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Dettaglio seduta n.54 del 14/05/96 - Legislatura n. VI - Sedute dal 23 aprile 1995 al 15 aprile 2000

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PICCHIONI


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto 1) all'o.d.g.: "Approvazione verbali precedenti sedute", non essendovi osservazioni, i processi verbali delle adunanze consiliari del 24 e 25 gennaio, 7, 19, 27, 28 e 29 febbraio 1996 si intendono approvati.


Argomento: Nomine - Strutture ricettive (albergh., extra-albergh., campeggi e villaggi, classif., vincolo) e strutture e impianti turist.

Interrogazioni n. 461 del Consigliere Cavaliere e n. 482 dei Consiglieri Chiezzi e Moro relative al commissariamento delle APT


PRESIDENTE

In merito al punto 2) all'o.d.g.: "Interrogazioni ed interpellanze" esaminiamo congiuntamente l'interrogazione n. 461 presentata dal Consigliere Cavaliere e l'interrogazione n. 482 presentata dai Consiglieri Chiezzi e Moro.
Risponde ad entrambe l'Assessore Angeleri.



ANGELERI Antonello, Assessore al turismo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, devo dire che sull'interrogazione del Consigliere Cavaliere probabilmente c'è stato un malinteso, nel senso che nel frontespizio era segnata la crocetta sulla risposta scritta e sulla risposta orale; risposta scritta che era già stata inoltrata al Consigliere Cavaliere ma che, evidentemente per un disguido non è arrivata. Quindi oggi siamo qui a rispondere, ovviamente in ritardo ritardo dovuto esclusivamente a questo disguido.
Dato che la risposta si può unire a quella dell'interrogazione n. 482 dei Consiglieri Chiezzi e Moro, considerato che l'argomento è lo stesso risponderei in maniera uniforme, partendo proprio dalla legge regionale che abbiamo approvato in questo Consiglio il 24 novembre scorso, la n. 85.
Legge regionale che prevede, nelle more dell'adozione dei provvedimenti di modifica della L.R. 5/3/1987 n. 12, cioè la legge sulla promozione che stiamo modificando, che siano sciolti gli organi in carica delle Aziende di Promozione Turistica e sia nominato per ciascuna Azienda un amministratore straordinario. Devo dire che viviamo in uno stato di commissariamento delle Aziende di Promozione Turistica già da parecchi anni.
La legge in questione dispone che l'amministratore straordinario sia nominato dal Presidente della Giunta regionale, sentita la competente Commissione consiliare. Quest'ultima parte, se ricordate, all'interno di questo Consiglio era stata proprio suggerita dalle opposizioni.
La procedura prevista dalla legge si pone in un'ottica di straordinarietà di intervento, anche per quanto riguarda le modalità di nomina, proprio perché si propone di coprire amministrativamente un periodo di transizione nella gestione delle Aziende di Promozione Turistica.
Nel procedere alla nomina degli amministratori straordinari il Presidente della Giunta regionale si è attenuto scrupolosamente sia al dettato che allo spirito della legge: gli amministratori straordinari sono quindi stati individuati tra persone che hanno specifiche conoscenze tecnico-contabili ed amministrative idonee rispetto all'incarico straordinario da ricoprire.
Gli amministratori dovranno pertanto svolgere tutte le funzioni, e le stanno svolgendo dalle ultime indicazioni che abbiamo avuto da parte di tutte le venti Aziende di Promozione Turistica, che competono agli organi delle Aziende di Promozione Turistica ai sensi della L.R. n. 12/87 assicurando il normale espletamento delle attività delle Aziende ed ovviamente la correttezza tecnico-amministrativa di tale attività, in una fase, ripeto, di transizione che risulta propedeutica alla soppressione delle stesse Aziende di Promozione Turistica e più complessivamente al riordino dell'organizzazione turistica del Piemonte che è stata, peraltro oggetto di discussione proprio per la prima volta la scorsa settimana all'interno della competente Commissione.
I nominativi delle persone individuate secondo il criterio sopra indicato sono stati sottoposti, per il prescritto parere della competente Commissione, proprio alla competente Commissione consiliare, fornendo anche i relativi curricula che sono pertanto consultabili presso la Commissione stessa.
Si precisa che i Collegi dei Revisori dei Conti disciolti erano stati nominati direttamente dal Consiglio regionale e che le designazioni dei componenti non erano pervenute alla Giunta regionale, ma direttamente alla Commissione Nomine del Consiglio. Presso la stessa può essere quindi verificato quale era la provenienza delle candidature.
Come previsto dalla L.R. n. 85/95, con la nomina degli amministratori straordinari sono stati sciolti tutti gli organi delle Aziende di Promozione Turistica, compresi quindi i Collegi dei Revisori dei Conti, che non sono pertanto più in carica.
Gli atti e le attività degli organi delle Aziende e quindi anche degli amministratori straordinari che li sostituiscono sono soggetti, comunque al regime di vigilanza sull'attività e sugli organi, previsto dagli artt.
10 e 24 della L.R. 5/3/1987 n. 12, che regolamenta le Aziende di Promozione Turistica.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cavaliere.



CAVALIERE Pasquale

Grazie, Presidente.
Abbiamo già avuto modo in Commissione di parlare incidentalmente dell'argomento e già in quella sede le argomentazioni dell'Assessore non mi hanno convinto, perché l'oggetto della mia interrogazione tendeva a chiarire quali erano stati i criteri per la nomina dei commissari delle APT.
Ora mi verrebbe voglia di aprire una riflessione su cosa sta avvenendo sulla materia turistica in genere, nell'attività del nostro Assessorato, ma credo che rimanderemo questa riflessione o ad un'altra interrogazione - se verrà messa in discussione - oppure ad un altro momento. Per cui mi limito a riflettere semplicemente sui criteri che hanno determinato la nomina dei commissari straordinari delle APT, perché è stato deciso - almeno questo ci è stato dichiarato - che il commissario straordinario sarebbe stato scelto all'interno della terna dei Revisori dei Conti nominati dal Consiglio regionale: questo è il criterio che ci è stato detto.
Dopodiché abbiamo osservato che questo criterio non è stato scelto per tutte le venti APT, ma solo per quattordici; allora vorrei domandare all'Assessore perché nelle altre sei APT non è stato applicato questo criterio e perché, anche dove è stato applicato, si sono fatti degli spostamenti inspiegabili, per cui, ad esempio, l'amministratore dell'APT del Lago d'Orta viene scelto tra i Revisori dei Conti dell'APT del Lago Maggiore e viceversa. Come mai l'amministratore straordinario dell'APT di Torino - e, ad esempio, anche quello di Pinerolo - non è stato scelto nella terna dei Revisori dei Conti? Questi gli interrogativi: vorrei una risposta dall'Assessore e vorrei anche conoscere il motivo per cui l'amministratore dell'APT di Alessandria è stato scelto tra i Revisori dei Conti dell'APT di Acqui Terme e perché l'amministratore straordinario dell'APT di Acqui Terme è stato scelto tra i Revisori dei Conti dell'APT di Alessandria. Chiedo all'Assessore spiegazioni sui criteri seguiti in tali scelte.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Moro.



MORO Francesco

Grazie, Presidente.
Concordo con la valutazione del Consigliere Cavaliere e nutro le stesse perplessità sui criteri adottati, soprattutto per quanto concerne Acqui ed Alessandria.
Inoltre, intendo far rilevare che all'interno degli "addetti ai lavori" nel settore turistico, perlomeno per le due realtà alessandrine - ma anche altrove - c'è molta perplessità: non si riescono ad individuare i criteri di scelta, ma soprattutto quale sviluppo possano portare queste nomine: non c'è alcuna serenità da parte delle Aziende del settore turistico.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Angeleri, per la replica.



ANGELERI Antonello, Assessore al turismo

Mi pare di avere già risposto, dicendo che il Presidente si è attenuto scrupolosamente al dettato della legge approvata dal Consiglio regionale il 25 novembre dell'anno scorso.
Voglio inoltre aggiungere, proprio per la trasparenza e la correttezza che contraddistingue questa Amministrazione, che gli spostamenti nelle sei APT sono stati dovuti soltanto a questioni di comodità. Quasi tutti i nominati dispongono di uno studio da commercialista in quanto Revisori dei Conti: gli spostamenti - ripeto - sono stati effettuati per questioni di comodità.
Per quanto riguarda Torino e Pinerolo, vista l'importanza delle APT di Torino e di Pinerolo, si è ritenuta persona idonea quella scelta per l'esperienza acquisita nella revisione dei conti delle pubbliche amministrazioni. Persona che garantiva quindi una professionalità assai maggiore dei tre nominati. Sono stati quindi seguiti criteri che hanno rispettato in pieno la legge che abbiamo votato in questo Consiglio.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cavaliere.



CAVALIERE Pasquale

Sull'ulteriore precisazione dell'Assessore intendo fare alcune brevissime considerazioni: so di altri argomenti, all'o.d.g. di oggi, assai importanti.
Personalmente, continuo a sostenere che le scelte dell'Assessore sono incomprensibili; potrebbero anche essere comprensibili se ce le spiegasse meglio: non lo fa.
L'Assessore deve spiegare i motivi per cui l'amministratore dell'APT di Acqui Terme, scelto tra i Revisori dei Conti dell'APT di Alessandria - dove abita - sia stato mandato ad Acqui Terme; così come l'amministratore straordinario di Acqui Terme è stato mandato, viceversa, ad Alessandria.
L'Assessore, a volte, per scherzare mi diceva: "Non vorrai per caso dire che ho nominato miei parenti?". L'Assessore non ha nominato propri parenti ma quelli di Garrone: è il cugino di Garrone che è stato mandato all'APT di Alessandria - da dove è stato spostato, invece, l'amministratore mandato ad Acqui Terme, forse per non destare osservazioni maliziose.
Forse si spiega anche la nomina dell'amministratore straordinario dell'APT di Torino, certo molto esperto, essendo anche consulente della famiglia Angeleri.


Argomento: Programmazione sportiva (impianti e attivita") - Tutela dagli inquinamenti idrici

Interpellanza n. 245 dei Consiglieri Chiezzi, Papandrea e Simonetti relativa all'installazione di un depuratore al Sestrière


PRESIDENTE

Passiamo ad esaminare l'interpellanza n. 245, presentata dai Consiglieri Chiezzi, Papandrea e Simonetti, alla quale risponde l'Assessore Botta.



BOTTA Franco Maria, Assessore all'urbanistica

Grazie, Presidente.
Rispondo all'interpellanza n. 245 dei Consigliere Chiezzi, Papandrea e Simonetti. Alle richieste contenute nell'interpellanza in oggetto ha già risposto l'Assessore all'ambiente con nota del 9/4/1996, n. 478, in cui lo stesso Assessore faceva presente l'opportunità che allo specifico quesito "se i Comuni facenti parte della zona del Sestrière hanno rivisto ed aggiornato recentemente la monetizzazione degli oneri di urbanizzazione, e quali siano i costi di tali oneri nei Comuni di Torino, Nichelino, Collegno e Grugliasco" rispondesse l'Assessore all'urbanistica.
Devo precisare che la materia in discussione - la determinazione e l'aggiornamento degli oneri di urbanizzazione - è attribuita dalle leggi regionali vigenti alla competenza dei Comuni e che nessuna disposizione impone agli stessi di comunicare il contenuto dei regolamenti locali in materia alla Regione.
Quindi, l'Assessorato all'urbanistica dispone soltanto di regolamenti comunali raccolti nel tempo per motivi diversi, di studio, di contenzioso ecc., in modo non sistematico e comunque senza alcuna certezza sul loro grado di aggiornamento. Non è quindi possibile dare un'immediata risposta a questi quesiti; inviteremo i Comuni a fornirci gli elementi richiesti dall'interpellanza, tenendo però presente quella che è la legge regionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Grazie, Presidente. Care colleghe e cari colleghi, la risposta dell'Assessore è al limite della provocazione; su un'interpellanza protocollata il 7 novembre - sei mesi fa - non è riuscito ad acquisire i dati richiesti. Risposta provocatoria anche per un altro motivo; ci si nasconde dietro il fatto che sono i Comuni ad essere abilitati a fissare gli oneri di urbanizzazione, nascondendo il fatto che, in occasione dei Mondiali del Sestrière, la Regione Piemonte partecipa ad attività di finanziamento, di vario tipo e in vario modo, collegata alla manifestazione dei Mondiali del 1997.
La domanda contenuta nell'interpellanza è una domanda alla quale la Regione deve, per sostanza, per impegno, e per responsabilità politiche rispondere e non svicolare come ha fatto.
Si parla del ruolo delle Regioni, di regionalismo forte - e ci si lamenta di tante cose - poi, però, ci si trova di fronte ad un ruolo insufficiente svolto dalla Regione che, in risposta ad una semplice interpellanza di questo genere, non fa nemmeno la fatica di rispondere. Non so se la responsabilità sia proprio dell'Assessore Botta persona fisica che non interviene, non chiede, non attiva i propri uffici, o se l'Assessore Botta si impegna con i propri uffici e questi non rispondono ai suoi indirizzi. Non so quale sia delle due ipotesi, ma in ogni caso è veramente una cosa incredibile che si dia una risposta di questo genere.
Noi abbiamo sollevato un problema che non è di poco conto: la collettività, i contribuenti decidono di pagare un impianto di depurazione a Sestrière. Sappiamo benissimo che queste sono opere di urbanizzazione primaria che dovrebbero essere finanziate, almeno parzialmente, con gli introiti delle opere di urbanizzazione. Un collega chiede all'Assessore come si è collocato il Comune di Sestrière in questi anni rispetto ad altri Comuni - ad esempio verso il Comune di Torino, come si è collocato rispetto al peso degli oneri di urbanizzazione visto tutto il cemento che è stato collocato a Sestrière - per farsi un'idea della politica del Comune nei confronti dell'urbanizzazione e degli oneri di urbanizzazione. Si costruiscono le case, ma poi i liquami hanno bisogno di strutture per essere trattati.
Oppure si va avanti così? A "go go"? Poi arrivano i Mondiali e allora il contribuente paga quello che non è stato fatto pagare a chi ha speculato per anni su quelle aree. Non è un problema di poco conto capire questo perché se capiamo che il Comune di Sestrière ha avuto una buona politica si deve dire che ha fatto una buona politica: "gli introiti non sono stati sufficienti, anche se erano adeguati, si tratta di un caso eccezionale". Ma se, viceversa, vediamo che il Comune di Sestrière aveva degli oneri di urbanizzazione di livello insufficiente, allora possiamo fare altre considerazioni per l'oggi e per il domani.
Dato che quest'aula meriterebbe un po' di rispetto, verifico e denuncio che questo rispetto non è stato tenuto.
Chiedo al Presidente del Consiglio - dato che la domanda, a sei mesi dalla richiesta, è del tutto inevasa, però le ultime parole dell'Assessore sono state "vedremo di saperne qualcosa" - di conservare questa interpellanza nei lavori del Consiglio regionale fino a che l'Assessore Botta non avrà ulteriori informazioni. Anche se potrebbe sapere a quanto ammontano gli oneri di urbanizzazione con una telefonata di qualche minuto al Comune di Sestrière e al Comune di Torino.



PRESIDENTE

La riteniamo inevasa.


Argomento: Comunita' montane - Programmazione e organizzazione sanitaria e ospedaliera

Incontro tra l'Assessore D'Ambrosio e la Comunità montana valsesiana relativamente al problema dell'Ospedale S. Trinità di Varallo


PRESIDENTE

Devo comunicare che è presente una rappresentanza cospicua della Comunità montana valsesiana relativamente al problema dell'Ospedale S.
Trinità di Varallo.
Pregherei i Sindaci di accomodarsi in Sala Morando dove saranno presenti l'Assessore alla sanità D'Ambrosio e tutti i Consiglieri interessati a questo problema. Non possiamo certamente interrompere i lavori del Consiglio, non è nelle nostre consuetudini, pertanto preghiamo la Comunità valsesiana di avere pazienza, vista l'agibilità della sala che è ridotta a poche decine di unità. Preghiamo di accomodarsi e di interloquire con la rappresentanza della Regione.


Argomento: Norme finanziarie, tributarie e di contabilita

Interrogazione n. 306 dei Consiglieri Farassino, Rosso e Dutto relativa alla richiesta di documentazione contabile ai contribuenti da parte della Direzione Generale delle Entrate di Torino: richiesta intervento presso il Ministero delle Finanze


PRESIDENTE

Passiamo ad esaminare l'interrogazione n. 306, presentata dai Consiglieri Farassino, Rosso e Dutto, alla quale risponde l'Assessore Gallarini.



GALLARINI Pier Luigi, Assessore alle finanze

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il problema sollevato dai Consigliere Farassino, Rosso e Dutto con la loro interrogazione è squisitamente politico, ancorché oggi ampiamente superato, in quanto intendeva condannare il comportamento del dottor Cutrupi, Direttore Generale delle Entrate di Torino, che, in prossimità della scadenza dei termini per il condono fiscale, e forse per il numero non troppo elevato di contribuenti che vi avevano aderito verso la fine di novembre, ha inviato cinquemila lettere che sono state interpretate, anche dalla stampa, che vi ha dedicato grande spazio, come un'indebita forma di pressione.
Il problema è già ampiamente superato nelle date - ritengo che concettualmente non sia assolutamente superato - e pare difficile non solo rispondere se si intende intercedere presso il Ministero delle Finanze per far sospendere un invio che è esaurito da oltre tre mesi, ma anche verificare eventuali irregolarità in quanto non solo non ci competono, ma del caso, proprio per il clamore suscitato, a suo tempo sono stati investiti tutti gli organi dello Stato, Magistratura compresa, anche se non ci è dato sapere con quale esito.
Si suggerisce pertanto una risposta tutta politica che prenda lo spunto del condono, come forma di perdono generalizzato usato dallo Stato per recuperare dei quattrini, stante la sua cronica incapacità di fare i controlli di legge, cioè il suo dovere, per evidenziare inoltre la sostanziale ingiustizia fiscale che penalizza gli onesti che pagano il dovuto a tempo e luogo per giungere alla segnalazione delle continue violazioni "costituzionali" subite dalle Regioni a seguito dei condoni o di provvedimenti analoghi.
Si ricorda solamente il condono del bollo auto, il cui gettito è stato attribuito allo Stato benché la tassa automobilistica sia di competenza regionale e all'insaputa delle Regioni (e con importi letteralmente inferiori alla tassa originaria evasa); oppure in pacchetto di sconti fiscali per gli autotrasportatori in cui le riduzioni fiscali sono finanziate in parte dalle Regioni senza neppure consultarle. Quindi, messa in evidenza la discrasia fra la coincidenza delle date, sono passati alcuni mesi rispetto a quella questione. Sebbene la Regione non sia competente occorre pure sottolineare il fatto che atteggiamenti di questo genere anche per quello che ci riguarda, non sono assolutamente condivisibili.
Penso che rispetto al dibattito che si farà in Consiglio regionale questa mattina, relativamente al problema del federalismo fiscale, questa interrogazione è un tassello collocato in modo quanto mai opportuno rispetto al problema di carattere generale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rosso.



ROSSO Roberto

Prendo atto della risposta dell'Assessore. Sicuramente il problema è superato, però vorrei sottolineare che quando ci sono queste interrogazioni (la nostra è datata 1 dicembre), proprio perché vengono superate in fretta forse sarebbe bene calendarizzarle prima, in maniera tale che questo Consiglio possa esprimersi.
Se occorre aspettare cinque mesi e sentirsi dire che l'interrogazione è superata, allora non presentiamo più le interrogazioni perché non servono a niente. Questo era uno spunto per aprire in aula un interessante dibattito.
Sollecito quindi gli Assessori a rispondere in tempi brevi alle interrogazioni e alle interpellanze.


Argomento: Organizzazione degli uffici - Regolamento del personale

Interpellanza n. 337 dei Consiglieri Chiezzi, Papandrea, Simonetti e Moro relativa alla necessità di definire criteri di mobilità esterna per il personale regionale


PRESIDENTE

L'Assessore Gallarini risponde ancora all'interpellanza n. 337 presentata dai Consiglieri Chiezzi, Papandrea, Simonetti e Moro.



GALLARINI Pier Luigi, Assessore al personale e sua organizzazione

Con riferimento all'interpellanza n. 337 si comunica che il Comune di Torino, avendo appreso del possibile esubero di personale dirigenziale che si sarebbe creato in Regione con l'applicazione del DL n. 29/93 e della legge regionale di riorganizzazione dell'Ente, ha manifestato interesse ad accogliere nel proprio organico un certo numero di dirigenti con procedura di mobilità da concordare fra i due Enti.
Questo interesse fu manifestato a suo tempo e ci venne espressa la richiesta per dieci o quindici dirigenti; poi, per la verità, questa richiesta non fu concretizzata.
Un dipendente funzionario regionale si dichiarò disponibile ad essere assunto presso il Comune di Torino, ma da parte di quest'ultimo non ci fu risposta, quindi neanche questo dirigente venne assunto ed è ancora in servizio presso la Regione Piemonte.
L'iniziativa del Comune è stata positivamente valutata da questa Amministrazione che, con lettera circolare n. 10756/ORG/42/SG del 13/11/1995, informava i dirigenti della possibilità offerta dal Comune e richiedeva loro di comunicare la disponibilità ad eventuali provvedimenti di mobilità.
Si deve precisare che a seguito di tale informativa è pervenuta una sola domanda (come dicevo prima) che, portata tempestivamente a conoscenza del Comune, non ha finora avuto alcun riscontro. Si trattava di dirigente con profilo professionale amministrativo e non tecnico.
La risposta scritta all'interpellanza è datata 17/1/1996 e oggi siamo quasi al 17/5/1996. Poiché non è successo nulla, pensiamo proprio che il Comune di Torino non sia interessato ad assumere quel dirigente che si era reso disponibile.
Per quanto riguarda la seconda parte dell'interpellanza, si ribadisce ancora una volta che l'organico regionale sarà definito con atto amministrativo consiliare dopo l'approvazione del disegno di legge n. 42.
Per quanto riguarda l'oggi, nel frattempo è stato stipulato, registrato ed è vigente, il contratto della dirigenza con il quale, senza assenso dell'Amministrazione presso la quale il dirigente è in servizio, con preavviso di quattro mesi il dirigente può ricorrere alla mobilità assoluta, lasciare l'Ente e andare presso altri Enti o istituzioni.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Papandrea.



PAPANDREA Rocco

Nelle ultime parole dette dall'Assessore vi è stato un accenno alla definizione del nuovo contratto che modifica alcune regole, tra cui l'automaticità di un trasferimento, nel caso ovviamente in cui questo trasferimento venga anche richiesto (non basta una volontà).
Vista questa situazione, noi riteniamo che sia ancora più urgente andare ad una definizione dei criteri e dei problemi che sono collegati con la discussione del progetto di legge sul personale; tra l'altro, secondo me, viene definita impropriamente proposta di legge sul personale, perch nei fatti si tratta di una proposta di legge sul personale dirigente e basta.
Fino adesso si sono avute delle lungaggini, dei ritardi sicuramente non dovuti all'atteggiamento della minoranza, che nella discussione su questo progetto di legge ha cercato di essere il più possibile positiva. Siamo ormai avanti nell'anno, ma siamo ancora in alto mare dal punto di vista della discussione di questo provvedimento, mentre sia i problemi collegati alle deleghe, che in qualche modo hanno a che fare con quanto discutiamo sia questa proposta di legge, si sono incagliati, e oggi ci troviamo di fronte ad un "quando" ancora indefinito.
Sin dall'inizio della discussione di questa legge noi abbiamo chiesto la predisposizione di un quadro più preciso, perché in una situazione di incertezze è chiaro che può esserci un interesse, uno stimolo alla mobilità. E' anche chiaro che è più facile che, permanendo un quadro di incertezza ed insicurezza, possono essere quelli che hanno maggiori capacità a trovare più facilmente una risposta a poter abbandonare la Regione, con un danno nei confronti della Regione stessa, della sua operatività e della sua efficienza.
Si discuterà del provvedimento a partire dalla prossima settimana.
Rispetto al problema del personale noi sollecitiamo la Giunta ad accelerare le procedure e il tipo di risposte che deve dare, anche politiche, ai problemi sollevati dal dibattito finora svolto, in modo da poter affrontare e risolvere questo problema il più celermente possibile.


Argomento: Norme generali sull'agricoltura

Interrogazione n. 348 del Consigliere Cavaliere relativa all'affidamento delle pratiche UMA alle Associazioni di categoria


PRESIDENTE

Passiamo all'esame dell'interrogazione n. 348, presentata dal Consigliere Cavaliere.



CAVALIERE Pasquale

Scusi, Presidente, vorrei la risposta all'interrogazione richiesta nella riunione dei Capigruppo.



PRESIDENTE

Mi pare che il Consigliere Cavaliere si riferisca all'interrogazione su Mediaset.



CAVALIERE Pasquale

Sì.



PRESIDENTE

Il Vicepresidente Majorino pensa che il Presidente Ghigo sia in grado di rispondere.
In attesa di questo, la parola all'Assessore Bodo per rispondere all'interrogazione n. 348.



BODO Giovanni, Assessore all'agricoltura

L'UMA, ancor prima del trasferimento alle Regioni, si è avvalsa della collaborazione delle Organizzazioni Professionali Agricole e di categoria.
Dalla data del trasferimento dell'UMA alla Regione (1979) il Piemonte ha continuato ad avvalersi di tale collaborazione.
E' il caso di precisare che attualmente, dei 100.000 agricoltori che usufruiscono dei buoni di prelevamento di carburanti agricoli agevolati 65.000 si rivolgono per l'assistenza a tali Organizzazioni, 35.000 si rivolgono direttamente agli uffici. Le Organizzazioni Professionali Agricole e di categoria svolgono esclusivamente compiti di patronato, cioè raccolgono, compilano e presentano per conto degli agricoltori agli uffici provinciali UMA le "dichiarazioni annuali" di carburanti agricoli agevolati. Si precisa che nessun onere è a carico degli agricoltori che si rivolgono alle Organizzazioni delegate e convenzionate con la Regione (è riconosciuto un contributo di L. 4.100 per ogni pratica assistita per il 1995). Le funzioni di verifica e di rilascio dei buoni di prelevamento dei carburanti agricoli agevolati sono svolte dagli uffici regionali trattandosi di compiti prettamente pubblici.
Con deliberazione della Giunta regionale n. 33-3186 del 20/11/1995 si è voluto razionalizzare il servizio al fine di poter meglio servire gli operatori agricoli, dimezzando i tempi per la consegna dei buoni di prelevamento rispetto al passato. Non è prevista alcuna riduzione di personale; la razionalizzazione consente di migliorare il servizio. La razionalizzazione riguarda diversi aspetti e in primo luogo la semplificazione dei modelli e delle procedure, e la regolamentazione dei rapporti degli uffici con il pubblico.
Per quanto riguarda questo ultimo aspetto, gli uffici servono, per due giorni la settimana, gli agricoltori che si rivolgono direttamente agli sportelli; nei restanti giorni servono gli agricoltori che si rivolgono agli uffici tramite le Organizzazioni Professionali Agricole e di categoria, da loro stessi incaricate. Si precisa che a tutti gli agricoltori viene assicurato lo stesso trattamento di consegna del buono di prelevamento entro 15 giorni sia che si rivolgano direttamente agli sportelli sia che si rivolgano agli uffici UMA tramite gli Enti delegati.
E' il caso di mettere in evidenza che gli Uffici provinciali UMA sono ubicati nel capoluogo di provincia, mentre gli uffici delle Organizzazioni Agricole sono presenti, oltre che nei capoluoghi di provincia, anche in moltissimi Comuni agricoli. E' evidente il vantaggio per gli agricoltori di non essere costretti a lunghi spostamenti. Si stima che con la razionalizzazione del servizio gli agricoltori assistiti dalle Organizzazioni passino da 65.000 nell'anno 1995 a 77.777 nell'anno 1996.
La semplificazione e la razionalizzazione del servizio sono state studiate ed approfondite dagli uffici dell'Assessorato con i responsabili degli uffici UMA che esplicano tale servizio. La semplificazione dei modelli è stata sottoposta al preventivo esame ed approvazione del Ministero delle Finanze, che ha espresso vivo apprezzamento per l'iniziativa (nota n. 9529852 del 23/10/1995). Infine, tutte le innovazioni introdotte in materia sono state sottoposte al parere delle Organizzazioni Agricole maggiormente rappresentative a livello regionale, che hanno espresso in merito la loro adesione. Un progetto ragionato, approfondito e condiviso dai responsabili degli uffici addetti, dal Ministero delle Finanze e dalle Organizzazioni più rappresentative degli agricoltori. Ad ogni buon conto, per notizie più dettagliate si rimanda alla deliberazione della Giunta regionale n. 33-3186 del 20/11/1995.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cavaliere.



CAVALIERE Pasquale

Mi dichiaro soddisfatto della risposta.


Argomento: Montagna

Interrogazione n. 366 del Consigliere Peano relativa al "Progetto Iniziative Comunitarie Leader" e Piano di azione locale "Cuneo Leader II"


PRESIDENTE

Passiamo all'interrogazione n. 366 presentata dal Consigliere Peano.
Risponde l'Assessore Vaglio.



VAGLIO Roberto, Assessore al coordinamento delle politiche per la montagna

L'iniziativa comunitaria "Leader II" (Comunicazione della Commissione n. 94/C n. 180/12 del 1/7/1994) prevede che a livello regionale venga elaborato un "Programma Leader Regionale (PLR)" consistente in una "sintesi articolata di operazioni concrete già presentate dai potenziali beneficiari locali".
Con DGR n. 74-38844 del 5/8/1994 la Giunta regionale, a seguito delle disposizioni impartite dal Ministero delle Risorse Agricole, ha approvato le "Linee guida di applicazione dell'iniziativa Leader II nella Regione Piemonte". In queste "Linee guida", pubblicate per estratto su La Stampa ed ampiamente distribuite nel testo integrale, era prevista la presentazione alla Regione entro il 20/9/1994, da parte dei potenziali beneficiari, di "Piani di azione locale". Tali "Piani" dovevano consentire alla Regione l'elaborazione di un PLR "aderente alle esigenze espresse dalla base operativa", da consegnare entro il 20 ottobre al Ministero delle Risorse Agricole che doveva a sua volta inoltrarlo alla Commissione Europea entro il 31 ottobre.
Sulla scorta dei "Piani" pervenuti (tra cui figura anche il "Cuneo Leader") il Settore Economia Montana e Foreste ha predisposto il PLR e lo ha consegnato - entro i termini stabiliti - al Ministero, che lo ha a sua volta inoltrato alla Commissione.
A partire da tale data, su richiesta dei Servizi della Commissione e dell'INEA (Istituto che svolge per conto del Ministero una sorta di assistenza tecnica nei confronti delle Regioni) il PLR è stato più volte modificato ed alla data odierna non è ancora stato approvato nella sua ultima versione. Ad avvenuta approvazione, prevista comunque entro pochi giorni (riteniamo entro il mese di maggio), il PLR passerà alla "fase operativa" che culminerà con la presentazione, da parte dei Gruppi di Azione Locale (GAL, sia quelli che già avevano presentato le "proposte" del settembre 1994, sia altri che nel frattempo si saranno eventualmente costituiti), dei "Piani di Azione Locale (PAL)". Tali "Piani" verranno valutati da un'apposita "Partnership decisionale" e quindi approvati con deliberazione della Giunta regionale. A questo punto i GAL selezionati nell'ambito delle risorse loro assegnate, dovranno procedere a rendere operativi i contenuti dei loro PAL.
Questo è quanto, allo stato attuale, posso comunicare in merito alla vicenda del progetto "Leader II". L'Assessorato e la Giunta sono pronti a procedere in tempi rapidissimi alla convocazione dei GAL non appena dalla Commissione europea giungerà il progetto approvato. Come ho anticipato, da notizie avute in questi ultimi giorni, riteniamo che entro il mese di maggio perverrà il documento "Leader II" approvato in modo definitivo.



