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Dettaglio seduta n.342 del 29/03/99 - Legislatura n. VI - Sedute dal 23 aprile 1995 al 15 aprile 2000

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DEORSOLA


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto 4) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico:


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Bellingeri, Cavallera, Leo Mancuso, Marengo e Viglietta.


Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

L'elenco dei progetti di legge presentati sarà riportato nel processo verbale dell'adunanza in corso.


Argomento:

c) Apposizione visto Commissario del Governo


PRESIDENTE

L'elenco dei progetti di legge vistati dal Commissario del Governo sarà riportato nel processo verbale dell'adunanza in corso.


Argomento: Questioni internazionali

Esame ordini del giorno n. 959, n. 960, n. 963, n. 964, n. 966, n. 967, n. 968 e n. 969 inerenti a: "Situazione nel Kosovo"


PRESIDENTE

Secondo gli impegni assunti, oggi si svolgerà il dibattito sulla crisi del Kosovo. Ricordo che a livello di Comitato regionale di solidarietà, che si è riunito dopo la Conferenza dei Capigruppo di venerdì scorso, è stata data una valutazione che è stata poi comunicata.
Prima di dare formalmente inizio al dibattito, invito i presenti ad osservare un minuto di silenzio in memoria di tutte le vittime che da mesi si stanno producendo in questa martoriata parte d'Europa.



(I presenti, in piedi, osservano un minuto di silenzio)



PRESIDENTE

Do lettura del comunicato che è stato stilato a seguito dell'incontro di venerdì scorso: "Il Comitato di solidarietà esprime la più viva preoccupazione per la perdita di vite umane e per la continua violazione dei diritti umani nel Kosovo condanna l'uso delle armi come strumento per la risoluzione delle controversie internazionali auspica la sospensione delle azioni militari della Federazione Jugoslava contro le popolazioni civili auspica l'interruzione delle azioni di guerriglia delle formazioni autonome kosovare e delle azioni militari da parte della NATO" - su questa posizione c'è stata una dissociazione da parte del Gruppo dei Comunisti Italiani che ha chiesto in modo specifico "la cessazione immediata dei bombardamenti e dell'intervento militare", riservandosi di presentare un ordine del giorno in aula "il Comitato auspica inoltre l'immediata ripresa di un negoziato che conduca al riconoscimento dei diritti di tutte le comunità etniche presenti nell'area ribadisce la necessità che la comunità internazionale trovi nel negoziato la soluzione della controversia perché si giunga, con il contributo di tutti, ad una pace giusta e durevole nell'intera regione balcanica il Comitato di solidarietà invita infine la Giunta regionale: a verificare con gli organismi competenti i dati tecnici e la sua disponibilità di strutture per il ricovero temporaneo di eventuali profughi ad utilizzare immediatamente gli stanziamenti disponibili per fare fronte all'emergenza e ad individuare tutte le possibili azioni di cooperazione decentrata in favore delle popolazioni colpite dagli eventi bellici".
Informo inoltre che in merito alla situazione nel Kosovo sono stati presentati i seguenti ordini del giorno: n. 959 dei Consiglieri Chiezzi e Simonetti n. 960 dei Consiglieri Papandrea e Moro n. 963 del Consigliere Chiezzi n. 964 dei Consiglieri Rosso e Dutto n. 966 dei Consiglieri Cavaliere e Benso n. 967 dei Consiglieri Riba, Manica, Bertoli, Vindigni, Saitta, Gatti Spagnuolo, Angeli, Montabone, Foco e Bortolin.
E' aperto il dibattito.
Ha chiesto la parola il Consigliere Moro; ne ha facoltà.



MORO Francesco

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, purtroppo da sei giorni un'assurda pioggia di bombe e missili della NATO si sta abbattendo sul territorio serbo facendo vittime civili, tra cui molte donne e bambini.
Avvenimenti gravissimi che sgomentano l'opinione pubblica e pongono inquietanti interrogativi.
La guerra contro la Jugoslavia non ha come scopo la difesa dei profughi e delle legittime aspirazioni di autonomia e democrazia del popolo del Kosovo; è una guerra per la NATO, per ribadire l'egemonia degli Stati Uniti sull'Europa e per sostituire al diritto internazionale la legge della giungla esercitata dal nuovo gendarme planetario a stelle e strisce.
Il "civile" Occidente ricorre ancora una volta alle barbarie della guerra dopo avere contribuito a disintegrare la Jugoslavia, dopo aver sostenuto i nazionalisti di ogni risma che, nel nome della cosiddetta purezza etnica, hanno eretto nuovi innaturali confini nel cuore dell'Europa.
I "raid" aerei della NATO non servono a niente, anzi, gettano benzina sul fuoco, alimentano l'oltranzismo speculare dei nazionalismi, facendo esplodere la polveriera balcanica in un nuovo fiume di sangue innocente e dando il via ad una nuova brutale politica di pulizia etnica.
La decisione del Governo D'Alema di portare l'Italia in guerra, sia concedendo le basi militari, sia partecipandovi direttamente con i propri mezzi, fa del nostro Paese l'avamposto di questa aggressione, e lo espone a ritorsioni anche di carattere militare.



PRESIDENTE

Scusi, Consigliere Moro, se la interrompo, ma io chiederei, prima di tutto alla Giunta, di non utilizzare, se possibile, i telefonini, perché il dibattito che abbiamo appena iniziato è di una gravità totale, per cui più che in altre occasioni credo sia necessaria l'attenta e vigile presenza da parte di tutti i Consiglieri. Ribadisco quindi l'invito a non usare i telefonini.
Prego, Consigliere Moro.



MORO Francesco

Occorre - e noi l'abbiamo sottolineato nel nostro ordine del giorno che le istituzioni democratiche ed antifasciste, ad ogni livello, dal Parlamento alla Regione, alle Province, ai Comuni ed ai Sindacati, assieme al movimento pacifista e sindacale, si mobilitino per il pieno rispetto della Costituzione che, all'art. 11, sancisce che "l'Italia ripudia la guerra come strumento della risoluzione delle controversie internazionali".
Bisogna chiedere fortemente al Governo italiano di negare l'utilizzo delle basi americane e NATO per l'aggressione alla Jugoslavia e dissociarsi dalla guerra, di investire subito del problema il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per far sì che cessino immediatamente l'aggressione e i bombardamenti e per chiedere l'invio di un contingente di osservatori, come garanzia concreta per la popolazione civile.
Necessita, ancora, promuovere, con altri Paesi dell'Unione Europea, una Conferenza internazionale sull'area balcanica e sulla sua integrazione in un'Europa comune, multietnica e democratica. E' necessario intervenire immediatamente per bloccare subito questa guerra veramente assurda.
Le popolazioni piemontesi sono enormemente spaventate da questi drammatici avvenimenti di guerra e chiedono alla Regione Piemonte di intervenire presso il Governo in modo chiaro e concreto per la pace del nostro popolo e per la pace nel mondo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cavaliere.



CAVALIERE Pasquale

Grazie, Presidente. Penso che tutti - al di là di cosa possiamo pensare, a chi possiamo attribuire minori o maggiori responsabilità dovremmo avere un atteggiamento di sdegno nei confronti del fatto che, per la prima volta, dopo la II Guerra Mondiale, i Paesi dell'Europa civile sono in guerra entro un Paese Europeo. Questa realtà, al di là di tutto, delle responsabilità di cui dobbiamo discutere e sulle quali dobbiamo fare qualche riflessione, ci deve far riflettere e porre come persone, come uomini del nostro secolo nei confronti di un problema grave, al di là di questioni ben più piccole come aderire o non aderire ad una maggioranza di governo, essere o non essere di un partito. Si tratta di una questione che deve porre innanzitutto le persone di fronte ad un interrogativo: io cosa c'entro, cosa posso fare, cosa devo dire? Ritengo che l'Europa abbia una certa responsabilità per essere intervenuta solo in questo momento e solo in questo modo. Sono fallite tutte le iniziative di pace, tutte le azioni diplomatiche, e di questo sicuramente la maggiore responsabilità ce l'ha Milosevic, ma questo non pu essere un alibi, una giustificazione nei confronti di un atto che non pu mai essere giustificato. Pertanto - lo diceva prima il collega Moro riprendendo l'articolo della Costituzione - poiché un nostro principio costituzionale stabilisce che il nostro Paese ripudia la guerra come metodo di azione nelle controversie internazionali, mi chiedo cosa fosse quella se non una controversia internazionale. Al di là del fatto che noi siamo o non siamo in guerra, che abbiamo messo a disposizione le basi, lasciamo perdere queste disquisizioni di lana caprina, così come lasciamo perdere le disquisizioni sulla NATO, l'ONU, il mandato, tutte queste cose sono secondarie rispetto al principio, ma anche al merito. Non penso che occorra essere degli strateghi militari per rendersi conto che un certo tipo di azioni (le azioni di guerra come oggi vengono concepite e svolte, queste guerre supertecnologiche, superefficienti, invisibili, intelligenti, che vanno a colpire da diecimila metri di altezza il microbo che si muove), la prima cosa che potevano sviluppare era il compattamento dell'opinione pubblica serba. Opinione pubblica che ha visto, fino a due anni fa, una grande dissidenza marciare nelle strade e chiedere più libertà; ora anche questa opposizione del regime serbo è compatta, proprio in seguito a questa azione. Si poteva prevedere benissimo che questo tipo di azioni avrebbero inevitabilmente intensificato un attacco, una violenza nei confronti delle popolazioni civili di origine albanese nel Kosovo. Era prevedibile, non potevano che suscitare questo. Allora, il paradosso di essere partiti con un'azione che difendesse la sicurezza dei civili delle popolazioni di origine albanese in Kosovo, è che vede, come primo risultato, un massacro maggiore di queste popolazioni e centinaia e centinaia di migliaia di profughi che fanno prevedere l'insorgenza di interessi che forse diventeranno posteriori a questa azione (abbiamo già visto nei Paesi dell'ex Jugoslavia come sia diventata una realtà concreta, questa), magari di una nuova spartizione che potrebbe vedere la Serbia molto più interessata a quel che potevano invece configurare altri scenari. La Serbia potrebbe essere più contenta di avere un pezzo del Kosovo con i sacri sigilli di tutta l'Unione Europea e dell'ONU invece di avere l'autonomia di tutto il Kosovo. E forse una divisione del Kosovo con la Serbia consenziente può essere quello che accadrà nelle prossime settimane. Ma come non si poteva prevedere che avvenisse questo e che tutta la popolazione di una certa etnia, centinaia e centinaia di migliaia di persone, se ne andasse da quell'area, riuscendo a fare quello che non era riuscito a fare Milosevic fino a poco tempo fa? Erano ben altre le azioni anche militari - sebbene io non condivida alcuna azione militare - da attuare per proteggere le popolazioni di origine albanese del Kosovo, vere vittime assieme a tutte le popolazioni civili di questa situazione.
L'autorevole Times inglese nel 1996 metteva in copertina, come uomo di pace dell'anno, Milosevic: non dimentichiamo queste cose, questa Europa che adesso interviene, cosa poteva fare? Allora, io dico che noi, per quello che contiamo, come istituzione che rappresenta una parte di popolazione di una Regione del nord, civile europea del nostro Paese, al di là di quanto hanno stabilito le diplomazie i Governi, gli organismi internazionali, non possiamo che chiedere che vengano sospesi quei bombardamenti. Non possiamo non chiederlo. Dobbiamo chiederlo; dobbiamo sapere, dopo tanti dibattiti "extracomunitari o non extracomunitari" che ci troveremo ad avere a che fare, compresi il nostro Paese e la nostra Regione, con il problema di migliaia e migliaia di profughi. Comunque bisogna che, in qualche modo, la diplomazia riprenda il suo corso, perché questo è ciò che deve per forza accadere.
Tuttavia, al di là dei giudizi che possiamo dare, credo che noi oggi non come Consiglio regionale, ma come persone del nostro tempo, non possiamo accettare che l'ultimo anno di questo secolo si concluda come i primi, cioè accettare che questi cento anni siano passati inutilmente (visto che succedono le stesse cose). Non possiamo accettare questo, non possiamo prendere posizioni strumentali politiche, ma dobbiamo dire in modo chiaro che non è possibile accettare la guerra.
I Paesi civili che compongono la nostra Europa dimostrano una forza e l'Europa diventerà Europa solo quando saprà affrontare e risolvere un problema come quello dei Balcani. Allora sì che diventerà Europa, non se presterà la base per far attaccare i Balcani: non è quella l'Europa! Per questo motivo, ho presentato - e svolgo anche la dichiarazione di voto, Presidente, oltre che l'illustrazione - un ordine del giorno che, nel constatare il fallimento delle trattative e le responsabilità di Milosevic nel prendere atto che, ancora in queste ore, sono in corso queste azioni di guerra; nel considerare che stanno moltiplicandosi i massacri nei confronti delle popolazioni albanesi del Kosovo e moltiplicandosi i profughi, chiede un'immediata cessazione di questi bombardamenti; che si riallaccino le trattative per una soluzione della controversia e anche - mi consenta signor Presidente - come già si è impegnato il Comitato di solidarietà, che ci si renda disponibili per affrontare, per la parte che ci competerà, per quel che dobbiamo, l'accoglimento dei possibili profughi di guerra che dovremo in qualche modo rifugiare.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rosso.



ROSSO Roberto

Innanzitutto, devo dire che la Lega, vista l'importanza dell'argomento ha deciso di rimandare la richiesta che aveva avanzato nell'ultimo Consiglio di avere come primo punto all'o.d.g. la questione riguardante le lettere dell'Assessore Vaglio, perché evidentemente il problema della guerra è enormemente più importante.
Parlo di guerra, perché questo fatto sembra sfuggito un po' a tutti gli italiani: il fatto che l'Italia, dopo cinquant'anni, è in guerra. E magari guardando i telegiornali, leggendo i giornali, non ci rendiamo conto che l'Italia è coinvolta in prima linea in questa guerra. Sicuramente, se vivessimo sulle coste pugliesi riusciremmo a rendercene conto più da vicino, perché - come sapete - gran parte delle spiagge pugliesi è stata occupata da batterie missilistiche e postazioni radar.
Eppure, pare che le forze di Governo e anche di opposizione in Parlamento si siano dimenticate di quella Costituzione che tante volte anche in quest'aula è stata richiamata, a volte impropriamente. Pare che si siano dimenticati che esiste un art. 11, che è già stato citato, ma che io vorrei leggere: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".
Allora, la Costituzione va tutelata quando interessa ai governanti romani tutelarla; può essere calpestata quando, nell'interesse di questo o quel Governo, non conta più, non è più la carta fondamentale di questo Paese. Ma non è stata calpestata solo la Costituzione, perché anche il trattato NATO, all'art. 3, parla della costituzione della NATO e dei suoi scopi: l'unico scopo è la difesa da attacchi armati ai Paesi membri. Non mi sembra che sganciare bombe sulla testa di cittadini serbi sia una difesa di Paesi membri della NATO.
Non è finita. Anche l'ONU è stata scavalcata: non ha dato alcun assenso a questo attacco. Eppure anche nell'ONU i nostri Governi si adeguano quando fa comodo, oppure dicono che "evidentemente, gli eventi sono peggiorati e quindi non si può aspettare che l'organizzazione delle Nazioni Unite deliberi".
L'Italia, in tutta questa vicenda è apparsa totalmente impotente. Ci siamo fatti mettere i piedi in testa dagli americani, proprio, tra l'altro a pochi giorni dalla vicenda della funivia del Cermis, chiusa in un nulla di fatto! Nessuno ha detto niente, D'Alema ha fatto un giretto in America giusto per fare rappresentanza! Cosa ha fatto il Parlamento, la nostra "grande" democrazia parlamentare? Mentre il Segretario della NATO, Solana, annunciava l'attacco, il Parlamento era in seduta e stava discutendo, non della guerra, non se era il caso o meno di concedere le basi alla NATO - no! - si parlava, in quel momento, se dare o meno l'autorizzazione a procedere contro Bossi - in questo caso era Bossi, ma poteva essere chiunque - per alcuni insulti di due o tre anni fa! Così è proceduto tutto il giorno; il dibattito è stato svolto quando ormai non si potevano più cambiare le carte in tavola: sempre per salvare la faccia! Purtroppo, la situazione in Kosovo è drammatica. Drammatica per quello che è successo alle popolazioni e per quello che non è stato fatto n dall'ONU né dall'Italia. Si poteva evitare, si poteva trattare. Purtroppo c'è anche molta disinformazione: quando si dice, ad esempio, che la Serbia non ha accettato di trattare. Ebbene, cari signori, esisteva un documento serbo che non è stato preso in considerazione. Il documento che gli americani hanno portato a Rambouillet è un documento che avevano proposto gli albanesi. Giustamente, nella mediazione voi sapete che bisogna avvicinare le due proposte: gli americani volevano che venisse accettata la totale indipendenza del Kosovo, che voglio ricordarvi non è formato solo dagli emigrati albanesi. Che cosa si è fatto invece di mediare? Abbiamo fatto scendere l'Italia in guerra! Vi voglio fornire qualche altra informazione che magari è sfuggita. Per esempio, abbiamo saputo che il comandante Clarke della NATO aveva pronti i piani di attacco già a ottobre e aveva ricevuto, già un mese fa, prima di tutte le trattative, che poi sono fallite, lo stato di allerta.
Quindi, non c'era tutta quest'intenzione di dare via alla mediazione e alle trattative in questa vicenda, semmai si è cercato, da parte degli americani, di arrivare a questo scontro.
La Lega ribadisce il suo "no", fermo, deciso e convinto, a questa guerra e comunque a tutte le guerre.
Noi dobbiamo tutelare in tutti i modi gli interessi dei cittadini albanesi che sono perseguitati in Kosovo, ma anche gli interessi dei cittadini serbi che sono bombardati in Serbia.
Inoltre, dovremmo chiederci come mai si bombarda la Serbia e non si è bombardata la Turchia! Perché i turchi possono bombardare il popolo curdo impunemente? I bombardieri e gli aerei turchi, che hanno partecipato al bombardamento in Serbia, sono della stessa aviazione che ha bombardato più volte il Kurdistan e il popolo curdo impunemente! Di questo nessuno parla perché la Turchia fa parte dell'Alleanza Atlantica, quindi sono dei "santi".
Mi stupisco della posizione della sinistra al Governo che per tanti decenni è stata contro la guerra, contro gli interventi e adesso ha dovuto certamente con mille sfaccettature, dire "sì" alla guerra. E' troppo tardi dire adesso, a Roma, che è ora di cessare i bombardamenti! Voi sapete che i bombardamenti rappresentano solo la prima fase e che non servono a molto se non sono seguiti da successive fasi di invasione e di consolidamento delle posizioni.
Non bisognava all'inizio concedere la possibilità alla NATO di utilizzare l'Italia come ponte di lancio di questi bombardamenti.
"Stop alla guerra!". Devo dire che la Lega ha inviato tre parlamentari mentre erano in corso i bombardamenti, a Belgrado affinché si continuasse ad avere dei rapporti diplomatici con la Serbia, che ha tutte le sue colpe ma dobbiamo fare in modo che gli albanesi del Kosovo, i kosovari e il Governo serbo si siedano di nuovo intorno ad un tavolo.
Voglio ricordare - com'è già stato detto dal Consigliere Cavaliere che, grazie a questa azione, non solo abbiamo permesso che morissero migliaia e migliaia di persone, ma abbiamo creato un panico generalizzato che si concretizzerà in centinaia di migliaia di profughi ed ovviamente essendo il nostro il Paese più vicino, ci dobbiamo preparare all'arrivo di centinaia di migliaia di profughi: tutto questo è anche colpa nostra.
Con il nostro ordine del giorno chiediamo che venga riconsiderata la posizione dell'Italia in seno all'Alleanza Atlantica rispetto a questo bombardamento; che venga negato alle unità aeree navali ed aeree dell'Alleanza Atlantica di poter utilizzare le basi italiane per questi bombardamenti.
Vogliamo esprimere la solidarietà nei confronti di tutti i cittadini che sono stati bombardati, ma la cosa più importante è che vogliamo esprimere in ogni sede istituzionale il nostro totale dissenso verso quest'azione militare della NATO.
Voglio ricordare che dopo cinquant'anni è tornata la guerra in Europa e dalle notizie che ci provengono dalla Serbia e dai Paesi confinanti ci sono grossi rischi che il conflitto si allarghi. Vi ricordo che sia la I che la II Guerra Mondiale sono state partorite da grossi problemi e conflitti proprio nella zona dell'ex Jugoslavia. Quindi, noi dobbiamo - anche se purtroppo questo Consiglio regionale non può fare molto - fare pressione presso il nostro Governo affinché l'Italia trovi di nuovo un ruolo di mediazione che ponga fine a questa guerra e soprattutto non consenta che si continuino queste repressioni da parte dei serbi, ma neanche che ci si trovi un giorno di fronte alla possibilità di una nuova grande guerra.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Saitta.



