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Dettaglio seduta n.35 del 20/02/86 - Legislatura n. IV - Sedute dal 12 maggio 1985 al 5 maggio 1990

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Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARCHIARO


Argomento: Ristrutturazione industriale - Lavoro - Movimenti migratori: argomenti non sopra specificati

Dibattito sulla mozione presentata dal Gruppo PCI in merito all'occupazione e le trasformazioni del sistema produttivo (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Riprendiamo la discussione sulla mozione presentata dal Gruppo PCI in merito all'occupazione e le trasformazioni del sistema produttivo, di cui al punto 4) all'o.d.g.
La parola al Consigliere Manfredini.
MANFREDINI Signor Presidente, Signori Consiglieri, voglio partire da una considerazione politica e sviluppare un ragionamento prima di illustrare due punti che ritengo centrali nella nostra mozione.
La nostra mozione sul lavoro - oggi ne iniziamo la discussione per poi continuarla con altri momenti tra cui arche un convegno pubblico per confrontarci con altre forze politiche e sociali - pone implicitamente un interrogativo e ritengo basti esaminare la sua articolata esposizione di progetti e idee per darne una risposta almeno per la particolarità che essa rappresenta: e cioè, c'è bisogno di più governo o di meno governo? Intendendo per Governo lo strumento della politica per affrontare le questioni della società.
Mi rendo conto della singolarità dell'approccio, ma l'andamento sociale e politico della crisi italiana con le peculiarità stesse della crisi che ha investito la nostra Regione, di cui tutti ricordano le contraddittorietà stridenti, gli squilibri tra Nord e Sud, tra aree geografiche, rivendicano o meno la centralità della "questione Governo"? Per dirla in altro modo, dopo l'ubriacatura di questi anni dell'ideologia spontaneista; dopo lo sfascio che è evidenziato nella stessa legge finanziaria, nel debito pubblico dello statalismo clientelare; dopo la galoppante offensiva neoliberista (questo mix tra pentapartito e reaganismo confindustriale) che ha spostato ingenti quantità di risorse dal reddito alla rendita finanziaria; e dal momento che tutti possono vedere che a processi di modernizzazione non corrisponde lo sviluppo, che alla ritrovata efficienza delle singole imprese non corrisponde l'efficienza del sistema, che alla conclamata stabilità di Governo incentrata nella formula strategica del pentapartito non corrisponde la governabi-lità , che ad un articolato stato sociale non corrisponde il soddisfacimento della domanda e dei servizi di equità; è pertinente politicamente sol levare (e quindi misurarsi con idee e programmi) la questione del Governo, dell'economia e del ruolo primario del le istituzioni ? Vedete, non è poi tanto singolare, perché richiamare la questione Governo - almeno io la intendo così - significa anche richiamare le componenti complementari alla stessa questione: cioè il confronto politico reale tra le forze politiche sociali e i programmi con le loro articolazioni.
Mi sia consentito di utilizzare alcuni elementi di giudizio per il ragionamento.
In questi anni da parte del pentapartito è venuta avanti non solo la teoria della deregolamentazione, della libertà dell'impresa dell'emarginazione del Partito Comunista fino a consumare la rottura a sinistra e l'umiliazione del sindacato, ma si è operato per creare una vera e propria barriera, che tra l'altro abbiamo già denunciato, di incomunicabilità che ha finito per penalizzare tutti e non solo noi comunisti o il sindacato.
Oggi i fatti si incaricano di dimostrare che sta fallendo l'illusione artificiosamente costruita, che non fosse utile il confronto con il PCI perché considerato "vecchio e operaista" e che il sindacato rappresentasse un ostacolo a quella che veniva considerata la moderna concezione di costruire rapporti diretti tra lavoratori singoli e impresa.
Sta fallendo, in sostanza, la teoria del "non governo" e quindi dei "non programmi" e del "non confronto".
Viene avanti la convinzione che siamo in presenza di una "camicia di Nesso" che ha bloccato un sistema politico nella sua area centrale e moderata a fronte di un meccanismo economico in dinamica e anarchica modificazione ed ha prodotto effetti patologici persino per l'assetto democratico del tessuto sociale.
Partendo da queste considerazioni ritorno alla domanda iniziale: c'è oggi più bisogno di governo dell'economia, di maggior ruolo delle istituzioni, di confronto politico e sociale e di programmi o no? In queste settimane sono stati parecchi e significativi i fatti che si sono incaricati di dimostrare l'illusorietà della strategia politica ed economica del pentapartito e quanto debole fosse persino quella "vittoria di Pirro" rappresentata dall'esito del referendum sulla scala mobile.
A due anni dal decreto di San Valentino, con cui si doveva salvare l'Italia e l'economia eliminando quello che era considerato dalle forze confindustriali il "feticcio" del costo del lavoro, oggi registriamo che tutti gli obiettivi che dovevano essere raggiunti sono falliti miseramente: il disavanzo cresce a dismisura, è fuori controllo la bilancia dei pagamenti sul debito con l'estero, siamo sempre di più dipendenti da tecnologie straniere, cala la base produttiva senza che ci sia un significativo aumento della produzione industriale, aumenta la precarietà del lavoro e cresce la disoccupazione in particolare quella giovanile e femminile. E quelle che sono state considerate "le sconfitte del PCI teso testardamente a contrastare" il decisionismo del Governo e l'arroganza Confindustriale oggi si rivelano invece essere le sconfitte per il Governo e per la maggioranza del pentapartito; una maggioranza incapace di rispondere concretamente ai problemi del Paese, in preda ad un malessere che ne annuncia il suo disfacimento.
Questo si è stato un abbaglio colossale, un vero autogol, pensare che bastava un po' di "grinta" nel Paese e in fabbrica per risolvere le cose.
Molte certezze governative non sono più tali a dimostrare che la nostra battaglia aveva punti veri e forti. Viene persino voglia di dire alla luce di questi fatti nazionali che la maggioranza ci dimostra che il pentapartito al Governo regionale rappresenta una soluzione politica che,per usare un termine ciclistico, è giunta fuori tempo massimo ; ormai stanno già togliendo lo striscione d'arrivo tanto è evidente che c'è bisogno di un "dopo" alla formula del pentapartito.
Lo stesso vale anche per quella che doveva essere la "botta" decisiva al sindacato dopo la sua umiliazione, la sua emarginazione nei luoghi di lavoro e la sua subalternità al Governo centrale, priva di ogni legittimazione nel rapporto con i lavoratori, oggi i fatti s'incaricano a dimostrare, come dicevo, che quella strada sta fallendo.
Il movimento sindacale, se pur tara difficoltà, ha ricostruito la sua unità d'azione, ha lentamente recuperato una nuova capacità di proposte e di iniziative politiche, di lotte e sempre più isolate appaiono invece le posizioni oltranziste della Confindustria.
Tra i fatti nuovi di queste settimane ce n'è uno che - nonostante un mascherato silenzio stampa - ha avuto un significativo valore politico, in parte ancora non colto nella sua pienezza: i due accordi tra la FIAT e la FLM. Cosa vuol dire questo fatto? Larghi strati di opinione pubblica, non noi certamente, avevano espresso consenso alla politica di San Valentino pensavano davvero che fosse necessario un sacrificio ulteriore da parte del lavoro dipendente, che il sindacato dovesse essere ricondotto in qualche modo alla ragione con qualsiasi mezzo; oggi quella stessa opinione pubblica vede intorno a sé soltanto la paralisi del Governo, i fallimenti delle sue politiche, nuove tensioni sociali, aggravamento della disoccupazione, la pesante ipoteca sul mercato del lavoro della cassa integrazione. Persino i grintosi di "c.so Marconi" cominciano a riflettere e a considerare con nuova angolatura quella scelta e i relativi risultati ottenuti.
Si, proprio così va interpretato l'accordo con il sindacato e la Fiat.
Dico questo perché tutti sono stati concordi nel sostenere che per applicare il contratto di lavoro che prevede 1' attuazione collettiva di 38 ore di straordinario annue, riassumere una quota di lavoratori in cassa integrazione a zero ore o ridefinire il premio annuo non c'era bisogno di un accordo con il sindacato dopo anni di totale chiusura del confronto.
Ma allora,perché la Fiat ha chiesto alla FLM (non ad altre organizzazioni) di sedersi attorno ad un tavolo per trattare i problemi relativi alle entità produttive e alle condizioni salariali dei lavoratori? Perché lo ha fatto dopo che è stata alla testa di una campagna di smantellamento dell'organizzazione sindacale, di un'azione di recupero del consenso individuale dei lavoratori agli interessi dell'azienda? Perch proprio con questo sindacato considerato nemmeno un avversario da abbattere, ma un organismo ormai inutile a quelle che venivano considerate le nuove e moderne organizzazioni dell'attività produttiva all'interno dell'impresa? A queste domande hanno pensato i fatti a dare le adeguate risposte. Ci hanno pensato le continue iniziative di lotta che, nonostante l'oscuramento dell'informazione, pur tra molte difficoltà, si sono fatte in questi anni all'interno dell'azienda contro l'autoritarismo e lo sfruttamento, contro la mobilità selvaggia a dimostrare che non si possono fare i conti senza i lavoratori.
Ci hanno pensato la tenace resistenza e la caparbietà organizzativa e di iniziativa dei lavoratori in cassa integrazione a zero ore ad isolare il disegno della Fiat di scaricare alla collettività un problema sociale senza pagare prezzi a dimostrazione che queste questioni comportano scelte reali di politica economica e del lavoro.
Ci hanno pensato i lavoratori che sono andati a votare in larghissima maggioranza per il rinnovo dei delegati votando a larga maggioranza per i rappresentanti di quel sindacato che aveva detto di no al taglio dei salari a dimostrare che il sindacato è ancora largamente considerato lo strumento di tutela delle loro condizioni. Ma, soprattutto, è stata la consapevolezza, anche se assunta tardivamente dalla Fiat (occorre valutare fino in fondo l'attendibilità) che non si può pensare di governare grandi processi di ristrutturazione e di innovazioni tecnologiche e di rispondere positivamente alle condizioni dei lavoratori senza prescindere dall'organizzazione sindacale e dal consenso collettivo dei lavoratori. Io la leggo così! Finisce un'illusione, che ha contribuito all'ubriacatura di questi anni, che la centralità dell'impresa fosse prioritaria e che dovesse essere perseguita contro la centralità dell'uomo.
Non si può pensare di individuare una strategia d'impresa credibile e di lungo respiro senza porsi l'obiettivo essenziale di una politica di democrazia economica, di relazioni industriali che si pongono il problema della partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori alle scelte strategiche dell'impresa e la sperimentazione di nuove forme di organizzazione del lavoro e della produzione attraverso la socializzazione dell'informazione e delle conoscenze. In sostanza, un modo nuovo di governo dell'impresa attraverso un nuovo modo di intendere il ruolo delle organizzazioni sindacali.
Perché ho voluto sviluppare queste considerazioni sulla questione Governo chiudendo il mio ragionamento sul governo dell'impresa e sulle nuove esigenze di partecipazione, di confronto, di conoscenza dei lavoratori organizzati nel sindacato? E perché l' ho fatto alla luce di queste ultime, se pur limitate, novità? Colleghi Consiglieri, ho voluto partire dalla questione governo e dal confronto tra le forze politiche sul programma non solo per riaffermare il ruolo politico in sé di questa questione, ma proprio perché i due punti che andrò ad illustrare richiedono esplicitamente l'assunzione del "loro governo".
Quindi sul confronto e sui programmi misureremo, prima della capacità la volontà politica di assumere la questione governo come questione prioritaria, a cominciare dall'emergenza lavoro di questa maggioranza.
Noi chiediamo in sostanza al Consiglio regionale e quindi alla Giunta di non essere spettatori davanti, a processi di trasformazione produttiva di modifica del mercato del lavoro, di produzioni delle risorse che comunque altrimenti qualcuno governerà (e lo ha già enunciato) unilateralmente.
Le questioni che voglio brevemente illustrare riguardano alcuni aspetti di politiche attive per il lavoro che sono raccordate tra loro nella nostra impostazione, anche metodologica, della mozione su cui il compagno Amerio ha dato questa mattina ampia illustrazione.
La prima riguarda il coordinamento della domanda pubblica.
Il quadro complessivo della domanda pubblica rappresenta, per la sua particolare caratteristica, una poten-ziale risposta anche ai problemi occupazionali; senza enfatizzare nulla è facile prevedere, anche in una situazione di restrizione finanziaria, una capacità di investimento di considerevole entità in infrastrutture, in opere pubbliche, in servizi o anche a copertura di organici degli Enti pubblici la cui dimensione reale la direzione di spese e gli effetti occupazionali non sempre sono quantificabili e coerentemente produttivi oppure hanno riscontri tangibili sul piano occupazionale.
La prima cosa che risulta evidente è la mancanza di un quadro di riferimento ottenibile solo da un'indagine sistematica sulla domanda pubblica in Piemonte, sia essa consolidata o emergente; assieme a ciò manca una conoscenza delle imprese o società che operano nel campo delle opportunità offerte dalla domanda pubblica: di che tipo sono, quale è la loro consistenza, il contenuto tecnologico e qualitativo delle prestazioni.
Siamo in presenza di un comparto di attività e di investimenti economici di dimensioni ragguardevoli che va governato. Per cui crediamo utile istituire un coordinamento della domanda pubblica allo scopo di definire opportune politiche di programmazione degli investimenti che consenta anche una stabilità nella committenza di programmare anche iniziative di servizi reali alle imprese che operano nel settore pubblico di predisporre momenti formativi mirati alle figure professionali richieste da questo comparto, di consentire, anche attraverso questa strada, di qualificare l'imprenditorialità locale.
Assieme alla entità e alla qualità noi crediamo che questo sia un provvedimento di tale portata che possa essere anche finalizzato a conquistare un quadro di riferimento e di conoscenza delle imprese operanti nella domanda pubblica nel suo complesso e tale da consentire un giudizio di merito sulle imprese stesse e predisporre interventi opportuni ai fini di un incremento occupazionale attraverso politiche mirate, anche di formazione.
Senza pensare ad operazioni che possono prestarsi ad osservazioni critiche di carattere protezionistico o ad impostazioni di uno strumento essenzialmente dirigistico. Siamo convinti però della utilità di percorrere e sperimentare uno strumento di questa natura, concertando tra l'altro l'azione con scelte che già alcune leggi regionali ci indicano, vedi le leggi sulle opere pubbliche attraverso la "banca dati", il prezziario regionale, o altri strumenti che possono essere percorsi come fondi di rotazione o convenzioni- quadro per il controllo del rispetto dei contratti di lavoro negli appalti e subappalti.
Una materia, mi rendo conto, certamente da approfondire a fronte per di una esigenza che si dimostra reale: conoscere per programmare e guidare.
La seconda questione riguarda l'Agenzia Regionale del Lavoro su cui voglio soffermarmi con una breve esposizione.
La questione di un'agenzia regionale per il lavoro è una indicazione (e quindi oggetto di discussione politica) da molto tempo presente.
Già con la mozione Fiat, discussa in Consiglio e quindi in commissione lavoro, abbiamo cominciato a discutere un progetto politico strumentale.
Non mi soffermerò sui suoi caratteri; invece voglio farlo sulla sua funzione in una fase di grande mutamento della forza lavoro nella sua composizione, nella sua qualità professionale, mutamento che fa il paio con l'altro convulso mutamento sul versante delle occasioni di lavoro dove all'espulsione per processi di ristrutturazione della grande impresa non sempre fa riscontro nuova occupazione, perché risulta ancora non controllato quanto di nuovo c'è (se c'è) sul versante delle nuove occasioni di lavoro in altre situazioni.
C'è bisogno quindi di uno strumento di governo nuovo del mercato del lavoro che, facendo riferimento ai compiti politici ed istituzionali della C.R.I. per l'impiego, rappresenti il suo braccio operativo, tecnico ed intelligente allo scopo di pensare modelli, di individuare percorsi e di avere riscontri che consentano di cominciare a rioccupare, possibilmente ad un livello qualitativo e professionalmente più alto, nuove figure professionali, nuovi lavoratori che oggi, in parte perché giovani o perch donne, trovano ostacolo ad una prospettiva di lavoro.
Noi crediamo che il Governo debba dotare la nostra Regione di questo strumento, ma occorre sapere che una volta ottenuto occorre avere anche una autorevole capacità e volontà di governarlo e di dirigerlo istituzionalmente attraverso gli interventi appropriati, coordinandolo con gli altri strumenti come la formazione professionale e l'Osservatorio regionale del mercato del lavoro.
E' anche questo, come il coordinamento della domanda pubblica, un terreno di grande interesse sperimentale, ma a questo deve corrispondere la volontà di governarli, perché ci sono forze che non vorranno saperne di questi strumenti,forse che, ancora prima di individuarne forme e funzioni li considerano già come dei nuovi "lacci e lacciuoli" per le imprese.
No, noi siamo convinti che questi strumenti non solo non rappresentano ostacoli allo sviluppo, ma saranno utili, se usati con la massima democraticità e partecipazione, a costruire un quadro complessivo ed attendibile su cui innestare politiche industriali, occupazionali e di governo delle risorse utili ad indicare per la nostra Regione una linea positiva dello sviluppo.
Sarebbe grave se il governo del M.d.L. fosse lasciato alla spontaneità perché non solo ci sarebbero gravi e pesanti discriminazioni, ma si emarginerebbero ulteriormente rendendo più grave la fascia più debole del M.d.L. Questo noi non possiamo accettarlo.
Signor Presidente del Consiglio, Lei ha voluto nell'ultima seduta congratularsi pubblicamente con me per il nuovo impegno politico che sto per adempiere e mi ha fatto gli auguri di buon lavoro.
Io voglio cogliere l'occasione di questo, probabilmente, mio ultimo intervento da Consigliere regionale del Piemonte per ringraziarla e ringraziare i colleghi per gli attestati di stima che hanno voluto esprimermi.
Voglio anch'io, a conclusione del mio intervento, fare gli auguri al Presidente, ai colleghi e a tutto il Consiglio regionale. Auguri che, a partire dai problemi aperti della nostra comunità regionale e con le proposte anche parziali che abbiamo voluto esporre con questa mozione, il Consiglio regionale del Piemonte sappia ritrovare e rinvigorire il ruolo di governo istituzionale che gli compete per dare risposte concrete ai bisogni urgenti di certezza nel lavoro e solidarietà sociale, in grado di individuare uno sviluppo che abbia al centro l'uomo e le sue aspirazioni di benessere e di giustizia.
Confortato come sono dalla convinzione che in questa Assemblea il popolo piemontese ha saputo esprimere forze, idee e intelligenze in grado di raggiungere questi ambiziosi obiettivi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferrara.
FERRARA Signor Presidente e signori Consiglieri, l'ordine degli interventi mi impone di parlare subito dopo il Consigliere Manfredini,che ci lascia,per cui voglio ringraziarlo dell'augurio che ha rivolto a questo Consiglio regionale e rivolgergli l'augurio che riesca a portare, anche nel Parlamento Nazionale, energie nuove e capaci di dare nuovo respiro alle proposte politiche necessarie per l'intero Paese.
Quando è stata presentata la mozione dal Partito Comunista (l' ho letta con attenzione) già era stato fissato questo dibattito e le sue modalità.
Devo dire che quando mi sono reso conto della portata della mozione sono rimasto un poco sconcertato.
Da una parte mi è venuto voglia di dire:come è bella l'opposizione quando in fondo si possono fare delle proposte senza correlarle a dei contenuti.
E' certamente più facile presentare dei programmi, perché il programma o meglio la mozione che il Partito Comunista ha presentato, lungi dall'essere una mozione che si riferisce ai problemi dell'occupazione, è in realtà un documento generale comprensivo di quella che è l'intera politica regionale. Quindi, non ho capito bene l'intento sotteso a questo documento se sia una sorta di controprogramma o se non è un controprogramma, visto che è stato presentato una settimana dopo, cos'è? Mi è venuto anche da pensare che voglia essere l'inventario delle cose non fatte e la descrizione del degrado urbano. Il recupero delle periferie è un problema a me molto caro e per 5 anni l' ho sostenuto al posto di progettazioni di nuove espansioni esterne alla città o di costruzioni di città satelliti. Lo stesso dicasi sul sistema dei trasporti: dare un assetto definitivo ai trasporti metropolitani è una necessità fondamentale sono tanti anni che si afferma la necessità di dare un assetto ai trasporti delle aree metropolitane, ai collegamenti in Piemonte, Piemonte - Liguria Piemonte - Europa. Così dicasi del Sito e del suo completamento con ritmi adeguati.
Qui c'è una piccola contraddizione in quanto il completamento presuppone un avvio e devo dire che probabilmente sul Sito occorre veramente iniziare per avere non solo più una società e un Consiglio di Amministrazione, ma per avere un qualcosa su cui operare.
Al di là di queste considerazioni la mozione è certamente importante e di ampia portata, con aspetti condivisibili come i problemi della riforma dell'ufficio di collocamento, della cassa integrazione e la centralità dei problemi dell'ambiente, dell'ecologia e dell'energia. Credo che, oltre ad averne parlato 15 giorni fa quando la Giunta ha presentato il programma saranno oggetto di discussione nei prossimi giorni allorché si dibatterà il bilancio che avrà delle indicazioni di questo genere e porrà il problema dell'ambiente come momento fondamentale delle scelte programmatiche.
Devo dire che ha qualcosa di più in quanto parla della questione morale (lo dico senza nessuna ironia), la quale pone un problema che mi è caro e che condivido: regolamentare gli appalti. Lo condivido e mi è caro perch l' ho sostenuto in altra sede, ma l' ho sostenuto dicendo che occorre fare qualcosa, individuare i modi perché quelle situazioni anomale, che possono obbiettivamente determinarsi, almeno abbiano maggiori difficoltà perché si determinino.
Quindi molte cose in questa mozione ci vedono consenzienti ed altre evidentemente ci trovano dissenzienti, com'è giusto. C'è una cosa che non riusciamo ad accettare ed è la portata complessiva, il tono ed il respiro: non riusciamo ad intendere perché oggi affrontiamo un problema così importante e non l'abbiamo affrontato, forse era più giusto, insieme al programma con la possibilità quindi di avere elementi di confronto concreti.
Credo che argomenti come questi, che vanno ben al di là di quello che è il problema dell'occupazione, debbano essere affrontati non con una mozione, ma in modo più complessivo dal Consiglio sulla base di altri documenti che consentano un allargamento del dialogo.
Quanto ha detto questa mattina il collega Tapparo mi trova consenziente poiché dice che il problema centrale è collegare questa situazione di sviluppo che oggettivamente oggi esiste nel nostro Paese, ma non solo nel nostro Paese, ad una effettiva maggiore occupazione che nei prossimi anni pare non debba trovare delle soluzioni opportune.
E' un problema quindi che riguarda la politica complessiva di bilancio di finanza pubblica; diverse sono le valutazioni di come e di chi deve beneficiare di queste nuove opportunità che si determinano con la crisi del petrolio, col dollaro ai livelli più bassi, con una nuova situazione favorevole dell'industria italiana ed occidentale.
Ho la sensazione che i benefici non debbano essere tutti quanti concessi al consumo e alle imprese, se non vogliamo un giorno, anche se non riesco a capire quale possa essere la fine di questa strada, trovarci in una situazione veramente non più recuperabile.
Credo che occorra utilizzare queste nuove opportunità economiche che si determinano, da una parte per il risanamento della finanza pubblica e dall'altra parte per il risanamento del sistema industriale con conseguente creazione di nuove occasioni di lavoro. L'Ente Regione - visto che di questo Ente ne facciamo parte - più degli altri deve impegnarsi in questa direzione.
Occorre però - e non voglio dilungarmi più di tanto - trovare i modi e le sedi opportune di dibattito. Occorre che il confronto che facciamo sia un confronto costruttivo.
Questa mattina il Collega Amerio aveva detto che questo è un elemento di confronto e di dibattito concreto.
Io - credo di averlo detto e voglio riconfermarlo - non ho nessuna difficoltà a dire che è necessario un confronto vero tra le varie componenti politiche presenti in questo Consiglio regionale.
Non credo però che un confronto vero possa aversi su una mozione così generale, ma lo si debba intraprendere in sedi più ristrette e meno pubbliche come quella della IV Commissione, dove il confronto è reale, vero e determinerà certamente delle soluzioni in qualche modo concordate discusse ed approfondite tra le parti che danno delle concrete prospettive di superamento dei conflitti o comunque di confronto reale tra le varie posizioni.
Mi auguro che, rispetto ai temi contenuti nella mozione, sia possibile affrontarli globalmente quando la Giunta ci presenterà il Piano di Sviluppo, quando, più nell'immediato, la Giunta ci presenterà e dibatteremo il bilancio che comporterà le scelte a breve scadenza che l'Ente Regione dovrà fare e avremo quindi la possibilità di trovare elementi di confronto vero.
Dal dibattito sull'occupazione, soprattutto quello che emergerà in concreta dalla IV Commissione dalla discussione in questo Consiglio regionale, sarà opportuno in quella sede e su quei presupposti allargare il dibattito, sentire le componenti sociali perché l'Ente pubblico non sia avulso dalla realtà nella quale opera e trovare in quella sede opportunità di confronto nuovo, concreto e costruttivo.



PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CERCHIO



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Marchini. Ne ha facoltà.
MARCHINI Il nostro Gruppo ha apprezzato l'iniziativa del PCI e ritiene che quando un partito di opposizione ha la dimensione, il radicamento sociale e l'articolazione di grande partito come sicuramente è il PCI, non c'è da stupirsi se lo stesso partito si accinge a un lavoro di analisi dei problemi della società al governo del quale è chiamato, sia pure in una situazione specifica e particolare come quella dell'opposizione.
Sembra quindi normale la predisposizione di un documento così complesso e così problematico, sembra però altrettanto ovvio e ormai consolidato il fatto che il programma predisposto dalla Giunta, in qualche misura, è la risposta che la Giunta stessa e la maggioranza, quale supporto della Giunta, hanno dato agli interrogativi che si sono posti.
Sembra quindi - e pensiamo che le forze di maggioranza concordino su questo - che questo dibattito sia superato, non perché siano superati i problemi, ma perché è superato il momento del dibattito; siamo ormai alla gestione delle decisioni che sono venute dall'accettazione del programma da parte della maggioranza, così come è stato predisposto dalla Giunta quindi, siamo alla fase operativa.
Probabilmente più che tornare sugli argomenti oggetto della mozione si tratta di richiedere un fermo impegno alla Giunta e insieme un atto di umiltà, il fermo impegno a lavorare e l'atto di umiltà nel sentire la società, le forze politiche, imprenditoriali e sindacali per far si che l'attuazione delle linee programmatiche che ci sono state indicate siano coerenti ai problemi della società e siano in grado di concorrere nei limiti in cui l'istituto regionale può rispondere alle aspettative della società e ai problemi.
Ritengo doveroso, nonché utile e stimolante, riscontrare l'intervento del Collega ormai deputato, Manfredini, al quale il nostro Gruppo fa i migliori auguri perché ha avuto modo di apprezzarne la capacità, la modestia e lo stile, caratteristico del personaggio. Apprezziamo il personaggio però non apprezziamo le cose che ha detto. Ci sembra che abbia fatto torto alla memoria storica con delle enunciazioni grossolane - il Collega mi consenta il termine - in ordine ai problemi dell'economia, al ruolo che il sindacato avrebbe, ad avviso di questa maggioranza, e alle sorti del pentapartito in generale e di questo in particolare.
Non si devono enfatizzare le vittorie degli avversari per far credere che le cose siano diverse dal reale. In Piemonte in particolare si sta avviando la riconversione strutturale, siamo l'area in cui si è insediata la più grande impresa d'Italia, l'impresa d'Italia più innovata, ma probabilmente anche una concentrazione di ordine finanziario che non ha precedenti. Ma non si può, giocando sullo specifico, ignorare qual è il tema generale della nostra economia. Sono dati elementari che ci fanno capire i processi, come dicevamo stamattina: ci facciano pure pagare 100 lire in più se qualcun altro le paga in meno. E siamo allo stesso problema.
L'occupazione. Al di là degli interventi, dei suggerimenti di ordine tecnico-congiunturale e di gestione che ci suggerite, da che mondo è mondo soprattutto da che il mondo ha scelto la strada liberista, i posti di lavoro si realizzano con investimenti e devono produrre ricchezza. Per fare investimenti ci vogliono risorse e se ci sono risorse o no, questo fenomeno si misura verificando se si muove il prodotto interno lordo rispetto a come si muove il prodotto interno lordo degli altri Paesi; soprattutto come diceva la Collega del MSI stamattina, dobbiamo constatare che siamo in "zona Cesarini", siamo in quella situazione temporale e di collocazione per cui non si riesce mai a capire se siamo il primo dei Paesi non industrializzati o l'ultimo dei Paesi industrializzati.
Per metterci al riparo da questo e quindi entrare in zona sicurezza, di media classifica, evidentemente questo nostro Paese deve fare uno sforzo senza precedenti, che si misura sul prodotto interno lordo, che deve essere non uguale a quello degli altri Paesi, come avviene adesso, ma superiore perché se non è superiore non ci sono risorse per l'occupazione. I posti di lavoro, cari colleghi, si creano con le risorse che il sistema economico produttivo deve accantonare. Non c'è altra risorsa.
Non possiamo pensare che il sistema pubblico possa ancora fungere da "nuova Libia" dei Paesi avanzati, da nuovo posto al sole: non è più così.
Stamattina abbiamo fatto una discussione serena, ma era scontata, sui precari della sanità. Non possiamo continuare a moltiplicare i barellieri perché altrimenti dobbiamo anche moltiplicare i letti e gli ammalati.
Tutte queste strategie hanno pure un loro tetto che è nel vincolo di ordine esterno della concorrenzialità con gli altri Paesi. Quindi non c'è ancora il periodo delle vacche. Il Collega Manfredini ha ragione nel dire che la nostra economia rivela segni di debolezza, ma questi segni di debolezza non sono la causa, non sono stati causati da processi che tu dici essere avvenuti, ma sono il segno che questi processi non sono avvenuti.
Il Collega Manfredini descrive una situazione dimenticando che la situazione cui fare riferimento è durata fino a non moltissimi anni fa e che gli altri Paesi industriali non l' hanno mai conosciuta. Mi riferisco al meccanismo perverso della scala mobile; mi riferisco all' ingessamento del mercato del lavoro; mi riferisco alla penalizzazione della professionalità all'interno del mondo del lavoro, al ruolo pansindacalista del sindacato: sono cose che gli altri Paesi industriali non hanno conosciuto. Quindi sono messi si in anni di vacche grasse per loro e forse lo sarebbero anche per noi se non si fossero fatti macroscopici errori politici di accantonare quelle risorse che ci avrebbero fatto diventare veramente un Paese industriale moderno, inserito all'interno della media classifica, in questa ideale classifica che facciamo dei Paesi dell'emisfero occidentale.
Caro Manfredini, è scorretto politicamente disegnare una situazione all'interno della quale prefigurare come possibili delle soluzioni sul piano dell'occupazione che non ci sono. La diagnosi fatta dagli uomini di governo responsabili è molto più brutale, è molto più radicale di quella che qui facciamo, diciamocelo con franchezza, per timidezza o per non conoscenza dei problemi.
Sono convinto che quando verrà il Ministro De Michelis a inaugurare la Commissione Lavoro, se avrà occasione di parlare in pubblico, probabilmente sui problemi dell'occupazione dirà cose molto più dure, molto più spiacevoli di quanto non si siano sentite qui dai rappresentanti della Giunta e dai rappresentanti dello stesso partito comunista.
Ricordo di avere sentito in quest'aula, non molti anni fa, il Ministro De Michelis dire delle cose misurate a livello di generazione. Sono curioso di sapere se le previsioni catastrofiche, come risultato ma probabilmente realistiche come metodo, del Ministro siano state superate da qualche fatto straordinario.
Quando ci sarà il Ministro probabilmente sentiremo dire delle cose molto piacevoli, ma molto diverse da queste aspettative ottimistiche e pessimistiche che insieme il PCI gestisce.
Ha detto bene il Collega repubblicano, è facile fare l'opposizione però ci vuole un po' di rispetto per la memoria, per non dimenticare che alla base di alcuni fenomeni qualche responsabilità c'è pure da parte vostra.
Passiamo alla seconda questione, quella del ruolo del sindacato. Ci si scandalizza e ci si stupisce del fatto che una grande azienda ricerchi con il sindacato un accordo in ordine ai rapporti della fabbrica. Ma, questa è la cosa più ovvia di questo mondo. C'è stato uno scontro fra la grande azienda e il sindacato, tra la società e il sindacato, tra la base e il sindacato, tra il PCI e il sindacato (mi pare che Lama sia stato messo in stato di accusa soprattutto dal PCI, non mi pare che al suo ritorno al partito ci siano stati gli archi trionfali). Le accuse che sono state lanciate a Lama dal PCI sono estremamente pesanti, quindi, la contestazione del sindacato attiene a un certo sindacato, che ha fatto quello che abbiamo detto prima. Il sindacato su queste questioni ha delle responsabilità precise. Le sue responsabilità le ha pagate e noi ci auguriamo tutti che cresca e si rinnovi un sistema sindacale che sia in grado di aprire una dialettica corretta con un'azienda in particolare e col mondo politico in generale.
Nessuno ha "voglia" di distruggere il sindacato. Si è combattuto a livello politico e di società un fenomeno che era degenerato: quello di un sindacato che aveva determinato la situazione alla quale ci siamo riferiti prima. A Lama sono state rimproverate queste cose dal P.C.I., non dal Partito liberale e il Partito Comunista ha rimproverato a Lama di non aver saputo gestire con sufficiente agilità il sindacato.
Veniamo al pentapartito. Sono state fatte sempre dal neodeputato accuse pesanti a questa formula politica, è stato recitato il "de profundis".
Vorrei però capire rispetto a che cosa; grandissimi risultati, per carità non si sono ottenuti, ma sostanzialmente si è invertita la tendenza dell'inflazione, e non è cosa da poco; il sistema produttivo nella sua generalità è stato rilanciato; il rapporto con le parti sociali si è recuperato.
Ho qualche difficoltà a capire dov'è lo sfascio del pentapartito.
Probabilmente deve essere visto più come un'area di maggioranza che come un'area di governo. Quanto è avvenuto al Senato stamattina, che due partiti, pur facendo parte dell'area di maggioranza, abbiano votato in modo diverso sull'articolo 31, significa il recupero di una mobilità all'interno ciel dialogo politico che probabilmente ci mancava. In Piemonte arriva in ritardo. Sicuramente il processo di ristrutturazione industriale che c'è stato in questa Regione non ha visto presente l'ente pubblico, in particolare non ha visto presente la Regione e ha visto in grave ritardo il Comune di Torino perché questi enti erano governati da formule politiche che erano in totale dissonanza rispetto al processo della società. In questo erano in ritardo, e le forze politiche che non hanno raccolto questo dato, mi riferisco ad alcuni alleati della nuova maggioranza, probabilmente hanno questa responsabilità politica e fra qualche anno qualcuno giudicherà quale ne fosse la misura e la dimensione.
La formula politica di pentapartito l'abbiamo concepita per primi e continuiamo a concepirla come l'alleanza più avanzata che è pensabile in questo sistema politico e nel complesso delle forze del nostro Paese. La difendiamo a livello nazionale e a livello locale, collaboriamo con grande lealtà, ma denunciamo, come è avvenuto per esempio sull'art. 31 della legge finanziaria, degli scadimenti e dei ritorni all'indietro con cui, con qualche gioco di bussolotto, si cercano di scaricare sugli elementi più deboli, dal punto di vista politico e del consenso, i pesi che la società va costruendo. Non mi pare quindi che la diagnosi del Collega del P.C.I.
abbia alcun fondamento. A nome dei Colleghi del Gruppo rinnovo l'invito alla Giunta perché voglia gestire con puntualità il programma che si è data e con l'umiltà necessaria per governare una Regione che è vista come l'istituzione all'interno di una serie di decisori, soprattutto in questa Regione, di decisori di grande importanza sia sul piano dei soggetti imprenditori che dei soggetti rappresentanti dei lavoratori.
E' una fase molto delicata che la maggioranza e la Giunta, dal punto di vista esecutivo, devono affrontare e gestire. La Giunta sa su questo di poter contare sulla solidarietà e sul contributo del nostro Gruppo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.
BONTEMPI Sono sconcertato dal modo con cui negli interventi di due Gruppi della maggioranza si è elusa la discussione di merito sulla mozione. La mozione come strumento parlamentare perché è iscritta all'o.d.g., perché contiene precise indicazioni e richieste (e noi chiederemo di votarla è apparentabile a una piattaforma di proposte simili a quelle che leggi o delibere,assumiamo in questo Consiglio.
Tutte le valutazioni politiche sono possibili, quello che a mio modesto avviso non è possibile è evitare il confronto sui punti della mozione. Se si evita questo confronto la ragione della nostra riunione viene clamorosamente a cadere.
Sono intervenuto adesso, prima degli altri interventi della maggioranza e della Giunta, perché questo andazzo mi preoccupa enormemente.
Farò poi altre valutazioni in sede di dichiarazione di voto oppure in chiusura di discussione. Noi non siamo assolutamente soddisfatti di questo dibattito finto.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il collega Benzi. Ne ha facoltà.
BENZI Signor Presidente, colleghi Consiglieri, ritengo che questa mozione sia positiva e meriti un'attenzione non superficiale poiché si tratta di problemi che interessano tutti. Precisato questo, devo sottolineare di non essere d'accordo su tutto e che mi sento in dovere di fare alcune precisazioni. Ad esempio ho riscontrato una mancanza notevole riguardante i riferimenti di carattere finanziario. Di tutte le cose proposte, e sono davvero tante, c'è, forse, più di quanto competa alla Regione. Inoltre non sappiamo quali siano i costi, con quali mezzi e possibilità economiche noi possiamo affrontare le ipotesi di intervento proposte. Mi sembra che questo sia uno dei punti deboli della mozione. Un conto è stilare progetti, un altro sapere da dove e in che modo vengono trovati i mezzi finanziari.
Inoltre mi pare che non sia stato affrontato e studiato a fondo il fenomeno, vastissimo per ampiezza e profondità in Piemonte, del lavoro sommerso. Sono innumerevoli le persone che lavorano in questo modo non pagando alcun contributo, nessuna tassa, risultando poi, magari disoccupati. Sui giornali di ieri,per esemplificare, si parlava di quelle persone che negli ospedali assistono di notte i malati.
Le tariffe fluttuano tra le 50 e le 100 mila lire per notte. E dire che queste persone non dispongono di alcun titolo professionale. Un fenomeno parallelo al lavoro sommerso è quello del doppio lavoro. C'è gente che lavora per otto ore in aziende e poi presta altre attività. Il risultato è che, col doppio lavoro, si portano via possibilità di impiego a chi è disoccupato. Sarebbe necessario avviare una indagine su questo fenomeno.
Inoltre dovrebbero essere perseguiti a termine di legge tutti coloro i quali danno lavoro senza libretti perché costa di meno. Ma il fatto di costare di meno vuol dire non dare allo Stato quello che lo Stato chiede agli altri normalmente. Altro aspetto su cui riflettere le ore straordinarie. Vi sono aziende che, da anni, fanno ore straordinarie e non assumono nessuno. L'ora straordinaria infatti costa meno del lavoro normale. Da un'indagine condotta due o tre anni fa da una organizzazione sindacale è risultato che se in Piemonte fossero abolite le ore straordinarie si potrebbe dare lavoro a 50-60 mila persone. Un passo concreto sarebbe quello di proporre alle aziende di fare la metà delle ore straordinarie. In tal modo si creerebbero diversi posti di lavoro.
Anche se non rientra nei nostri compiti sarebbe opportuno quindi che la Regione si impegnasse ad avviare una accurata indagine sulla profondità ed estensione di questi fenomeni. Il mercato del lavoro avrebbe un efficace strumento in più.
Ora vorrei parlare della formazione professionale. La domanda che faccio anche a me stesso - non so se il collega Genovese è in grado di rispondere - è questa: quanti dei giovani che hanno seguito i nostri corsi professionali, hanno, ultimati gli studi, trovato un posto di lavoro? Se questi giovani non sono molti significa che i corsi sono stati fatti con programmi non più attuali e vecchi macchinari non più al passo con le esigenze del lavoro. Ovvero noi Regione, noi Stato - o chi volete - abbiamo veramente speso male il denaro.
Per fortuna qualche cosa di positivo si sta realizzando. Parlo della formazione professionale attuata con l'accordo Regione e Unione Industriale. Sono circa 2 mila i giovani che potrebbero essere inseriti.
Occorre però che noi discipliniamo meglio la normativa di accesso alle aziende. Infatti certe aziende in questi giorni hanno ricevuto centinaia di domande di assunzione. E' chiaro che le ditte si sono spaventate. La strada intrapresa è comunque buona. Occorre proseguire in questa direzione.
L'altro giorno alla IV Commissione ho saputo che il progetto verrà esteso l'anno prossimo a tutto il Piemonte. Onestamente, conti alla mano, si passerà dai 2 mila posti previsti per l'area torinese a circa 3.500 per tutta la regione. Penso che l'attuare un piano analogo anche per il settore artigiano sarebbe un'ottima cosa. La mozione, tra l'altro, accenna a questa ipotesi. Aggiungo che non sarebbe errato coinvolgere in piani di questo tipo anche il settore commerciale. Si realizzerebbe così una solida rete capace di accogliere giovani in cerca di lavoro. Sulla mozione dei colleghi comunisti ho letto che le aziende che assumono donne dovrebbero avere un ulteriore premio. Una ipotesi che approvo ma che potrebbe essere estesa anche a chi assume lavoratori quarantenni.
C'è comunque un settore che potrebbe, se sufficientemente aiutato, dare lavoro in Piemonte: quello del turismo.
Sinora, nonostante la buona volontà, poco si è fatto come propaganda dell'immagine dei Piemonte turistico soprattutto per gli aspetti e le bellezze dei suoi beni culturali.
In effetti del Piemonte, delle sue bellezze paesaggistiche e culturali pochi, fuori della nostra regione, sanno qualcosa. I tour turistici degli stranieri ignorano completamente la regione. Segno che negli anni passati al di là di alcuni interventi per il turismo invernale, poco o nulla è stato fatto. Per la maggioranza della gente in Italia e all'estero Torino è solo la città dell'automobile senza storia è senza radici. Sappiamo tutti che non è vero. Occorre dunque, anche in prospettiva di un allargamento dei posti di lavoro in questo settore, promuovere una concreta, efficace politica promozionale del Piemonte turistico. Oltre a Torino pensiamo ai laghi, alle Langhe, al Monferrato e a mille altri posti che vale la pena di far conoscere. E' questo il Piemonte turistico da creare.
Cambiamo argomento. Come per il turismo è necessario promuovere aiutare di più le piccole e medie aziende. All'estero solo le case maggiori del Piemonte sono giustamente conosciute per la loro efficienza e i loro prodotti qualitativamente elevati. Ebbene tante altre ditte di medie e piccole dimensioni, pur con i doverosi distinguo, possono fare bella figura all'estero. Ciò significherebbe maggiori commesse e quindi più lavoro ed occupazione. La Regione, come strumento promozionale, ha la Promark che potrebbe diventare con la sua attività il tramite per far conoscere questa parte del lavoro piemontese. Invece la Promark organizza mostre che hanno solo un respiro locale, al massimo regionale, come la recente "Idea Sposa".
Una interessante iniziativa senza dubbio, ma limitata come interesse. Per quanto riguarda gli uffici di collocamento non condivido quanto è scritto nella mozione poiché quando una media o piccola azienda assume una persona vuole che la stessa abbia requisiti o specializzazioni di lavoro ben preciso. Mi spiego: se ho bisogno di un elettricista e l'ufficio di collocamento mi manda Dante Alighieri, questo non serve a nulla poiché per la ditta, in quel momento, è necessario un elettricista e solo quello.
Ad un convegno dell'API a cui partecipavo anch'io, un piccolo industriale ha raccontato di aver avuto, tramite il collocamento, un buon operaio. La ditta era specializzata in casseforti. Dopo un mese il neo assunto si era dimostrato davvero in gamba. Apriva tutte le casseforti.
Poco dopo però si scopri che l'uomo era stato in prigione poiché era uno scassinatore di professione. Questa curiosa vicenda dimostra l'attenzione che deve essere posta prima di mandare un nuovo dipendente ad una ditta.
Soprattutto nelle medie e piccole aziende, possono essere assunte solo persone che sappiano fare il lavoro richiesto e non lavoratori generici.
