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Dettaglio seduta n.313 del 15/12/98 - Legislatura n. VI - Sedute dal 23 aprile 1995 al 15 aprile 2000

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DEORSOLA


Argomento: Commemorazioni

Commemorazione delle vittime perite a Volpiano in un tragico incidente di volo


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
La seduta odierna è stata convocata essenzialmente per ricordare la figura del Presidente Viglione, che poco più di dieci anni fa ci ha tragicamente lasciati.
Prima di passare alla commemorazione, desidero portare la vostra attenzione, con un momento di raccoglimento, alla tragedia che è capitata ieri nella periferia di Torino, con la scomparsa del Generale Romano, del Maggiore Gattalini, dei Marescialli Amiranda e Monda. E' una tragedia che ha colpito il Piemonte; non solo l'Arma dei Carabinieri, ma tutte le Istituzioni hanno perso delle persone che avevano dimostrato di intendere il loro ruolo in un modo propositivo, collegato alle esigenze della gente.
Questa perdita difficilmente potrà essere colmata.
Ho voluto ricordare - e lo faremo con un attimo di silenzio - la gravissima perdita di tre servitori dello Stato che, nell'adempimento del loro dovere, purtroppo hanno lasciato la nostra esistenza terrena.



(I presenti, in piedi, osservano un minuto di silenzio)


Argomento: Commemorazioni

Commemorazione del Presidente Aldo Viglione nel decennale della morte


PRESIDENTE

Passiamo ora all'argomento per il quale abbiamo indetto la riunione.
Desidero scusare, in apertura, alcune assenze: quella del Presidente Beltrami, che è impossibilitato a partecipare per una serie di difficoltà ma che mi ha pregato di portare un particolare momento di attenzione alla celebrazione; il Presidente della Provincia di Asti, il dott. Goria; l'ing.
Cardinali, ex Consigliere regionale; il Presidente della Provincia di Cuneo, dott. Quaglia; il senatore Tapparo; il Commissario del Governo dott. Cavallo; l'on. Chiamparini; il Sindaco di Frabosa Sottana, signorina Soldano, ex Consigliere regionale.
Cari familiari del Presidente Viglione, autorità, gentili signore e signori, colleghi, oggi ho l'onore di aprire la commemorazione di uno dei padri fondatori della nostra Regione, Aldo Viglione, scomparso dieci anni orsono, nella notte del primo dicembre 1988, a seguito di un incidente stradale.
Non è facile trovare parole adatte per delineare e limitare - direi comprimere, in un intervento - figura ed opere di un uomo di vivace intelligenza, sinceramente democratico, poliedrico nella sua cultura e nei suoi interessi.
Di Aldo Viglione si possono dire e raccontare molte cose.
Tra queste, senz'altro, che nel suo percorso di vita "politico" fu sempre per l'azione finalizzata ad un vantaggio collettivo che si saldava con il realismo del politico avveduto, consapevole che soltanto la concretezza dei risultati, alla fine, testimonia della volontà delle ispirazioni.
Ritengo però - e spero di trovare tutti voi d'accordo con me - che siano due i tratti emblematici della personalità di Aldo Viglione.
Tratti, o se si vuole, itinerari di vita, che possono pure essere considerati come testimonianza spirituale fondante le sue azioni, del suo essere stato, come si suol dire, "politico di razza".
Il primo è quello di essere, nella piena estensione di questo verbo, un piemontese a tutto tondo, fiero della sua origine negli atti e nelle parole.
L'altro di essere convinto e conscio della fondamentale importanza nel quadro istituzionale nazionale dell'Istituto regionale.
Proprio quest'ultimo aspetto è il contenitore delle opere più alte di Aldo Viglione.
La sua "piemontesità", il suo voler bene al Piemonte e ai piemontesi non era basato su un sentimento di campanile, che blandisce e rimpiange con melanconia un passato ormai lontano, ma, al contrario, era la traduzione di una convinzione, quasi spirituale, della validità e della capacità della nostra regione, della sua gente, di poter ancora "fare" la sua storia con dignità e coraggio.
La sua piemontesità, quindi, non fu, certo, in lui, chiusa tutela di un patrimonio di tradizioni vissute "contro" quelle altrui. Anzi, fu l'affermazione di quel naturale ruolo di tramite, di scambio, di confronto che la geografia, ancora prima che la storia, hanno assegnato al Piemonte tra la realtà italiana e quella dell'Europa occidentale.
Il Piemonte che auspicava Aldo Viglione era un Piemonte che, forte della sua storia e del suo carattere, era presente, attivo, partecipe e propositivo nell'ambito nazionale proprio attraverso il suo Istituto più nuovo, appunto la Regione.
Ancora oggi, anche se è passato ormai un decennio, il ricordo del "Presidente" è ancora vivo: il suo operare, il suo modo di essere nella quotidianità del lavoro, spesso sono ancora ricordati.