SAITTA Antonino

Presidente e colleghi, i colleghi intervenuti finora hanno richiamato alcune immagini drammatiche e hanno rilevato come questo secolo concludendosi con una guerra, obiettivamente porti il segno di un'enorme difficoltà.
E' il dato drammatico della situazione; credo che per interpretare meglio cosa sta capitando non si possa fare a meno di constatare che questo intervento, come altri di carattere internazionale, avviene in un quadro mutato di relazioni internazionali. Relazioni classiche a cui eravamo abituati, di tipo bipolare; non essendoci più, spesso, impongono delle soluzioni che non rispondono più alle logiche a cui siamo stati abituati per decenni.
Credo che anche questo intervento da parte della NATO, sotto questo aspetto, possa essere discutibile, ma il quadro è profondamente mutato. Non si può non constatare, ancora una volta, come l'Europa non abbia una propria autonoma capacità di intervento nella politica internazionale.
Credo, quindi, che molti rilievi che alcuni hanno fatto siano giusti laddove constatano che c'è sempre un intervento da parte degli Stati Uniti d'America a risolvere problemi di carattere europeo. Questo è un dato di fatto, ma d'altronde questo avviene proprio per una negligenza ed una disattenzione, la mancanza di un'Europa politica capace di risolvere questi problemi.
Al di là di queste valutazioni di carattere generale volevo soltanto fare alcune semplici constatazioni.
Innanzitutto, il Gruppo dei Popolari condivide l'azione del Governo nella crisi kosovara; ha condiviso l'azione di questi mesi, condivide le decisioni assunte dal Governo in sede di Alleanza Atlantica in quest'ultima settimana, condivide totalmente la risoluzione che è stata approvata dal Parlamento. E' chiaro che per noi è stata una scelta difficile, che ha messo in crisi le coscienze, ma in un mondo in cui esistono situazioni di anarchia usare le armi per disarmare i violenti che le puntano contro popolazioni inermi credo possa giustificare l'intervento sotto tutti gli aspetti.
Ritengo, al di là del fatto che bisogna certamente trovare delle soluzioni pacifiche a questa vicenda e la diplomazia deve lavorare, che l'intervento dell'ONU abbia una sua piena legittimità, non mi pare un intervento casuale, un intervento nato per aprire un fronte di guerra; c'è una legittimità internazionale delle azioni militari su questo intervento che deriva dalla violazione dei diritti umani, individuali e collettivi delle popolazioni di etnìa albanese nel Kosovo. Quindi, riteniamo che l'intervento della NATO nella Repubblica Jugoslava sia pienamente legittimo e necessario per difendere i principi della comunità internazionale.
La comunità internazionale non poteva più assistere passivamente alla prevaricazione di un Governo sulla sua popolazione, prevaricazione dei forti sui deboli che ha portato alla morte troppa gente, che è stata esemplificata tragicamente dal rastrellamento e dal massacro della popolazione civile, cosa assolutamente inaccettabile nell'Europa del XXI secolo.
Credo che tutto il mondo occidentale non possa che partire dalla constatazione che la responsabilità di questo intervento e le conseguenze ricadono interamente su Milosevic, che ha impedito un accordo che era stato siglato. E' chiaro che non è una responsabilità del popolo serbo, ma sicuramente è una responsabilità del Governo. La comunità internazionale non poteva assistere passivamente a questo schierare di armi pesanti verso i confini del Kosovo; la comunità internazionale non può accettare che questioni di rapporti interni ad uno Stato vengano risolte con le armi. Se nelle nostre valutazioni dimentichiamo questi fatti anche quest'intervento da parte della NATO può essere considerato piratesco. Non è così, è un intervento che ha una sua legittimità e noi lo condividiamo. E' chiaro che l'intervento di per sé può non essere la soluzione e credo che dopo questi giorni si debba arrivare ad una fase in cui la diplomazia deve spiegare totalmente le sue capacità per trovare una soluzione. Ben vengano tutti gli interventi e le sollecitazioni per fermare i bombardamenti. Se si parte dalla constatazione che l'intervento dell'ONU è illegittimo, credo che questa modalità di rappresentare l'intervento possa costituire un segno di nostra debolezza e di conseguente rafforzamento della posizione di Milosevic.
Il Consiglio, giustamente, fa bene ad assumere delle decisioni e a chiedere una sospensione dei bombardamenti; deve anche dare un giudizio sull'intervento complessivo da parte della NATO. Credo che il Consiglio regionale debba fare qualche riflessione per potersi preparare concretamente alle prossime settimane, quando il problema della crisi dei Balcani e dei profughi sicuramente avrà delle ripercussioni e dovremo sapere come attrezzarci. Dovremo sapere quali modalità e quali sistemi potremo utilizzare per intervenire dopo la conclusione della crisi, che speriamo avvenga al più presto, per affrontare il problema direttamente nei Balcani.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Farassino.



FARASSINO Giuseppe

Grazie. Senza imbarazzo, però trovo sia una novità dover fare una dichiarazione di voto contraria a quella del Capogruppo della Lega Nord.
Non condivido l'ordine del giorno presentato dal collega ed amico Rosso, perché è un po' confusionario, cioè, secondo me, perde di vista le fondamenta di qualsiasi uomo, oltretutto uomo che fa politica: quelle del buonsenso. Alcune cose sono condivisibili, ma non nella totalità, ossia "Neghiamo le basi della NATO": ma come "Neghiamo le basi della NATO"? Vorrei esprimere la mia posizione esistenziale di uomo, prima che di Consigliere regionale o di appartenente ad un Gruppo politico: ogni tanto dire che il re è nudo, forse, ti fa guardare da tutti. Tutti questi ordini del giorno! Diciamo una buona volta che gli ordini del giorno, specialmente quelli dei Consigli inferiori in grado a quelli che sono i massimi poteri legislativi nel nostro Paese, ossia la Camera e il Senato, in sostanza sono cestini di lusso per l'ufficio suppliche, perché lasciano il tempo che trovano. Diciamolo: il re è nudo.
Siamo nella discussione e discutiamo: un ordine del giorno che dice che dimentichiamo troppo spesso che siamo in guerra, che dovremmo fare quello che non è stato fatto dall'Italia, quindi dal Governo italiano, che dobbiamo condannare questa cosa, negare... A me sembra che troppo spesso forse anche per giovane età, dimentichiamo che abbiamo perso una guerra e che quindi le basi NATO non sono state una nostra richiesta, ce l'hanno imposte. Ci mettiamo contro il mondo, contro la NATO? Un conto è condannare l'uso della guerra, e questo mi sembra sia pacifico in ogni persona di buonsenso, oltre a chi vuol essere credente; ma anche le persone laiche, come il sottoscritto, sono contro l'uso della guerra, contro la violenza, ma altra cosa è dire "Togliamo le basi della NATO". Non fatemi dire una parolaccia! Questo Milosevic, che adesso diventa un eroe, un brav'uomo, non lo so è uno che sta ammazzando, sta facendo una pulizia etnica, ed è contro qualsiasi principio sempre propagandato, anche e soprattutto, dai movimenti autonomisti e dalla Lega Nord: quello del diritto di un popolo di vivere stanziato sul suo territorio! Questo li sta facendo fuori tutti, li sta sbattendo fuori! Perché? Perché le ragioni sono più grandi di una semplice politica, la politica a livello stratosferico, molto probabilmente c'è tutto un discorso di religioni: nell'enclave del Kosovo dà fastidio l'enclave musulmana; non è che diano fastidio gli albanesi ma, dato che la stragrande maggioranza è di religione musulmana, ecco che dà fastidio avere un'enclave musulmana all'interno del cuore dei Balcani. E' la stessa ragione per la quale non vengono fatti attacchi contro la Turchia: la Turchia è lì, meno male che c'è la Turchia, altrimenti Iran, Irak e Siria avrebbero la via libera ad arrivare in Europa. Quindi, ci sono degli interessi superiori e anche se il boccone è duro da ingoiare si deve tentare di capire perché si va a fare una guerra magari contro i poveri per salvare i disperati - come si dice.
L'uso della guerra: chi non è contro l'uso della guerra? E' come dire: "Siamo a favore degli animali, non uccidiamo gli animali"; tutti sono a favore degli animali, quindi, maggiormente, tutti sono a favore degli uomini e del genere umano. Chi mai si è messo in testa di volere una guerra: ma da questo a dettare delle condizioni al Governo italiano, allo Stato italiano, affinché il piccolo Stato, già con un sputo all'interno della NATO, condizioni - con un atto di prepotenza, se vogliamo - la politica internazionale negando le basi, mi sembra che dire demagogico sia esprimere un eufemismo, quindi direi che il nostro Paese è in una posizione che esula da qualsiasi possibilità in nostro possesso di poter determinare una politica internazionale. Sì, ci rimane la grande carta della preghiera dell'auspicio che vengano interrotti i bombardamenti, che non vengano più uccise persone, che vengano nuovamente riprese le relazioni diplomatiche e che si possa arrivare ad un certo tipo di soluzione di quella che è la crisi nei Balcani. Quindi, la solidarietà; certo, penso che la solidarietà sia di ogni persona presente in questo Consiglio, quella di portare la nostra possibilità a chi muore, kosovari, non kosovari, albanesi, serbi però il fatto centrale è che questo sta tentando di fare una pulizia etnica per togliersi dai piedi l'enclave musulmana per interessi che esulano dalla nostra comprensione e dalla nostra conoscenza.
Credo che quello presentato dal Polo, primo firmatario Mariangela Cotto, sia un ordine del giorno di buonsenso, dove, premesso tutto, si spera che il Governo riesca in qualche modo - tante cose riescono agli italiani che non riescono ad altri, magari andando a fare un concerto di mandolini, non lo so - a spostare l'asse dal punto bellico a quello diplomatico, portando la solidarietà a chi soffre e a chi muore (su questo non ci sono dubbi).
Sicuramente nel nostro Paese arriveranno altre decine e decine di migliaia di profughi e dovremo assorbirli. Questo sarà il nostro pegno, che pagheremo in nome della solidarietà dell'umanità contro la guerra; per più di questo, come persona fisica, non mi sento di poter dire per non apparire oltre che demagogico anche ridicolo. Quindi, non voterò l'ordine del giorno presentato dalla Lega Nord.



PRESIDENTE

La parola alla Consigliera Spagnuolo.



SPAGNUOLO Carla

Grazie. Credo che per certi versi siamo tutti molto angosciati di doverci occupare all'improvviso, all'interno di questo Consiglio, di una questione assolutamente drammatica, che ha un titolo che da cinquant'anni non occupava i nostri dibattiti, almeno per i rapporti con l'Europa. "No alla guerra, sì alla guerra": noi crediamo che il dilemma di fatto non sia questo e che, con molto senso di responsabilità, si debba guardare - come cercava di richiamare l'ultimo intervento - con realismo a ciò che sta avvenendo, che non avviene all'improvviso, ma è la conseguenza di alcune vicende di carattere storico-politico che durano da decenni; l'Italia è un Paese che è uscito sconfitto dalla II Guerra Mondiale. Abbiamo davanti un conflitto di carattere etnico che ha radici antichissime. Credo che oggi tutti abbiano letto l'articolo di fondo su Corriere della Sera. E' un conflitto che riesplode a partire dall'inizio degli anni '80, anche come conseguenza di carattere storico-politico, all'indomani dalla morte di Tito. Nel 1981, all'indomani dalla morte di Tito, riesplodono le questioni che attengono alla rivolta dei kosovari e continuano nel 1988, dalla revoca della loro autonomia per decreto di Milosevic.
Un altro elemento è che abbiamo davanti un dittatore, il dittatore serbo Milosevic, che, indubbiamente non in queste ultime ore, ma certamente negli ultimi anni, si è macchiato di delitti che attenevano alla sovranità dei kosovari, mettendo in atto una costante serie di azioni di repressione fisica, politica e dei diritti umani e civili su una popolazione che è la popolazione del Kosovo - dobbiamo tenere conto di tutta questa serie di elementi.
Alla luce di questa serie di elementi - partendo da essi e non da elementi teorici o come se tutto fosse nato ieri mattina con l'avvio degli aerei dalle basi NATO di Aviano - dobbiamo cercare di fare qualche valutazione e di proporre con forza qualche auspicio di carattere politico.
Ed è per questo che noi abbiamo firmato un documento che sostiene l'azione del Governo italiano, un'azione peraltro inevitabile, che è anche la conseguenza della debolezza dell'Italia - storica conseguenza della debolezza dell'Italia in politica estera a seguito della sconfitta nella II Guerra Mondiale, che ha comportato la partecipazione del nostro Paese all'Alleanza Atlantica.
Desidero ricordare che, come avvenne per Sigonella, ci sono stati degli strappi anche con l'Alleanza NATO, tuttavia riteniamo che la situazione che si è venuta determinando in questi anni nel Kosovo sia un'azione non paragonabile a quel momento storico-politico, perché è un'azione che vede un popolo e un territorio oggi sottoposti al genocidio.
Pertanto, rispetto a questo interrogativo, cioè come fermare il genocidio in atto, riteniamo che l'azione della NATO trovi delle giustificazioni, sebbene noi, devo dire, la viviamo in totale drammaticità e con preoccupazione assoluta.
Vorrei richiamare l'analisi politica compiuta da politologi e da giornalisti. In particolare, desidero richiamare due espressioni. La prima dello storico Ernest Nolte, che ricorda: "Con i serbi, e lo sappiamo bene dalla I e dalla II Guerra Mondiale, non si scherza"; la seconda è un intervento contenuto nell'Economist di Londra che recita: "L'Occidente è inciampato in una delle più rischiose avventure dall'epoca della II Guerra Mondiale".
E' alla luce di questa serie di considerazioni che il Governo ha fatto solo ciò che poteva fare. L'abbiamo colto nelle espressioni, anche personali, del Presidente del Consiglio dei Ministri. Se avessimo potuto essere, e in politica estera non lo siamo, più determinanti, avremmo cercato di percorrere anche altre strade.
Abbiamo fatto quanto potevamo fare alla luce di un genocidio in corso: questa è la questione, c'è un genocidio in corso.
L'altro elemento, di carattere politico, che voglio trattare è questo.
Indubbiamente, l'Europa e il ruolo da essa ricoperto non escono perfettamente bene da questa vicenda. L'Europa unita è ai suoi primi passi: se fosse stata una potenza politica di maggiore aggregazione e forza, forse avrebbe potuto evitare di arrivare a questo punto, attraverso la strada di un negoziato più forte. Va anche detto, però, che è ormai da dieci anni che si cerca di risolvere questa tragedia attraverso dei negoziati e che sono stati fatti tutti gli sforzi possibili.
Indubbiamente, l'accelerazione di questo genocidio e dell'azione di repressione di Milosevic ha spinto in questa nuova direzione.
Sembra incredibile dirlo, ma siamo in guerra. Come persone, come donne e uomini comuni ci sembra di essere lontani dalla guerra, ma la realtà è che siamo in guerra.
Due giorni fa mi è capitato di parlare con degli amici che abitano vicino ad Aviano. La loro preoccupazione era di portata, anche emotiva completamente diversa dalla nostra: le popolazioni di quelle città e di quei territori italiani vivono immersi nel rombo costante degli aerei che partono per le loro azioni militari.
Anche noi auspichiamo che i bombardamenti cessino, anche perch realisticamente, dobbiamo chiederci: se i bombardamenti non cessassero e si procedesse in un'escalation di guerra, la lettura data dall'Economist acquisterebbe sempre maggiore consistenza. Questa guerra sarebbe proprio lo scivolone del mondo occidentale.
Se si è reso necessario, seppure drammaticamente, decidere di intraprendere questa azione di guerra, ora è altrettanto necessario che la guerra termini.
L'azione deve passare alla diplomazia, tornare alla politica: il rischio di un'escalation è troppo immediato per trascurarlo.
Dobbiamo affrontare questa vicenda con grande senso di responsabilità come si compete ad un Consiglio regionale. Dobbiamo anche ricordare che l'Italia è un Paese che ha dei condizionamenti in politica estera, che possono tenere lontana la sensibilità delle nostre popolazioni dalle decisioni politiche.
Noi vogliamo che la guerra cessi al più presto e che i bombardamenti abbiano fine. Non dimentichiamo però che, davanti un genocidio in corso era necessario assumere un'iniziativa. Ora debbono prepararsi le condizioni per il ristabilimento del dialogo e per la cessazione del genocidio.
E' chiaro che ci saranno delle conseguenze. Certamente ci saranno migliaia di profughi. Come Piemonte, non dobbiamo tirarci indietro, come abbiamo fatto in altre circostanze, ma dobbiamo assumerci l'impegno di attivare tutti i canali che possano aiutare questa vicenda biblica che, a cinquant'anni dall'Olocausto, speravamo di non dover più vedere.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Picchioni.



