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Dettaglio seduta n.34 del 20/02/86 - Legislatura n. IV - Sedute dal 12 maggio 1985 al 5 maggio 1990

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Argomento:


VIGLIONE Aldo


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto l) all'o.d.g.: "Approvazione verbali precedenti sedute", comunico che i processi verbali delle adunanze consiliari del 21 e 30 gennaio '86 sono stati distribuiti, se non vi sono osservazioni s'intendono approvati.


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute

Argomento:

Sull'ordine dei lavori


PRESIDENTE

Prima di discutere le interrogazioni e le interpellanze è opportuno esaminare la deliberazione n. 82 che riguarda un fatto specifico della sanità. Chiedo di votare l'inversione dell'o.d.g.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
L'inversione è approvata all'unanimità dei 31 Consiglieri presenti.


Argomento: Personale del servizio sanitario

Esame deliberazione relativa a: "Determinazione in merito agli incarichi conferiti nelle UU.SS.SS.LL. della Regione ai sensi della legislazione vigente e che vengono a scadenza senza che siano state completate le procedure concorsuali"


PRESIDENTE

Esaminiamo la deliberazione n. 82. In merito ha la parola l'Assessore alla sanità, Olivieri.



OLIVIERI Aldo, Assessore alla sanità

Ringrazio il Presidente per averci dato la possibilità di trattare in apertura di seduta questa deliberazione che ritengo estremamente importante e di rilevante valore politico soprattutto per il Piemonte.
Inizio parlando del Piemonte ricollegandomi a quello che dissi nel corso della discussione sul programma della Giunta non molti giorni fa. Il Piemonte purtroppo paga una colpa storica per un profondo disinteresse per la sanità e per un altro tema caro ai piemontesi, quello di vantare antiche amministrazioni alla Quintino Sella supervigilate, supercontrollate, fatti che al momento della riforma ospedaliera hanno fatto si che i bilanci degli ospedali piemontesi fossero i più bassi d'Italia.
Purtroppo il finanziamento della sanità era un autofinanziamento soprattutto per quanto attiene agli ospedali, basato sulla possibilità di investire da parte delle amministrazioni in conto capitale e in aumento degli organici del 4%. La riforma sanitaria è arrivata quando ormai era esplosa la grande avanzata tecnologica e adeguati gli organici del personale, ma il Piemonte era ancora in situazione fortemente sottolivellata rispetto alle altre regioni italiane. Il Fondo sanitario si divide secondo la spesa storica e il risultato è che, malgrado qualche correttivo intercorso, ma anche intramezzato da correttivi negativi basati sul fatto che il Piemonte finisce di pagare percentualmente, per esempio per l'esportazione del malato piemontese all'estero o nelle altare regioni la nostra Regione ottiene il 6,8% in meno della media nazionale in tema di divisione del Fondo sanitario.
Questa ripartizione è parallela ad una presenza di organici nella Regione Piemonte fortemente sottolivellati, rispetto agli organici di altre Regioni, come il Veneto, il Friuli - Venezia Giulia, la Toscana, l'Emilia Romagna. E' quindi una situazione di sofferenza antica, che si rinnova giorno per giorno di cui pagano le conseguenze i cittadini e chi lavora negli ospedali del Servizio Sanitario Nazionale.
La decretazione che non tiene =ho ., delle situazioni delle Regioni italiane e che "a spazzola" passa sulle situazioni buone, su quelle meno buone, su quelle cattive, su quelle con organici esuberanti come su quelle con organici sottolivellati, pone il Piemonte in una situazione tristissima.
A tutto questo è legata una vecchia incultura che ha fatto si che il Piemonte negli ultimi 40 anni ha prodotto, ad esempio, un numero minore di infermieri professionali che sono uno degli assi portanti della sanità.
Oggi sul mercato del lavoro scarseggiano le presenze di infermieri professionali, di tecnici o di altre categorie ad alto livello di qualificazione.
In questi anni è stata allargata la pubblicità degli avvisi pubblici dei concorsi, anche nelle altre Regioni. Abbiamo avuto presenze di infermieri professionali che sono arrivati a Torino e in altre città del Piemonte, si sono fermati per cinque, dieci giorni, un mese, si sono pagati l'albergo, hanno speso la mensilità di stipendio, dopo di che, non trovando una collocazione abitativa, sono tornati ai paesi di provenienza.
Questi atti ci pongono in situazioni gravissime che non ci permetterebbero di recuperare con nuovi avvisi pubblici delle presenze di infermieri professionali e di altre categorie sul territorio. Oltretutto il lungo ed oneroso iter degli avvisi pubblici e le procedure massacranti sono gli elementi negativi della riforma sanitaria.
Purtroppo costruimmo la riforma sulle sabbie mobili di un bieco statalismo procedurale: questa è la sostanza, questa è la matrice per cui la riforma non funziona, è una riforma antinominale fra l'azienda sanità e il sistema di gestione statuale. Dobbiamo lavorare in futuro politicamente per modificare questo terreno di sabbie mobili.
C'è anche un altro elemento estremamente importante. Parliamo spesso di professionalità e questo vale allora per gli incarichi di otto mesi, per esempio, dei medici che rendono faticosa la creazione di nuovi professionisti.
Sappiamo tutti come questi medici escono dall'Università, bravi ragazzi, preparati, magari con 110 e lode, ma la professionalità la guadagnano operativamente sul campo.
Allora dobbiamo dismettere gente che abbiamo faticosamente preparato dico abbiamo perché ho ancora dei vizi di origine, anche se sono un pensionato - per reimmettere nuove leve. Forse riusciamo ad armonizzare in parte il mercato del lavoro e la disoccupazione medica, ma poi sono ., il cittadino e il malato a pagare. Questa deliberazione evidentemente cerca di superare questa impasse e decide di prorogare gli incarichi per non oltre otto mesi.
Perché non oltre gli otto mesi? Dobbiamo fare un discorso molto chiaro e molto sereno. Siamo contro il precariato (anche se i politici sono precari per eccellenza), certamente il precariato crea profondi malesseri provoca tensioni. Riteniamo che altri otto mesi permettano di portare a compimento tutti i concorsi che sono aperti nella Regione Piemonte.
Devo dire che mi stanno pervenendo fasci di telegrammi segnalando situazioni di prechiusura di reparti, di servizi, di guardie mediche. In alcune sedi però non esistono problemi e tutti i concorsi sono espletati.
Noi ci siamo fatti garanti e patrocinatori di una situazione drammatica di cui la Regione Piemonte ha una parte minima di colpa o forse è esente da colpe (una volta tanto). In realtà, bisogna che gli amministratori locali della sanità si tirino su i pantaloni e si rendano conto che sulla sanità tante discussioni pseudoideologiche non servono a garantire la sicurezza del malato!



PRESIDENTE

Chiede la parola il Consigliere Acotto. Ha facoltà di intervenire.