MINERVINI MARTA



PRESIDENTE

Faremo pervenire copia scritta della risposta al Consigliere Peano.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni - Contratti ed appalti

Interpellanza n. 385 dei Consiglieri Chiezzi e Papandrea relativa alla Polizza regionale Assitalia


PRESIDENTE

In merito all'interpellanza n. 385, presentata dai Consiglieri Chiezzi e Papandrea, risponde l'Assessore Gallarini.



GALLARINI Pier Luigi, Assessore alle finanze

Con riferimento all'interpellanza n. 385 dei Consiglieri Chiezzi e Papandrea si premette che la polizza di assicurazione cumulativa contro gli infortuni attualmente operativa è quella stipulata con la Società "Le Assicurazioni d'Italia" con decorrenza 1/10/1973, alla quale nel corso degli anni sono state apportate alcune modifiche. Pertanto, negli ultimi dieci anni non sono state stipulate nuove polizze, ma sono state apportate soltanto modificazioni ed integrazioni alla polizza di cui sopra e conseguentemente non si è proceduto alla scelta di un nuovo contraente.
Inoltre, la polizza attualmente operativa, essendo stata stipulata nel 1973, non permette di effettuare una comparazione con i premi pagati da altre Compagnie in analoghe situazioni ed inoltre il materiale a disposizione degli uffici competenti non permette di effettuare detta comparazione.
Si conferma poi che la polizza non prevede alcun rimborso per i danni temporanei. L'inserimento di detta clausola avrebbe comportato rilevanti differenze di costo. Peraltro, si fa presente che con DGR del 27/6/1994 è stata approvata l'appendice n. 34337/0003 relativa all'estensione della garanzia al rimborso delle spese mediche fino alla concorrenza di L.
3.000.000; ciò senza alcun aumento del premio assicurativo a carico dell'Amministrazione.
Si rileva che dagli atti in possesso degli uffici competenti non si è in grado di verificare le eventuali differenze con le polizze stipulate da altre Amministrazioni.
Si informa che i premi pagati alla Compagnia assicuratrice negli ultimi cinque anni ammontano a L. 2.003.320.308, mentre l'ammontare dei rimborsi pagati dalla Compagnia assicuratrice agli infortunati nel periodo 1/1/1991 31/12/1994 è di L. 511.729.334 e che la stessa non ha ancora provveduto ad effettuare i rimborsi per gli infortuni avvenuti nel 1995 (questa risposta è pronta da circa due mesi, pertanto fino a due mesi fa la situazione era tale), fra cui dovrà essere rimborsato un caso di invalidità permanente di rilevante entità avvenuto nel 1995.
Per quanto concerne l'ultimo punto dell'interpellanza, si fa presente che gli uffici competenti stanno verificando la possibilità di modificare la polizza attualmente operante in modo da tutelare tutti i rischi dei dipendenti in caso di infortunio durante il servizio.
A questo punto vorrei fare una considerazione di carattere generale.
Sia per questa che per tutte le altre assicurazioni che la Regione ha in essere da molti anni, dilazionate, diversificate, ecc., prendendo lo spunto da questa interpellanza e da altre considerazioni, abbiamo iniziato una ricognizione globale per arrivare, se possibile, alla formulazione di un'assicurazione unica per quanto riguarda tutto il complesso dell'Ente Regione. Dai primi approcci avuti sembra che attraverso una strada del genere dovremmo arrivare a poter estendere gli eventuali rimborsi e i risarcimenti e potremmo anche spuntare una cifra di gran lunga inferiore alla sommatoria delle varie cifre che oggi sono relative alle varie assicurazioni.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Grazie, Presidente. Colleghi, per chi ha udito la risposta dell'Assessore penso che ci siano motivi di grande preoccupazione. Con l'interpellanza noi chiedevamo delle notizie in merito a questa polizza di assicurazione contro gli infortuni. In particolare, chiedevamo notizie sulle condizioni di mercato del contratto stipulate dalla Regione Piemonte con questa assicurazione. L'Assessore ha risposto che si tratta di una polizza che vige dal 1973, che non è mai stata ricontrattata, che ha avuto solo degli elementi di correzione in questi oltre vent'anni.
Alla domanda contenuta nell'interpellanza di verificare le condizioni di mercato, se stiamo pagando contrattualmente premi consoni ad offerte che possono fare altre Compagnie, l'Assessore ha risposto che la Regione non è in grado di dire alcunché. Inoltre, né per documentazione né per altro siamo in grado di capire se il premio pagato in base al contratto con questa assicurazione è un premio equo o meno. Complessivamente è un fatto gravissimo. Oltretutto verifichiamo che questo contratto ha comportato negli ultimi cinque anni, da parte della Regione Piemonte, un esborso di 2 miliardi contro un rimborso di 500 milioni e che l'Assitalia non ha ancora pagato (siamo nel maggio 1996) i rimborsi per infortuni verificatisi nel 1995. Questa è una bomba! Già mi stupisce che tutto ciò salti fuori soltanto perché un Gruppo consiliare ha presentato un'interpellanza legata ad un infortunio temporaneo, che si è svolto in questo edificio, subìto da un dipendente che non è stato rimborsato. Questa interpellanza ha svelato una situazione inaccettabile.
Non possiamo continuare a mantenere in vita un contratto nel momento in cui dichiariamo che non sappiamo neppure se è allineato rispetto ad altri contratti nella situazione di mercato; oltretutto con una sperequazione così forte tra l'esborso della Regione e il rientro attraverso i rimborsi.
Chiedo che di fronte a questa preoccupazione, che spero non sia solo del Gruppo di Rifondazione Comunista ma che abbia toccato tutti i Gruppi l'Assessore verifichi l'immediata rescissione del contratto; abbandoniamo questo contratto con l'Assitalia perché non sappiamo se è in linea con le altre condizioni di mercato. Verificate le condizioni della rescissione, i costi, gli oneri e chiudiamo questa partita in fretta, perché questo contratto nasce così lontano nel tempo e ha attraversato un periodo così lungo, turbolento e molto accidentato anche dal punto di vista di cattive amministrazioni o, peggio, di malversazione di denaro pubblico, di tangenti ed altro. Un contratto nato nel 1973 di cui non si sa nulla, nel senso che non si sa se sia equo o meno, è un contratto che va chiuso al più presto.
L'intenzione della Giunta di giungere a pensare ad una polizza generale, non deve essere un'intenzione detta a due mesi di distanza dalla risposta - che era stata già preparata dall'Assessore - ad un'interpellanza del gennaio 1996 quasi caduta dal cielo: sia un impegno preoccupato che comprende tutta la Giunta, il Presidente e anche il Vicepresidente Majorino, Assessore al legale, che sta seduto su una polizza che lui stesso non sa se sia equa ai fini di mercato! Preoccupatevi del fatto citato dall'Assessore Gallarini. Parliamo di una polizza stipulata nel 1973 e sempre rinnovata tacitamente; polizza sulla quale l'Assessore, oggi, dice di non essere in grado di garantire che sia equa. Preoccupatevi di verificare se corrisponde alle condizioni di mercato! Recidete con la massima velocità questo rapporto contrattuale ed assumete in tempi rapidi i relativi provvedimenti. Io chiedo anche che si riferisca alla I Commissione, che è la Commissione competente.
Penso che le cose dette dall'Assessore Gallarini preoccupino innanzitutto l'Assessore stesso, che le ha lette e pronunciate, perché se la situazione è questa è una situazione che non sta né in cielo né in terra. Bisogna fare piazza pulita di questo rapporto contrattuale che, tra l'altro, è onerosissimo per la Regione Piemonte.
Inviterei quindi l'Assessore, nel giro di pochissimo tempo, prima dell'estate possibilmente, a riferire in Commissione come procediamo perché sono veramente preoccupato di questa situazione.


Argomento: Norme finanziarie, tributarie e di contabilita

Interrogazione n. 587 del Consigliere Cavaliere relativa alla partecipazione della Regione Piemonte con una spesa di L. 148.750.000 ad una trasmissione televisiva su Canale 5


PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta, on. Ghigo, per una comunicazione in merito alla sollecitazione di risposta all'interrogazione n. 587 presentata dal Consigliere Cavaliere.



GHIGO Enzo, Presidente della Giunta regionale

Il Consigliere Cavaliere ha sollecitato una risposta, da parte della Giunta, all'interrogazione n. 587.
Questa interrogazione, il giorno di venerdì, non era ancora pervenuta all'Ufficio di Presidenza, perciò se il Consigliere Cavaliere non ha nulla in contrario io mi impegno a rispondere a tale interrogazione nel corso del prossimo Consiglio regionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cavaliere.



CAVALIERE Pasquale

Prendo atto che il Presidente non si sente preparato sull'argomento non conosce quindi l'argomento. Segnalo anche, al Presidente del Consiglio che non mi pare possibile che ad una sollecitazione di risposta ad un'interrogazione, presentata nella riunione dei Capigruppo - in quel momento il Vicepresidente Majorino aveva detto che non vi sarebbe stato alcun problema a rispondere - il Presidente della Giunta risponda che oggi non è in grado di affrontare l'argomento. Io ne prendo atto. Non posso fare altro. Dunque ne discuteremo appena il Presidente si sentirà pronto per affrontare questo argomento.



PRESIDENTE

La parola al Vicepresidente della Giunta, Majorino.



MAJORINO Gaetano, Vicepresidente della Giunta regionale

Devo solo precisare al Consigliere Cavaliere che è esatto che nel corso della seduta dei Capigruppo di venerdì scorso ho detto proprio queste testuali parole: "Penso proprio che non ci saranno problemi per rispondere", però in quel momento ignoravo che l'interrogazione fosse così fresca, di poche ore prima. Non era ancora pervenuta nella segreteria di Piazza Castello, mentre io davo questa assicurazione di larga massima.
Penso proprio che non ci fossero né ci saranno problemi per rispondere.
Nel pomeriggio di venerdì ho diligentemente fatto richiedere il testo dell'interrogazione alla segreteria del Presidente, facendo annotare, per quanto possibile, di rispondere nella seduta di martedì. Mi è stato detto che non ne sapevano nulla. Ancora sabato mattina ho fatto verificare, ma il testo non era ancora pervenuto.
Se mi si vuol dire, scherzando e celiando, che le interrogazioni presentate all'Ufficio di Presidenza camminano - per raggiungere Piazza Castello - con il rallentatore posso anche accettare la battuta; per riferirsi ad un'interrogazione che non risulta ancora pervenuta sul tavolo del Presidente - standosi alla richiesta del Consigliere Cavaliere - mi sembra che significhi pretendere che si risponda "il giorno successivo".
Comunque, siamo abbondantemente nei termini regolamentari e pertanto si risponderà il 28 maggio.



CAVALIERE Pasquale

Scusi se la interrompo, Presidente, ma è possibile ciò che ha detto il Vicepresidente Majorino, cioè che non gli mandate le interrogazioni?



PRESIDENTE

Noi le mandiamo.



CAVALIERE Pasquale

Ma il Vicepresidente si lamenta.



PRESIDENTE

Perché lei fa delle domande a cui sa dare anche le risposte opportune?


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

In merito al punto 3): "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico:


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Bellion, Benso, Casari e Ferraris.


Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

L'elenco dei progetti di legge presentati sarà riportato nel processo verbale dell'adunanza in corso.


Argomento:

c) Apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

L'elenco dei progetti di legge vistati dal Commissario del Governo sarà riportato nel processo verbale dell'adunanza in corso.


Argomento:

d) Mancata apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

L'elenco dei progetti di legge non vistati dal Commissario del Governo sarà riportato nel processo verbale dell'adunanza in corso.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

e) Dimissioni del Consigliere Daniele Galli dal Gruppo consiliare Lega Nord Piemont e adesione al Gruppo consiliare di Forza Italia


PRESIDENTE

Comunico che, con lettera del 23/4/1996, il Consigliere regionale Daniele Galli ha rassegnato le dimissioni dal Gruppo consiliare Lega Nord Piemont e ha aderito al Gruppo consiliare Forza Italia.
La lettera dice testualmente: "Il sottoscritto Consigliere regionale Daniele Galli, membro del Gruppo Lega Nord Piemont presso il Consiglio regionale della Regione Piemonte dichiara di rassegnare immediate ed irrevocabili dimissioni dal Gruppo consiliare Lega Nord Piemont.
Inoltre, a seguito lettera di intesa in data 5/4/1996, comunica la propria adesione al Gruppo consiliare Forza Italia".


Argomento: Rapporti Regione - Parlamento

Dibattito sulle riforme istituzionali e sulle istanze di secessione per la Padania avanzate dall'on. Bossi - Esame ordini del giorno n. 216, n. 217 e n. 218


PRESIDENTE

Desidero fare al Consiglio la seguente comunicazione.
Ho ricevuto in data 7/3/1996, da parte del Presidente del Gruppo del PDS, la seguente lettera: "Caro Presidente, lunedì 13 maggio si svolgerà l'incontro con i parlamentari eletti nella nostra Regione.
Io ritengo che questo incontro non debba essere solo rituale ma, al contrario, l'inizio di un confronto politico che dovrà diventare una sede permanente al fine di realizzare un lavoro ed una collaborazione tra i diversi livelli istituzionali della nostra Regione.
In particolare ti chiedo, nella tua qualità di Presidente del Consiglio regionale, di predisporre per l'incontro di lunedì una posizione precisa in ordine alle problematiche della riforma istituzionale.
Non può più essere dilazionata la riforma federalista dello Stato.
Occorrono risposte precise da parte del Governo e del parlamento alle giuste aspettative dei cittadini in ordine alle autonomie regionali e locali, al federalismo fiscale, alla riforma di uno Stato e di una pubblica amministrazione che vengono vissuti unicamente come esattori di tasse e di eccessiva oppressione burocratica.
Si tratta di riprendere le proposte già definite dalla Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali per tradurle concretamente in una riforma federalista dello Stato, basata sul principio di sussidiarietà e di responsabilità dell'istituzione a tutti i livelli.
Nel contempo io ritengo necessario che lunedì venga espressa dalla massima autorità istituzionale della Regione, l'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, un chiaro 'no' alle irresponsabili tesi e proclami sostenuti dal gruppo dirigente della Lega Nord per la secessione.
Questa è solo una risposta avventurista, utilizzata in modo antiriformista che rischia di generare spinte irrazionali ed incontrollabili e quindi pericolosa per la convivenza civile e democratica.
Per questo ti chiedo, in quanto garante di un'istituzione che difende innanzitutto questi principi, di assumere una posizione molto ferma, in modo che i parlamentari piemontesi la possano riportare nella discussione al Parlamento nazionale.
A mio avviso questi problemi dovranno inoltre essere affrontati in una prossima riunione del Consiglio regionale, in concomitanza con la discussione per l'insediamento della Commissione per la revisione dello Statuto".
Ieri, come tutti sapranno, si è tenuta una riunione con i parlamentari piemontesi: 37 deputati hanno avuto modo di ascoltare e di esprimere le proprie opinioni in merito.
Credo si sia trattato di un dibattito assolutamente civile, che non è andato oltre i toni di una corretta disamina dei problemi; ritengo che il Consiglio regionale non possa che prendere atto della diffusa necessità riformistica per quanto concerne il tema federalista.
Vorrei aggiungere alcune mie particolari dichiarazioni sull'argomento.
"Dopo cinquant'anni dal tentativo di separatismo siciliano e le più recenti avvisaglie autonomistiche - l'ho detto anche ieri di fronte ai deputati - ai limiti dell'indipendentismo, provenienti da alcuni gruppi politici dell'Alto Adige, si torna a mettere in discussione il vincolo unitario, approfittando della debolezza delle nostre radici identitarie della fragilità della nostra compagine nazionale, quasi ignorando che dalla dissoluzione di uno Stato confinante è scaturito uno dei conflitti più cruenti della storia d'Europa.
Non so se il risultato elettorale sia stata la combustione alchemica dell'ultima provocazione bossiana o se alla base di tutto ci sia un problema antropologico per cui nell'era della mondializzazione dell'economia, dell'emigrazione di massa, del multiculturalismo, viene messo in discussione il concetto stesso di Nazione. Ovvero se questo sia essenzialmente un fatto, ossia un dato non modificabile o sia invece un patto (il frutto di una scelta libera, e in quanto tale, revocabile).
Certo è che nel dibattito interno al liberalismo non è mai venuto meno il riconoscimento di legittimità del diritto di secessione o, per meglio dire, del diritto di rescindere il patto nazionale sulla base di motivazioni indubbiamente discutibili, ma ineliminabili della sfera delle cosiddette libertà borghesi.
C'è da dire, però, che l'argomento di Bossi, che trae linfa dalla protesta emotiva e dall'istinto di disubbidienza civile, fa emergere un dato di fatto incontrovertibile della realtà italiana, e cioè l'esistenza di una contraddizione geopolitica e geoeconomica tra forme spaziali ed assetti istituzionali.
L'Italia è l'unico Paese nel mondo occidentale a combinare una struttura urbana ed economica di tipo policentrico, con un assetto istituzionale straordinariamente centralizzato. E questa contraddizione ormai non può essere disattesa o metabolizzata in un contesto di riforme istituzionali generiche o di riforme costituzionali generalistiche preventivamente immolate sugli altari del nazionalismo.
D'altronde, la massima che recita che 'la nazione è un plebiscito di ogni giorno', appartiene ad una retorica patriottarda pseudorisorgimentale, che non trova più alcuna corrispondenza sia nella sensibilità politica che nell'immaginario collettivo.
E peraltro essa stessa è la prova più evidente della debolezza del concetto, ma persino dell'idea di nazione, poiché una comunità ipoteticamente costretta alla verifica quotidiana dell'esistenza, verrebbe sopraffatta dal diritto, o meglio, dall'arbitrio di qualsiasi gruppo, anche minoritario, di costituirsi e rappresentarsi come legittimo corpo sovrano.
Peraltro, qualcuno ha anche affermato che con l'avvento su scala globale della rivoluzione informatica e telematica si assiste all'emergere di alcuni soggetti, che non possono chiamarsi nazione. Si pensi ai colossi aziendali, alla Chiesa cattolica, all'Islam, al multimediale, al narcotraffico, a Greenpeace, alla concertazione mondiale per scongiurare l'olocausto nucleare o per risolvere, attraverso estenuanti negoziati, i cosiddetti conflitti regionali.
L'arena mondiale è sempre più affollata di gladiatori senza nazionalità, che possono competere e comunicare, grazie a Internet, con l'intero pianeta.
D'altro canto, l'indebolimento degli Stati-nazione, degli Stati-faro come li chiama lo storico francese Furet, è una conseguenza iscritta nel codice genetico dell'età post-moderna e cioè di quel tempo, il nostro tempo, in cui l'ormai proverbiale morte delle ideologie, la scomparsa dei valori forti, il tramonto delle tradizioni rassicuranti, hanno tolto alla nazione in quanto tale la possibilità di configurarsi come l'ambito spaziale in cui l'assoluto si incarna nella storia.
Siamo di fronte, in altre parole, ad un salto verso un sistema superiore, basato sulla complessità, sulla diversità, sulla velocità dell'informazione.
Com'è possibile allora questo traumatico e regressivo desiderio di secessione padana, di cui parla Bossi, per via di un'efficace redistribuzione del potere da parte del centro? Non credo che una cultura, una lingua, una religione in comune siano sufficienti a dare alla Padania una connotazione nazionale se, come di fatto ha rilevato la Fondazione Agnelli, la stessa Padania conosce sindromi ben diverse tra il suo est e il suo ovest: un panorama mosso, 'un sistema di sistemi', che non depone a favore dell'ipotesi di un'unica macro regione.
Ma di fronte a questa paventata riedizione dell'Europa carolingia occorre avvertire che tutto ciò ci farebbe scadere di colpo al rango di provincia, alla mercé di insiemi geopolitici maggiori. Dando un'occhiata a questa carta improbabile, gli italiani del nord diventerebbero i ticinesi d'Europa, gli italiani del centro si confinerebbero in una riserva artistico-monumentale e quelli del Meridione si potrebbero confederare con Tripolitania, Cirenaica e Malta per dare origine ad una specie di 'Baltico del sud'.
La nostra fuoriuscita dall'Occidente sarebbe inevitabile. Noi italiani infatti, siamo stati europeisti perché senza Europa saremmo stati scaraventati fuori dall'occidente e questo perché a differenza dei francesi, degli inglesi e degli americani, noi italiani siamo in parte più mediterranei che occidentali. La nostra occidentalità, e qui è proprio il caso di dirlo, è un plebiscito di tutti i giorni, è una verifica di tutti i giorni.
Da qui deriva il nostro strenuo europeismo, contro il quale coloro che vogliono far del loro territorio un organismo chiuso ed intollerante, come un club cui si accede solo per diritto di nascita, dimostrano di essere radicati in una posizione squilibrata, che oscilla di continuo tra il ridicolo e il pericolo.
L'identità territoriale di una democrazia matura è sempre il risultato di una scelta di campo fondata su una scelta di valore e non il presupposto dogmatico, mitico e mistico da far valere come indizio di superiorità ed etnoculturale.
Se, dunque, è pericolosa la disunità schizofrenica tra nord e sud, pu essere altrettanto e forse più pericolosa un'identità troppo forte di una macroarea del nostro Paese a dispetto e a discapito dell'altra.
Tuttavia, questo mio modesto tentativo di correggere una rotta dichiaratamente ed astutamente secessionistica, non elimina né smussa l'urgenza di certi problemi.
Non si può infatti dare risposte ideologiche o politologiche a problemi che hanno gambe reali. E allora la risposta che si impone non può essere che risolutamente federalista.
Voglio dire anzitutto questo: che il federalismo, a questo punto, non è più una cosa da dire; è una cosa da fare, che si deve assolutamente e tempestivamente fare.
In Italia, scontiamo cinquant'anni di disattenzione sulle dinamiche territoriali e di condizionamento di molti flussi della finanza pubblica da parte di un meridionalismo spesso di maniera, un meridionalismo, cioè, che corrispondeva non alle esigenze legittime dei meridionali, ma a quelle di una classe politica e dirigente meridionale, nella quale, peraltro neppure in questi ultimi anni, di fronte all'emergere della questione settentrionale, è maturata - e in questo ha pienamente ragione Piero Bassetti - una coscienza federalista.
Le politiche territoriali sono state concepite come dipendenze della ben più corposa e corpulenta gestione dei lavori pubblici che, per decenni neanche i disastri ambientali sono riusciti minimamente a scalfire.
Ma per capire il senso profondo ed iniquo della rimozione della categoria 'territorio' può bastare questo esempio: durante la seconda guerra mondiale, sotto i bombardamenti nazisti, le municipalità di Rotterdam a Londra - pertanto in esilio - assegnarono incarichi ufficiali per la redazione dei rispettivi piani regolatori, e questo grazie ad una tradizione politica e culturale capace di creare una distanza mentale dalle difficoltà del momento. Ma se è vero che in quei Paesi in stato di emergenza la normale attenzione al territorio non conosceva soluzioni di continuità, verrebbe da dire che in Italia, in condizioni di normalità, le politiche territoriali sono state e sono tuttora condotte soltanto sotto la pressione di fattori emergenziali. Da questo punto di vista, il disastro dell'alluvione parla una lingua che non ha bisogno di essere tradotta n interpretata.
Realizzare, dunque, il federalismo.
Mi sembra che questo voglia essere sia un consiglio che un imperativo e sia anche il più urgente tra quelli da segnalare alla nostra attenzione. Ma come realizzarlo? In realtà, io penso che il principio di un federalismo neoregionalistico improntato all'autonomia e alla responsabilità e, quindi, all'autogestione delle proprie risorse, sul modello dei Lander tedeschi, si potrebbe concretizzare, senza produrre effetti dilaceranti, soltanto in armonia con altri due principi fondamentali: il principio di giustizia distributiva e quello di sussidiarietà.
Se l'equità distributiva si applica solo al campo delle risorse e quindi, all'allocazione di vantaggi e svantaggi di natura economica, il ruolo dello Stato centrale, come insegnava un maestro del liberalismo, si riconferma per la grande funzione, la grande responsabilità e il grande potere che viene ad esercitare.
Ma se la ridistribuzione riguarda anche in particolare modo i poteri le presenze istituzionali, la realtà di governo, allora il ruolo dello Stato, in una società densa come la nostra, viene riequilibrato e rilegittimato proprio attraverso la sua radicale e complessiva riarticolazione sul territorio.
Il che si pone anche come garanzia di quel federalismo solidale con cui, evitando le degenerazioni di un assistenzialismo fine a se stesso, si confermano le regole e gli impegni dello Stato sociale nei confronti delle realtà storicamente più svantaggiate del Paese.
Quanto al principio cattolico-liberale di sussidiarietà, esso rappresenta sul versante realizzativo, il metodo, la canalizzazione, l'ordinamento e l'orientamento per nuovi assetti istituzionali".
Signori Consiglieri, non ho voluto assolutamente usare né parole forti né parole alte, non compete a me, non compete alla mia funzione, non compete nemmeno alla funzione di questo Consiglio regionale.
Credo, però, che i messaggi pervenuti dalle alte cariche dello Stato il grande dibattito politico, la grande tensione emotiva su questo argomento, la grande capacità anche di strumentalizzare sentimenti opinioni, riflessioni politiche anche, direi, diverse rispetto a noi, non possono che comportare una presa di posizione molto chiara, molto netta molto riflessiva da parte di questo Consiglio regionale.
Noi abbiamo messo in quarantena questo dibattito sulle riforme istituzionali, abbiamo giocato con esse complessivamente nel nostro Paese quasi che questo fosse un fenomeno carsico da recuperare alla superficie se la sensibilità del momento, se l'attualità delle considerazioni, se la capacità di inventare qualche suggestione emotiva ce lo proponeva. Ma al di là di tutto questo, al di là delle emozioni, oggi noi dobbiamo fare un fronte comune. C'è una posizione unitaria da parte dei Presidenti delle Giunte con i Presidenti del Consiglio, c'è un sistema delle autonomie che viene oggi valutato complessivamente con i Comuni e con le Province, c'è uno schema di modifiche istituzionali a costituzione vigente e a costituzione variata.
Oggi credo che la Costituzione vigente passi in secondo ordine rispetto alla prospettiva di una Costituzione variata, che deve essere portata avanti con una fredda, direi anche cinica, determinazione. Perché, come ho detto prima, se per caso il federalismo meridionale - quel federalismo tante volte assente, per ragioni storiche, ma anche per incapacità culturale complessiva, nel senso che una dipendenza psicologica storica culturale complessiva da parte dello Stato centrale ne ha sempre tutelato le aspettative più assistenziali - se questo federalismo domani potesse mai concorrere ad una unità fittizia, ma comunque certamente pericolosa con le istanze del federalismo del nord, noi veramente ci potremmo ritenere chiusi pericolosamente in una sacca dalle conseguenze assolutamente imprevedibili.
Per questo il discorso è nostro, ed è per questo allora che il discorso riprende da una parola forse usata ed abusata, ma mai come in questo momento, invece, esponenziale di una grande capacità: il riformismo. Il riformismo con cui il nostro Paese, al di là di lacerazioni paventate, ma mai verificatesi se non per brevissimi periodi della nostra storia post resistenziale, è andato avanti. Ed è per questo che allora, al di là della discussione che abbiamo fatto in VIII Commissione sul problema del documento di Caprarola, ma con la presenza puntuale, la verifica e soprattutto la sollecitazione da parte del Presidente del PDS e con gli ordini del giorno che sono stati presentati in questo Consiglio regionale noi crediamo che questa seduta debba esprimere e sottolineare una valenza di partecipazione, di riflessione e di analisi che dovrà fare onore a questo Consiglio, ma dovrà soprattutto rispettare gli impegni che di fronte ai nostri elettori noi abbiamo assunto.
Credo che la discussione che verrà oggi da parte di tutti voi sarà un contributo positivo, direi costruttivo, un contributo nella migliore tradizione "liberale" del nostro pensiero - se si può accettare questo aggettivo - per definire le riflessioni comuni che noi tutti vorremmo fare in questo ambito e in questa occasione.


Argomento: Industria - Commercio - Artigianato: argomenti non sopra specificati

Incontro tra i Presidenti dei Gruppi consiliari e i rappresentanti della FIAT


PRESIDENTE

Comunico che domani alle ore 18,30 i Capigruppo sono invitati nella sala dell'Ufficio di Presidenza per un incontro informale con l'ing.
Cantarella e il dott. Panzani della FIAT. E' un incontro informale pertanto non abbiamo bisogno dei nostri collaboratori né di stenografare o formalizzare la seduta. La nostra riunione dovrà essere preparatoria di altri incontri che succederanno, in questo caso in maniera formale, con i rappresentanti dell'azienda torinese. Per cui non farò pervenire delle lettere scritte ai Capigruppo. Si tratta di un incontro con il Consiglio non con la Giunta, è uno scambio di idee; tutti coloro che vorranno partecipare saranno graditi.


Argomento: Rapporti Regione - Parlamento

Dibattito sulle riforme istituzionali


PRESIDENTE

In merito al dibattito sulle riforme istituzionali ha la parola la Consigliera Spagnuolo.