PICCHIONI Rolando

Signor Presidente, credo che questo momento di riflessione comune sia anche un modo per partecipare, per le nostre istituzioni, con la pochezza delle nostre parole e dei nostri mezzi, ad una tragedia che - sull'uscio di casa - non può non ricevere, da parte nostra, almeno il contributo di una nostra riflessione, della sensibilità e partecipazione.
E' per questo che mi sento assolutamente in sintonia con il tono e con l'anima, più ancora che con le parole, del Presidente D'Alema il quale nell'ambito del dibattito svoltosi in Parlamento pochi giorni fa, dimostr al di là delle parole e delle soluzioni diplomatiche, una partecipazione che non poteva che essere angosciata.
Non so se quanto dice Roberto Rosso sia vero o no, ma oggi si legge sui giornali che i nostri aerei hanno ricevuto l'ordine di rimanere nelle retrovie. Tuttavia, ci troviamo pur sempre di fronte ad una guerra che è combattuta sull'uscio di casa. Pertanto, con tutte le sollecitazioni certamente razionali, ma anche emotive, che sono le stesse che appartengono all'opinione pubblica, riconosciamo che questa guerra ci riguarda da vicino.
La prospettiva di pace sembra eterea, astratta, lontana, perché questa guerra è accompagnata da tanti precedenti che non sono certo a favore di un ristabilimento della pace. Inoltre, pensiamo al Vietnam, all'Irak.
Ricordiamo tutte quelle guerre locali, quei conflitti regionali per i quali l'intervento dall'esterno non è servito a ristabilire la pace, ma solo a sancire armistizi in attesa di una nuova guerra.
Vedete, Farassino ed altri hanno ricordato la situazione balcanica. La guerra è sempre una ripetizione della politica o viceversa, in termini diversi.
Noi, nel 1704/1705, fermammo, con Eugenio di Savoia, i Turchi alle porte di Vienna. Già allora era un conflitto figlio di un confronto di civiltà diverse, tutte rispettabili, per carità, ma era pur sempre un conflitto. Non è vero, collega Bertoli, che già allora si trattava di un conflitto? Si trattava di difendere le postazioni dell'Occidente da un'invasione drammatica, come era stata l'invasione degli Arabi nella Penisola Iberica.
Ebbene, signori, cosa significa questo? Significa forse che è l'esplosione dei nazionalismi; sono le piccole patrie che si propongono sono le etnìe che nei tempi della globalizzazione rivendicano la propria bandiera di identità: tante cose tutte messe assieme. Però, teniamo presente che il Kosovo è certamente un'enclave, ma il Kosovo è anche il principio di una grand'Albania che, con l'assimilazione a nucleo forte dell'Albania, vuole costituire, nell'ambito dei Balcani, sia con la Macedonia, sia con altre terre limitrofe, un contraltare che forse non è accettabile dalla posizione dominante che la Serbia tiene in questa Regione.
E allora il problema diventa certamente - anche lì - un conflitto fra civiltà, fra etnìe, fra religioni diverse. Ma noi possiamo fare un'equiparazione tra la ferocia dei serbi e la non ferocia dei kosovari? Noi possiamo, sulla base anche di quanto succede nelle nostre città equiparare l'Albania ai serbi o i serbi all'Albania, senza emettere un giudizio di valore, astrattamente recependo quello che è la cronaca (peraltro non ancora tutta documentata), con cui oggi in quella terra si arriva certamente alla faida che non conosce famiglie, non conosce ballatoi, non conosce cortili, ma conosce solamente una soluzione totale e radicale? Io sono un politico e pertanto non posso assolutamente ammettere me stesso ad una situazione che non conosco. Lo stato di autonomia dell'accordo di Rambouillet - mi rivolgo specialmente ai signori del Polo voleva forse già significare il principio di un'autonomia che i serbi non potevano accettare. Su queste cose è facile per noi decriptare da lontano il bene e il male, il giusto e l'ingiusto. Per carità, voglio fare un'analisi assolutamente asettica; non voglio assolutamente abbracciare un partito piuttosto che un altro, però Rambouillet, con lo stato di autonomia, con un'interposizione, con la presenza di truppe, poteva porre certamente dei problemi che la natura gelosissima della Serbia, che appartiene alla "grande Serbia", non poteva assolutamente accettare. Credo che anche questo debba essere rilevato.
Abbiamo il ricordo freschissimo della Bosnia Erzegovina, però gli eccidi, allora, erano documentati; erano documentati da una borghesia islamica, da una borghesia croata, da una borghesia slovena che, protetta dalle forze dell'ONU, dava la documentazione reale di quello che succedeva in Occidente. Può darsi che, anche per i fatti che stanno avvenendo, domani vengano fuori le fosse comuni, ecc., ma stiamo attenti al fatto di vedere tre-quattro case fumanti; può darsi che ci sia molto di più dietro queste cose. C'è certamente un esodo spaventoso; c'è certamente la contabilità di morti; ci sono le urla del silenzio; c'è tutta la macabra contabilità di quello che è sempre stato e di quello che sono tuttora le guerre balcaniche. Però stiamo attenti che la documentazione di questi fatti è certamente ancora tutta una questione da appurare.
Credo che Milosevic abbia aggredito gli sloveni, i croati, i bosniaci oggi aggredisca i kosovari; domani possa aggredire i macedoni. Credo che Milosevic abbia segnato tutta la sua presenza politica dal dopo Tito ad oggi senza mai cercare un compromesso. Però valutiamo qual è la situazione di fatto che c'è e cerchiamo di capire anche, proprio per la precarietà di questa azione militare, come un'azione di questo genere possa - mi pare che qualcuno lo abbia detto - oggi rafforzare molto di più il nazionalismo serbo, contro quello che può essere il mercenarismo - l'hai detto, Saitta politico o perlomeno il mercenarismo di truppe che vengono dall'Est.
I dittatori - ieri c'era un articolo su Sole 24 Ore - cosa fanno? Non mobilitano il cervello: mobilitano le viscere, le emozioni e gli istinti più brutali, ecc. Ma i dittatori si servono anche della debolezza delle democrazie che è intrinseca delle democrazie, perché è intrinseca anche nel dibattito che facciamo noi stessi, per affermare la loro brutalità; e si servono anche della nostra debolezza, della nostra superiorità morale per poter liquidare in maniera così definitiva quelli che possono essere i residui di una nostra coscienza.
Che cosa è successo, però, in questa guerra? Al di là dei fatti che non so come potranno determinarsi; al di là delle fasi due, delle fasi tre ecc., è però caduta in maniera clamorosa la visione ottocentesca dello Stato sovrano.
Caro Lido, quando facevamo i nostri seminari, dicevamo che il territorio, la sovranità, erano delle variabili su certe cose che provenivano dall'esterno e che ci invadevano; oggi il problema di uno Stato sovrano viene messo in discussione da che cosa? Dall'articolo della Carta dell'ONU in cui si parla dell'ingerenza umanitaria, che è necessaria anche andando contro il tabù degli Stati per avere una ragione su dei conflitti che, pur essendo regionali e locali, possono portare a conseguenze devastanti.
Inoltre, mi pare di ricordare, come ha detto Roberto Rosso, che l'art.
51 della Carta delle Nazioni Unite parli di "uso regolato della forza".
Anche l'art. 11 della Costituzione italiana non rinunzia alla guerra: ripudia la guerra. E anche su questo c'è una differenza semantica che non è assolutamente di poco conto.
Detto questo, e termino, l'ingerenza umanitaria oggi la vediamo dappertutto, e dovremmo forse confrontarci, perché c'è stata nel Rwanda e c'è stata nel Congo. Oggi vediamo che lo stesso Pinochet viene preso e messo in prigione e verrà giudicato domani da un Tribunale della nazione spagnola, mentre solamente pochi anni fa questa stessa azione sarebbe stata veramente una lesione palese del diritto internazionale. Per cui si stanno sconquassando non solamente i confini del mondo, ma anche il rapporto fra gli Stati.
Vorrei terminare dicendo una cosa: noi siamo certamente su una posizione di ricercare l'apertura del negoziato e, pertanto, per la cessazione del conflitto. Pertanto, ci attestiamo sulla mozione presentata dall'amico Riba, sottoscritta da tanti altri e anche dal mio Capogruppo.
Però vorrei dire una cosa, al di là di tutto. Noi siamo per cercare con il Papa, il problema grossissimo della pace: speranza contro speranza.
Questo ci porta qualcosa di ulteriore riflessione.
Io sono un paleo-atlantico; però che oggi gli Stati Uniti siano i gendarmi del mondo, senza nessun contraltare, senza alcuna contromisura non lo accetto, perché l'equilibrio deve essere un equilibrio di forze assolutamente diverse, e non vorrei che questa guerra dei poveri fosse nient'altro che per affermare una supremazia di fatto degli Stati Uniti sul Mediterraneo. Ricordate solamente il problema Ocalan, che io adesso non voglio assolutamente discutere, ma quanto è stata l'azione degli Stati Uniti nei confronti della Turchia, non nei confronti di un diritto di asilo lasciamo perdere! Anche questo non può non avere un grosso significato per quanto concerne una nostra posizione, che deve essere certamente di pacta sunt servanda, come dice il Presidente della Repubblica. Però deve essere - per noi, almeno per me personalmente e certamente per i miei amici, credo per il Partito Popolare come per tutti gli altri - una posizione vicina alle questioni del Papato, a questo Papa che parla non solamente del conflitto della questione della pace, ma anche della questione di un'egemonia che portata dal capitale senza avventura o nella piena totalità di un'avventura senza limiti e senza condizionamenti, porta oggi forse ad avere degli scompensi che non possono essere ulteriormente acquisiti senza un nostro soprassalto di coscienza.
Ho finito. Caro Roberto Rosso, tu questa mattina hai dato una novità la novità di un partito che essendo sempre stato contro il potere centrale oggi lo difende, difende il potere dei serbi, di Belgrado, contro quello dell'etnìa, dei territori periferici, delle regioni, di coloro che vorrebbero, anche sulla base della propria esistenza, salvaguardare il principio di solidarietà.
Io credo nella fermezza delle posizioni che dobbiamo assumere, credo che occorra fare assolutamente tutto quanto dobbiamo fare, proprio perch la nostra natura non è una questione da 8 settembre, caro Presidente Cossiga. Noi non vogliamo iniziare una guerra con un alleato, come dice Montanelli, e terminarla con un altro; non vogliamo cominciare con l'intesa e poi finire con la triplice, però quando noi assumiamo determinate posizioni politiche, che sono posizioni consolidate da parte del popolo italiano dal 1948 ad oggi, cerchiamo di tenerle alte per la dignità con cui dobbiamo difenderle; però cerchiamo anche, nel limite del possibile, nel limite della dignità, nel limite della nostra coscienza, di far sì che queste posizioni non siano solamente un gregarismo politico e morale nei confronti del più forte e nei confronti di chi utilizza la forza per imporre anche una sua visione politica nel mondo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Salerno.



SALERNO Roberto

Presidente, mi trovo un po' in imbarazzo nel sentire alcune considerazioni sull'attacco alla Serbia adducendo diritti internazionali inviolabilità del territorio altrui, ripudio della guerra come strumento della risoluzione delle controversie internazionali.
Mi pare si parli non tanto della Svizzera o dell'Austria, qui si sta parlando di un Paese retto da una sorta di dittatura feroce che ha già represso tutto il tentativo di dissidio a cui si riferiva prima il Consigliere Cavaliere. Già due anni fa Belgrado non riconobbe il risultato delle elezioni comunali. Ci troviamo di fronte ad un dittatore, Milosevic che non solo adesso, ma già da alcuni anni ha perseguito un obiettivo di massacro sistematico degli oppositori alla grande Serbia.
Qualcuno può dire che in effetti l'azione della NATO è impropria perché nessun Paese appartenente alla NATO è stato attaccato, quindi si tratta di un'offensiva che non è prevista nemmeno dallo Statuto della NATO stessa. Si è creato un precedente, che non ha avuto alcun tipo di paragone.
Se i "raid" della NATO in Bosnia, anziché a fine 1994, fossero partiti qualche anno prima, probabilmente decine di migliaia di persone non sarebbero state massacrate. Se ricordate, i massacri della Bosnia cessarono quando partirono i primi "raid" aerei della NATO e fecero paura (necessaria) alle truppe serbe. Ci troviamo di fronte alla stessa situazione; dobbiamo tardare, tergiversare, essere sul punto di decidere qualcosa senza farlo: lasciamo che questi massacri diventino come quelli in Bosnia, oppure evitiamo che muoiano decine di migliaia di persone nella medesima maniera e facciamo i "raid" oggi? Credo che non si ponga nemmeno il problema di decidere cosa sia meglio.
Gli osservatori dell'Unione Europea dichiarano di aver abbandonato i luoghi in cui erano osservatori non per paura loro stessi di cadere sotto i colpi, ma perché assistevano sistematicamente ai massacri. Lo hanno detto gli osservatori dell'OCSE: hanno dovuto abbandonare il territorio perch assistevano sistematicamente, senza poter fare nulla, ai massacri della popolazione civile. Arrivavano le truppe speciali dell'esercito serbo facevano un po' di ordine e poi i soliti plotoni di incappucciati sistemavano le cose alla loro maniera, radunando in un angolo le persone e facendole fuori. Questa situazione non si può in alcun modo paragonare a situazioni di controversia internazionale nelle quali si debba o meno fare ricorso ad un intervento armato. Questo credo sia dovuto e legittimo.
Vorrei sottolineare due aspetti. Non è un conflitto, per quanto riguarda i Paesi della NATO, che si sta verificando a 10/15 mila km di distanza da noi. In linea d'aria siamo a 100 km dal confine di uno dei principali Paesi della NATO e la destabilizzazione che viene portata ai Paesi della NATO, non necessariamente per un fatto militare, è la deportazione sistematica di popolazione. Come sistemare 500 mila persone deportate? E' un fatto che di per sé destabilizza comunque l'equilibrio di qualsiasi Paese che si trova a confinare con una situazione di questo genere.
Vorrei suggerire anch'io una riflessione; leggendo qua e là ho trovato un bellissimo articolo di un Consigliere militare, che diceva che non potrà finire qui. Qualcuno ci chiedeva che cosa sarebbe potuto succedere se l'esercito serbo avesse risposto, se fosse stata coinvolta anche la super potenza che sta dietro, ma pare che la Russia non voglia farsi coinvolgere e che Milosevic prima o poi decida di trattare. Il problema è di questa fase che non ha numero, che è quella dell'occupazione militare del Kosovo perché non ci può essere una pacificazione reale e duratura se non si impone un esercito di occupazione, cioè se non si entra a piedi nel Kosovo.
Ogni pace può essere garantita soltanto se c'è una presenza militare che dirige la questione e viva quotidianamente un confronto che altrimenti sfocerebbe subito dopo di nuovo in un conflitto. E' successo in tutti i Paesi in cui si è fatta un'azione militare, è durata poco e poi ci si è ritirati; è ritornata la guerra civile.
Per il Kosovo si dovrà pensare ad una soluzione duratura nel tempo quindi bisognerà inviare anche truppe di terra. Questione estremamente delicata - diceva questo articolo in modo molto intelligente - quella soluzione e quella fase.
Oltre a dire, quindi, che si approva pienamente questo intervento vorrei sottolineare ancora quale brutta figura il Governo del Presidente D'Alema ci ha fatto nuovamente fare per essere immediatamente pronti a smettere il giorno dopo. Non credo che al Ministro inglese Blair, a Chirac e agli altri Capi di Stato piaccia fare la guerra; io penso che la guerra non piaccia a loro tanto quanto non piace a noi e penso che i medesimi timori e le medesime paure le abbiano Chirac e Blair esattamente come le possiamo avere noi, ma non possiamo fare la solita figura di Pulcinella che il giorno dopo, presi dalla solita finzione di essere Nazione vera e di essere Stato e di avere una politica che abbia un senso, ci facciamo prendere dalle paure e diciamo: "Forse è meglio smettere e cominciamo a ritrattare".
In questa fase, dare questo tipo di dimostrazione significa che non abbiamo quel benché minimo senso di carattere e volontà di paese.
Mi auguro quindi che si vada fino in fondo in questa fase uno, due e tre, come viene stabilito dalla NATO, e si cerchi dopo, in una soluzione che sarà sicuramente più duratura e difficile, di essere altrettanto decisi come si è stati in questa fase.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Papandrea.