ACOTTO Ezio

Signor Presidente e colleghi Consiglieri, l'Assessore ha già efficacemente riassunto gli aspetti essenziali della vicenda che stiamo ora affrontando, che è quella relativa alla situazione di gravissimo disagio e pericolo che si verrebbe a creare in numerosi reparti e servizi della nostra Regione se non si producesse un'inversione di tendenza rispetto all'interpretazione che il Ministro della sanità Degan e il Ministro della funzione pubblica Gaspari hanno dato circa la questione degli incarichi sotto procedura concorsuale non ancora completamente espletata.
Il nostro Gruppo la settimana scorsa ha presentato un Ordine del giorno nel quale chiediamo che il Governo muti radicalmente il suo atteggiamento a questo riguardo e intervenga con la massima tempestività ed efficacia per consentire, insieme ad un sollecito espletamento degli iter concorsuali, la garanzia della continuità dei servizi essenziali per i cittadini piemontesi.
Al di là dei telegrammi e delle prese di posizione che a suo tempo furono a questo riguardo prodotti dalla Regione nella direzione dei vari Ministeri competenti, ci pare che l'atto deliberativo assunto dal Consiglio regionale sia l'atto più importante e più pregnante che possa avere anche conseguenze in termini giuridici e pratici insieme alle molteplici e convergenti prese di posizione su un obiettivo che è di fortissima preoccupazione nei confronti della realtà in cui si verrebbe a trovare una parte almeno della sanità della nostra regione.
Concordiamo con la proposta di deliberazione che qui è stata presentata verso la quale abbiamo un atteggiamento decisamente positivo.
Vorremmo spendere soltanto alcune brevissime considerazioni riguardo alla vicenda che si è aperta in seguito alla legge di sanatoria che ha riavviato i meccanismi concorsuali nel campo della sanità, fermi, ahimè, da alcuni anni. Tutti sappiamo come la legge di sanatoria si sia trascinata per molto tempo con vicende alterne circa i contenuti della legge medesima per concludere con delle modifiche anche sostanziali per quanto riguarda il regime concorsuale nella sanità.
La legge si è trascinata, dicevo, per molto tempo e poi ha stabilito una tempistica velocissima, brevissima a cui soltanto alcune Unità Sanitarie Locali, come ricordava l'Assessore, sono riuscite ad ottemperare.
Naturalmente va dato atto a queste Unità Sanitarie Locali che sono riuscite a stare dentro i tempi prefissati. Però, questi tempi non sono assolutamente adatti per contenere un insieme di questioni aperte per quanto riguarda i concorsi in altre numerose UU.SS.SS.LL. e segnatamente nell'Unità Sanitaria Locale di Torino che per dimensione non ha problemi che tendono a dilatarsi rispetto ad altre strutture più ridotte.
Si pone quindi il problema che ci siano tempi adeguati per quanto riguarda gli iter concorsuali e, da questo punto di vista, la proposta che viene avanzata nella deliberazione degli otto mesi ci pare più corretta che una richiesta di proseguimento sine die degli attuali iter concorsuali.
Occorre evitare a tutti i costi il reinnescare di nuovi meccanismi che darebbero adito, da qui a qualche anno, a vicende analoghe a quelle che abbiamo vissuto nell'ultimo periodo e che sono state relative alla sanatoria di cui oggi discutiamo.
Con queste motivazioni, con questa impostazione noi siamo per un'adesione piena al provvedimento che viene assunto e voteremo quindi a favore della deliberazione che viene proposta.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Staglianò.



STAGLIANO' Gregorio Igor

Signor Presidente la ringrazio. Io non ho ancora avuto modo, penso come tutti gli altri membri del Consiglio, di prendere visione compiutamente della delibera proposta dall'Assessore 0livieri; ne conosco le anticipazioni fatte su "La Stampa". Mi pare, lo dico subito, un atto dovuto per le ragioni che diceva prima il collega Olivieri e per qualche ragione in più, Assessore, la situazione nella sanità è ben più grave di quella già gravissima che Lei ha descritto, se ad esempio, accanto alle carenze di organici, contiamo le centinaia di migliaia di ore di lavoro straordinario che i lavoratori sono costretti a fare per tenere in piedi le strutture pubbliche; siamo in una situazione nella quale, senza questo volontariato coatto dei suoi dipendenti, la sanità pubblica non starebbe in piedi. Ora la riforma sanitaria del '78 ha molti limiti, da più parti viene attaccata anche indebitamente; quello che è chiaro è che una riforma sanitaria non può essere praticata senza organici adeguati; ed allora, quando si additano responsabilità per il fallimento dei processi di rinnovamento nella sanità pubblica, questo richiamo elementare - chissà perché - viene tenuto da parte. Ma io penso che ci siano delle responsabilità; come Democrazia Proletaria abbiamo denunciato in più di una circostanza questo andazzo questo lasciare andare avanti così le cose fino alla paralisi.
C'è un disegno, Assessore, un disegno che va colto e che è quello di alleggerire sempre di più la sanità pubblica, per trasferire risorse pubbliche in progressione geometrica (è quello che è avvenuto negli ultimi cinque anni nella nostra regione) ai laboratori e alle cliniche private per assistenza e per servizi che devono continuare ad essere svolti dalla sanità pubblica. Si intravede, in tutto questo, la volontà di tagliare le prestazioni più remunerative per i laboratori e le cliniche private lasciando quelle più costose, in termini di immobilizzo di capitali, alla sanità pubblica.
Sono gli argomenti, Assessore, che abbiamo posto alla base della proposta di legge di iniziativa popolare per l'abolizione di ticket sanitari nella quale indicavamo una via politica precisa per intervenire su questi indirizzi negativi, andando a tagliare le convenzioni coi privati risanando la sanità pubblica là dove va risanata, razionalizzando quello che è necessario razionalizzare, però facendo un'opzione politica di fondo quella cioè di rafforzare il servizio pubblico, per non lasciarlo andare così come spontaneamente è lasciato andare, alla deriva.
La tendenza si aggrava, e lei ne è sicuramente consapevole; e si aggrava per responsabilità politiche con nome e cognome; per responsabilità tanto per cominciare - di quel tagliatore di servizi che va sotto il nome di Giovanni Goria - Ministro piemontese della Democrazia Cristiana - che alimenta la politica secondo cui i servizi sociali sono un surplus, un lusso, di cui progressivamente dovremmo fare a meno.
Chiedo alle forze della maggioranza che si stracciano le vesti sui problemi dell'occupazione e del lavoro, se sono coerenti quando si trovano a dover difendere, più o meno convintamente, non lo so, una legge finanziaria che per l'occupazione prevede soltanto un aggravamento della situazione.
In questi giorni i giornali sono riempiti di grida di allarme per l'ormai famoso articolo 31 della finanziaria, denominato dai giornali "tassa per la salute". Un gridare allo scandalo, a mio avviso un tantino immotivato, perché, se non ci si decide ad intervenire sulla tassazione per la sanità in maniera analoga a quanto avviene, ad esempio, per l'istruzione scolastica o per altre voci, lavoratori dipendenti - Marchini - pagano due volte per lo stesso servizio. Pagano con i contributi per malattia nella busta paga, e poi pagano con la tassazione indiretta attraverso quella tassa sulla malattia che sono i ticket sanitari. Allora, ci si vuol decidere ad unificare il sistema di tassazione con una tassa progressiva sul reddito, eliminando la voce dei contributi di malattia, concorrendo tutti quanti, secondo le proprie disponibilità per sostenere la spesa sanitaria senza una tassazione specifica? Questo è il punto. Quando ci si indigna per la tassazione prevista dall'art. 31 della finanziaria occorre fare un passo più avanti e dire che va unificata la tassazione attraverso cui tutti i cittadini devono pagare il servizio sanitario pubblico.
Ora io non voglio aggiungere altro, Assessore, perché stiamo parlando di' un provvedimento preciso, un provvedimento-tampone che per otto mesi dovrebbe rendere meno allarmante la situazione; ed io plaudo a questo impegno. Ma, Assessore, se dopo gli otto mesi - sono anni che le cose purtroppo procedono malamente - tutto rimane com'è adesso, cosa facciamo? Siamo in grado o no di sviluppare un'iniziativa convergente, tutte le forze consiliari, nei confronti del Ministero della Sanità, nei confronti dell'intero Governo per sanare alla radice questi problemi? Oppure fra otto mesi i lavoratori dovranno indurre il Consiglio regionale ad un ulteriore provvedimento-tampone? Mi soffermo su questo perché il contratto di lavoro per la sanità prevede la riduzione dell'orario a 36 ore settimanali. Ora, in presenza di centinaia di migliaia di ore di lavoro straordinario, in presenza di organici carenti, come è pensabile applicare questo nuovo contratto? Come è pensabile contribuire a dar lavoro a quelle migliaia di lavoratori disoccupati che pure potrebbero essere immediatamente immessi in un servizio di primaria importanza? Sono queste le questioni che ci inducono a manifestare il nostro apprezzamento per il provvedimento proposto; ma ci portano anche ad esternare la nostra insoddisfazione profonda per il quadro generale dentro cui questa delibera-tampone si colloca e rispetto alla quale non è possibile che il governo regionale resti alla finestra e stia a guardare ad amministrare quel poco che passa il convento. Occorre una politica più incisiva e, se mi consentite, un'inversione di rotta rispetto alla tendenza gravissima che è invalsa negli ultimi anni di lasciar morire la sanità pubblica e di fare ingrassare la sanità privata.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Minervini.