Per la grande azienda il discorso è diverso. All'interno della stessa è assai più frequentemente possibile inserire un lavoratore non specializzato.
Passo ora al problema dei fanghi industriali. Innanzi tutto vorrei dire che non è la grande azienda in genere che scarica nei fiumi rifiuti che uccidono ogni forma di vita del corso d'acqua, ma quella di medie e piccole dimensioni che non ha i mezzi economici per allestire un impianto di depurazione il cui costo mediamente va dai 100 ai 150 milioni. Una proposta per ovviare a , questo avvelenamento dei corsi d'acqua sarebbe quella di allestire speciali vagoni a tenuta stagna degli acidi e dei rifiuti dove potrebbe essere raccolto il tutto. L'insieme dei liquami potrebbe essere poi sotterrato in terreni non in prossimità di falde acquifere. Ovviamente per certi tipi di prodotti chimici di difficile smaltimento è indispensabile uno studio che tenga nella dovuta considerazione la difficoltà di smaltimento.
Vorrei in conclusione dire che questa mozione per me non risulta essere un atto della minoranza o della maggioranza, ma un atto che riguarda tutti noi. Dobbiamo tutti insieme impegnarci affinché la crisi che affligge il mercato del lavoro venga ridotta.
Centocinquantamila disoccupati, sette - ottomila cassaintegrati sono troppi. Penso inoltre che il colloquio tra lavoratori e aziende sia possibile se entrambe le parti palesano buona volontà nella discussione.
Come Regione, come istituzione dobbiamo farci promotori di questo ulteriore avvicinamento. Solo in questo modo è e sarà possibile operare concretamente per un migliore futuro del Piemonte.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Staglianò.
STAGLIANO' Dico subito che nonostante la febbre oggi ho voluto essere presente al dibattito per l'importanza che questo tema ha nella nostra Regione ritenendo molto utile e opportuna l'iniziativa del Gruppo comunista che si svolge dopo il dibattito programmatico, pur essendo stata concepita prima di esso. A mio avviso opportuna, perché era indispensabile ritornare sul nodo della disoccupazione dopo un dibattito troppo generico svoltosi al riguardo nella discussione sul programma presentato dalla Giunta.
La carenza di occupazione, come è stato detto da tutti, è la vera emergenza sociale, l'emergenza n. 1, sulla quale il programma degli intenti presentato dal pentapartito ben poco di concreto ha previsto, dopo tutti gli inni al mercato e gli incentivi ai privati rampanti che in quelle linee programmatiche è possibile intravedere e su cui mi sono soffermato nella precedente seduta.
Detto ciò, debbo aggiungere, in particolare ai compagni del Gruppo comunista, che sono sempre un po' preoccupato quando c'è un consenso troppo vasto e indistinto, perché sui titoli della mozione comunista non ho sentito osservazioni contrarie da parte di nessuno. In effetti è difficile dire che quei titoli, quegli argomenti non sono quelli giusti; per compagni e colleghi comunisti, perché quelle cose non hanno funzionato prima? Perché mi pare che abbiano costituito, sempre loro, il nerbo dell'iniziativa politica che, negli ultimi anni, si è tentato di portare avanti in questa Regione; da questo punto di vista credetemi, e lo dico con molto rammarico, non me ne voglia il collega Ferrara, debbo convenire con alcune osservazioni del Capogruppo repubblicano.
Volevo dire esattamente questo: che con rammarico debbo convenire con alcune osservazioni del Capogruppo repubblicano, quando Ferrara dice che quei titoli possono anche essere letti come cose che era possibile fare e che non sono state fatte.
E' sul perché non sono state fatte che io mi voglio soffermare tentando di ragionare, nonostante la febbre, pacatamente con i colleghi, e in particolare con i colleghi comunisti. A me pare che la ragione vada ricercata nel mancato raccordo con la domanda sociale che in questi anni ha mutato caratteristiche, alcune delle quali sono state richiamate proprio dal collega Benzi poco prima, quando parlava di lavoro nero, di doppio lavoro e così via. In un reticolo di interessi, non "non governati" compagni comunisti, ma governati da logiche selvagge di profitto, a cui le istituzioni democratiche non hanno saputo contrapporsi con strumenti adeguati. E' evidente che questa mozione, la cui ampiezza, rilevanza e portata è fuor di dubbio, ha in sé una logica che tende a collocare il PCI come forza di governo più che di opposizione; ed è legittimo che il Partito Comunista sottolinei il ruolo che ha svolto e che intende mantenere pur dall'opposizione. Ma dall'opposizione, compagni, io ritengo che si debbano tutelare più nettamente interessi sociali determinati.
Da questo punto di vista cercherò di soffermarmi sulla mancata mediazione sociale della Regione, perché è intorno a questo nodo che è possibile lavorare per dotare il Piemonte di una serie di strumenti per intervenire nel concreto, quale può essere l'Agenzia del lavoro che si sta discutendo nella IV Commissione e di cui torneremo a parlare ancora in Consiglio.
L'emergenza occupazione così come è descritta dai presentatori costituisce un modo generale di affrontare i problemi che non va al nocciolo della crisi di credibilità e che ha investito il rapporto tra istituzioni locali e la realtà vissuta dai soggetti sociali. Non è la prima volta che la Regione affronta in un dibattito le questioni della disoccupazione, e senz'altro ci ritorneremo.
Ma non si è ancora andati a fondo a quella che è la questione vera al riguardo; la crisi del Piemonte è essenzialmente dovuta ai processi di ristrutturazione del principale settore produttivo, l'auto, con tutto quello che l'auto si porta dietro; anche qui, sui titoli ci siamo tornati altre volte. E', infatti, alle scelte della Fiat che noi dobbiamo l'espulsione di decine di migliaia di lavoratori, che poi parzialmente vengono assorbiti dalle piccole aziende, come ci diceva nella consultazione della IV Commissione l'altro giorno, il rappresentante dell'Api; è alle scelte della Fiat che noi dobbiamo la caduta verticale di reddito e di consumo della popolazione, con effetti recessivi nello stesso terziario, su cui lo stesso compagno Tapparo stamani opportunamente si soffermava.
La crisi è dovuta ad un indirizzo di politica industriale ed economica che gli Enti pubblici hanno subito. I risultati positivi in termini di fatturato e di utile, presentati in questi giorni dalla Fiat, testimoniano esattamente questo: la dualità dello sviluppo; da una parte i benefici dell'impresa, dall'altra i costi per la collettività in termini di emarginazione sociale alla quale lavora alacremente, consentimelo Tapparo lo stesso Ministro De Michelis, quando parla della famosa e terribile società dei due terzi (due terzi occupati, un terzo stabilmente emarginato).
Secondo noi di Democrazia Proletaria la ricucitura della credibilità delle istituzioni può avvenire su due piani. Uno riguarda la capacità di intervento attraverso la mediazione politica, che nel passato è stata molto difficile anche per l'attacco frontale del padronato; il secondo riguarda gli atti concreti che devono però tenere conto dei risultati delle esperienze passate.
Per quanto riguarda la mediazione politica: a nostro avviso, non occorre intervenire soltanto per titoli. Ad esempio discutendo di Agenzia del lavoro occorre chiarire che ci devono essere vincoli precisi per le parti sociali, senza i quali la Regione ha poco peso. L'Agenzia del lavoro si configurerà come una sacca di contenimento, una sorte di "gepi" regionale in cui raccogliere quelli che il processo produttivo espelle oppure può essere un punto di incontro tra domanda ed offerta in cui la Regione interviene attivamente per riqualificare la forza lavoro? In questo si può intravedere la funzione politica che la Regione può svolgere di fronte ai processi in atto. Non dico, colleghi e compagni comunisti, che queste cose siano estranee ai vostri ragionamenti. Sono solo un po' preoccupato quando il Collega Manfredini parla di "non governo". No, non ci siamo. Tutto sarebbe avvenuto perché non si è governato. Ed invece no, si è governato. Ad esempio, a livello centrale, il governo Craxi ha governato lo sfondamento del movimento sindacale e la sua rottura. Ha governato lo smantellamento dello stato sociale. Non è una differenza soltanto nominalistica; riguardo, invece, la messa a fuoco, degli interessi che avanzano, delle forze che si aggregano per realizzare una politica. Questo dicevo, è il primo livello, quello della mediazione politica della Regione.
Per quanto riguarda il secondo piano, quello degli atti concreti, qui le iniziative che si propongono devono essere verificate per capire se i limiti, che abbiamo tutti possibilità di riscontrare, stanno nel progetto o nella carenza di strumenti di intervento. Esempio: i corsi per i cassa integrati (stamani ce n'erano diversi fra il pubblico e ancora adesso qualche lavoratore che ha partecipato a queste esperienze è rimasto ad ascoltarci: col che il collega Marchini dovrebbe essere servito sui proletari che - peggio per lui - non sono affatto dei dinosauri in via di estinzione essi sono in carne ed ossa, con domande molto precise e con una soggettività politica, collega Marchini, con la quale occorrerà fare i conti anche in futuro).
Questi corsi per cassintegrati alla fine sono risultati semplicemente un'area di parcheggio, senza alcuna finalità: su questo occorre che ragioniamo. Così come, per quanto riguarda i disoccupati, si possono fare corsi precisi per coprire le carenze di organico, che abbiamo registrato ancora stamani dalle parole dell'Assessore 0livieri relativi alla Sanità si possono fare, in sostanza, dei corsi che hanno uno sbocco automatico già individuato, di cui la mappa è nota a tutti quanti. Oppure si vuole continuare in una politica assistenziale che certo ha la funzione di alleggerire le tensioni sociali, di venire incontro a situazioni drammatiche sul piano personale che migliaia di famiglie vivono, ma non si fa una politica molto lungimirante.
Così, ad esempio, per quanto riguarda i cantieri di lavoro: possono essere una leva importante. Attenzione, però, che non diventino una valvola assistenziale senza alcuna progettualità di intervento mirato, su quelle che sono, per fare un caso, le emergenze ambientali, sul riassetto del territorio, oltre che sulle piccole manutenzioni nelle opere pubbliche.
Oltre ad individuare i limiti che le esperienze passate hanno avuto occorre anche precisare quali sono le priorità dell'intervento. In questo senso ho colto un limite nella mozione del Partito Comunista, pur avendo un'ampiezza ed una portata di contropiano, ma forse intrinseco proprio alla scelta fatta dal Gruppo comunista. Sui contratti di formazione lavoro, in particolare per i giovani, la Regione può e deve chiedere garanzie che l'aspetto formativo sia reale, non ristretto soltanto alla collocazione produttiva. In sostanza si deve poter ritornare anche in fasi successive sulla formazione delle nuove generazioni di forza lavoro.
Da questo punto di vista certamente tutte le parti sociali devono fare la propria parte, ma occorre innanzitutto che questo Consiglio tenga conto che alcune parti sociali la propria parte la stanno facendo fino in fondo e con indirizzi parecchio preoccupanti, su cui è importante che, a cominciare dalla replica o dall'intervento, quale che sia, dell'Assessore Genovese e degli altri rappresentanti della Giunta, ci si pronunci. Lunedì scorso, lo richiamava il compagno Amerio, abbiamo avuto l'audizione in IV Commissione con le organizzazioni sindacali e la Confindustria. Il rappresentante degli industriali privati, il prof. Terna, ha parlato molto chiaro: "Dobbiamo lavorare alla liberalizzazione del collocamento, alla introduzione massiccia dei contratti a tempo determinato, perché è questa la condizione che ha consentito al Giappone di praticare la piena occupazione"; quanto poi sia felice la società giapponese e quanto le contraddizioni sociali siano irrisolte in quella realtà, per adesso risparmiamocelo.
Rispetto a questi contenuti che avanzano nella pratica (oggi ditemi quante sono le assunzioni numeriche che passano dal collocamento) occorrono impegni precisi e stringenti, Brizio; occorre che ci si schieri da una parte netta, perché altrimenti le istituzioni finiscono per essere solo passacarte, mero tramite di volontà che vengono definite altrove.
E' possibile che la Regione svolga, stando sempre sulle priorità e sulle questioni essenziali che vanno affrontate subito, un intervento determinante riguardo al riassetto dei servizi.
Stamani, già lo richiamavo, abbiamo avuto uno spaccato di quella che è la realtà sanitaria pubblica. Se noi partiamo da queste carenze, che sono state denunciate in questi giorni dalle UU.SS.SS.LL., riprese, per fortuna io dico, con grande consapevolezza ed onestà, dall'Assessore regionale alla sanità, se noi le assumiamo davvero, le piante organiche vanno davvero colmate e costituiscono migliaia di posti di lavoro che possono essere messi a disposizione dei disoccupati.
E' qui che si gioca, in sostanza, la credibilità della Regione nell'individuare non soltanto la domanda quantitativa che il nostro Osservatorio Regionale sul Mercato del Lavoro ci fornisce costantemente almeno ogni tre mesi, quanto invece cogliere la domanda qualitativa che avanza dalla società, fare una scelta politica se lo stato sociale va smantellato o difeso, se la sanità pubblica deve essere riqualificata o distrutta, proseguendo nel trasferimento di risorse pubbliche ai laboratori e alle cliniche private, come ho già avuto modo di dire stamani.
Per quanto riguarda le occasioni di lavoro, le proposte non mancano per il riordino del catasto, piuttosto che per il potenziamento degli Uffici Finanziari. E badate, non è un elenco casuale, ma punti su cui costruire un minimo di giustizia sociale che la parte più cosciente della società reclama, non soltanto domanda.
Venendo ad un altro punto, anche in questa mozione del Gruppo comunista, oltre che in tutti i dibattiti che a proposito del lavoro si sono svolti negli ultimi mesi, si dice che la centrale nucleare di Trino Vercellese sarà un volano economico e occupazionale, di nuovo sviluppo.
La stessa discussione sull'Agenzia del lavoro, nella sua articolazione subregionale vede nell'area di Trino Vercellese uno dei punti qualificanti.
Ma, colleghi, come si fa a sfuggire alla considerazione addirittura banale che i benefici occupazionali portati dalla centrale nucleare di Trino Vercellese sono limitati ad un numero molto ristretto di lavoratori vero Vicepresidente Vetrino? Lei assente, il che vuol dire che questi ragionamenti sono nella testa di molti. Dicevo, una fetta limitata di lavoratori molto qualificati, che proverranno per lo più da altre regioni d'Italia.
Quindi, non potete continuare nell'inganno delle comunità locali.
RIVALTA Se siamo tutti d'accordo possiamo.
STAGLIANO' Certo, Rivalta, possiamo revocarla; io me lo augurerei; non so se Bianca Vetrino assente su questo punto; tuttavia vorrei che la Vicepresidente si convincesse che l'affare nucleare è davvero un malaffare un malaffare soprattutto dal punto di vi- sta sociale, oltre che per la sicurezza dei cittadini.
Bene, signor Presidente e colleghi, voglio finire su un punto particolare, qualificante, che è oggi nella battaglia per il lavoro.
Riguarda la cassa integrazione. Stamani c'è stato un incontro fra alcuni Capigruppo ed una delegazione di cassaintegrati nella Sala dei Cento, al primo piano, per la precisione con una delegazione del coordinamento cassaintegrati della F.L.M.. In quella sede ho avuto già modo di svolgere alcuni ragionamenti, quelli che erano presenti mi scuseranno se li ripeto.
E' accettabile (e su questo gradirei una risposta dal Governo regionale) che per la Fiat continui a sussistere lo stato di crisi attraverso cui viene concessa la cassa integrazione a zero ore, per una azienda che ha 1.000 miliardi di utili, provenienti per lo più da finanziamenti pubblici? (Anche di questo abbiamo discusso a novembre). E che, contemporaneamente, quest'azienda ricorra agli straordinari? E' accettabile tutto questo? Quanti sono i posti di lavoro sottratti ai cassintegrati con gli otto sabati di lavoro straordinario cui sono stati obbligati 32.000 lavoratori? Non è vero, colleghi, che la Regione nascondendosi dietro al dito, non può fare nulla. L'art. 21 della legge 675 al II comma prevede che la Regione debba esprimere un parere formale sull'opportunità di concedere la cassa integrazione, da trasmettere poi all'Ufficio regionale del Lavoro. Be-ne, l'appuntamento si ripresenterà a giugno: la Regione Piemonte cosa dirà a riguardo? Non è più tollerabile un rinnovo automatico della cassa integrazione. A proposito di politica del lavoro, voglio ripeterlo perché evidentemente ce n'è ancora bisogno,se la coperta è stretta e si chiede allo Stato di intervenire per ricollocare una fetta di lavoratori eccedenti (parlo soprattutto di quella quota di lavoratori più anziani oltre i 45 anni di età), dal nostro punto di vista i soldi pubblici devono essere spesi per contribuire alla riduzione dell'orario di lavoro, ad esempio attraverso i contratti di solidarietà. Oppure il denaro dei contribuenti, attraverso un processo, quanto massiccio si vedrà, di prepensionamenti, dovrà sgravare una fabbrica che tira e che fa utili, come la Fiat, e che scarica sull'I.N.P.S., il mantenimento di una fetta della propria forza lavoro? Finendo, a proposito di CIG penso che da questo Consiglio debba emergere già in questa occasione la considerazione e l'impegno che l'eventuale rinnovo della cassa integrazione dopo giugno non può ricadere sempre sugli stessi lavoratori. Con questo meccanismo in tutti questi anni si sono prefigurati gli eccedenti sociali, badate, non gli eccedenti produttivi, gli eccedenti sociali, che sono gli invalidi, gli anziani, i delegati sindacali, gli attivisti politici.
Da questo punto di vista penso che la Regione non possa assistere passivamente ad una violazione degli stessi diritti costituzionali.
Ieri, signor Presidente, i cassintegrati torinesi in una assemblea pubblica hanno reso nota una lettera inviata al Colonnello Gheddafi, al quale si sono rivolti come partner della Fiat, un partner scomodo, di cui si parla sempre poco volentieri, che la Fiat mostra nel salotto buono soprattutto dopo le note tensioni registrate nel Mediterraneo con le esercitazioni americane nel Golfo della Sirte e gli episodi di terrorismo internazionale. Io non so se, come diceva ieri il giornale "Il Manifesto" sarà Gheddafi ad abbandonare la sua tenda nel deserto per venire a Torino a parlare con i cassintegrati oppure se saranno i cassintegrati che abbandoneranno la palazzina di C.so Unione Sovietica dove ha sede la lega della F.L.M. per attraversare le dune desertiche e parlare con il Colonnello Gheddafi. Penso che, in ogni caso, sarebbe davvero un grande smacco se la mediazione politica sulle cosiddette eccedenze e sulle esuberanze sociali dovessimo affidarle, Assessore Genovese, al Presidente della Jimairia.
Occorre che venga a Torino il Colonnello oppure che vadano da lui i cassintegrati per prendere coscienza di un problema oramai insopportabile? Non occorre piuttosto che il Governo regionale si assuma le proprie responsabilità al riguardo? Bene, colleghi. Nella Conferenza dei Capigruppo sono stati presi degli impegni precisi, e cioè che i termini di questo nostro dibattito odierno venissero riportati in un Convegno aperto alle parti sociali, per poi ritornare in Consiglio e concludere i lavori con l'approvazione di una risoluzione, che recepisca possibilmente i contenuti dell'avvenuto confronto con le parti sociali, innalzando in tal modo e davvero la Regione ad un ruolo di mediazione politica esercitato in rapporto costante con i bisogni della società.
Mi auguro che l'Assessore al Lavoro e l'intera Giunta non intendano rinunciare a questo, pur ritenendo, come già dicevo nel dibattito sul programma della maggioranza, che la capacità di mediazione sociale della DC, collega Brizio, è messa a dura prova dalla nuova destra rampante guidata dal gruppo dirigente Fiat all'assalto di quelle conquiste sociali e di civiltà che anni di lotte operaie e popolari hanno costruito in questo nostro Paese.