PAPANDREA Rocco

La prima considerazione che va fatta riguarda i bombardamenti che mentre stiamo svolgendo questo dibattito, continuano. Proprio questi primi giorni di bombardamenti, di aggressione e di guerra dichiarata nei confronti della Serbia, dimostrano come non è attraverso questa strada che si risolve il problema del Kosovo, perché, come dicevano il Consigliere Cavaliere ed altri che mi hanno preceduto, è avvenuto esattamente il contrario - a parte che gli aerei della NATO bombardano anche il Kosovo en passant.
La seconda considerazione, purtroppo, è che il problema non si risolverà in fretta.
Sulle caratteristiche di questo atto di aggressione già altri si sono pronunciati. Non solo c'è un'incostituzionalità evidente, ma c'è anche un'illegittimità dal punto di vista di ogni istituzione internazionale (da parte della NATO stessa): non viene neanche applicata la Carta della NATO non parliamo di quella dell'ONU. Credo che anche i pretesti, che purtroppo anche qui sono echeggiati e che stanno dietro a questo intervento, siano spesso ipocriti e falsi. Si dice che c'è un popolo che viene oppresso: è vero, non c'è dubbio su questo, non c'è dubbio sul fatto che Milosevic è un dittatore e non c'è dubbio su quanto stanno facendo i serbi in Kosovo.
Questo non è in discussione, però è ipocrita che si forniscano le basi alla NATO che ha tra i suoi membri la Turchia, che da decenni massacra il popolo curdo. Allora, ci sono due pesi e due misure. Nel caso della Turchia non vale, perché è un Paese amico ed è in una zona cruciale in cui ci sono interessi strategici dell'Occidente: lì c'è il petrolio, lì non ci sono più i principi umanitari, lì ci si ferma e prevalgono altri tipi di interessi.
Il Governo italiano, due anni fa, ha mandato il suo Ministro della Difesa di allora in missione in Indonesia, il quale è tornato con un pacchetto molto consistente di ordini per le industrie militari: quelle armi, come si sapeva, servono a massacrare il popolo dell'Isola di Timor.
Anche qui ci sono due pesi e due misure: per gli interessi nostri e sui principi umanitari si può passare. Quanto avviene a Timor non viene trasmesso spesso in televisione, non si vedono quei massacri, ma se uno si vuole informare sa che avvengono, quindi non è che ci si lava la coscienza perché non si vede la televisione; questo avviene comunque. Ripeto: si tratta di argomenti cinici ed usati in modo ipocrita, perché valgono solo se servono a certi interessi o meno; gli interessi in questo caso - l'hanno detto anche altri - sono quelli della superpotenza americana.
In più si dicono cose spesso false: nove anni fa era iniziata una guerra da parte degli Stati Uniti e dell'Inghilterra, se ricordate il problema era il boia Saddam, che era come Hitler e si doveva far fuori a tutti i costi. Sono passati nove anni e Saddam è ancora là, i problemi del popolo iracheno non sono risolti, continuano ad avere quel dittatore. Gli altri problemi collegati, quale il controllo della zona strategica e fondamentale per gli interessi economici, essendo la zona che ha più petrolio, invece sono risolti: c'è un'occupazione importante e stabile, si garantisce quel territorio, però gli argomenti umanitari li abbiamo dimenticati. Poi ogni tanto si fa di nuovo una guerra nei confronti di Saddam, ma la vittima non è Saddam, è il popolo iracheno che maggiormente paga questo prezzo.
Credo che si dovrebbe avere il coraggio di guardare la realtà, dire le cose come stanno e non mascherarsi dietro problemi di natura umanitaria per difendere avventure che hanno tutt'altro segno e tutt'altro interesse alle spalle.
Tra l'altro - lo dicevo inizialmente - credo che questa avventura rischi di essere duratura e di generare effetti molto più gravi di quelli che abbiamo visto finora, proprio perché c'è il rischio che avvenga ciò che paventava il Consigliere Salerno, cioè che si passi ad una fase di intervento militare sul terreno e le conseguenze credo che sarebbero devastanti, con il rischio di coinvolgere in modo molto più pesante altri Paesi d'Europa. Uno degli effetti dei primi giorni è l'intensificazione della conflittualità. Leggiamo tutti come ai confini tra la Bosnia e la Serbia, ai confini con la Croazia, la situazione sia più pericolosa e più drammatica di prima, quindi rischiamo un allargamento e un approfondimento di un conflitto che va evitato a tutti i costi.
Per le ragioni che ho indicato prima, credo che non si debba avere paura di manifestare gesti unilaterali e pesanti in direzione della pace.
Questa guerra non risolve il problema: è una guerra ipocrita che serve interessi che probabilmente verranno fuori in modo più chiaro prossimamente e ha una logica pericolosissima.
Un'ultima considerazione su questa logica. Pensate se noi nei confronti del Tibet ci comportassimo come ci stiamo comportando nei confronti del Kosovo. In realtà, non si può perché la Cina è troppo potente; però pensate se ci fosse qualche patto, se il Presidente Clinton, ad un certo punto, o chi dopo di lui, decidesse di usare la stessa logica nei confronti del Tibet: la ripercussione sarebbe immediatamente una guerra mondiale. Credo che il problema sia cercare altre soluzioni, la guerra non è la soluzione né quando pensiamo che sia giusta né quando pensiamo che sia sbagliata perché gli effetti che ha sono opposti. Ripeto: da questo punto di vista non bisogna avere paura di compiere gesti magari affrettati ed unilaterali.
De Gaulle ci aveva insegnato ad avere gesti di questo tipo, di autonomia nei confronti dell'imperialismo americano, del Governo americano. Credo che nei prossimi giorni rischiamo ancora una volta di essere a rimorchio magari di iniziative che faranno altri. Già oggi pomeriggio sentivo, a fronte di un'iniziativa della Russia, come immediatamente Chirac si sia dimostrato disponibile - l'unico: Chirac, non il Governo italiano.
Tra l'altro, non credo che il nostro Paese abbia poco peso. Il nostro Paese ha un peso enorme, perché le basi che vengono utilizzate sono sul nostro territorio, non sono inglesi! Blair parla molto, fa dichiarazioni ma intanto lui è lassù, le basi utilizzate sono nel nostro Paese, quindi noi abbiamo un ruolo importante.
Noi possiamo negare l'uso del nostro territorio e avere un gesto unilaterale che immediatamente porterebbe ad un blocco dell'aggressione.
Credo che sia esattamente quello che il Governo dovrebbe fare ed è quello che nel nostro ordine del giorno chiediamo.
Chiediamo che il Governo si impegni a farlo rapidissimamente nei prossimi giorni, non solo con dichiarazioni formali, ma assumendo delle decisioni sul nostro territorio dicendo: "Noi ci tiriamo fuori e impediamo l'uso del nostro territorio per un'avventura che rischia di travolgerci tutti".



PRESIDENTE

La parola alla Consigliera Simonetti.



SIMONETTI Laura

Grazie, Presidente. Queste ore e questi giorni drammatici non possono che farci esprimere sdegno, sofferenza e cordoglio a tutte le vittime donne, uomini e tanti bambini - di questa follia, perché questa guerra del Kosovo è una follia, una follia che tocca tutti e distrugge; ogni bomba che cade spezza speranza, sogni e la vita stessa di centinaia di donne, uomini e bambini.
Innanzitutto, credo che il Consiglio regionale, e noi tutti singolarmente, come singole donne, uomini e cittadini, dobbiamo esprimere sdegno verso l'utilizzo della violenza e delle armi, che va comunque condannato - l'uso delle armi come mezzo di risoluzione di conflitti e controversie internazionali va condannato.
Non c'è guerra che possa avere finalità di pace ed è irragionevole pensare che i bombardamenti, la messa in campo di missili e di "raid" aerei, possano rappresentare un mezzo e uno strumento fondamentale finalizzato alla risoluzione pacifica e alla risoluzione di nodi, invece che sono ben più complessi e che riguardano la crisi balcanica.
La crisi dei Balcani è complessa, ha assunto aspetti drammatici e rischia di dilagare velocemente nei tempi in un conflitto armato nel Centro Europa. Rispetto invece alla necessità globale di entrare nella riflessione complessiva della crisi dei Balcani, che tocca nodi politici, etnici e religiosi, si è pensato, viceversa, di iniziare il massacro, lo sterminio e la deportazione di intere popolazioni innocenti e vittime di questa violenza! Questa guerra balcanica si colloca tra la sovranità nazionale ribadita dalla Serbia e il movimento separatista albanese che fa saltare anche l'impianto europeo complessivo, ma, come al solito, rispetto a questa complessità chi ed unicamente ha alzato la voce, ma non solo la voce proprio il tiro, sono stati gli Stati Uniti d'America e con questi la NATO! Quindi, si è partiti dal presupposto che per discutere sostanzialmente con Milosevic fosse necessario partire da posizioni di forza, che si sono concretizzate con i bombardamenti, la messa in campo di missili, i "raid" aerei, gli sconfinamenti militari.
Viceversa, come Comunisti, crediamo che occorra garantire, da un lato l'autonomia dei kosovari e, dall'altro, sia necessario bloccare diplomaticamente, quindi riportare la voce alla diplomazia e alla politica quelle spinte separatiste che possono limitare degli equilibri che già sono stati messi alla prova dai tempi nella stessa Regione del Kosovo.
L'Italia - già altri colleghi sono partiti da questa considerazione dall'articolo costituzionale - ripudia la guerra e l'utilizzo delle armi come mezzo di risoluzione dei conflitti internazionali. Come Comunisti chiediamo - e l'abbiamo fatto anche con una posizione chiara, coraggiosa e precisa all'interno del Governo italiano - un'assunzione di responsabilità alle Nazioni Unite, un'assunzione di responsabilità all'Europa, quindi ai nostri partner europei, all'Italia stessa, quindi al Governo nazionale affinché - subito! - attivamente si adoperi a far tacere le armi e la parola ritorni - come è ovvio che sia - alle fasi di trattativa anche attraverso le risoluzioni diplomatiche. Perché l'Europa - colleghi - non può essere solo l'Europa che lega i Paesi da interessi economici e da politiche monetarie: l'Europa deve alzare la voce ed imporre anche la propria presenza rispetto all'Europa dei popoli, all'affermazione di diritti irrinunciabili ed innegabili a partire dai valori della solidarietà fra i popoli, dell'eguaglianza e della libertà! L'intervento militare della NATO è stato improprio ed irresponsabile.
In questo contesto, come Comunisti Italiani inseriamo la riflessione, che non ci è nuova, di ridiscutere la nostra posizione, la posizione dell'Italia, di chiudere le basi NATO nel territorio italiano e di sciogliere quel Patto atlantico che oggi non ha più motivo di esistere! Perché è un Patto nato su condizioni storiche che oggi non ci sono più; è un patto anacronistico ed antistorico.
La stessa determinazione che c'è stata da parte degli Stati Uniti d'America, della NATO e di altri partner europei, di intervenire attivamente con i propri strumenti e mettendo a disposizione le proprie risorse umane, viceversa non c'è stata - già altri colleghi si riallacciavano a questa riflessione - per la difesa più generale di altri popoli oppressi (pensiamo, ad esempio, al popolo curdo e alla difesa della vita dello stesso Ocalan, oppure alla difesa a noi cara di Silvia Baraldini).
I Comunisti Italiani si sono adoperati e si stanno adoperando anche in queste ore affinché il Governo italiano assuma una posizione precisa, un atto di responsabilità e di coraggio. E' stata approvata una mozione che noi riteniamo significativa a livello parlamentare, comunque riteniamo una premessa la necessità che il Governo italiano non taccia, che rompa il silenzio, perché il silenzio che si protrae diventa anche una complicità rispetto ad azioni e a posizioni che invece devono essere chiare e precise.
Si devono viceversa - questo è il ragionamento che deve coinvolgere anche il Consiglio regionale del Piemonte - sviluppare delle azioni e degli interventi concreti sul territorio di sviluppo e di solidarietà, di fronte al non credo molto lontano arrivo di migliaia di donne e uomini profughi che sono stati violentemente indotti ad abbandonare il loro Paese, le loro terre, le quali sono oggi oggetto di distruzione, una distruzione folle legata ad interessi altri e non certamente agli interessi delle popolazioni vittime innocenti di questo sterminio.
Rispetto a questa situazione urge quindi la necessità di ribadire queste questioni e noi abbiamo anche proposto due ordini del giorno. E' necessario ribadire la necessità che i bombardamenti non possano neppure essere sospesi, ma debbano cessare immediatamente, perché sono il presupposto fondamentale per iniziare una qualsiasi trattativa volta ad una risoluzione pacifica in questa regione, per la salvaguardia dei diritti e della vita di donne e uomini che appartengono ad un popolo.
Occorre ribadire - questo è un appello che credo debba partire anche dal Consiglio regionale del Piemonte - l'affermazione di una cultura della pace; un appello forte alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica, un appello ad una mobilitazione complessiva di tutte le donne e di tutti gli uomini che condividono i valori della pace, che sono valori fondanti della nostra Costituzione. Questo appello non può che partire innanzitutto da coloro che, difendendo i valori della democrazia, assumono anche un ruolo importante da un punto di vista pubblico perché rappresentano gli stessi cittadini. Rifiutando quindi l'utilizzo della violenza, delle armi e dell'arroganza militare, come presupposto e strumento indispensabile per risolvere complessi nodi politici, etnici e religiosi, credo che anche da questo Consiglio debba partire, in relazione all'avvicinarsi del 2000 come anno della pace e rispetto alle ore drammatiche in cui ogni bomba spezza una vita umana, un appello - ripeto - ad una mobilitazione collettiva rispetto alla difesa dei valori che sono fondanti per la nostra vita e per la nostra democrazia, quindi a partire dal valore della pace e della non violenza.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire la Consigliera Cotto; ne ha facoltà.



