 commi quinto e settimo, e legge 8/8/1995 n. 352, art. 2 - Parere della Regione Piemonte sul calendario scolastico 1996/1997"


PRESIDENTE

Il punto 17) all'o.d.g. prevede l'esame della proposta di deliberazione n. 269.
Pongo in votazione tale deliberazione, il cui testo è a mani dei Consiglieri e verrà trascritto nel processo verbale della seduta in corso.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata con 38 voti favorevoli e 4 astensioni.


Argomento: Programmazione e organizzazione sanitaria e ospedaliera

Esame ordine del giorno n. 225 relativo alle nuove forme di organizzazione dei servizi sanitari (day-service)


PRESIDENTE

Pongo ora in votazione l'ordine del giorno n. 225, presentato dai Consiglieri Marengo, Riggio, Bortolin, Manica, Suino, Angeli, Cavaliere Peano, Chiezzi, Simonetti, Moro e Dutto, precedentemente iscritto all'o.d.g., il cui testo recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte preso atto che: è in fase di elaborazione il nuovo Piano Sanitario Regionale tra gli obiettivi fondamentali di tale Piano vi è quello della qualificazione della spesa sanitaria per ottimizzare la risposta alla domanda di salute della popolazione piemontese coniugando economicità efficienza ed umanizzazione in tale quadro è corretto sperimentare nuove forme di organizzazione dei Servizi Sanitari il SUMAI ha elaborato un progetto denominato Poliambulatorio Multispecialistico Integrato (day-service) che prevede un approccio multispecialistico a fini prevalentemente diagnostici per alcuni problemi clinici in collaborazione con i medici di base, le strutture ospedaliere, i Servizi di prevenzione e di riabilitazione del SSN il progetto è stato illustrato nel Convegno del 15/12/1995 alla Sala delle Colonne di Palazzo Civico a Torino e nel Convegno del 23/3/1996 presso la Palazzina di Stupinigi in Nichelino (entrambi con il patrocinio della Regione Piemonte) e, di recente, ai membri della IV Commissione consiliare della Regione Piemonte il progetto ha la possibilità di raggiungere i seguenti obiettivi e di concretizzare i seguenti vantaggi: 1) una migliore possibilità di accesso alla specialistica nei luoghi di vita e di lavoro per l'intero arco della settimana, specie nelle zone prive di ospedali e di strutture o soggetti privati 2) un'assistenza specialistica 'globale' capace di formulare in tempi rapidi sintesi cliniche e cure approfondite, evitando ai cittadini spostamenti continui, costosi e dannosi da una struttura all'altra o da un professionista all'altro 3) un efficace filtro alla domanda impropria di ricovero 4) una razionale allocazione delle risorse disponibili 5) un reale controllo di qualità delle prestazioni 6) una piena utilizzazione dei presidi pubblici ed il mantenimento di un 'patrimonio' di notevole entità capace di evitare gli incentivi perversi del sistema privato 7) una concreta possibilità di mettere in atto la 'competitività' fra strutture 8) un risparmio economico, per la concertazione con la categoria degli specialistici ambulatoriali, del 'costo amministrato' considera valido il progetto di day-service ed opportuna la sperimentazione di alcune esperienze-tipo sul territorio piemontese impegna l'Assessore alla sanità ad inserire il progetto di day-service nel Piano Sanitario Regionale come progetto sperimentale a sollecitare le ASL a realizzare esperienze-tipo di Poliambulatorio Multispecialistico Integrato, soprattutto nelle aree sprovviste di sedi ospedaliere e come alternativa qualificata di conversione dei piccoli ospedali per i quali è prevista la chiusura attivare, ad integrazione degli Specialisti Ambulatoriali attualmente con incarico a norma del DPR n. 316/90 e del nuovo contratto in corso di pubblicazione, appositi rapporti con nuovi Medici Specialisti con contratto orario di durata almeno annuale a norma del DL n. 517/93 a realizzare un day-service di eccellenza nell'Ospedale V. Valletta di Via Farinelli (quando questo sarà acquisito dalla Regione) allo scopo di fornire una struttura sanitaria di alto livello nella zona sud di Torino (oggi particolarmente carente) e per alleggerire il carico dell'attività ambulatoriale svolta dagli Ospedali di eccellenza in Torino (Molinette CTO, Regina Margherita, Sant'Anna) e costituire un valido filtro per ospedalizzazioni improprie a costituire un gruppo di lavoro presso l'Assessorato alla sanità in collaborazione con il SUMAI e gli altri sindacati dei medici e degli operatori della Sanità con il compito di: a) favorire la costituzione di day-service sul territorio piemontese affrontando le difficoltà tecnico-amministrative per quanto di competenza regionale ed introducendo eventuali correttivi b) effettuare una valutazione del rapporto costo-benefici del progetto sperimentale day-service".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato all'unanimità dei 42 Consiglieri presenti.