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Mignone.
MIGNONE Signor Presidente e colleghi, nell'ascoltare il dibattito di oggi, mi sono convinto sempre più, che la tesi che avevo sostenuto in una riunione dei Presidenti dei Gruppi nel disciplinare l'ordine dei lavori, fosse allora una tesi esatta. Perché è evidente che il dibattito che oggi si è sviluppato, anche un po' stancamente, nasce dal fatto che la discussione su questa mozione viene a cadere in mezzo ad una serie di dibattiti: quello avvenuto sulle politiche generali della Regione, nel momento in cui abbiamo discusso gli indirizzi programmatici della Giunta e della maggioranza; con la prossima scadenza della discussione sulla variazione del bilancio e poi ancora sul piano di sviluppo prossimo. Essi conterranno anche degli elementi di discussione su temi peraltro richiamati in questa mozione.
Quindi, credo che questo fatto abbia tolto oggettivamente, senza colpa di nessuno, ma perché è nella natura delle cose così come si sono venute stratificando, che effettivamente questa mozione abbia nei fatti, al di là del suo contenuto e del suo valore, tutto sommato perso un po' del suo significato politico di confronto tra maggioranza ed opposizione.
Perché, appunto, è una mozione che - pur avendo dei contenuti limitati laddove si definisce una mozione che vuole sviluppare un piano per l'occupazione, in realtà non può non richiamare delle problematiche di ordine generale, che peraltro abbiamo già avuto modo, non molto tempo fa di affrontare in questo Consiglio regionale.
Un piano per l'occupazione, così come viene definito, per sua natura non può non richiamare alla nostra attenzione un ampio ventaglio di politiche regionali, così come nei fatti che sono contenuti nella mozione.
In questa vi è una premessa di carattere generale che attiene alle politiche industriali, alla politica del lavoro, potestà che - detto per inciso - fra l'altro sono di stretta competenza dello Stato, su cui noi come Regione abbiamo poteri di iniziativa e anche gestionali, ma non tali detto onestamente - da determinare una capacità di incidere in modo significativo.
Dopo queste premesse di ordine generale, vi sono una serie di puntualizzazioni particolari che attengono alle risorse del territorio quindi a politiche dell'ambiente, dell'energia, alle infrastrutture che potrebbero, ad avviso della mozione, innescare dei processi occupazionali positivi, anche peraltro in un filone già avviato negli anni precedenti.
Per cui, se si è fatto tanto o si è fatto poco è un fatto che non attiene soltanto a questa Giunta, a questa maggioranza, ma a un processo politico avviato anche da tempo, quindi i meriti e i demeriti sono equamente divisibili da questo punto di vista, pur con alcuni elementi di novità contenuti nella mozione, che vanno anche apprezzati per una sottolineatura che vi è contenuta.
In particolare, per risvolti occupazionali positivi che potrebbero aversi nel settore dei Beni Culturali e dei Servizi. Dall'altro per un discorso che attiene alle risorse umane, quindi alle politiche del lavoro in cui sono contenute delle cose condivisibili, ad esempio la sottolineatura della positività dell'avvio delle politiche nazionali, in tema di contratti di formazione lavoro che hanno avuto proprio in Piemonte una buona rispondenza.
Anche le aperture che noi vediamo positive attorno al discorso della mobilità, così come per ciò che attiene a nuovi strumenti di conoscenza dell'andamento del Mercato del Lavoro; altre cose sono meno condivisibili dal nostro punto di vista, nella misura in cui prefigurano pur sempre, al di là dei distinguo che sono stati fatti, un'ottica di uno Stato regolatore interventista nell'economia.
Un ruolo del pubblico nell'economia per certi aspetti ancora dirigistico oltre ad una scarsa, a nostro avviso, attenzione per il "sistema impresa", per i problemi che queste hanno e per la capacità che credo vada loro riconosciuta e dimostrata in questi anni di innovazione e capacità imprenditoriale.
Dicevo, questi contenuti sono degli elementi su cui certo non vogliamo sottrarci al confronto, nella loro positività o meno,a seconda dei punti di vista.
Ma che incontrano certamente, credo vada detto, due grandi limiti che a nostro avviso sono stati evitati, perché sono due nodi importanti. Il primo è che molte delle cose richiamate in questa mozione sono cose in cui la Regione come istituzione non ha molta capacità di incidere: certo ha una capacità propositiva di azione e di stimolo sul Parlamento, ma di cui direttamente non si può far carico alla Regione. Qui non vi e il problema di fare tali affermazioni perché non si vuol farne carico alla Giunta e alla maggioranza, ma perché proprio non si può farne carico alle istituzioni regionali. Dall'altro vi è un limite, come ricordava anche il collega Benzi nel suo intervento, che certamente, al di là della positività di molte delle affermazioni e delle proposte contenute in questa mozione non vi è poi la contro faccia finanziaria, che è una cosa di non secondaria importanza. Infatti vi sono certamente molte cose positive, ma occorre aver presente che tutte, subito, e magari neanche nei 5 anni, si possono attivare, dato il sistema complessivo della finanza regionale e l'ammontare delle risorse libere che la Regione può mettere a disposizione per attivare alcune di queste iniziative, che magari sono nella nostra competenza, ma su cui non vi sono, da parte dello Stato sostegni finanziari integrativi delle risorse regionali.
Per limitarmi ad alcuni aspetti che mi pare utile sottolineare senza ripetere quanto già detto nella precedente discussione sul programma.
E' certo che il problema dell'occupazione è stato giusto richiamarlo alla nostra attenzione, perché se è vero che sino a metà degli anni '70 era sembrato che la questione principale fosse quella dell'inflazione, del controllo per cosa dire macroeconomico della crisi, l'aggravarsi quantitativo e per certi versi anche qualitativo del fenomeno disoccupazione fa si che vincere la disoccupazione, la inoccupazione diventi oggi e per i prossimi anni la sfida principale per le democrazie industriali.
Del resto i dati europei, che sono a conoscenza di tutti, ci confermano questo.
Non è possibile però, a nostro avviso, affrontare il problema occupazionale senza guardare il suo rapporto anche con il progresso tecnologico; ma allora è questo il dilemma che tutti noi abbiamo di fronte: devono stare assieme la necessità dell'ammodernamento del nostro apparato produttivo industriale, quindi con il connesso problema della mobilità e della flessibilità del lavoro.
Questi problemi, forse, possono stare assieme con l'obiettivo dell'espansione dell'occupazione. Credo che qui, come è già stato ricordato dal collega Tapparo, non è tanto il problema del "più mercato, meno Stato" anche perché a nostro avviso non è pensabile oggi che si possa lasciar fare solo al mercato; non è pensabile che si possa rinunciare ad una politica attiva per l'occupazione che veda anche lo Stato come operatore attivo, sia sul lato del controllo del contenimento della disoccupazione, che su quello delle azioni positive per sviluppare e accelerare la formazione della domanda di lavoro.
Il problema si pone principalmente rispetto alla sua elasticità, della dinamica tra occupazione e prodotto interno lordo.
Lo Stato, a nostro avviso, deve continuare a svolgere un ruolo centrale, anche se in forme e modi diversi da quelli in cui esso ha operato sino ad oggi.
Vanno evitate sia le logiche dirigistiche che quelle assistenziali; lo Stato va pensato quindi anche come imprenditore, come operatore capace di contribuire ad allocare, in senso imprenditoriale, le risorse umane dell'azienda-Paese, cioè uno Stato capace di deregolare, ma anche, usando un brutto termine, di "riregolare" con la capacità di guida e di governo.
Su questo è certamente opportuno il richiamo che anche nella mozione viene fatto, di un discorso di programmazione, quindi non con un apparato burocratico di gestione ma che sia anche in grado di estendere in qualità e non più soltanto in termini di quantità la propria presenza nell'economia della società.
Questo richiama un secondo aspetto che mi pare non sia stato sufficientemente approfondito, quello di un più stretto legame che vi deve essere tra la politica industriale e quella del lavoro; esse non devono proseguire slegate, ma vanno sempre di più raccordate fra loro, anche se in questo dibattito vengono avanti delle ipotesi, magari anche molto suggestive, ma sulla cui praticabilità noi ci sentiamo di avere qualche dubbio. Così come ultimamente è stato rilanciato nel dibattito un discorso che attiene alla cosiddetta "economia della partecipazione", cioè dell'aggancio totale o parziale dei salari ai redditi dell'azienda mediante un rapporto di partecipazione, che è stato registrato in una pubblicazione edita da Laterza.
Se è vero che può essere questa un'ipotesi positiva nella misura in cui tenta di recuperare quella che è, nel dibattito attuale, una scarsa attenzione alle situazioni in cui il rapporto reddito-occupazione risulta più basso di quello che invece da noi è necessario, ovvero è necessario un incremento del 4 - 5% del reddito per incrementare dell'1% i posti di lavoro disponibili, mentre in altre esperienze vi è invece un rapporto più basso, in conseguenza di una pluralità di concause che vanno dal tipo di accumulazione alla distribuzione tra lavoro dipendente e lavoro autonomo alla mobilità e alla flessibilità del lavoro, ai sistemi retributivi,ecc...
Però, credo sia un'ipotesi che, al di là della sua scarsa odierna praticabilità concreta, debba intervenire anche nelle nostre analisi per vedere se domani riuscirà ad avere una sua area di praticabilità.
Per questo occorre sottrarre le politiche del lavoro dall'ambito delle politiche sociali, per inserirle invece strutturalmente in quelle del rilancio dell'economia e dell'accumulazione.
Credo che questo rappresenti un fatto politico e culturale di non piccolo momento: in questo quadro si inserisce anche un altro tema, che in alcuni aspetti della mozione viene richiamato e su cui si è soffermato, mi pare, fra i colleghi intervenuti stamani, il collega Tapparo. Vale a dire se noi abbiamo le condizioni o anche il coraggio di avviare una politica espansionistica. Certo vi sono anche delle preoccupazioni perch nell'immediato fa aumentare la spesa; il problema è oggi di capire se questa si può tradurre già da adesso nell'aumento dei posti di lavoro o se invece soltanto nell'aumento dei prezzi e quindi generare una nuova ondata inflazionistica. Credo che in realtà la politica espansionistica si deve basare su una miscela di politiche economiche che possono tradursi in un aumento della domanda reale e dei posti di lavoro.
Allora qual è il mix, l'insieme monetario e fiscale migliore? Il declino del dollaro credo che renda la risposta abbastanza chiara: i tassi di interesse, a nostro avviso, dovrebbero essere, pur gradualmente e prudentemente, ridotti, perché la riduzione dell'inflazione non è un tema oggi preminente. Il deprezzamento del dollaro costituisce l'anticamera di una sperimentazione di espansione, perché il vantaggio di un taglio dei tassi di interesse sta soprattutto nel fatto che la domanda globale aumenterebbe e che, in seguito al calo degli interessi sull'indebitamento i bilanci governativi ne trarrebbero senza dubbio benefici.
A ciò credo vada aggiunto anche oggi il calo del prezzo del greggio che provoca e dovrebbe provocare un controshock petrolifero, cosa su cui già l'altra volta mi ero soffermato. Però questo insieme combinato credo che potrebbe determinare in noi, nelle politiche centrali del governo, ma anche nelle politiche regionali, un atteggiamento più positivo rispetto alla situazione economica e quindi anche rispetto al tentativo e al coraggio di vedere se si può avviare una politica economica espansionistica, cioè una politica di difesa, ma tesa ad allargare e, diremmo noi, ancor più a qualificare la base produttiva. Rilevo che nella mozione comunista il discorso dell'allargamento della base produttiva viene inserito, io direi "allargare e qualificare" la base produttiva, perché l'industria italiana ha conseguito sul piano aziendale miglioramenti non indifferenti, e proprio un'azienda piemontese da questo punto di vista è antesignana.
Il fenomeno certo non solo riguarda il nostro Paese e vi sono ancora sul nostro apparato produttivo, le inefficienze di molte strutture orizzontali: dai trasporti e dalle comunicazioni al sistema della distribuzione commerciale, fino al complesso apparato amministrativo che tanta rilevanza ha nella qualità della vita civile e produttiva.
Oggi però in ogni caso le imprese necessitano meno di assistenza microeconomica e più di sostegno macroeconomico, cioè di una più ambiziosa politica di sviluppo e di infrastrutturazione. Da questo punto di vista certo, il ruolo della Regione può non essere secondario attraverso tutti quei servizi di innovazione tecnologica che possono essere dati all'impresa, di aree attrezzate ma, ancor più, e questo è un richiamo che vi era anche nel documento programmatico della Giunta che va sottolineato come positivo, un insieme di parchi scientifici che davvero possono costituire un sistema moderno di infrastrutturazione al servizio delle imprese.
In questo quadro si inserisce anche l'avvio ad una riflessione più approfondita e più sincera sulla politica industriale, superando anche alcuni tabù che avevano e che hanno per lungo tempo condizionato il settore.
Negli ultimi dieci anni hanno prevalso i condizionamenti congiunturali perché se la crisi è stata strutturale le sue continue manifestazioni erano tipicamente congiunturali: squilibri nei conti con l'estero, oscillazioni brusche e imprevedibili della domanda interna ed internazionale.
La profondità della crisi rendeva inoltre estremamente difficile ogni disegno programmatorio perché nessuno, onestamente, era in grado di prevedere quale direzione avrebbe preso il progresso tecnico, quali evoluzioni avrebbe avuto la domanda, quali modifiche si sarebbero prodotte sul mercato. In queste condizioni era assolutamente necessario, e comunque preferibile, operare per attenuare i riflessi sulle imprese delle molte tensioni e per favorire il loro adattamento alle nuove condizioni e le loro capacità di sfruttare i nuovi mercati, le nuove tecniche senza ipotizzare a priori percorsi specifici di impossibile definizione.
Possiamo oggi constatare che anche in Italia ha finito per prevalere una politica industriale che ha operato nel senso di favorire non un adattamento di specifici settori, ma quello delle singole imprese, quindi una politica di tipo orizzontale attraverso la fiscalizzazione degli oneri sociali che ha operato in luogo di una più giusta perequazione del carico sociale: il ricorso alla cassa integrazione, che ha sostituito nel nostro Paese di fatto le indennità di licenziamento, e la svalutazione della moneta che ha costituito il prezzo pagato per l'assenza di una politica di controllo dei redditi. Tale politica industriale di tipo orizzontale è stata poi più la risultante forzata di condizionamenti contingenti che una scelta esplicita; al contrario si è, in definitiva, operata una resistenza a misura di flessibilità. Oggi dobbiamo 'riconoscere che, con la necessità di una politica che favorisca l'adattamento e la competitività delle imprese, si prospetta la possibilità di una politica più mirata per la congiuntura internazionale a specifiche esigenze; soprattutto non bisogna isolare, come già ricordavo, la politica industriale dagli obiettivi generali della politica economica. In questo senso va recuperata una politica anche fiscale del commercio estero che semplifichi e sostenga tale sforzo. Anche da questo punto di vista alcune indicazioni, già date nel presente dibattito, possono essere utilmente impiegate. In questo quadro è ovvio che anche una politica delle infrastrutture, che è uno dei punti della mozione qui in discussione, è certamente una politica di grande rilievo e di grande evidenza.
Mi pare, peraltro, che da questo punto di vista segnali positivi con un sostegno anche da parte dello Stato, come ricorderò più avanti, ci siano stati.
Perché, e questo è un altro elemento che dobbiamo avere tutti presente nelle nostre riflessioni, noi abbiamo sempre abbondato nei nostri ragionamenti del ruolo decisivo strategico che può avere l'innovazione.
Questo ruolo è strategico, ma nell'immediato occorre tutti avere l'onestà e la coscienza di ricordarlo un processo fortemente innovativo può anche creare dei problemi sul lato dell'occupazione. Credo che questo sia un elemento che deve essere presente alla nostra attenzione e alla nostra riflessione.
Non per questo va frenata una politica di sostegno dell'innovazione. E' un elemento che va tenuto presente: oggi questo ha assunto un ruolo di grande rilievo, è un discorso che attiene all'innovazione tecnologica e finanziaria da parte dell'impresa. Oggi vediamo, e la borsa lo registra con il boom che essa ha con il complesso dei fondi di investimento, una certa se pur faticosa e lenta, internazionalizzazione della nostra finanza. Credo che noi dobbiamo cogliere questo segnale: vi è una ristrutturazione anche nelle politiche finanziarie delle imprese. Questo è un elemento che dobbiamo tenere presente anche nelle nostre indicazioni ivi compreso un diverso ruolo che dovrebbe avere il sistema bancario, che ancora troppo poco è attento e sensibile ai problemi delle nostre industrie, delle nostre imprese e ai problemi della nostra occupazione.
E' chiaro che nell'immediato, il rapporto tra terziario, sviluppo del terziario e occupazione, è un rapporto problematico e, per certi aspetti negativo per quanto riguarda il saldo dell'occupazione. Questo perché la preminenza, oggi, dell'investimento in capitale immateriale rende più problematico un processo di riconversione delle professionalità, potendo quindi, determinarsi un approfondimento nell'immediato degli squilibri tra domanda e offerta di lavoro.
Credo che, avendo presente queste cose, occorre porre attenzione a quello che può essere un ruolo dell'ente pubblico al riguardo, nel tentativo di assecondare, attraverso una serie di politiche attive, in tema di lavoro, questo processo, che vuol dire in termini forti un "no" a un proseguimento di una politica meramente assistenziale. Occorre gradualmente uscire dall'emergenza, uscire da un ricorso continuo, indistinto alla Cassa integrazione. La stessa politica dei cantieri di lavoro, che noi in Regione abbiamo avviato, è una politica da proseguire con molta cautela e con molta attenzione, cercando di mirarla sempre più a quelle che possono diventare non soltanto politiche episodiche, periodiche, ma possano agganciarsi anche a delle prospettive future di lavoro. Però vuol anche dire un discorso che attiene a introdurre nel mercato del lavoro e del collocamento una minor rigidità ad avviare in concreto la Agenzia regionale del lavoro, in cui però vi sia anche la presenza e un ruolo dell'ente pubblico. Da questo punto di vista è da accogliere, e su questo c'è il consenso perché era uno degli elementi ripresi nel documento programmatico della Giunta, un raccordo tra tutte le politiche degli enti pubblici perché si realizzino delle sinergie e si abbiano degli effetti moltiplicatori, anche in termini di occupazione. Quindi una politica degli enti pubblici in tema di opere pubbliche di grande infrastrutture, che sia tra i vari livelli pubblici raccordata per cercare da un lato di evitare dispersioni e dall'altro di avere degli effetti moltiplicatori.
In questo quadro dobbiamo segnalare come positivo lo sforzo fatto dallo Stato nell'assegnazione alla Regione Piemonte dei fondi investimento occupazione che consentono, intanto, di avviare un primo intervento per quanto riguarda l'Interporto di Orbassano; si parla, di politica delle grandi infrastrutture che possono essere un elemento importante per lo sviluppo economico della nostra Regione in rapporto con le economie più forti europee. Certo rappresenta un elemento importante, così come è giusta la sottolineatura di un raccordo stretto della Regione Piemonte con l'avvio delle politiche di risanamento del porto di Genova e del sistema complessivo dei porti liguri, così come la Regione deve fornire un supporto alle industrie perché queste si possano avvalere di tutti i finanziamenti oggi a disposizione, da parte della C.E.E., specialmente per le industrie che tendono a sviluppare un processo di innovazione, in particolare con il progetto ESPRIT, per quanto riguarda gli anni '86/'90. Da questo punto di vista mi pare interessante, e lo sottopongo all'attenzione del Consiglio e della Giunta, valutare se è possibile avviare anche in Piemonte un'esperienza che sta prendendo corpo, proprio in questo periodo, in Liguria e a Genova in particolare. Se fosse possibile cioè avviare la Regione a diventare una sede di un comitato paritetico tra aziende private e aziende a partecipazione statale presenti sul territorio regionale perché questo comitato possa contribuire ad avviare delle politiche di ripresa economica e di sviluppo nella nostra Regione. Anche se mi rendo conto che (questo è un aspetto che ricordavamo, chiacchierando prima con il collega Tapparo) la nostra Regione dal punto di vista dell'apparato industriale ha la peculiarità di avere un'unica grande azienda e tante altre aziende molto più piccole in un rapporto molto squilibrato.
Credo però che l'iniziativa avviata in Liguria possa, forse, essere un'iniziativa interessante anche per la nostra Regione.
Mi avvio rapidamente alla conclusione richiamando ancora un punto contenuto nella mozione che a noi pare una cosa interessante, cioè quello che in generale attiene alla ripresa dei punti contenuti nel progetto montagna dell'Uncem. Mi pare sia stata già una indicazione contenuta nel documento programmatico della Giunta per una ripresa indicativa in tema di forestazione, anche se non bisogna farsi molte illusioni. Il legname estratto dai boschi nell'area alpina ha perso grande competitività. Al di là dei falsi entusiasmi bisogna aver presente che dal punto di vista della resa economica, di un rapporto economico costi-benefici, i boschi del nostro arco alpino hanno perso larga parte della loro competitività.
Sotto questo profilo bisogna porsi in un'ottica diversa, vedere la tutela dei boschi dal punto di vista della loro crescente fruizione come occasione di tempo libero e turistica.
La difesa, la tutela del bosco non può non diventare invece una politica che lo Stato fa propria, e per cui interviene a sostegno dei privati, degli agricoltori e dei montanari che rimangono ancora a presidio di questa risorsa importante per l'ambiente e il territorio, prima ancora che in termini economici, che vada solo verso un rapporto costi-benefici e quindi tale da essere remunerativa solo sul piano del mercato.
Concludo dicendo che vi sono nella mozione degli spunti interessanti molti dei quali sono per altro contenuti nel documento programmatico discusso la volta scorsa e molti altri sono già stati alla nostra attenzione. Sono abbastanza disponibile ad una ipotesi che veda la raccolta degli interventi avutisi oggi sulla mozione, in modo che questa possa costituire un'utile base di discussione, di confronto con le forze sociali economiche e produttive della nostra Regione. Il dibattito di oggi non sia un momento che si chiude nella giornata odierna, ma sia soltanto un primo momento che rappresenti la base per una discussione più ampia e più aperta con la società piemontese.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Dameri.
DAMERI Vorrei dire che da parte nostra c'è un certo sconforto per il modo in cui sta procedendo questo dibattito. Con la mozione non volevamo certo proporre un dibattito di ordine generale per il quale, sicuramente, avremo altre occasioni. Il senso e il contenuto della mozione è quello di proporre una serie di atti e progetti sui quali chiediamo alla Giunta e alla maggioranza di pronunciarsi con un giudizio favorevole o negativo.