COTTO Mariangela

Cerco anch'io di partecipare a questa riflessione approfondita su una guerra che si sta combattendo in un Paese a noi molto vicino. Bene ha fatto lei, Presidente, a convocare con urgenza il Comitato di solidarietà per far subito sentire all'esterno la più viva preoccupazione per le perdite di vite umane, per la continua violazione dei diritti umani nel Kosovo e condannare l'uso delle armi come strumento per la risoluzione delle controversie internazionali.
Da mercoledì 24 c.m. i giornali registrano le azioni di guerra pubblicano i pensieri e i commenti di uomini politici e non; raccontano gli ultimi anni di fuoco e di tensione.
Dal 29 maggio 1991, quando la Croazia proclamò lo stato di indipendenza, iniziarono i primi scontri nelle regioni croate abitate dai serbi. Un mese dopo, anche la Slovenia proclamò l'indipendenza e a luglio iniziarono i primi combattimenti tra le forze locali e l'armata federale.
Il 15 settembre 1991, anche la Macedonia proclamò l'indipendenza. Nel 1992 i serbi bosniaci boicottarono il referendum sull'indipendenza e si registrarono i primi scontri tra le tre principali etnìe del Paese. Ad agosto, abbiamo testimonianze sui campi di concentramento serbi. Il 22 gennaio 1993 scattò l'offensiva croata e venne proclamato lo stato di guerra. Ad aprile, l'ONU autorizzò il ricorso alla forza in Bosnia e successivamente, il 26 maggio, l'ONU istituì all'Aja un Tribunale internazionale per i crimini di guerra nell'ex Jugoslavia. Nel 1994 vi fu il primo intervento di aerei NATO. Il 21 novembre 1995 si firmò l'accordo di Dayton, che preservava la sovranità e l'integrità della Bosnia Erzegovina, con capitale Sarajevo, come Stato democratico diviso in due entità: la Federazione croato-musulmana e la Repubblica serba di Bosnia.
Tralascio, perché ne abbiamo parlato in altre sedi, quanto con la collega Bortolin abbiamo visto e sentito in occasione dei nostri incontri in Bosnia, nel quadro del progetto di cooperazione della nostra Regione.
Arrivo alla storia più recente e cioè al 28 febbraio 1998, con l'inizio degli scontri tra serbi ed albanesi nel Kosovo. Il 4 marzo l'esercito di liberazione nel Kosovo risponde ai massacri della polizia serba.
I vari tentativi della politica e della diplomazia internazionale non sono riusciti nel loro intento, perché da parte di Milosevic esisteva la ferma intenzione di continuare a privare ulteriormente la popolazione del Kosovo di qualsiasi diritto.
E' stato ricordato dai Consiglieri Moro, Cavaliere ed altri che, con l'art. 11 della nostra Costituzione, l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa e come mezzo per dirimere le controversie internazionali. E noi ci riconosciamo nella Costituzione, però dobbiamo anche evidenziare che, in virtù dell'appartenenza all'Unione Europea, di cui è uno dei Paesi fondatori, l'Italia accetta di rinunciare in parte alla propria sovranità nel caso in cui sia necessario fare fronte ad interessi di ordine e di importanza sovranazionali.
Il Papa, in occasione della tragedia bosniaca nel 1995, ebbe modo di affermare: "Se per strada il nostro prossimo viene aggredito, è giusto aiutarlo a difendersi". Non possiamo accettare l'indifferenza e l'egoismo tra i nostri principi.
Chiediamo pertanto con forza al Governo italiano di adoperarsi per trovare soluzioni rispettose della storia e del diritto di ogni popolo.
Deve cessare ogni forma di violenza, sia quella causata dalle azioni militari della NATO, sia quella della Federazione Jugoslava contro le popolazioni civili, sia quella causata dalle azioni di guerriglia delle formazioni autonome dei kosovari.
Sono stati presentati diversi ordini del giorno; non ho ancora avuto l'opportunità di visionarli tutti, però annuncio fin d'ora che, se non si dovesse arrivare ad uno-due ordini del giorno, sarei intenzionata a votare favorevolmente per tutte le richieste di pace contenute negli stessi.
Per quanto riguarda l'emergenza profughi, voglio ricordare alla Lega che i profughi non sono clandestini e che il problema dei profughi non deve essere lasciato solo alla gestione delle Prefetture, ma le soluzioni vanno ricercate insieme agli Enti locali, secondo il principio della cooperazione decentrata.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Su questo atto di aggressione, su questa vera azione di guerra non dichiarata, che vede coinvolta l'Italia e che prende di sorpresa tutti noi che - penso unanimi - non ci saremmo mai aspettati qualche mese fa di dover assistere ad attacchi aggressivi verso uno Stato straniero che partono dall'Italia; su questa guerra, sulla quale ci sono opinioni differenti in ordine alla sua legittimità, a proposito della quale il Gruppo dei Comunisti Italiani ritiene di poter dire che trattasi di guerra del tutto illegittima sia rispetto alle norme di diritto internazionale, sia rispetto alle stesse regole della NATO e in più totalmente in violazione dei principi costituzionali di non violenza, di antifascismo, di ripudio della guerra, Costituzione alla quale il Piemonte in particolare, con i suoi cittadini e cittadine, nella lotta antifascista hanno così tanto contribuito: su tutto questo, ci sono opinioni differenti.
Su un fatto dirimente, però, non ci sono opinioni. E il fatto sul quale non si esprimono opinioni, e che è di un'eccezionale gravità, è proprio il perché si fa questa guerra, questa aggressione, senza sapere come se ne viene fuori. Questo è un problema che può aiutare a capire la situazione in cui siamo, perché anche chi sostiene le ragioni che sappiamo sulla necessità, utilità, congruità di questa guerra, anche costoro, alla domanda: "Cosa può succedere dopo l'attacco di aggressione?", rispondono: "Non lo so".
A tale proposito, voglio ricordare la frase detta, all'indomani del primo atto di aggressione, dall'Ambasciatore Sergio Romano, che è persona abile ed intelligente nel divulgare il cinismo di Stato. Alla domanda: "Ma come se ne viene fuori da questa situazione?", ha risposto: "Magari, non se ne viene proprio fuori". Allora, nel giudizio, nelle prese di posizioni politiche su questa guerra, penso che sia molto illuminante questa risposta e che ci possa far capire molte cose. Se si fa un atto di guerra, che anche per bocca di chi lo ritiene necessario - viene riconosciuto come un atto che può non far venir fuori dalla situazione che ha determinato, che è una situazione di destabilizzazione dell'area balcanica, vuol dire che il perché che conta di questa guerra non sono le solite invocazioni a proposito e a sproposito sulle ingerenze umanitarie o sulla volontà di risolvere quello specifico problema. Evidentemente, il perché di questa azione di aggressione sta nel fatto che, comunque vadano le cose, con essa si realizza nel cuore dell'Europa una forte destabilizzazione. Tale azione di aggressione innesca nel cuore dell'Europa una bomba ad orologeria provocando una situazione di grande debolezza ed instabilità Come tutti possiamo vedere, la decisione di portare la guerra nei territori europei sta immeschinendo il ruolo dell'Europa e creando le condizioni per penalizzare anche il ruolo che l'Europa potrebbe avere in futuro. Lo sappiamo tutti, tale situazione è stata innescata in Europa dagli Stati Uniti d'America, che hanno sostenuto l'azione militare, ed è una situazione che piega su se stessa un'Europa costretta a gestire tragiche contraddizioni, ad occuparsi (chissà per quanto, magari anche per molto) delle nuove tragedie che proprio questa aggressione mette in atto.
Il problema, accanto agli aspetti umanitari, che si pongono alla base delle ragioni di tutte le iniziative in corso (tra cui quella forte, a livello del Governo, dei Comunisti Italiani), è quello di fermare la guerra: questa guerra crea altri problemi umanitari, certo non li riduce.
Questa guerra non serve a risolvere il conflitto presente in quell'area conflitto per il quale viene detto, da fonti non sospette, che ciascuna delle due parti in causa ha poche o tante ragioni da accampare.
La guerra va fermata anche per ragioni strategiche di difesa degli interessi italiani ed europei.
Bisogna fermare la guerra oggi per impedire che gli Stati Uniti portino nel cuore dell'Europa una situazione che le impedisca di crescere nell'unità politica di intenti, nella capacità di affrontare essa stessa i problemi ed assurgere a potenza mondiale, con un suo ruolo autonomo ed autorevole.
Se questa guerra non si ferma, se accettiamo che la destabilizzazione balcanica duri a lungo, facciamo sì che gli USA mantengano inviolato per anni il loro ruolo di unica potenza mondiale. Possiamo interpretare cosa sta succedendo proprio in questo modo: in presenza di un'Europa che ha fatto il passo gravoso, ma importante della moneta unica, che ha un prodotto interno lordo complessivamente superiore a quello degli Stati Uniti e intende affacciarsi sulla scena politica e strategica mondiale come forza autonoma ed autorevole, la leadership incontrastata e - aggiungo prepotente che gli Stati Uniti d'America hanno oggi sull'intero mondo verrebbe messa in discussione. Oggi decidono essi da soli dove, come e quando intervenire. Considerato che gli Stati Uniti d'America intervengono a tutela dei propri interessi, penso sia giunto il momento di accorgersi che fermare questa guerra voluta dagli USA significa anche fare un primo passo per affermare un ruolo autonomo dell'Europa.
Da questo punto di vista, noi Comunisti Italiani, oltre a protestare e a dissociarci da questo intervento, abbiamo richiesto con molta chiarezza al Governo di cui facciamo parte di farsi portatore di un atto concreto in direzione del blocco della guerra.
Perché accanto alla protesta che ci aspettiamo cresca non solo nella nostra Italia, ma anche in Europa - e noi ci prodighiamo affinché avvenga protesta che ancora non è arrivata ad un livello sufficiente per avere un peso politico nelle scelte (non c'è una fabbrica che abbia scioperato, non c'è un luogo di lavoro dal quale i lavoratori siano usciti per protestare contro la guerra, anzi, assistiamo ai pic-nic di guerra", scene certo non edificanti di bambini che la domenica pomeriggio ammirano gli aerei che vanno a bombardare le popolazioni del Kosovo e della Jugoslavia), deve crescere un movimento di massa che ripudi questa guerra.
Noi abbiamo ottenuto, ad oggi, che l'Italia abbia assunto, prima dell'inizio delle operazioni di aggressione, all'interno dell'alleanza della NATO, un ruolo di spicco, come il Paese che ha fatto di tutto per evitare l'intervento militare.
Questa non è una dichiarazione di volontà o di semplice propaganda: questi sono i fatti, fatti dimostrabili. L'Italia è l'unico Paese che ha ancora l'Ambasciata aperta in Jugoslavia, l'unico al quale si riconosce il maggior impegno nel tentativo di evitare l'intervento militare. All'Italia si riconosce di aver chiesto con forza la continuazione e la ripresa delle trattative.
Per quanto io sappia, sino al momento dell'aggressione, lo stesso Ministro degli Esteri Dini si è prodigato strenuamente per tentare di evitare l'intervento militare.
Oggi l'Italia, grazie a questa posizione, anche da noi determinata, si propone, ogni giorno di più, come il Paese, all'interno della NATO, capace di mantenere un ponte e far cessare le ostilità, in vista di una ripresa delle trattative. Noi auspichiamo che il Governo D'Alema continui ad operare così come votato dal Parlamento. Noi stessi, per quanto riusciamo a fare, ci prodighiamo in tale direzione: per fortuna non da soli in quanto sappiamo che ci sono anche alte cariche dello Stato del Vaticano che stanno producendo iniziative diplomatiche pacifiste.
Bisogna continuare a lavorare in tale direzione, perché le distruzioni che ogni giorno (ormai si bombarda anche di giorno, non più solo di notte) e, soprattutto, i drammi umanitari determinati da questa aggressione diventano non solo sempre più intollerabili per la coscienza di una persona civile, ma sempre più inutili nel cercare di risolvere un problema che pu essere risolto solo dalla cessazione di questi bombardamenti dall'interposizione di una forza che sia di carattere internazionale, e non una forza di parte, sotto l'egida dell'ONU.
Queste sono le indicazioni del mio Gruppo. Questa è la volontà di impegnarsi, dentro e fuori le istituzioni, con tutte le azioni di governo e democratiche di pronunciamento, come manifestazioni di massa, che possano porre fine ad una situazione tremenda che vede purtroppo coinvolto il nostro Paese.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ghiglia.
Considerato l'argomento, non do limiti di tempo, ma mi rimetto al criterio dell'autoregolamentazione.
Prego, Consigliere Ghiglia.



GHIGLIA Agostino

Grazie, Presidente. Sarò molto più breve di alcuni colleghi che mi hanno preceduto, anche perché non devo fare i salti mortali, partendo da una posizione ideologica e tentando di spiegare perché, nonostante l'ideologia e il cuore, sia poi costretto a sostenere un Governo che fa l'opposto di quelli che sarebbero i miei principi. Quindi, non mi devo servire di sofismi più o meno credibili per cercare di affrontare una discussione che è sicuramente importante, ma che, come tutte le questioni relative ad una guerra, è più di coscienza che di posizione politica. In questi giorni sono rimasto sinceramente turbato e frastornato da questo intervento militare nel Kosovo, perché non so se, come tanti italiani almeno a leggere i sondaggi di questi giorni, l'ho compreso appieno. A leggere i sondaggi, ai quali personalmente non do mai molta credibilità, la maggioranza degli italiani forse non condivide questo intervento militare che è una vera e propria guerra. Il primo punto è proprio questo: se c'è una cosa vergognosa, perché per quanto riguarda la guerra, i morti e le conseguenze drammatiche di un conflitto, ovviamente le considerazioni che si possono fare sono altre, è la posizione che ha assunto il Governo italiano su questa vicenda. Ancora una volta noi siamo l'"Italietta" delle vignette, ancora una volta il Presidente D'Alema e il Governo italiano non hanno avuto il coraggio di prendere una posizione chiara: siamo i soliti italiani, non siamo mai né abbastanza pro né abbastanza contro.
Partecipiamo all'interno della NATO, ma non spariamo; facciamo partire gli aerei dalle basi, ma non sganciano le bombe; siamo a favore dell'intervento, però non mandiamo i soldati. Ecco, se c'è una cosa vergognosa nel panorama internazionale, al di là delle considerazioni sulla guerra, che faccio dopo, è la posizione macchiettistica del Governo italiano; è la solita posizione da barzelletta. Probabilmente, quando all'estero vediamo quelle magliette con tutti i pregi e i difetti degli europei, gli italiani ancora una volta saranno tagliati a metà tra quello che vorrebbero fare e quello che puntualmente non fanno, perché c'è sempre qualcuno che, facendo la voce grossa e minacciando le crisi di Governo impone loro di non fare. Noi non siamo ancora riusciti a capire se il Governo italiano è a favore o no; se è a favore prenda gli aerei, carichi i missili e spari sui serbi; se, viceversa, il Governo italiano è contrario non presti le proprie basi per l'attacco contro la Serbia. La questione è molto semplice, una guerra o si combatte o non si combatte; la guerra non c'è il modo di non farla, se la si fa. Diventa soltanto un artifizio di carattere politico per tentare di salvare una maggioranza. Da questo punto di vista, non capisco, ma non sta neanche a me capire, la posizione dei Comunisti Italiani: "Siamo contro, ma siamo a favore", con una mozione in cui si dice di tutto un po' per consentirsi di stare a favore ancora un po', ma poi bisogna riprendere il dialogo! Ma quando lo riprendiamo il dialogo? Quelli continuano a bombardare, ora dicono che vogliono anche le truppe di terra, come peraltro una guerra prevede, e cosa si aspetta a riprendere il dialogo? Non diciamo bugie: l'Italia è entrata a pieno titolo in un conflitto e il Governo deve avere il coraggio, indipendentemente dalle maggioranze che la sostengono, anche perché il Polo ha già detto che comunque, per quanto riguarda la politica internazionale, è disposto a dare una mano alla maggioranza, di dire chiaramente da che parte sta. Altrimenti, essendo tra l'altro uno dei Paesi più vicini all'area di crisi, sembra che noi non partecipiamo direttamente, ma siamo quelli che comunque possono subire anche i maggiori danni da questo attacco alla Serbia, non dimentichiamolo.
Non è che voglia dimenticare un conflitto in atto nella previsione di quello che potrebbe prevedere l'Italia, ma, come sicuramente molti sanno, i missili "Patriot", i famosi missili intelligenti, sono dislocati lungo tutta la costa pugliese, pronti ad intervenire nei confronti di eventuali missili lanciati contro la nostra nazione. Allora, o stiamo dentro o stiamo fuori.
Questa è la posizione, a mio avviso, vergognosa e macchiettistica, del Governo nazionale di fronte a quella che è senz'altro una tragedia. Certo che dire se si è a favore o contro un conflitto è difficile, anche perch bisognerebbe cercare di farsi un'idea precisa di ciò che avviene nelle aree in cui il conflitto si svolge.
Una domanda che mi sono posto nei giorni passati è: noi sappiamo veramente cosa sta succedendo nel Kosovo? Conosciamo veramente il peso anche numerico, di quello che viene definito genocidio, un'enorme tragedia? Sappiamo quanti sono i morti? Siamo sicuri che ci sia una pulizia etnica in atto? Ricordiamo altre più o meno vere pulizie etniche, sempre in quell'area del mondo, quando c'era la guerra tra croati e serbi, ma poi non c'è stato l'intervento militare, nessuno ha bombardato nessuno. Quanto siamo sicuri? Belgrado espelle i giornalisti, noi abbiamo fonti più o meno informate, più o meno dirette, spesso mediate, spesso fonti che derivano da interpretazioni. Questo è il grave di queste guerre tecnologiche e mass mediatiche, per cui (adesso la CNN non c'è più) veniamo a sapere tutto dalla televisione. Salvo poi andare a leggere, tre o quattro anni dopo quello che è avvenuto veramente. Io, ad esempio, ho letto, alcuni anni fa un libro molto interessante sulla guerra del Golfo, in cui in 356 pagine venivano elencate tutte le storture, le deformazioni e le bugie con le quali gli europei e anche gli americani erano stati quotidianamente bombardati dalla CNN per giustificare quello che era un intervento magari anche condivisibile, come quello del Golfo, ma che era un intervento di cui, bene o male, siamo tutti stati convinti sulla base di notizie che poi si sono rivelate in gran parte fasulle: il numero delle migliaia di morti di iracheni, che non ci sarebbero stati secondo le bombe intelligenti, ma che poi si è scoperto essere diverse migliaia - cito un esempio a caso verificabile a posteriori. Quindi, una guerra che, nonostante sia molto vicina a noi, è anche molto lontana per quanto riguarda le informazioni reali che abbiamo. Certo, se ci dobbiamo basare su quello che sappiamo, è in atto il genocidio di un popolo. Di fronte al genocidio di un popolo non si può non intervenire, su questo non c'è dubbio, però - mi sembra sia già stato richiamato dal collega Rosso - sicuramente né la NATO né l'ONU hanno mai pensato di intervenire con altrettanta forza e convinzione - non sembri una battuta - bombardando la Cina a causa dell'aggressione che dura da quarantasei anni nei confronti del Tibet. Nessuno ha mai bombardato la Cina per questo motivo.
Il Consigliere Rosso diceva: "Nessuno ha mai bombardato la Turchia"; ma nessuno ha mai neanche bombardato l'Irak e l'Iran, che sono corresponsabili dello sterminio quotidiano, del genocidio e della povertà del popolo curdo.
E' chiaro che la Cina è più potente, soprattutto è un grande mercato. La Turchia è l'alleato dell'Occidente. Per quanto riguarda l'Iran, sono un po' fondamendalisti ma, tutto sommato, la Russia si arrabbierebbe troppo.
L'Irak lo abbiamo già bombardato, per il momento lo lasciamo in pace.
Sembra quasi paradossale, ma è così: non sempre ci sono gli stessi pesi e le stesse misure.
Per quanto riguarda il nostro voto, sinceramente non mi sento di dire a titolo personale, che sono a favore di questa guerra perché non la capisco; non mi sono chiare le accelerazioni con cui ci si è arrivati. Non capisco, ad esempio, perché non potesse magari essere preceduta da un blocco totale delle frontiere della Serbia da un punto di vista economico alimentare, medico e farmaceutico; forse li avremmo ridotti in ginocchio in dieci-quindici giorni. Non capisco questa guerra. Sinceramente non posso dire che sono a favore, a titolo personale, ovviamente lasciando al mio Gruppo l'assoluta libertà di voto e di coscienza su questo tema. Non ho elementi sufficienti per dire "sì" o "no" ad un fatto così grave come la guerra e come l'attacco ad una nazione.
Quindi, personalmente, mi asterrò sugli ordini del giorno presentati dalla minoranza, mentre su quello presentato dalla maggioranza (primo firmatario il Consigliere Gallarini) voterò favorevolmente, ma per un motivo diverso, perché non entra, come fanno altri ordini del giorno, nel merito del conflitto, ma si limita ad attivare il Governo ad intraprendere tutte quelle azioni a difesa del diritto e anche all'esistenza dei popoli.
Questo mi sento di votarlo, perché, a questo punto, se veramente ci troviamo di fronte ad un genocidio unilaterale e violento, è nostro dovere intervenire, però senza entrare troppo nel merito di un conflitto che personalmente non capisco, ma che sicuramente (questo lo capisco molto bene) il nostro Governo non ha avuto - come al solito, si potrebbe dire il coraggio di affrontare in maniera seria, univoca e convinta.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Riba.