Volendo usare un neologismo che, seppur non molto bello, mi pare calzante in questa occasione, Aldo Viglione si impegnò e in gran parte riuscì a dare "visibilità" ad un Istituto che muoveva i suoi primi passi.
Si impegnò a fondo per far conoscere la Regione, il suo ruolo, la sua funzione, le sue competenze.
Un impegno che assolse con pervicacia ed entusiasmo tra le altre istituzioni sia centrali che locali sia tra la gente, tra i "suoi" piemontesi.
Questo perché Aldo Viglione, oltre ed insieme all'amore per la sua terra, si identificò nell'Istituto regionale perché aveva visto in esso una potenzialità politica straordinaria per garantire lo sviluppo civile della democrazia italiana.
Ma anche perché aveva individuato, appunto nella Regione, il naturale raccordo non solo fra lo Stato, le istituzioni locali intermedie e il cittadino, ma anche con l'Europa.
Prima di lasciare la parola agli altri relatori desidero ricordare a tutti voi, come prologo ai prossimi interventi, alcuni dei momenti più significativi dell'intensa vita di Aldo Viglione.
Dopo l'8 settembre 1943 è partigiano sui monti del Cuneese. Nel 1945 alla Liberazione, si iscrive al Partito Socialista che rimarrà per sempre il "suo" partito.
Nel 1946 si laurea in Giurisprudenza ed inizia la professione forense.
In contemporanea inizia anche la carriera politica: è significativo il fatto che venga eletto Consigliere comunale di Boves, città simbolo della Resistenza piemontese ed italiana.
Poi Aldo Viglione "passa" all'Amministrazione provinciale di Cuneo.
Da allora ogni tornata amministrativa lo vedrà protagonista tra e con la gente della sua "Granda".
Nel 1969 viene eletto Segretario della Federazione provinciale socialista di Cuneo. Un incarico che ricopre fino al 1972.
Nel 1970 avviene quello che potremmo definire il "grande incontro" della vita di Aldo Viglione: quello con la neonata Regione Piemonte.
Aldo Viglione viene eletto fin dalla prima legislatura: dal 1970 al 1988 nelle varie cariche che ricopre in Regione Aldo Viglione si identifica totalmente con l'Istituzione.
Il periodo che lo vede massimo protagonista della vita regionale è nel quinquennio 1975/1980. E' Presidente della Giunta proprio nella fase di decollo dell'Istituto regionale, quando vengono trasferite le funzioni dallo Stato con il DPR n. 616.
Per la Regione Piemonte sono gli anni della legge di Riforma urbanistica, del primo Piano di sviluppo regionale, dell'istituzione dei Parchi regionali, intesi come reale patrimonio della collettività, di una mirata politica del patrimonio che porta all'acquisizione di ville e palazzi storici: tra questi Palazzo Lascaris e il Castello di Rivoli. E, in parallelo, una miriade di iniziative ai quattro angoli del Piemonte tutte finalizzate alla conservazione e al rilancio dei Beni culturali.
Ho volutamente tralasciato, fino ad ora, quanto attiene all'impegno profuso da Aldo Viglione sul versante della difesa della nostra democrazia negli anni bui del terrorismo.
Se il nostro Paese è riuscito a sconfiggere il terrorismo, molto deve a persone come Aldo Viglione.
Questo perché egli fu uno dei primi ad intuire che per isolare il terrorismo bisognava discuterne con la gente. Fu infatti tra i promotori di un progetto ambizioso che mirava a tradurre sul piano pratico il principio fino ad allora, in prevalenza, confinato tra le enunciazioni solo teoriche - del coinvolgimento di massa sui problemi del terrorismo.
Ecco, ad Aldo Viglione dobbiamo anche questo: questo suo saper difendere, nei fatti, con la partecipazione di tutti, la nostra democrazia.
Chiudo questo mio intervento ricordando quanto disse Aldo Viglione quando fu eletto per la prima volta Presidente del Consiglio regionale: "Io non dimentico mai di essere un uomo di parte. Certo, però, quando sto su questa sedia, sono il Presidente di tutti".
Un'affermazione quasi ovvia, quasi d'obbligo nel rituale politico corrente e che, tuttavia, acquistò in lui un valore di autenticità che i piemontesi tutti gli seppero volentieri riconoscere. Grazie a tutti voi.
Questo mio intervento è stato svolto a nome di tutto il Consiglio ed anche a nome del governo della Regione Piemonte, perché con questa commemorazione, con questo intervento tutto il Consiglio vuole essere vicino a lui e alla sua famiglia.
I nostri lavori prevedono ora l'intervento della Consigliera Spagnuolo che fu Presidente del Consiglio regionale e, tornando indietro nel passato fu vicina alla posizione politica del Presidente Viglione, nonché sua collaboratrice, per cui credo che possa adeguatamente riassumere alcuni aspetti della vita e dell'opera di Aldo Viglione.
Per maggiore comodità, chiedo alla Consigliera Spagnuolo di prendere posto sulla mia sedia. Prego.