SPAGNUOLO Carla

Credo che anche un piccolo Gruppo come il nostro possa aprire una discussione tanto importante, dopo un intervento del Presidente del Consiglio regionale che, in maniera corretta, approfondita e anche colta ha introdotto reazioni e riflessioni su una serie di grandi questioni che in questo momento la vita politica italiana, le istituzioni e le forze politiche, ma per la verità anche la gente comune, stanno dibattendo ed affrontando.
Ieri l'intervento che il Presidente del Consiglio ha fatto ai parlamentari ammetteva la novità rappresentata dalla "proposta-minaccia" della Lega sull'ipotesi politica che viene chiamata con il semplice termine della "secessione".
Indubbiamente questa è una risposta un po' choc, che è stata data a fronte dei milioni di voti che sono venuti soprattutto da parte dell'elettorato al nord; voti che hanno dato un nuovo impulso politico ad un partito, quello della Lega Nord, che in questo momento si pone anche il problema della gestione di questi voti e si pone il problema di una gestione che, almeno in una fase iniziale, è sembrata essere al rialzo permanente di questa proposta e di questa risposta.
Credo di dover dire subito, non intendendo assolutamente fare un discorso lungo né tanto meno teorico, che noi crediamo nella Costituzione che vogliamo difenderla, che indubbiamente riaffermiamo il concetto che l'Italia è una e indivisibile, che condividiamo le analisi politiche dotte ed importanti che sono state anche riportate da autorevolissimi quotidiani penso, per esempio, all'analisi politico-istituzionale di Sergio Romano, ma anche alle analisi di carattere economico di Mario Deaglio.
Nell'intervento del Presidente del Consiglio ho apprezzato anche il riferimento alle grandi trasformazioni di carattere nazionale internazionale ed economico della società, che dovrebbero far pensare ad una risposta per la soluzione di problemi non di carattere particolare, ma semmai di carattere generale. Lei ha voluto citare Internet e io penso alla trasformazione totale che comporta la mondializzazione dell'informazione.
Credo che per esaminare i problemi che emergono in questo momento non sia sufficiente dire che l'Italia è una e indivisibile e che la secessione è una risposta che assolutamente deve stare fuori non solo dal nostro vocabolario, ma anche dalla nostra morale e dalla nostra politica, perch al di là della condanna della soluzione politica che l'on. Bossi propone (nella forma folcloristica delle camicie verdi), penso che si debba fare un profondo esame.
Sono d'accordo con quella parte di commentatori politico-istituzionali autorevolissimi, che ci hanno detto che bisogna esaminare seriamente anche i problemi posti dagli elettori che votano l'on. Bossi. Credo che sia molto importante, condannando la soluzione che viene ipotizzata, esaminare questi problemi. A questo proposito, mi sembra che anche l'articolo di Gad Lerner su La Stampa, che questa mattina ho letto trovandolo molto interessante intitolato "Lega falso bersaglio", sia un articolo che ci pone una problematica che dobbiamo esaminare e che va in questa direzione, perché il malessere profondo esiste. Esistono delle istanze vere di autonomia regionale e di federalismo, e uno dei problemi è che non si può continuare a parlarne.
Abbiamo avuto due tornate elettorali recenti a breve distanza e condivido quella parte di commentatori che dice che non potremo pensare per esempio, ad un'altra tornata elettorale senza aver prima risolto ed affrontato questi problemi, un dato reale nel nostro Paese. E anche lei Presidente, nel suo intervento in parte l'ha citato: è la problematica forte del centralismo, una realtà ed una costante rispetto alla quale oggi stiamo facendo i conti.
Tutto questo in un Paese dove, tutto sommato, la gente va a votare. Ci siamo stupiti, per esempio, dei diciotto referendum: tutti pensavano che la gente non avrebbe votato e invece la gente è andata a votare. Politologi nazionali ed internazionali hanno constatato come le risposte ai referendum che andavano nella direzione, per esempio, dell'abolizione di Ministeri siano state totalmente vanificate.
Si parla di federalismo, si parla di processo di regionalizzazione, si parla anche di attuazione della Costituzione, perché probabilmente, se avessimo attuato ciò che la Costituzione già oggi dice, saremmo andati sulla strada di un regionalismo che, probabilmente, ci avrebbe aiutato di più ad interpretare le richieste di identità provenienti da determinate comunità.
Credo che si debbano fare dei ragionamenti, perché il malessere e le difficoltà di questo Paese non vengano strumentalizzati. Dobbiamo esaminare il malessere e le difficoltà per dare delle risposte.
Il Presidente - ripeto, io l'ho apprezzato - nel suo intervento di apertura ha citato le grandissime questioni. Le condivido, sono una parte dell'analisi. Pensando a questo dibattito, ho cercato invece di fermarmi sulle piccole questioni, quasi sulle motivazioni individuali; mi sono messa nei panni dell'elettore del Veneto, di Cuneo, di Alba che ha votato in un determinato modo e mi sono chiesta perché lo ha fatto. A questo proposito consentitemi di raccontarvi una breve esperienza che ho fatto sabato.
Sabato sono stata in una cantina molto importante dell'Albese, nella quale si produce quello splendido Barolo che è nostro vanto nel mondo; nel mondo e molto meno in Italia, perché voi sapete che il 70% della produzione del Barolo va all'estero. Mi diceva questo grandissimo produttore, che è anche uno dei grandi cultori di questa economia, che in Italia il Barolo la famiglia media lo consuma a Natale, a Pasqua, al Battesimo e per un matrimonio.
Mi direte: perché in un dibattito su temi così importanti parlare del Barolo? Facevo questa riflessione sabato, quando questo buon produttore che possiede una delle strutture trainanti dell'economia vitivinicola della nostra Regione, mi presentava la sua cantina dove era allestita una mostra d'arte. Era presente anche un gruppo di inglesi (i migliori acquirenti oggi), di tedeschi, di svizzeri; questo produttore mi ha presentato i suoi due figli, uno dei quali parla cinque lingue e parlava ai tedeschi in tedesco, agli inglesi in inglese e agli svizzeri nella loro lingua di origine.
Ho pensato alla grande fortuna di questa persona, perché vive questa dimensione di vita anche lavorativa, ma mi sono chiesta quanto sia fortunata, perché poi si finisce sempre di parlare delle difficoltà, della burocrazia, dei problemi del fisco, del fatto che le persone non si sentono sostenute in queste grandissime attività e nelle imprese cui hanno dedicato la loro vita. E allora mi sono detta che, probabilmente, in alcune aree forti del nord, dove si vota Lega, in alcune Regioni del nord - penso al Veneto, dove c'è una tradizione di questo tipo - di fronte a tanti problemi, il pensare che se si fosse da soli i propri problemi, quelli dei figli e della comunità li si potrebbe risolvere meglio, può essere una motivazione politica che porta anche ad esprimere un voto in questo senso.
Pertanto credo che noi dobbiamo passare dall'enunciazione delle riforme perché indubbiamente il riformismo è una grande risposta all'unità e alla valorizzazione delle differenze nel nostro Paese - al "fare" le riforme.
Noi abbiamo presentato (primo firmatario è il collega Marengo) un ordine del giorno che certo condanna la secessione, ma dice anche che le riforme di carattere istituzionale devono essere fatte.
Cerco di avviarmi rapidamente alla conclusione. Il Presidente ha detto prima che abbiamo esaminato il documento di Caprarola in VIII Commissione.
Permettete a me, che seguo questi problemi dal punto di vista professionale prima ed istituzionale dopo, da circa vent'anni, di ricordare quello che ho detto in VIII Commissione: il documento di Caprarola è un ottimo documento può essere certamente migliorato, ma noi avremmo dovuto esaminarlo a seconda del contesto politico nel quale ci saremmo trovati dopo le elezioni. E allora bisogna passare dalle parole ai fatti, attraverso le riforme. Sappiamo anche quali riforme, perché ricordiamo bene che abbiamo avuto due Bicamerali e che quando si parla di lotta agli sprechi bisogna anche parlare della lotta agli sprechi umani, agli sprechi economici e agli sprechi istituzionali! Non possiamo ricominciare sempre da capo. La Regione Piemonte ha concorso alle due Bicamerali precedenti, perché abbiamo presentato una proposta di legge che, anche se poteva essere accolta e modificata, andava nella direzione della riforma della Costituzione, individuando, per esempio, l'istituzione di una Camera delle Regioni, sede nella quale le Regioni, fatta salva l'unità nazionale, potrebbero far valere le loro differenze. La Bicamerale è arrivata alla fine, ma ha permesso l'elaborazione di ottimi testi di modifica, che giacciono in Parlamento dei principi dell'art. 117 e dell'art. 118, esami estremamente approfonditi sull'intero comparto fiscale; materiali che devono essere ripresi, che possono essere modificati, ma che rappresentano una linea di tendenza da assecondare.
Non voglio togliere altro tempo. Ripeto che abbiamo presentato un ordine del giorno. Credo che le Regioni, le Conferenze dei Presidenti dei Consigli, le Conferenze dei Presidenti delle Giunte, insieme alla politica delle autonomie locali, debbano esercitare una straordinaria, non dico pressione politica, ma presenza politica perché si arrivi alle riforme e alla modifica della Costituzione. L'altro giorno l'VIII Commissione ha intrapreso una stagione innovativa, ponendo le basi della riforma dello Statuto della Regione Piemonte. Io credo che i lavori della riforma dello Statuto della Regione Piemonte debbano e possano seguire di pari passo infatti non è stata casuale la proposta del collega Marengo di intraprendere questo dibattito. Può essere un motivo anche per riprenderlo e per seguire, attraverso la riforma dello Statuto e l'attività della Commissione istituzionale, il cammino che deve portarci alla riforma della Costituzione, perché è attraverso degli atti concreti che ridaremo fiducia e daremo delle risposte a questo malessere.
Mi è piaciuta un'espressione molto simpatica di un parlamentare: "smetteremo di rincorrere la lepre di Bossi". Evidentemente faremo ciò che serve al nostro Paese, dando uno spazio ad identità e riconoscendo anche problemi che richiedono una risposta da moltissimo tempo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Montabone.



MONTABONE Renato

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, non v'è più alcun dubbio che tra le esigenze prioritarie del nuovo Parlamento vi sia la questione connessa alle non più rinviabili riforme istituzionali, ma è altrettanto indubbio che tale questione debba vedere le Regioni protagoniste.
Protagoniste del processo di costruzione del nuovo assetto istituzionale della Repubblica in senso federalista, fondato sui principi dell'autonomia della responsabilità e della cooperazione.
Una pretesa, ritengo, che fonda la sua legittimità su una duplice constatazione: da un lato, il comune convincimento che l'esperienza delle Regioni italiane è nei fatti un'esperienza dimezzata; dall'altro, la diffusa consapevolezza che solo attraverso la concreta attuazione di un regionalismo spinto, reale, si può contribuire a rifondare lo Stato.
E' appena il caso di notare come i rapporti Stato-Regione si siano sviluppati tra freni e riserve, e credo che due siano gli elementi che hanno fatto del nostro un regionalismo dimezzato: la questione del rapporto tra Stato e Regioni, e Regioni ed Enti locali, con l'intreccio delle competenze senza regole certe da cui è spesso derivata un'indeterminatezza di ruoli e responsabilità; ma soprattutto la mancanza di un credibile e coerente sistema di finanziamento dei governi locali, quasi del tutto ancorato ai trasferimenti statali e ai conseguenti vincoli di destinazione imposti alle Regioni.
In occasione della discussione del nostro bilancio quasi tutti i Gruppi consiliari rilevavano questa imposizione da parte dello Stato anche sui trasferimenti che lo Stato dava alle Regioni. Questi sono due aspetti qualificanti su cui un serio ed organico progetto di riforma in senso regionalista dovrà inevitabilmente incidere e a cui si possono ricondurre gli indirizzi di fondo che caratterizzano la nostra proposta.
Innanzitutto riteniamo che si debba procedere senza remore ad una ridefinizione dei criteri di attribuzione delle competenze tra Stato e Regioni, con una prospettiva opposta - è già stato rilevato nei suoi interventi, signor Presidente - rispetto a quella accolta dagli artt. 117 e 118 della Costituzione, per cui alle Regioni andrebbero riconosciute competenze generali salvo le materie specificamente attribuite in via esclusiva allo Stato, a cui, peraltro, dovrebbe spettare il compito di emanare leggi organiche, da sottoporre all'approvazione della "Camera delle Regioni". Ed è proprio l'istituzione della Camera delle Regioni un altro aspetto fondamentale sul quale occorre concentrare i nostri sforzi in sede di revisione degli assetti costituzionali del nostro ordinamento.
Credo che oggi pochi esprimano fondate perplessità circa la necessità di superare il sistema bicamerale perfetto, nella direzione di una più razionale diversificazione delle attribuzioni delle due Camere, anche con riferimento alla loro composizione. Non è qui, certo, la sede per tentare di offrire un'analisi, anche sommaria, dell'incidenza negativa del sistema attualmente in vigore, ad esempio, per quanto attiene all'iter di approvazione delle leggi; ma è questa certamente l'occasione per sottolineare la necessità di costituire una Camera in cui siano direttamente rappresentati gli Enti regionali, a cui vadano attribuite funzioni codecisionali di tipo specializzato sul modello tedesco. Non si può, peraltro, fare a meno di ricordare come già nel corso dei lavori dell'Assemblea Costituente emerse la proposta di un Senato delle Regioni tale da consentire un raccordo stabile ed istituzionale tra lo Stato e le Regioni stesse.
Un altro ambito di interventi deve prevedere, poi, un organico inequivoco riparto di competenze tra le Regioni e gli Enti locali, una necessità ancor più avvertibile a seguito della riforma delle autonomie locali e dell'elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti delle Province.
Credo che la Regione dovrà caratterizzarsi per la sua attività legislativa, di programmazione concertata dello sviluppo socio-economico regionale, di determinazione degli indirizzi generali d'uso e di tutela del territorio; mentre ai Comuni spetterà la gestione del territorio e dei servizi a livello locale, alle Province, invece, spetterà di caratterizzarsi come ente intermedio di collegamento tra Comuni e Regioni con una particolare attenzione alla pianificazione territoriale di livello provinciale e alle attività di supporto tecnico-amministrativo ai piccoli Comuni.
"In questo diverso quadro di articolazione di poteri, non sovrapposti e non conflittuali, ma solidali, complementari e finalizzati ad un comune progetto, la Regione" - è stato osservato - "potrà esprimere le sue massime potenzialità, con il concorso a pari dignità di tutti i livelli istituzionali".
Certo, questo non potrà e non dovrà essere vanificato da un sistema di finanza derivata, che è stato all'origine, come prima ho ricordato, del "sostanziale svuotamento" dell'esperienza regionalista. Ed è questa la ragione per cui riteniamo che la soluzione per offrire una risposta adeguata alla domanda crescente di maggior democrazia e sussidiarietà, e nel contempo cercare di imboccare una strada che porti alla riduzione della spesa corrente (senza sacrificare i servizi resi, grazie a maggiori livelli di efficienza derivanti da una maggiore vicinanza al controllo democratico dei cittadini) è quella del federalismo fiscale, ovvero l'attribuzione alle Regioni di un'autonomia finanziaria o quanto meno di una più incisiva e sostanziale capacità impositiva.
Ho seguito con attenzione gli interventi svolti ieri da alcuni parlamentari che si portavano dietro molto spesso, sulla base della loro esperienza come Sindaci, la volontà di trasformare in modo minimale quelle che erano le competenze delle Regioni e degli Enti locali, cercando in qualche modo di modificare le attuali leggi finanziarie. Sarebbe un errore assoluto, perché ci riporterebbe a discutere senza mai avere quell'autonomia finanziaria della quale parlavo prima.
Certo è che tale non può essere considerata la mera attribuzione di più cospicue competenze fiscali a fronte di minori trasferimenti dello Stato dato che ciò si risolve per gli Enti locali in una partita di giro e per i cittadini in un ulteriore aumento della pressione fiscale. Il federalismo che noi auspichiamo deve rispondere al principio di sussidiarietà e deve coniugarsi con il principio di solidarietà tra aree forti ed aree deboli del Paese. Per questo respingiamo con fermezza le suggestioni separatiste oggi tanto risolutamente quanto confusamente rivendicate dall'on. Bossi come se fossero la condicio sine qua non della soluzione di tutti i mali ed è per questo, Presidente, che condividiamo il suo appello affinché questo Consiglio pronunci una forte e decisa condanna rispetto a qualunque tentazione secessionista che miri a disgregare, non a rifondare lo Stato sulla base di un rinnovato patto sociale.
Detto questo con fermezza, non possiamo non tenere in considerazione quelle che sono state le cause di questi effetti, cosa ha portato nel nostro Paese a prese di posizione che certamente vanno oltre la logica costituzionale e l'etica politica. Dobbiamo tenere in considerazione queste cause, altrimenti rischiamo di fare un'analisi incompiuta di quello che è stato e non potremo porvi rimedio per il futuro.
Il federalismo che noi ipotizziamo non è la secessione, ma è al contrario un federalismo volto ad unire l'Italia, che, come sottolinea il documento programmatico approvato dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni, sia "capace di favorire il superamento della frattura storica tra nord e sud", assumendo la sua più autentica ispirazione di strumento di articolazione, diffusione e divisione del potere; in sostanza, di formidabile momento di espansione delle libertà e del pluralismo sociale ed istituzionale.
Oggi la realtà è che siamo ancora molto distanti dalla previsione ed attuazione di questi principi e non possiamo non constatare come il rapporto Stato-Regioni resti un rapporto tra "Golia e Davide".
I referendum vinti dalle Regioni non hanno sortito conseguenze concrete sul piano del decentramento; la stessa riforma elettorale regionale è stata confezionata in Parlamento, senza tenere in benché minimo conto le tesi degli Enti interessati.
D'altra parte, occorre onestamente riconoscere che se, da un lato strategie di ordine nazionale hanno impedito il decollo delle Regioni dall'altro canto sono imputabili considerevoli carenze al sistema regionalista. E' pertanto necessaria non solo una forte determinazione politica delle Regioni, ma anche una rilevante capacità delle stesse di autoriforma.
Dunque, il realistico impegno di chi governa oggi le Regioni deve essere la loro reimpostazione: predisporre cioè la macchina regionale per i compiti che si vuole le vengano assegnati ed ancor prima l'adeguamento della macchina alle profonde trasformazioni che sono già avvenute.
Detto questo ricordo a noi tutti che ci attendono compiti complessi che richiedono impegno, preparazione, grande volontà. Doti che sono richieste più a noi che a chi ha la responsabilità del governo nazionale, perché come diceva Don Sturzo "è per la loro natura stessa che i soggetti di governo decentrati" - si riferiva ai Comuni, ma ben possiamo parlare oggi anche delle Regioni - "sono chiamati ad una più elevata funzione sociale che non quella burocratico-amministrativa dello Stato accentratore".
E' nelle comunità locali che gli uomini imparano ad essere liberi e ad esercitare la convivenza democratica e noi difendiamo la nostra autonomia senza essere anti-Stato: anzi abbiamo bisogno di uno Stato serio e forte per poter meglio governare le nostre comunità locali.
Ho esaminato i due ordini del giorno che sono stati presentati: sono condivisibili in larga parte entrambi. Credo che su un tema come questo probabilmente, i Capigruppo del Consiglio regionale farebbero bene a convocare una riunione che veda il Consiglio regionale del Piemonte uscire con un ordine del giorno il più possibile unitario. Un ordine del giorno che sappia attenuare le conflittualità, ma che faccia emergere a pieno titolo quella che è la sostanza che il Consiglio regionale del Piemonte vuol fare emergere.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cavaliere.



CAVALIERE Pasquale

Grazie, Presidente.
Non avevo preparato un intervento, quindi prendo spunto dalla sua relazione, che ho ascoltato un po' in aula e un po' al televisore. Credo che bisognerebbe fare una rivisitazione della storia del nostro Paese per capire come le tendenze federaliste abbiano avuto, nel nostro Paese, un dibattito che le ha viste in un certo senso soccombere.
Il Risorgimento è stata una sconfitta di Cattaneo e dell'Italia delle cento città, delle tante unioni e delle tante identità che ne avrebbero costituita una più alta. La stessa Resistenza, dopo il centralismo "per forza" della dittatura, era stata foriera di un altro dibattito su quella che avrebbe potuto essere la forma nuova dello Stato, dibattito che port alla Carta di Chivasso e ad elaborazioni evidentemente disattese.
Mi sono informato un po' di tempo fa sul dibattito politico del dopoguerra, tra il '46 e il '48, proprio sulle Regioni: un dibattito che non si rifaceva a quello precedente della Resistenza e neanche a quello del Risorgimento. Fu un dibattito decisamente politicista: si discusse dell'opportunità o meno di fare le Regioni con la sinistra che pensava di vincere le elezioni, ma che aveva paura della Vandea regionale bianca.
Quindi, in quella fase, la sinistra era divisa sull'argomento e subito dopo, negli anni '60, il centro, l'allora Democrazia Cristiana, ritardava il progetto perché aveva paura - una volta preso il governo centrale - di avere una periferia governata diversamente.
La nascita delle Regioni, negli anni '70, ha sofferto di tutto questo: le Regioni sono nate come una copia dello Stato, con gli stessi difetti burocratici dello Stato. Il federalismo ha avuto, nel nostro Paese, ben prima di Bossi, dei vati come Pasolini ed altri intellettuali che ponevano il problema delle differenze all'interno di un Paese tipico, caratteristico e speciale come il nostro. Paese carico di differenze, che potevano essere valorizzate meglio adottando la forma politica dello Stato federale.
Nella Lega, che ha avuto il merito di riportare questo dibattito nel nostro Paese, convivono però due grandi tendenze di pensiero federalista: una, a dire il vero, è soccombente. Nella Lega si è sviluppato oltremodo il pensiero federalista; ha poi preso avvio il pensiero di Miglio, al di là del fatto che Miglio sia stato in minoranza all'interno della Lega. Miglio non ha teorizzato il federalismo della differenza e, se vogliamo, anche dell'etnia e il bio-regionalismo, ma l'economicismo, che ha portato alla cultura della macro-regione (entità che non ha alcuna definizione reale): concezione priva di alcuna affinità con la vera cultura federalista e che rispecchia modi di pensare analoghi a quelli che hanno accompagnato i tragici eventi della ex Jugoslavia. In Jugoslavia la guerra non è scoppiata per le etnie, ma perché la Croazia non voleva dividere, una volta emerso il problema, la povertà del Montenegro e della Serbia. Questo è il vero problema che ha fatto nascere il conflitto.
Il federalismo dell'opulenza non è federalismo, è un'altra cosa. Nel nostro Paese c'è un problema economico: nelle interviste nel Bergamasco, a Verona, nei Paesi ricchi rispetto all'Europa, sentiamo che la secessione la chiede l'operaio con il figlio disoccupato, o il piccolo negoziante che non riesce a pagare le tasse, ma è il medio imprenditore quello che veramente aspira ad un'ipotesi di questo genere, perché si chiede il motivo per cui debba sobbarcarsi il fardello di una "roba" che non funziona.
Ma questo non c'entra niente - cari amici della Lega - con il federalismo di Cattaneo e di altri.
Certamente, dobbiamo riformare lo Stato, ma non come sostiene il collega Montabone, che propone, invece, un nuovo corporativismo, che non serve a nulla. A mio avviso servirebbe, invece, mettere in campo una riforma decentrata di autonomia locale, delle bio-regioni, che può dare la possibilità di un governo autorevole del proprio territorio e di una sussidiarietà con il resto dei suoi concittadini e della sua nazione.
Credo sia questo quanto dobbiamo cercare di mettere in piedi; ritengo inoltre che su questo vi sia ancora grande arretratezza culturale da parte dell'intero corpo politico del nostro Paese. Grazie.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Saitta.



SAITTA Antonino

Signor Presidente, le sue riflessioni, introduttive a questo dibattito sono condivisibili sia per il metodo sia per il merito.
Mi pare di grandissima utilità aver fatto riferimento non soltanto al federalismo, ma anche al regionalismo, per quanto non sia ancora stato ben definito cosa si intenda per l'uno e l'altro termine.
Posizione molto chiara, la sua, Presidente; ha ricordato un modello istituzionale - quello dei Lander, tedesco - facendo riferimento ad alcuni criteri di fondo, come quello della giustizia distributiva e della solidarietà, che qualificano in modo abbastanza definito il modello istituzionale cui lei fa riferimento, che parrebbe condividere maggiormente: un forte regionalismo - anche se nel dibattito odierno si accomunano impropriamente i termini federalismo e regionalismo.
Utile anche il riferimento al riformismo come metodo di azione politica; se non si ha questa convinzione, se si ritiene che il problema delle riforme sia risolvibile con proclami o bacchette magiche, siamo fuori strada, in antitesi con il metodo che normalmente viene adottato in tutte le democrazie liberali. Si rischia di sostituire un centralismo statale con un neocentralismo, magari padano. Non mi pare che le posizioni della Lega in modo particolare le posizioni di Bossi, siano ispirate all'autonomismo ad un certo rispetto delle posizioni diverse, ma siano invece tutte condizionate, suggerite da una concezione anche autoritaria della politica che contrappone due Stati. In questo io vedo un grandissimo pericolo. Per questo il riformismo mi sembra il metodo più utile, più adatto per risolvere il problema, assai delicato.
Molti colleghi hanno dato una lettura del fenomeno; la mia è la seguente. Possono esistere - come in effetti accade - istituzioni non idonee a rappresentare le capacità e le risorse che nascono e si sviluppano, ma non esiste una società padana diversa da quella italiana, se non altro perché è avvenuta, in passato, l'emigrazione, biblica, di tante famiglie dal sud al nord del Paese, che è il Paese di tutti, padani e non.
Già soltanto questo fatto indica che non esiste una società padana; la società padana non è un'etnia, ma una grandissima finzione.
Dopo i vari proclami la Lega, e Bossi in modo particolare, deve fare i conti con il senso comune. Ho la sensazione che la sua forza immediata sarà la sua gracilità futura: non verrà seguito sul tema dell'etnia; ho la convizione che Bossi non abbia interesse a risolvere la crisi politico istituzionale del Paese, ma ad esasperarla, pesantemente e cinicamente. Lo dimostra il fatto che ha abbandonato l'idea, non da tutti condivisibile del federalismo, e parla chiaramente ed esplicitamente di secessionismo.
Si tratta di una forma grave di irresponsabilità per un politico perché sta facendo affiorare, in parte del settentrione, un populismo impattato di tribalismo: è un pericolo enorme per le istituzioni.
Dobbiamo anche pensare alla storia del nostro Paese, a cosa capit all'inizio del secolo. Ho letto un magnifico testo di Guglielmo Ferrero che legava l'avventura di Fiume alla marcia su Roma. E' su questo che deve essere focalizzata l'attenzione, senza esagerazioni, ma anche senza lasciarsi fuorviare dalla mancanza attuale del combattentismo; quando uno sciocco sostiene la possibilità di erigere dogane al passo della Cisa, si inizia la predisposizione psicologica all'atto inconsulto.
Questo è stato detto dalle alte cariche istituzionali e lo dobbiamo ripetere anche noi a livello regionale. Cioè dobbiamo tenere fermo l'obiettivo di realizzare le riforme istituzionali compatibili con la Costituzione: è questo il quadro di riferimento.
Seguendo, quindi, l'itinerario indicato dalla Costituzione italiana altri percorsi oggi sono eversivi.
Dobbiamo tenere fermo il timone della rotta dell'Unione europea e costruire il regionalismo solidale che è coerente con questo obiettivo politico. Anche perché quella società veneta, quella società lombarda, che è una realtà diversa rispetto a quella piemontese, guarda all'Europa l'Europa dei popoli, come più volte abbiamo detto. Noi intendiamo il progetto Europa - e il Presidente lo ha detto nel suo intervento - un progetto che esalta le città, che esalta l'autogoverno delle Regioni, che non si chiude, che non si deve chiudere nell'egoismo e non si deve piegare alla logica della forza.
Fatte queste riflessioni e queste premesse - che mi pare siano doverose e contenute negli ordini del giorno che sono stati presentati e in qualche maniera bisogna unificare - dobbiamo però fare anche qualche riflessione autocritica.
Occorre sottolineare che non esiste una classe dirigente centralista ed una classe dirigente autonomista. Se noi abbiamo questo riferimento sbagliamo completamente, non siamo sulla strada per procedere ad un forte regionalismo. Sappiamo bene che oggi esiste anche un centralismo regionale ci viene detto ripetutamente da amministratori locali.
Credo che tutte le Regioni non abbiano contribuito a risolvere questo problema, ma semmai c'è stato un contributo all'esasperazione perché anche i pochi, ridotti spazi che ci vengono forniti dalle attuali leggi, non sempre li abbiamo utilizzati fino in fondo. E le crisi di rapporto che ci sono con le autonomie locali lo dimostrano, non è soltanto una questione economica, non è un problema di federalismo soltanto fiscale: c'è una cultura prevalente nella classe politica italiana che è una cultura di tipo centralista.
La nostra cultura, per essere corretti, altrimenti non facciamo nessun passo in avanti, non deve essere più improntata ad un certo centralismo regionale.
Quindi bisogna fare dei passi avanti sul regionalismo, ma questo non va costruito su immaginarie etnie, ma sulla mutata situazione socio-economica del nostro Paese.
Credo che come classe politica abbiamo spesso una visione datata della situazione socio-economica del nostro Paese. Quando ascolto gli interventi di alcuni uomini politici, leader nazionali, mi sembra che leggano passi di importanti analisi sulla situazione meridionale del secolo scorso. Mi vengono in mente alcune pagine di Salvemini, di Sturzo e di Dorso: la situazione è mutata.
Molti di noi hanno letto la relazione dell'IRES, cosa è successo nel nostro Piemonte, cosa è successo nella provincia di Cuneo: una ripartizione del Piemonte in tre parti. In una di queste parti il lavoro autonomo è indice di una modificazione strutturale economica e sociale enorme.
Quindi dobbiamo costruire le nuove istituzioni su una lettura aggiornata della situazione economica, non sono più gli anni '50, '60 o '70. La situazione economica è mutata, siamo in una situazione diversa rispetto all'industrialismo.
Credo che se costruissimo le nostre istituzioni su questa mutata situazione socio-economica faremmo un'operazione intelligente, ci renderemmo conto che la Padania non è assolutamente un'etnia, ma non è neanche una zona omogenea. Così come credo che le riforme istituzionali non vadano costruite facendo soltanto riferimento al mercato, all'economia: questa è una visione mercantile, ultraliberista, estremamente pericolosa che sottopone il nord alla conquista da parte delle multinazionali.
Dobbiamo anche tenere conto dei valori culturali, dei valori storici che ogni realtà rappresenta: questo è il rispetto delle autonomie, perch altrimenti c'è un appiattimento generale di fronte ad un valore etnico che non esiste, che è una finzione.
Cari colleghi, dobbiamo rimettere in discussione alcuni luoghi comuni a cui siamo abituati, dobbiamo rimettere in discussione il nostro modo di legiferare, di svolgere la nostra attività.
Non voglio aprire una polemica, perché il tema si presta a riflessioni molto più ampie. Sono convinto che il nostro atteggiamento, il nostro modo di lavorare come Consiglio regionale, come Giunta, in qualche maniera non tuteli le autonomie. Pensiamo alla questione dei Piani regolatori, a ci che non si è fatto in passato, a ciò che non si fa adesso. Per cui questo problema importante, per essere affrontato realmente, senza lasciarsi prendere da suggestioni fittizie, richiede una rivisitazione completa degli atteggiamenti, dei metodi della nostra azione politica, sapendo che non soltanto la classe politica nazionale è centralista.
Siamo nella condizione - oggi più idonea avendo un Governo in fase di formazione che ha posto al centro della sua azione politica il problema delle riforme istituzionali - più favorevole per costruire un futuro credibile per il nostro Paese, senza lasciarsi prendere da suggestioni etniche che sono il frutto di alcuni fenomeni internazionali, come quello della caduta del muro di Berlino, che ha rimesso in piedi etnie schiacciate dallo Stato autoritario. Ma la nostra situazione è completamente diversa e chi esaspera questo fatto fa un'operazione cinica ed estremamente pericolosa anche per la democrazia del nostro Paese.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Salerno.