RIBA Lido

Credo di poter dire, apprezzandolo, che nel nostro Paese mediamente esiste una diffusa posizione e cultura pacifista che, in qualche maniera ispira l'istinto di una nazione che in questo sentimento ripone uno dei fondamenti della propria cultura politica. Per converso, vi sono alcune posizioni di tipo fondamentalmente atlantiste - ma è un termine che ricavo dalla mia cultura parziale. Per noi l'atlantismo ha un significato e un carico molto negativo, ma non è più così, quindi chiedo scusa per l'uso di un termine che non vuol dire niente per gli altri, ma che proveniva da un nostro vocabolario.
Abbiamo fatto bene - ringrazio anche il Presidente Deorsola della convinzione con cui ha aderito, come del resto il collega Gallarini (fra i colleghi della maggioranza è uno dei primi che si è espresso) - a dedicare una mezza giornata del nostro tempo, del nostro dibattito e del nostro impegno politico, per valutare una situazione che definisce profondamente una nuova realtà nella quale il nostro Paese è immerso come in una grande frontiera.
La prima considerazione che vorrei fare è questa: noi siamo il primo partner economico di tutta l'area balcanica, dall'Albania al territorio del Montenegro, del Kosovo, della Slovenia; insomma, tutta l'ex Federazione Jugoslava indica nell'Italia il primo partner economico. Noi non siamo l'Europa dei mercanti, siamo l'Europa dei valori, non possiamo essere un partner che si indirizza con una cultura ristretta e tradizionale, non siamo un partner che va là, si impianta ed organizza qualche operazione, si ritrae, è indifferente o è distinto e distante rispetto alle problematiche che ormai in quel territorio finiscono per essere le tematiche che definiscono, in qualche maniera, drammaticamente, una parte della questione politica dell'Europa - una parte grossa della questione politica dell'Europa.
Da quando - lo ricordava la Consigliera Cotto - è crollata la Federazione Jugoslava, noi forse non abbiamo colto come l'operazione (una delle pochissime fatta bene) in qualche maniera non si era radicata, non aveva retto a tutte le conseguenze di destabilizzazione che erano tipiche di un'area in cui le culture, le religioni, le sensibilità e gli interessi si intrecciano in maniera tale da aver reso opportuna una federazione unitaria nella quale tutto l'insieme delle questioni in qualche maniera si componeva con una sua organicità. Non è rimasto così, la situazione probabilmente non è definita. Chi segue queste vicende - in questi giorni lo facciamo tutti, io in modo assolutamente dilettantesco - sa che si parla di una situazione esplosiva nel Montenegro, perché diventa l'esplosione delle piccole patrie. Si sa che i nazionalismi sono uno di quegli elementi che si sono dimostrati dirimenti nel convalidare sentimenti di alleanza tra padri padroni e popoli. Vorrei citare per tutti, senza scomodare, con una definizione, Milosevic, che non mi va di definire, perché ci sono tante passioni e sentimenti antichi nei confronti dei personaggi, ma tutti ricordano che il generale Galtieri, il successore di Videla, ebbe un periodo di vita trionfale con l'occupazione delle Malvinas fintanto che non arrivarono gli inglesi e a quel punto cessò anche il regime, perché questi elementi di escalation dimostrano una situazione giunta al limite, quasi da autunno del patriarca, di elementi che tendono a non potersi più alimentare.
La situazione balcanica pone pienamente il nodo della tutela delle minoranze e dei diritti religiosi, culturali, storici dei popoli nella misura in cui i popoli da soli non riescono ad assemblarsi in un'operazione di tipo federale, che in modo lungimirante è stata compiuta e che poi si è dissolta.
Noi non possiamo avere una posizione, oggi, di aprioristico giudizio favorevole o sfavorevole al comportamento del Governo italiano. Leggevo in questi giorni che Eugenio Scalfari, giornalista critico in genere, da sinistra, da posizioni radicali qualche volta nei confronti dell'area di Governo, considerava con molto rilievo - lo vorrei riportare, non so quanto sia condivisa l'espressione - che il Presidente D'Alema aveva usato delle espressioni tanto inconsuete quanto efficaci ed interessanti per definire una situazione politica, avendo nel suo discorso più volte ripetuto i termini "angoscia" ed "angosciati".
E' così, io non vedo come ci possa essere il trionfo di una cultura che dice "avete visto" o quell'altra che dice "l'avevamo detto". No, è proprio una situazione di uno Stato, l'Italia, che ce l'ha messa tutta, ma non so se con lungimiranza o certe volte con una rinuncia, come abbiamo fatto tante altre volte, lasciando andare situazioni di svendita di posizioni economiche ed altro, ma l'Italia ha sempre cercato di ritirarsi da queste posizioni. Non ci interessa. Cerchiamo di farci piccoli di fronte a questo.
Ebbene, è cambiato anche il senso. L'Europa, in qualche maniera, potrà crescere e diventare un soggetto che si può sostituire con una cultura migliore, questo lo dico, rispetto all'atlantismo, chiamiamolo così, della cultura yankee, ma se l'Europa accetta di crescere vuol dire anche accetta anche di assumersi delle grandi responsabilità e dei grandi rischi! E vuol dire anche uscire da posizioni tradizionali e precostituite! Non si tratta di dire se il Governo ha fatto bene, ha fatto poco poteva fare di più, vive un suo imbarazzo, non vive il suo imbarazzo. E' sicuro che il termine "angoscia" è un termine che risponde ad un sentimento diffuso, credo non soltanto del Governo, ma anche nostro.
Detto questo, non possiamo essere la Croce Rossa dell'Europa o quelli che creano lo spazio per i profughi: "Venite qui che vi assistiamo!".
Questa è la prima cosa - intendiamoci - sotto il profilo umano, lo diceva bene il collega Saitta e forse nel nostro ordine del giorno bisogna accentuare maggiormente questa situazione della nostra sensibilità. Per uno Stato come il nostro che, rispetto ai Balcani, è il primo partner economico, non può diventarne la Croce Rossa, la retrovia della San Vincenzo, con tutto il rispetto per l'una e per l'altra. Rispetto ai Balcani dobbiamo avere una capacità di valutazione.
Insieme al Consigliere Picchioni, che ha fatto un ottimo intervento (è sempre importante per il Consiglio sentire svolgere degli argomenti con un taglio e una qualità culturale significativa), e a Carla Spagnuolo abbiamo discusso, lo ricordo bene, sulla questione della sovranità limitata e della non sovranità limitata.
Ora, ai compagni di sinistra, vorrei ricordare - perché così lo ricordo a me stesso, sono io che devo vivere tanti elementi di una transizione che la teoria della sovranità limitata era una teoria naturalmente d'altri tempi ed è una teoria rigettata e finita, ma è anche vero che il principio oggi, della sovranità - usiamo un termine volutamente provocatorio limitata, intesa come possibilità di collocare a fondamento delle convivenze ultranazionali, ultraetniche, dei valori universali, l'abbiamo qui di fronte come interrogativo. Lo vogliamo assumere, non lo vogliamo assumere, si pone o non si pone? Certo che si pone! Posso capire quando i rumori delle questioni ci giungono da lontano come dall'Africa e credo che sia angosciante che un milione di individui siano morti nella guerra africana senza che né l'ONU né altri intervenissero per una mancanza di interessi immediati e di capacità e contiguità. Quando però non si tratta più di rumori, ma si tratta di questioni, anche volendo evitare, non si può.
E' del tutto evidente che rispetto all'area balcanica siamo nella condizione di chiarire se è nostra intenzione tutelare, non in una situazione astratta, ma in una situazione reale, dove concretamente i principi dell'autonomia, delle libertà civili, del diritto all'identità ecc., sono calpestate, ma in termini che riguardano un'epoca politica. Se decidiamo che si tratta di una questione che si può assumere con le armi spuntate del pacifismo o si debba assumere non con le armi violente della guerra - su questo sono d'accordo con i colleghi che l'hanno detto - ma con le armi determinate della politica, si tratterà di stabilire se è vero che la guerra è il prolungamento della politica: preferirei che la politica fosse l'accorciamento della guerra. Non ci piove su queste nostre convinzioni. E non siamo neanche sicuri che l'esercizio dell'intervento possa produrre dei risultati significativi in tempi brevi, però si pu riportare in un ambito politico come il nostro il fatto che non si stanno evidentemente muovendo gli strumenti militari senza fare in modo che si muovano quelli politici. Se posso ricordare anche l'azione vaticana, che peraltro è un'azione fortemente impegnata dal fatto che si tratta anche di un conflitto tra religioni o di una convivenza tra religioni in quell'area sappiamo che molte sono le diplomazie in movimento e che molte sono le attese nei confronti di un esito che, in qualche maniera, dimostri che l'azione delle sovranità contermini non è un'azione puramente declamatoria.
Il Governo quindi si è mosso all'interno di una situazione assolutamente imprescindibile, mi pare in un quadro di ragionamenti assolutamente ispirati al principio della priorità della politica, della priorità della pace, del carattere del tutto sussidiario dell'iniziativa militare, però assumendo una posizione dalla quale non ci potevamo e non ci possiamo più chiamare fuori, che era quella dell'uso dell'unico strumento che appare.
Per quelli che hanno letto - io molto sommariamente - si sa che gli accordi di Rambouillet garantivano assolutamente alla Serbia l'integrità territoriale, garantivano la presenza di una forza di interposizione sostanzialmente fatta da Paesi amici e garantivano in qualche maniera che ci fosse un ritorno all'autonomia che, peraltro, era quella goduta fino al 1989 dalle popolazioni kosovare.
Su questo terreno il Governo italiano fa bene a muoversi e a non demordere.
Gli ordini del giorno presentati in questa direzione precisano ed indicano che noi non condanniamo i bombardamenti, ma riteniamo che bisogna considerarli quell'elemento di carattere sussidiario, aggiuntivo e che bisogna passare allo strumento della trattativa. Sappiamo che il Governo lo sta facendo. Tuttavia, in conclusione voglio rispondere con una domanda retorica: cambierebbe qualcosa se il Governo italiano si rendesse neutrale rispetto a questa situazione? Sicuramente cambierebbe parecchio: farebbero lo stesso i bombardamenti, ma l'Italia uscirebbe dalla NATO e farebbe altre cose. Ce la sentiamo di rigettare fino in fondo il principio dell'ingerenza per la tutela dei diritti e per le esigenze di carattere umanitario? E' una domanda che sicuramente ci impegna su una direzione diversa.
Ad un'altra risposta, collega Papandrea, sono d'accordo di doverci porre molta attenzione. Quando dici - e hai ragione: ma perché qui sì e che ne so, nel Kurdistan no? E' certo che l'intervento della NATO è uno strumento quanto mai iniquo e grossolano! Non è nemmeno quello definitivo siamo completamente d'accordo! Quanto mai informato al fatto che ci saranno da questo punto di vista, rispetto ad una alleanza militare, amici e nemici. Questo è un punto sicuramente assodato; dall'altra parte, le Nazioni Unite finiscono per diventare il regno della declamazione con il diritto di veto da una parte e dall'altra.
Noi siamo usciti dall'equilibrio basato sulla forza dei due blocchi, ma nessuno di noi ritiene di poter dire che l'equilibrio basato sulla forza dei due blocchi era di grande tutela dei soggetti interclusi all'interno dei blocchi, altrimenti non ci spiegheremmo l'Ungheria del 1956, la Cecoslovacchia del 1968, o non ci spiegheremo Pinochet e tutta la politica sudamericana. E' chiaro che viviamo lontano ormai da questa fase storica bisogna quindi riapprontare gli altri strumenti.
Ritengo ed auspico che l'azione dell'Italia (tra l'altro - lo dico per i più preoccupati - riconosciuta anche dalla Serbia, che infatti non ha rotto i rapporti diplomatici, conferendole in qualche maniera un ruolo di partner economico, di soggetto più impegnato, contiguo nell'area geografica) sia accompagnata da una posizione più significativa all'interno della NATO, affinché ne indirizzi la traiettoria ed indichi posizioni che vadano più nella direzione del sentimento, della cultura, delle idee e dell'indirizzo politico che il popolo italiano desidera. Mi sembra che, in questo momento, il Governo si stia esattamente comportando sulla base dell'assunzione di questi elementi, lungo la traiettoria di queste valutazioni.
Non si tratta né di aderire né di sabotare; si tratta di avere, su tale questione, una linea di politica internazionale, a cui deve contribuire con tutta l'autorità di cui gode, anche l'istituto del Consiglio regionale.
A tale proposito, mi sembra che i colleghi Saitta e Spagnuolo, i colleghi di Rinnovamento Italiano, la collega Bortolin abbiano firmato l'ordine del giorno; credo si possano aggiungere anche altre posizioni diciamo del centrosinistra, e mi spiace che, in questo caso, non si possa allargare a tutta l'area della sinistra.
Pur apprezzando gli interventi che sono stati fatti, ritengo anch'io che l'ordine del giorno della maggioranza abbia, in qualche maniera, un aspetto un po' elusivo circa la profondità del problema. Non dico sia un documento con elementi irricevibili, ma se questa valutazione fosse formulata dai Consiglieri regionali del Piemonte, la democrazia governante dello Stato italiano farebbe un passo avanti, senza atteggiamenti di superficialità o di considerazione rapida ed elusiva di chi protesta e manifesta contro la guerra.
Siamo tutti indistintamente contro la guerra, ma la linea di politica internazionale che in questo momento sta seguendo il Governo ci sembra improntata al massimo di efficacia e ad una prospettiva di rafforzamento del ruolo del nostro Paese.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Gallarini.



GALLARINI Pier Luigi

Per brevità, e per consentire la chiusura del dibattito, informo che il collega Angeleri mi ha pregato di esprimere anche la sua posizione; avendo firmato assieme l'ordine del giorno, penso non sia presunzione, da parte mia, ritenere di poterlo fare.
Noi abbiamo predisposto un ordine del giorno sul quale, pur condividendo le angosce espresse da altri, dal punto di vista politico non possiamo concordare con i giudizi emessi. Il collega Riba dice: "E' un ordine del giorno che non affronta la questione in profondità".
Noi riteniamo, invece, che il nostro documento affronti la questione con profondità e serietà. Quando diciamo che, sostanzialmente, condividiamo la posizione della NATO, ritenendo che il Governo italiano non potesse sottrarsi dall'assumere la stessa posizione dell'alleanza di cui fa parte (se non a costo di uscire dalla NATO), è perché riteniamo che, in questo momento storico, un Paese come il nostro, per motivi economici o per la sua posizione geografica, non possa ignorare il fatto che, a pochi chilometri dalle sue coste, si sta verificando quanto tutti sappiamo.
Certo, ci sono le ragioni umanitarie, ma noi riteniamo che, in modo non ipocrita, occorra anche pensare alle ragioni politico-strategiche. Non si può ignorare il fatto che la NATO, da quando è stata istituita, ha subìto una metamorfosi. Fino al crollo del muro di Berlino aveva una certa funzione storica; oggi, dopo quell'evento, ne ha un'altra.
Prossimamente ricorrerà il cinquantesimo anniversario dell'istituzione della NATO. Ritengo che tutti i Paesi membri dovranno riconsiderare il modo d'essere dell'alleanza: nata come alleanza difensiva contrapposta al blocco ex sovietico, è ovvio che, dopo la caduta del muro di Berlino e la disintegrazione dell'Unione Sovietica, la NATO debba assumere ruoli diversi. Tuttavia, gli Stati Uniti e l'Europa non possono ignorare che, con il verificarsi di determinati fenomeni dalla Russia ai Balcani, intorno all'Europa occidentale è presente un cordone protettivo. Non a caso l'Ungheria e la Polonia hanno aderito alla NATO ed altre nazioni del blocco ex sovietico intendono farne parte.
L'Europa occidentale non può estraniarsi, ma deve guardare con interesse ai fenomeni che si verificano dentro l'area che si estende dalla Russia ai Balcani, al Medio Oriente. E' un'area delimitata da una ben precisa linea demarcativa. Stando così le cose, penso che l'intervento inteso non come "fine", ma come "mezzo" per costringere la Serbia alla trattativa, sia da condividere.
Quanto all'approccio umano, la guerra è angosciante per tutti, e a tutti pone dei quesiti esistenziali: umanamente, non esistono guerre giustificabili. Riteniamo, però, che dal punto di vista politico strategico, l'intervento andasse fatto: dopo aver esperito tutti i tentativi (Rambouillet è stato la punta dell'iceberg), si è visto che non esistevano ragioni da far intendere.
Qualcuno poc'anzi ha detto: "L'Europa con questo intervento dimostra di essere debole, di essere succube degli Stati Uniti". Noi riteniamo che l'Europa abbia altrettanti interessi quanto quelli degli Stati Uniti. Prima ancora di questo intervento, l'abbiamo vissuto tutti: l'Euro è stato svalutato del 20% rispetto al cambio iniziale. Cos'è se non un indice chiarissimo di debolezza economica e, ancora di più, politica? Allora, se si vuol crescere, se si vuole che questa debolezza economica e politica si trasformi in maggiore autorevolezza, penso che l'iniziativa della NATO, e la presenza in essa dell'Italia, sia il mezzo per indurre la Serbia alla trattativa, un mezzo che noi dobbiamo condividere.
Per quanto riguarda il Governo centrale, presieduto dall'on. D'Alema la nostra posizione è la seguente. E' apprezzabile quello che l'on.
D'Alema, come Presidente del Consiglio, ha detto in aula, come è apprezzabile quanto si sta facendo. Il fornire delle basi, anche se gli aerei non portano la bandiera italiana e i piloti non sono di nazionalità italiana, significa comunque partecipare a tutti gli effetti all'alleanza condividere in pieno l'azione militare in corso.
Non condividiamo, invece, o comunque giudichiamo (come diceva il collega Ghiglia) di basso profilo la mozione approvata in Parlamento, che dice all'on. D'Alema quel che dovrebbe fare. Quella mozione è il "festival" degli equivoci e dell'ipocrisia, perché contempera uno spettro di posizioni più o meno inconciliabili le une con le altre.
La crisi in corso ha messo in evidenza il fatto che, su questioni strategiche, di politica internazionale, l'alleanza al Governo fa acqua da tutte le parti, presumendo di poter conciliare il diavolo e l'acqua santa.
Le considerazioni che desideravamo fare erano queste. L'ordine del giorno, avendolo proposto, ovviamente lo votiamo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Peano.



PEANO Piergiorgio

Aggiungo soltanto alcune brevissime riflessioni a quanto il mio Capogruppo ha detto.
Mi pare che lo stesso sentimento di sconforto e di angoscia che il Parlamento ha avuto nel dibattito dei giorni scorsi sull'intervento dell'Italia in questa guerra, permanga anche in noi.
Tutti quanti siamo angosciati dall'avvenimento che ha accomunato tutte le forze politiche: nessuna forza politica si è estraniata. Le immagini televisive, i dibattiti, le notizie sui giornali e tutto quanto avviene in Italia, con voce e coralità magari un pochino diverse, ci hanno accomunati tutti.
Tutti quanti credo, al di là delle visioni che possono essere ancora diversificate, abbiamo assunto un grande senso di responsabilità. Il problema umanitario ha superato tutte le nostre riflessioni. Abbiamo visto un popolo inerme, un popolo combattuto, abbiamo visto un genocidio, una grossa tragedia: ci siamo accomunati all'angoscia e alla sofferenza di tanti.
Vorrei presentare alcune brevi riflessioni sul dibattito, che hanno posto in me alcune domande, che mi pongo sempre di fronte alle guerre che avvengono nel mondo, ma oggi la guerra è molto vicina ai nostri confini.
Intanto credo che ripudiare o rinunciare alla guerra - la guerra è guerra - sia molto difficile. Non vorrei ripercorrere il dibattito di qualche anno fa, nel 1992, per la guerra del Golfo. Il dibattito allora verteva su "guerra giusta o guerra ingiusta"; dibattito che ci vide impreparati.
In questi giorni i "pic-nic di guerra", ricordati dal Consigliere Chiezzi, ci hanno fatto riflettere.
Il ricorso alle armi è sempre una sconfitta dell'uomo, è sempre l'ultima possibilità. Continua ancora oggi il commercio delle armi un'economia delle armi: tutto questo deve farci riflettere.
La sconfitta di Milosovic, che con le armi tenta di impadronirsi di un popolo, di terre e di perpetuare una grossa tragedia nel Kosovo, è anche la sconfitta di tutto l'Occidente.
E' innegabile che l'intervento avvenuto, senza il mandato pieno dell'ONU, ha fortemente indebolito questo organismo di estrema importanza per il quale dovremmo ricostruire un nuovo assetto. Qualcuno ricordava che l'area balcanica è un'area forte in questa Europa. E' un'area che si pone oggi non più ai confini, ma al centro dell'Europa stessa.
Quale ragionamento ha fatto l'Europa in questi anni per impedire che altri Stati, che altre situazioni entrassero all'interno della stessa? Uno dei drammi di queste ore è che tutti quanti creiamo in qualche modo, con i nostri comportamenti, con i nostri dibattiti, la cultura della giustificazione; cerchiamo in qualche modo di giustificare un intervento.
La crisi dei Balcani è una crisi complessa, estremamente complessa come è emerso in molti interventi.
L'intervista del giocatore della Juventus, rientrato in Italia in queste ore, ci ha dimostrato come egli portasse alto l'orgoglio della Serbia. Mi domando fino a quando questo orgoglio riuscirà ancora ad essere un orgoglio in grado di invadere il mondo, creare cultura della guerra e così via.
Qualche tempo fa ho letto un libro molto semplice di Collins, sul testamento di un ebreo scritto durante la guerra nel ghetto di Varsavia.
Negli ultimi giorni di vita, quell'ebreo scrisse il testamento rivolgendosi a Dio; lo mise in una bottiglia sperando che qualcuno lo trovasse. Era ormai giunto agli ultimi giorni della sua vita. Nel suo testamento riportava una frase che mi ha fatto pensare. Riferendosi ad Hitler scrisse: "Non mi sento di odiarlo; è figlio di questa società; è l'attento interprete di questo tempo".
Milosevic è frutto di questa democrazia, se i dittatori di oggi crescono è perché questa democrazia ancora lo consente. Forse dobbiamo riflettere tutti quanti sulla società civile, sui comportamenti politici e sui comportamenti internazionali.