SPAGNUOLO Carla

Signori Consiglieri, gentile Presidente, carissimi familiari, voglio iniziare il mio ricordo di Viglione con un'immagine: "Il Piemonte mi ha chiamato a Presidente", così soleva dire Aldo Viglione, passando da un ufficio all'altro della Presidenza della Giunta regionale in Piazza Castello negli anni più frenetici ed impegnativi, ma certo più entusiasmanti della sua intensa vita politica. E' un'immagine, quella del suo attivismo, che mi è rimasta negli occhi, nel pensiero e nel cuore.
Per Aldo Viglione non si può certo parlare di carriera politica, tanto intensi e coincidenti erano in lui l'aspetto dell'impegno istituzionale quello politico e quello umano.
Quando diceva questa frase era il 1975, e Viglione si trasferisce per la prima volta dalla presidenza del Consiglio regionale a quella dell'esecutivo. Ha già vissuto, soffermandoci solo sul periodo regionale (il Presidente Deorsola ha già richiamato le altre tappe della sua vita pubblica), diverse esperienze consiliari: Presidente della Commissione Affari istituzionali, l'VIII Commissione; poi Presidente del Consiglio regionale nei primi anni '70.
Vive con intensità la fase dell'approvazione dello Statuto regionale che egli concorre ad elaborare considerandolo, come molti altri padri della Regione, una vera e propria Carta Costituzionale del Piemonte.
In quegli anni fanno i primi passi intuizioni importanti per facilitare la conoscenza della Regione Piemonte ed il rapporto fra Regione e cittadini. Si deve far conoscere lo Statuto regionale, che nasce da una vasta e partecipata consultazione con il Piemonte; si avviano i rapporti con le scuole, per esempio il corso per insegnanti sul tema "Dall'Italia giolittiana all'Italia Repubblicana"; si pensano i primi viaggi testimonianza per i giovani con la visita ai campi di sterminio nazisti accompagnati dagli ex deportati politici.
Si susseguono alla Presidenza del Consiglio regionale uomini di valore e di forte personalità politica, come Paolo Vittorelli, Gianni Oberto (per ricordare i primi) e poi Aldo Viglione, che segnerà la Presidenza del Consiglio regionale fin dall'inizio con alcuni dei suoi precisi tratti personali.
Viglione è un uomo della provincia piemontese, cuneese di Morozzo terra in cui riconoscerà sempre forti le sue radici culturali, terra che gli darà l'amore per la gente semplice e laboriosa, l'amore per la montagna e per il mondo contadino. Terra di grandi battaglie ideali ed antifasciste altro costante filone di riferimento del Presidente.
Il Consiglio regionale diventa subito un luogo istituzionale di incontro di culture. Viglione ha una forte personalità, sa porsi subito al centro dell'attenzione, è uomo aperto al dialogo ed al confronto.
Lo si capisce subito.
Ama lavorare con le porte aperte, circondato dai suoi collaboratori che consulta a tutte le ore, anche fuori orario di ufficio; ama lavorare per progetti; coglie subito gli spunti più interessanti ed intelligenti che gli vengono sottoposti. Persegue con tenacia i suoi obiettivi che sono tanti e che non perde di vista finché non li ha raggiunti. Ama al tempo stesso le cose concrete, anche quotidiane, ma sa misurarsi sui grandi progetti e le realizzazioni ambiziose.
Nella sua instancabile e frenetica attività, riesce a conciliare queste sue due caratteristiche di fondo. Sono sempre presenti in lui l'amministratore che affronta la quotidianità, che conosce il suo territorio, che sa ascoltare e realizzare. Tutti si rivolgono a Viglione per tutto. Rientra dalle sue costanti trasferte a Cuneo e nelle province piemontesi con le tasche e la borsa cariche di biglietti, di appunti, di promemoria, di programmi che ricorda uno per uno, e dietro a questi appunti vi sono per lui le storie e i problemi che uomini, donne ed amministratori gli hanno affidato e che lui cerca davvero di risolvere. Raccomandando ai suoi collaboratori di "Non nasconderli nei cassetti!" (come per dire: "Cercate di non essere burocrati").
Ma Viglione, avvocato, serio professionista, uomo di cultura appassionato di arte e di storia contemporanea sa guardare lontano, con grandi intuizioni e capacità di sintesi. La bonarietà e la semplicità con cui sa stare in tutti gli ambienti sono solo l'aspetto esteriore di un uomo che ha dato davvero la sua vita alla politica e posto al servizio della Pubblica Amministrazione talenti particolari: concretezza, capacità di convinzione, determinazione, umanità.
Il Presidente Viglione era convinto del grande ruolo della figura del Sindaco, ed i Sindaci del Piemonte, a cominciare da Torino, sono stati i suoi primi amici interlocutori.
Ritornando dall'alluvione nella Valle Vigezzo e dell'Ossola, Viglione disse ai suoi collaboratori in Giunta: "Ho dato tutto il potere ai Sindaci", anticipando e mettendo in pratica quel concetto di delega di funzioni di cui era convinto fautore nei confronti delle Autonomie locali.