SALERNO Roberto

Intervengo per rilevare, ancora una volta, che di fronte ad un argomento di così grande importanza in aula è presente solo la metà dei Consiglieri.
Chiederei al Presidente di richiamare in aula tutti i Consiglieri regionali e gli Assessori. Abbiamo ascoltato degli interventi di altissimo livello politico, ma sembra, tenuto conto delle presenze in aula, che cadranno nel nulla.



PRESIDENTE

Pregherei i Consiglieri di venire in aula, questo è il primo alto dibattito politico nel corso di questa legislatura ed i contributi della Consigliera Spagnuolo, dei Consiglieri Montabone, Saitta e Cavaliere sono di un livello estremamente interessante, che conferiscono dignità a questo Consiglio.
Prego i Consiglieri, su una materia così importante, di venire in aula perché il federalismo e il regionalismo si formano anche in questi modi con una tenuta di stile.
Dovremmo introdurre la possibilità di togliere il gettone a chi non è presente in aula.
Sospendo i lavori del Consiglio fin quando i Consiglieri non entrano in aula.
La seduta è sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 12,15 riprende alle ore 12,20)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
Alcuni Consiglieri sono assenti perché occupati nell'incontro con la Comunità valsesiana, ma altri no.
Comunico che la Conferenza dei Capigruppo si terrà lunedì 20 maggio p.v. alle ore 12.
La parola al Consigliere Riggio.



RIGGIO Angelino

Condivido il richiamo del Consigliere Salerno circa la scarsa presenza in aula dei colleghi durante questo dibattito.
Signor Presidente, voglio ringraziarla per l'intervento iniziale e per il richiamo molto forte e valido che ha fatto e che condivido in gran parte, quindi per economia di discorso non ripeterò tante cose che sono già state dette.
Dico solo una cosa a proposito del federalismo. Sarò un po' viscerale e polemico, ma sono convinto che la Lega sia veramente contraria fino in fondo al federalismo, perché se il federalismo si dovesse realizzare perderebbe un motivo della propria esistenza. Non diamole questa soddisfazione.
Quanto al metodo, questo dibattito rischia di essere un po' di maniera perché molto spesso è stato affrontato da un'angolazione piuttosto sbagliata. Questo limite era presente anche in gran parte degli interventi che mi hanno preceduto, volti più a richiedere al Parlamento, e quindi ad altra sede, degli interventi per quello che riguarda il federalismo anziché chiedersi che cosa ognuno, al proprio livello, può fare per cercare di modificare una situazione esistente. A questo proposito sono convinto che noi abbiamo delle responsabilità.
Queste responsabilità erano state richiamate circa un anno fa, in apertura di legislatura, in un intervento del Presidente ed erano in gran parte enunciate nel programma di questa Giunta.
Noi siamo all'interno di un Ente che - lasciatemelo dire da ex Sindaco è molto lontano dal territorio. Il nostro Ente deve in qualche modo avvicinarsi di più agli Enti locali e al territorio, ma non comportandosi come purtroppo accade certe volte nella pratica degli Assessorati con cui ho avuto a che fare come Consigliere regionale - come un grosso Ente locale, accentuando quindi l'attività di gestione dell'Ente Regione, perch è proprio l'attività di gestione dell'Ente Regione che mortifica il suo vero ruolo e, di conseguenza, il principio fondamentale che dovrebbe essere alla base di ogni riforma federalista, quello della sussidiarietà.
Bisogna che la Regione elimini tutto ciò che è attività gestionale. A questo riguardo, faccio l'esempio dell'"interventismo" del collega dottor D'Ambrosio, Assessore alla sanità - chiedendogli scusa, visto che non è presente - dotato di buona volontà e anche di competenza, ma in una certa misura ammalato di "interventismo" e che poco ha fatto finora per un'attività di tipo pianificatorio.
Questo è un modo di agire sulla base delle emergenze, tipico anche dell'Assessorato all'ambiente: l'emergenza finisce sempre per essere preponderante rispetto alla capacità di pianificazione. Lo stesso discorso vale anche per quello che riguarda le questioni dei trasporti e così via.
Occorre modificare questo tipo di rapporto con gli Enti locali: i Comuni hanno bisogno di essere sentiti, sostenuti, supportati. A tale proposito, riporto un'esperienza personale. Può sembrare abbastanza banale ma avendo altra fonte di reddito oltre a quella di Consigliere regionale io destino ciò che mi resta dello stipendio (detratte le tasse e detratto il contributo che verso al partito cui appartengo) ad una struttura che si chiama Centro di Documentazione Regionale.
Tale struttura svolge un'operazione estremamente semplice: si occupa di selezionare le informazioni. La Regione produce una quantità enorme di informazioni; l'eccesso di informazione, però, può generare disinformazione. Il Centro di Documentazione Regionale fa una selezione dell'informazione prodotta dalla Regione e la volge agli utenti privilegiati. Bene, sapete che i Sindaci dei vari Comuni che sono serviti dal Centro di Documentazione Regionale si sono detti disposti a pagare un canone per sostenere questa struttura? Evidentemente c'è un bisogno organico-strutturale di questo tipo di rapporto; rapporto che non pu essere lasciato alla buona volontà del singolo Consigliere (sarebbe più opportuno che quest'ultimo avesse rapporti specificamente politici).
Penso ad esperienze che ho vissuto come Sindaco quando ho cercato di ottenere dei finanziamenti tramite i Regolamenti CEE. Ci siamo riusciti per il rotto della cuffia, malgrado fossimo un Comune grande (Nichelino). Mi sono posto il seguente problema: un Comune piccolo, che non abbia la struttura tecnico-amministrativa del Comune di Nichelino, come viene supportato dalla Regione per poter affrontare l'iter burocratico che impone la macchina amministrativa? Quante volte la Regione viene vissuta più come la Corte di Norimberga rispetto ai Comuni, quando ad esempio trattiene per secoli un Piano regolatore, rimandando le decisioni? O, peggio ancora, che dire del Co.Re.Co., considerato non uno strumento di supporto amministrativo, ma l'Alta Corte di Giustizia attraverso la quale, ad esempio, un Consigliere di minoranza che abbia ottenuto soltanto 150 voti può bloccare un Comune di 15.000 abitanti? Recuperiamo la funzione più alta del nostro istituto regionale e facciamo in modo che alla piramide statale di oggi non si sostituisca una serie di piramidi regionali; interveniamo per quello che riguarda la nostra capacità di delegificazione e di sburocratizzazione. Tutto ciò era presente nel programma presentato dal Presidente della Giunta regionale Ghigo un anno fa, ma oggi devo dire non è stato nemmeno accennato. Varrebbe la pena di intervenire, perché questo sarebbe anche un modo per esaltare i momenti di sussidiarietà.
Ci apprestiamo a costruire il Piano Sanitario Regionale. Il Piano Sanitario Regionale non può essere costruito senza dialogare con le realtà locali. Se non esiste questo principio di dialogo, non si può andare veramente incontro alle varie esigenze. Noi non siamo portatori di questa cultura della sussidiarietà e quindi del federalismo.
Per finire, un accenno ai grandi progetti che dovrebbero autoriformare la Regione, come ad esempio il meccanismo delle deleghe. Assessore e Vicepresidente Majorino, ne abbiamo parlato diverse volte in VIII Commissione: bisogna costruire dei principi ispiratori del meccanismo della delega (tra l'altro, deve essere attuato in modo concordato), costruire dei criteri, fare in modo che vengano trasferite risorse, competenze strumenti. Diversamente il principio della delega rischia di diventare un meccanismo di deresponsabilizzazione della Regione e di ingolfamento dell'attività degli Enti locali.
Inoltre, la grande questione dell'Area Metropolitana, che è stata continuamente posposta, non può essere abbandonata o dimenticata: è un ragionamento serio per il rilancio del nostro Piemonte, se vogliamo rilanciarlo cercando di sollevarlo per intero, oppure se vogliamo individuare una locomotiva territoriale.
Questi sono dei suggerimenti per quello che possiamo fare noi. Per quello che dobbiamo chiedere a livello nazionale, sull'impegno forte che questa assemblea deve esercitare, io sposo in gran parte il suo intervento signor Presidente, ed auspico che si possa arrivare ad un ordine del giorno comune; ma non deleghiamo per intero la soluzione di questo problema ad altri o non limitiamoci ad essere semplicemente degli intercessori di una domanda usando la nostra capacità di presentare ulteriormente domande al Parlamento. Dobbiamo intervenire seriamente nel meccanismo di autoriforma della Regione e dei rapporti con gli Enti locali piemontesi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Toselli.



TOSELLI Francesco

Federalismo, autonomia e secessione: vi è una grande confusione nell'uso dei termini e quindi nei significati. A mettere ordine ritengo non sia sufficiente un filologo, ma ci voglia un po' di buon senso non soltanto politico, ma da parte delle personalità di spicco che ne fanno eccessivo uso ed anche a sproposito.
E' comodo oggi cavalcare la tigre del secessionismo visto che si è interrotto un antico equilibrio di stampo romano. Infatti fino a pochi anni fa, al nord, specialmente le categorie del lavoro autonomo, pagavano poche tasse e quindi non erano attente, come oggi, alle risorse che venivano destinate al sud. Ora tutti noi, mi metto anch'io, toccati nel portafoglio in modo anche eccessivo, reagiamo con varie proteste.
La stessa ultima campagna elettorale ha avuto quale denominatore comune, in entrambe le formazioni contrapposte, il fisco, dimenticando progetti realizzabili di federalismo fiscale e di riforma dello Stato in senso federalista. Si aggiunga poi che gli imprenditori agricoli temono prima o poi, di essere coinvolti da gabelle fiscali: l'iscrizione alla Camera di Commercio ne è un primo sintomo e quindi le antenne sono già innescate. Il massiccio voto contadino per la Lega è fin troppo eloquente.
La bandiera innalzata sul pennone di Mantova continua quindi a mietere consensi. Ci auguriamo che le minacce di Bossi siano una forma di strategia politica per alzare l'audience.
Ben altro discorso è invece quello del federalismo e delle autonomie locali a tutti i livelli. Infatti, il problema dei problemi è che le autonomie locali, anziché avere deleghe dal potere centrale verso le Regioni, le Regioni verso la Provincia e la Provincia verso i Comuni devono fare i conti con eccessi di burocrazia che minano l'efficienza istituzionale. Ben venga quindi questa iniziativa degli Stati Generali, che vuole inserire, finalmente, nel governo della Regione, la cultura delle autonomie locali come partecipazione attiva dei cittadini e quindi tenendo conto delle loro tensioni e necessità sociali, culturali ed economiche.
Pertanto andrà riservata una forte attenzione agli aspetti concreti della realtà umana e civile, che contribuiscono a definire il livello di qualità della vita tenendo presenti tutte le emergenze positive, nessuna esclusa, in un contesto generale di sviluppo che non emargini nessuno e che dia efficienza al sistema e garantisca uguaglianza, diritti e pari opportunità a tutti.
Il documento programmatico costituisce indubbiamente, nel suo complesso, un progetto di grande ampiezza e quindi di grande valore. Il tutto però rischia di essere un lodevole documento di dichiarazione di principio, se allo stesso non verranno dati contenuti concreti per un'effettiva applicabilità inserendolo nelle varie realtà territoriali.
Il testo redatto dal gruppo di lavoro coordinato da lei, signor Presidente, non può non avere, come del resto ha avuto anche da parte dell'opposizione, un vasto consenso.
Da quando sono stato eletto - ed anche prima per la mia professione sono in continuo contatto con le realtà di base e soprattutto ho potuto rilevare quanti fermenti virtuosi si alzino dalla mia Provincia.
La Provincia di Cuneo, la più grande non solo del Piemonte, è culturalmente e per tradizione assai eterogenea e divisa in realtà economiche-culturali e di tradizione assai differenziate.
La richiesta di autonomia del Braidese e dell'Albese è soltanto la punta dell'iceberg, ma molte altre "piccole patrie" chiedono di contare di più.
La Provincia, poi, nel suo complesso di "Granda" sente profondamente e vive con disagio non solo la lontananza da Torino per questioni logistiche ma anche per scelte regionali passate. Mi auguro che i piani territoriali di collegamento finalmente possano dare una chiara indicazione per una futura, ma prossima, programmazione regionale che tenga conto di tutte le componenti economiche, sociali e culturali di cui tutte le Province sono ricche.
In questo processo di indagine è giusto che le istituzioni debbano essere in prima fila, perché costituiscono la struttura dello Stato e del Governo decentrato. Ma è altresì necessario che in questo nuovo modo di governare si dia voce alle Associazioni di categoria, a quelle culturali ai Consorzi fra Enti ed Associazioni turistiche territoriali, a cittadini e personaggi autorevoli che fanno opinione e cultura.
Nel documento, infatti, si dà finalmente spazio alle idee e vi posso assicurare che la Provincia non come entità amministrativa, ma come insieme di cittadini e di amministratori che vi operano, può essere una grande fucina di contributi e di nuovi slanci per uno sviluppo della Regione che tenga conto del locale, che ormai non si identifica più nel localismo e nell'esasperato legame al campanile.
In altre parole sarà opportuno, per fare un salto di qualità che tutti auspichiamo per poter entrare in Europa con le giuste credenziali, tenere presente che la Regione è un grande mosaico con tessere variegate che ha bisogno di essere cementata in un tutt'uno forte ed efficiente.
Bisogna quindi evitare, come è successo nel passato, di erogare risorse a pioggia per avere e gestire il consenso.
Il documento programmatico infatti dovrà trasformarsi in un piano di sviluppo concreto, che tenga conto di tutte quelle potenzialità che finora sono rimaste latenti per mancanza di indagine conoscitiva da parte degli organi regionali preposti e per la mancanza di scambi di informazione tra i vari uffici che purtroppo, per antica tradizione, operano per compartimenti stagni.
Il progetto o i vari progetti non dovranno quindi cadere dall'alto, ma nascere e crescere nelle varie realtà locali. Bisogna evitare l'assemblearismo, l'ammucchiata, i facili populismi, discernere il vittimismo locale dalle vere necessità di un'area.
Ritengo che in questo senso e con indicazioni ben precise, la Regione nei vari Assessorati abbia funzionari e tecnici in grado di poter effettuare un distinguo e così consolidare un programma di governo regionale non più basato sulle clientele e sugli opportunismi.
Quella regionale è una realtà in movimento in senso positivo e quindi in grado di dettare le condizioni per un'effettiva ricaduta occupazionale e di miglioramento del quadro economico nazionale. Solo così gli Stati Generali potranno fare tesoro di quei valori individuali, dando vita ad azioni collettive pubbliche e private che tutti auspicano: questo è il primo passo verso un federalismo cosciente, vissuto e quindi realizzato.
Ovviamente, per poter attuare in concreto un programma di decentramento, si deve chiedere con forza e senza mezzi termini ai giusti livelli deleghe reali non ancorate da lacci e lacciuoli burocratici e di potere. In caso contrario saremo costretti a dare ragione a Bossi, perch Stato unitario non vuol dire granitico, ingessato nei poteri centrali; deve tenere conto che lo Stato siamo noi e quindi vogliamo avere le garanzie che i nostri soldi, perlomeno una larga parte, vengano reinvestiti dalle Amministrazioni competenti, perché le sacche di protesta, le zone emarginate, esistono anche da noi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Salerno.



SALERNO Roberto

Il mio intervento è di carattere istintivo, perché sono seriamente preoccupato di una situazione che non è assolutamente di ordinaria amministrazione, in un Paese che ha una storia recente abbastanza travagliata, con tensioni sociali reali, non solo tra nord e sud, ma all'interno delle fasce nord e all'interno delle fasce centrali. Mi accorgo che in questo momento la Lega ha fatto del puro sciacallaggio, cioè di fronte ad una reale situazione amministrativa ed istituzionale, che è degenerata in Italia - bisogna riconoscerlo - ha rifiutato l'idea di governare finalmente in maniera sensata, di avviare le riforme di cui la pubblica amministrazione necessita ormai da anni e ha preferito dire "tagliamo ed arrivederci". All'interno della geografia nazionale c'è una Regione che in certi momenti mi ha fatto riflettere sul vero significato della parola "secessione": si tratta del Tirolo, realtà etnica, di lingua di usi e di costumi letteralmente differenti, di ceppo tedesco autentico.
Essendo questo l'unico caso in cui ho potuto notare una differenza sostanziale di costume, ma che null'altro deve essere, ritengo che parlando invece di una secessione della Padania si rischia di intossicare il tessuto sociale italiano, perché un conto è parlarne nei dibattiti televisivi, tra senatori e deputati nei grandi salotti ovattati, un conto invece è vedere cosa succede nei piccoli paesi del nord (Mondovì, Cuneo, ecc.), dove i meridionali cominciano ad avere piccoli problemi di convivenza.
Infatti si è già sentito nei bar e nei ristoranti: "Se questi meridionali non se ne andranno, daremo loro dei calci e li butteremo al sud".
A questo punto, il messaggio è di pensare in maniera seria ad avviare delle riforme federali, sociali, solidali e di smetterla con questi strani e pericolosi sciacallaggi della Lega. Grazie.



PRESIDENTE

Prima di dare la parola al Consigliere Scanderebech, vorrei sollecitare i Consiglieri che vogliono intervenire ad iscriversi. Per l'economia dei lavori è opportuno sapere quando potremo chiudere la sessione del mattino.
Devo anche precisare che la discussione generale terminerà con un intervento del Presidente della Giunta, Ghigo.
Visto il cospicuo numero di Consiglieri iscritti a parlare non vi sarà l'intervallo per il pranzo.
Chiede di parlare il Consigliere Chiezzi; ne ha facoltà.



CHIEZZI Giuseppe

Data l'importanza del dibattito chiedo una sospensione di quindici minuti, il tempo per un panino e un cappuccino, in modo da essere poi tutti presenti, perché se non ci sarà la sospensione inevitabilmente a turno dovremo andare a mangiare.



PRESIDENTE

Possiamo riprendere alle ore 13,15.



CHIEZZI Giuseppe

D'accordo.



PRESIDENTE

La seduta è pertanto sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 12,45 riprende alle ore 13,25)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
Prosegue il dibattito sulle riforme istituzionali.
La parola al Consigliere Dutto.



DUTTO Claudio

Grazie, Presidente. Lascerò al collega Gipo Farassino la risposta alla maggior parte delle affermazioni che abbiamo sentito questa mattina. Vorrei però rispondere al Consigliere Salerno, riguardo alle affermazioni che ha fatto in merito alla provincia di Cuneo, affermazioni che veramente non hanno né capo né coda. Se c'è una provincia che ha sempre aperto le porte a chiunque, dove la tolleranza e l'accoglienza sono la regola, è proprio la provincia di Cuneo, dove non si sono mai registrati fatti di razzismo, di intolleranza, dove mai si è letto sui giornali di extracomunitari, né tanto meno di meridionali, insultati o discriminati. Le affermazioni del Consigliere Salerno sono veramente al di fuori di ogni verità e di qualsiasi logica.
Tanto per fare un esempio concreto inviterei il collega Salerno a fare un giro per le nostre strade o magari sulla ferrovia Torino-Cuneo, per leggere le scritte sui muri. A Cuneo troverà scritto "Nord libero" o "Padania libera"; se percorrerà i tornanti del Col di Tenda troverà "Benvenuti in Padania" (rivolto agli amici francesi), ma arrivando a Torino si possono trovare altre scritte ben più preoccupanti: "Leghisti porci", "A morte Bossi" e altre di questo genere. Sono scritte che derivano da reazioni assurde, perché oggi la Lega in tutti i modi è stata demonizzata oggi le nostre idee, giuste o sbagliate che siano, sono state travisate e demonizzate, in modo da creare un'avversione contro di noi. Io posso garantire al Consigliere Salerno che qualsiasi meridionale può girare tranquillamente in Cuneo di notte; non so se io in persona, portando questo distintivo, in certi quartieri di Torino potrei girare così tranquillamente.
Queste avversioni sono preoccupanti, perché si sta diffondendo una forma di razzismo alla rovescia, si sta creando una forma di reazione del tutto sconsiderata ad un movimento che, comunque, ha fatto della libertà degli ideali, della democrazia, sempre la sua bandiera. Facciamo attenzione che non si verifichi per causa di altri quello che la Lega mai avrebbe voluto che si verificasse.
Lascio alla più autorevole parola di Gipo Farassino la risposta agli altri argomenti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bellingeri.



BELLINGERI Gian Franco

Io desidero esternare qualche considerazione. E' giusto che in un consesso quale il nostro e davanti all'impostazione che lei, signor Presidente, ha dato questa mattina al problema, al di là di foglietti dattiloscritti e dichiarazioni di basso livello, le persone si confrontino e si sforzino di parlare con il cuore aperto, per capire e per arrivare a decidere qualcosa in questo Consiglio regionale.
Come dicevo prima, lei è "partito abbastanza alto", signor Presidente.
Ha fatto delle affermazioni importanti e, se mi permette una battuta queste affermazioni fatte un paio d'anni fa avrebbero suscitato le stesse reazioni che sta suscitando Bossi adesso. Bossi non faceva le sue affermazioni due anni fa.
Lei ha fatto delle affermazioni molto forti; quando parliamo tra di noi ogni tanto diciamo che abbiamo insegnato qualcosa. Ci sono persone che parlano di federalismo, l'hanno studiato o, meglio, hanno capito cos'è il federalismo. Persone che hanno tirato fuori quello che, forse cinquant'anni di cattiva amministrazione sotterranea avevano sopito.
Certo è ben strano sentire adesso le paure e le demagogie che si scatenano su fatti reali, su richieste di una parte della popolazione. Una parte di popolazione chiede di cambiare: sono anni che questo Paese vuole cambiare. Il Paese è avviluppato in una specie di piovra amministrativo burocratica e non riesce a cambiare; finalmente, dietro la spinta o il riferimento della Lega, la gente vuole il cambiamento perché non ne pu più.
E non è vero che c'è un risentimento del ricco "contro" il povero: Cavaliere, non diciamo queste cose. L'imprenditore che lavora 14 ore al giorno è stufo di pagare il 60% di tasse, mentre lo stesso imprenditore della California paga il 33% di tasse statali e federali. L'imprenditore vicentino paga il 60% di tasse! Bisogna cambiare, c'è il fallimento dello Stato centrale! Piero Bassetti non è un leghista; Piero Bassetti è uno che ha avuto come incarico la gestione della Camera di Commercio di una Regione. Piero Bassetti ha dichiarato ufficialmente che dobbiamo recepire il fallimento del centralismo. Il centralismo è morto di burocrazia, di inefficienza, di incapacità e di corruzione.
Questo Paese deve rispondere alle persone per bene, alle persone che lavorano, alle persone che vogliono un cambiamento; si deve aprire un dibattito serio. Non parliamo di "mio federalismo" e "tuo federalismo" occorre iniziare un dibattito di costituzionalisti e di persone serie che parlino effettivamente della metodologia di questa riforma.
La Lega ha paura del solito trasformismo, la Lega ha paura che dietro al regionalismo ci sia il "gattopardismo"; il federalismo è una cosa seria federalismo vuol dire studiare per cambiare e per migliorare. Non vuol dire prendere di nuovo, per l'ennesima volta, in giro il popolo italiano, che vuole il federalismo con degli strumenti idonei.
Il discorso che si pone sul tappeto è il cambiamento della società a livello mondiale. Abbassiamo i toni sulle demagogie razzistiche ed etniche.
Il mondo vive un'evoluzione socio-economica, fatta di interessi e di intrecci globali e a supporto di questa società deve esserci un'amministrazione seria, flessibile e non borbonica, che risponda a questa evoluzione.
Facciamo un esempio: tra Novara e Vicenza si concentrano aziende che hanno un potenziale economico a livello californiano. La settimana scorsa ho partecipato ad una Conferenza in Assolombarda: gli imprenditori lamentano il fatto che tra Novara e Vicenza ci sono decine e decine di gestioni amministrative una diversa dall'altra, a volte in contrasto.
Non esiste una gestione di questo territorio che veda nell'ambito nuovo, socio-economico, interessi comuni. Non c'è risposta politica: quando parliamo della richiesta di federalismo, parliamo di un fallimento politico. Se stiamo a parlare di chi stava bene prima e di come si andava meglio prima, cadiamo nel patetico, come coloro che hanno messo nelle prime pagine dei giornali la fotografia dello sbarco dei "Mille". Saremmo patetici o forse anche peggio. Permettetemi: quando scendono in campo le cannoniere e le portaerei, quando scende in campo il papato e il Vaticano la Conferenza dei Vescovi e dei Cardinali, le centrali politiche più importanti, per unirsi tutti contro un movimento che non fa nient'altro che recepire le istanze della gente, significa che ci sono interessi troppo forti.
Siamo qui, in un contesto regionale; quando discutiamo di queste cose lamentiamo tutti il desiderio di autonomia, di migliore amministrazione e di deleghe dallo Stato centrale: è il momento di dimostrarlo, al di là di tutte le parole, di tutte le affermazioni.
Quando vi unite tutti nel fare un documento che condanna la Lega bella forza! Siete 56 contro 4! - ci fate un favore. Sarebbe più serio che si prendesse in considerazione l'opportunità, per la Regione Piemonte avendo discusso di quelle che sono veramente le moderne esigenze della popolazione, di stilare un documento da inviare al nuovo Consiglio dei Ministri nel quale si dica "Federalismo subito!". Dopodiché, attorno ad un tavolo, si discuta se federalismo significa una Regione, tre Regioni, una Conferenza di Regioni, oppure aree economiche, etniche: ben venga qualsiasi apporto intellettuale.
Uniamoci in questa richiesta, se ne abbiamo il coraggio e se è vero che siamo tutti federalisti. Le dichiarazioni sono in tal senso: stiliamo dunque un documento sul federalismo e non un documento contro la Lega.
Grazie.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ghiglia.



GHIGLIA Agostino

Mi permetterei di chiedere una sospensione della seduta e un richiamo da parte del Presidente alla serietà, all'importanza, anche strategica, di questo dibattito, alla dignità degli interventi di tutti e - in questo momento - di coloro che non è possibile che siano ascoltati solamente da noi, ancorché alla presenza dei massimi rappresentanti del Consiglio, ma completamente ignorati dalla Giunta regionale.



PRESIDENTE

La seduta è sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 13,45 riprende alle ore 13,55)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
La parola al Consigliere Rosso.



ROSSO Roberto

Grazie, Presidente.
Negli ultimi mesi, prima del risultato del 21 aprile, tutti i partiti e la stragrande maggioranza dei mass media ci davano per finiti, cancellati annullati. Nel corso di tutta la campagna elettorale abbiamo dovuto subire le menzogne centraliste di Roma-polo e Roma-ulivo, che archiviavano la Lega come un fenomeno politico ormai chiuso, ma ancora una volta tutti hanno clamorosamente "toppato", dimostrando, se ancora ve ne fosse bisogno, di essere apparati vecchi, superati, burocratici, illogici, al di fuori della quotidiana realtà del territorio.
La Lega non solo non è scomparsa, ma la sua linea è stata ampiamente premiata; correndo da sola per far maggiormente comprendere che non esiste più, oggi come oggi, la contrapposizione fra destra e sinistra, ma che la nuova dialettica è fra federalismo e centralismo.
Raccogliendo quasi 4 milioni di voti al nord e diventando il primo partito della Padania, con 86 parlamentari fatti scendere in quel di Roma nonostante una legge maggioritaria studiata ad arte per frenarne l'avanzata, la Lega ha dimostrato che il progetto federalista non è il frutto di sparate di Bossi, ma che l'indipendenza del nord da Roma è fortemente voluta dalla gente e che la Lega altro non è che il mezzo che il popolo ha scelto per il raggiungimento di tale traguardo.
Nel frattempo, tutti i partiti, sia a livello romano sia a livello regionale, parlano di federalismo, ma ci prendono in giro ormai da dieci anni, prova ne sia che dopo ogni elezione i partiti centralisti hanno sempre parlato di riforme, di grande attenzione alle forze produttive del nord, ma in tutti questi anni nulla è cambiato, dato che il sistema centralista non può rinunciare alla mucca da mungere; se non ci fosse il nord che lavora, che paga le tasse, che versa l'IVA, dove i partiti ricaverebbero i fondi per finanziare e sovvenzionare l'assistenzialismo al sud, assurto ormai a livelli insostenibili? In Italia esistono due economie; quella del nord, che da sola sarebbe competitiva con le grandi forze economiche europee, non viene aiutata a svilupparsi, anzi, viene penalizzata dall'enorme pressione fiscale; piccole e medie imprese, commercianti, artigiani, agricoltori ed allevatori, ma anche lavoratori dipendenti vengono salassati dallo Stato per poter mantenere la seconda economia, quella del sud, un'economia totalmente assistita, che paralizza ogni attività imprenditoriale, che ha creato una disoccupazione cronica, vicina ormai al 25%.
Finché la gente del nord ha creduto alla campagna centralista, che invoca come principio fondamentale la solidarietà fra nord e sud, i partiti centralisti sono riusciti, con i soldi del nord, ad erogare le pensioni di invalidità fasulle, i contributi a pioggia, il finanziamento alle grandi opere che non servono a nessuno se non a finanziare le grandi imprese mafiose e a mantenere incatenata la gente del sud, obbligandola a votare proprio quei partiti che apparentemente la aiutano, ma che in realtà sopprimono la libertà di far nascere, anche al sud, una vera economia svincolata dalla mafia dei partiti.
Ora la gente ha cominciato a capire qual è la strada da percorrere; è inevitabile, più i partiti romani continueranno ad ignorare le istanze che ormai vengono gridate dai cittadini del nord, più aumenterà il consenso al progetto politico della Lega, che porta alla formazione della Costituente per modificare la Costituzione italiana in senso federale. Se non si arriva in un breve periodo alla fase costituente, la Padania non si fermerà di fronte all'indifferenza e all'incomprensione romana, ma chiederemo all'ONU che venga rispettato il diritto all'autodeterminazione dei popoli e che il nord venga sottoposto a referendum, per decidere se la Padania debba continuare ad essere spremuta per mantenere la burocrazia romana e l'assistenzialismo al sud, oppure se siano maturi i tempi per proclamarne l'indipendenza.
I sondaggi, che normalmente cercano di penalizzare la Lega, dicono che il nord è pronto; fanno sapere che il 53% degli intervistati vedono positivamente l'indipendenza.
Lo stesso Sindaco di Venezia, Cacciari, ha denunciato allarmato che sono molti di più i cittadini favorevoli alla secessione, rispetto a quelli che hanno votato la Lega.
Lo stesso Monsignor Alessandro Maggiorini, Vescovo di Como, ha affermato che l'idea risorgimentale dell'Unità d'Italia non è un dogma.
Insomma, è ora di sedersi attorno ad un tavolo per dare all'Italia un federalismo sia fiscale che politico, altrimenti, se la mentalità conservatrice dei nostri nuovi governanti prevarrà sul buon senso, il nord se ne andrà. Quest'ultima soluzione, anche se drastica, non deve spaventare, in quanto il mondo sta cambiando. Infatti gli Stati centralisti vengono pian piano sostituiti da nazioni che di nuovo si riconoscono storicamente, culturalmente ed economicamente. L'Europa sarà un'Europa delle Regioni e non degli Stati centralisti.
La rivoluzione autonomista sta ormai avvenendo un po' ovunque: in Spagna il governo di destra di Aznar ha ottenuto la maggioranza solo facendo grandi concessioni agli autonomisti Baschi, Catalani e Canarini. In Gran Bretagna gli autonomisti scozzesi hanno ormai raggiunto la maggioranza assoluta in Scozia ed è nato altresì il Partito autonomista del Galles. In Irlanda è ormai storico il Partito autonomista Sinn Fein. Già nel lontano 1905 la Norvegia ottenne democraticamente l'indipendenza dalla Svezia dopo novant'anni di unità e più recentemente, nel 1992, la Cecoslovacchia si è separata democraticamente in due nazioni, la Repubblica Ceka e la Repubblica Slovacca, mentre il Quebec ha ottenuto il referendum per la divisione dal Canada, con gli indipendentisti che hanno raggiunto il 49,4 dei suffragi, mancando l'indipendenza per soli 15.000 voti. Ancora, dopo il crollo dell'impero Sovietico, sono nate moltissime nazioni.
Alla luce di quanto sopra, ritengo che la Padania possa partecipare o meglio, abbia l'indubitabile e giusto diritto di partecipare a pieno titolo a questa rivoluzione autonomista che si allarga a macchia d'olio in tutto il contesto mondiale.
Appare ormai inevitabile, la gente sembra volerlo fortemente, ma solamente i partiti continuano a fare orecchie da mercante, cercando di ignorare una realtà inoppugnabile, una realtà difficile da recepire e ancora più da digerire.
D'altronde, con il federalismo, quello vero, fiscale e politico, i partiti di Roma perderebbero gran parte del loro immenso potere.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ghiglia.