MINERVINI Marta

Sarò velocissima perché mi atterrò solamente alla delibera che stiamo votando.
Voglio dire che noi riteniamo che questa delibera abbia evidenziato chiaramente le necessità esistenti in Piemonte e sia andata incontro e cerchi di andare a sopperire nel modo migliore a queste necessità.
Naturalmente, tra otto mesi, tireremo i conti e vedremo cosa sarà successo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

Anch'io mi atterrò alla delibera, non voglio seguire il Consigliere Staglianò nelle sue elucubrazioni sulla Legge finanziaria, contro la quale si è schierato, con una serie di contraddizioni evidenti, essendo favorevole all'art. 31.
Qui occorre parlare della delibera, non della sanità nel suo complesso non si può approfittare di tutte le occasioni per fare un comizio.
Noi ci esprimiamo favorevolmente sulla delibera, così come ci siamo espressi in Commissione e riteniamo che essa sia da assumere anche tenuto conto della specifica situazione piemontese, illustrata dall'Assessore Olivieri all'inizio. Noi siamo senz'altro d'accordo, respingiamo qualunque illazione e, soprattutto, le insinuazioni circa una volontà di penalizzare la sanità pubblica a vantaggio di quella privata, cosa che non corrisponde assolutamente al vero.
Vi sono delle esigenze finanziarie complessive del sistema statuale che sono sotto gli occhi di tutti, nel deficit pubblico, e ci sono quindi dei provvedimenti che puntano a limitarlo. Naturalmente, noi siamo amministratori piemontesi legati alla realtà della nostra zona, e abbiamo il dovere di valutare la situazione con oggettività e di assumere le posizioni specifiche in ordine all'argomento che trattiamo.
Siamo quindi d'accordo sulla delibera proposta dalla Giunta, la voteremo, e riteniamo che sia un'assunzione precisa di responsabilità riguardo alla questione che concerne i precari e che deve essere risolta però nella gradualità e garantendo la continuità dei servizi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Cernetti.



CERNETTI Elettra

La dichiarazione di voto da parte del nostro Gruppo è favorevole a questa delibera.
Abbiamo seguito su "La Stampa" le battaglie portate avanti dell'Assessore che si è fatto carico, con molta sensibilità e molta prontezza, di questo problema che è estremamente grave per due ragioni intanto perché qualora terminassero, come stabilisce la legge, entro febbraio gli incarichi dei precari, la sanità piomberebbe in una situazione di disagio insostenibile e in secondo luogo, perché tutti i precari rimarrebbero senza lavoro, dopo che già si trovano in una situazione estremamente incerta tra la possibilità che l'indomani ci sia il pane e il lavoro o meno.
Noi voteremo a favore di questa delibera, anche per non aumentare il disagio e la disorganizzazione esistente nel settore sanitario, perché se non vogliamo incentivare il settore sanitario privato, indubbiamente lo privilegiamo di fatto e sappiamo che sono i fatti quelli che contano.
Personalmente ho poca speranza che questa deliberazione ottenga l'approvazione del Commissario di Governo visto che tende a superare una normativa nazionale, ma sono convinta del suo valore politico che serve a premere a livello nazionale perché si risolva una situazione insostenibile per i lavoratori sanitari e per la sanità.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferrara.