Argomento: Psichiatria

Esame ordine del giorno n. 231 sulla psichiatria


PRESIDENTE

Esaminiamo ora l'ordine del giorno n. 231 presentato dai Consiglieri D'Ambrosio, Bortolin, Dutto, Cotto, Cavaliere, Ferrero, Montabone Minervini, Casari, Burzi, Marengo, Rubatto, Spagnuolo, Peano, Picchioni e Deorsola, di cui al punto 4) all'o.d.g.
Ha chiesto la parola la Consigliera Simonetti; ne ha facoltà.



SIMONETTI Laura

Intervengo per dichiarazione di voto.
Noi non abbiamo firmato questo ordine del giorno perché il nostro Gruppo aveva già fissato alcuni punti fermi: lo stanziamento di 10 miliardi di spesa in conto corrente per il potenziamento degli organici e l'ampliamento degli orari dei servizi; 10 miliardi in conto capitale per il potenziamento e da investire per le strutture semi-residenziali e residenziali.
In più avevamo chiesto un impegno preciso dell'Assessorato nel valutare la necessità negli anni seguenti; in particolare, per i successivi quattro anni, un impegno per valutare la necessità di cospicui ulteriori investimenti nell'ambito della psichiatria. Tale richiesta non è stata accolta, perché è stato concesso un miliardo in conto capitale - che apprezziamo - ma tutto il resto non è stato, in alcun modo, erogato! Non è stato individuato, nemmeno in una riga, un impegno eventuale per attuare un serio programma pluriennale nell'ambito psichiatrico.
Ancora, ci sono alcuni punti di lode rispetto al documento presentato dall'Assessorato alla sanità, che noi non abbiamo condiviso e in sede di dibattito di psichiatria l'abbiamo dichiarato.
Reputiamo, inoltre, molto ambigua la parte relativa alle strutture private, perché non si capisce bene se corrisponda o meno ad un'apertura la funzione di integrare le strutture del privato e del privato-sociale nell'ambito del circuito parallelo della rete pubblica.
Questo è un punto molto ambiguo e ci sembra troppo poco quanto affermato riguardo alle locande, dal momento che in questo senso, nel precedente dibattito, era stata richiesta da una Consigliera dell'opposizione l'istituzione di una Commissione d'inchiesta per l'uso improprio delle locande.
Il nostro voto sarà quindi di astensione.