Naturalmente i contenuti delle proposte, i progetti della mozione corrispondono ad una nostra visione del possibile sviluppo della società piemontese e delle possibili linee da percorrere. Voglio soffermarmi su quanto è scritto nella parte conclusiva della mozione, che contiene alcuni spunti per un'iniziativa in difesa e per lo sviluppo dell'occupazione femminile. La mozione propone che nella riforma del collocamento sia tutelata l'occupazione femminile, per esempio, sperimentando il sistema delle quote riservate anche per le chiamate nominative. Inoltre propone: l'attivizzazione della Commissione per le pari opportunità e del consigliere della parità presso la Commissione regionale dell'impiego la sperimentazione delle azioni positive, con adeguate forme di incentivazione l'incentivazione alle imprese che effettuano assunzioni di quote di mano d'opera femminile svantaggiata.
Sono alcuni spunti, che riteniamo non generici e precisi, per un'iniziativa che il nostro Gruppo non considera riferita ad un'area settoriale o aggiuntiva, ma che entra nel cuore di una delle questioni che oggi danno il carattere al mercato del lavoro nel nostro Paese e che richiede interventi specifici e una politica economica diversa che punti sulla espansioni delle basi produttive del Paese. Solo in questo ambito è possibile trovare una soluzione complessiva ai problemi del lavoro e del lavoro delle donne.
Riteniamo che le donne siano particolarmente interessate a che si attivi una politica che veda il livello regionale non subalterno o estromesso, come è in molti casi, anche da scelte nazionali, dal momento del governo dell'economia, ma sia una parte importante appunto per determinare quella programmazione e costruzione di un sistema innovato non solo intendendo l'innovazione come un aspetto che riguarda certi settori produttivi, ma un'innovazione complessiva di sistema.
Alcuni dati recenti forniti dall'Osservatorio regionale del lavoro del Piemonte evidenziano una diminuzione delle forze in cerca di occupazione in assenza di un incremento della crescita dell'occupazione stessa.
Dalla sintesi emerge una possibile lettura di questo dato come un effetto di scoraggiamento per l'attesa, senza prospettive e senza risposta di lavoro che soprattutto influisce sulla manodopera femminile.
Ebbene, bisogna tenere presente queste cose, perché è inutile strillare sul fatto che magari chi non trova lavoro attraverso le vie ufficiali venga poi sospinto nel cosiddetto sommerso o nel lavoro nero, che riteniamo debba essere superato, ma che non può essere demonizzato per i lavoratori che sono costretti a ricorrervi proprio perché il mercato del lavoro ufficiale li respinge.
Contemporaneamente siamo di fronte al fatto che gli iscritti all'Ufficio di Collocamento continuano ad aumentare. Siamo di fronte ad una situazione nella quale - ed è ormai un dato sufficientemente lungo nel tempo per poter essere considerato strutturale - le donne rappresentano oltre il 60% degli iscritti all'Ufficio di Collocamento. E' un momento cruciale del mercato in cui si concentrano con più acutezza le tensioni del mercato stesso, sia che si tratti di donne che sono espulse da processi produttivi precedenti per ragioni di tipo di manodopera, per carichi sociali e familiari e che hanno una maggiore difficoltà alla riconversione sia professionale che di collocazione, sia che si tratti di ragazze per il tipo di caratteristiche formative che spesso questa manodopera ha.
Ormai la presenza delle donne sul mercato del lavoro non è un fatto marginale o contingente, ma è un dato strutturale che nasce da una crescita di coscienza, da una volontà di essere protagoniste sulla scena politica e sociale nelle quali il momento del lavoro è evidentemente un passaggio ineludibile, un momento della componente della autonomia anche personale e individuale.
Questo è un dato con il quale deve fare i conti chi si confronta con i problemi generali dell'occupazione.
Ho l'impressione che certi dati (dai quali risulta, per esempio, che il 60% degli iscritti sono donne) vengano letti da alcuni che considerano che tutto sommato le donne è bene che non lavorino, quindi vengono letti decurtati di quel 60% in più, perché è una presenza intermittente, poco significativa.
Quindi la vera disoccupazione è il restante, tolto il 60%, perch appunto le possibilità di occupazione per le donne sono sempre precarie e magari nel sommerso.
Dobbiamo ragionare su un fenomeno che si è determinato in modo particolare a Torino e in Piemonte con l'applicazione della legge di parità. La prima applicazione della legge nel 1977 portò, grazie ad una iniziativa molto significativa del sindacato e dei movimenti delle donne in quel periodo, all'immediata unificazione delle liste di collocamento e all'assunzione di un numero elevatissimo di donne alla Fiat. Potremmo fare una lunga considerazione sul fatto che la Fiat avesse assunto (mi pare in ottobre o novembre del '77) 12 mila nuovi occupati per poi accorgersi solo un anno dopo che aveva degli esuberi. Ma lasciamo stare questo aspetto. E' in dubbio che in quella quantità molto elevata furono le donne ad essere espulse un anno e mezzo dopo e quella fu una scelta che non veniva solo dal fatto che le donne come forza lavoro sono un soggetto debole, ma dal fatto che la legge di parità, per la parte che le competeva, era uno strumento che si poneva in qualche modo il problema di governare il mercato e questo era un elemento che non era accettato, perché sul mercato del lavoro la linea, la teorizzazione, la posizione dell'impresa è quella di potersi muovere con il massimo di libertà, di non flessibilità e in modo selvaggio.
Nonostante questo dato le donne continuano ad essere una forza attiva dalla quale non si può eludere.
Non solo, c'è anche una spinta alla ricerca di un lavoro che non sia un lavoro qualunque e una spinta ad un lavoro che possa determinare degli elementi positivi, rispetto a quelle che sono le caratteristiche, le aspirazioni del singolo individuo; c'è anche la ricerca di un lavoro temporaneo quindi anche la disponibilità ad un lavoro flessibile. Questo richiede qualificazione e flessibilità nella gestione delle possibilità e delle occasione di lavoro.
Le recenti modifiche legislative nazionali, la legge 863 del 1984 e la 79 del 1983 hanno introdotto degli elementi di "deregulation" del mercato che hanno penalizzato fortemente le donne, proprio perché non sono passati attraverso dei momenti di controllo e di governo a livello regionale e locale. L'introduzione del part-time ha prodotto una diminuzione dell'occupazione perché si è passati da forme di lavoro a tempo pieno a part-time e non viceversa e l'80%/85% ha riguardato le donne. Le assunzioni nominative la cui possibilità si è aperta appunto con la legge 863 e con la legge precedente, hanno determinato una riduzione netta dell'assunzione delle donne, cosa come nei contratti di formazione lavoro, abbiamo una scarsissima presenza di ragazze. La discrezionalità nella scelta nominativa porta all'esclusione della forza lavoro femminile. Ricordo, tra l'altro che le Consigliere regionali hanno chiesto alla Commissione regionale dell'impiego, e chiediamo adesso all'Assessore, che si faccia carico delle esigenza di avere degli elementi per poter valutare come sta andando rispetto a questo, la questione dei contratti di formazione e lavoro.
Dico questo non tanto per sostenere una politica di vincoli e di tutele, personalmente sono convinta che dobbiamo avere una politica intelligente fatta di elementi di difesa e di vincoli, ma che punti su un discorso di espansione, di incentivazione, puntando sull'aspetto anche del lavoro associato e autonomo. In questo senso molti dei progetti contenuti nella nostra mozione, che puntano su questi elementi, trovano un riscontro significativo, una sintonia significativa con le disponibilità dell'offerta di lavoro femminile, così come sono convinta che la stessa politica degli incentivi deve essere verificata. In molti casi siamo andati ad un uso della politica degli incentivi in cui il confronto tra costo e beneficio non è stato fatto. Sostengo questi aspetti per dire che la forza lavoro femminile ha bisogno di una politica attiva del lavoro e che questa pu essere esercitata proprio se si determina a livello regionale, a livello decentrato,una riforma, una politica diversa dei meccanismi e delle strutture, che attualmente su questo sono impegnate per introdurre appunto meccanismi di flessibilità e di qualificazione.
Abbiamo bisogno, in particolare per le donne, di governo nel mercato del lavoro sia per incoraggiare nell'immediato l'incontro tra la domanda e l'offerta e, nel medio e lungo periodo, per creare delle nuove forme di lavoro; questo incidendo per esempio in ambiti produttivi che finora sono stati considerati marginali rispetto all'area centrale della produzione.
Su questo ritengo che le donne abbiano una particolare possibilità di allargare le proprie occasioni di lavoro.
Voglio venire ad alcune proposte concrete sperando che, nonostante il carattere aleatorio di questo dibattito, non cadano nel vuoto. Abbiamo bisogno di strumenti e di progetti ad hoc in rapporto con quelli che, spera e si propone la nostra mozione, si riformano dal punto di vista più generale di governo del mercato, per esempio, la nomina del consigliere di parità presso la Commissione regionale dell'impiego. Se viene a Torino il Ministro per l'insediamento della nuova Commissione dell'impiego ci dia una risposta anche da questo punto di vista, spetta al Ministro dare delle indicazioni per poi procedere alla nomina.
Siamo perché si concluda al più presto l'iter della proposta di legge avanzata dal nostro Gruppo per l'istituzione della Commissione per le pari opportunità, per determinare appunto degli strumenti che affianchino quelli già operanti e che possono dare un contributo di elaborazione e di iniziative. Alla Regione in quanto tale chiediamo alcune cose abbastanza precise.
l. Che i dati della formazione professionale possano essere letti disaggregati per sesso. Oggi non c'è questa possibilità. C'è la totale impossibilità di leggere questi dati nella formazione. Siccome questo è un momento fondamentale per una politica attiva del lavoro, non siamo in grado, di verificare quale ricaduta, in modo particolare per le donne abbia l'attività formativa, anche se la possiamo supporre e quello che supponiamo non è certamente confortante.
2. La questione delle quote, cioè di una quota di donne pari a quelle che sono iscritte al collocamento, sia garantita, almeno nei progetti nelle attività in cui c'è un finanziamento diretto della Regione, ovvero quelle iniziative che nascono sulla base di un impegno, di un investimento della Regione rispettino questo elemento.
3. Ci sono a volte dei finanziamenti ai quali non accediamo per scarsa iniziativa, per scarsa conoscenza, magari per scarso interesse. Propongo che, di concerto con le parti sociali, con le associazioni femminili, con le forze interessate, con le parti imprenditoriali, la Regione si faccia parte attiva per progetti,per l'attuazione sulle azioni positive, termine che ho sentito usare impropriamente anche oggi, e che invece la Commissione del Parlamento europeo ha individuato e proposto e finanzia ad hoc per iniziative che tengono a rimuovere discriminazioni nei confronti della manodopera femminile,da usare in modo particolare per l'accesso delle donne al lavoro. Altre regioni lo hanno fatto, credo che possiamo lavorarci anche noi se c'è la volontà politica.
4. Cominciare a ragionare con delle analisi e dei correttivi che tendono a riconvertire almeno i profili professionali più fortemente femminilizzati che non hanno sbocco sul mercato, quindi favorire la creazione di forme di lavoro associato introducendo, ad esempio, nella stessa legge regionale 28 dell'84, degli elementi che, accentuando l'intervento della Regione per il supporto, per l'accesso al credito, per i servizi, per l'assistenza tecnica per le nuove attività imprenditoriali favoriscano in modo particolare l'occupazione e le iniziative promosse dalle donne.
Credo che sia necessario - e più sento parlare di questi temi in Consiglio più me ne convinco - un confronto anche culturale per allargare il concetto di imprenditorialità. Si continua ad avere di questa possibilità un concetto molto industrialista, molto chiuso.
Credo che ci siano possibilità di allargare forme non assistenziali, ma imprenditoriali, anche in ambiti che fino adesso sono stati esclusi o appaltati o gestiti in modo assistito, come tutta la partita dei servizi alla persona intesa in senso lato. Su questo io credo che ci siano delle possibilità concrete, anche nella misura in cui dobbiamo considerare la forza lavoro, la disponibilità di lavoro non tanto come un vincolo, ma come una risorsa.
Ho voluto fare queste proposte concrete anche se la discussione complessiva mi ha un po' demotivata. Spero che non cadano nel vuoto comunque sono proposte, terreni su cui il nostro Gruppo produrrà una serie di iniziative specifiche che sottoporrà al Consiglio e sui quali chiederà un pronunciamento e una scelta.
Sono proposte che noi vogliamo nutrire di un rapporto costante con la società proprio perché, lo diceva già qualcuno prima di me, se c'è chi pensa che nelle società avanzate dell'occidente si debba scontare l'esistenza di un'area marginale e assistita, per consentire a una quota della società di poter godere di una certa area di benessere, non è questa la visione che abbiamo noi,ma è quella di un cambiamento, di uno sviluppo della società, anche di uno sviluppo economico e produttivo, nella quale le risorse umane e la risorsa lavoro siano viste come un potenziale rispetto al quale le caratteristiche specifiche e i valori che esprimono le donne possano trovare un pieno dispiegamento.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ala.
ALA Signor Presidente, cari colleghi, inizierò trattando il tema del rapporto ecologia-occupazione, tema sul quale non è stata fino ad ora elaborata, con sufficiente esperienza e maturità, un'analisi capace di descrivere le attuali contraddizioni dello sviluppo ed il rapporto tra innovazione, qualità dello sviluppo e tasso di occupazione.
Vi invito a considerare, e soprattutto invito i colleghi comunisti questo breve intervento come uh piccolo contributo che da una parte riconosce e desidera riconoscere i diversi punti ed aspetti positivi contenuti all'interno della loro mozione, ma dall'altra parte non può non mancare di evidenziare altri punti che, invece, mi trovano profondamente perplesso.
Forse un po' provocatoriamente oggi sono arrivato con un libro di Andr Gorz, che si intitola " Addio al proletariato". Ma provocatorio, in realtà è questo scrittore, che già alcuni anni fa aveva cercato di mettere in luce e di spiegare, proprio ad una sinistra sotto certi aspetti un po' attardata nelle considerazioni di determinati modelli di cultura e concezioni operaie, che lo scenario stava cambiando con rapidità crescente. Per citare un breve passo tratto dalla sua introduzione, Gorz scriveva: "Nel contesto della crisi e della rivoluzione tecnologica attuale è assolutamente impossibile ristabilire la piena occupazione (che del resto credo non sia mai esistita in Italia, cosicché in realtà si tratta di ristabilire un più basso tasso di disoccupazione) con una crescita economica di tipo quantitativo; l'alternativa, cioè il futuro cercando di guardare un po' al di là dell'immediatezza, è piuttosto tra due modi di gestire l'abolizione del lavoro: uno che porta ad una società della disoccupazione (io aggiungerei con i problemi connessi, sia per quanto riguarda il consenso, sia per quanto riguarda la tenuta delle forme di società alle quali siamo abituati e anche la tenuta della stessa democrazia) e dall'altra la via che può condurre ad una società del tempo liberato, altrimenti la strada sembra più essere quella tra una sorta di disoccupazione permanente..." Una volta si poteva dire che questa disoccupazione permanente era rappresentata dai giovani. Oggi, invece, tende ormai ad essere sempre più rappresentata dagli ex-giovani, tanto che una delle richieste che viene dal movimento e dalle associazioni di disoccupati è quella di alzare oltre i 35 anni il limite di accesso al pubblico impiego. Questa è una spia, un sintomo dell'invecchiamento della disoccupazione giovanile, che per le leggi dello Stato è tale fino ai 29 anni, mentre invece nella realtà arriva ben oltre. Per riprendere la citazione: "...tra una disoccupazione permanente da un lato e una aristocrazia protetta dall'altro lato". Una aristocrazia protetta, mediante quei vincoli che, nella nostra società (e ritengo anche giustamente) tutelano alcune condizioni lavorative, quello che viene notoriamente e normalmente definito lavoro garantito.
Del resto non deve sfuggirci che gran parte della crescente richiesta di privatizzazione del mercato del lavoro mira proprio se vogliamo, a scalfire la protezione stessa di cui gode questo segmento di classe operaia, e d'altra parte mira ad impedirne la riproduzione, mediante meccanismi di contratto a tempo determinato e diverse altre forme di collocamento e di assunzione.
Ed oggi, occorre ammettere e riconoscere che i modelli di crescita, di sviluppo, e quindi anche di occupazione e di visione del mondo del lavoro che hanno retto così a lungo, oggi paiono ormai non avere sbocco soprattutto se si considera il lavoro in termini quantitativi.
Oggi, tutti dicono di "avere" un lavoro e non di "fare" un lavoro.
Motivazioni, vocazioni, cose di questo genere non esistono più, esiste praticamente soltanto l'avere un lavoro. Ed a venire meno è anche un modello forte di identità e di rassicurazione che costituiva uno degli elementi dominanti del rapporto tra individuo, persona, soggetto da un lato e lavoro dall'altro, come ritroviamo nel mondo giovanile, che ha violentemente contestato e criticato il modello di identificazione nel lavoro che era proprio della generazione dei padri. Sia pure paradossalmente dovremmo esserne contenti, perché le forme con il quale il mondo adulto per molto tempo si è identificato, attribuendo valore forte al lavoro, sono oggi impossibili, dal punto di vista psichico, nella società attuale.
I modelli di deregolamentazione, di assunzioni a tempo determinato o le altre forme di questo tipo oggi proposte dalle associazioni imprenditoriali o dai modelli governativi trovano nelle nuove forme di cultura giovanile che nel lavoro vedono sempre meno un elemento di identità e di rassicurazione, per quanto possa apparire paradossale, alcuni punti di convergenza, che contribuiscono in questo momento alla stabilità sociale.
Sarebbe altrimenti impossibile, per una diversa mentalità, e per un diverso modello culturale, accettare la vera svendita della forza lavoro giovanile, che viene sempre di più proposta ed attuata da nuovi strumenti occupazionali, quali i contratti di formazione lavoro e altre forme di questo tipo. Probabilmente questi strumenti anni fa, sarebbero parsi inammissibili. Ora, se vogliamo, appaiono quasi benedetti, sono salvaguardati, accettati e addirittura cercati con affanno.
Il problema per i giovani, forse, non è quello di avere un buon o un cattivo lavoro, come invece poteva accadere per altre generazioni ed anche in altri momenti, ma è quello di un diverso scenario psicologico e concettuale di carattere generale che vede attribuire sempre meno valore al mondo del lavoro.
Per tornare alla mozione presentata dal P.C.I., questa ha, se non altro, il merito di avere reso per un attimo visibili i lavoratori.
Infatti, tali non sono più. Nelle società dei mass-media e dell'immagine nella quale noi viviamo vi sono infatti continuamente alcune categorie o persone che, dapprima visibili, diventano poi invisibili.
Gli operai ed il proletariato stanno pesantemente diventando invisibili, così come, ancora prima di loro erano diventate invisibili le donne, sulla quale giustamente il Consigliere signora Dameri ha richiamato l'attenzione, e invisibili sono gli stessi giovani. Oggi, le categorie forti, le categorie che dominano la scena sono altre.
Questa mozione ha quindi il merito di richiamare la centralità di questo problema, la centralità del rapporto tra l'uomo e il lavoro, la centralità rappresentata da tutte queste persone, che scompaiono dall'interesse dei mezzi di comunicazione di massa.
Però, nello stesso tempo, si pecca e si è peccato all'interno della mozione ed in questo dibattito profondamente di ottimismo, perché troppo spesso si è tentato, magari per motivi politici o, per necessità di consenso sociale, si è fatto finta di credere e di pensare che certe soluzioni possano risolvere i problemi occupazionali provocati dall'innovazione e dallo sviluppo tecnologico.
Secondo me, dovremmo invece cercare di sforzarci molto di più, dovremmo cercare di vedere che lo scenario sta cambiando con una tale rapidità così da avviarci, probabilmente, come dice Gorz, a delle forme di disoccupazione permanente di lunga durata, rispetto alle quali se da un lato il Ministro Gianni De Michelis - come scriveva Michele Salvati, in merito al suo incontro a Palazzo Nuovo di pochi giorni fa - fa delle proposte disperatamente insufficienti, dall'altro lato mi pare però non s'intravedano all'orizzonte (se rimaniamo all'interno delle concezioni di lavoro dominanti) reali possibilità di individuare una via d'uscita. A meno che non si accetti, e secondo me non è profondamente accettabile, la via della svendita della forza lavoro, della deregolamentazione generalizzata del Collocamento, del tutto a chiamate nominative, o della privatizzazione del Collocamento. Queste forme rappresenterebbero, infatti, un profondo passo indietro rispetto ai livelli di democrazia del nostro Paese. Ma dall'altra parte, non sono le forme attuali, o queste da sole, a garantire un qualche miglioramento della situazione di carattere generale.
Questo mi porta a riproporre, ancora una volta, la mia sfiducia in merito alla possibilità delle assemblee elettive o delle Amministrazioni pubbliche di risolvere questi problemi quand'anche lo volessero. Su questo mi permetto avanzare qualche ragionevole dubbio, in quanto questi problemi sempre di più stanno al di fuori delle nostre possibilità reali di incidenza.
Vi sono comunque, se solo ci limitiamo a Torino, ancora altri elementi altri dati di partenza dei quali tenere conto: da un lato, vi sono i risultati dell'ultimo Congresso della Federazione Operai Metalmeccanici (F.I.O.M.-C.G.I.L.), sia a Torino che a livello nazionale, dove alcune tesi sono passate in divergenza rispetto ai modelli proposti dall'apparato dirigente rivelano cambiamenti e mutamenti che interessano il mondo sindacale, con una attenzione nuova ai problemi della qualità della vita ed a diversi modelli di sviluppo, che mi pare riportino in primo piano le possibilità di mutamento del sindacato in questo momento molto più attento utopistico se vogliamo e rivolto al futuro, di quanto siano i partiti e le forze politiche tradizionali; dall'altro, vorrei ricordare la recente iniziativa del Cardinale Ballestrero, che ha provveduto alla nomina di sei esorcisti: sembra di uscire fuori in questo modo dalla cultura della razionalità, dell'illuminismo, cultura della quale gran parte delle forze politiche si fanno interpreti e portatori.
Siamo quindi di fronte ad una società torinese che presenta alti tassi di disoccupazione giovanile, diffuse forme di disagio e degrado, ha il più alto tasso di suicidi e di malattie psichiche esistenti in Italia. Il che dimostra come i mutamenti epocali e le trasformazioni negli atteggiamenti culturali comportino prezzi altissimi a livello psicologico ed a livello della capacità dei singoli individui di rapportarsi con l'esistente.
Dall'altra parte, ritroviamo alcuni tentativi di ricerca d'una via d'uscita, in modelli che, per quanto sotto certi aspetti possano apparire fantasiosi quanto si vuole, cercano di porre agli altri e di porre a se stessi il problema di una città che sta smarrendo la propria identità.
Così come la mozione del Partito Comunista può sotto certi aspetti rappresentare un tentativo di riproporre i problemi dell'occupazione e di individuare una via d'uscita (diversa da quella proposta dal programma della Giunta), così esistono altre forme e altri modelli ancora che si fanno strada nella società piemontese, che cercano di trovare forme di rappresentanze, degli sbocchi, delle vie d'uscita.