FERRARA Franco

Signor Presidente, brevemente anch'io per dichiarazione di voto rispetto a questa delibera. La relazione dell'Assessore Olivieri, che l'accompagna, mi pare sia sufficientemente chiara ed esauriente, viene evidenziata una situazione della sanità in Piemonte obiettivamente penalizzante per la nostra regione e per quel sistema italiano che viaggia sempre su rapporti storici, per cui chi è stato più spendaccione negli anni passati è premiato negli anni recenti.
Si è creata quindi una situazione molto difficile per la sanità pubblica in Piemonte, che è stata coperta in modo contingente, con queste assunzioni di precari. E' evidente che non si può gestire la sanità solo con dei precari, che devono essere, necessariamente, solo una soluzione temporanea, non la struttura portante del sistema sanitario.
Ci sono delle difficoltà oggettive a far procedere i concorsi in una situazione come quella attuale del Piemonte, dove la disoccupazione è ai livelli che tutti sappiamo: ad ogni concorso, anche per pochi, pochissimi posti, le domande sono tante, quindi i tempi sono estremamente lunghi.
In questa situazione si impone un provvedimento di questo genere, per il quale evidentemente votiamo a favore con l'intesa che il sistema complessivo giungerà ad esaurimento e quindi si giungerà ad una soluzione definitiva non appena i concorsi si saranno potuti avviare e portare a compimento e quindi anche per il Piemonte si andrà ad avere una situazione definitiva.
Per questi motivi, votiamo a favore della delibera.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente e colleghi Consiglieri, mi pare corretto l'atteggiamento che hanno assunto alcuni colleghi di voler ridurre il dibattito che stiamo facendo alla valutazione di governo amministrativo di questa delibera.
In questo senso concordiamo con la delibera predisposta dalla Giunta e ringraziamo l'Assessore Olivieri che l' ha curata.
Conosciamo le situazioni di disagio strutturale e funzionale della sanità che, come diceva giustamente il collega repubblicano, trovano la loro ragione nel vecchio vizio dei piemontesi di governare bene e seriamente per poi essere penalizzati: questo è avvenuto per i Comuni e avviene oggi per la regione. Guardiamo, per esempio, quello che avviene nelle regioni "bianche", che forse avevano alcuni personaggi più influenti di quelli piemontesi. Dovremo farci carico anche di questo, qualche volta per capire come mai continui a succedere.
Quindi, siamo certamente in una situazione squilibrata e di disagio complessivo rispetto alle altre regioni. Questa delibera, partendo da questi presupposti, cerca di rimediare ai disagi del sistema e a quelli delle persone.
Devo per altro dire che sono state fatte delle valutazioni politiche che non mi sento di condividere, anche nella misura in cui provengono da banchi della maggioranza. Io non do nessun rilievo politico a questa delibera, ma l'assumo per quello che è il suo contenuto. Se poi si viene a dire che il sistema sanitario nazionale deve evolversi nel senso contrario a quello che sembra ormai nella cultura e nella riforma che si sta avviando, occorre che su questo si ragioni in sede nazionale. La riforma sanitaria sta fallendo, proprio perché ha rifiutato la logica d'impresa cioè la competitività, la professionalità, la managerialità. Questa è la ragione per cui il sistema sanitario è bloccato. Non si deve avere paura del confronto con il privato, quando se ne ha paura e si decide di non affrontarlo è perché si sa di essere perdenti.
Io non riesco a capire perché un sistema pubblico, con tutti i benefici che la legge gli può dare e gli dà, non accetti il confronto col privato: se non accetta il confronto con il privato è perché riconosce di avere al proprio interno alcuni vizi strutturali che non vuole e non sa rimediare. E sono quelli di cui stiamo parlando: la lottizzazione, la polverizzazione delle funzioni, la mortificazione delle funzioni professionali, il populismo che impera nel sistema sanitario nazionale. Non si può dire "non vogliamo il privato", dobbiamo però battere il privato, valendoci di strumenti di privilegio politico che la classe politica e la classe di governo, nel suo complesso quindi compresa la mia, riconosce al servizio pubblico. Non si può andare oltre un certo limite perché, a questo punto si segna formalmente, sostanzialmente e strutturalmente il fallimento della riforma. Su questo occorrerà ragionare.
Sulle considerazioni del collega Staglianò devo dire che sono materie molto delicate. Ci sono però alcuni dati certi sui quali non possiamo discutere oltre.
Qualcuno scriveva su "La Stampa" alcuni giorni fa che il sistema fiscale in Italia è ormai il più pesante d'Europa. Il tetto è saltato questo ci mette nelle condizioni di sottrarre alla manovra economica e ai consumi dei cittadini più di quanto negli altri Paesi si dia alla manovra economica e al consumo. Dal punto di vista fiscale siamo squilibrati rispetto ai nostri concorrenti europei. Le aziende hanno meno soldi da investire, i privati hanno meno risorse da utilizzare per le proprie esigenze. Questa è la situazione fiscale del nostro Paese.
Il nostro sistema, nel complesso, non è in grado di pagare di più, pu pagare però in modo diverso, caro Staglianò, su questo possiamo essere d'accordo, perché si avvii un serio riesame su come si pagano le tasse piuttosto che su quante tasse si pagano.
Ad ogni imposizione deve corrispondere da parte dello Stato una equivalente riduzione in altri settori. Prima di tutto interessa l'equilibrio del sistema Italia, che deve essere competitivo con gli altri sistemi: questo dovrò garantirlo prima come uomo di governo, poi come uomo di parte perché sono liberale; evidentemente mi preoccupo di capire che la manovra del riordino del sistema fiscale non penalizzi alcune categorie e non ne privilegi altre, ma sia un gioco equilibrato.
Il primo obiettivo che ci dobbiamo porre è la difesa del sistema Italia rispetto ad altri sistemi.
La tassa della salute non metterà in dubbio questo meccanismo? La Tasco non metterà in dubbio il meccanismo della difesa del sistema Italia nel suo complesso? Quindi, collega Staglianò, non siamo in disaccordo: in Italia probabilmente paghiamo in modo sbagliato, io, forse, ne pago troppo poche e tu ne paghi troppe. Ritengo che lo Stato debba dire a me di pagare 100 lire in più e indicare chi di voi deve pagare 100 lire in meno.
Questo è il problema del sistema Italia. Ma questo non avviene, perch anche la pur apprezzabile manovra del Governo sul drenaggio fiscale non è in relazione al fenomeno strutturale, ma al fenomeno anomalo dell'inflazione: la manovra Visentini sul fiscal drag attiene all'aspetto anomalo della svalutazione e non all'aspetto strutturale di come è distribuito sulle classi sociali il peso fiscale. In primo luogo occupiamoci del sistema, dopodiché apriremo il confronto politico al nostro interno e, come sempre avviene nella dialettica politica, ognuno di noi che è portatore di interessi che deve filtrare e far lievitare,si misurerà.
E' certo che questo obiettivo non si potrà raggiungere se si va avanti con un sistema in cui, in violazione dei principi costituzionali, il Parlamento, in sede di ratifica di approvazione della legge finanziaria del bilancio,impone nuove tasse.
I Parlamenti perché si sono fatti? Per difendere i cittadini dalla rapacità fiscale dello Stato. Il Parlamento non può imporre tasse in sede di discussione dei documenti di bilancio. Questo è il punto fondamentale dell'art. 31 della legge finanziaria.
L'articolo 31 è processualmente illegittimo, le tasse e le imposte le propone lo Stato e il Parlamento le dibatte, ma non è pensabile che il Parlamento imponga tasse altrimenti salta il sistema costituzionale sul quale ci basiamo, proprio perché vien meno l'assunzione di responsabilità di proposta da parte del Governo e di funzione di difesa da parte del Parlamento a vantaggio dei cittadini nei confronti del "fiscus rapax" che da sempre è l'aspetto più noto dello Stato.
I Parlamenti si sono fatti per tutelare i cittadini dalla rapacità dei governanti, ma se alla rapacità dei governanti si aggiunge la rapacità dei parlamentari e magari la rapacità dei Consiglieri regionali che tipo di tutela diamo ai cittadini nelle assemblee parlamentari? L'art. 31 della legge finanziaria è processualmente discutibile nel merito in quanto improvvisamente si è scoperto che esiste in questo momento una classe debole politicamente, il ceto medio, che non interessa più a nessuno (mi riferisco soprattutto al mio collega Turbiglio), dopodiché si è dispostissimi, come si è fatto in Francia, a spremere questo ceto medio a vantaggio della riduzione dei costi della grande azienda e cercando di ridistribuire sulle grandi masse organizzate il consenso che ne consegue dall'operazione.
Come liberale dico però che il ceto medio è il vagone che garantisce al treno del paese la sua sopravvivenza, è la garanzia che le classi inferiori crescono e che le classi superiori cadono. L'osmosi all'interno del sistema politico-sociale non è garantito se non esiste un ceto medio flessibile moderno, attrezzato. E' la manovra complessiva che ci preoccupa. Se un'operazione del genere fosse stata fatta nei confronti dei grandi interessi organizzati, sia quelli di natura imprenditoriale che quelli dei lavoratori a reddito dipendente, a prescindere dalla giustizia o meno del provvedimento, la resistenza politica rispetto al provvedimento ci sarebbe stata; mentre qui non c'è: è lasciata a sei liberali, otto repubblicani.
Il problema che abbiamo di fronte è la penalizzazione del ceto medio che deve pagare i costi complessivi del sistema, se questi costi debbano cadere su di loro sarà giusto ma all'interno di un processo generale.
Provate a fare i conti della Tasco e vedrete quanto sarà gravosa. Il proprietario di una vecchia casa in campagna, che come sapete meglio di me su due camere utilizzabili ne avrà almeno sei abbandonate che nessuno usa andate a fari i conti di cosa pagherà per il servizio della raccolta rifiuti che non fa nessuno! E' un problema politico estremamente delicato.
Mi rendo conto, signor Presidente e colleghi Consiglieri, di essere andato fuori dal seminato, però, siccome il collega Staglianò ha ritenuto come suo diritto ricordarci che questo è un Parlamento sul quale ragioniamo e siccome la collega socialista ha ritenuto di dare a questo provvedimento una valenza in un certo senso, devo dire che una valenza in questo senso non la condivido.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Voglio sottolineare due aspetti. Il nostro Gruppo si è collocato nel dibattito partendo dalla assoluta emergenza e dalla urgenza del provvedimento, che per altro, con uno strappo alla consuetudine, non al regolamento, abbiamo ritenuto di approvare prima dell'esame delle interrogazioni.
Mi interessa ribadire che noi ci, siamo collocati in questo dibattito con il senso della estrema urgenza e della situazione di particolare emergenza che rappresenta la questione dei precari e quindi il provvedimento che interviene per risolvere questo problema.
Continuiamo a ritenere che sia opportuno non esprimere qui e ora le valutazioni più generali sul problema, e chiediamo, come abbiamo chiesto in sede di conferenza dei Capigruppo, che al più presto si faccia un dibattito sulla sanità in Piemonte, in cui sia possibile dibattere le questioni generali poste in alcuni interventi affrontandole in tutta la loro dimensione.
Ho chiesto la parola soprattutto per dire con molta chiarezza che noi vogliamo rimarcare all'attenzione di tutti i Gruppi, che questo provvedimento rappresenta una giusta e da noi condivisa forzatura politica vista la situazione che può essere di emergenza già nelle prossime.
Infatti, non abbiamo elementi di certezza che questa forzatura venga recepita, per cui è necessario che, oltre al dibattito sulle questioni generali che sono state introdotte e sulle quali ci confronteremo al più presto, per iniziativa del Consiglio o della Giunta, si ricordi che dobbiamo essere molto tempestivi e attenti in queste settimane rispetto a questa emergenza. Nel caso cioè che questa delibera, che ripeto riteniamo giusta e condivisibile, non avesse buon esito, credo che dovremo assumere una iniziativa straordinaria nei confronti del Governo e con tutti gli strumenti a disposizione perché i gravi problemi vengano risolti.