GHIGLIA Agostino

Ho ascoltato con estremo piacere, e grande attenzione, l'intervento del Consigliere Bellingeri, perché egli ci ha presentato, con intelligenza e garbo, un'esigenza di riforma dello Stato in senso federale che anche noi come Alleanza Nazionale, sentiamo come esigenza importante, come esigenza attuale e, vorrei anche dire, come esigenza indifferibile.
Concluderò il mio intervento raccogliendo l'appello lanciato dalla Consigliera Spagnuolo dicendo che bisogna passare dalle parole ai fatti.
Invece l'intervento del Consigliere Rosso lo potremmo definire da manuale del militante di base leghista, nel senso che è il classico intervento vacuo, retorico, infondato, fantasioso, povero di idee, di contributi reali e gonfio di quella retorica legarda (prima si è parlato di retorica patriottarda e allora questa la definiamo legarda e non leghista) alla quale però dobbiamo prestare molta attenzione nello stigmatizzarla e nel condannarla con leggerezza. Ed è per questo che io non voglio cadere nella provocazione e nel gioco, intelligente, portato avanti dai leghisti dall'on. Bossi, portato avanti in quest'aula dalle due voci, quella razionale e quella immaginifica (uso un eufemismo perché ho rispetto per tutti i colleghi di quest'aula). Un discorso doppio che rischia, come diceva giustamente l'anima razionale, di favorire la Lega. Noi non siamo favorevoli ad alcun fronte popolare, ad alcun fronte di riscossa democratica, non facciamo appello a nessuna forza perché si schieri contro la Lega.
Nel nostro ordine del giorno non si fa nessun accenno contro la Lega.
Le alleanze, le idee si portano avanti sempre "per" e non "contro". Perch fare un'alleanza, un fronte democratico, un fronte popolare "contro" significa soltanto permettere all'anima più incosciente e irrazionale della Lega Nord di avere una grancassa, un tamburo che le permetterebbe di ottenere un'attenzione maggiore da parte dei mezzi di stampa e da parte delle persone.
Noi non vogliamo, come Alleanza Nazionale, cadere in un gioco politico magari un po' volgare, ma sicuramente intelligente ed altrettanto pericoloso. Quindi noi non ci scagliamo "contro".
C'è - dicevamo - l'anima irrazionale, che è quella presentataci macchiettisticamente, dall'on. Bossi. Un deputato che si nasconde, come molti altri, dietro l'immunità parlamentare garantitagli dallo Stato centralista, romanocentrico - o, come dicono loro, perché parlare per slogan è sempre facile, Roma Polo o Roma Ulivo - per sparare, sicuro di non poter essere censurato e sanzionato, qualsiasi tipo di vaneggiamento pseudoideologico.
Ci sono poi le camicie verdi e il povero Comandante della Guardia di Ferro, Cornelius Codreanu, si rigira nella tomba perché i suoi ideali cattolici, di Stato nazionale della grande Romania vengono così volgarizzati ed impoveriti con un paragone tanto improprio nella forma e nella sostanza, che però, altro lato della medaglia, mi ricordano i più noti, per il momento, schützen. Non gli schützen folcloristici che adesso girano con il cappellino piccolo di panno come fossero degli scolari della scuola elementare, ma gli schützen che vent'anni fa mettevano le bombe in quello che - mi dispiace, Consigliere Rosso, doverlo riprendere - noi non chiamiamo Tirolo, ma chiamiamo sempre, ed esclusivamente, Alto Adige.
Noi vogliamo avere sempre un momento di attenzione perché non vogliamo fare un discorso contro la Lega, ma non vogliamo neanche che tutto passi sotto silenzio. Non vogliamo che passino sotto silenzio i parlamenti con la "p" minuscola, i governi con la "g" minuscola, del nord, di Mantova, le camicie di ogni colore. Il colore delle camicie è il dato più folcloristico: in Consiglio tra camicie rosse, camicie nere, post garibaldini, post-fascisti ve ne è una lunga tradizione, sicuramente culturalmente più fondate di quelle verde stinto o pisello chiaro che indossano alcuni militanti della Lega. Quindi non vogliamo portarci allo scontro delle camicie. Siamo però un po' preoccupati, questo sì, dal fatto che la follia immaginifica di quello che ci sembra sempre di più l'attore principale del film "L'uomo che volle farsi Re" ci porti domani ad uno scontro reale: non è difficile! Continuando a fomentare gli animi continuando a svendere illusioni, continuando a proporre ricette che non sono neanche federalistiche, ma chiaramente secessionistiche, è molto facile poi dare la stura ad atteggiamenti e a gesti inconsulti.
E' successo spesso nel passato; io credo che molti storici ormai riconoscano che gli stessi fenomeni del terrorismo derivarono dal fatto che non si presero in seria considerazione quelle che furono le lotte non solo studentesche, ma anche le contrapposizioni ideologiche che in un certo momento storico si verificarono in Italia.
Quindi non una condanna alla Lega né una condanna ai leghisti, ma una condanna ferma a Bossi! E una condanna ferma a tutti quelli come lui! Va invece un ringraziamento all'anima razionale della Lega per aver posto per prima, con notevole sforzo (e largamente inascoltata), un problema estremamente serio ed attuale. La condanna è ferma a chi volgarizza e banalizza questi principi che possono e debbono essere discussi, ma soprattutto, oltre che discussi, proposti e portati avanti.
Bisognerebbe fare un passo indietro e andare a vedere perché noi oggi parliamo di federalismo. Non dovremmo dimenticare infatti che cinquant'anni di Stato partitocratico hanno abbandonato il meridione d'Italia in mano alle mafie di ogni tipo; non possiamo dimenticare che queste mafie sono nate, cresciute e si sono impinguate non grazie allo Stato centrale, ma grazie a quella partitocrazia, che è morta di onnipotenza, che è morta per aver tolto tutto al sud, per non aver dato molto al nord, ma che è morta perché ad un certo punto, quando le cose diventano troppo grosse scoppiano! E non dimentichiamo che se oggi noi parliamo di federalismo non è perché il federalismo rispetto al centralismo sia necessariamente meglio (su questo si potrebbe dibattere per secoli).
Noi oggi ci troviamo a dibattere una giusta esigenza federalistica solo perché il sud è stato abbandonato; il meridione d'Italia è stato abbandonato, lo Stato ha rinunciato ad avere un ruolo nel sud! Perché oggi gli abitanti del sud hanno ancora paura, perché oggi gli abitanti del sud non possono esprimersi liberamente, non possono lavorare liberamente, non possono muoversi liberamente, non possono scrivere liberamente! Agli abitanti del sud oggi non è concessa quella parità di diritti dalla quale si può pretendere poi una parità di doveri nei confronti dello Stato centrale, nei confronti della pubblica amministrazione, nei confronti dell'economia! Non possiamo neanche dimenticare che oltre a questo abbandono del sud c'è stata una parte della sinistra che per tanti anni ha negato il valore stesso del concetto di identità e di unità nazionale, svendendolo ad un internazionalismo senza volto e senza patria! Non lo possiamo dimenticare perché è storia recente. Io sono contento che oggi il PDS faccia un richiamo e chieda, tramite una lettera al Presidente del Consiglio regionale, che si parli di questa esigenza e che si condanni anche il tentativo di minare l'unità nazionale; non posso tuttavia dimenticare quando gran parte della sinistra italiana al solo sentire parlare di unità e identità nazionale "impazziva", in senso buono, rifiutava questo concetto, perché tutto doveva essere internazionalizzato, tutto doveva essere reso omogeneo secondo una cultura marxista che, forse lo stiamo dimenticando, è ancora in parte viva nella nostra Nazione e in parte è stata solo di recente abbandonata.
E' per questo che noi non ci sentiamo di partecipare a fronti popolari e democratici, perché per partecipare ad un fronte non ci vuole un'idea scatenante, ci vuole una cultura condivisa alla base, e a nostro avviso non c'è questa cultura condivisa alla base. Noi non vogliamo che il federalismo o l'identità nazionale vengano usati in maniera semplicistica o in maniera propagandistica seguendo le passioni politiche del momento. Una grande tradizione di salvaguardia e di difesa dell'identità nazionale, come noi abbiamo, non può secondo me aderire a progetti o proposte portate avanti da chi questo concetto e questa salvaguardia non ha mai proposto.
Io poi vorrei chiedere - forse un giorno sarà il caso - agli amici della Lega come spiegherebbero ai trentini, agli altoatesini e magari ai liguri, che prendono molto più dallo Stato centrale di quello che non pagano in tasse, che loro, "popoli del nord", sono dei meridionali, cioè sono tutti quelli da cui si dovrebbe fare la secessione, perché se proprio si vuol fare la secessione proponetela almeno per le Regioni che versano un po' di più rispetto a quello che prendono. In tal caso vi trovereste in difficoltà in quanto sapete meglio di me che il Trentino e la Liguria prendono dallo Stato centrale molto più di quello che versano in tasse! Anche questo è un problema ulteriore che i cosiddetti "popoli del nord" devono comprendere.
Ho sentito anche parlare di "piccole patrie", riferito al Cuneese. Mi sfugge il concetto di "piccola patria", sarà forse il paese dei nani o dei lillipuziani? Non esiste una piccola patria: esiste una Patria, che è la Nazione Italiana così come si è venuta a formare nel corso dei secoli! Non cado nella retorica dicendo "col sangue dei martiri e degli eroi" perch sarebbe veramente una banalità, ma non esistono le piccole patrie! Facciamo attenzione quando usiamo queste frasi, anche perché qualcuno poi si potrebbe illudere che siano una realtà. E allora mi chiedo: se Torino non ha neanche il 10% di piemontesi, questa "piccola patria" non è fatta dai popoli del nord, ma è fatta dai meridionali, anche di seconda generazione che hanno preso, in maniera secondo me non del tutto positiva, un certo tipo di messaggio anche culturale.
Mi avvio alla conclusione chiedendo, ancora una volta, "chi" veramente ha abbandonato il meridione e ha fatto sì che certe idee andassero avanti.
Devo dire comunque che nel programma di Alleanza Nazionale, nel programma del Polo, c'è una forte richiesta all'autonomia regionale, c'è una forte richiesta di maggior decentramento, c'è una forte richiesta di arrivare ad una forma di decentramento di poteri in senso federale e quindi di conferimento di maggiori poteri alle Regioni.
Noi, come Alleanza Nazionale, abbiamo presentato un ordine del giorno in cui alla fine non si condanna la Lega, ma si dice "respinge con forza qualsivoglia atteggiamento tendente a mettere in discussione l'unità nazionale", visto che sembra che qualche leghista si accontenti del federalismo ed altri vogliano la secessione. Questo ordine del giorno "è per molti, ma non per tutti" (come dice una pubblicità). Noi però chiediamo anche l'impegno al Presidente della Giunta regionale e al Presidente del Consiglio regionale affinché istituiscano una Commissione di giuristi, di economisti e di esperti per predisporre finalmente dei progetti di riforma dello Stato in senso federale, da proporre alle altre Regioni (non solo alle Regioni del nord) e da sottoporre al vaglio del Parlamento nazionale.
In caso contrario, tutti i discorsi che facciamo, gli impegni, le dichiarazioni altisonanti non servono assolutamente a nulla.
E' un momento in cui non dobbiamo assolutamente non tenere conto della se mi consentite - perfida intelligenza del discorso leghista. Il federalismo, una migliore organizzazione decentrata dello Stato, è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai leghisti. Una seria riforma decentrata dello Stato deve passare attraverso di noi, e a mio avviso la Regione Piemonte deve farsi promotrice di seri progetti di legge in questo senso, perché se noi chiediamo una maggiore autonomia, un maggior decentramento dobbiamo essere i primi a dimostrare che siamo degni di questa autonomia e di questo decentramento. Abbiamo anche le capacità intellettuali, morali e politiche per essere noi i primi propositori di questa iniziativa.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Cari colleghi e colleghe, c'è la Lega con le sue proposte, che è la prima parte del problema; c'è la risposta alla Lega, che è la seconda parte del problema.
Occupiamoci della prima parte. Si è sentito anche in quest'aula purtroppo, utilizzare la parola federalismo, un po' da parte di tutti dando quasi per scontato - qualcuno l'ha anche detto - che su questo termine ormai sono tutti d'accordo.
Rifondazione Comunista non è d'accordo sul federalismo. Non è d'accordo sul significato di questa parola, a meno che significati diversi vengano dati a questa parola, ed è anche quello che sta accadendo. Non siamo d'accordo perché il federalismo è una dottrina politica favorevole alla federazione, e la federazione è una lega di Stati in cui ciascuno Stato ha proprie leggi, pur nell'ambito di una Costituzione comune.
Questo è il federalismo, e non altro. Allora questo termine, per rispetto alle parole, lo rifiutiamo. Anche perché se non abbiamo rispetto del linguaggio, che è il terreno attraverso il quale riusciamo a capirci non si riesce a comprendere come si possa impostare alcunché, peggio ancora una politica.
Le parole, viceversa, non sono più pietre, ma diventano farfalle e alle cose non corrispondono più i nomi, perché il federalismo che è stato qui illustrato, anche da esponenti della Lega (Bellingeri), non è questo.
Chiediamo una pulizia di linguaggio, per riuscire a confrontarci. Dire che il federalismo è l'antidoto del centralismo è una falsità, si fanno due affermazioni sghembe: l'antidoto del centralismo è il decentramento, non il federalismo; il federalismo è qualcosa d'altro. Chiamiamo le cose con i loro nomi.
Dire che vogliamo un "federalismo neoregionalista" è una cosa priva di senso, perché nel federalismo si prevedono gli Stati, ma se si prevedono semplicemente delle Regioni, forti, non è federalismo, è un'altra cosa.
Chiediamo di non snaturare il significato delle parole, di non violentare il linguaggio, perché a truccare le parole ci si può far male, in quanto le parole sono più dure di chi tende a sviarne i significati, le parole sono nella testa della gente e quando si evocano la gente capisce benissimo di cosa si parla.
Siamo contro la scissione dello Stato della Repubblica italiana in tanti Stati, siamo quindi contro l'utilizzo della parola federalismo; ci non perché ci faccia paura quella parola, ma per rispetto della parola stessa. E non accettiamo che sotto la parola federalismo vengano contrabbandate altre cose. La Lega ha tutto il diritto di proporre il federalismo per quello che è, ma è sbagliato appropriarsi di una parola con un significato ed assegnargliene un altro, nel tentativo di esorcizzare quello che c'è dietro questa parola, anche perché penso che sia una cosa che non abbia assolutamente un futuro.
A ben vedere, nell'ambito del rispetto dell'obiettivo del federalismo della Lega (gli Stati e non le Regioni), ha una sua logica il salto che la Lega compie utilizzando la parola secessione. La Lega vuole uno Stato, uno Stato che non c'è, e lo vuole fare scindendolo da uno Stato nazionale dicendo: "Se non me lo date, me lo prendo" e usa la parola secessione.
Allora non vorrei che, così come è stato fatto da tante parti di accoppiare la parola federalismo agli aggettivi "solidale" e "cooperativo", correndo dietro alla Lega, per paradosso, tra qualche tempo non ci sia la secessione solidale e cooperativa, in una rincorsa all'infinito su una strada che per la Lega continua ad avere una coerenza di carattere verbale, ma che per tutti gli altri sarebbe disastrosa.
La Lega va battuta su un terreno di serietà. Penso, ad esempio, che accettare di confrontarsi, come fanno molti, su questa aria fritta del federalismo (aria fritta così come viene cucinata da tutti coloro che contrastano la Lega) sia un errore, perché accredita la Lega di una capacità progettuale che secondo me non ha.
La Lega non ha una capacità progettuale in materia di riforme di questo Stato; per questo fa il salto in avanti e dice: "Tagliamo gli Stati e facciamone due, tre o quattro". E' un'incapacità che, devo dire, ha anche avuto una riprova nei fatti, perché uno dei Ministri più centralisti che si è visto agire è stato proprio il Ministro Maroni in occasione dell'alluvione: è stato veramente il Prefetto dei Prefetti, il centralizzatore all'ennesima potenza e ha scritto dei decreti che gridavano vendetta non contro il federalismo, ma contro le Regioni così come sono.
Ritengo che dietro a tutto questo non ci sia una cultura di riforma dello Stato e quindi sono contrario ad accreditare una Lega che, viceversa ha fatto i propri conti su problemi che ci sono, su una rivolta fiscale tutta da giudicare e, soprattutto, sulla leva di un sentimento (la Lega è anche un sentimento, per questo è radicata) che ha come riferimento l'egoismo; un sentimento di egoismo da parte di chi detiene o ritiene di detenere le leve dello sviluppo economico o del proprio sviluppo economico utilizzando il lavoro degli altri e vuole difendere su basi egoistiche questo stato di cose, ritenendo (dò per presupposta la buona fede) che la difesa di questo stato egoistico corrisponda anche alla difesa dell'insieme della nazione.
Ritengo sbagliato evocare scenari di guerra civile. Non penso che Bossi abbia questa capacità di trasformare in lottatori, in guerrieri gli appartenenti a quel ceto (tutti ex democristiani) che oggi vota per la Lega e che al massimo si sono scambiati quattro schiaffoni in qualche congresso della DC. Non penso che questa base elettorale sia una base guerriera; è una base che chiede di lavorare in pace e di pagare poche tasse. Non penso che la strada sia quella della risposta con la violenza verbale alla violenza verbale di Bossi, di credere alle camicie di vario colore e a cose di questo genere, che però non vanno sottovalutate, in quanto fanno del male non dal punto di vista della possibilità di attuare una secessione - è una cosa ridicola: chi mai vi verrà dietro? - ma fanno del male nel rallentare o nel far tornare indietro quel sentimento, quel modo d'essere che ci fa chiamare italiani, in particolare verso i giovani.
Questa sì che è una violenza che viene esercitata: si cerca di inculcare tra la popolazione, soprattutto quella giovanile, l'idea che attraverso questo egoismo si possa tenere per sé tutta la ricchezza che si ritiene di produrre (poi non è vero nemmeno questo).
Questa è un'idea sbagliata e falsa, perché l'Italia non può andare avanti in questo modo e i giovani non riusciranno a trovare un proprio futuro. La Lega agita un'idea che forse, isolato per isolato, può trovare degli adepti, ma se guardate in lungo e in largo il territorio italiano potete notare come questa idea non abbia delle radici. Ma dov'è questa unità della Padania? In cosa consiste (anche qui il Presidente Picchioni all'inizio aveva fatto dei riferimenti) questa unità della Padania? Di popoli diversi? Di culture diverse? Diverse da chi? Dai popoli dell'altra parte dell'Italia? Prendiamo questa nostra città in cui ci riuniamo, che dal 1951 al 1971 è passata da 500 mila ad un milione e 200 mila abitanti, in cui si è riversata l'Italia, come è successo in tante altre città. Se io devo riflettere sul concetto di Padania, cos'è la Padania? Via Montanaro angolo Via Brandizzo, dove tutti i sabati, da ormai trenta-quarant'anni, parte un pullman per San Severo, avanti e indietro a portare persone e cose in un legame territoriale che è rimasto con la Puglia? Fa parte della Padania? Questi sarebbero i popoli da armare per tirare giù un confine di Stato indipendente rispetto agli altri? E quante Via Montanaro angolo Via Brandizzo ci sono in tutta Italia? L'unità d'Italia si è fatta in vari momenti. Penso che il sentimento di unità nazionale debba ancora continuare a crescere. Si è fatta prima in ragione amministrativa con un po' di idee e un po' di battaglie, poi si è fatta con la cultura, con i movimenti.
La migrazione del dopoguerra, questo fatto peculiare in Europa, questi milioni di persone che si sono spostate, riteniamo o no che siano stati un colpo decisivo nella costruzione di un'identità nazionale, con attriti ("Non si affitta ai meridionali" degli anni '50) che sono stati superati dalla conoscenza, dall'amalgama, dal rispetto per andare avanti tutti insieme? Ritengo che sia un'illusione, sbagliata e pericolosa, da contrastare alla radice, minare le basi di una convivenza civile riconosciuta all'interno dei nostri confini, diffondendo l'idea che i nostri problemi, la disoccupazione o le tasse, possano essere risolti disegnando in modo diverso la cartina geografica.
Viceversa, riteniamo che il confronto politico su questi temi - le camicie verdi le mandino a lavare quando saranno sporche - rifiutata la violenza verbale, che è quella che Bossi si attende, stigmatizzando quello che va stigmatizzato - è norma della Costituzione, cosa che noi facciamo con l'ordine del giorno - deve essere compiuto con i ceti sociali, ex democristiani, che oggi appoggiano la Lega, discutendo dei problemi che pongono e sul modo di risolverli.
Riteniamo che la verifica su quanto produce il nord e versa al sud sia tutta da fare. Siamo convinti che le cose non stanno nel modo grossolano rappresentato dai leghisti: che c'è un nord che produce chissà quanta ricchezza e che paga così tante tasse - facciamo un censimento anche nel Veneto per vedere quanto pagano le piccole e medie imprese, se le pagano proprio tutte o meno - per mantenere il sud. Se facciamo questo conto vediamo che il ritorno al nord di gran parte delle risorse prodotte nel nord c'è in larghissima misura. Ad esempio, le Regioni a Statuto speciale (Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia) hanno delle risorse che di certo non provengono dal nord, ma provengono da tutta Italia (nord, centro e sud).
Questo confronto politico con i ceti sociali va fatto sulle cose, senza truccare le carte. La nostra proposta è che l'unità nazionale non si discute e di federalismo non se ne parla. Noi chiediamo quello che diceva Bellingeri: autonomia, deleghe e buona amministrazione. Confrontiamoci su questo, Bellingeri! Siamo per l'autonomia, le deleghe e la buona amministrazione. Anzi riteniamo che questi tre obiettivi, previsti nella Costituzione e mai attuati, siano l'asse centrale di una riforma dello Stato, che deve vedere le Regioni come soggetto primario, di legislazione, in tutte le materie tranne quelle che rivoltando la simmetria vengono assegnate allo Stato centrale, con un rapporto non centralista tra le Regioni e gli Enti locali ma senza nuovi Stati.
Se noi, cari colleghi, dalla finestra che la Lega apre, vediamo questa apertura, se ci infiliamo nella direzione dei nuovi Stati, che è il federalismo - che piaccia o no a chi utilizza in modo improprio questa parola - quando aprirete quella porta vi voglio vedere! Quando ci sarà un nuovo Stato voglio vedere i confini di legislazione che gli si daranno! Dove ci si ferma se si accetta di aprire la porta a nuovi Stati? Non ci si ferma più. Si potranno assumere "gli stranieri"? Allora il problema è: ma è di nuovi Stati che ha bisogno la popolazione italiana? E' di nuovi Stati che hanno bisogno i ceti che oggi votano la Lega? O è di buona amministrazione e di un rapporto più equilibrato e più forte delle Regioni? Quando diciamo questo non vogliamo eludere i problemi che noi abbiamo - dico "noi" come Regioni, perché le Regioni forti oggi non esistono, manca il regionalismo forte. Perché manca il regionalismo forte che può essere un elemento di buon governo? Non certo soltanto perché c'è uno Stato romano centralistico che soffoca le Regioni. Non solo per questo.
Questa è una parte del problema.
Queste Regioni, nell'ambito della Costituzione vigente, hanno mancato in compiti fondamentali, che da domani, se ci fossero governi capaci e lungimiranti, potrebbero essere superati, perché programmare da parte di una Regione lo sviluppo economico e l'assetto territoriale è un compito che nessuno ha espropriato, in nessuna parte d'Italia; è un compito che viceversa le Regioni tardano ad attuare e che invece è il perno di una riforma regionalista: l'autonomia finanziaria, il controllo delle risorse ma anche fare un esame di coscienza, Regione per Regione, per capire i motivi per i quali la Regione Piemonte ha mancato, ormai da molto tempo, ai compiti fondamentali per i quali è nata. Questo è buon governo: avere una Regione che progetta il proprio futuro in accordo con Province e Comuni che lo delinea, lo approva, lo discute.
Capite che di fronte a tutto questo la semplificazione di dire: "Facciamo gli Stati" è veramente una semplificazione che ritengo possa essere battuta attraverso un confronto politico. L'Italia non va divisa anche se è divisa da problemi sociali, benessere e disagio. Problemi che sono dentro l'Italia e la dividono tra aree del nord e aree del sud, ma la dividono anche all'interno delle aree del nord, tra zona e zona, tra area ed area. L'Italia è divisa anche all'interno delle città, tra quartieri ricchi e quartieri poveri.
Dobbiamo dire ai cittadini, anche a quelli che votano Lega, che questa scelta di egoismo, di pensare di poter fare da soli, il settentrione senza il meridione, è una linea di egoismo che non si fermerà, perché è una linea che tenderà a riprodurre se stessa e ad abbandonare, anche nelle aree del nord, i tanti sud che ci sono. O stiamo tutti insieme sapendo che un'economia oggi dipende da tanti fattori e che una popolazione di 50 milioni di abitanti è una popolazione che può farcela; oppure, credendo alla Lega o anche scimmiottando le sue parole d'ordine, ci infiliamo in una strada che porterà alla rovina.
La nostra riforma dello Stato in forma regionale dovrebbe essere nota: proponiamo una sola Camera - perché non se ne parla? - di soli 400 deputati e un rafforzamento della potestà delle Regioni per un'autonomia finanziaria maggiore dell'attuale, oltreché per tutte le competenze di carattere legislativo.
Il nostro ordine del giorno vuole semplicemente ricordare a tutti noi anche ai leghisti, che la Costituzione italiana, all'art. 5, dice "la Repubblica è una e indivisibile". Si tratta di un ordine del giorno che tendendo a cercare la massima unità possibile almeno sul nostro modo di essere cittadini italiani, consente di mettere i puntini sulle "i".
Semplicemente questo.
Bossi ha solo bisogno che qualcuno gli metta i puntini sulle "i" quando parla. Non ha bisogno di altro tipo di minacce, ma di questa c'è bisogno per correttezza verso tutti.
Volutamente questo ordine del giorno non affronta i vari modi d'essere di una riforma della Repubblica italiana, perché riteniamo - e l'abbiamo detto appena adesso - che su questo siano stati posti vari accenti. Non vogliamo far parte del coro dei leprotti che corrono dietro alla lepre di Bossi usando la stessa parola, federalismo. Abbiamo eliminato questa parola nel tentativo di ricercare un'unità più larga possibile su un punto fondante: la riaffermazione della difesa della Repubblica italiana "una e indivisibile", sancita dall'art. 5 della Costituzione.



PRESIDENTE

Grazie, Consigliere, ha già illustrato anche il suo ordine del giorno.
La parola al Consigliere Farassino.