PRESIDENTE

Sono stati presentati altri ordini del giorno rispetto a quelli annunciati. Si tratta degli ordini del giorno n. 968 e n. 969. Mi pare che non ci siano le condizioni per giungere ad un unico ordine del giorno.
Sospendo la seduta per cinque minuti, come richiesto dal Consigliere Riba.



(La seduta, sospesa alle ore 18,09 riprende alle ore 18,19)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
Passiamo alla votazione dei vari ordini del giorno.
Pongo dapprima in votazione l'ordine del giorno n. 959 ("Pericolo di attacchi aerei nella zona balcanica"), presentato dai Consiglieri Chiezzi e Simonetti, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte rilevato che gli sviluppi della crisi dei Balcani hanno assunto aspetti drammatici, con il pericolo del dilagare di un conflitto armato nel centro dell'Europa considerato che un intervento dell'Europa, pure indispensabile per fermare i massacri, non può essere sostituito da un'azione della NATO che per sua natura e per il ruolo che le è conferito, non ha legittimazioni per operazioni di questa natura considerato che sul punto non è intervenuta alcuna risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, la cui convocazione è stata pure richiesta dalla Russia e dalla Cina, membri permanenti con diritto di veto convinto del fatto che bombardamenti o lanci di missili sulla Serbia costituiscano azioni di guerra che la nostra Costituzione non ammette come risoluzioni delle controversie internazionali preoccupato dalla considerazione che l'estendersi di un conflitto possa concretamente determinare rischi anche per le popolazioni civili del nostro Paese impegna la Giunta regionale a farsi carico di attivare presso il Governo, attraverso gli organi legislativamente deputati a finalità di scambio e contatto tra Stato e Regioni, motivazioni che spingano ad intraprendere tutte le iniziative rivolte a mantenere la pace attraverso una risoluzione diplomatica della crisi e a non consentire l'impiego di mezzi e di forze militari italiani in azioni di guerra".
Ha chiesto la parola la Consigliera Bortolin per dichiarazione di voto ne ha facoltà.



BORTOLIN Silvana

Non partecipo al voto perché questo ordine del giorno è superato, è intitolato "Pericolo di attacchi aerei nella zona balcanica" ed è stato presentato il 24 marzo, per cui è superato dagli ordini del giorno successivi presentati dallo stesso Gruppo.



PRESIDENTE

Se non viene ritirato non posso dichiararlo superato d'ufficio.
Consigliere Chiezzi, ritiene di conservarlo?



CHIEZZI Giuseppe

Lo mantengo.



PRESIDENTE

Indìco quindi la votazione nominale, mediante procedimento elettronico su tale documento.
L'esito della votazione è il seguente: presenti 39 votanti 26 hanno votato SI' 3 Consiglieri hanno votato NO 21 Consiglieri si sono astenuti 2 Consiglieri non hanno partecipato alla votazione 13 Consiglieri L'ordine del giorno è respinto.
Pongo ora in votazione l'ordine del giorno n. 960 ("No alla guerra americana contro la Federazione Jugoslava"), presentato dai Consiglieri Papandrea e Moro, il cui testo recita: "Appreso che in queste ore si sta scatenando un massiccio attacco aereo da parte della NATO contro la Federazione Jugoslava ed in particolare contro Belgrado la decisione unilaterale della NATO di attaccare la Federazione Jugoslava con il preoccupante silenzio delle Nazioni Unite è una scelta avventuristica e sbagliata che rischia di estendere il conflitto e di rompere i già deboli rapporti internazionali così come sta avvenendo con la Federazione Russa i bombardamenti rischiano solo di mietere vittime innocenti tra civili donne, bambini ed anziani e certamente non incoraggia chi era teso al raggiungimento di un accordo di pace a garanzia di entrambi le parti appurato che il Governo italiano, capeggiato dal 'leader' del più grande partito della sinistra italiana e sostenuto da forze cattolico-moderate, si è dimostrato incapace di svolgere una politica di pace ed ora in ossequio al vincolo con la NATO partecipa alla guerra tutte le basi NATO in Italia sono diventate l'avamposto militare di una forza offensiva di guerra in aperto contrasto con la nostra Costituzione che la ripudia - mettendo a rischio le popolazioni locali da eventuali ritorsioni militari jugoslave nelle zone di confine e sulle coste pugliesi certo che il ruolo di polizia internazionale svolto dagli Stati Uniti si disvela al mondo come portatore armato di interessi economici e politici da forza imperialista che nulla ha a che fare con la garanzia del rispetto della pace nel mondo venuto a conoscenza che la Turchia sta partecipando all'operazione di bombardamento con gli stessi aerei utilizzati per reprimere le rivendicazioni delle popolazioni del Kurdistan tutto ciò premesso, il Consiglio regionale del Piemonte chiede al Governo italiano di intervenire per sospendere ogni azione militare di aggressione nei confronti della Federazione Jugoslava di impedire l'uso delle basi aeree e navali sul territorio italiano come elemento di offesa nei confronti delle popolazioni jugoslave di intervenire insieme agli altri Paesi contrari all'uso delle armi per risolvere la contesa aperta nel Kosovo, in sede ONU ridando legittimità e ruolo a tale organismo mondiale invia a tutte le popolazioni jugoslave, coinvolte nella guerra e barbaramente colpite dai bombardamenti della NATO, un messaggio di pace e di solidarietà impegna il Presidente e la Giunta a manifestare in ogni sede istituzionale e politica il proprio dissenso all'azione militare della NATO e alla guerra".
Come richiesto, si proceda alla votazione per appello nominale.



(Il Consigliere Segretario Toselli effettua l'appello nominale)



PRESIDENTE

L'esito della votazione è il seguente: presenti 42 votanti 38 hanno risposto SI' 4 Consiglieri hanno risposto NO 32 Consiglieri si sono astenuti 2 Consiglieri non hanno partecipato alla votazione 4 Consiglieri L'ordine del giorno è respinto.
Pongo ora in votazione l'ordine del giorno n. 963 ("Bombardamenti NATO contro la Serbia"), presentato dal Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

E' ritirato.



PRESIDENTE

L'ordine del giorno n. 963 è pertanto ritirato dal proponente.
Pongo quindi in votazione l'ordine del giorno n. 964 ("Bombardamenti NATO contro la Serbia"), presentato dai Consiglieri Rosso e Dutto, il cui testo recita: "Premesso che da ieri sera le forze armate della NATO stanno bombardando il territorio della Federazione Jugoslava, in esecuzione dell'ordine di attacco emanato dal Segretario Generale dell'Alleanza Atlantica il 23 marzo u.s.
i bombardamenti della NATO stanno cagionando morti, feriti e distruzioni nel territorio Serbo e kosovaro, grazie anche al contributo diretto ed indiretto dell'Italia alle operazioni militari l'offensiva aerea contro la Serbia, in assenza di un mandato delle Nazioni Unite e contro la volontà della Russia e della Cina, rischia di provocare gravissimi effetti sia sotto il profilo del rispetto della legalità internazionale, sia per le prospettive della sicurezza europea considerato l'evidente difetto di progetto politico a monte della decisione dell'Alleanza Atlantica di procedere all'effettuazione di una massiccia tornata di 'raid' aerei e missilistici contro il territorio serbo che, al di sotto dell'apparente unanimità dei Paesi membri della NATO, vi sia, in realtà, una vasta gamma di posizioni e sfumature politiche e che in particolare, vi siano Stati che abbiano già apertamente dichiarato di non partecipare attivamente alle operazioni, come l'Ungheria e l'Austria che il Governo della Federazione Jugoslava ha dichiarato lo stato di guerra nei confronti degli Stati aderenti alla NATO che partecipano direttamente od indirettamente, all'offensiva militare, fra cui l'Italia che l'art. 11 della Costituzione dispone che 'L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali' tutto ciò premesso, il Consiglio regionale del Piemonte impegna il Presidente on. Enzo Ghigo e la Giunta regionale: a) ad attivarsi fattivamente avanti al Governo italiano affinché: sia riconsiderata la posizione dell'Italia in seno all'Alleanza Atlantica in rapporto alla politica decisa nei confronti della Federazione Jugoslava anche alla luce della reazione ostile della Federazione Russa si agisca in tutte le sedi internazionali per evitare che la NATO si trasformi unilateralmente in una sorta di gendarme del mondo siano negati alle unità aeree e navali dell'Alleanza Atlantica i supporti necessari alla conduzione e prosecuzione dell'offensiva militare decisa a Bruxelles, a partire dall'uso delle basi già da tempo occupate dai velivoli delle potenze della NATO, già foriero di gravi incidenti in tempo di pace non sia offerta alla NATO la disponibilità di proprie unità aeree, navali e terrestri nel quadro dello svolgimento di operazioni offensive dirette contro il suolo della Federazione Jugoslava b) ad esprimere la propria solidarietà nei confronti delle popolazioni civili residenti nel territorio della Federazione Jugoslava, i cui interessi non sembrano essere stati adeguatamente ponderati dalla diplomazia internazionale c) ad esprimere, in ogni sede istituzionale politica, nazionale ed internazionale, il proprio dissenso all'azione militare della NATO avverso alla Federazione Jugoslava d) a condannare l'uso della guerra, da parte della NATO, come strumento di offesa alla libertà dei popoli serbi e kosovari e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".
Chiederei ancora la cortesia ai colleghi di restare ai propri posti perché probabilmente c'è la possibilità di utilizzare di nuovo il sistema elettronico. Ve lo chiedo per cortesia, in modo che ci siano le condizioni per effettuare la votazione.
Ricordo che consentirò alcuni secondi per l'espressione del voto.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, su tale documento.



(Interventi fuori microfono di alcuni Consiglieri, che esprimono dissenso)



PRESIDENTE

Se ci sono dei disguidi, io non sono responsabile. Se ci sono delle difficoltà tecniche, ripetiamo la votazione.



(Interventi fuori microfono di alcuni Consiglieri)



PRESIDENTE

Ho detto trenta secondi, dobbiamo considerarla chiusa, non è che posso...



(Interventi fuori microfono di alcuni Consiglieri)



PRESIDENTE

Per cortesia! Scusate, ho chiesto: "Il sistema funziona?". Mi è stato detto di sì. Se ci sono delle contestazioni, vuol dire che il sistema non funziona.



(Interventi fuori microfono di alcuni Consiglieri)



PRESIDENTE

Il problema è serio, non...



(Interventi fuori microfono di alcuni Consiglieri)



PRESIDENTE

Per cortesia, non passiamo a facili battute.
Ci sono Consiglieri che ritengono di non aver potuto esprimere la votazione?



(Interventi fuori microfono di alcuni Consiglieri)



PRESIDENTE

Credo che, per questa sera, del sistema elettronico ne abbiamo a sufficienza, non lo ritengo affidabile.
Passiamo alla votazione per appello nominale. Avendo alcuni Consiglieri espresso il dubbio che il sistema funzioni, non posso essere sicuro che i nomi usciti siano affidabili.



(Intervento fuori microfono del Consigliere Montabone)



PRESIDENTE

Si proceda pertanto alla votazione dell'ordine del giorno n. 964 per appello nominale.



(Il Consigliere Segretario Toselli effettua l'appello nominale)



PRESIDENTE

L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 43 hanno risposto SI' 4 Consiglieri hanno risposto NO 36 Consiglieri si sono astenuti 3 Consiglieri L'ordine del giorno è respinto.
Passiamo alla votazione dell'ordine del giorno n. 966 ("Situazione nella regione balcanica del Kosovo"), presentato dai Consiglieri Cavaliere e Benso, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte constatata la grave situazione che insiste da oltre un anno nella regione balcanica del Kosovo, dove le popolazioni di origine albanese sono state oggetto da parte delle forze militari serbe di massacri e genocidi constatato altresì che le responsabilità di Milosevic non hanno permesso di portare a termine le iniziative diplomatiche capaci di far cessare i massacri e che tuttavia la comunità internazionale e l'Europa in particolare non possono abdicare al metodo della trattativa appreso dell'iniziativa della NATO di procedere nei giorni scorsi a massicci bombardamenti nella Federazione Jugoslava, i quali sono ancora in corso in queste ore considerato che i massacri nei confronti dei cittadini albanesi del Kosovo sono stati intensificati e che l'azione NATO non pare in grado di tutelare pienamente queste popolazioni e che anzi la stessa azione militare rischia di creare una spirale ingovernabile di violenza e una destabilizzazione di tutta l'area balcanica considerato ancora che centinaia di migliaia di profughi si stanno ammassando sulle frontiere dell'area tutto ciò premesso, il Consiglio regionale del Piemonte che, come lo Stato italiano, ha nei propri principi il ripudio della guerra come forma di soluzione delle controversie chiede al Governo italiano di adoperarsi per la cessazione immediata dei bombardamenti e per una ripresa delle trattative, che pongano come presupposto la tutela fisica dei cittadini di origine albanese nel Kosovo e la soddisfazione delle aspirazioni di autonomia si adopera per fare fronte alle necessità di accoglimento dei profughi di guerra, auspicando sempre che le relazioni internazionali siano improntate alla pace e alla tolleranza dei diritti di tutti i popoli e di tutti gli uomini".
Si proceda alla votazione per appello nominale.



(Il Consigliere Segretario Toselli effettua l'appello nominale)



PRESIDENTE

L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 40 hanno risposto SI' 8 Consiglieri hanno risposto NO 5 Consiglieri si sono astenuti 27 Consiglieri L'ordine del giorno è respinto.
Pongo ora in votazione l'ordine del giorno n. 967 ("Azione militare in Kosovo"), presentato dai Consiglieri Riba, Manica, Bertoli, Vindigni Saitta, Gatti, Spagnuolo, Angeli, Montabone, Foco e Bortolin, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte premesso che l'Italia pur aderendo alle scelte della comunità internazionale nel rispetto degli accordi, nell'avallare l'intervento della NATO in Kosovo deve operare per promuovere e sfruttare tutte le opportunità di dialogo finalizzate ad una trattativa che decreti la fine delle ostilità rilevata la debolezza politica dell'Europa e l'assenza di ruolo dell'ONU ancora una volta paralizzata dai veti incrociati considerato che l'estrema gravità della situazione e il dramma degli eventi richiede che ogni azione sia finalizzata alla ricerca della pace e all'aiuto umanitario alle popolazioni coinvolte nel rispetto dei diritti della popolazione kosovara impegna la Giunta regionale ed in particolare il Presidente, anche attraverso gli organi di rappresentanza e collegamento delle Regioni, a sollecitare un'azione politica del Governo finalizzata a: adoperarsi con gli alleati NATO per un'iniziativa volta a riprendere subito i negoziati e a sospendere i bombardamenti agire affinché l'Unione Europea maturi una posizione globale ed una forte azione comune sui Balcani sostenere, come previsto dall'accordo di Rambouillet, il ruolo dell'ONU affinché - coerentemente alle precedenti risoluzioni sul Kosovo - possa dispiegarsi sul terreno una forza multinazionale di interposizione con il coinvolgimento del Gruppo di contatto predisporre gli interventi necessari all'accoglienza di profughi e a convocare il 'Tavolo di coordinamento per gli aiuti umanitari'".
Si proceda alla votazione per appello nominale.



(Il Consigliere Segretario Toselli effettua l'appello nominale)



PRESIDENTE

L'esito della votazione è il seguente: presenti 41 votanti 40 hanno risposto SI' 15 Consiglieri hanno risposto NO 4 Consiglieri si sono astenuti 21 Consiglieri non ha partecipato alla votazione 1 Consigliere L'ordine del giorno è respinto.
Pongo ora in votazione l'ordine del giorno n. 968 ("Kosovo") presentato dai Consiglieri Gallarini, Ghiglia, Cotto, Rubatto, Vaglio Casari e Angeleri, il cui testo recita: "Preso atto che dallo scorso 24 marzo è in corso l'attacco aereo da parte della NATO nei confronti della Repubblica Jugoslava, al fine di dissuadere l'attuale Presidente, Slobodan Milosevic, dal continuare a perpetuare lo sterminio della popolazione kosovara, in gran parte di etnìa albanese considerato che tale attacco aereo si è reso non più evitabile a fronte delle inquietanti notizie riguardanti operazioni di 'pulizia etnica' poste in atto nei confronti della popolazione kosovara di etnìa albanese e che ricordano, in tutto il loro orrore, analoghe operazioni svolte nella Bosnia Erzegovina nel 1995 visto che, a seguito della rottura dei negoziati di Rambouillet, è divenuta evidente l'impossibilità di esperire ulteriori azioni diplomatiche che lasciassero aperti spiragli di accordo con il Presidente jugoslavo constatato dagli osservatori internazionali che da parte di Milosevic esisteva la ferma intenzione di continuare a privare ulteriormente la popolazione kosovara di qualsiasi diritto e non solo di quelli concessi ancora dal Maresciallo Tito e già revocati dall'attuale Governo con la giustificazione che il Kosovo rappresenta la culla della nazione serba e, in quanto tale non può rivendicare l'indipendenza rispetto alla nazione jugoslava verificato che, se ai sensi dell'art. 11 della Costituzione, l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa o come mezzo per dirimere controversie internazionali, essa nel contempo, in virtù dell'appartenenza all'Unione Europea, di cui è uno dei Paesi fondatori, accetta a rinunciare in parte alla propria sovranità nel caso in cui sia necessario fare fronte ad interessi di ordine ed importanza sovranazionale ricordato che in occasione della tragedia bosniaca nel 1995 fu proprio Papa Giovanni Paolo II ad affermare che 'Se per strada il nostro prossimo viene aggredito, è giusto aiutarlo a difendersi' stabilito che se il prezzo più alto delle guerre viene certamente pagato dalle popolazioni civili, non era tuttavia più possibile per la NATO e per il mondo occidentale restare inerte davanti alle azioni di annientamento che il presidente Milosevic da tempo perpetua nei confronti della popolazione del Kosovo tutto ciò premesso, il Consiglio regionale richiede al Governo italiano di adoperarsi per trovare 'soluzioni rispettose della storia e del diritto di ogni popolo' e di attivarsi con ogni mezzo al fine di far sospendere i massacri di civili inermi da parte di chi usa la violenza come soluzione dei problemi richiede altresì che la Regione Piemonte si attivi immediatamente al fine di individuare le migliori modalità di aiuto (economiche, allestimento di campi profughi ed altro), che saranno certamente indispensabili per aiutare tutte quelle migliaia di persone che in tempi brevissimi arriveranno in Italia, al fine di scongiurare un'emergenza profughi che crei ulteriori tensioni nel nostro Paese".
Si proceda alla votazione per appello nominale.