PRESIDENTE

Comunico che i Capigruppo hanno accolto la proposta di fissare un dibattito sulla sanità. Ora ci troviamo di fronte a questo provvedimento il cui testo è a mani dei Consiglieri e sarà trascritto nel processo verbale e che pongo in votazione per alzata di mano.
La deliberazione è approvata all'unanimità dei 31 Consiglieri presenti.


Argomento: Protezione della natura (fauna, flora, minerali, vigilanza, ecc.) - Caccia - Pesca: argomenti non sopra specificati

Interrogazione del Consigliere Tapparo inerente il lupo italiano


PRESIDENTE

Passiamo ora al punto 2) dell'o.d.g.: "Interrogazioni ed interpellanze", esaminiamo l'interpellanza del Consigliere Tapparo inerente il lupo italiano.
La parola all'Assessore Moretti.



MORETTI Michele, Assessore alla pesca e caccia

Il Consigliere Tapparo ha presentato una interrogazione sul lupo italiano, in relazione alla richiesta di intervento finanziario che l'associazione per la selezione del lupo italiano ha inviato alla Regione sia per l'attività d'allevamento del lupo che per l'utilizzo della specie nelle attività di pronto intervento. Innanzitutto il lupo italiano non rientra nella specie della fauna che la legge 60 del 1979 prevede, ma è un animale che va difeso per la funzione che svolge e presta in collaborazione con le forze dell'ordine.
Non esiste nessun riferimento legislativo che possa intervenire a favore di questa specie, ripeto, che non fa parte della fauna selvatica; si può pensare ad una normativa regionale per la difesa della specie predisporre u-na normativa, un disegno di legge d'intesa con il Consigliere Tapparo e con altri Consiglieri.da proporre al Consiglio.
Più che la difesa della specie, chi provvede all'allevamento ha bisogno di sostegno finanziario e quindi occorre tenerne conto in questa normativa.
La Giunta si farà carico del problema ma penso sia interesse di tutto il Consiglio; possiamo trovarci in sede di Commissione e predisporre questa proposta di legge.



PRESIDENTE

La parola all'interrogante Consigliere Tapparo.



TAPPARO Giancarlo

Ringrazio l'Assessore Moretti per la risposta. Vorrei precisare che quanto è in discussione non è problema di cinofilia, di tutela di specie selvatiche, come giustamente l'Assessore Moretti ha fatto notare. Ci troviamo davanti ad una interessante combinazione genetica che pare abbia dato un prodotto unico di notevole qualità per impieghi speciali.
Vorrei sottolineare al collega Moretti soprattutto questi impieghi speciali. Il lupo italiano pare idoneo a compiti particolari che potrebbero rientrare in un interesse specifico della nostra Regione.
Va poi detto che si tratta di un prodotto unico. L'unicità di questa specie, come risulta da valutazioni sottoscritte da eminenti studiosi, è un fatto interessante.
Le caratteristiche dell'allevamento del lupo italiano sono configurate in modo tale da consentire la conservazione e la perpetuazione di questa razza.
Il problema della commercializzazione che è uno dei temi in discussione (ci si chiede perché non si apre la commercializzazione del lupo italiano) è legato anche all'aspetto di perpetuazione e di conservazione della purezza di questa razza.
Mantenendone l'esclusività nella riproduzione, per evitare la dispersione dell'integrità genetica, può far si che venga conservato quel tipo di caratteristiche che questo animale sembra presentare per compiti molto impegnativi.E' un animale con grandi facoltà di apprendimento, molto idoneo all'addestramento e nel soccorso in montagna, ad esempio per le valanghe (la dimostrazione è il caso,, di uno di, questa lupi, attualmente in addestramento alla Scuola Militare Alpina di Aosta. Il soccorso per calamità naturali come nei casi di terremoti è un altro aspetto importante di possibile impiego. Poi possiamo parlare di tutela dei parchi, di attività anticrimine, ecc. Però a me pare soprattutto che per queste caratteristiche di soccorso in montagna, di soccorso in caso di calamità in particolare i terremoti, si tratti di avere una risorsa.
Dobbiamo chiarire tra di noi se questo lupo italiano è una risorsa potenziale per la Protezione Civile, vale a dire una componente di elementi che possono concorrere alle iniziative della Protezione Civile.
Se si dà una risposta positiva, se si tratta in sostanza, di una risorsa che possa servire per questa iniziativa è chiaro che abbiamo un problema di darne un supporto legislativo per poterlo impiegare in modo coerente e utile.
Dunque occorre realizzare un intervento organico e strutturale. Mi sembra interessante l'aspetto di una normativa per la difesa della specie ma direi soprattutto di valutare se non si tratta anche di qualcosa che pu rientrare all'interno della Protezione Civile.
Voglio citare la legge per la Protezione Civile della Regione Lazio dove l'art. 3 recita, in particolare: "la Regione, nell'ambito delle proprie competenze, provvede all'individuazione e organizzazione permanente sul territorio regionale dei mezzi e delle strutture operative ai fini della prevenzione .., la messa a disposizione al verificarsi di eventi calamitosi di questi mezzi ...".
Bisogna capire se noi consideriamo questo tipo di animale, con le sue caratteristiche, dove non c'è un'iniziativa a scopo di lucro per allevarlo e addestrarlo, idoneo come mezzo per la Protezione Civile.
Occorre tenere presente che, se questo potesse diventare il nostro orientamento, c'è un tema contingente che è dato della sopravvivenza, in attesa di un supporto legislativo o una eventuale nostra decisione in questa direzione, per far si che, sostanzialmente, i cani arrivino vivi al momento della nostra decisione. Pare infatti che l'allevamento pare sia in serie difficoltà.
Ringrazio dunque l'Assessore per questa volontà di voler discutere e voler cercare una soluzione che dia un supporto legislativo al problema. Mi fa piacere che ci sia questa volontà di verificarne rapidamente la fattibilità.


Argomento: Formazione professionale

Interpellanza dei Consiglieri Dameri, Sestero e Bruciamacchie inerente il Consorzio Provinciale formazione professionale di Alessandria


PRESIDENTE

All'interpellanza sul Consorzio Provinciale formazione professionale di Alessandria risponde l'Assessore Alberton.