Queste premesse generali possono certo apparire enormemente lontane dal contesto e, del resto, trovo assai difficile rapportarmi al linguaggio molto burocratico e molto sindacalizzato della mozione e di altri Consiglieri che sono intervenuti prima di me. Il problema della crisi di un certo modello di sviluppo apre in questo momento una serie di strade che da un lato possono sembrare utopistiche, dall'altro lato possono essere invece di profonda conservazione. Il tutto però convive in una società, in una struttura sociale che sta perdendo l'identità forte che possedeva, legata attorno al nesso personalità, identità e lavoro.
L'unica soluzione possibile, messa in crisi questa identità, è quella di chiedersi quale sviluppo si vuole e che cosa si vuole produrre. E su questo punto le mie personali divergenze rispetto ad alcuni contenuti della mozione sono da un lato evidenti e prevedibili, dall'altro lato assai forti.
Nessuno qui ha detto che l'industria dominante torinese non pu continuare a produrre automobili all'infinito, perché il mercato è saturo.
Devono essere pertanto trovate altre soluzioni e che queste soluzioni non possono essere di ulteriormente sviluppare l'unica azienda in questo momento trainante, che è l'industria delle armi, non possono essere accordi quale quello concluso tra la Fiat e la Sicorski per l'acquisto della Westland ed altre cose di questo tipo.
Eppure, se si colloca al primo posto l'occupazione, come valore in s ne consegue che l'offerta sociale di posti di lavoro scivola da un lato verso forme - che ha messo in luce il Consigliere Benzi - di lavoro sommerso e di lavoro nero; dall'altro lato scivola verso forme di lavoro a mio parere inaccettabili, perché si prefigurano a lungo andare, se queste diventano le uniche possibilità reali di sviluppo di questa società, come enormemente pericolose per la stessa democrazia.
Questa è la scelta delle industrie delle armi e dell'industria bellica oggi il vero settore trainante del nostro intero Paese. Ed è anche la scelta e qui mi dispiace ripetermi per l'ennesima volta, del nucleare e di altre scelte di questo tipo,che nella mozione vengono quasi utilizzate diffuse e vendute in maniera più smaccata ed evidente di quanto già faccia la Giunta monocolore P.C.I. di Trino, che ho sentito sabato scorso presentare la convenzione Enel/Comune di Trino come valore assoluto: si pu produrre qualsiasi cosa, purché questo produca occupazione.
Da tutto questo deriva ancora un altro corollario, che ritorna tanto nella mozione quanto nei modelli forti degli industriali: il considerare in maniera del tutto impropria il nesso ambiente/occupazione, cosicché lo sviluppo occupazionale e tecnologico nel settore dell'ambiente diventa valore in sé. Ci si limita a cercare di dimostrare che l'ambiente produce occupazione e che questo è un bene perché produce occupazione.
Il problema dell'ambiente è da vedere, invece, non con altre finalità non come un qualcosa che provoca x posti di lavoro, il problema dell'ambiente è oggi più tragico, la situazione è molto più preoccupante e degradata di quanto sembri.
Non penso si possa risolvere il problema dell'ambiente con questa mentalità produttivistica o soltanto con questa mentalità produttivistica perché il risultato e la mentalità sono sempre le stesse: produrre tutto e qualsiasi cosa, perché tutto produce nuove forme di occupazione.
Il problema, invece, è quello di che cosa si produce, per quali politiche, per quali finalità collettive: è cioè il domandarsi quanto è desiderabile un certo tipo di produzione, e questa domanda deve essere posta non a partire dai posti di lavoro, per quanto questo possa sembrare ad un disoccupato, ad un cassaintegrato, ad un sottoccupato - un discorso difficile da digerire, difficile da sopportare.
E' chiaro, però, che non bisogna produrre soltanto per il produrre perché altrimenti andrebbero bene le fabbriche di armi, andrebbero bene le industrie che producono inquinamento e andrebbero bene le industrie che producono depuratori, che poi producono un altro depuratore per depurare gli affluenti del primo depuratore e poi un terzo depuratore per depurare quelli dei primi due.
Perché la storia dei depuratori, come tutti noi sappiamo, è questa. E ugualmente si produce disagio e poi si producono psichiatri per curare il disagio e si produce inquinamento per giustificare investimenti per disinquinare.
Su questa strada non c'è molto sviluppo, non c'è molta possibilità di nuova occupazione, se non accompagnata da un consumo di territorio, che diventa sempre un bene limitato e con pochissimi spazi ancora di valorizzazione. Del resto se si fa un mito dell'innovazione, come viene fatto - come ho già affermato nel corso del dibattito sul programma soprattutto dal programma della Giunta, si deve anche tener conto che questa innovazione non può essere una sorta di feticcio, di idolo, al quale sacrificare forme di convivialità e di vita associata che entrano sempre più in crisi di fronte a questa soluzione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Brizio.
BRIZIO Stiamo discutendo una mozione del gruppo comunista che tocca i temi del lavoro e che, per la verità, si allarga agli aspetti programmatici generali, cioè a tutti gli aspetti di programma e di azione che possono comunque avere effetto sul lavoro.
E' la terza volta che il PCI porta avanti una propria mozione in questa IV Legislatura. Abbiamo discusso una mozione sulla centrale, che poi si è conclusa in un documento; una seconda mozione che ha toccato i temi della questione FIAT e che ha portato ad una discussione in aula e poi ad un lavoro in Commissione che si sta concludendo. Adesso si presenta una mozione sul lavoro, che sia pure nella sinteticità degli argomenti, ha per la complessità dei titoli (come è già stato rilevato) quasi le caratteristiche di una proposta programmatica e alternativa. Quindi, c'è una strategia del gruppo comunista che tende a portare avanti attraverso queste mozioni un confronto politico-programmatico. A me pare che se questa strategia aveva un senso (do un giudizio politico) nella fase iniziale della legislatura, di fronte ad una maggioranza nuova che aveva presentato le sue dichiarazioni programmatiche e che doveva anche a livello di esecutivo organizzare la sua azione, muoversi, quasi che una messa in mora pare non avere ora significato dal momento che la maggioranza ha presentato il proprio programma (il completamento del programma!), ha presentato il bilancio, ha cominciato ad attuare delle scelte, ha portato avanti un documento programmatico che soprattutto ha il significato di documento intermedio per la predisposizione di un nuovo Piano di Sviluppo.
Queste osservazioni le abbiamo avanzate, anche se sinteticamente, in occasione dell'incontro e della conferenza dei Capigruppo, laddove abbiamo sostenuto che questa mozione sarebbe stata più utilmente discussa - mi pare che anche il dibattito di oggi confermi questo giudizio - se affiancata al dibattito programmatico. Come elemento a sé stante ci pare cosa che nella sostanza non ha quel peso e quell'incidenza che avrebbe potuto avere.
BONTEMPI Ci hanno impedito di discuterla.
BRIZIO Scusate, non interrompetemi! Ho ascoltato tutti i vostri interventi con la massima attenzione, sono stato in aula tutto il giorno, abbia pazienza collega Bontempi, non prendo lezione di comportamento. Sono legittimato a dare i miei giudizi politici e li do come tali.
Cionondimeno, fatte queste valutazioni, noi, come abbiamo detto in sede di conferenza di Capigruppo, accettiamo il confronto. Entrerò nel merito darò anche dei giudizi sulla mozione, che certamente saranno anche critici perché sono dati dal nostro punto di vista, e che potranno anche essere positivi, ma che prego che vengano sentiti con la stessa attenzione con la quale noi abbiamo sentito le illustrazioni altrui.
Noi siamo anche d'accordo che si giunga successivamente - l'abbiamo detto - ad un convegno sul tema dell'occupazione, convegno che certamente potrà essere attuato, ma per essere produttivo, per non essere soltanto una ripetizione di parole, dovrà avere anche una partecipazione attiva da parte della Giunta regionale nel momento in cui la Giunta sarà pronta nella predisposizione del Piano di Sviluppo. Potrà essere un contributo importante, come un contributo può anche venire da questa mozione, sulla cui opportunità e validità ho ritenuto dovermi esprimere.
Questa mozione ha due aspetti sostanziali nella sua impostazione, da un lato centra tutta l'iniziativa regionale in rapporto a progetti che fornirebbero posti di lavoro, quasi come se ci fosse un mercato a parte oltre il mercato complessivo nel quale si opera. La Regione deve operare non può non operare sul mercato complessivo del lavoro, non ha possibilità di interventi sezionati o marginali che avrebbero ben poco peso.
In secondo luogo, ed è il secondo aspetto, la mozione esalta l'importanza ed il ruolo della domanda pubblica. Per noi è un discorso che va bene perché consideriamo tutta l'importanza della domanda pubblica, in merito alla quale l'intervento del collega Tapparo ci pare in larga parte condivisibile. Ma, in ordine a questo aspetto credo che si debba effettivamente cogliere tutta la valenza autocritica, cui ha fatto cenno il collega Ferrara e rilevata anche dal collega Staglianò.
Se vi è un punto in cui, nella precedente legislatura, ci pare ci sia stata una carenza nell'azione complessiva della Amministrazione regionale è quello della spesa pubblica, che crea domanda pubblica, cioè della capacità di spesa della Regione e della sua capacità di incidenza. Ci sono altri due aspetti della mozione che desidero mettere in evidenza.
Da un lato, questo è già stato detto molto bene dal collega Benzi, si fa un'elencazione analitica di interventi, ma si ignora completamente il problema delle risorse, delle possibilità, delle capacità di spesa della Regione.
Quest'aspetto è completamente ignorato, c'è un'indicazione di interventi senza alcuna indicazione di risorse. Non soltanto, ma nello stesso tempo si scende in dettagliate indicazioni di posti di lavoro che emergerebbero facendo una scelta, che è tutta da dimostrare ed è estremamente pericolosa anche in rapporto alle velleitarie dichiarazioni del passato.
Operiamo su un mercato aperto, la creazione dei posti di lavoro non è un dato così matematico, ma è un processo che si può formare lentamente con una serie di interventi di largo respiro. Ma, parlando di occupazione, non possiamo non partire dalla situazione nazionale, ancor prima della situazione piemontese, per valutare come si è mossa la situazione economica del Paese.
Abbiamo attraversato e attraversiamo una fase complessa, nella quale insieme ad una crisi congiunturale che segue l'escalation dei prezzi delle materie prime, va avanti la grande crisi di ammodernamento tecnologico del sistema produttivo e del sistema industriale.
Non c'è dubbio che l'impresa è centrale come elemento formatore di posti di lavoro. Noi abbiamo ritenuto importante che l'impresa tornasse ad accumulare. Un sistema di imprese che perdono non regge, non può reggere! Non sono più possibili i grandi equivoci del passato: il sistema in un'economia aperta regge se l'impresa è formatrice di reddito, di ricchezza e se lo è, allora garantisce i lavoratori. Non garantisce i lavoratori un'impresa che non è in grado di stare sul mercato, che non produce ricchezza.
Questa affermazione peraltro non ci porta a condividere le posizioni della nuova destra, né questa nuova destra ci mette in difficoltà, perch credo che nel confronto al Lingotto la posizione di Prodi sia stata molto diversa da quella di Romiti, molto puntualizzante su questo tema. Noi pensiamo che il sistema delle imprese si è riassestato in questi anni con dei prezzi pesanti, ma anche con un grosso contributo pubblico: non gratuitamente, non solo con la forza propria, non come merito proprio ed esclusivo del sistema delle imprese lasciato in qualche modo più libero, ma anche come peso di un intervento e di una politica del governo nazionale.
C'è stata una politica per la spesa pubblica, ci sono stati massicci trasferimenti, perché anche la cassa integrazione è in qualche misura un trasferimento. Credo che questo lo condividete. V'è stato un grande sforzo per ridurre l'indebitamento del sistema delle imprese e riportare il capitale, il risparmio al sistema delle imprese, attraverso la legislazione dei fondi di investimento, che ha consentito quest'anno alle aziende di recuperare risorse di rischio. Si è cercato e si è ottenuto un lento contenimento dell'inflazione, si è data sul mercato del lavoro una maggiore libertà di movimento che in qualche modo ha segnato un aiuto importante a che ci fosse questo risanamento della situazione economica.
Noi riteniamo che oggi più che mai abbiamo necessità di un ruolo di governo grosso, che deve però essere in grado di puntare allo stesso tempo sullo sviluppo e nello stesso tempo raggiungere in un difficile equilibrio il risanamento della finanza pubblica; che è elemento pesante di debolezza del nostro sistema economico; certo, con il mantenimento di quelle garanzie sociali che noi riteniamo importanti.
Noi non siamo per, un'ipotesi neutra, meramente liberista, per cui le cose si sistemano da sole: riteniamo che sia importante l'intervento, la mediazione del governo, dello Stato per garantire un complesso di vita sociale adeguato, ma nello stesso tempo per farci stare sul mercato e farci uscire dalla crisi economica nella quale viviamo.
Certo, in questo momento abbiamo delle grandi opportunità di fronte a noi, sono già state citate. Un'opportunità certamente importante è la caduta del dollaro per la quale si ipotizza un traguardo di Lit. 1.450 a fine anno, sarà o non sarà, comunque la caduta del dollaro lo porta ad un livello che effettivamente dà un risultato più sul positivo sulle importazioni che sulle nostre esportazioni.
V'è la caduta del prezzo del petrolio che ha il suo peso e tutto si ripercuote anche in una caduta dell'inflazione che sta in questo momento andando avanti e che è dimostrata e confermata dai dati di gennaio con lo 0,50 e quindi con un risultato positivo, che ci può lentamente rimettere nel 1986, in corsa nella competizione europea e mondiale.
Queste nuove opportunità vanno colte, la capacità di coglierle sta proprio nel creare le condizioni per una ripresa economica del nostro sistema, garantendo nel complesso quel mantenimento delle garanzie sociali del solidarismo di fondo che per noi rimane essenziale.
E se c'è stata una emergenza nazionale, una situazione dalla quale possiamo uscire, c'è un'emergenza occupazionale più particolare per il Piemonte.
Questo dobbiamo ben comprenderlo, perché in Piemonte si sommano due fattori importanti: la crisi generale e quella particolare che è vissuta dall'impresa automobilistica e soprattutto dalla grande presenza di un'occupazione industriale che è la più colpita dal processo tecnologico di ammodernamento e di ristrutturazione. Il Piemonte ha sentito più di altre Regioni questa crisi; forse si è sentita anche, dobbiamo dirlo,in questi anni, una reazione debole, quasi una acquiescenza alla crisi, un non comprendere l'importanza e la necessità di reagire con una forte politica di investimenti nella nostra Regione; perché se è vero che il terziario non sarà lo sbocco definitivo, se vero che noi dobbiamo rimanere una Regione industriale, non è meno vero che non possiamo pensare, e qui è stato illuminante l'intervento di Ala, che c'è comunque un cambiamento nella massa dei lavoratori. Non ci sono soltanto lavoratori che escono in quantità superiore di quelli che entrano nel mondo del lavoro, ma sono qualità diverse che si scambiano. Esce un tipo di lavoro e si prospettano posti per un altro tipo di lavoro. Non so se è vero che il proletariato, la classe operaia stiano perdendo peso numerico in modo definitivo, ma certamente è così: cambia la qualità del lavoro, e quindi cambia la qualità dei lavoratori.
Di fronte a questa complessa situazione, il Piemonte vive un dramma più che altri e lo deve affrontare reagendo con forza.
Per quanto riguarda il caso Fiat farò qualche valutazione in merito all'intervento del Consigliere Manfredini, al quale facciamo gli auguri più sinceri per la sua nuova attività in Parlamento a Roma (l'augurio più sincero è che duri la legislatura e che non vada a Roma per pochi giorni che non sia in difficoltà per una rapida fine del suo mandato).
Non ci pare giusto Manfredini, pare enfatizzato l'accordo F.L.M.-FIAT e cogliere in esso un grosso riconoscimento o una ripresa del ruolo del sindacato.
Non credo che sia interesse dell'impresa industriale, della Confindustria non avere un confronto col sindacato, ma con un sindacato diverso: è questo il discorso. Non credo che si possa gabellare questo accordo come un grande successo. Il rientro dei 500 è effettivamente qualche cosa, forse, di non previsto, ma è però estremamente limitato di fronte ai 6000 posti che ancora rimangono. E quindi penso che il ruolo del sindacato di domani sia in una capacità di ammodernarsi. In fondo sono anche qui illuminanti le affermazioni di Lama nel dibattito in corso: o il sindacato è in grado di diventare qualcosa di diverso, di abbandonare i disegni pansindacalisti di intervento su tutto l'arco della politica economica nazionale e ritornare agli aspetti che sono suoi propri di rappresentanza nei temi del lavoro e dell'impresa o non ci sarà grande spazio e grande avvenire per il sindacato. Certo, Lama parla dell'accordo dei produttori, ma questo esige un sindacato diverso. L'accordo fra produttori contiene,credo, un'implicita rinuncia ad un discorso di disegno di politica nazionale, che invece era portato avanti quando il sindacato aveva una forza che oggi non ha. Che cosa può fare la Regione sul terreno dell'occupazione? Per scendere nel concreto e per confrontarci (come vogliamo fare) con il documento comunista, credo che tutto il discorso della politica attiva del lavoro ci vede sostanzialmente consenzienti. Sono discorsi sui quali ci siamo già più volte confrontati, ma sono discorsi anche contenuti non dico nel programma della Giunta, ma nello stesso documento delle linee programmatiche del luglio scorso e quindi si tratta di una posizione ben chiara assunta da questa maggioranza in ordine ad un impegno nella politica attiva del lavoro. Penso che i contratti di formazione lavoro hanno giocato un ruolo importante. Si potrà ben dire ch è preminente, nell'assunzione,più la fase della scelta personale del lavoratore che non la fase della formazione. Questo è un dato importante che i contratti di formazione lavoro hanno messo in evidenza: una maggior libertà d'azione nel collocamento consente anche delle possibilità di occupazione maggiori. Io non voglio seguire l'intervento del Consigliere Benzi che ha portato avanti un discorso paradossale, ma bisogna oggi convincersi che nella media e nella piccola azienda non c'è più la disponibilità all'assunzione di lavoratori dei quali non si conoscono la capacità professionale, l'impegno, la volontà di dedicarsi con passione al proprio lavoro: è un dato di fatto del quale bisogna prendere atto perché è un dato di fatto reale.
Siamo ovviamente d'accordo sul discorso dei cantieri di lavoro, delle associazioni in cooperativa e stiamo dibattendo in Commissione utilmente confrontandoci, il tema dell'Agenzia e della "job creation". Credo che possiamo dire con tranquillità che il problema dell'Agenzia è un problema importante, non dobbiamo pensare a nulla di miracolistico, ma, piuttosto che oggi sono maturi i tempi perché in Piemonte si sperimenti questa Agenzia del lavoro e noi ci auguriamo che anche a livello di Governo ci sia disponibilità in questo senso e che il Ministro De Michelis mantenga gli impegni che, d'altra parte, aveva assunto anche in quest'aula, come ben ricorda il Presidente Viglione.
Credo però che questa politica attiva del lavoro possa dare dei risultati soltanto se va avanti tutto un discorso complesso, anche di ristrutturazione degli orari, del part-time (la nuova formula del part-time obbligato per i giovani lavoratori) e anche delle fasce orarie.
Diceva il Consigliere Ala che oggi si ipotizzano delle forme di lavoro che ieri sembravano, anche sotto il profilo legale, riprovevoli; è perch la realtà della società di oggi è flessibile per cui dobbiamo adeguarci alla situazione attuale e dare normativa giuridica a forme diverse di lavoro che ieri, in una società completamente diversa, parevano non accettabili.
Abbiamo vissuto la fase del passaggio dal mondo agricolo alla grande industrializzazione in cui bisognava tutelare soprattutto la garanzia del lavoro per tutti e della non discriminazione di fronte ad una massa di domanda di lavoro che aveva tutto un altro respiro di quello di oggi.
Oggi la società è più flessibile, è diversa, il lavoro deve avere una sua flessibilità anche nelle forme; sul terreno degli orari e delle forme atipiche siamo stati da tempo favorevoli, tanto che abbiamo accettato il prepensionamento. Diciamolo pure, lo abbiamo accettato e abbiamo anche oggi sottoscritto un documento per quel che riguarda la FIAT, ma non pienamente convinti rispetto ad un prepensionamento generalizzato. Lo vediamo possibile e utile soltanto in casi particolari come quello piemontese e di fronte a situazioni specifiche, perché riteniamo ché sia un salvataggio in corner rispetto invece ad un discorso di largo respiro quale poteva essere quello dell'orario di lavoro.
Su questa parte della politica attiva del lavoro e della ristrutturazione del salario e degli orari, credo che siamo tutti sostanzialmente, d'accordo.
Il problema è di vedere quale intervento la Regione può direttamente portare avanti per facilitare la ripresa occupazionale; noi riteniamo sotto questo aspetto, che la Regione possa soprattutto operare con determinazione per rilanciare la spesa pubblica negli investimenti e portare avanti la realizzazione della Centrale nucleare e riprendere le grosse infrastrutture che sono state un po' abbandonate nel passato puntare a fondo sugli Enti strumentali, perché, effettivamente, diventino e siano elementi di promozione economica. Soprattutto la Finpiemonte dovrà diventare un elemento di effettiva promozione economica che crei le condizioni per una ripresa complessiva dell'economia nella nostra Regione.
In secondo luogo, noi riteniamo molto importante la capacità di muovere l'intero sistema piemontese. Riteniamo che questo sia il nocciolo vero per il rilancio della nostra Regione: o saremo capaci di muovere intorno all'obiettivo della ripresa del Piemonte le forze economiche e sociali e di creare le condizioni perché il complesso delle risorse piemontesi si indirizzino in investimenti importanti anche in Piemonte (non dico solo in Piemonte, che sarebbe assurdo in un'economia aperta, ma "anche" in Piemonte)o non usciremo da questa crisi profonda.
Oggi c'è una sproporzione tra la forza della finanza piemontese e gli investimenti che per la ristrutturazione del sistema produttivo piemontese sono realizzati in questa fascia. Bisogna compiere uno sforzo e un'operazione, direi, di sensibilizzazione, di fiducia, di creazione delle condizioni generali perché si ritorni a investire massicciamente nella nostra Regione. Siamo forti sotto l'aspetto finanziario più che mai, c'è questa accumulazione cui ho fatto riferimento, qualche intervento effettivamente massiccio ed importante; si formano delle risorse finanziarie abbiamo dei grandi istituti. E' necessario indirizzare, creare le condizioni, perché non possiamo fare del dirigismo in un mercato che si apre oggi, ma creare e operare perché massicciamente si ritorni ad investire in Piemonte creando le premesse reali per una nuova ondata di ripresa occupazionale.
Non è che lo sviluppo porti automaticamente all'occupazione, non siamo nelle condizioni in cui il rapporto meccanico, però è certamente una fase di sviluppo, crea delle condizioni anche in un mercato flessibile per occasioni di lavoro, per una ripresa più vasta.
Penso che su questi temi del rilancio del Piemonte la Giunta si sentirà impegnata, come ha dichiarato nel proprio documento programmatico, nella predisposizione del Piano di sviluppo; in fondo la Giunta ha indicato come obiettivo principale nelle proprie dichiarazioni programmatiche la ripresa come emergenza fondamentale, il rilancio dell'economica regionale. Se perseguito realisticamente e con impegno, questo obiettivo è la vera via per la ripresa dell'occupazione.