Aveva forte il senso dello Stato e delle istituzioni. Viglione Presidente del Consiglio regionale si battè per la centralità del Consiglio regionale, che per lui sarà sempre il Parlamento subalpino. E vi sono in quest'aula alcuni Consiglieri riconoscenti a Viglione per il suo modo alto di concepire il ruolo del Consiglio regionale, non un insieme di espressioni locali, ma un parlamento capace di sintesi, di scelta di indirizzo. E per alcuni di noi è stato un maestro inimitabile.
Nella sua veste di Presidente del Consiglio regionale era davvero vissuto come garante per tutti.
Viglione inizia sin dal primo momento la sua battaglia per il decentramento e contro il centralismo. Sono gli anni in cui, per recarsi all'estero, i Consiglieri e i funzionari regionali devono comunicarlo al Governo centrale, e questi non sempre concede l'autorizzazione.
Nella Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali Viglione si caratterizza come punta avanzata, fautore del decentramento e dell'autonomia regionale. Sono gli anni faticosi della legge n. 382 e del DPR n. 616. Le Regioni faticano a decollare anche se la classe politica dei regionali vede molte figure di spicco per capacità politica e doti morali.
Certo, gli anni in cui Viglione è più impegnato, ma anche più realizzato, sono quelli dal 1975 al 1980 alla Presidenza della prima Giunta di sinistra della Regione. La sua attività è incessante e si cala immediatamente nel suo ruolo di Presidente del Piemonte e non se ne distaccherà più nemmeno in seguito. Viglione diventa per tutti "l'immagine della Regione Piemonte".
La sua intesa in Giunta è buona, il suo ruolo di guida politica è forte ed autorevole. Avvia la sua politica di valorizzazione e tutela del patrimonio artistico piemontese e ne sono testimonianza la ristrutturazione di Palazzo Lascaris, l'ala nuova di Palazzo Reale, l'Istituto dei Poveri Vecchi sede del CSI, il recupero del Castello di Rivoli e tanti altri.
E non si può dimenticare il suo entusiasmo per l'acquisizione del Palazzo Callori di Vignale, per Villa S. Remigio e soprattutto per la Mandria. Non si trattava per lui di delibere o contratti, ma di realizzazioni avvenute in tempi strettissimi in cui mise davvero al servizio del Piemonte le sue capacità professionali di avvocato, la sua cultura, ma in modo speciale il suo entusiasmo che lo portava a conoscere questi luoghi ed ambienti nei minimi dettagli riuscendo a coinvolgere e trascinare funzionari, politici e tecnici.
Nasce allora il primo Piano regionale di sviluppo, il Piano sanitario la legge urbanistica, si avvia la grande politica dei parchi che caratterizzerà la nostra Regione fra le più avanzate nella tutela ambientale, l'intuizione del consorzio informatico da lui subito capita e sostenuta.
Non posso non ricordare la sua passione per queste realizzazioni, e per le prime leggi di impianto istituzionale, la stima profonda per tutta la sua prima Giunta regionale, per Astengo, Rivalta, Bajardi, per Lucio Libertini, per Ferraris, Marchesotti, Vecchione, per Fausto Fiorini, oltre che per i socialisti del suo Gruppo. Ma anche la sua facilità di dialogo con Capigruppo di grande capacità che hanno concorso a scrivere la storia di questa Regione, quelli che sostenevano la maggioranza della prima Giunta di sinistra che visse in modo fortemente unitario, ma anche il suo rapporto aperto e franco con tutta l'opposizione.
La stima profonda per Adriano Bianchi, Capogruppo della Democrazia Cristiana cui lo legava la comune esperienza di lotta partigiana ed antifascista, il suo dialogo aperto con il liberale Zanone e poi con Marchini, con l'avv. Majorino, con Cardinali del PSDI, con la Consigliera Aurelia Vaccarino del PRI (per ricordare solo gli anni della sua prima esperienza di Giunta).
La sua autorevolezza era riconosciuta nel Consiglio regionale, nella società economica e culturale del Piemonte, nel mondo dell'informazione con cui sapeva avere rapporti di particolare cordialità. Viglione sapeva "fare notizia" e dare le notizie.
La sua cultura laica, la sua umanità, la sua storia antifascista che lo avevano reso amato e popolare a Cuneo e nella provincia piemontese lo facevano stimare nel Partito socialista, nei cui valori si riconosceva profondamente pur conservando una sua forte dose di autonomia personale e politica ed era riconosciuto il suo rigore morale per il quale contava e se necessario si scontrava.
Perché Viglione era per certi versi un personaggio imprendibile che non voleva farsi imbrigliare dalle logiche correntizie. Non amava Roma ed i palazzi della politica. Si sentiva realizzato in Piemonte, non lo affascinava certo un seggio senatoriale, avrebbe visto forse nel Parlamento Europeo una sua evoluzione politica anticipando quella Europa delle Regioni che è oggi una più vicina realtà politica ed economica.
Negli anni della sua presidenza del Consiglio regionale, poi in Giunta regionale ed ancora in Consiglio regionale, quest'aula è stata aperta ad ogni forma di confronto sui temi tradizionali delle istituzioni e sulle grandi questioni di cambiamento della società, perché per queste il Presidente Viglione aveva "antenne speciali".