FARASSINO Giuseppe

Grazie, signor Presidente, la ringrazio di avermi fatto parlare in quest'ordine. Eravamo partiti con la sua dotta disquisizione, come sempre con interventi anche fermi, anche duri, ma nel limite dell'accettabilità.
Poi, invece, sono arrivate le bordate. E questo io temevo.
Pensavo e penso che quando si dibatte di questi temi importanti, come il federalismo, e, per attrazione, di indipendentismo o di secessione, una premessa dovrebbe essere doverosa. Quella per la quale nessuno pu arrogarsi il diritto di trasformare il dibattito in un processo.
Questo prima di tutto non giova ai buoni rapporti né alla serenità e alla serietà di questo Consiglio. In seconda battuta, non esistono in quest'aula forze politiche che non abbiano nell'armadio scheletri molto, ma molto più ingombranti di quanti possa averne la Lega: gli sfottò delle adunate, delle camicie che vengono da destra e da sinistra. Ricordiamo che il Capogruppo di Alleanza Nazionale è figlio, pronipote di quel partito che ha conquistato il potere a suon di olio di ricino, manganello e camicia nera: per quanto riguarda la sinistra non avevate le camicie - e non sto a parlare di quella che è la filosofia materialistica della quale voi siete nipoti e pronipoti, che ha negato il diritto alla famiglia, alla successione, il diritto di ereditarietà, il diritto alla religione - ma avevate le Brigate rosse, voi. E, in modo più blando, avete ancora gli autonomi, che picchiano sprangate sulle spalle e a suo tempo avevate i demoproletari, le cui catenate ho beccato anch'io andando ad attaccare manifesti.
Quindi non facciamoci dei debiti, ognuno ha i suoi scheletri nell'armadio e io penso che quelli della Lega siano degli ossicini, siano dei disegni di scheletro in confronto a quelli che avete voi.
Vorrei riportare, invece, in modo pacato, il dibattito sull'argomento che fa parlare in questo momento, la secessione. Cosa c'è di strano? Quando si parla di secessione bisogna distinguere tre livelli: quello politico quello giuridico e quello morale.
Sotto il profilo politico la secessione è uno dei tanti modi con cui nascono nuovi Stati, perciò la secessione è legittima se riesce ed è illegittima se non riesce. Quando riesce viene riconosciuta. Sono tutte riconosciute: le Repubbliche del Baltico, la Lituania, l'Estonia. Tutti ci schieriamo affinché il Tibet, sotto la cappa della Cina, abbia la propria indipendenza; o ci schieriamo a favore dell'autonomia dei Curdi. Abbiamo firmato tutti gli ordini del giorno in proposito. Arafat ha ottenuto un seggio all'ONU ben prima che Israele gli concedesse una certa giurisdizione sui territori palestinesi. Quindi, quando riesce, la secessione viene riconosciuta, esiste; quando non riesce è perché è andata in fumo. Questo è il lato politico.
Sotto il profilo giuridico la secessione è riconosciuta dal diritto internazionale, mentre alcuni diritti interni di Stati la vietano e pochi per la verità (tra questi l'ex Unione Sovietica e l'attuale Etiopia), la consentono. Tanto le norme che vietano, quanto quelle che consentono la secessione, non vengono mai attivate. Dal momento in cui sorge questo pericolo si cerca, data la sua importanza, di criminalizzare l'avversario sotto il profilo morale. Ecco che dal punto di vista morale esistono fior di studi, assolutamente neutrali; consiglio l'ultimo - perché è l'ultimo che ho letto - "La secessione" di Bacheman pubblicato negli Oscar Mondadori, ove si elencano i casi in cui secedere è lecito: le colonie oppresse, ad esempio l'antica Indocina francese; i territori sfruttati tipo le isole della Polinesia; le minoranze etnico-religiose perseguitate tipo gli ebrei durante il nazismo; lo stato totalitario, oppure una politica ridistributiva, che sistematicamente sfrutta una parte del Paese apparentemente a favore di un'altra, ma in realtà senza che ne derivino vantaggi a favore di nessuno. Quest'ultimo è il caso del nord.
Ma c'è anche il sud: uno Stato cronicamente incapace di dotare una certa sua area di quei servizi pubblici di cui invece ha bisogno. Queste non sono parole mie, sono cose che ha scritto Bacheman. Questo è il sud: è il sud che dovrebbe chiedere la secessione prima di noi, perché il sud è sempre stato vittima di una politica, anche giornalistica, di convogliamenti di centinaia di miliardi che non sono mai, assolutamente mai, finiti nelle tasche della povera gente, che non hanno mai creato posti di lavoro. Sono sempre stati incamerati dagli "aum aum" della società dirigente del sud: un modo eufemistico per denominare la mafia.
La Lega è accusata di provocare la secessione. Quando avvengono fenomeni di questo genere, di questa portata, caro collega Chiezzi, è perlomeno dubbio che un partito qualunque, in questo caso la Lega, abbia davvero la forza di determinarli. E te lo dice un esponente della Lega: è indubbio, questi fenomeni sono già contenuti nella società. La Lega non fa che registrarli; semmai, ha avuto la trovata di registrare il malcontento il sentire della gente; gente che non è soltanto un'omogeneità economica finanziaria. Tu, collega, parli di egoismo; ma la gente è stufa di lavorare sei-sette mesi per uno Stato centralista sprecone e i restanti cinque per la propria famiglia. Di questa situazione ha "le scatole piene". La gente non si chiede più dove vada a finire il suo denaro, come avvenga la ridistribuzione.
La ridistribuzione la conoscono benissimo tutti; prendiamo la nostra Regione: per ogni 100 lire che invia a Roma ne ha, di ritorno, 60. C'è uno Stato ridistributore che paga i suoi figli con metri diversi: adopera un metro per i figli e uno per i figliastri; uno per i figli buoni e l'altro per i bastardi: noi siamo fra i bastardi. La Campania riceve 180 lire ogni 100; si arriva poi all'assurdo della Sicilia che riceve 330 lire ogni 100.
Ma sono beneficiate anche le Regioni citate dal collega Ghiglia, anche se non si tratta della Liguria, ma delle Regioni a Statuto speciale: il Friuli, ad esempio, o la Valle d'Aosta - non certo la Liguria, perché là bestemmiano tutti come degli assassini... La gente ne ha la scatole piene non vede alcuno spiraglio nonostante gli sforzi, le proteste, nonostante si parli continuamente di federalismo per ridurre e pagare le tasse nella Regione e nel luogo in cui si emettono, e mettere in moto un ciclo contrario: mantenere i proventi in Regione e mandarne una parte ad uno Stato federale con pochissime competenze.
Oggi, domani, dopodomani, venerdì, avremo un nuovo Governo - si tratta di una forza politica che governerà per la prima volta dal dopoguerra, da quando esiste la Costituzione italiana ad oggi: grande successo, grandi aspettative - che, come prima cosa, parla di Stato sociale! Il Welfare State, in uno Stato che ha 2 milioni e 180 miliardi di debito! Ma la gente non è soltanto stufa di questo; c'è anche un fattore culturale.
Caro collega Saitta, ti chiedi cosa sia la Padania. Non esiste la Padania: è un modo di chiamare l'Italia del nord; la Padania è un discorso giornalistico, di immagine! E' chiaro che i liguri potrebbero dire che se Padania deriva dalle terre e dal "Padus", fiume Po, ovvero quel fiume che bagna le terre del nord, nella Padania dovremmo essere compresi noi, la Lombardia, il Veneto e l'Emilia Romagna e loro esserne esclusi. Qualcuno aveva proposto l'appellativo Eridania: è un modo come un altro.
Personalmente, preferisco chiamarla Italia del nord; c'è anche un fattore culturale.
E qui rispondo al Consigliere Ghiglia, che si chiede cosa siano le piccole patrie. Sono quelle cose che eminenti scrittori, come Pasolini hanno dipinto e hanno descritto negli "Scritti corsari", dove si parla dei valori della destra sublime di cui proprio il tuo partito - collega Ghiglia si è appropriato: l'attaccamento alle tradizioni, al campanile all'usanza e all'idioma dei padri, dei nonni. Sono queste cose innocenti le piccole patrie; ci sono anche varie associazioni culturali, sia da noi che in Veneto, che da tutte le parti - penso anche nel Mezzogiorno. Esiste dappertutto la famiglia meneghina, la famiglia salernitana ecc., che ripropongono stili ed usanze.
Esiste anche un limite raggiunto di sopportazione al sentirsi colonizzati, come giustamente ha detto il collega Chiezzi, anche se la percentuale è un po' più alta: a Torino i piemontesi non raggiungono soltanto il 10%, sono "solo" il 30%: ci consola pensare che in Piemonte siamo ancora i due terzi.
Torino, centro dell'immigrazione. E' chiaro che la gente piemontese si sente colonizzata. I suoi figli vanno a scuola, ma hanno insegnanti che non parlano la loro lingua, che non propongono la loro cultura, la loro tradizione, perché non la conoscono. I piemontesi si sentono colonizzati dai magistrati che ci giudicano; si sentono colonizzati per il fatto che i banditi vengono mandati al nord (i confinati di polizia: "ognuno si tenga i propri" dice la gente). E' così bello avere gente della tua tradizione della tua cultura, nel pieno rispetto delle culture degli altri: questo vuol dire federalismo, "nel rispetto delle disuguaglianze". Non sono le disuguaglianze che dobbiamo combattere, ma le ingiustizie.
La Lega, nata come confluenza di movimenti autonomisti, registra che il federalismo è una spinta in avanti, che c'è qualcosa di più; che le pentole stanno scoppiando, che i coperchi vanno per aria. La Lega ha registrato non ha inventato e non è in grado di provocare la secessione. Semmai è il punto di riferimento di tutte quelle persone che ne hanno le scatole piene.
In sostanza, la Lega sta alla secessione come il sismografo sta al terremoto: il sismografo registra i gradi della scala Mercalli, non provoca il terremoto. La Lega è nella stessa situazione.
Quindi, la risposta giusta alla Lega era quella con la quale è iniziato questo tipo di discorso; dobbiamo dare una risposta non alla Lega in sé, ma alla Lega come punto di riferimento di una stragrande maggioranza, una grande quantità di persone. Cito Limes, rivista sicuramente non della Lega (uno degli azionisti di riferimento degli Editori Riuniti penso sia Diego Novelli). Su Limes del mese di marzo viene riportata un'indagine di Diamanti, politologo, sociologo, filosofo di sinistra, che ha compiuto un'attenta indagine sulle popolazioni del nord Italia, e ha stabilito che il 23% è d'accordissimo con la secessione, in qualunque modo. Ma c'è anche un 29,3% che sostiene che la secessione sarebbe una soluzione ottima, ma tanto "non ce la danno"; persone che non sono fermamente convinte della secessione, ma sono possibiliste; 29%+24% fa 53%! Se vogliamo dare una risposta a quel 53%, che sicuramente non è rappresentato solo da leghisti (la Lega, semmai, avrà quel 23% che si è dimostrato nelle ultime elezioni), e a tutte quelle persone, incominciamo a parlare, veramente, per far sì che proprio a partire dal pericolo di una secessione, democraticamente, si possa condurre il Paese Italia ad un federalismo forte. Certo il federalismo è fatto di Stati. Basta chiamare le cose in un altro modo, perché questo non è solo un progetto della Lega, ma è anche il progetto della Fondazione Agnelli, che prevedeva le macro regioni. Occorre un forte decentramento politico, altrimenti mi chiedo come potrebbe fare una Regione come gli Abruzzi, che ha un milione e mezzo di abitanti, a svolgere tali e tante competenze, perché il giorno dopo sarebbe già in ginocchio a chiedere a Roma di darle una mano a svolgere le pratiche burocratiche.
Quindi è necessario l'accorpamento. Se poi non vogliamo chiamarle padanie, le chiameremo in un altro modo, macro-regioni o mega-regioni, ma l'importante è che ci sia un federalismo forte e non la pagliacciata del federalismo fiscale, che vuol dire soltanto tasse aggiuntive regionali a quelle che già emette lo Stato.
In questo senso si darà una risposta in grado anche di soddisfare la Lega e, se volete, di toglierne anche l'attuale forza, per il bene di questo Paese.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Vaglio.



VAGLIO Roberto

Al dibattito di oggi vorrei portare un minimo di contributo dovuto alla memoria storica di chi le fasi di questa crescita le ha vissute. Devo necessariamente tornare alla seconda metà degli anni '80, periodo in cui senza che nessuno se ne accorgesse, i movimenti autonomisti regionali cominciarono ad affacciarsi sulla scena politica del Paese.
Movimenti che miravano sostanzialmente all'indipendentismo, a rivendicazioni etnico-culturali e che, in quanto tali, non avevano la capacità di crescere, di interpretare le economie di scala cui era necessario dare una risposta.
Alla fine degli anni '80 i movimenti autonomisti del nord confluirono in un movimento unico e, per ovviare a quelle spinte all'indipendentismo e della secessione, si accordarono sul metodo del federalismo; trovarono in quella data, agli inizi del 1990, la strada per interpretare una riforma dello Stato che potesse dare una risposta ad esigenze che erano nate e recepite, che si erano sedimentate in movimenti indipendentisti, in movimenti connotati da un forte regionalismo al limite della secessione.
Perché si scelse questa via? Perché già allora si comprese che l'alternativa sarebbe stata l'apertura a facili scorciatoie antidemocratiche, a facili scorciatoie che potevano sfociare nei meandri delle vicende bombarole e terroristiche. Proprio per evitare queste scorciatoie, per evitare queste tentazioni, per limitare queste volontà che potevano essere espresse, si scelse la via del federalismo. Poi la politica funziona come funziona, le scelte sono soggettive, la formazione culturale di ognuno di noi ci porta ad assumere posizioni diverse. Questo fece sì che gli autonomisti di allora si dividessero, si ridistribuissero, anche se la maggior parte di loro restò con la Lega Nord.
Indipendentemente da queste diverse posizioni, negli anni che seguirono alcune battaglie comuni furono portate avanti: la difesa della cultura, la difesa della lingua piemontese, il tentativo di far comprendere l'importanza storico-culturale della bandiera piemontese e l'accettazione da parte di questo Consiglio regionale, di quella bandiera che fu sicuramente una vittoria comune. Oggi penso che le successive accelerazioni, le volute accelerazioni che Bossi ha dato al suo partito abbiano ormai alzato una barriera insormontabile. Quello che oggi ci preoccupa, e mi preoccupa, non è un'accelerazione del federalismo, ma è un'accentuazione di un neonazionalismo padano di cui non sentivamo il bisogno, in cui non capisco come possano collocarsi le culture regionali.
Nei fenomeni di risorgente nazionalismo di solito i primi a lasciarci le penne sono le minoranze etniche e le minoranze culturali, le istanze che arrivano dai microterritori dove insediamenti storici hanno determinato realtà del tutto specifiche.
Inoltre credo che sia difficilmente accettabile la politica che i colleghi - ovviamente la politica nazionale che il partito dei colleghi rappresenta - stanno attuando, perché è difficilmente accettabile la politica della pistola puntata alla tempia. Pistola puntata alla tempia che quotidianamente viene ripresentata, minacciando la secessione, minacciando la rivolta fiscale, minacciando la formazione di milizie di partito.
Ebbene, capisco tutto, anche se personalmente non lo condivido e non lo accetto; credo che l'egemonia personale di un leader carismatico che non ha bisogno di consultarsi con la gente, ma che interpreta i segnali e i bisogni della gente, sia l'anticamera del totalitarismo e della dittatura.
Se non altro la storia ha sempre indicato questo. Guai ad interpretare i bisogni della gente, guai a non parlare, non comprendere e non far esprimere in modo ampio e democratico i bisogni della gente.
Credo che questo abbia perso, in questo momento, la Lega, ma perché lo dico? Perché mentre da questi banchi il Consigliere Farassino sparava sullo Stato sociale - diceva che era ora di finirla con lo Stato sociale che, per potersi mantenere, deruba le finanze del nord - quasi contemporaneamente assieme al collega Rosso, noi abbiamo sentito gli amministratori e i cittadini dei comitati spontanei della Valsesia, i quali contro la riforma dello Stato sociale non solo si opponevano, ma facevano la rivoluzione: hanno bloccato la vallata, hanno fatto una serrata, hanno chiesto la testa del Commissario straordinario per la ristrutturazione di un ospedale di 65 posti letto, non per l'abolizione dello Stato sociale, non per l'abolizione dell'indennità compensativa, non per l'abolizione delle pensioni date ai pre-pensionati dell'agricoltura. Attenzione a questa forma di socialità, a questa forma di presenza dello Stato.
E non solo. I colleghi che sul territorio sono presenti, e che interpretano il territorio, sanno fin troppo bene quali siano le richieste di questo territorio, quale sia la scarsa imprenditorialità dei nostri territori emarginati, di montagna e di collina, dove, portando le provvidenze comunitarie, sentiamo sempre la stessa solfa: "Ma che cosa ci potete finanziare?". Non la capacità di proporre, non la volontà di intraprendere, ma un concetto mutuato - lo riconosco - da cinquant'anni di malgoverno all'assistenza e all'assistenzialismo.
A queste risposte del territorio io ribatto: "Dobbiamo continuare a proporre scorciatoie, dobbiamo continuare a dire che l'obiettivo si pu raggiungere a colpi di falcetto?". Non è forse colpevole l'atteggiamento di chi dice: "Dividiamoci che poi tutto si risolverà" anziché dire che i problemi sono molti, sono importanti, che la socialità, oggi comunque parte importante dell'economia e di questo Paese per lo sviluppo delle aree marginali, non può essere dall'oggi al domani troncata senza nessun'altra risposta? Io penso che la responsabilità degli amministratori (perché francamente mi sono un po' scocciato di fare la parte dell'uomo politico, vorrei che responsabilmente ci confrontassimo con i nostri elettori) comporti di non parlare per slogan, ma di affrontare i problemi e di cercare di risolverli anche se il tentativo di risolvere i problemi spesso è impopolare.
Al di là delle soluzioni che ogni formazione politica presente in quest'aula può trovare alla riforma dello Stato, alla riforma della Repubblica, credo che si debba prendere atto di una situazione: oggi il federalismo storico sta spingendo verso l'unificazione europea.
Personalmente non credo che sia possibile avere accordi di Governo e cercare di colloquiare, per la costruzione di nuovi Governi, con chi non comprende questa vocazione, ma dà risposte chiuse e micronazionalistiche.
E' questa l'unica cosa che oggi credo sia da sottolineare.
Se la risposta della Lega continuerà ad essere una risposta di stampo federalista ai problemi del Paese, di comprensione e ricognizione delle necessità del territorio, non sarà necessario andare a recuperare i voti della Lega, perché la Lega sarà in grado di rappresentare benissimo le istanze di chi l'ha eletta. Se, viceversa, la Lega cede alle scorciatoie e alle sirene nazionalistiche del Lombardo-Veneto, allora penso che sia criminale trattare con una forza politica che ha perso il lume della democrazia e che si debba necessariamente ricorrere ad ogni modo, ad ogni sistema, ad ogni metodo per recuperare un voto che è andato drammaticamente perso.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Scanderebech.



SCANDEREBECH Deodato

Colleghi Consiglieri, da due giorni sento parlare di federalismo e ne ho anche sentito parlare durante la campagna elettorale. Ebbene, mentre ascoltavo tutti i discorsi che mi hanno preceduto, riflettevo sul motivo per cui tutti, indipendentemente dal Gruppo politico di appartenenza, ci stiamo riempiendo d'orgoglio e soprattutto di espressioni particolari culturali e storiche parlando di questo argomento.
Prima ancora di parlare di federalismo e di distribuzione delle proprie risorse nei propri ambiti, nel proprio territorio, sarebbe forse opportuno parlare di equilibrio dello sviluppo sociale. Perché dico questo? Perch secondo il mio modesto parere, non si può parlare di federalismo se prima non c'è un equilibrio politico, culturale, sociale ed economico di tutte le Regioni italiane. E per poter fare questo, a mio avviso, occorre programmare una politica adeguata, occorre programmare gli investimenti.
Ho sentito prima qualcuno (mi sembra il Consigliere Farassino) dire che tutti gli investimenti catapultati nel sud sono andati a finire nelle mani della mafia; forse è vero, però mi risulta o mi sembra che sia anche vero che molti altri siano andati a finire nella monocultura industriale che è tipica del nord. Allora, prima ancora di parlare di federalismo fiscale, di ridistribuzione delle proprie risorse nel proprio territorio, sarebbe opportuno equilibrare gli investimenti, equilibrare le risorse, equilibrare lo Stato sociale.
A questo proposito, prima un collega (mi sembra il Consigliere Ghiglia) parlava dello Stato di diritto che manca al sud. Questo è un grosso problema, cari colleghi. Vedete, nel sud qualsiasi piccolo, medio o grosso imprenditore che avvia una qualsiasi piccola, media o grossa azienda affronta enormi problemi dovuti alla posizione geografica del sud, alla carenza dei trasporti e alle difficoltà di ottimizzazione dei vari prodotti.
Mi chiedo: cos'è stato fatto fino ad oggi da parte dei politici affinché il sud potesse avere uno sviluppo economico e sociale adeguato alle proprie risorse? Tutti i politicanti di ieri me li sono trovati ancora qui davanti; per la prima volta ho chiuso gli occhi pensando che stessi sognando, ma quando li ho riaperti ho visto di nuovo al potere le stesse persone di dieci-quindici anni fa (non faccio il nome per discrezione).
Quindi, è spontaneo chiedersi che cosa è stato fatto da questi politici per far sì che anche il sud oggi potesse rivendicare lo Stato di diritto e il federalismo.
Poniamoci tutti questo problema e vediamo se riusciamo a dare delle risposte, perché sul tema del federalismo in questi ultimi tempi mi sembra che siano state dette tante belle parole e che si voglia cavalcare politicamente, da parte di tutte le forze politiche, il fenomeno federalismo. Prima riflettevo ed annotavo che nell'ultima campagna elettorale, oltre alla Lega, c'è stato un fenomeno similare, ma di effetto contrario: il fenomeno "Cito".
Cito è stato eletto nella città di Taranto in una lista autonoma definita Lega Meridionale. Allora mi chiedo: come mai anche costui ha riscosso un consenso così alto insieme alla Lega? Anche questo signor Cito che non si discosta molto dallo schizofrenico Bossi, ha cavalcato questo fenomeno, che è la nostra debolezza, ma è soprattutto la debolezza dei politici che ci hanno preceduto.
L'art. 73 del nostro Statuto recita: "La Regione, soggetto di programmazione, concorre alla formazione ed attuazione del piano nazionale secondo procedure fissate con legge dello Stato, e con la propria autonoma attività di programmazione. La Regione, nella politica di piano, opera per superare gli squilibri territoriali, economici, sociali e culturali esistenti nel proprio ambito e fra le grandi aree del Paese, con particolare riferimento allo sviluppo del Mezzogiorno". Prima dobbiamo superare gli squilibri; è quindi nostro compito cercare di eliminare i grossi squilibri territoriali che ci sono. Qui sta la chiave di tutto il discorso, a mio avviso.
Pertanto, se veramente vogliamo essere propositivi e costruttivi (cosa che mi sembra sia stata fatta fino ad oggi da parte della Giunta), ritengo che tutti noi Consiglieri messi insieme (perché questo, ripeto, è un problema nazionale, non è un problema politico attinente alle singole forze, ma è un problema che tutti insieme dobbiamo affrontare) dovremmo far deliberare dal Consiglio regionale e dalla Giunta una modesta somma per eseguire uno studio di fattibilità sugli squilibri territoriali delle Regioni del sud, dato che è previsto come dovere e come impegno nel nostro Statuto.
Tutto quello che chiedo è questo, perché ritengo che solo davanti ad un progetto, davanti ad idee costruttive, si possa aprire un dibattito costruttivo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Deorsola.



DEORSOLA Sergio

Desidero anzitutto dire che la mia formazione politica si ritrova sia sulla relazione che questa mattina il Presidente Picchioni, con grande impegno culturale e politico, ha svolto dinanzi a questa assemblea, sia sulle linee direttrici del documento dei Presidenti dei Consigli regionali che alcuni mesi fa è stato consegnato al Presidente della Repubblica Scalfaro.
Questa collocazione politica è conseguente al nostro pensiero che oggi il federalismo costituisca la forma più consona alle esigenze del Paese, a fronte di una generale debolezza dello Stato e a fronte degli attuali limiti di operatività delle Regioni e della necessità di inserirsi in Europa con connotati di maggiore efficienza e credibilità.
L'obiettivo deve essere dunque l'attuazione di uno Stato federale inteso come detentore della sovranità, dal quale viene però attribuita alle Regioni o Stati membri - mi si permetta il gioco di parole - un'ampia sfera di autonomia.
Riprendo le osservazioni, forse un po' nominalistiche, fatte dal Consigliere Chiezzi: dobbiamo intenderci su che cosa vuol dire federalismo.
Mentre sentivamo il suo intervento, il Presidente Picchioni mi ricordava che federalismo deriva da foedus, cioè accordo (abbiamo anche voluto consultare il dizionario). Federalismo vuol sempre dire che c'è una sfera ampia di autonomia negli Stati o nelle parti che compongono questa entità superiore federale. Laddove vi è un'ampia sfera di autonomia non vi pu essere autonomia totale. Non è che adesso voglia ricadere anch'io nel nominalismo e nelle puntualizzazioni, ma per federalismo si può e si deve intendere una struttura in cui c'è uno Stato federale che ha la sovranità che è composto da addendi, da entità che hanno un'ampia sfera di autonomia.
Ampia sfera di autonomia vuol dire che hanno un'ampia sfera di materie su cui attivare la propria capacità di fare leggi.
Se di fronte a questo obiettivo noi guardiamo invece a quella che è stata l'attuazione del regionalismo, notiamo che finora questa è stata fatta senza effettiva volontà di superare il centralismo, per cui constatiamo che le Regioni si sono in realtà aggiunte ad una struttura dello Stato che è rimasta sostanzialmente inalterata. Si comprende allora come in quel documento che ho citato all'inizio si faccia riferimento ad una delle modifiche che si devono ottenere, che è quella della regionalizzazione della struttura dello Stato e dei dipendenti dello Stato.
Per restare fedele all'invito, che è emerso da più parti, di passare finalmente dalle parole ai fatti, per usare una battuta ricorrente, cioè per comprendere meglio le ragioni che hanno portato il leader della Lega Nord a fare questa proposta - notiamo bene - non in un documento ufficiale depositato in Parlamento, ma in un comizio, dove perciò le parole vengono usate con la precisa volontà di andare ad effetto, cioè con una volontà di coinvolgere emotivamente i propri elettori o gli uditori, bisogna far sì che vengano adottati alcuni provvedimenti, quelli che è possibile adottare in costanza di Costituzione (già è stato richiamato in altri interventi).
Bisogna far sì che la nostra Regione si attivi per coinvolgere il Governo e chiedere a gran voce che questi provvedimenti, che possono essere adottati in costanza di Costituzione, vengano adottati subito.
Questo non vuole essere un'ulteriore occasione di rinvio per quella che è la riforma più complessiva, una riforma che va a toccare il Titolo V della Costituzione, ma vuole essere una risposta immediata, per quanto è fin d'ora possibile, a quel disagio, a quella volontà di cambiamento che il Paese vuole.
Voglio richiamare anch'io l'intervento sia del collega Bellingeri che del collega Farassino, illuminanti rispetto alla proposta di secessione fatta in prima battuta in un comizio. Secessione vuol dire distacco ritiro. Pur ammonendo sulla gravità del concetto e delle conseguenze che potrebbe avere, lo voglio intendere come uno stimolo per attuare un federalismo che non deve fermarsi a quello che è attuabile in costanza di Costituzione, ma deve anche trovare una modalità, o attraverso un'assemblea costituente o attraverso altre modalità che il Parlamento dovrà attuare modalità che devono toccare tutta la parte del Titolo V della Costituzione.
Dobbiamo affrontare velocemente questi obiettivi, non per "gattopardismo", perché è una preoccupazione di tanti nostri cittadini specialmente al nord, proprio per una cosciente scelta di offrire una modalità di aggregazione diversa allo Stato, per essere in grado di affrontare gli impegnativi confronti dei prossimi anni.
Voglio ritornare un attimo sul concetto di secessione. Se noi prendessimo per buona questa idea o, meglio, il principio che sta alla base di questa idea, dovremmo poi, per essere conseguenti, individuare nella stessa Italia del nord o Padania, come qualcuno osa dire - io vorrei dire Italia del nord - delle aree che, rispetto ad altre aree, sono in qualche modo emarginate: penso alle Valli del Cuneese, ma anche a tante altre parti della Lombardia e del Veneto. Rispetto a quelle aree ci potrebbe essere qualcuno che individua un'area più omogenea e dirà: "Ma perché non facciamo un'altra bella secessione ed isoliamo via via le parti deboli dell'entità Stato?".
In base a questa considerazione emerge che il concetto di secessione non può esistere nella nostra Italia, non solo per rispetto alla Costituzione, che io ritengo, come molti, che debba prima trovare in alcune parti completa attuazione e poi essere modificata, ma come ulteriore elemento che ci fa giudicare negativamente quella proposta.
Non voglio leggervi l'intervento che avevo preparato perché direbbe delle cose che sono già state richiamate. Voglio solo sottolineare le ultime parole. Il federalismo può oggi offrire la possibilità concreta di far valere nella vita della nazione questo immenso potenziale di cultura tradizioni e qualità umane delle comunità locali, promuovendo la partecipazione dei cittadini alla vita sociale e politica del proprio territorio e la loro effettiva uguaglianza.
In questa prospettiva, devo portare un'ulteriore parola di apprezzamento all'idea del Presidente del Consiglio di istituire gli Stati Generali del Piemonte. Il poter individuare con chiarezza le linee sulle quali si è sviluppata una nostra identità è sicuramente un momento qualificante anche per le scelte che verranno. Del resto - con questa osservazione concludo - l'ordinamento federale non esiste nei regimi totalitari, mentre è sempre più presente nelle grandi nazioni democratiche e noi tra queste vogliamo collocarci. Grazie.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marengo.