PRESIDENTE

Vorrei sentire dai Capigruppo le modalità di prosecuzione di questo dibattito che assume aspetti veramente interessanti e di vero confronto.
La parola al Consigliere Bontempi.
BONTEMPI Vorrei sapere come procediamo.Ci saranno ancora la risposta della Giunta e la replica dei presentatori della mozione e, a seconda del documento che si deciderà di votare, le dichiarazioni dei Gruppi.
Credo si possa anche addivenire a questa coda, naturalmente, con la richiesta che sia messa al primo punto della prossima seduta e con la conferma dell'itinerario che abbiamo definito e delineato in sede di Capigruppo, che prevede, dopo la discussione, un confronto con l'esterno e il ritorno definitivo di questa mozione in aula per la sua votazione o per la votazione di un documento che sugli stessi argomenti si intenderà predisporre.
Chiarito questo percorso non abbiamo niente in contrario a che la Giunta si collochi la prossima settimana, anzi lo auspichiamo, visto che non si tratta, signor Presidente, di un documento di programma con la vaghezza tipica dei documenti di programma, ma di un complesso di progetti precisi e circostanziati sui quali la replica della Giunta assume un carattere molto importante.
Noi l'attendiamo e ci varremo del nostro diritto di replica rispetto all'intervento che vorrà fare la Giunta la prossima settimana.



PRESIDENTE

Se i Presidenti dei Gruppi non hanno nulla in contrario possiamo proseguire con la replica della Giunta nei termini indicati che sono regolamentari. Se non vi è opposizione potremmo quindi rinviare l'argomento alla prossima settimana affinché la Giunta possa dare le sue risposte.


Argomento: Unita' locali dei servizi sociali ed assistenziali e dei servizi sanitari - Programm. e promoz. attivita" socio-assist. (assist. minori, anziani, portat. handicap, privato sociale, nuove poverta")

Esame progetto di legge n. 67: "Proroga termini di trasferimento dell'esercizio delle funzioni socio-assistenziali alle UU.SS.SS.LL. sub comunali di Torino"


PRESIDENTE

Passiamo pertanto all'esame del progetto di legge n. 67: "Proroga termini di trasferimento dell'esercizio delle funzioni socio-assistenziali alle UU.SS.SS.LL. sub comunali di Torino".
La relazione è data per letta da parte del relatore Devecchi.
Procediamo quindi alla votazione dell'articolo unico.
Articolo unico "Il Comune di Torino provvede, entro il termine del 31 dicembre 1986, in deroga all'art. 8 della legge 11/2/1985, n. 9, a trasferire l'esercizio effettivo delle funzioni socio-assistenziali alle UU.SS.SS.LL. sub comunali, sulla base di criteri stabiliti con propria deliberazione".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 42 hanno risposto SI 26 Consiglieri si sono astenuti 16 Consiglieri L'articolo unico è approvato.


Argomento: Trasporti su gomma

Esame proposta di deliberazione n. 75: "Servizio pubblico da piazza con autovettura (taxi)"


PRESIDENTE

In merito alla proposta di deliberazione n. 75: "Servizio pubblico da piazza con autovettura (taxi)", ha chiesto di parlare il Consigliere Guasso. Ne ha facoltà.
GUASSO Abbiamo esaminato questa delibera in Commissione e vorremmo motivare il nostro voto.
Mi rincresce però motivare un voto diverso in assenza dell'Assessore del quale vorremmo avere qui la risposta che ha dato in Commissione su una questione non di poco conto di questo regolamento.



PRESIDENTE

Ritengo che, in assenza dell'Assessore, questa votazione debba essere momentaneamente rinviata.


Argomento: Presidi socio-assistenziali pubblici e privati

Esame progetto di legge n. 60: "Finanziamento dei presidi socio assistenziali a carattere residenziale"


PRESIDENTE

Il punto 5) all'o.d.g. prevede l'esame del progetto di legge n. 60: "Finanziamento dei presidi socio-assistenziali a carattere residenziale".
La parola al relatore, signora Cernetti.
CERNETTI, relatore Questa legge si è resa necessaria in quanto in un primo tempo l'assistenza traeva i suoi magri fondi del cap. 10.810 che era regolato da una delibera, diventata del tutto inadeguata, perché il tetto massimo che stanziava era di circa 6 milioni e che ha visto una maggior severità da parte del Commissario di Governo per cui era estremamente difficile far passare qualsiasi provvedimento su quel capitolo.
La cifra messa a disposizione (3 miliardi per strutture socio assistenziali) è uno stanziamento più simbolico che adeguato alla realtà delle nostre strutture. La Regione Piemonte circa un secolo fa era all'avanguardia nella costruzione di tali strutture che oggi sono in netta decozione.
Diamo atto all'Assessore di aver potuto reperire 3 miliardi cosa che non era riuscita né alla sottoscritta con 1 miliardo, né all'Assessore Bajardi con 800 milioni.
Diciamo che l'Assessore al personale ha delle carte contrattuali direttamente proporzionali in base al "do ut des".
Sono 3 miliardi nettamente insufficienti tanto che hanno un valore simbolico.
Questa legge in Commissione è sembrata inadeguata rispetto alla esiguità dei fondi ed è stata ridimensionata nel senso che non si parla più di nuove strutture assistenziali (tutto il fondo sarebbe bastato per la costruzione di una sola struttura) ma questo fondo già di per sé limitato viene ulteriormente ridotto a 300 milioni e viene assegnato "una tantum" in casi eccezionali, per completamento di strutture per anziani non autosufficienti.
Pregherei l'Assessore di introdurre nell'emendamento il concetto "una tantum" che è stato suggerito dalla Commissione.
So per esperienza diretta che le strutture richiedono per più anni il tetto massimo di 300 milioni. Ma non è questo lo scopo della legge, che sarebbe nettamente deviata rispetto alla scarsità dei fondi.
Mi pare che l'Assessore abbia assunto l'impegno di risolvere l'urgenza data dai problemi degli anziani non autosufficienti.
Certe tentazioni, di cui avevo parlato nel programma, almeno per questa parte sono respinte, insomma l'Assessore ha fatto buon gioco. Sa che le tentazioni vengono dal maligno. Forse l'intervento ad hoc di qualcuno pu averlo messo sulla strada dell'avvenire di cui avevo parlato.
Questa legge è quanto mai opportuna e penso che potrà avere fondi integrati per le strutture protette anche dalla Sanità e quindi di avere più largo respiro.
Potrei augurare alla società piemontese, e non è il caso di parlare n di questa maggioranza né di questa assemblea, che accanto ad una legge che prevede strutture per anziani non autosufficienti, venga proposta un'altra legge che preveda anche servizi alternativi per anziani autosufficienti.
Infatti noi diamo la struttura agli anziani non autosufficienti, perché la risposta che dobbiamo dare agli anziani autosufficienti è fuori dalle strutture, è l'assistenza domiciliare è l'assistenza alternativa.
Questo permetterebbe di abbattere costruzioni ormai fatiscenti che sono ben lontane dal concetto di qualità della vita, di cui spesso ci riempiamo la bocca, ma che sono lontane dai livelli di dignità di assistenza dell'anziano.
Quindi, è giustissimo risolvere per primo il problema dei non autosufficienti che oggi è il più grave (ricordavo nella discussione sul programma che su 32.000 posti nelle nostre strutture per anziani autosufficienti, ci sono poche centinaia di posti per anziani non autosufficienti) ma a mio avviso visto che sono relatrice, questo provvedimento dovrebbe essere accompagnato da una legge e da provvedimenti particolari per gli anziani che devono essere inseriti nella società e non ghettizzati in strutture che, al massimo, possono essere riconvertite.
Con la disponibilità degli Assessori alla Sanità e all'Assistenza, che considerano gli anziani soggetti assistenziali, ma anche soggetti sanitari essendo gli anziani non autosufficienti da considerarsi cittadini malati speriamo che si possa dare uno sbocco, un forte impulso a quello che oggi è il problema più grave nel campo socio-assistenziale e sanitario.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Acotto.
ACOTTO Nell'illustrare la nostra posizione su questa proposta di legge vorremmo innanzitutto dire che, secondo noi, questa è stata un'occasione mancata per riaprire il dibattito nella comunità piemontese sul tema degli anziani ed in particolare degli anziani che stanno peggio che tutti riconosciamo essere di grande rilievo.
E' stato detto che il provvedimento oggi in esame non meritava di essere considerato un utile punto di partenza per la limitatezza dei contenuti e dei mezzi finanziari che prevede, ma, pur con questi limiti poteva essere considerato l'occasione per la ripresa di un confronto che fu tanto acceso nell'ultima parte dalla precedente legislatura.
La maggioranza e la Giunta si è opposta a questa nostra impostazione forse temendo, in verità, che le critiche potessero superare i consensi, ma noi stessi eravamo e siamo stati disponibili a correre questo rischio poiché, circa un mese prima che lo facesse la Giunta regionale, abbiamo presentato la proposta di legge n. 51, di tipo analogo a quella che oggi esaminiamo, recuperando noi, senza dimenticare le responsabilità primarie che abbiamo avuto nel comparto sociosanitario fino allo scorso anno, una proposta della precedente Giunta.
Il coinvolgimento delle diverse realtà piemontesi, attraverso una appropriata consultazione, avrebbe comunque garantito una conoscenza diffusa del provvedimento oggi in esame, una conoscenza che oggi è obbiettivamente molto ridotta e ciò non mancherà di sollevare problemi nella fase di gestione del provvedimento che stiamo discutendo.
Persa questa occasione di confronto, non ne mancheranno altre e segnatamente quella dell'aggiornamento del piano socio-sanitario regionale ed è a quella scadenza che noi rinviamo le nostre osservazioni di merito sulla politica per gli anziani.
Limitandoci perciò al disegno di legge oggi in discussione, ribadendo le riserve di metodo già esposte, vorremmo sottolineare alcuni altri aspetti. La relatrice, collega Cernetti, ha evidenziato nella relazione scritta e in quella che ha fatto poco fa a voce una priorità sociale, da noi condivisa, d'intervento per gli anziani non autosufficienti, ma la legge in esame non contiene nessuna indicazione al riguardo e noi siamo d'accordo con la collega Cernetti di inserire questo punto nella legge.
La seconda osservazione è di carattere legislativo. Manca nella legge in esame qualsiasi riferimento alla legge regionale n. 18 sulle opere pubbliche che, come tutti sappiamo, comprende anche quelle socio assistenziali oggetto della presente legge. Ciò porrà alcune questioni procedurali non secondarie, che noi avevamo proposto di affrontare facendo specifico riferimento a quanto appunto previsto dalla legge regionale n.
18.
Sullo stanziamento di 3 miliardi è consapevolezza comune, come ha sottolineato la collega Cernetti, che il fabbisogno insoddisfatto nel settore richiederebbe ben altro impegno, certamente superiore ai quattro miliardi, come da noi richiesto nella nostra proposta di legge.
La proposta dell'impegno di 4 miliardi, la facemmo prima che la Giunta presentasse la sua proposta, quindi in tempi non sospetti; 4 miliardi sono com'è noto, il 30% in più dei 3 miliardi previsti dalla Giunta. E questo ha un senso, anche in relazione al fatto che purtroppo, non ci sono sul bilancio regionale risorse in conto interesse; c'è invece il 30% circa in meno di risorse sul fondo socio-assistenziale rispetto a quello dello scorso anno.
Perché allora non marcare un impegno, sia pure insufficiente, ma più adeguato, proprio attraverso l'adeguamento del fondo previsto in questa legge? Questo è il senso nient'affatto demagogico della nostra proposta, che la Giunta e la maggioranza non hanno voluto però accogliere.
Per tutte queste ragioni di metodo e di merito noi esprimeremo quindi una posizione di astensione sulla legge, anche se non mancheremo di aderire alle proposte migliorative che la collega Cernetti ha preannunciato nella sua relazione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Nerviani.
NERVIANI Intervengo per esprimere una valutazione molto positiva circa la volontà che è dentro a questa iniziativa legislativa che la Giunta ha assunto e per essa l'Assessore Carletto. Come il Consigliere Acotto, avrei desiderato che il volume dell'intervento fosse più consistente. La minoranza può iscrivere tutto in un bilancio, ma la maggioranza è legata e costretta da necessità complessive che devono essere rispettate.
Va peraltro detto che nei bilanci precedenti, in particolare nei più recenti, gli interventi che avevano questa finalità erano di gran lunga inferiori e questo dovrebbe stare a significare una particolare attenzione che la Giunta attuale vuole dare al problema degli anziani non autosufficienti, com'è stato ribadito quest'oggi parecchie volte.
Voglio sostenere in questa sede ed in questa occasione come pare giusto ed indispensabile che gli interventi al riguardo siano caratterizzati da una volontà pianificatoria seria e precisa e credo che il valore complessivo dei 3 miliardi sia speso su un progetto che eviti ogni tentativo ed ogni tentazione di manifestazione a pioggia delle erogazioni di contributo.
Un'altra osservazione positiva che mi pare di dover fare è questa: gli istituti di assistenza, anche se non strettamente pubblici, sono considerati con la dovuta attenzione purché essi non abbiano ovviamente fini di lucro e la suddivisione in due parti così precise mi pare un segno positivo di volontà liberatoria rispetto a meccanismi che qualche volta sono stati troppo rigidamente fatti procedere. Impieghiamo 3 miliardi in interventi di questo tipo. Sappiamo che le esigenze sono ben più consistenti. Vorremmo tutti che fossero più consistenti anche i contributi ma abbiamo una risorsa, per altro richiamata anche nella relazione, che è quella derivante da lasciti e donazioni che non deve essere lasciata cadere e trascurata.
Dico all'Assessore Carletto, come ho già detto altre volte, che spesse volte capita di vedere queste volontà di donazione a chi ha bisogno addirittura ostacolate da una sorta di assurdo meccanismo statuale che sembra quasi volere impedire un processo positivo per la costruzione di nuovi presidi residenziali.
Quindi è opportuno uno snellimento delle pratiche che attengono alla costruzione da parte di privati che hanno già presentato all'Assessore Carletto progetti di istituti che rispondano a questa autentica necessità sullo spirito di una vera e propria carità da esplicitare nella nostra realtà sociale.
Questa legge si applica entro tre mesi e il fatto mi sembra estremamente positivo.
Voglio però cogliere una giusta osservazione del Collega Acotto relativa al vincolo che esiste con la legge 18 sulle opere pubbliche. Nel momento in cui questa legge verrà attuata, anche questi interventi dovranno essere configurati nel piano generale delle opere pubbliche, a meno che le nostre volontà non procedano in un senso diverso; ma fino ad ora le cose stanno in questi termini ed è giusto tenere conto anche di scadenze di questo tipo.
In buona sostanza da parte nostra c'è non soltanto l'approvazione, ma la soddisfazione esplicita ed anche la disponibilità a modificare nel senso raccomandato dalla Collega Cernetti il provvedimento, anche se mi sembra che la specificazione di destinazione prioritaria alle strutture per non autosufficienti poteva essere fatta nel momento di definire il piano e non essere stabilita per legge, in modo che irrigidisce l'apparato legislativo.
Queste raccomandazioni avevano più valore regolamentare e valore progettuale che non valore legislativo, in ogni caso interpretando lo spirito, le preoccupazioni di tentazioni esistenti, aderiamo con assoluta tranquillità alla proposta che proviene dal Consigliere, signora Cernetti,e mi pare la Giunta l'abbia già completamente accolta.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Carletto.
CARLETTO, Assessore all'assistenza Sarò brevissimo, volevo ringraziare innanzitutto la collega Cernetti e i colleghi che sono intervenuti.
Mi pare che da tutti gli interventi sia emerso un giudizio positivo su questo disegno di legge. E' uno sforzo che la Giunta sta tentando di compiere per dare risposte a problemi che sul territorio regionale sono molto gravi e che necessitano di un impegno del Governo regionale e della valorizzazione di tutte le realtà e di tutte le occasioni presenti sul territorio per tentare di risolvere almeno in parte una situazione che sicuramente non è facile.
Sono totalmente d'accordo con la collega Cernetti ed ho avuto occasione di dirlo nel dibattito sul programma che l'emergenza nella nostra Regione sono i non autosufficienti, quindi la puntualizzazione che discende da due emendamenti, uno in particolare che la Giunta ha presentato, la puntualizzazione circa la priorità degli interventi sui non autosufficienti è la dimostrazione dell' attenzione che la Giunta ha per questa fascia di cittadini.
Ho apprezzato molto il richiamo che la collega Cernetti ha voluto fare rispètto all'esigenza che anche fondi della Sanità siano destinati a questo tipo di interventi, anche se devo dire il mio collega Olivieri scuoteva la testa, ma credo che, con giudizio, sia assolutamente indispensabile che anch'egli concorra con le sue risorse agli interventi in questo settore.
Credo anche di dover dire al Gruppo comunista che ho colto il senso dell'intervento e delle motivazioni che stanno alla base dell'astensione che è stata annunciata.
Devo dire - ne abbiamo già parlato in Commissione - che un dibattito su questo disegno di legge aperto nella comunità regionale in questa fase mi sembra pleonastico.
Credo che l'occasione della revisione del piano socio-sanitario sarà sicuramente un momento importante e significativo nel quale caleremo tutte queste problematiche e nel quale avremo l'occasione di confrontarci ripeto, non solo in aula ma con tutta la comunità.
Quindi non c'è da parte della Giunta e da parte dell'Assessore una preoccupazione al confronto con la comunità, ritengo che un provvedimento come questo non possa che essere accolto favorevolmente dalla comunità piemontese, ancorché, forse, ci possa essere richiesto un impegno finanziario maggiore, cosa che purtroppo non siamo stati nelle condizioni di poter realizzare; debbo dire che la Giunta è stata, nei confronti di questa ipotesi, disponibile.
Non possiamo dimenticare, Collega Acotto, che la proposta della passata Amministrazione dell'allora Assessore Bajardi, con un disegno di legge sostanzialmente analogo a questo prevedeva un impegno finanziario di un miliardo; non possiamo non ricordare che nel 1985 il bilancio Regionale in questo comparto prevedeva uno stanziamento di un miliardo in un altro capitolo.
Noi oggi abbiamo a disposizione, se questo disegno di legge diventerà legge, tre miliardi su questo capitolo 500 milioni su un altro capitolo quindi si passa da un miliardo a tre miliardi e mezzo in un momento nel quale la Giunta ha dovuto registrare un calo di disponibilità finanziarie notevoli.
Questi fondi dell'assistenza che, ripeto, ammontano complessivamente sui due capitoli a tre miliardi e mezzo, ci consentiranno di intervenire in modo insufficiente e inadeguato, ma sicuramente più consistente rispetto al 1984 ed al 1985, credo quindi che la Giunta dimostra concretamente attenzione in modo prioritario ai problemi degli anziani in modo ripeto forse non sufficiente, ma sicuramente significativo.
Quindi, noi ci auguriamo che con queste risorse e quelle che eventualmente il collega Olivieri potrà mettere a disposizione, si possa in quest'anno dare alcune risposte ai problemi che abbiamo nelle strutture del territorio regionale.
La seconda osservazione fatta e ripresa dal collega Nerviani circa la legge 18, mi sembra corretta, ma per certi versi pleonastica, nel senso che la legge 18 è una legge regionale, quindi è ben chiaro che la legge 18 anche in questi interventi, in queste strutture socio-assistenziali deve essere rispettata, il ribadirlo ci sembrava pleonastico.
Ma c'è un altro elemento che non va sottovalutato: siccome questi interventi sono rivolti alle strutture pubbliche, ma anche alle strutture private non aventi fini di lucro, mettere nella legge il richiamo alla legge 18 sembrava voler dire che anche per le strutture private si dovesse fare riferimento alla legge 18, mentre invece la legge 18 va rispettata per le strutture pubbliche.
La legge 18 è una legge regionale vigente quindi vale per tutti gli interventi nelle strutture pubbliche.
Ci è sembrato pleonastico inserire il richiamo alla legge 18 che è vigente e che quindi va rispettata.
Mi pare che da parte della Giunta non possa che esserci un richiamo ai colleghi Consiglieri, perché questo disegno di legge diventi legge che ci consenta nei prossimi mesi di offrire delle possibilità di intervento su queste strutture.