Penso ai dibattiti sul nascente sindacato di polizia, sui diritti umani ed internazionali, ai tanti confronti del mondo della magistratura e della vita forense, alle iniziative per la crescita del ruolo femminile di cui era convinto sostenitore. Girava instancabile il Piemonte, non per presenzialismo fine a se stesso, ma per conoscere la sua Regione, per confrontarsi con i Sindaci per sostenere le sue idee e progetti di sviluppo.
Il binomio cultura-turismo oggi così evidente fu una delle sue più chiare intuizioni. Ritornava dalle sue trasferte con sempre una nuova idea: illuminare un monumento, organizzare una mostra, finanziare una fiera o valorizzare la gastronomia di qualità. L'idea delle enoteche, la valorizzazione dell'agricoltura di qualità, del DOC Piemonte, in tutte le sue variabili erano per lui un percorso chiaro già venticinque anni fa.
Aveva una visione del Piemonte nel suo binomio cultura-qualità in cui inserire la valorizzazione dei prodotti del Piemonte: il vino, il riso, i tartufi.
Amava il paesaggio del Piemonte, ne tutelava il territorio, difendeva la montagna anche nelle sue zone più aspre.
Ma non si può ricordare Viglione a dieci anni dalla sua scomparsa senza ricordare il suo ruolo forte, convinto e coraggioso nella lotta al terrorismo condotta come sempre con le sue caratteristiche di fondo: intelligenza, determinazione ed umanità.
Viglione fu vicino alle vittime del terrorismo accorrendo sempre fra i primi con sincero dolore, incoraggiò il Piemonte a non fermarsi: accorse nelle scuole, nelle carceri, nelle aule penali, sulle piazze, dovunque il terrorismo fece le sue vittime.
Ma fece qualcosa di più. Presso la Presidenza della Regione Piemonte raccolse vicino a sé, superando difficoltà burocratiche, le mogli, le vedove del terrorismo che allora Capo di Gabinetto della Giunta regionale mi chiese, alla fine degli anni '70, di accompagnare dal Presidente Sandro Pertini che voleva esprimere loro l'abbraccio dello Stato democratico.
Mi sono chiesta, dovendo ricordare Viglione, quali potessero essere le parole che meglio avrebbero descritto ai molti nuovi Consiglieri di questa legislatura la figura di un uomo che è stato un politico onesto e tenace un regionalista convinto, un piemontese orgoglioso, un galantuomo socialista, un grande Presidente. Posso solo augurare ad ognuno dei nuovi e giovani Consiglieri di poter essere ricordati per la loro azione politica ed umana con la stessa commozione e con lo stesso affetto con cui i cittadini piemontesi lo ricordano ancora dopo dieci anni dalla sua scomparsa.
Ed al tempo stesso mi sono chiesta come avrebbe vissuto Viglione gli anni politici che hanno seguito la sua morte, così difficili per tutti ed in particolare per i socialisti. Il destino gli ha riservato una morte tragica e prematura, ma gli ha risparmiato il dolore di vedere infangati tanti ideali per cui aveva speso la vita, dato giovinezza, entusiasmo cultura, passione politica. Ci ho pensato molte volte in questi anni e molti piemontesi conoscendo i dieci anni del mio lavoro al suo fianco, mi hanno chiesto nel tempo come avrebbe reagito di fronte all'ondata di nuovismo, troppo spesso considerato valore fine a se stesso. Se servire la propria terra, rappresentarla con orgoglio, conoscere il proprio territorio, essere onesti ed impegnati è essere nuovi, Viglione è stato l'antesignano dei politici nuovi. Certo, fu europeista e federalista convinto.
Ma molti mi hanno chiesto che cosa avrebbe pensato, come avrebbe reagito Viglione, il Presidente, il Socialista Viglione, di fronte alla crisi della politica ed alla pagina buia di Tangentopoli.
Non posso rispondere per lui e forse è troppo presto per farlo.
Posso solo ricordare che la sua scelta socialista era convinta, era una scelta di vita, formatasi durante gli anni della Resistenza, che era garantista, uomo di sinistra, unitario, ma di formazione riformista autonomista, socialista del dialogo, ma se necessario dello scontro politico più duro.
Avrebbe prevalso in lui la scelta unitaria o il suo spiccato spirito di autonomia? Preferisco che rimanga l'interrogativo.
Ma di una cosa, concludendo, sono certa: l'impegno di ridare credibilità alla politica attraverso il buon governo ed il compito di ridare onore alla storia del socialismo riformista in Italia comunque costituiscono per noi il modo più profondo per dare continuità al suo messaggio politico ed al suo sacrificio personale.
E' con questi sentimenti che il Gruppo socialista alla Regione Piemonte lo ricorda oggi a dieci anni dalla sua scomparsa.
Per questo abbiamo chiesto, insieme a molti Consiglieri regionali, che i Comuni del Piemonte, a cominciare da Torino e da Cuneo, dedichino a Viglione una loro via affinché il cuneese partigiano "Aldino" possa restare nel tempo per tutti i piemontesi "Il Presidente".