MARENGO Luciano

Grazie, Presidente. Esprimo apprezzamento per le posizioni espresse ieri dal Presidente del Consiglio, Picchioni, in occasione del confronto con i parlamentari neo eletti (espresse anche dal Presidente della Giunta Ghigo) e che erano presenti ancora questa mattina nella stessa relazione con la quale ha aperto i lavori. Ritengo che i proclami espressi dal gruppo dirigente della Lega Nord per la secessione siano inaccettabili e sbagliati, rispetto alle finalità che ancora qui oggi si propongono alcuni Consiglieri della Lega - non tutti, per la verità, perché altri hanno usato le stesse motivazioni di Bossi - e che portino da un'altra parte. Sono sbagliati per diversi motivi. Ne riprendo solo alcuni.
L'on. Bossi fa leva sull'etnia padana: è un'entità inesistente, il Piemonte non è la Lombardia o il Veneto. Infatti un parlamentare leghista di Verona, intervenendo in un dibattito alla radio alcuni giorni fa, ad una precisa domanda del cronista che gli domandava che cosa era per lui l'unità d'Italia, ha risposto: "Non è niente, è un'imposizione voluta dai piemontesi". L'affermazione ha molto significato. Dato che noi siamo piemontesi - come dirò fra un attimo, si sente che sono piemontese peraltro - dobbiamo incominciare a togliere alcuni equivoci se vogliamo che ci sia un dibattito sulle cose concrete e non sui fanatismi. La questione vera, parlando di cose concrete - perlomeno la più vera, non l'unica vera è l'economia e il rapporto Stato-cittadini. Questa è la questione vera strutturale, che noi dobbiamo affrontare sia al nord, come al sud, come al centro.
L'altra questione vera è l'identità, la cultura che in ciascuna Regione, e in ciascun pezzo di ciascuna Regione esiste e abbiamo il dovere di salvaguardare. Io sono piemontese e italiano e ne vado orgoglioso e non voglio essere né lombardo né veneto e voglio difendere questa identità e questa cultura così come voglio difendere l'identità e la cultura dei marocchini, dei tunisini, dei siciliani e dei calabresi che abitano a Torino, a Milano e in tutte le regioni d'Italia. Questo è il modo, credo di difendere le identità e le culture di ciascuno. Consigliere Chiezzi, non credo che l'abitante di Amburgo si senta meno tedesco dell'abitante di Monaco di Baviera e vale il reciproco: la Germania è uno Stato federale e io sono per quel modello di Stato, che non introduce il passaporto tra una Regione e l'altra, ma che è basato appunto sul principio di federalismo sussidiarietà e responsabilità. Poi tornerò su queste questioni.
Ragioniamo su questi problemi: credo che prima di ragionare su questioni di merito valga la pena di fare una considerazione sulla pericolosità dei messaggi che vengono lanciati e che possono diventare incontrollabili. Badate, l'uso del fanatismo etnico in un quadro di difficoltà economiche che si possono registrare anche a breve, anche nel ricco nord-est, può davvero diventare incontrollabile e pericoloso per la convivenza democratica. Credo che non si possa alzare il prezzo su questi problemi pur di essere a tutti i costi soggetto politico protagonista o per una manciata di voti; credo che si scherzi con il fuoco quando si usano e si lanciano questi messaggi. Questo vale per Bossi come per Fini.
Riprendo il ragionamento sulla pericolosità dei messaggi. Io non so chi di voi ha sentito le dichiarazioni fatte ieri da Fini in Sicilia durante la campagna elettorale. Fini ha spiegato che bisogna votare contro l'Ulivo perché il Governo Prodi, dominato dai poteri forti del nord, farà l'accordo con la Lega contro il popolo siciliano. Questo ha detto ieri Fini dichiarazione testuale durante la sua campagna elettorale in Sicilia.
Credo che tutti riusciamo a capire che se al sedicente Parlamento di Mantova si contrappone il sedicente Parlamento di Palermo, allora davvero le cose diventano pericolose per tutti e di convivenza civile e democratica sarà sempre più difficile parlare e soprattutto farne pratica.
La campagna elettorale contro il nord, cioè fare i leghisti al sud con gli stessi toni e gli stessi argomenti di Bossi, è l'altra faccia della stessa medaglia. Io ho un timore forte, che deriva soprattutto dal modello di questi partiti, dal modello del partito che ubbidisce sempre e comunque al capo e che cerca di trasferire il modello del partito come modello di Stato: questo è il pericolo vero per la democrazia e per la libertà.
Tali sono i messaggi che giungono da quei partiti proprio perché esiste questo modello e questa cultura dentro quei partiti. Questo, se permettete mi fa paura. Mi fa paura che questa affermazione diventi modello istituzionale. Ragioniamo sui problemi, partiamo dalla realtà economica per poter ragionare su quelli che possono essere i vantaggi di posizioni estreme, come quelle del gruppo dirigente della Lega Nord. Non è un caso che dica gruppo dirigente della Lega Nord e non lo faccio per una furbizia tattica o dialettica, ma lo faccio perché credo che l'elettorato della Lega abbia dei problemi che hanno anche gli elettori delle altre forze politiche, che pure rivendicano federalismo e maggiore giustizia fiscale.
Per quanto riguarda la realtà economica, una secessione in questo Paese comporterebbe grandi conseguenze.
Primo. La ripartizione del debito pubblico, perché non è che nella secessione qualcuno si accollerebbe il debito pubblico ed altri unicamente i vantaggi.
Secondo. Se ci sono alcune Regioni che sperperano e divorano il denaro e la spesa pubblica, sono le Regioni a Statuto speciale del nord. Sono due o tre le Regioni a Statuto speciale nel nord che prendono denaro pubblico che viene raccolto da tutte le altre Regioni e da tutti gli altri abitanti del Paese, non del nord.
Terzo. Noi siamo convinti, e questo lo sottolineavano gli stessi consiglieri della Lega, che l'Italia e l'Europa abbiano un rapporto sempre più inscindibile, quindi è necessaria la moneta unica, la rivalutazione della lira, la razionalizzazione della spesa pubblica. Ecco, appunto, la rivalutazione della lira: credo che entro pochi giorni, probabilmente, nel cambio con il marco la lira arriverà a mille lire per un marco. Certo questo pone dei problemi; pone dei problemi in primo luogo proprio a quelle Regioni, come il nord-est, che esportano nei Paesi dell'area del marco. Ma noi possiamo accettare, ed è prospettiva di sviluppo quella che si regge sulle esportazioni basate sulla svalutazione della lira? E' una direzione opposta al risanamento dell'economia e al calo dell'inflazione, che è una delle condizioni fondamentali se vogliamo risanare l'economia e superare il debito pubblico. Abbiamo bisogno di rinnovare lo Stato sociale, sono tutte condizioni per risanare, per rilanciare lo sviluppo e l'occupazione per il nord e per il sud; anche per il sud e lo dice, credo, il rappresentante di un partito - per rispondere ad alcune pesanti considerazioni qui fatte che sicuramente non ha nulla da spartire con la mafia se non i propri morti contro la mafia.
Le condizioni inevitabilmente diventeranno queste, quelle che ricordavo prima: il quadro economico produttivo, le esportazioni, la necessità di sviluppare il mercato interno. Ma lo sviluppo del mercato interno lo si fa nella misura in cui si riequilibra lo sviluppo dell'intero Paese, nella misura in cui si riesce a dare lavoro ed occupazione e possibilità di sviluppo all'insieme del Paese, con le sue diversità, con le sue autonomie senza pensare di esportare da Regioni industriali a Regioni agricole un modello industriale o viceversa, come è stato fatto, in modo dissennato negli anni passati e che bisogna sicuramente correggere. Sono problemi che riguardano soprattutto gli imprenditori del nord, ma anche quelli del nord est.
Abbiamo bisogno, in questo Paese, di una grande riforma economica, che tenga insieme quattro elementi - che "devono" stare insieme - che fino ad ora sono andati ognuno per conto proprio, determinando uno dei fattori fondamentali dello sperpero di spesa pubblica e di non funzionamento dei servizi.
Quattro elementi che per brevità elenco per titoli: il fisco, il costo del lavoro, i salari e lo Stato sociale; questi elementi devono andare avanti di pari passo, in una riforma che è il fondamento di una possibilità di rilancio e di rinnovamento dello sviluppo e dello stesso Stato sociale nel nostro Paese.
Altra questione sulla quale voglio portare l'osservazione ed eventuali considerazioni del Consiglio è interna al nord. C'è grande diversità tra Regioni e, nelle singole Regioni, tra grandi città, capoluoghi e periferie lo si è visto anche con il voto, forse anche perché la Lega, come mi pare inconfutabile, non ha dato grandi prove di capacità e di buona amministrazione nelle grandi città.
Il collega Chiezzi nel suo intervento faceva riferimento a Maroni Ministro degli Interni quando si trattò di affrontare la questione "alluvione". Con l'allora Presidente Brizio abbiamo dovuto presidiare l'anticamera del Presidente del Consiglio e del Ministro degli Interni affinché la Regione, i Comuni e le Province potessero svolgere un ruolo che non si intendeva assolutamente dare loro, ma che si voleva negare.
Vorrei ricordare che neanche il Sindaco di Alessandria diede, in quell'occasione, grandi prove di capacità di intervento relativamente agli eventi drammatici che accaddero.
Probabilmente, la questione è un po' più complessa; non è soltanto fatta di proclami, di facilità di "cattura" di un voto emotivo ed esasperato nei confronti di uno Stato che io stesso, nella lettera inviata al Presidente del Consiglio regionale, definisco burocratico ed oppressivo.
C'è un altro dato del quale tenere conto: la diversità dei modelli economici e produttivi tra le diverse Regioni. E' sicuro che il modello produttivo del Piemonte è assai diverso da quello del Veneto, da quello del nord-est, da quello dell'Emilia. Siamo di fronte ad una struttura produttiva di piccola e media impresa; siamo di fronte ad uno sviluppo frutto soprattutto di una sommatoria di sviluppi locali, conflittuali fra loro. Il giorno che si "scoperchia la pentola", il giorno in cui arriva la minima crisi, si rischiano fenomeni rissosi, frutto di localismi all'interno delle stesse Province e Regioni.
Di fronte a tali dati reali, inconfutabili, la secessione non è un affare; anche se facciamo considerazioni puramente economiche, la secessione non è un affare, ma una prospettiva, al contrario, densa di nubi nere, generatrice di conflitti.
Vedete, colleghi, c'è una precisa storia politico-sociale che ha contraddistinto queste zone; le zone in cui la Lega riceve, oggi, maggior numero di consensi - Gipo prima faceva riferimento agli studi di Diamante che personalmente condivido ed apprezzo: sono studi basati su dati reali sono le stesse in cui la DC in passato contava il 60% dei voti. La DC garantiva, essendo partito-stato, quanto voi oggi chiedete con la secessione. La DC non c'è più, le risorse non ci sono più: si è rotto quell'accordo tacito fatto di consensi in cambio di possibilità di evasione fiscale, grande flessibilità del lavoro - sino ad arrivare al lavoro nero e tanti, tanti soldi. In quelle zone, non al sud! Nel Veneto, nel Cuneese.
Cuneo: altro che provincia dimenticata! Provincia che ha vissuto anni in cui c'era un partito - a livello locale amministrava bene: lo riconosco che aveva tante e tante risorse, derivanti dalla sua stessa forza. Oggi quella forza non c'è più: è questo patto che si è rotto; patto che non si ricostruisce con i proclami, che non si ricostruisce nelle condizioni attuali, nelle quali le risorse sono sempre più scarse. La spesa pubblica va riqualificata, il rapporto è con l'Europa: le proposte devono essere di riforma istituzionale e di riforma economica.
Capisco perché Bossi ha alzato il tiro immediatamente dopo le elezioni.
Bossi, la Lega, hanno ottenuto un grande successo, è innegabile, ma non nelle grandi città. E' difficile governare i territori senza il consenso dei capoluoghi, delle grandi città: Torino, Milano, Venezia.
Inaspettatamente, invece che con un pareggio è finita con una vittoria.
Vittoria che dà la prospettiva reale al Paese di un governo stabile, che possa durare cinque anni: forse, per la prima volta dopo anni e anni, una legislatura nasce con la possibilità di durare fino al termine del mandato.
Il nascente Governo ha, tra le sue priorità - iscritto nel programma dell'Ulivo - la riforma istituzionale ed il federalismo, fiscale e politico.
Chiedo dunque a tutti: confrontiamoci su queste tematiche. La condizione, però - voglio essere molto chiaro - è che la Lega cambi le premesse; non siamo disponibili - lo diceva ieri il mio compagno Chiamparino - a rincorrere lepri imprendibili. Le lepri imprendibili non si rincorrono: si ignorano. Non credo sia interesse di nessuno, a partire dalla Lega, essere ignorati. Potrebbe forse essere interesse del "partito del capo", ma non credo che questo risponda agli interessi degli elettori e dei cittadini del nord.
Noi non proponiamo la costruzione di un asse anti-Lega; al contrario siamo per misurarci con tutti, compresa la Lega, sulle premesse che sottolineavo in precedenza, ovviamente, non su quelle del gruppo dirigente della Lega.
Noi siamo, quindi, per una riforma federale, basata sul principio di sussidiarietà e di responsabilità, per il capovolgimento dei criteri nell'attuazione dell'art. 117 della Costituzione. Siamo per la soggettività delle Regioni nel rapporto con l'Unione europea, siamo per un federalismo fiscale che significa un patto tra contraenti uguale, cioè tra Stato Regioni ed Enti locali; siamo per l'istituzione della Camera delle Regioni.
Questi sono i capisaldi della nostra proposta di riforma federalista dello Stato.
Siamo, cioè, per ricostruire - e su questo siamo disponibili al confronto con tutti - un rinnovato patto civile, sociale e solidale tra cittadini Stato ed istituzioni locali. Questo è l'obiettivo politico, di riforma istituzionale ed economica che vogliamo realizzare.
In questo quadro, anche l'autoriforma regionale, alla quale qui è stato fatto qualche accenno anche dal Consigliere Riggio nel suo intervento di questa mattina, deve essere uno degli elementi e degli argomenti forti, ma soprattutto un campo di prova che, al momento in cui insedieremo la Commissione per la revisione dello Statuto, affronteremo in termini di autoriforma della Regione, in modo da poter dare un contributo in senso federalista anche nei confronti dello Stato.
Credo che sia possibile anche in questo Consiglio intenderci su queste questioni, sempreché si rinunci a messaggi che diventano davvero pericolosi e che alla fine neanche quella manciata di voti potrà ripagare rispetto alla pericolosità e alla messa in discussione della convivenza civile e democratica che abbiamo in questo Paese e che vogliamo difendere.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Burzi.



BURZI Angelo

Ho scritto degli appunti sul federalismo proprio perché - e lo ha evidenziato l'on. Farassino nel suo intervento - questo vuole essere un contributo ad un dibattito su una questione importante, non certamente un processo a nessuno, tanto meno ad una parte politica, ma proprio per iniziare a riprendere, in una delle sedi competenti, quella della Regione quella che viene normalmente chiamata, anche se probabilmente così non è la questione federalista.
Il grande filosofo tedesco Immanuel Kant, in quello che viene unanimemente considerato il suo migliore scritto filosofico-giuridico, Zum Ewigen Frieden ("Per la pace perpetua", un singolare libretto dal titolo ambizioso), già due secoli fa - era il 1795 - indicava con estrema lucidità e straordinaria visione prospettica quali fossero i tre presupposti fondamentali per tentare di realizzare la pace perpetua.
Il primo presupposto, attraverso cui tendere alla realizzazione della pace perpetua, è un presupposto che si potrebbe definire di natura "giuspubblicistica": la costituzione di ogni Stato deve essere di tipo repubblicano. Un altro è un presupposto "cosmopolitico", ovvero va garantito il diritto di ospitalità reciproca fra gli Stati, con rigorosa proibizione del colonialismo. Ed infine c'è un presupposto "internazionalistico" fondamentale, ovvero l'edificazione di un'unione federale di Stati.
Spinelli, ancora nel 1953, diceva: "O l'Europa sarà federale, oppure non sarà", quindi il tema del federalismo, come punto di forza di unione di Stati, è certamente un tema ormai consolidato in chi di federalismo, almeno a livello culturale, si occupa.
Quella a cui si rivolge Kant è un'Europa che a fine '700 si trovava sospesa fra le paure suscitate dalla Grande Rivoluzione e l'imminente epopea militare di Napoleone. A questo continente Kant si rivolgeva affermando che, per garantire la pace perpetua, la costituzione di ogni Stato doveva essere repubblicana, perché essa è fondata su tre principi: la libertà dei membri di una società (in quanto uomini), l'indipendenza di tutti da una legislazione comune (in quanto sudditi), l'uguaglianza di tutti (in quanto cittadini).
Kant spiega che la natura repubblicana della costituzione statale è il principio della separazione del potere esecutivo (il governo) dal potere legislativo. Viceversa, il dispotismo è il principio dell'arbitraria esecuzione, da parte del sovrano, delle leggi che esso stesso ha emanato.
Il "repubblicanesimo", dunque, coincide con lo Stato di diritto: gli elementi che lo caratterizzano sono la libertà, l'uguaglianza davanti alla legge, la separazione dei poteri.
Kant sottolinea come la pace non possa essere garantita se in Europa prosperano Stati dispotici. Ed il collegamento kantiano fra Stato di diritto ed attuazione della pace è apparso in tutta la sua attualità all'indomani della caduta del Muro di Berlino. L'equilibrio mondiale (e dell'Europa in particolare), che si reggeva sulla divisione in blocchi contrapposti, era reso precario soprattutto dalla presenza di una serie di Stati caratterizzati da una forma politica dispotica. La caduta del comunismo rendeva possibile quella federazione di Stati auspicata da Kant a garanzia della pace e che coincide con il principio della "casa comune europea" di cui parlava Gorbaciov.
Se nuove terribili guerre locali sono scoppiate proprio sul suolo europeo, ciò è stato causato sia da una recrudescenza di nazionalismo, sia anche dal sostanziale permanere delle vecchie strutture dispotiche del comunismo: è ciò che si è manifestato nella ex Jugoslavia. Ed è proprio qui che si palesa ancora l'importanza di una federazione di Stati: una federazione che dovrebbe avere anche la funzione di superamento dei divieti di ingerenza e di intervento, per fermare gli aggressori ed assicurare la pace.
Come sostenuto dallo stesso Kant, è bene rammentare che il vero federalismo - dal latino foedus, cioè alleanza, patto - è unione e non scissione o divisione. E' pace e non guerra, come invece vorrebbero far credere alcuni suoi odierni, incolti sostenitori. Quella federazione di Stati immaginata da Kant è un'unione per la pace e per le libertà.
Da qui si dovrebbe partire per affrontare con serietà di argomenti - e con chiarezza di obiettivi - un dibattito approfondito sul tema del federalismo, specie dopo le sollecitazioni offerteci dalla cronaca degli ultimi giorni. Ovvero: qual è l'obiettivo che ci poniamo? La discussione di tesi, come quelle secessionistiche, bollabili tout court come farneticanti? Oppure quella di ricercare, se non la pace perpetua - da non confondersi con quella eterna, dei cimiteri - almeno una condizione di benessere e di sviluppo generalizzato per un territorio, per le genti che lo popolano, per le future generazioni che lo abiteranno? Che cosa intendiamo fare per rispondere ad una diffusa richiesta di libertà, di sviluppo e di autogoverno (ed anche, auspicabilmente, di buon governo)? Perché è fuori di dubbio che ci troviamo di fronte ad esigenze profondamente sentite in gran parte dalla popolazione italiana e piemontese. Winston Churchill sosteneva che "la critica è come il dolore: se c'è, vuol dire che qualcosa non va". E dunque l'attacco imperioso al centralismo onnivoro dello Stato italiano ha un'indubbia base di fondatezza. Ma attenzione a non correre il rischio di proporre ricette sbagliate a giuste esigenze. Ovvero: una politica seria non si pianifica in base agli umori della piazza o agli schiamazzi di un Masaniello della Padania, ma piuttosto sulla base di un disegno strategico di benessere e di buongoverno.
"Gli americani sono quelli che sono, ma sono gli unici americani che abbiamo", ha sostenuto in una battuta, passata alla storia della diplomazia mondiale, il politico tedesco Helmut Schmidt.
Lo stesso principio si potrebbe applicare a chi liquida con sufficienza e derisioni le "folgorazioni" dei dirigenti della Lega. Perché se è pur vero che non meritano troppa attenzione certe dichiarazioni farneticanti resta però il dato di fatto: almeno un italiano su quattro, nel nord Italia, ha fornito il proprio consenso elettorale ad una forza che metabolizza forme di indipendentismo regionalistico.
Va detto però che al malessere sociale, all'ostilità verso la cosiddetta "Roma ladrona", all'avversione verso i giochi di un Palazzo "spendaccione", concorrono anche spettacoli non proprio edificanti per la Seconda Repubblica. Che dire, ad esempio, di uno Stato in cui si accetta vent'anni dopo Ustica, che su una vicenda tanto oscura e drammatica si possa inscenare una polemica tanto inopportuna come quella innescata dall'attuale Ministro della Difesa, il generale Corcione (cfr. venerdì del 10 maggio scorso), che si dice semplicemente deluso dal fatto che dalla NATO non arrivino le giuste spiegazioni? E che dire ancora della valutazione dell'etica pubblica di una classe politica che blandisce un ex magistrato di aver ricevuto benefici - sia in denaro (a tasso zero) e sia in natura (auto di grossa cilindrata) - da un amico inquisito? Una classe politica che offre al medesimo ex magistrato un ruolo di rilievo nella compagine di governo come quello di Ministro ai Lavori Pubblici? Ma non è soltanto l'elettorato leghista a manifestare forti dosi di insofferenza nei confronti della pubblica amministrazione. Gran parte del Paese si lamenta, da anni, dell'esosità del prelievo fiscale (al quale non fa riscontro un adeguato ritorno in termini di qualità dei servizi) così come di quell'abusivismo che, in barba a qualunque azione preventiva e di controllo, prospera indisturbato sottocasa. E nessuno, anche in quest'aula può fare a meno di rilevare un oggettivo stato di degrado assoluto nella società. Un degrado al quale lo Stato sembra sordo ed al quale la classe politica - specie quella di ieri - non ha saputo fornire risposte appropriate.
Ciò che dobbiamo fare è tentare di dare risposte. Mentre ciò che dobbiamo evitare è innescare polemiche. Non servono le posizioni di chiusura: lasciamo volentieri al neopresidente della Camera, il magistrato Luciano Violante (ed al governo di cui egli fa parte), il compito di esercitare un'azione coercitiva nei confronti di un'istanza sociale estremamente evidente.
Su un tema così importante come quello del federalismo lanceremo proposte adeguate, che formuleremo come maggioranza politica di governo regionale nel corso di un convegno di imminente realizzazione e, come forza politica, in occasione del convegno dell'1 giugno prossimo, quando il nostro Movimento (il governo del Polo delle Regioni italiane), chiamando a raccolta a Milano i Gruppi consiliari del nord Italia, si interrogherà proprio sul tema del federalismo.
In questa sede dobbiamo dare voce a quelle istanze di maggiore autonomia che crescono dal territorio e che paiono l'unica via di uscita da un centralismo vessatorio, inconcludente e nocivo.
Se a tali richieste non sapremo fornire risposte adeguate, allora potremmo trovarci di fronte ad un fenomeno che potrebbe davvero caratterizzarsi per un suo esplicitarsi in forme nient'affatto pacifiche ed indolori.
Ma occorre ancora chiedersi quale sia l'oggetto del contendere. In altri termini, stiamo parlando di federalismo o di decentramento? In questo senso, credo che l'intervento del Consigliere Chiezzi sia illuminante. Non si può equivocare sui due termini. Quando i federalisti nostrani si richiamano ai modelli della Svizzera e degli Stati Uniti - e credono di poterli tradurre in italiano - dimenticano un fatto storico: che in Svizzera sono stati i Cantoni - e in America le Contee - a fare lo Stato tenendolo sotto loro tutela. In Italia sarebbe lo Stato a fare le Regioni.
E questo non è federalismo: si chiama decentramento. Quando è uno Stato a concedere autonomia - in primis impositiva - ad una o più porzioni del proprio territorio, questo processo si definisce decentramento. E allora che cosa occorre al nostro Paese ed alle nostre Regioni? L'appropriazione sic et simpliciter, di un modello federalista? Oppure un patto federativo che parta da un uso intelligente di un forte processo di decentramento anche sulla scorta delle possibilità tuttora offerte (e mai rese operative) dalla Carta Costituzionale? In Piemonte sappiamo bene che, in un'area industriale depressa, la ripresa non può avvenire soltanto su basi di slancio autoctono. Soltanto attraverso la creazione di una rete di servizi interconnessi su reti transfrontaliere è possibile stimolare la ripresa di un benefico rapporto domanda-offerta. Occorre una rete di servizi che sappia rispondere alla globalizzazione dei mercati e dei processi e che, proprio per tale ragione non può avvalersi soltanto delle risorse raccolte in loco.
In altre parole, se per la realizzazione dell'Alta Velocità, strumento indispensabile per il rilancio dell'offerta industriale piemontese occorrono 40 mila miliardi, chi potrebbe sostenere i costi dell'operazione? Una singola regione? Oppure una macro-regione padana che, seppure "attrezzata", farebbe comunque fatica a raccogliere una somma di tale entità? Certamente è indispensabile l'intervento di uno Stato forte e dotato di mezzi. A patto però, non c'è dubbio, che siano le istituzioni locali a definire i contorni di un'opera così strategica, senza interferenze centrali di sorta.
L'obiettivo, si diceva all'inizio, è quello di tendere alla realizzazione della pace perpetua. Ne abbiamo bisogno tutti, Piemonte in testa. Ed il decentramento forte rappresenta uno strumento imprescindibile in questa tensione verso il "bene".
Chiudo l'intervento con un ultimo commento sulla Padania. Io credo che la Padania ci sia, non certo come etnia perché non è esistita (credo che nemmeno gli amici leghisti lo sostengano), ma esiste una chiara volontà politica già espressa, già operante di quella che è la volontà della gente padana. Sono le tre Regioni del nord che ormai da un anno hanno un governo che, non da ora, contiene al proprio interno, nei propri programmi, forti componenti (trattasi di tradurle in essere) di quello che la gente padana vuole: una cultura liberale, un sano liberismo in economia, un'attenzione verso un presidenzialismo governativo. Credo che il realizzare quanto qui in Regione abbiamo promesso (nelle tre Regioni del nord gli altri Presidenti credo che con la stessa logica e identico impegno abbiano contribuito a dire un anno fa) sia un modo - non l'unico - per contribuire a far sì che la gente padana, questa Padania, trovi una sua risposta.
Altri due sono i momenti. Uno l'ha citato il Consigliere Marengo: è indubbio che la revisione dello Statuto possa e debba diventare un momento di confronto, non solo di parti, nel festeggiare i venticinque anni della Regione, ma anche nel rivederne le regole, in modo che esse diventino più operative, più utili alla nostra gente.
Infine, abbiamo fatto molte discussioni sull'utilizzo di consulenze più o meno adeguate (non solo in questa istituzione, ma anche in Comune, in Provincia); a questo proposito, sarebbe il caso che il Consiglio regionale (o la Giunta) decidesse seriamente, magari anche nell'ambito degli Stati Generali, di avvicinare e consultare costituzionalisti e giuristi esperti che, da subito (ed è richiamato nell'ultimo punto dell'ordine del giorno steso dal collega Ghiglia), possano dare contributi operativi e proposte di legge che agiscano in senso federalista o di decentramento o di regionalismo, ma in ogni caso iniziando a rispondere a quelle che certamente sono le istanze della gente padana.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta, Ghigo.