PRESIDENTE

La Giunta regionale ha presentato due emendamenti all'articolo unico di cui vi do lettura: l) nuovo testo del terzo comma: "La Giunta regionale, sentita la competente Commissione consiliare, è autorizzata a concedere i finanziamenti di cui al primo comma, nel limite massimo di L. 300.000.000, ai Comuni o agli Enti proprietari dell'immobile purché questi ultimi non abbiano fine di lucro e a condizione che gli interventi realizzandi consentano l'agibilità dei presidi".
2) Dopo il terzo comma aggiungere il seguente: "I suddetti finanziamenti verranno concessi prioritariamente per gli interventi di cui al primo comma relativi ai presidi destinati a soggetti non auto sufficienti".
Chiede di parlare il Consigliere Cernetti. Ne ha facoltà.
CERNETTI Avevo pregato l'Assessore di richiamare l'una tantum proprio per evitare che in uno stanziamento così esiguo la stessa struttura tutti gli anni richieda, per esempio, 300 milioni per il completamento delle opere.
L'Assessore sa quanti fondi in questo modo hanno ingoiato alcune strutture.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Carletto.
CARLETTO, Assessore all'assistenza Debbo, per la verità, ricordare alla collega Cernetti che questo tipo di osservazione rientra, a mio modo di vedere,nella frase che abbiamo inserito nel primo comma degli emendamenti. Quando noi diciamo che "purch questi ultimi non abbiano finanziamenti a fine di lucro" e "a condizione che gli interventi realizzandi consentano l'agibilità dei presidi". Mi pare che questa puntualizzazione determina il fatto che su queste strutture non possano esserci interventi in anni successivi, perché l'intervento è condizionato all'entrata in funzione della struttura.
Credo quindi che questa frase interpreti la preoccupazione della collega.
CERNETTI Però, l'anno dopo la stessa struttura potrebbe chiedere la ristrutturazione di un'altra parte. Sono già tutti percorsi fatti.
Io penso che le leggi debbano essere sempre dotate di una chiarezza magari eccessiva, ma che non dia adito ad interpretazioni diverse.
CARLETTO, Assessore all'assistenza Io sono disponibilissimo a tutto, dobbiamo solo sapere però cosa scriviamo. Vedo anche il collega Bontempi interessato a questo emendamento e quindi mi rivolgo anche a lui; la collega Cernetti fa quest'osservazione perché nel passato non ci si è comportati proprio così, ma in un modo diverso, per cui se ha ragione, allora ha ragione anche per gli anni passati. A me pare che su una struttura che è dotata per esempio di più maniche e quindi di più settori, se noi interveniamo su un'ala per esempio su un' settore, su una manica e la rendiamo agibile, secondo l'ipotesi proposta, noi possiamo intervenire se l'intervento fino a 300 milioni ci consente di renderla agibile.
Se successivamente un anno, due anni dopo, avviene un processo di ristrutturazione di un'altra manica utilizzata per il medesimo scopo, cioè per ospitare non autosufficienti oppure se si inserisce un tipo di struttura magari per autosufficienti o altro e si richiede su questo un intervento, il non poter intervenire mi sembra un pochino preoccupante.
Ero invece totalmente d'accordo con l'ipotesi della collega Cernetti cioè quella di dire "non cominciamo con un intervento a pioggia su una struttura che richiede 5 anni per poter entrare in funzione o 4 anni, per cui negli anni abbiamo un impegno che non ci consente mai di vedere questa struttura entrare in funzione".
Però, limitarci rispetto alla possibilità di intervenire, magari per maniche autonome, indipendenti, agibili, in corpi separati, mi sembra veramente un po' limitativo. Ho colto la preoccupazione della collega e ripeto, il fatto che abbiamo inserito "sentita la competente Commissione" è anche un elemento di giudizio che la Commissione ha nei confronti degli interventi che la Giunta eventualmente proporrà tale per cui la Sua preoccupazione ha sicuramente la garanzia della verifica politica.



PRESIDENTE

Pongo in votazione tali emendamenti. Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
Sono approvati con 26 voti favorevoli e 15 astensioni.
Pongo in votazione l'articolo unico così modificato.
Articolo unico "La domanda di finanziamento per trasformazioni, riconversioni o nuove costruzioni, compresi i relativi arredi, previste nel Piano di Attività e Spesa di cui all'art. 11 della legge regionale 3/5/1985, n. 59 ed occorrenti per l'adeguamento dei presidi socio-assistenziali a carattere residenziale di cui all'art. 21 della citata legge regionale n. 59 alle disposizioni contenute nella stessa legge e nella legge regionale 23/8/1982, n. 20, è inoltrata al Presidente della Giunta regionale dal Comune o da altro Ente proprietario dell'immobile nel quale ha sede il presidio medesimo.
La domanda deve essere corredata da un progetto di massima e dalla motivazione della spesa.
La Giunta regionale, sentita la competente Commissione consiliare, è autorizzata a concedere i finanziamenti di cui al primo comma, nel limite massimo di L. 300.000.000, ai Comuni o agli Enti proprietari dell'immobile purché questi ultimi non abbiano fine di lucro e a condizione che gli interventi realizzandi consentano l'agibilità dei presidi.
I suddetti finanziamenti verranno concessi prioritariamente per gli interventi di cui al primo comma relativi ai presidi destinati a soggetti non auto sufficienti.
La ripartizione dei fondi da parte della Giunta regionale avverrà entro il mese di marzo di ciascun anno.
Per l'anno 1986 la ripartizione dei fondi da parte della Giunta regionale avverrà entro tre mesi dall'entrata in vigore della presente legge.
Per lo stesso anno gli interventi di cui al primo comma non previsti nel Piano di Attività e Spesa di cui all'art. 11 della legge regionale 3/5/1985, n. 59 o in assenza dello stesso, sono finanziati previo parere favorevole dell'Unità Socio-Sanitaria Locale competente per territorio e previa verifica, da parte della Giunta regionale, di congruità dei medesimi rispetto al Piano socio-sanitario regionale.
Per l'anno 1986 è autorizzata la spesa complessiva di L. 300.000.000. Nello stato di previsione della spesa per l'anno 1986 vengono conseguentemente istituiti appositi capitoli con le seguenti denominazioni: 'Contributi in conto capitale ai Comuni per il finanziamento dei presidi socio assistenziali a carattere residenziale' e 'Contributi in conto capitale agli istituti di assistenza non aventi fini di lucro per il finanziamento dei presidi socio-assistenziali a carattere residenziale', con la dotazione di L. 1 miliardo 500 milioni ciascuno in termini di competenza e di cassa.
Agli oneri relativi all'anno 1986 si fa fronte mediante riduzione di pari importo complessivo in termini di competenza e di cassa del cap. 12600 del bilancio per l'anno medesimo.
Per gli anni successivi il relativo finanziamento sarà stabilito con la legge di bilancio.
Il Presidente della Giunta regionale è autorizzato ad apportare, con proprio decreto, le occorrenti variazioni di bilancio".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 44 hanno risposto SI 28 Consiglieri si sono astenuti 16 Consiglieri L'articolo unico è approvato.


Argomento: Trasporti su gomma

Esame proposta di deliberazione n. 75:


PRESIDENTE

"Servizio pubblico da piazza con autovettura (taxi)" (seguito)



PRESIDENTE

Esaminiamo ora la proposta di deliberazione n. 75: "Servizio pubblico da piazza con autovettura (taxi)".
Chiede di parlare il Consigliere Guasso. Ne ha facoltà.
GUASSO In sede di Commissione non abbiamo approvato lo schema di deliberazione e vorremmo ora motivare il nostro atteggiamento.
Chiediamo che la Regione fornisca uno schema di regolamento ai Comuni.
Lo schema vuole intervenire per regolare un settore di trasporti, pieno di problemi, di differenze oggettive e soggettive, tali, che fino ad oggi hanno impedito il decollo di una legge-quadro nazionale sulla materia. E' un settore un po' abnorme per certi aspetti perché è un servizio di interesse pubblico gestito però da migliaia di singole persone, ognuna delle quali in pieno diritto, si considera una figura del tutto particolare, chi artigiano, chi imprenditore. Un regolamento potrebbe dare un aiuto per il superamento di queste diversità e differenziazioni. E' anche opportuno razionalizzare e riorganizzare il settore.
Il regolamento ha un punto forte di ancoraggio: il servizio taxi è un'attività che si svolge a seguito di licenza pubblica. Questa è la condizione base che determina gli elementi di regolamentazione dell'esercizio del servizio.
Mi pare che nello schema di regolamento proposto dalla Giunta e dall'Assessore Cerutti è presente il tentativo di far prevalere l'elemento servizio svolto con licenza pubblica, pur salvaguardando gli interessi dei singoli privati.
Il regolamento consiglia ai Comuni di puntare all'unificazione all'ammodernamento, all'abbattimento dei costi di servizio. Noi di fronte a questa novità abbiamo considerato una proposta che viene dalla Lega delle Cooperative, nella quale si riconosce parte di coloro che svolgono il servizio, la quale propone l'assegnazione di licenze a cooperative di produzione e lavoro i cui soci siano giuridicamente esistenti. A noi pare un atto che tende ad unificare, ammodernare, aumentare la funzionalità con l'abbattimento dei costi.
In Commissione queste proposte sono state respinte con motivazioni che non ci hanno convinti, ecco perché abbiamo voluto riproporle in aula motivando la nostra astensione.
So benissimo qual è la risposta, cauta e preoccupata, dell'Assessore Cerutti, ma ho anche la preoccupazione che, dopo anni di discussione forziamo la mano nella direzione di offrire ai Comuni uno schema unitario di regolamentazione della materia, non cogliamo l'opportunità per regolamentarla in avanti e non solo per regolamentare la situazione oggi esistente. Considerando che la struttura cooperativa è notevolmente presente nella categoria: le cooperative per le radio, la cooperativa per l'acquisto dei mezzi di produzione, la cooperativa per i ricambi, è una struttura che tende ad abbattere i costi e che continuamente aiuterebbe nella direzione della razionalizzazione del settore.
Per questi motivi il nostro voto è di astensione su un documento che complessivamente riteniamo utile e necessario.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Cerutti.
CERUTTI, Assessore ai trasporti Brevemente, perché non voglio abusare della disponibilità del tempo dei colleghi, per ringraziare il collega Guasso e per ringraziare tutti i colleghi che sono intervenuti in II Commissione, dove questo problema è stato dibattuto.
Si tratta di uno schema di regolamento. Si tratta, come ha voluto sottolineare il collega Guasso, di un tentativo per normalizzare una delle materie quanto mai difficili anche se importanti, nell'offrire un servizio pubblico, gestito da singoli privati, che rappresentano da soli una molteplicità di problemi, perché il singolo ha indubbiamente condizioni e situazioni diverse.
Ce ne siamo accorti quando (nell'esaminare funzioni sostitutive provvisorie al termine di gestione per situazioni che potrebbero interessare direttamente il singolo), ci siamo trovati nella difficoltà di modificare qualcosa che è stato frutto di circa 2 anni di lunga trattativa di carattere sindacale che ha visto alla fine i sindacati tutti d'accordo su questa proposta che noi offriamo alle Amministrazioni Comunali, con questa eccezione della Lega.
Perché diciamo no a questa proposta o perlomeno in questo momento la riteniamo forse non percorribile? Perché riteniamo che sia possibile, anzi ce lo auguriamo, la cooperazione fra i singoli dopo che sono titolari di licenza, ma non utilizzatori di licenza assegnata a un contesto non definito di associazione.
Questo potrebbe aprire le porte anche a Società per Azioni che possono far richiesta di avere un esercizio dei taxi e poi magari utilizzare in forma impropria dei taxisti provvisoriamente disoccupati, col lavoro nero con tutta una serie di problemi.
Abbiamo preferito nella sostanza ritornare sulla vecchia indicazione di vedere questo elemento taxista, cioè privato, con una sua professionalità con un suo impegno, con una responsabilità diretta per tutta una serie di norme che vanno dalla cura del mezzo a una soggettiva capacità di esercitare questo servizio, mantenerlo in questa scia lasciando poi al taxista la facoltà, la possibilità di associarsi. Pertanto di ottenere attraverso l'Associazione quanto di meglio o di economico si possa avere dalla radio e dai ricambi, all'acquisto dei mezzi od altro.
Per questo, come Giunta, riteniamo di riconfermare questa bozza che mandiamo ai Comuni. Ci auguriamo con questo di aver dato un contributo positivo alla materia. Penso che la Regione Piemonte sia la prima Regione a fare uno sforzo di questo genere. Sicuramente questo testo che verrà - mi auguro - licenziato dal Consiglio potrà servire anche come traccia per altre Regioni in una materia quanto mai difficile.



PRESIDENTE

Pongo in votazione tale deliberazione il cui testo è a mani dei Consiglieri e verrà trascritto nel processo verbale.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata con 28 voti favorevoli e 10 astensioni.


Argomento: Comprensori - Organi, strumenti e procedure della programmazione

Esame progetto di legge n. 63: "Integrazioni alla legge approvata dal Consiglio regionale in data 27/12/1985 ed avente titolo: Disposizioni relative alla fase transitoria di riordino delle funzioni svolte dagli Organi comprensoriali"


PRESIDENTE

Esaminiamo infine il progetto di legge n. 63: "Integrazioni alla legge approvata dal Consiglio regionale in data 27/12/1985 ed avente titolo: Disposizioni relative alla fase transitoria di riordino delle funzioni svolte dagli Organi comprensoriali", di cui al punto 6) all'o.d.g.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Majorino. Ne ha facoltà.
MAJORINO Intendo dichiarare la nostra astensione, in quanto, in conformità alla nostra relazione di minoranza, avevamo votato contro il disegno di legge che prevedeva il commissariamento.



PRESIDENTE

Non essendovi altri interventi, passiamo alla votazione del relativo articolato.
Art. 1 (Integrazione art. 1) "All'art. 1 della legge regionale, avente per titolo 'Disposizioni relative alla fase transitoria di riordino delle funzioni svolte dagli Organi comprensoriali' sono aggiunti i seguenti commi: 'Al Commissario straordinario compete un'indennità mensile lorda di L.
500.000'.
'Agli stessi compete altresì un rimborso delle spese di viaggio ed un'indennità di missione nelle misure e con le modalità previste precedentemente per i Presidenti dei disciolti Consigli comprensoriali'".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 35 Consiglieri si sono astenuti 3 Consiglieri L'art. 1 è approvato.
Art. 2 (Disposizioni finanziarie) "Per l'attuazione della presente legge è autorizzata, per l'anno finanziario 1986, la spesa di L. 60.000.000.
Agli oneri di cui al precedente comma si provvede con l'istituzione di apposito capitolo avente la seguente denominazione: 'Indennità di carica rimborso spese viaggio ed indennità di missione ai Commissari straordinari', con la dotazione di L. 60.000.000 in termini di competenza e di cassa e mediante la riduzione di pari importo del capitolo n. 12800 dello stato di previsione della spesa del bilancio di previsione per l'anno finanziario 1986.
Il Presidente della Giunta regionale è autorizzato ad apportare, con proprio decreto, le occorrenti variazioni di bilancio".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 35 Consiglieri si sono astenuti 3 Consiglieri L'art. 2 è approvato.
Art. 3 (Urgenza) "La presente legge regionale è dichiarata urgente, ai sensi dell'art. 45 dello Statuto ed entra in vigore nel giorno della sua pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte".
Si passi alla votazione.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 38 hanno risposto SI 35 Consiglieri si sono astenuti 3 Consiglieri L'art. 3 è approvato.
Pongo ora in votazione l'intero testo della legge.



(Si procede alla votazione per appello nominale)



PRESIDENTE

Comunico l'esito della votazione: presenti e votanti 37 hanno risposto SI 33 Consiglieri si sono astenuti 4 Consiglieri L'intero testo della legge è approvato.


Argomento:

Interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno (annunzio)


PRESIDENTE

Le interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno pervenute all'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale verranno allegate al processo verbale dell'adunanza in corso.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19.05)



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