PRESIDENTE

Non essendovi altri interventi, pongo in votazione tale ordine del giorno, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte a conclusione del dibattito sulla tutela della salute mentale evidenziata la priorità che riveste il problema della prevenzione, della cura e del reinserimento sociale dei malati psichici rilevato il ritardo accumulato negli anni nell'avvio di strutture e servizi alternativi al ricovero ospedaliero e in istituto di malati psichici e considerato che il documento di programma presentato dall'Assessore alla sanità riconduce nell'alveo tecnico il problema della prevenzione, della cura e del reinserimento dei malati psichici, per dare risposte concrete ai problemi quotidiani dei pazienti e dei loro familiari tenuto conto delle esperienze positive realizzate grazie alle iniziative locali di operatori, associazioni di volontariato ed Enti locali preso atto della volontà unanimemente espressa e della determinazione dell'Assessore alla sanità di intervenire con urgenza nel rispetto delle leggi vigenti e del progetto obiettivo nazionale 'Tutela della salute mentale' con scelte programmatiche regionali (progetto obiettivo regionale) di arrivare celermente ad una revisione generale della L.R. n. 61/89 impegna la Giunta 1) a proseguire sulla strada del processo di trasformazione dell'intervento pubblico dal controllo sociale dei malati di mente alla promozione della salute e alla prevenzione dei disturbi mentali, spostando l'asse portante dei servizi dagli interventi fondati sul ricovero ospedaliero a quelli incentrati sui servizi territoriali, garantendo la protezione della salute mentale (prevenzione, cura e riabilitazione) attraverso l'unitarietà e l'integrazione dei servizi psichiatrici e la loro azione congiunta e coordinata con i servizi socio-sanitari, consultoriali, per tossicodipendenti, ecc.
2) a sollecitare tutte le Aziende Sanitarie Regionali UU.SS.LL. affinch procedano all'attivazione dei Dipartimenti di Salute Mentale, nominando i responsabili unitamente alla definizione del regolamento dell'intera attività e all'attribuzione del budget necessario per garantire i livelli assistenziali previsti 3) a garantire sulla base della programmazione contenuta nella legge di Piano 1996/1998 in fase di discussione ed approvazione e attraverso risorse finanziarie in conto capitale di cui un primo stanziamento per il 1996 di L. 10 miliardi, l'attivazione a livello dipartimentale degli interventi di prevenzione e di cura: attività ambulatoriale e domiciliare; attività ospedaliera; attività semi-residenziale e residenziale, con l'obiettivo di uniformare le attività psichiatriche sul territorio della regione tenendo conto della specificità e della disomogeneità che presentano. A questo fine è urgente la revisione della L.R. n. 61/89 per rendere la legge stessa compatibile con la realtà e flessibile per quanto riguarda gli standard per le strutture, consentendo una pluralità di risposte ed una fase di sperimentazione sul territorio fissate le linee generali, lasciando ai responsabili maggior duttilità e discrezionalità sulle scelte e sulla gestione delle risorse 4) ad integrare le strutture private nel circuito della rete pubblica definendo criteri e potenzialità di spesa, onde consentire la razionalizzazione delle risorse per la psichiatria ed il superamento del circuito parallelo pubblico-privato, tenendo anche conto delle recenti Linee guida ministeriali in materia 5) a superare l'utilizzo di strutture improprie quali le locande, fenomeno che interessa la città di Torino, assicurandone un controllo costante da parte delle Aziende UU.SS.LL. competenti per territorio 6) a dare vita all'interno dell'Assessorato alla sanità (con il necessario coinvolgimento degli Assessorati all'assistenza e al lavoro) ad un gruppo di lavoro con il compito di raccogliere dati ed informazioni sull'attività regionale per la tutela della salute mentale (Osservatorio), per la conoscenza e l'analisi epidemiologica, per il coordinamento e la consulenza in campo psichiatrico, per il controllo e la valutazione della qualità delle prestazioni erogate anche in relazione alle necessità dei cittadini malati e delle loro famiglie, per mantenere i rapporti con i Direttori generali e con i responsabili dei Dipartimenti di Salute Mentale, onde monitorare l'attuazione dei progetti e il rispetto della programmazione regionale 7) a fornire indirizzi in sede di legge di Piano 1996/1998 alle Aziende UU.SS.LL. competenti per territorio, necessari per predisporre i progetti di superamento degli ex Ospedali Psichiatrici seguendo le Linee guida ministeriali per la chiusura degli stessi, con l'obiettivo di: a) reinserire, nell'ambito della famiglia laddove è possibile o in strutture alternative le persone che vivono in questi Ospedali b) favorire l'assistenza economica, riabilitativa e di cura ed il loro reinserimento sociale c) garantire un piano per l'occupazione dei lavoratori attualmente impiegati negli ex OPN che preveda, tra l'altro, un corretto utilizzo di questo personale anche mediante corsi di orientamento e qualificazione privilegiandone l'inserimento nelle nuove strutture che si apriranno e nelle strutture già esistenti; nell'aiuto alle famiglie e nei servizi territoriali esistenti o in fase di predisposizione d) reperire finanziamenti destinati a realizzare i progetti di cui ai punti a), b) e c) e) verificare, attraverso uno specifico piano finanziario, l'effettiva economicità dell'eventuale recupero di edifici sede di ex OPN, anche tenendo conto di possibilità di ricollocazione generale di questi edifici e di migliore sistemazione di strutture protette o comunità, in grado di ovviare al rischio di isolamento sociale perpetuo impegna altresì la Giunta ad avviare, nella fase di elaborazione della programmazione sanitaria ed assistenziale, un confronto tra Assessorati per definire programmi competenze e risorse da destinare alla psichiatria e per il confronto con gli altri operatori sanitari, con le associazioni di volontariato e di Enti locali a riferire al Consiglio, entro novembre prossimo venturo, sull'attuazione degli impegni assunti, sugli indirizzi e finanziamenti da definire per l'anno successivo".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato con 38 voti favorevoli e 4 astensioni.


Argomento: Fondi sanitari

Esame proposta di deliberazione n. 265: "Azienda Sanitaria Regionale USL n. 18 di Alba (ex USSL n. 65 Alba). Autorizzazione al diverso utilizzo di finanziamenti assegnati con precedenti programmi di investimento in opere edili"


PRESIDENTE

Passiamo infine al punto 13) all'o.d.g. che prevede l'esame della proposta di deliberazione n. 265.
Pongo in votazione tale deliberazione, il cui testo è a mani dei Consiglieri e verrà trascritto nel processo verbale dell'adunanza in corso.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata con 36 voti favorevoli e 5 astensioni.
Desidero comunicare che giovedì 6 giugno alle ore 9 è convocata la Conferenza dei Presidenti di Commissione e venerdì 7 giugno alle ore 12 la Conferenza dei Capigruppo.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18,45)



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