GHIGO Enzo, Presidente della Giunta regionale

Credo che prima di tutto vada sottolineato - anche se nell'ambito della mattinata è stato a sua volta sottolineato con una presenza in certi momenti non completa - il grande livello politico del dibattito soprattutto va sottolineato il modo corretto, e per certi versi propositivo, con il quale questo dibattito si è svolto, cosa non nuova in questo Consiglio regionale. Personalmente ritengo che questo rappresenti un aspetto importante, perché a differenza di altre assemblee - lo posso dire essendo io parte integrante di questo Consiglio regionale, anche con un po' d'orgoglio - in questo Consiglio regionale tutti gli argomenti e tutti i dibattiti, anche quelli spinosi e con forti contrapposizioni, si svolgono sempre in un clima molto sereno e molto corretto, e questo è un orgoglio che credo di poter estendere a tutti voi.
Da questo dibattito sono sicuramente emerse in maniera chiara ed esplicita le posizioni delle singole forze politiche che compongono questo Consiglio regionale sul tema del federalismo, diventato così grande e prioritario - bisogna ammetterlo - dopo l'inaspettato successo alle elezioni politiche dello scorso aprile da parte della Lega. Prima il federalismo era sicuramente un tema che tutte le forze politiche avevano inserito nei loro programmi di governo, ma non era così urgente ed opprimente come adesso è diventato.
Anche per fare giusta memoria a chi in passato si è impegnato su questo argomento, credo che il mio compito sia di uscire da questa logica, anche perché rappresento comunque un esecutivo, cercando di tracciare il percorso che le Regioni e la Regione Piemonte hanno fatto nei confronti di questo tema, riprendendo l'invito che la Consigliera Spagnuolo ha fatto nel tentare di delineare quale potrebbe essere un corretto percorso per dare delle ormai ineluttabili risposte su questo grande tema, che poi si pu chiamare federalismo, si può chiamare decentramento dello Stato, ma che comunque è un tema che va assolutamente affrontato e al quale vanno date delle soluzioni.
La Conferenza dei Presidenti delle Regioni italiane, che il 10 ottobre (se non vado errato) a Caprarola ha votato all'unanimità, ha presentato alle Autorità (nel caso specifico, al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio) una proposta di federalismo, di attuazione di una riforma dello Stato. In questo documento si facevano però due fondamentali distinzioni che credo valga la pena riprendere: una proposta a Costituzione vigente e una proposta di riforma costituzionale.
Questa distinzione obiettivamente non l'ho sentita; ammetto di non aver ascoltato - e me ne scuso - tutti gli interventi, ma ho l'impressione che questa distinzione, nell'ambito del dibattito odierno, non sia stata fatta.
Come dite? E' stata fatta in parte? Bene, se è stata fatta, la riprendo.
Perché la riprendo? Perché è un aspetto fondamentale, in quanto i tempi di attuazione cambiano sostanzialmente. Voi potete ben immaginare che mettere in piedi una riforma istituzionale richiede dei tempi sicuramente non prevedibili; attuare invece quello che la Costituzione, e in maniera specifica gli artt. 117 e 119, già sostiene, richiede solo la volontà di farlo. Ritengo che questa distinzione sia importante perché noi ci troviamo di fronte ad un inizio di riforma, che non è una riforma, è semplicemente l'attuazione di quello che la Costituzione già prevede.
Ci troviamo di fronte a questo fatto che può di per sé già rappresentare una prima risposta a quelle che sono le fortissime sollecitazioni che provengono da alcune parti d'Italia per quanto riguarda l'art. 119 della Costituzione, a proposito della possibilità di permettere alle Regioni un'autonomia di tipo fiscale e, per quanto riguarda invece l'art. 117, di portare a termine quella attribuzione di deleghe che nel corso di questi anni non sono mai state date alle Regioni.
Insieme a questi due aspetti, il documento di Caprarola sottolinea altre esigenze, come l'attuazione, come ho già detto, dell'art. 117 con il trasferimento delle funzioni. Un'altra richiesta che noi poniamo come Presidenti delle Regioni è la soppressione dei Comitati di Controllo (del resto anche nell'incontro di ieri l'on. Novelli, nel suo preciso ed attento elenco di proposte e di soluzioni, si è espresso in tal senso); abbiamo poi la questione della maggiore rappresentatività delle Regioni in ambito europeo; i processi di riforma degli apparati burocratici, altro aspetto sul quale dopo ritornerò; la riorganizzazione della Conferenza Stato Regioni; il trasferimento dell'amministrazione statale periferica. Per quanto riguarda il tema della comunicazione c'è il problema delle redazioni regionali del TG3 che di fatto non sono mai diventate delle redazioni regionali, ma sono rimaste un ibrido, una situazione che mai si è evoluta in funzione completamente regionale e il più delle volte hanno curato in maniera particolare l'aspetto del capoluogo della Regione e poco invece gli aspetti legati alle altre Province.
Questi sono elementi che all'unanimità - lo voglio sottolineare - tutti i Presidenti delle Regioni, sia quelli delle Regioni del nord sia quelli delle Regioni del sud, Presidenti del Polo e Presidenti dell'Ulivo, hanno sottoscritto e sottoposto agli organi dello Stato. Naturalmente questo è avvenuto il 10/10/1995; la discussione - devo dire onestamente - non è sbocciata, non ha portato ad alcuna forma di approfondimento, mentre noi e qui rispondo in parte alle considerazioni che ha fatto il Consigliere Riggio - abbiamo invece intrapreso un percorso, perché ci rendiamo conto che una riforma di organizzazione dello Stato, con il via ad un decentramento delle funzioni, non può certo essere fatta sopra la testa di Province e Comuni da parte delle Regioni.
Infatti, il processo di decentramento è come una matrioska, come una scatola cinese nel senso che va concordata, stabilita, organizzata attraverso i quattro enti che partecipano a questo tipo di riforma. Allora siccome questa sensibilità è emersa nell'ambito del dibattito dei Presidenti delle Regioni, noi abbiamo subito istituito un tavolo di consultazione con i rappresentanti dell'ANCI ed i rappresentanti delle Province e abbiamo formulato, attraverso un convegno che si è svolto il 10/3/1996 a Firenze, un documento comune di proposta di riforma dell'organizzazione dello Stato.
Questo credo che sia già di per sé un processo encomiabile, perché la proposta che noi in questo momento stiamo facendo allo Stato è una proposta che comunque vede gli Enti locali compatti, naturalmente con sfumature e diverse posizioni su certi temi, ma la proposta per certi versi posso dire è organica, perché è innegabile che se una proposta di riforma venisse solo ed esclusivamente dalle Regioni potrebbe obiettivamente rappresentare un elemento di disturbo, di poca comprensione e di poca applicabilità.
Altro aspetto sul quale voglio richiamare la vostra attenzione è che noi queste riforme le vogliamo, però non dobbiamo dimenticare che bisogna applicarle, e questo è un aspetto che preoccupa tanto quanto quello paventato di secessione o di altro. Tra l'altro, le Regioni si erano già impegnate ad applicare la legge n. 142, che è insita nell'attuale legislazione, ma incontra un momento di empasse in relazione a quello che sarà lo sviluppo di riforma per quanto concerne gli Enti locali e il decentramento che lo Stato dovrà intraprendere; nel senso che ormai questo processo è ineluttabile e deve assolutamente attuarsi.
Lo Stato, fortunatamente devo dire - questo è un merito da riconoscere agli Enti locali - si trova degli interlocutori compatti che fanno delle proposte comuni e che hanno già discusso degli aspetti attuativi di un'eventuale riforma. Credo che questo, onestamente, sia un grosso elemento che può rappresentare un passo avanti. E' un vantaggio per questo Governo che si è impegnato ad assumere queste decisioni.
Mi permetto di fare una piccola sottolineatura. Il premier indicato on. Prodi, in questi giorni ha usato un'espressione che mi permetto di definire non eccessivamente felice, perché in sostanza ha detto: "Il problema del nord è la nostra prima priorità". Non so se ho usato esattamente le stesse parole, ma il senso della sua affermazione è stato questo. Mi permetto di dire che è un'espressione un po' infelice nel senso che qui, com'è stato detto in alcuni interventi, non esiste né un problema del nord né un problema del sud né un problema del centro, esiste un problema di riorganizzazione dello Stato.
E queste sono le risposte che questo Governo dovrà dare, che sono risposte - in questo sono d'accordo - che taciteranno quel malcontento che obiettivamente la Lega cavalca, perché questo malcontento c'è, è innegabile, non possiamo dire che non c'è, c'è! La lega tenta di dare delle risposte attraverso questa ipotetica secessione, che forse è più paventata che sostanziale, però questo malcontento esiste. Non si tratta di dividere di nuovo la nostra nazione con delle priorità e dei pensieri particolari al nord rispetto al sud; si tratta di mettere mano a quella che ormai io ritengo una cosa assolutamente necessaria: una riforma organica del nostro ordinamento.
Questo è il vero problema, perché noi viviamo in una società che si è evoluta in senso geometrico - passatemi l'espressione - e abbiamo invece una struttura dello Stato che si è addirittura involuta e che si è, se volete, attorcigliata intorno a se stessa, che si è macchiata di malcostume e di espressioni non particolarmente limpide dal punto di vista etico (tutti siamo ancora freschi e reduci da un periodo piuttosto buio del mondo dell'Amministrazione). Di conseguenza bisogna dare delle risposte che vanno, secondo me, nella direzione di una riorganizzazione coerente e seria del nostro Stato.
Le risposte di efficienza e di trasparenza, secondo la mia opinione non possono che essere fornite attraverso una riorganizzazione. Torno a ripetere: Regioni, Province e Comuni hanno già fatto una proposta; speriamo che questo Governo ne prenda atto e che ci permetta di aprire un tavolo di consultazioni nel quale si possano trasferire le tematiche che noi riteniamo assolutamente necessarie. Perché, vedete, succedono delle cose strane: il Governo centrale fa un accordo con i Sindacati e blocca le tariffe degli autotrasporti a livello nazionale, poi non dà i trasferimenti alle Regioni, le quali sono obbligate, per mantenere in vita i bilanci delle aziende di trasporto, ad aumentare le tariffe. Si tratta di un gioco chiaramente perverso, al quale noi come Regione non possiamo sottostare.
Un altro rischio che corriamo è che ci vengano trasferite delle deleghe, ma che non ci vengano dati i soldi per sostenerle - questa sarebbe la cosa peggiore - oppure che venga decentrato il sistema di imposizione fiscale in modo da togliere allo Stato centrale l'imbarazzo di inserire nuove aliquote e nuove tasse e di trasferire invece questo grande piacere alle Regioni, le quali, per riduzione dei loro trasferimenti, a loro volta si troverebbero obbligate ad inserire queste nuove aliquote.
Questi sono gli aspetti che avevo piacere di sottolineare per fotografare lo stato attuale del processo di avvicinamento e di proposta nei confronti di questa riforma.
Per quanto concerne invece la riforma costituzionale, abbiamo proposto la Camera delle Autonomie locali, la soppressione di una delle due Camere e la trasformazione del Senato; riteniamo che il numero dei deputati debba essere ridotto e che invece sia istituita, a differenza dell'attuale rapporto tra Enti locali e Stato, che avviene solo attraverso la Conferenza Stato-Regioni, una Camera nella quale gli Enti locali abbiano la possibilità di interagire con lo Stato. Però questo aspetto della riforma costituzionale sicuramente è un processo molto più lungo.
Come ho già sottolineato ieri, riprendendo l'intervento dell'on.
Morgando, e come ha ripetuto oggi il Consigliere Marengo, ritengo che nell'ambito di quello che sta succedendo al nord, o Padania - come qualcuno la vuole chiamare - il Piemonte sia qualcosa di diverso, perch obiettivamente ha subìto o ha accettato un fenomeno migratorio, negli anni '60 e '70, piuttosto imponente. Perciò la composizione demografica della popolazione del Piemonte - anch'io dico che comunque sono tutti cittadini piemontesi - è molto variegata e differenziata.
Inoltre continuo a sostenere che in Piemonte c'è una cultura e un senso dello Stato che obiettivamente in altre Regioni non c'è e che viene da quella che è la nostra cultura. Del resto, nel bene e nel male, l'Italia l'abbiamo già unificata una volta e non saremo certo noi piemontesi a tentare di dividerla oggi. Anzi, ritengo che - è l'appello che ho rivolto ieri - il compito ineludibile dei parlamentari, che il popolo piemontese ha deciso di eleggere e dai quali farsi rappresentare presso l'assemblea parlamentare romana, sarà quello di interpretare lo spirito piemontese e tentare di dare delle risposte ad un malessere che io onestamente sento che c'è e al quale bisogna rispondere.
Il modo per dare una risposta, secondo la mia opinione, è quello di dare il via all'attuazione della Costituzione vigente, oppure una più radicale trasformazione attraverso una modifica della stessa. Mi auguro che questo sia il primo atto che il Governo, che tra pochi giorni sarà insediato, assumerà, per il bene del Piemonte e di tutta la Nazione.



PRESIDENTE

Con l'intervento del Presidente Ghigo termina il dibattito generale.
E' stata chiesta la sospensione di alcuni minuti per organizzare i lavori in merito all'esame degli ordini del giorno presentati.
La seduta è sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 16,30 riprende alle ore 17,20)



PRESIDENTE

Mi scuso se non ho potuto seguire il dibattito fino alle ultime battute. So che è stato un dibattito di alto livello, per cui sono lieto che il Consiglio abbia dato dimostrazione di un approfondimento e di una riflessione altamente significativi.
Possiamo dunque procedere alla votazione degli ordini del giorno.
Esaminiamo l'ordine del giorno n. 216 presentato dai Consiglieri Chiezzi Papandrea, Moro e Simonetti.
L'ordine del giorno è già stato illustrato dal Consigliere Chiezzi nel corso del suo intervento.
Non essendovi richieste di parola, pongo in votazione tale ordine del giorno, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte di fronte alle recenti dichiarazioni a favore dell'indipendenza e della secessione del nord Italia dalla Repubblica italiana rilasciate dal Segretario della Lega Nord e da altri esponenti di spicco di quel partito, che non possono essere considerate solo delle esternazioni estemporanee ma possono prefigurare l'inizio di tragedie, come è dimostrato dalla storia nel ribadire la fedeltà al principio sancito dalla Carta Costituzionale che la Repubblica italiana è una e indivisibile esprime la più ferma condanna verso singoli e forze politiche che attentano all'unità dell'Italia".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato con 41 voti favorevoli e 3 contrari.
Passiamo all'ordine del giorno n. 217 presentato dai Consiglieri Ghiglia Minervini, Salerno, Mancuso, Griffini, Casoni, Montabone, Burzi, Deorsola Scanderebech, Galli, Toselli e Vaglio.
La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Grazie, Presidente. Intervengo per chiedere ai colleghi se acconsentono a votare l'ordine del giorno per parti separate. In tal caso noi chiederemmo di votare separatamente la dizione "il Consiglio regionale del Piemonte condanna e respinge con forza qualsiasi atteggiamento tendente a mettere in discussione l'unità nazionale".
Noi voteremmo a favore di questa parte; sulla parte rimanente non partecipiamo al voto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cavaliere.



CAVALIERE Pasquale

Vorrei sapere dal collega Ghiglia se la parte sull'Alto Adige rimane.
Su questo punto, pur comprendendo le posizioni, mi asterrò perché ritengo che la questione dell'Alto Adige, come quella delle minoranze etniche e linguistiche, sia una questione molto complessa che non può essere ridotta in questi termini, ma meriterebbe degli approfondimenti sul tema del "vero federalismo".
Rispetto a questo punto non intendo fare un altro intervento perch credo che abbiamo approfondito a dovere la materia, anche se alcune questioni andrebbero ancora valutate. Mi asterrò sul documento.



PRESIDENTE

Non essendovi altre richieste di parola, pongo in votazione tale ordine del giorno per parti separate.
I primi due commi recitano: "Il Consiglio regionale del Piemonte considerate le gravi e reiterate dichiarazioni dell'on. Umberto Bossi e di altri deputati leghisti, con le quali si auspica la secessione di un'immaginaria e fantastica Padania dall'Italia considerate inoltre le volgari e continue offese proferite dai succitati parlamentari nei confronti di gran parte dei nostri connazionali;".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
I primi due commi sono approvati con 41 voti favorevoli e 3 contrari.
Pongo in votazione il terzo comma dell'ordine del giorno, il cui testo recita: "considerato infine che gli atteggiamenti apparentemente folcloristici rappresentati dall'istituzione di un sedicente parlamento e governo del nord, oltre che dalla formazione di un gruppo di 'camicie verdi', non possono e non debbono essere sottovalutati, perché ancora vivo è il terrore per le bombe antitaliane che anni fa hanno insanguinato l'Alto Adige;".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
Il terzo comma è approvato con 37 voti favorevoli, 3 contrari e 1 astensione (non hanno partecipato alla votazione 4 Consiglieri).
Pongo in votazione il quarto e quinto comma dell'ordine del giorno, il cui testo recita: "preso atto altresì che da parte degli elettori leghisti non vi è alcuna velleità separatista, ma un forte richiamo alla riorganizzazione dello Stato in senso federale preso atto inoltre che una maggiore autonomia regionale e un serio e reale decentramento di competenze finalizzate alla realizzazione di un 'Federalismo solidale' rappresentano un'esigenza non più prorogabile per una migliore efficienza della Pubblica Amministrazione e in generale del rapporto Stato-cittadini;".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
Il quarto e quinto comma sono approvati con 38 voti favorevoli, 3 contrari e 1 astensione (non hanno partecipato alla votazione 4 Consiglieri).
Pongo in votazione il sesto comma dell'ordine del giorno, il cui testo recita: "condanna e respinge con forza qualsivoglia atteggiamento tendente a mettere in discussione l'unità nazionale;".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
Il sesto comma è approvato con 41 voti favorevoli, 3 contrari e 1 astensione.
Pongo in votazione il settimo comma dell'ordine del giorno, il cui testo recita: "si impegna a riproporre la proposta di legge presentata al Parlamento nella scorsa legislatura, previa rielaborazione ed aggiornamento, in relazione all'evoluzione del dibattito federalista in corso".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
Il settimo comma è approvato con 37 voti favorevoli, 3 contrari e 1 astensione (non hanno partecipato alla votazione 4 Consiglieri).
Esaminiamo ora l'ordine del giorno n. 218 presentato dai Consiglieri Marengo, Spagnuolo, Saitta, Cavaliere e Rubatto.
La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Chiediamo alla Presidenza la cortesia di poter votare per parti separate tale ordine del giorno.



PRESIDENTE

Pongo dunque in votazione la prima parte dell'ordine del giorno, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte ritiene non più dilazionabile la riforma federalista dello Stato. Occorrono risposte precise da parte del Governo e del Parlamento alle aspettative dei cittadini in ordine alle autonomie regionali e locali, al federalismo fiscale, alla riforma di uno Stato e di una Pubblica Amministrazione che vengono spesso vissuti come esattori di tasse e protagonisti di un'eccessiva oppressione burocratica.
Così come proposto dalla Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali, si deve rapidamente procedere ad una riforma federalista basata sul principio di sussidiarietà e di responsabilità delle istituzioni a tutti i livelli che si concretizza nella realizzazione dell'autonomia finanziaria per le Regioni, nel rovesciamento dei criteri dell'art. 117 della Costituzione sul decentramento delle funzioni, nel riconoscimento della soggettività delle Regioni per quanto riguarda il rapporto con l'Unione Europea, nella revisione dei meccanismi contributivi sulle leggi regionali, nel federalismo fiscale, nell'istituzione della Camera delle Regioni".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La prima parte dell'ordine del giorno è approvata con 39 voti favorevoli, 3 contrari e 1 astensione (non hanno partecipato alla votazione 4 Consiglieri).
Pongo in votazione la seconda parte dell'ordine del giorno, il cui testo recita: "Nel contempo il Consiglio regionale del Piemonte esprime la sua più netta opposizione a qualunque proposito secessionista considerando questa una risposta avventurista, utilizzata in modo anti riformatore, che rischia di generare spinte irrazionali ed incontrollabili e quindi pericolosa per la convivenza civile e democratica".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La seconda parte è approvata con 44 voti favorevoli e 3 contrari.


Argomento: Questioni internazionali - Sanita': argomenti non sopra specificati

Esame ordine del giorno n. 221 relativo all'incidente nucleare di Chernobyl


PRESIDENTE

Propongo di iscrivere all'o.d.g. l'ordine del giorno n. 221, presentato dai Consiglieri Montabone, Rosso, Burzi, Suino, Marengo, Cavaliere Chiezzi, Bortolin, Spagnuolo, Rubatto, Peano e Minervini.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' iscritto all'unanimità dei 40 Consiglieri presenti.
Non essendovi richieste di parola, pongo in votazione tale ordine del giorno, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte considerato che: il 26/4/1996 si è celebrato il tragico decennale dell'incidente nucleare di Chernobyl in Bielorussia le situazioni di vita sono ancora tragiche poiché si è avuto il 70% del fall out radioattivo persiste tuttora l'inquinamento radioattivo e su sei bambini che nascono solo uno riesce a sopravvivere 800.000 bambini sono ad altissimo rischio tumorale e leucemico persistendo una radioattività di 40 curie per kmq (1c/kmq è già a rischio), il patrimonio boschivo bielorusso è per il 20% contaminato e 250.000 ettari di terreno agricolo sono incoltivabili sono colpiti da tumore maligno il 10,8% dei bambini tra i 10 e i 14 anni il 14% fra i 5 e i 9 anni, il 15,2% fra 0 e 4 anni i neonati sono affetti da nanismo, ermafroditismo, alterazioni ai genitali, malformazioni agli organi interni, pubertà precoce fino alla comparsa di mestruazioni in bambine di 2 anni la situazione economica è disastrosa e le vittime non fanno rumore.
Preso atto che: la Legambiente Piemonte da giugno a settembre c.a. nell'ambito della campagna nazionale del progetto Chernobyl, ospiterà, con la collaborazione di centinaia di famiglie volontarie, presso la nostra regione circa 650 bambini di età compresa fra i 7 e i 12 anni provenienti dal sud della Bielorussia e dal nord dell'Ucraina, pesantemente contaminate i bambini ospitati sono bambini sani, ma a rischio nutrendosi quotidianamente nella loro terra con cibo contaminato secondo il recente studio dell'ENEA, un mese di ospitalità in un Paese come il nostro e cioè non contaminato e con un'alimentazione priva di radionuclidi permette di far perdere dal 30 al 50% della radioattività assorbita riducendo i rischi di tumore tiroideo, leucemia ed altre patologie collegabili nel precedente anno numerose UU.SS.LL. (es. la deliberazione n. 641 del 23/6/1995 dell'USL n. 8) con proprio atto deliberativo hanno provveduto autonomamente nel contesto attuale le UU.SS.LL. sono dirette da Commissari straordinari e pertanto necessita agli stessi un input formale da parte dell'Assessorato competente si propone che l'Assessore alla sanità della Regione Piemonte inviti formalmente i Commissari straordinari delle UU.SS.LL. piemontesi a consentire l'espletamento del programma sanitario per i bambini di Chernobyl, fornendo le visite pediatriche, dentistiche, oculistiche, l'analisi delle urine, la valutazione della tiroide e presso i centri idoneamente attrezzati il monitoraggio mediante spettometria della contaminazione da cesio relativamente, quest'ultima, perlomeno ad un campione di bambini".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato all'unanimità dei 40 Consiglieri presenti.


Argomento: Informazione

Esame ordine del giorno n. 219 relativo alle tariffe postali


PRESIDENTE

Propongo inoltre di iscrivere all'o.d.g. l'ordine del giorno n. 219 presentato dai Consiglieri Foco, Minervini e Peano.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
E' iscritto all'unanimità dei 40 Consiglieri presenti.
La parola al Consigliere Ghiglia.



GHIGLIA Agostino

Sarò brevissimo.
Ringrazio l'Ufficio di Presidenza di aver presentato questo ordine del giorno, sicuramente importante; vorrei però sottoporre all'attenzione dei colleghi un problema analogo, secondo me altrettanto importante.
A causa della stessa legge, tutti gli organi di comunicazione giornali, periodici, ecc. - dei partiti politici, ovvero associazioni, sono assoggettati a questo nuovo regime tariffario. I nostri giornali regionali cittadini, ecc., vengono quindi assoggettati ad un regime tariffario di 535 lire. Questo significa, a mio modestissimo avviso, soffocare questo tipo di iniziative e di libera circolazione del pensiero dei partiti politici.
Non si tratta di problema di lana caprina, in quanto i partiti politici sono associazioni, e in quanto tali non sono assoggettati alla tenuta di libri fiscali e quant'altro. Se, viceversa, i partiti volessero continuare a spedire i giornali di partito a tariffa agevolata, dovrebbero costituirsi in casa editrice, iscriversi al registro nazionale degli editori, al registro degli editori della Prefettura della Provincia; dovrebbero dunque costituire una s.r.l., con capitale sociale e sarebbero conseguentemente assoggettati a regime fiscale anche i partiti - che, ricordo, sono associazioni.
Vorrei chiedere ai colleghi del Consiglio e al Presidente se non fosse possibile integrare l'ordine del giorno con un riferimento anche alla stampa "di partito", che a mio avviso va tutelata.
Nell'attuale crociata contro la politica, i partiti, i privilegi, si è andati a tagliare "un po' basso", togliendo lo strumento minimale di informazione con i cittadini.



PRESIDENTE

E' pertanto presentato il seguente emendamento: dopo le parole "Enti locali", aggiungere le parole "e dei partiti politici in quanto associazioni, ancorché non editori".
I proponenti accettano tale emendamento.
Non essendovi richieste di parola, pongo in votazione l'ordine del giorno, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte premesso che con deliberazione del Consiglio di amministrazione dell'Ente Poste Italiane n. 14/96 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 77 dell'1/4/1996 sono state stabilite le 'tariffe delle stampe periodiche in abbonamento postale' in vigore dall'1 aprile u.s.
atteso che il suddetto provvedimento risulta emanato ai sensi dell'art. 2 della legge 28/12/1995 n. 549 dato atto che l'interpretazione dell'Ente Poste Italiane relativamente ai commi 26, 27 e 34 della precitata normativa di fatto produce un insostenibile incremento degli oneri per la spedizione in abbonamento postale delle pubblicazioni di informazione istituzionale degli Enti locali, che, al contrario, dovrebbero essere fortemente sostenuti nell'impegno di diffusione delle loro attività dato altresì atto che l'inserimento nella tabella 'C' di cui al provvedimento in oggetto delle pubblicazioni istituzionali degli Enti locali, determina un incremento degli oneri di spedizione che supererebbe addirittura il costo di realizzazione del prodotto editoriale stesso facendosi interprete anche delle numerose istanze pervenute in tal senso da numerosi Enti locali della nostra Regione ritenuto che solo procedendo ad una rapida modifica della deliberazione in oggetto, a prescindere dalla pronuncia di legittimità da parte della Giustizia amministrativa in ordine al provvedimento de quo, si potrà continuare ad assicurare la necessaria diffusione degli organi di informazione degli Enti locali, in ossequio alla tanto auspicata quanto doverosa trasparenza e pubblicità dell'azione amministrativa impegna il Presidente del Consiglio e il Presidente della Giunta regionale: 1) a richiedere al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica un autorevole ed incisivo intervento per una rapida ed inequivoca definizione della vicenda, anche attraverso una modifica legislativa che individui le pubblicazioni istituzionali degli Enti locali e dei partiti politici in quanto associazioni, ancorché non editori, tra quelle assoggettate al regime di cui all'art. 2, comma 27, della legge 28/12/1995 n. 549 2) a trasmettere copia del presente ordine del giorno alla Presidenza della Repubblica, al Governo, ai due rami del Parlamento e ai parlamentari piemontesi per attivare un immediato intervento legislativo volto a soddisfare questa legittima esigenza degli Enti locali, finalizzata alla massima informazione della loro attività istituzionale, in ossequio alla doverosa trasparenza dell'attività amministrativa sancita dalla legge n.
241/90".
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato all'unanimità dei 40 Consiglieri presenti.


Argomento: Celebrazioni Manifestazioni Anniversari Convegni

Esame ordine del giorno n. 211 relativo alla Biennale dei giovani artisti dell'Europa e del Mediterraneo


PRESIDENTE

Esaminiamo ora l'ordine del giorno n. 211 presentato dai Consiglieri Chiezzi, Bortolin, Cotto e Pichetto, di cui al punto 9) all'o.d.g., il cui testo recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte ricordata l'adesione della Regione Piemonte all'ottava edizione della Biennale dei giovani artisti dell'Europa e del Mediterraneo che si svolgerà dal 17 al 23 aprile 1997 ricordato il rilevante contributo offerto dalla Regione Piemonte per il finanziamento dell'iniziativa ritenuto che i benefici in termini di approfondimento e conoscenza delle proposte artistiche e creative, di ricaduta di immagine, di elevazione culturale e di riflessi economici debbano ricadere su molte città della Regione Piemonte a partire da tutti i capoluoghi di Provincia per coinvolgere altre realtà urbane disponibili e significative per la presenza di attività culturali ricordato che il ruolo della Regione Piemonte è rivolto alla valorizzazione dell'insieme della comunità regionale che è caratterizzata da numerose città ritenuto importante ai fini dell'impegno regionale cogliere l'occasione della Biennale per diffondere nel maggior numero di città possibile gli interventi che si realizzano nell'ambito della manifestazione osservato che l'elevato numero di iniziative concentrate in soli sette giorni rischia di impedire la corretta fruizione culturale di tali eventi se realizzati in un solo ambito urbano che rimarrebbe sovraccaricato di esposizioni ed avvenimenti con il rischio di non poter comprendere ed apprezzare le varie proposte culturali ritenuto che l'importanza dell'iniziativa debba trovare forme organizzate che consentano un corretto rapporto tra i giovani artisti e i cittadini, le istituzioni, gli organi culturali e l'informazione impegna la Giunta regionale ad assumere ogni iniziativa affinché la realizzazione della Biennale dei giovani artisti dell'Europa e del Mediterraneo avvenga attraverso la sua diffusione nelle città del Piemonte, ad iniziare dai capoluoghi di Provincia, dei vari eventi costitutivi della manifestazione, quali esposizioni, spettacoli, concerti, proiezioni cinematografiche, sfilate di moda, letture di poesie, interventi metropolitani d'arte e presentazioni gastronomiche, anche al fine di rendere possibile un'ottimale funzione culturale di ogni proposta a valorizzare tale diffusione degli eventi nelle varie città in rapporto all'investimento economico ed organizzativo deciso dal Consiglio regionale ed attuato dalla Giunta regionale".
La parola al Consigliere Miglietti.



MIGLIETTI Franco

Sarò breve. Questo ordine del giorno costringe l'Assessore ad ampliare il panorama organizzativo per quanto riguarda l'intervento; appena avrà la bozza, anche non completa, sarebbe bene sottoporla alla VI Commissione per capire che cosa avverrà e per iniziare un iter di approfondimento. Ci anche perché mi pare che con questo ordine del giorno vi sia un interesse un po' diverso rispetto alla concentrazione di tutta l'attività nella città di Torino o alla programmazione precedente.
Quindi, appena l'Assessore avrà delle idee, sarebbe utile conoscerle anche tramite un'esposizione verbale. Grazie.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Leo.



LEO Giampiero, Assessore alla cultura e istruzione

Desideravo, molto rapidamente, perché i lavori sono stati già intensi e pieni di argomenti, dare due informazioni al Consiglio regionale. Sono due informazioni che mi sembrano preziose ed importanti, e l'intervento del Consigliere Miglietti, che ha sottolineato questo aspetto, le rende necessarie ancora di più.
La prima informazione è che, come ricorderete, avevo portato già da tempo questo argomento in Commissione cultura - e credo di aver fatto bene magari anche annoiandola con troppe comunicazioni. La VI Commissione rispetto a diversi interventi dei Consiglieri, interventi molto importanti e ad una comunicazione del Presidente della Commissione, Chiezzi, mi aveva raccomandato che ci fosse il più ampio coinvolgimento regionale, che il ruolo a livello regionale fosse il più marcato possibile, sia nel senso della diffusione sia nel senso dell'impegno e della rappresentanza.
Da qui è disceso innanzitutto che, per la prima volta da quando si fa una di queste Biennali, che esistono dal 1984, è coinvolta la Regione. E' una piccola cosa, ma visto che l'argomento è stato sollecitato sono felice di dirlo: l'unica Regione d'Italia ad aderire al circuito dei giovani artisti è la Regione Piemonte, che a Palermo è stata citata fra tutte le altre Regioni.
Inoltre tutte le altre Biennali che si sono svolte, allora patrocinate dal Comune di Torino, coinvolgevano soltanto i Comuni capoluogo. Sono felice che sia presente la Consigliera Spagnuolo, con la quale ho seguito queste belle iniziative. Personalmente non ne avevo mai avuto occasione perché in mia rappresentanza alle Biennali partecipavano Angeleri e Gatti.
Quindi, è la prima volta che una Biennale coinvolge una Regione.
Ringrazio il Consiglio regionale per essersi espresso unitariamente a sostegno della Biennale e ringrazio la VI Commissione che ha dato forza a queste argomentazioni.
Questa indicazione mi è arrivata dal Consiglio, mi è arrivata dal Presidente della Giunta, con la raccomandazione che in ogni occasione tutto il Piemonte fosse il più possibile coinvolto. Io l'ho rappresentata ottenendo in primo luogo che l'Assessore della Regione fosse Vicepresidente del Comitato della Biennale; Presidente non può essere che il Sindaco del Comune capoluogo, anche perché gli Statuti erano basati su una concezione puramente comunale. Questa dunque è un'innovazione che cambia per il futuro lo Statuto internazionale della Biennale.
Seconda considerazione. Già alla Conferenza stampa sulla Biennale tenuta dai Presidenti di Provincia e Regione, è stato subito esplicitato e l'abbiamo detto anche all'inaugurazione della mostra di Nespolo - che avremmo chiesto, ed è stata subito concessa, la convocazione da parte della Regione di tutti i Comuni capoluogo di Provincia più altri Comuni significativi della Regione. Quindi, questo discorso è in movimento.
Mi permetto di dire però - e credo che i Consiglieri, specie quelli che seguono questi argomenti, convengano con me, avendo una grande sensibilità complessiva - che il ruolo della città capoluogo è inevitabile, anche perché è un circuito di città.
Noi, usando molta fantasia, pressioni democratiche, ragionamenti e trattative, abbiamo ottenuto un notevole allargamento, però non potevamo far scegliere un altro posto che non fosse una città capoluogo, come da Statuto della Biennale.
Ringrazio il Consiglio regionale per l'attenzione e per la presenza.
Entro 15 giorni ci sarà un incontro e mi permetterò di invitare anche i Consiglieri della VI Commissione, a partire dal Presidente che era presente anche alla Conferenza stampa, e, come ha chiesto il Consigliere Miglietti riferirò.
Tenevo comunque a dire, perché è veramente un fatto significativo, che nel convegno dei network culturali di tutta Europa, 450 rappresentanti di 5.000 associazioni culturali hanno espresso un riconoscimento forte alla nostra Regione.
Su questa iniziativa Giunta e Consiglio hanno lavorato seriamente quindi il merito è collegiale.



PRESIDENTE

Pongo in votazione l'ordine del giorno n. 211 di cui ho dato lettura precedentemente.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'ordine del giorno è approvato con 39 voti favorevoli e 1 astensione.


Argomento: Varie

Richiesta del Consigliere Cavaliere in merito al viaggio in Cina della delegazione del Consiglio regionale


PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Cavaliere; ne ha facoltà.



CAVALIERE Pasquale

Vorrei chiedere alla delegazione ufficiale piemontese che effettuerà il viaggio in Cina di trasmettere alle autorità cinesi l'ordine del giorno n.
165 relativo al Tibet che abbiamo approvato in Consiglio regionale.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta, Ghigo.



GHIGO Enzo, Presidente della Giunta regionale

Visto che ho l'occasione di incontrare il Console cinese in Italia prima che la delegazione del Consiglio si rechi in Cina, sentirò che cosa pensa in proposito. Nel caso fosse favorevole ad accogliere tale richiesta il Consigliere Chiezzi si farà latore di questo ordine del giorno.


Argomento:

Interrogazioni ed interpellanze (annunzio)


PRESIDENTE

I testi delle interrogazioni, interpellanze, mo zioni e ordini del giorno pervenuti all'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale verranno allegati al processo verbale dell'adunanza in corso.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 17,55)



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