(Il Consigliere Segretario Toselli effettua l'appello nominale)



PRESIDENTE

L'esito della votazione è il seguente: presenti e votanti 41 hanno risposto SI' 27 Consiglieri hanno risposto NO 6 Consiglieri si sono astenuti 8 Consiglieri L'ordine del giorno è approvato.
C'è ancora un ordine del giorno che nella parte dispositiva mi pare uguale ad uno già posto in votazione. Si tratta dell'ordine del giorno n.
969 ("Sospensione dei bombardamenti nella zona della Repubblica Jugoslava"), presentato dai Consiglieri Chiezzi e Simonetti, il cui testo recita: "Il Consiglio regionale del Piemonte rilevato che gli sviluppi della crisi dei Balcani hanno assunto aspetti drammatici e che è in corso l'azione militare della NATO nella quale le forze italiane sono impegnate in funzione difensiva considerato che si è giunti a questo punto per il rifiuto dell'accordo di Rambouillet che pure garantiva l'integrità territoriale della Repubblica Jugoslava, deludendo così le aspettative di una soluzione pacifica e concordata della questione del Kosovo, tale da garantire stabilità alla regione, sicurezza alle popolazioni gravemente minacciate dalla drammatica recrudescenza delle azioni di guerra approvata l'azione svolta dal Governo nel quadro delle alleanze dell'Italia in direzione innanzitutto delle iniziative rivolte fino all'ultimo a risolvere la crisi attraverso le vie politico-diplomatiche valutati con preoccupazione i rischi di un'azione militare impegna la Giunta regionale affinché solleciti il Governo italiano: ad adoperarsi con gli alleati NATO per un'iniziativa volta a riprendere subito i negoziati e a sospendere i bombardamenti ad agire affinché l'Unione Europea maturi una posizione globale ed una forte azione comune sui Balcani a sostenere, come previsto dall'accordo di Rambouillet, il ruolo dell'ONU affinché - coerentemente alle precedenti risoluzioni sul Kosovo - possa dispiegarsi sul terreno una forza multinazionale di interposizione con il coinvolgimento del Gruppo di contatto a predisporre gli interventi necessari all'accoglienza di profughi e a convocare il 'Tavolo di coordinamento per gli aiuti umanitari'".
Si proceda alla votazione per appello nominale.



(Il Consigliere Segretario Toselli effettua l'appello nominale)



PRESIDENTE

L'esito della votazione è il seguente: presenti 33 votanti 32 hanno risposto SI' 10 Consiglieri hanno risposto NO 16 Consiglieri si sono astenuti 6 Consiglieri non ha partecipato alla votazione 1 Consigliere L'ordine del giorno è respinto.


Argomento: Province - Comuni - Delega di funzioni regionali agli enti locali

Esame disegno di legge n. 392: "Riordino dell'esercizio delle funzioni amministrative in materia di agricoltura, alimentazione, sviluppo rurale caccia e pesca"


PRESIDENTE

Passiamo ora al punto 9) dell'o.d.g. che prevede l'esame del disegno di legge n. 392.
Relatore è il Consigliere Toselli, che ha facoltà di intervenire.



TOSELLI Francesco, relatore

Do per letta la relazione, il cui testo, a mani dei Consiglieri recita: "Illustre Presidente, egregi Consiglieri, la legge 15/3/1997 n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed Enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa) prevede all'art. 4, comma quinto, che 'ciascuna Regione adotti, entro sei mesi dall'emanazione di ciascun decreto legislativo, la legge di puntuale individuazione delle funzioni trasferite o delegate agli Enti locali e di quelle mantenute in capo alla Regione stessa'.
Le prime materie conferite dallo Stato alle Regioni sono state l'agricoltura, le foreste, la pesca, l'agriturismo, la caccia, lo sviluppo rurale e l'alimentazione, con il D.lgs. n. 4/6/1997 n. 143.
I motivi di questa anticipazione rispetto alle altre materie sono dovuti al tentativo di evitare il referendum abrogativo del Ministero delle Risorse agricole, alimentari e forestali (MIRAAF), promosso da alcune Regioni.
Il decreto legislativo in questione risente di tale urgenza. Infatti il conferimento attuato con il D.lgs. n. 143/97 non rappresenta un atto compiuto, in quanto rinvia a provvedimenti successivi l'individuazione delle risorse finanziarie, umane, strumentali ed organizzative da trasferire alle Regioni, il riordino degli Enti nazionali, quali ad esempio l'AIMA, l'INEA, l'ISMEA, gli Istituti di ricerca, nonché il trasferimento delle risorse del Corpo forestale dello Stato non necessarie all'esercizio delle funzioni di competenza statale.
La Regione Piemonte intende cogliere l'occasione offerta dall'attuazione del D.lgs. n. 143/1997 per portare a compimento quella politica di decentramento prevista nel proprio Statuto e sulla cui necessità è ormai maturata una profonda convinzione, sia a livello nazionale che locale, in vista dell'obiettivo di un migliore funzionamento della pubblica amministrazione a tutti i livelli, con il concorso di tutti gli Enti locali.
Il presente provvedimento si inserisce in un complesso quadro di leggi regionali, sia di carattere generale sia di natura settoriale (queste ultime in recepimento dei decreti legislativi emanati in date diverse dal Governo in attuazione dell'art. 1 della legge n. 59/97), delineato con l'obiettivo di perseguire un reale decentramento amministrativo nell'interesse del cittadino utente, nonché di definire un sistema regionale che, per realizzare la semplificazione e lo snellimento richiesti dalle leggi Bassanini, valorizzi il ruolo degli Enti locali e rafforzi al contempo la funzione della Regione in materia di governo, legislazione programmazione, coordinamento e controllo.
Benché il contesto legislativo costituzionale e nazionale in vigore definisca le Regioni quali Enti di normazione, di programmazione, di pianificazione dell'attività svolta dal complesso delle Autonomie locali gli Enti regionali hanno sovente assunto compiti di amministrazione attiva con la conseguente occupazione di spazi gestionali propri degli Enti locali territoriali.
In materia di agricoltura, tuttavia, non si parte da zero in quanto in Piemonte esistono esperienze di decentramento su specifici argomenti. Tale è il caso delle Province per quanto riguarda l'attività di controllo sulla produzione e sulla commercializzazione dei prodotti vinicoli e sui consorzi dei produttori agricoli per la difesa delle produzioni, delle Comunità montane per l'erogazione dell'indennità compensativa, dei Comuni attraverso le Commissioni consultive, in occasione di avversità atmosferiche e per il riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo. Tali esperienze vengono confermate ed inserite nel più organico quadro previsto con il provvedimento in oggetto.
Inoltre, nell'elaborazione della presente legge sono stati tenuti presenti gli orientamenti che vanno maturando nelle varie Regioni sul tema proponendo delle soluzioni che risultano sostanzialmente omogenee con quelle adottate da altre Amministrazioni regionali.
Il provvedimento indica in modo tassativo le funzioni amministrative da conferire agli Enti locali e quelle da riservare alla Regione e procede all'individuazione dei soggetti destinatari del conferimento, alla luce dei criteri previsti dalla legge n. 59/97 (sussidiarietà, completezza adeguatezza, efficienza ed economicità, responsabilità ed unicità dell'amministrazione).
Per tutti gli istituti di carattere generale (messa a disposizione delle risorse finanziarie, dei beni e del personale, potere sostitutivo e di revoca da parte della Regione) si fa riferimento a quanto previsto nella L.R. n. 34/98 di riordino generale delle funzioni e dei compiti amministrativi della Regione e degli Enti locali.
Nell'individuazione delle funzioni da conferire agli Enti locali e di quelle da conservare in capo alla Regione si è seguito il principio ispiratore di disegnare un sistema che operi nell'interesse del cittadino in generale e del mondo agricolo in particolare, assumendo quali linee guida i criteri dell'efficacia e della sussidiarietà: sono stati pertanto conferiti agli Enti locali tutti quei compiti per i quali si è individuato l'interesse provinciale e comunale e che quindi possono essere più proficuamente svolti sul territorio da Enti vicini al cittadino, mentre alla Regione sono state riservate le funzioni generali che attengono ad esigenze di carattere unitario.
In generale, sono state individuate quali delegabili agli Enti locali quelle funzioni amministrative che devono essere svolte sul territorio e che interessano la fase della produzione agricola ed i servizi di base alla Regione sono state riservate, oltre alle funzioni generali (legislazione, programmazione, indirizzo e coordinamento), le attività che trascendono la dimensione locale, come gli interventi relativi al mercato (trasformazione e commercializzazione, offerta dei prodotti agricoli e regolamentazione dei mercati), la definizione e la ripartizione dei quantitativi di riferimento relativi alla regolamentazione comunitaria delle produzioni, l'organizzazione delle attività di ricerca applicata e sperimentazione e dei servizi di tipo specialistico, le attività relative ai controlli e alle certificazioni fitosanitarie delle produzioni vegetali le grandi infrastrutture territoriali, le avversità atmosferiche, nonch gli adempimenti programmatori e finanziari in materia di caccia e pesca.
La Regione, libera dall'attività di gestione, potrà esaltare il proprio ruolo di programmazione e progettazione di politiche complessive, con particolare attenzione alle politiche comunitarie e all'evoluzione dei mercati.
Nel presente provvedimento, le Province assumono un ruolo primario, in quanto alle stesse sono state riconosciute funzioni fondamentali nel rispetto del dettato dell'art. 14 della legge 8/6/1990, n. 142.
Alle Province è stato delegato l'esercizio di funzioni amministrative riguardanti, tra l'altro, gli interventi relativi al miglioramento dell'efficienza delle strutture agrarie; allo sviluppo delle produzioni vegetali ed animali; all'assistenza tecnica; agli interventi per l'applicazione di misure comunitarie, per la gestione di quote di produzione, per l'applicazione di misure agro-ambientali; agli interventi relativi alle infrastrutture rurali; all'attività di supporto per l'incremento ippico; all'attività agrituristica; all'approvazione dei piani di riordino irriguo e fondiario.
Sempre in attuazione dell'art. 14 della legge n. 142/90, si è inoltre attribuito alle Province l'esercizio di funzioni in materia di caccia e pesca, che richiedono una gestione di carattere sovracomunale.
Alle Province sono state infine delegate le funzioni relative ai servizi concernenti i carburanti agricoli, la qualifica di utente di motore agricolo e l'assistenza agli utenti di motore agricolo; ai controlli per l'applicazione degli interventi di regolamentazione dei mercati; alla vigilanza sulla tenuta dei libri genealogici.
Le funzioni conferite ai Comuni attengono in modo prevalente ad attività di tipo consultivo, avendo riguardo alla particolare situazione strutturale degli stessi, dovuta all'eccessivo frazionamento sul territorio piemontese, e soprattutto tenendo presente che la materia disciplinata dalla normativa in oggetto comporta una modalità di gestione che supera l'ambito strettamente comunale. Si è tuttavia ritenuto che il Comune fosse l'Ente più adatto, secondo il principio della sussidiarietà, a svolgere le funzioni attinenti il riconoscimento della qualifica professionale di imprenditore agricolo e coltivatore diretto, in un primo tempo attribuite alla Provincia. Infine, per ovviare all'elevata frammentazione degli Enti comunali, si è incentivato l'esercizio in forma associata delle funzioni delegate, secondo le previsioni degli artt. 4 e 5 della L.R. n. 34/98.
Nulla è previsto nel presente provvedimento per quanto attiene al conferimento di funzioni amministrative alle Comunità montane: si è infatti valutata l'opportunità, in considerazione del ruolo centrale assegnato dalla Regione alle zone montane ed alle istituzioni che ad esse presiedono di demandare ad una legge specifica l'attribuzione di compiti ai suddetti Enti.
Come già evidenziato in precedenza, il presente provvedimento rinvia per quanto concerne la disciplina relativa al percorso di conferimento delle funzioni, alle disposizioni contenute nella legge regionale di riordino generale delle funzioni e dei compiti amministrativi della Regione e degli Enti locali, rientrando la normativa in oggetto nel quadro complessivo del riordino amministrativo che la Regione Piemonte si accinge ad attuare.
E' stato infatti demandato a tale legge il compito di precisare tutti gli istituti di carattere generale (amministrativo, finanziario organizzativo), creando 'un sistema integrato e cooperante', non concorrenziale, di Enti nell'interesse del cittadino.
Si ritiene pregiudiziale inoltre procedere ad una semplificazione delle procedure per pervenire ad una amministrazione pubblica 'più leggera' risparmiando al cittadino inutili e defatiganti burocrazie.
Pertanto, il conferimento delle deleghe di funzioni diventa l'occasione per una riforma complessiva della pubblica amministrazione, non limitandosi ad un'automatica trasposizione di competenze da un Ente all'altro, con il rischio di spostare le inefficienze della pubblica amministrazione dal centro alla periferia.
Nel rispetto delle norme di carattere generale, il presente provvedimento prevede alcuni adempimenti operativi per facilitare il passaggio agli Enti locali delle funzioni conferite nonché il loro regolare esercizio quando il sistema delineato sarà a regime. In particolare, sono individuate le modalità per il riparto dei fondi alle Province, per la predisposizione da parte delle Province di programmi operativi annuali o pluriennali, per l'attività di monitoraggio. Inoltre, viene demandata alla Giunta regionale la disciplina degli interventi necessari all'attuazione della presente legge, tra cui merita particolare rilievo - oltre all'individuazione di procedure semplificate e all'adeguamento della normativa che disciplina le materie conferite - l'adattamento del sistema informativo agricolo piemontese alle nuove esigenze di uno stretto collegamento con gli Enti locali delegati e di interscambio con altri sistemi informativi regionali, nazionali e comunitari.
Da ultimo, si sottolinea che l'emanazione del presente provvedimento avviene in assenza della piena attuazione, da parte del Governo, del D.lgs.
n. 143/97. Infatti, ai sensi dell'art. 3 del D.lgs. n. 143/97, è prevista con successivi decreti legislativi la 'soppressione, accorpamento riordinamento e trasformazione' di enti, istituti ed aziende sottoposti alla vigilanza del Ministero dell'Agricoltura.
Trattasi di un'operazione di grande rilievo, in quanto tra gli Enti figurano l'AIMA e gli Istituti di ricerca e sperimentazione (in Piemonte esistono cinque Istituti). Allo stato attuale, il Governo è intervenuto unicamente in merito all'AIMA, varando in via preliminare in data 19/11/1998 lo schema di decreto legislativo che ne prevede la soppressione con la contestuale istituzione dell'AGEA (Agenzia per le erogazioni in agricoltura) che sarà il rappresentante dello Stato nei confronti della Commissione europea per gli adempimenti e la rendicontazione dei finanziamenti comunitari previsti dall'attuazione della PAC e degli interventi del FEOGA. Alle Regioni è demandato il compito di gestire tutte le operazioni di raccolta delle domande e di pagamento di aiuti, premi e contributi comunitari.
Infine, ai sensi dell'art. 4 del D.lgs. n. 143/97, il Ministero per le Politiche agricole deve ancora provvedere (e la scadenza era il 31/12/1997) all'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali ed organizzative da trasferire alle Regioni, ivi compresi quelli del Corpo forestale dello Stato, non necessari all'esercizio delle funzioni di competenza statale.
La mancata definizione a livello nazionale di tali importanti aspetti non assicura punti di riferimento certi alle Regioni e conseguentemente alle iniziative regionali di decentramento.
Le Regioni hanno tuttavia dovuto legiferare nel rispetto delle scadenze previste dalla legge Bassanini, il cui automatismo ha fatto scattare il potere sostitutivo da parte del Governo, che ha emanato un apposito decreto legislativo (n. 60 del 5/3/1998), prevedendo il conferimento di funzioni amministrative a Province, Comunità montane e Comuni a partire dall'1/7/1998; tale soluzione è valida fino alla data di emanazione da parte delle Regioni di una propria normativa in materia.
L'assetto istituzionale che deriverà, a livello regionale, a conclusione di questa fase di decentramento, dovrà rappresentare una scelta stabile, alla quale attenersi coerentemente nel conferimento di ulteriori funzioni che dovessero pervenire alla Regione, in attuazione di futuri provvedimenti comunitari e nazionali o che risultassero assegnati agli Enti regionali nell'ambito di una completa attuazione del D.lgs. n. 143/97.
Ciò per motivi di razionalità, tenuto conto dell'esigenza di assicurare in capo allo stesso Ente l'insieme di materie omogenee, complementari o strumentali tra loro.
La III Commissione sul provvedimento in oggetto ha esperito le consultazioni che hanno coinvolto gli Enti e le Associazioni interessate tra cui tutti gli Enti locali della regione, e, dopo ampia ed approfondita discussione, ha licenziato il testo che viene proposto all'approvazione dell'aula".



PRESIDENTE

La discussione su tale disegno di legge è rinviata a domani.


Argomento:

Annunzio interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno


PRESIDENTE

I testi delle interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno pervenuti alla Presidenza del Consiglio regionale verranno allegati al processo verbale dell'adunanza in corso.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19.08)



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