ALBERTON Ezio, Assessore alla formazione professionale

Intendo precisare alcune considerazioni in relazione all'interpellanza presentata. Il problema posto riguarda la comunicazione fatta da parte mia e da parte dell'Assessorato al Consorzio circa la non corresponsione di ulteriori quote per il 1985 rispetto al contributo già assegnato dalla Regione nei mesi di marzo/aprile dell'anno scorso. La natura giuridica dell'Ente, che è un Consorzio tra l'Amministrazione provinciale di Alessandria e i Comuni di Alessandria, Acqui, Arquata, Castelnuovo, Novi Ovada, Serravalle, Tortona e Valenza presuppone e richiede un'attivazione anche finanziaria, da parte degli Enti consorziati. Dalle richieste pervenute a questa Amministrazione da parte del Consorzio e dal bilancio preventivo presentato, non risulta che questa attivazione vi sia mai stata nonostante che gli interventi del Consorzio si sostanzino nell'aggiornamento del personale dipendente degli Enti locali in questione.
A nostro avviso la mancata adozione di deliberazioni da parte degli Enti locali facenti parte del Consorzio, in relazione ai corsi di aggiornamento per i propri dipendenti, oltre ad esimerli dall'assunzione di oneri finanziari, fa dedurre che le indispensabili azioni di verifica, controllo e valutazione circa i risultati dell'azione normativa siano altrettanto discrezionali.
L'attività formativa gestita dal Consorzio è di aggiornamento per dipendenti di Enti pubblici e non può pertanto rientrare nel Piano regionale consolidato della formazione professionale. Fornirò alcune documentazioni ai Consiglieri interroganti.da cui si evince la caratteristica dei corsi stessi. Dal bilancio stesso presentato, cito i titoli: aggiornamento personale centri estivi, aggiornamento insegnanti doposcuola, aggiornamento operatori asili nido, aggiornamento operatori e coordinatori servizio socio-assistenziali, aggiornamento vigili urbani aggiornamento personale refezione. Sui 153 corsi effettuati al 1 giugno '85, così come richiamati dall'interpellanza, 122 vengono definiti corsi di aggiornamento e, dalle tabelle presentate proprio in accompagnamento al bilancio, si evince il tipo di personale che viene interessato da questi corsi e sono appunto personale asili nido e scuole materne, personale doposcuola, personale centri estivi, personale servizi di cucina, personale dei consultori, operatori psichiatrici, guardie ecologiche, vigili urbani.
A tale proposito, con riferimento all'attività di formazione e aggiornamento del personale socio-assistenziale, nonché di altre figure professionali cui viene fatto cenno nell'interpellanza, quali gli operatori psichiatrici o di appoggio per handicappati, è importante sottolineare come la competenza in base alla legge regionale n. 20, fissando indirizzi normativi per il riordino dei servizi socio-assistenziali, venga delegata alle Unità Sanitarie Locali che possono esercitarla anche in convenzione con enti vari. Viene fatta eccezione per gli operatori degli asili nido che non sono in oggetto di riordino della suddetta legge e sono quindi ulteriormente finanziabili.
Per quanto concerne la proposta, che vedrebbe un intervento del Consorzio allargato anche ad altre province, Asti e Vercelli, oltre a richiamare quanto sopra esposto circa le competenze negli ambiti territoriali già individuati nell'UU.SS.SS.LL., è completamente da analizzare questa proposta, in questa fase, nell'ambito del processo di delega che coinvolgerà tutta la realtà amministrativa regionale. Pertanto ribadirei che il finanziamento dell'attività di aggiornamento per il personale della P.A. non può rientrare nell'ambito dell'attività consolidata di questo Assessorato, oltre che per i motivi sopra esposti anche in relazione alle difficoltà connesse alle risorse attivabili dal bilancio regionale, poiché non sarebbe comunque corretto limitare l'intervento alla sola provincia di Alessandria, ma, dovrebbe essere analizzato in riferimento a tutta la realtà amministrativa regionale.
Credo, anche, che se dovessimo introdurre delle priorità all'interno degli interventi sulla formazione degli operatori della P.A. non potremmo non prendere in considerazione altre figure professionali quali quelle che sono in rapporto più diretto, come interfaccia, tra la Pubblica Amministrazione e il mondo esterno e il mondo del sistema produttivo, ad esempio, problema che molte volte si presenta, quello dei tecnici della sicurezza.
Queste considerazioni, sono quelle che ho esposto e che fornirò come documentazione al Consorzio della formazione di Alessandria, ricordando che in questi anni c'è stato un contributo della Regione Piemonte che copriva praticamente, l'intera spesa del Consorzio. Ho detto loro che, per la tipologia dei corsi in questione, per il fatto che si rivolgevano a personale direttamente dipendente degli Enti locali, per la figura istituzionale dell'ente che gestiva questa attività, non avremmo potuto concepire l'intervento della Regione come coprente interamente le spese di questa attività, e che non avremmo potuto non sollecitare una compartecipazione sostanziale da parte degli enti stessi, dovendosi immaginare che cosa capiterebbe se lo stesso atteggiamento la Regione lo tenesse nei confronti di tutta la realtà amministrativa regionale. Ho fatto presente e ribadisco in questa sede che interventi specifici per quanto riguarda gli operatori degli asili nido e i vigili urbani potranno comunque essere finanziati. Mi attendo anche una risposta, non solo di protesta (so che gli enti, Comuni e Province, si stanno attivando per verificare la possibilità di un loro intervento). Alla luce delle risposte e della disponibilità ad una compartecipazione, l'Assessorato continuerà a seguire il problema e cercherà di analizzare le modalità, se il Consiglio lo ritiene, anche di rendere il passaggio un po' più dolce di quanto non possa derivare da una decisione di questo genere. E' certo che, quando è stato stanziato il contributo di 150 milioni nel 1985, non c'era, non c'è stata nessuna garanzia di coprire, come negli anni scorsi, l'intero fabbisogno finanziario del Consorzio. Non dimentichiamo che lo stesso Consorzio, nelle sue note, evidenzia come questa attività non fosse assolutamente compresa (neppure citata) nel Piano regionale di sviluppo, nonostante le proteste degli Amministratori del Comune di Alessandria.
Questo mi sembra confermare esplicitamente il fatto che questo intervento della Regione, non poteva non avere un carattere di eccezionalità. E' un'eccezionalità che si è ripetuta per 5 anni: credo che nel momento in cui dobbiamo preoccuparci di contenere o di riqualificare la nostra spesa nel settore, non possiamo non riconsiderare con attenzione questo fenomeno.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Dameri.