(Applausi da parte del folto pubblico presente in aula)



PRESIDENTE

A questo punto, ascoltiamo l'intervento del prof. Tamburrano (storico politologo, docente di Storia dei Partiti politici, Presidente della Fondazione Pietro Nenni), di inquadramento storico della figura di Aldo Viglione.
Il Consiglio è pertanto formalmente chiuso.


Argomento:

Annunzio interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno


PRESIDENTE

I testi delle interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno pervenuti alla Presidenza del Consiglio regionale verranno allegati al processo verbale dell'adunanza in corso.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 15.50)


Argomento:

Intervento commemorativo del Prof. Tamburrano


TAMBURRANO Giuseppe, storico

Il mio non è un ringraziamento di rito, perché la Regione mi ha fatto un alto onore chiedendomi di ricordare Aldo Viglione in quest'aula.
Rivolgo a tutti i Consiglieri un saluto rispettoso ed un saluto affettuoso e commosso alla moglie, al figlio, alla sorella, al fratello e al cognato.
Aldo Viglione è morto sul campo: in un incidente d'auto, reduce da una delle sue innumerevoli visite nei paesi, nei villaggi, nelle comunità del suo amato Piemonte, ove si recava, non solo per adempiere i suoi doveri di rappresentante delle popolazioni locali, ma vorrei dire soprattutto per rispondere ad un suo fortissimo bisogno di essere tra la sua gente, parlare con loro, sentire dalla loro viva voce le riflessioni, i suggerimenti, le attese, le critiche e trovare per tutti, non solo una parola buona, ma una parola giusta. Questo nella sezione del Partito, in un pubblico dibattito ma anche nel corso di un pranzo di nozze, di un battesimo o di una cena alla Filarmonica, occasioni nelle quali le sane genti della collina e della montagna, contadini, artigiani ed operai, discutevano - e discutono ancora di politica e di amministrazione nel clima caldo e fraterno, favorito perché no! - da mangiate di scodelle di trippa e di porri, di tartufi e peperoni e da libagioni del generoso vino locale, come si soleva fare nella trattoria "Il cavallo rosso", gestito dalla famiglia Viglione in quel di Morozzo.
Autentico uomo del popolo di stampo antico. Proviene da una famiglia piccolo-borghese benestante, è diventato professionista, ottimo avvocato penalista, è salito al più alto livello del potere locale e regionale amministratore impareggiabile, a detta di tutti, amici, compagni ed avversari politici, ma non ha mai dimenticato le sue terre, anzi, ha interpretato la funzione delle sue cariche come l'impegno di un membro della comunità di base che ha conquistato uno strumento per affrontare i problemi comuni del territorio: "uno di loro".
Autentico uomo di popolo, e autentico socialista.
Non posso non parlare di lui socialista per non tradirlo, perché sono certo che se egli fosse qui ci chiederebbe di ricordarlo non solo come Presidente della Regione Piemonte, ma anche come uomo di popolo e di parte come ha detto il Presidente Deorsola - come militante socialista: due aspetti, a pensarci bene, inseparabili.
Ma prima consentitemi una riflessione di carattere generale.
Non ho avuto il privilegio di conoscere bene Viglione perché la sua attività si è svolta quasi esclusivamente nell'ambito regionale, ma ho accettato di ricordarlo in quest'aula - i cui muri, penso, potrebbero parlare di lui meglio di me - non solo perché era difficile rifiutare l'alto onore che la Regione mi ha fatto, ma anche perché credo che "ricordare", che la memoria abbia un'importanza fondamentale nella vita di un Paese, come ce l'ha nella vita delle persone: è elemento essenziale dell'identità. E questo non perché - da storico - sia portato, quasi per deformazione professionale, a "storicizzare", ma perché come intellettuale (o preteso tale), ma soprattutto come cittadino impegnato, sento oggi acutamente il pericolo che si possa offuscare la nostra identità.
Entrare a far parte di entità plurinazionali - la Consigliera Spagnuolo ci ha detto quanto Viglione fosse impegnato su questo terreno - partecipare ai processi di globalizzazione, che non sono solo finanziari, ma anche culturali, nel senso di nuovi modi di vita e di pensiero e quindi di consumo culturale, sia un fatto positivo, a condizione che non si subisca l'egemonia di modelli estranei alla nostra specifica cultura, i quali, tra l'altro, affievolirebbero la nostra articolata identità storica e renderebbero passiva la nostra partecipazione, sterile il nostro contributo che, invece, possono arricchire il mosaico multietnico.
Inoltre, i processi tecnologici e la dilatazione degli scambi mutano con estrema velocità la nostra vita: non sempre è un progresso, perché essi rischiano di sconvolgere equilibri sociali consolidati, antichi costumi e radicate tradizioni, cementi della comunità nel tempo: il vero rinnovamento va fatto non dimenticando la continuità.
Infine, il nostro Paese è più esposto a tali rischi di altri nei quali l'unità e l'identità nazionali hanno secoli di vita; lo è anche per un'altra ragione che ci riavvicina al tema. Mi riferisco alla rapidità e alla profondità degli sconvolgimenti che hanno investito in questi ultimi tempi gli assetti politici e partitici italiani. Sconvolgimenti che hanno mescolato vecchio e nuovo in un processo di difficile definizione e di travagliata transizione. Neanch'io sono un fautore del "nuovismo" che rischia di buttare con l'acqua sporca anche il bambino. Sono convinto invece, che esperienze e valori storici sono nutrimento vitale, e tra questi colloco, certo di non fare torto alla verità, i valori nei quali credeva Aldo Viglione.
Ecco qual è il significato della memoria: tenere vive e vitali le radici che, alla stessa stregua della natura, fanno la pianta robusta e i frutti numerosi e sani: la pianta, che è il presente, i frutti che sono il futuro. Un grande come Tocqueville l'ha detto in modo icastico: "Quando il passato non rischiara più l'avvenire lo spirito brancola nel buio".
Alla luce di queste considerazioni che cosa noi recuperiamo nell'esperienza di Aldo Viglione? Il Presidente Deorsola e la Consigliera Spagnuolo hanno sottolineato egregiamente il ruolo di Viglione nella nascita e nello sviluppo dell'Ente Regione. Quella esperienza a me, che non sono piemontese, ricorda - in termini moderni - l'opera di esponenti del socialismo italiano che hanno scritto una grande pagina nella nostra storia: mi riferisco a uomini come Zanardi, Prampolini, Caldara, Agnini Turati, Bonomi, Costa, Matteotti, al loro cosiddetto "socialismo municipale".
Viglione credeva più all'iniziativa concreta che al valore cosiddetto mobilitante dell'ideologia. Il suo pragmatismo, tutt'altro che senza principi, lo fa rappresentante significativo della scuola del socialismo riformista che vedeva nella soluzione dei problemi reali non un fine in s ma un passo graduale per interventi più ampi.
Come i riformisti Viglione era convinto che l'avanzamento sociale e civile deve essere promosso dal basso con l'organizzazione e con l'impegno tenace degli interessati - su fieul, dumse da fè, era una sua espressione ricorrente - e con la crescita culturale della coscienza collettiva.
Viglione - è stato ricordato - rifiutò collegi elettorali sicuri e non amava andare a Roma perché era legato alla realtà della sua regione e perché credeva che l'Ente locale - Comune e Regione - fossero strumenti insostituibili per il miglioramento delle condizioni di vita. E torno a citare Zanardi, il "Sindaco" del pane a Bologna; Caldara, il Sindaco illuminato delle municipalizzazioni milanesi; penso a Tito Oro Nobili che tanto ha fatto per lo sviluppo sociale ed economico di Terni, a Vella, a Caltagirone e penso soprattutto a Prampolini, l'apostolo della Bassa emiliana la cui opera è ricordata dagli storici come "socialismo o metodo reggiano" - e non è il localismo - perché Prampolini ha giocato anche un ruolo nazionale con il suo socialismo reggiano ed era, come Viglione riluttante ad allontanarsi dalla sua terra e dai suoi problemi.
Ecco dove vedo Viglione: nella galleria dei socialisti che hanno realizzato importanti riforme nell'ambito locale tra le quali metto in primo piano la partecipazione diretta dei lavoratori alla gestione della cosa pubblica e la loro crescita come cittadini e come classe dirigente.
Vedo Viglione esponente contemporaneo di quel socialismo municipale che ha fatto del Comune - allora non c'era la regione - la casa non solo dei lavoratori, ma di tutti: di "tutti" come sottolineavano Prampolini e Turati.
Il "socialismo municipale" è stato un'importante elaborazione teorica della natura e della funzione dell'Ente locale - pensate tra gli altri a Montemartini - ma soprattutto un fattore concreto di sviluppo economico civile e di crescita democratica. Il municipalismo ha contaminato anche forze politiche e culturali nella cui ideologia lo Stato centrale aveva un posto preminente. Era stata voluta da Giolitti - un piemontese - la legge del 20 marzo 1903 sulle municipalizzazioni. E un altro piemontese, Einaudi fautore senza compromessi del liberismo, fu favorevole alle municipalizzazioni con l'argomento che là dove c'è un monopolio è meglio che esso sia nella mano pubblica anziché in quella privata. Sembrano bestemmie queste in un'epoca in cui la privatizzazione è un articolo di fede: di fede tutta nuova in settori politici e culturali nei quali lo statalismo è stato fino a ieri un dogma.
Ma l'idea dell'autonomia del Comune appartiene ancor più che alla cultura liberale, a quella cattolica e soprattutto a quella socialista riformista. Il Comune, nella dottrina cattolica, ha una funzione primaria come corpo intermedio tra gli individui e lo Stato: dunque, i cattolici sono sensibili, prima di tutto per ragioni teoriche, allo sviluppo del municipalismo: pensiamo alle teorie e all'azione di Luigi Sturzo.
Fautori di un'ampia sfera di poteri autonomi dei Comuni furono anche movimenti laici della democrazia; mi riferisco ai repubblicani e ai radicali: all'esperienza del Comune di Milano fino al 1904 e al quale ha dedicato un ponderoso volume Maurizio Punzo dal titolo "Radicali e socialisti a Milano".
Ma onestà storica vuole che sia riconosciuto il ruolo principale teorico e pratico dei socialisti.
Alla conquista e alla gestione degli Enti locali i socialisti dedicarono una cura particolare perché il Comune è più vicino dello Stato alla gente e ai suoi bisogni, e può risolvere problemi immediati come la "minestra" o un alloggio; perché è più facile conquistare il Comune che lo Stato; perché il Comune, se gestito bene, può essere uno straordinario veicolo di propaganda, può diventare addirittura un "contropotere" nei confronti dello Stato burocratico. L'esempio veniva al partito dal Comune di Imola, conquistato da Costa già nel 1889. E fu di Costa la parola d'ordine: "Conquistiamo i Comuni".
La grande conquista dei Comuni si ebbe nelle elezioni del 1914, dopo la "settimana rossa": la bandiera rossa sventolò su centinaia di Comuni e il Sindaco fu rosso in Comuni importantissimi come Milano (Emilio Caldara avvocato); Bologna (Francesco Zanardi, farmacista); Cremona (Attilio Botti operaio); Verona (Tullio Zanella, ingegnere); Novara (Luigi Giulietti medico).
Gli amministratori socialisti, che spesso nei piccoli Comuni erano modesti lavoratori che sapevano appena leggere e scrivere, sono passati alla storia come modello di onestà, di correttezza, di dedizione, e fu per queste loro virtù, e per il bene che fecero alla povera gente, che alle elezioni amministrative la lista del PSI otteneva più voti che alle elezioni politiche.
L'azione svolta dalle amministrazioni rosse fu la più varia e non si limitò alle municipalizzazioni (gas, tranvie, elettricità, asili, ecc.), ma fu soprattutto di carattere istituzionale, cioè fatta di provvedimenti che non si esaurivano nell'aiuto agli indigenti, ma creavano organismi: cooperative, latterie sociali, uffici di collocamento, mulini, forni silos, pastifici, ospedali. Fu attuata una politica fiscale diretta non solo a colpire i ricchi e a sgravare i meno fortunati, ma anche a ripianare i bilanci sui quali pesavano tante spese sociali. Ma do la parola a Turati che meglio di tutti esprime la filosofia e l'azione del Comune socialista: "E' soprattutto come 'Ente economico' che il Comune popolare si distingue dal suo antenato ed antagonista. Altra volta, come il Governo era il comitato d'affari della borghesia nazionale, il Comune lo era della locale soprattutto negativamente, astenendosi dal turbare gli interessi di speculazione. Ora invece si è arrivati a considerare il Consiglio comunale come il direttore di una grande società cooperativa della quale ogni cittadino è azionista, che riceve i suoi dividendi sotto forma di salute di comodità della vita, di sane ricreazioni, ripartite equamente per tutti.
Una volta il servizio pubblico era la strada, il lampione, la posta l'esattore, il gendarme, il becchino e il prete; poi vennero l'ospedale, il medico, il maestro elementare, il pompiere, l'accalappiacani, la fognatura i pubblici mercati; oggi sopraggiungono i bagni, le case, i lavatoi, i musei, i parchi; l'acqua potabile, la luce elettrica, la forza motrice, le tranvie, le panetterie e le beccherie comunali, le sale di lettura e di conferenze popolari, le scuole professionali e speciali, le assicurazioni e i telefoni, ecc., e ogni sorta di assistenza intellettuale, igienica e civile".