DAMERI Silvana

Il tempo trascorso dalla data della nostra interpellanza, due mesi, ha visto il susseguirsi di una serie di fatti con i quali la Giunta ha già risposto alla nostra interrogazione, in modo particolare, con il confronto avvenuto con il Consorzio e con i rappresentanti del Comune di Alessandria (all'incontro erano presenti i colleghi Mignone e Rossa, mentre i colleghi democristiani erano, per altre ragioni, non disponibili) e della Provincia.
In realtà siamo di fronte ad una totale e assoluta indisponibilità della Regione, riferita non solamente al 1985, ma anche al 1986 con le ragioni che l'Assessore ha esposto, l'incompetenza ad intervenire su questa materia da parte della Regione e l'indisponibilità finanziaria.
E' vero che il Consorzio di Alessandria è nato con delle caratteristiche che, dal punto di vista dei rapporti istituzionali con la Regione, non sono mai stati chiariti e questo è stato indubbiamente negativo. Credo che le responsabilità in questo siano di entrambi le parti.
E' vero che, non si è trattato di una anomalia ripetuta da parte della Regione con l'intervento di finanziamento, ma con una volontà che ha consentito al Consorzio di operare e di dare dei risultati che, dal punto di vista della ricaduta sulla qualità dei servizi, è giudicata positivamente dagli Enti locali, non è un fatto formale e alcune cose che dirò dopo lo dimostrano.
Contesto che questo tipo di intervento sia fuori dalle competenze della Regione. Se non ricordo male l'art. 11 della legge 8 parla in modo specifico di "qualificazione del personale della Pubblica Amministrazione".
Siamo tutti consapevoli che la qualificazione non è un dato che interviene in una fase iniziale. Ogni giorno ci sentiamo ripetere - e io ne sono profondamente convinta - che i cambiamenti di fronte ai quali ci troviamo che l'esigenza di riqualificare il personale, che il modo di produrre e di organizzare i servizi, ma non solo quelli, sono questioni assolutamente fondamentali. A me pare che dal punto di vista dell'esposizione legislativa esista questo compito per quanto riguarda la Regione.
Dal punto di, vista dei fondi, voglio far presente che nel piano approvato nel mese di ottobre alla provincia di Alessandria è andata una cifra considerevole (9 miliardi per la F.P.).
Il nostro Gruppo aveva dato voto contrario.
A me sembra molto discutibile che in questo stanziamento quello che viene penalizzato è il Consorzio pubblico. E' vero, dobbiamo discutere delle sue prospettive, del suo futuro, della sua ulteriore qualificazione e questa è un'esigenza che sentono gli enti consorziati. Tuttavia voglio dire che come prima scelta mi pare molto discutibile.
Che questa attività sia un'attività necessaria e utile e alla quale tutti gli Enti locali non intendono rinunciare è dimostrato dal fatto che è stato deciso dal Consiglio comunale di Alessandria, dalla Provincia e dagli altri Comuni di farsi carico, non parzialmente, ma totalmente, vista la sordità della Regione per quanto riguarda l'85 e l'86. Credo che ci sia un impegno comunque non totale della Regione di suddivisione delle spese e so che c'era la disponibilità degli Enti locali a considerarlo.
Possono essere spese di gestione ed altre spese. Ho potuto verificare concretamente nell'incontro che non c'è alcuna volontà di sottrarsi alla verifica sull'effettiva validità dei corsi, sulla loro possibile riconversione. Mi pare molto discutibile il modo liquidatorio con il quale l'Assessore ha tranciato l'analisi del bilancio che il Consorzio ha svolto.
Si dice: "Siete poco credibili per una serie di ragioni, probabilmente anche il piano che presentate non è veritiero". Credo che sia troppo liquidatorio questo modo di agire e che sia necessario entrare nel merito avendo la volontà di farlo - questa mi sembra la questione fondamentale non tanto in rapporto e solo con il Consorzio, ma appunto con gli Enti locali che sono consorziati.
Credo che nell'immediato sia necessario produrre un segno della volontà della Regione di non sganciarsi da questo tipo di attività, che ritengo assolutamente prioritaria e, visto che stiamo per discutere la prima variazione di bilancio, quella potrebbe essere l'occasione per la Regione per dimostrare che non si vuole abbandonare questa attività.
E' inoltre opportuno lavorare con un progetto che veda interessati Regione, Provincia, Enti locali nel quale l'intervento della Regione non sia "una tantum", - non si tratta di avere qualche quattrino da spargere in giro per le varie realtà provinciali - ma sia un intervento finalizzato nel quale risultino le esigenze di formazione, sentite le motivazioni dagli Enti locali stessi.
Contesto che non esista il bisogno di riqualificazione del personale delle Pubbliche Amministrazioni, e contesto anche che questo non sia vero per il personale che opera nei settori più delicati dal punto di vista della qualificazione, cioè nei servizi alla persona.
Abbiamo bisogno di qualificazione nei servizi che sono più direttamente collegati al momento produttivo, ma ancora di più ne abbiamo davvero dove la qualità del servizio è data dalla capacità, dai profili professionali dall'esperienza, dall'aggiornamento della qualificazione personale, appunto in quei servizi che ineriscono la persona.
Da questa vicenda viene fuori il bisogno di razionalizzazione complessiva di questo settore, che lo porti ad essere efficace dal punto di vista formativo e che determini da parte della Regione il governo dell'insieme della struttura di formazione.
Visto che è in discussione anche il disegno di legge sull'articolazione istituzionale della Regione, ricordo che questa è una questione che riguarda la delega alle Province.
E' necessario dare un segno tangibile intanto nel bilancio della Regione, dando così la prova di un non totale disimpegno e in secondo luogo con la costruzione di un progetto che veda impegnati gli Enti locali e la Regione su cui si possa costruire qualche cosa di solido partendo da un bilancio che non è certamente negativo.


Argomento:

Interpellanza dei Consiglieri Dameri, Sestero e Bruciamacchie inerente il Consorzio Provinciale formazione professionale di Alessandria

Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

In merito al punto 3) all'o.d.g. "Comunicazione del Presidente" comunico che sono in congedo i Consiglieri: Carazzoni, Croso, Pezzana Valeri.


Argomento:

a) Congedi

Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

L'elenco dei progetti di legge presentati sarà riportato nel processo verbale dell'adunanza in corso.


Argomento:

b) Presentazione progetti di legge

Argomento:

c) Deliberazioni adottate dalla Giunta regionale


PRESIDENTE

L'elenco delle deliberazioni adottate dalla Giunta regionale nelle sedute del 28 gennaio, 4, 7 e 11 febbraio 1986 - in attuazione dell'art. 7 secondo comma della L.R. 6/11/78, n. 65 - in materia di consulenze ed incarichi, è depositato e a disposizione presso il Servizio Aula.


Argomento: Commemorazioni

d) Commemorazione di Piero Gobetti e dell'ex Sindaco di Firenze, Lando Conti, assassinato dalle brigate rosse


PRESIDENTE

Signori Consiglieri, signori del Pubblico, sono 60 anni che Piero Gobetti a soli 25 anni moriva esule a Parigi.
Vi era arrivato pochi giorni prima nel gennaio del 1926, dopo la dura lezione ordinata da Mussolini a suo danno perché la sua voce incomoda tacesse, come disse Bauer che fu suo collaboratore in tanti momenti: Come accadde anche più tardi ad Antonio Gramsci quando gli dissero che il suo cervello non doveva più funzionare.
A tanti decenni dalla scomparsa, la sua figura di studioso ideologo editore, un uomo di una complessità e di un valore inestimabile, continua ad alimentare il dibattito fra tutto il mondo politico e della cultura.
Piero Gobetti ha fatto la storia ed alla storia ormai appartiene.
Nessuno più di lui aveva compreso la vera natura del fascismo, nessuno più di lui l'aveva combattuto, sino a morirne.
A 25 anni aveva già prodotto 100 titoli come editore, nel breve volgere di tre o quattro anni, fra cui ricordiamo la prima edizione di "Ossi di seppia" di Montale.
Fondò tre riviste "Energie Nove", "La Rivoluzione Liberale", "Il Baretti", e il Consiglio regionale riprese anni fa "Energie Nove" con una pubblicazione.
Scrisse opere importanti come "La Rivoluzione Liberale", collaborò a numerosi periodici come "L'Ordine Nuovo" di Antonio Gramsci, con il quale instaurò un eccezionale confronto e dibattito.
Piero Gobetti comprese in quel momento qual era il moto operaio, lo sviluppo del movimento operaio, la novità della fabbrica, il Lingotto come laboratorio.
La consapevolezza di una società arretrata rispetto ai problemi che si ponevano, la centralità stessa della fabbrica (dirà Bobbio proprio in questi giorni: "quasi non esiste più, perché ormai tutto è cambiato").
Allora la centralità era un fatto nuovo, guidava il suo pensiero e la sua azione tesa a risolvere le contraddizioni e a raggiungere una società più democratica e più solida, pur nel suo pessimismo rispetto all'avvento del fascismo. Disse che tutti i mali storici del nostro paese venivano a formare un coacervo, per cui la soluzione veniva cercata soltanto in modo autoritario e sarebbe stata una soluzione di lunghissima durata.
Ancora oggi si critica questa sua impostazione e lo stesso Bobbio ne fa una critica, ma forse il tempo, sotto l'aspetto della lunga durata del sistema autoritario,gli darà ragione. Fu un tempo irripetibile allora, per la cultura, l'arte, la formazione intellettuale della nostra Torino e del nostro Piemonte. Ricordiamo Einaudi, Ruffini, Gobetti, Gramsci, Togliatti tanti, tanti altri che in Torino maturarono, venendo come Gramsci e come altri da regioni lontane. Un tempo inimitabile in cui possiamo dire che grossa parte della cultura del nostro paese si è formata.
Noi vogliamo ricordarlo a 60 anni dalla sua scomparsa. Ha detto Saverio Bertoni: "non hanno importanza i 60, i 50 o i 40, noi prendiamo questa occasione per ricordare un uomo". Un giovane perché a 25 anni Piero Gobetti aveva alle spalle un patrimonio che forse nessuno nella storia d'Italia ha avuto.
Lo ricordiamo prendendo questa occasione come motivo costante di una grandezza inimitabile che ha onorato la nostra Regione e l'intero paese.
Signori Consiglieri, un triste fatto, un tristissimo fatto è accaduto a Firenze il 10 febbraio.
L'ex Sindaco di Firenze, Lando Conti, che apparteneva al Partito Repubblicano è che è stato Sindaco per alcuni anni a Firenze specificatamente operando in un contesto difficile in cui lui si era per collocato in così poco tempo in una misura tale da fargli riconoscere la statura di un grande amministratore, è stato barbaramente ucciso, a seguito, almeno così si pensa, dei due comunicati delle Brigate Rosse, del primo comunicato lasciato al momento dell'assassinio e del secondo comunicato che è stato ritrovato altrove e dalle rivendicazioni che sono arrivate dal processo in corso dalle Brigate Rosse che hanno individuato in Conti un uomo altamente impegnato, fortemente teso a nuovi modelli democratici con una costanza che risale alla sua lontana giovinezza. Aveva poco più di 50 anni.
Di fronte a questo fatto non possiamo accettare la tesi, avanzata da qualcuno, che si tratti di una coda marginale di un terrorismo che va via via estinguendosi e che dà gli ultimi colpi di coda.
Noi riteniamo invece che sia tutto l'opposto. Il terrorismo nel nostro paese ha origini lontane (sono state fatte innumerevoli ricerche sulle sue origini) e colpisce sempre e solo in determinati momenti della storia del nostro paese.
Le difficoltà attuali e la crisi del nostro paese, del Governo, delle istituzioni hanno dato modo di colpire un uomo che si batteva per la democrazia, che si batteva perché vi fosse un modello più giusto e più democratico nel nostro paese.
Questa crisi esiste in modo forse più grave oggi di quanto non sia esistita nei tempi alle nostre spalle e una voce ha cessato di esistere e di poter contribuire ad una autentica e nuova rinascita democratica.
Se vogliamo trarre una lezione da questo tremendo episodio, non marginale, che non possiamo definire come colpo di coda del movimento eversivo che ha insanguinato il nostro paese, dobbiamo dire che soltanto attraverso una grande unità delle forze democratiche attraverso un grande sforzo, come credo questo Consiglio regionale stia facendo, riusciremo ad isolare e a battere i movimenti eversivi che ormai hanno cambiato: non sono più in quantità, ma hanno scelto la qualità dell'intervento.
Lando Conti era nell'obiettivo, non perché, come ha detto qualche giornale: "Se è nato uccidiamolo". Non è questo. Il motivo è che barbari assassini vogliono far precipitare il paese in una crisi ancora più profonda di quella che attualmente il paese vive.
L'impegno di questo Consiglio è quello di un grande movimento unitario che isoli completamente questi barbari.
Alla sua famiglia, al P.R.I., che ha perduto un grande uomo, un grande amministratore, un grande democratico, noi rivolgiamo il nostro pensiero le nostre condoglianze ed il nostro ricordo.