Era convinzione radicata dei socialisti che la produzione sociale e pubblica fosse superiore a quella privata non solo in ordine ai fini: il benessere della collettività, per il socialismo; il profitto individuale per il capitalismo, ma anche in ordine ai costi, all'efficienza.
Viglione fu fautore dell'impresa - grande fautore dell'impresa socialista e riformista anche in questo - perché riconosceva nell'impresa la funzione sociale e la capacità di creare lavoro.
Al congresso di Bologna del 1900 nella relazione di Bonomi si esprime chiaramente lo scopo dell'intervento dell'Ente locale che deve conseguire si afferma - un utile maggiore di quello che si avrebbe con l'impresa privata: che insegnamento oggi per la "finanza allegra" di tanti amministratori locali! Quali opportuni ammonimenti per chi scambia - spesso in modo strumentale - gli errori correggibili della mano pubblica per suo fallimento intrinseco e irrimediabile! Il fondamento del municipalismo si estende al regionalismo che ha in comune con il primo l'idea della gestione locale degli interessi collettivi, con in più - ed ecco la modernità del regionalismo - la considerazione che le aree socio-economiche della nostra società industriale e post industriale scavalcano l'ambito comunale e che pertanto le politiche locali debbono necessariamente proiettarsi su spazi omogenei più ampi: da ciò la Regione come Ente intermedio (anche se - ma questo è un altro problema - non sempre la dimensione amministrativa della Regione coincide con la dimensione socio-economica del territorio).
L'altro elemento di modernità che colgo nel pensiero e nell'azione di Viglione - che ha un valore di grande attualità - è la visione federalista che significa, secondo me, non solo maggiori poteri agli Enti locali Regione in primo luogo, ma anche tendenza a concepire la Regione come Ente intermedio tra il Comune e l'Europa (come ha detto la Consigliera Spagnuolo): mi pare che il suo scarso interesse per Roma (e non solo verso lo Stato centrale, ma - bisogna dirlo - anche verso gli organismi centrali del suo partito) sia in un certo modo l'altra faccia del suo federalismo riveli la convinzione che molti poteri dello Stato vadano devoluti, verso l'alto, alla Federazione europea - che sola ha la forza e la dimensione per affrontare le sfide della globalizzazione - e, verso il basso, all'Ente locale (Regione e Comune) che può sviluppare la partecipazione democratica e preservare la diversità dei patrimoni sociali, economici, civili e culturali, dei valori, delle tradizioni, delle autonomie e delle comunità naturali del Paese.
Ma il suo scarso interesse per la burocrazia e il centralismo statale non fu minimamente disinteresse per i fondamenti dello Stato democratico.
All'indomani della sua scomparsa, tutte le forze politiche hanno riconosciuto l'importanza dell'opera di Viglione nella lotta al terrorismo.
"Se il nostro Paese è riuscito a sconfiggere il terrorismo, molto deve all'avv. Viglione. C'era un tempo in cui i brigatisti, soprattutto a Torino, attaccavano ed uccidevano quasi impunemente. La gente, per lo più se ne stava inerte: quasi si trattasse di uno scontro tra Stato e bande cui fosse possibile assistere come ad uno spettacolo, restandone fuori senza preoccuparsene più di tanto. Viglione (insieme a pochi altri uomini politici) fu tra i primi a rendersi conto che l'offensiva terroristica rappresentava una minaccia non solo per le vittime potenziali, ma anche per i diritti civili e per le libertà di tutti".
Sono parole di Giancarlo Caselli che è stato giudice istruttore al Tribunale di Torino durante gli anni di piombo (le ho tratte da "Viglione: l'uomo e la sua storia" di Roberto Moisio).
Appare chiaro che Viglione difende contro le BR quella democrazia che si è impegnato ventenne a riconquistare all'Italia, quarant'anni prima nella formazione partigiana di Duccio Galimberti: ecco la sua coerenza.
Che anni, gli anni '70 a Torino e in Piemonte! Il terrorismo da una parte e, dall'altra, la crescita della forza dei sindacati che qui, forse più che altrove, esercitano il "potere di supplenza politica". "A Torino" scrive la storico Castronovo - "nel 1974, a conclusione di un centinaio di ore di sciopero, la FLM otteneva dalla FIAT la creazione di nuovi posti di lavoro al Sud, proprio in quelle regioni da cui si erano mosse in cerca di occupazione le più consistenti ondate migratorie verso il Piemonte" (una politica - permettetemi l'inciso - che l'Europa dovrebbe attuare nei Paesi rivieraschi dell'Africa del Nord: ecco un campo per l'iniziativa del Governo italiano!). Crescono in modo consistente gli iscritti al PCI; nelle elezioni amministrative le liste comuniste ottengono un grande successo. Il centro-sinistra si indebolisce; l'amministrazione regionale è sempre più in difficoltà. Nelle elezioni regionali il PCI è sempre più forte e la DC sempre più debole. E' il voto popolare che dà l'orientamento: non si pu disattenderlo. Nascono le Giunte di sinistra sia al Comune di Torino che alla Regione: e toccò al socialista Viglione di presiedere quella regionale.
Nelle elezioni politiche del 1976 la DC si riprese e tornò ad essere il partito più forte a livello regionale. La Giunta Viglione non poté - ad onta della stima che circondava il Presidente - evitare l'insuccesso socialista determinato da fattori nazionali e cioè dalla crisi del centro sinistra.
Negli anni successivi, nel nuovo corso craxiano, Viglione è rimasto al suo posto nel suo partito, conservando la sua indipendenza. Più lucido di molti dirigenti del PSI intuiva - forse - che nella crisi del comunismo internazionale era iscritta la tendenza verso l'unità della sinistra: è un interrogativo. E' invece una certezza che un socialista come Viglione avrebbe conservato, anche su questo terreno, l'indipendenza e la fedeltà all'inalienabile patrimonio sui valori della sua milizia.
Spirito libero, di buone letture, amante delle cose belle - di grande importanza fu la sua opera a favore di parchi, palazzi, castelli e ville storiche - fu uomo di popolo: ed imponente fu il concorso di popolo ai suoi funerali a Torino e al suo paese natale: "uno di loro", ho detto prima.
Viglione si sarebbe riconosciuto nella frase di Pietro Nenni: "Vorrei che alla mia morte i lavoratori dicessero: è morto uno come noi, uno di noi".
E chi ha lasciato un grande ricordo e un insegnamento per noi, e soprattutto per i giovani, non è morto del tutto.



(Applausi da parte del pubblico presente in aula)



PRESIDENTE

Ringrazio il professor Tamburrano per il suo intervento. La nostra cerimonia finisce qui.
Rivolgo ancora un caro saluto alla moglie ed ai familiari del Presidente Viglione e un ringraziamento per quello che ha fatto per la nostra Regione.



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