(I Consiglieri e i presenti in aula in piedi, osservano un minuto di silenzio)


Argomento: Ristrutturazione industriale - Problemi del lavoro e della occupazione

Dibattito sulla mozione presentata dal Gruppo PCI in merito all'occupazione e le trasformazioni del sistema produttivo


PRESIDENTE

Punto 4) all'o.d.g.: "Dibattito sulla mozione presentata dal Gruppo P.C.I, in merito all'occupazione e alle trasformazioni del sistema produttivo".
La parola al Consigliere Amerio che illustra.



AMERIO Mario, relatore

Signor Presidente e colleghi, questa discussione sulla mozione da noi presentata sul lavoro e l'occupazione in Piemonte trova oggi una cornice quanto mai adeguata con la presenza e la discussione qui dei problemi dei precari della Sanità e al piano di sopra dei lavoratori in cassa integrazione della Fiat.
Questa nostra mozione sul "lavoro e qualità dello sviluppo in Piemonte" ha oggi più valore di quanto ne avesse tre mesi fa, all'atto della sua presentazione facendo precedere la presentazione da un'ampia e intensa consultazione di tutte le forze sociali. Allora, infatti, si era in assenza di bilancio, programma e piano di sviluppo della Giunta ed il significato della nostra mozione fu di rompere un vuoto e offrire al Consiglio ed alla Regione una base di confronto e di discussione che guardasse alle trasformazioni in atto, alla loro possibile guida, a una nuova qualità dello sviluppo e innanzitutto ai doveri della Regione verso la parte più debole della popolazione piemontese che oggi è stata presente in aula.
Oggi a fronte dei primi documenti presentati dall'Amministrazione, il confronto sulle scelte concrete può farsi più serrato e produttivo e questo confronto (bandendo ogni polemica che non sia di merito), noi ci auguriamo che almeno in questa occasione lo accettiate, poiché ci occuperemo della I emergenza del Piemonte, quella del lavoro, che si fa ogni giorno più grave e complessa, che investe (fra i 180.000 disoccupati, i cassintegrati, i sottoccupati) oltre mezzo milione di piemontesi, che non può essere affrontata che da uno straordinario impegno comune di tutte le forze economiche, politiche e sociali, capace di connettere l'emergenza allo sviluppo, cioè possibili iniziative immediate a un nuovo disegno del Piemonte per gli anni a venire.
Questo impegno straordinario che ci è richiesto non si potrà risolvere in atti di volontà collettivi, né nella pur giusta riaffermazione dei principi o delle idealità di ciascuna forza politica; ma chiamerà in causa capacità concrete di indirizzo e di governo del cambiamento, attitudine a immaginare e perseguire soluzioni innovative e pure realistiche e disponibilità a scommettere controcorrente sul ruolo e l'autorevolezza dell'Ente Regione rispetto a tutti i suoi interlocutori, dal Governo, alle imprese, alle forze sociali.
In assenza di una sola di queste condizioni nessun progetto potrà decollare e noi dovremo rassegnarci, a prendere atto, di trimestre in trimestre, (come già si vede dalle ulti.me rivelazioni dell'osservatorio regionale sul mercato del lavoro) di un progressivo inquietante calo di tutti gli indicatori dell'occupazione, delle forze di lavoro e della disoccupazione assieme; testimonianza di un mercato del lavoro allo sbando nel quale vanno prevalendo le spinte alla rinuncia, all'abbandono dei canali ufficiali, alla ricerca di opportunità perché sia nell'economia sommersa o peggio.
Così vanno le cose; inutile illudersi; come anche sperare che l'ammodernamento in atto nel sistema produttivo piemontese porti con s prima o poi, quasi per una sorta di magnifico destino progressivo, la soluzione dei più gravi problemi sociali. Al contrario, se il mercato diventa l'unico regolatore, se la politica si defila, se la Regione anch'essa abdica alla sua parte, tutti gli squilibri non potranno che aggravarsi e per un numero crescente di disoccupati, di giovani e di cassintegrati non ci saranno più risposte.
Dunque siamo chiamati ad un compito arduo. La nostra mozione non ha e non può avere la pretesa di fornire tutte le risposte proprio perché è una sola parte e nessuna parte da sola ce la può fare. Ha invece l'ambizione questa nostra iniziativa, di rimettere il tema del lavoro al centro delle preoccupazioni dell'assemblea e del Consiglio regionale, di fornire idee e anche qualche proposta, di sollecitare il confronto e soprattutto l'azione.
Sarebbe dunque grave la responsabilità di chi volesse far prevalere tentazioni liquidatorie che pure, in qualche modo, si sono avvertite in queste settimane verso questa nostra iniziativa e i suoi contenuti che invece necessitano di un dibattito ampio sul cui possibile percorso torner concludendo.
Nell'illustrare la mozione, e lo farò brevemente perché da tempo è stata ampiamente distribuita, oggetto di discussione e di confronto con varie forze nell'ambito della consultazione che ne ha preceduto la presentazione al Consiglio, non mi fermerò sui dati e le statistiche del mercato del lavoro che sono già fin troppo conosciute e solo brevemente sulle condizioni generali nazionali che si debbono creare per poter affrontare più efficacemente il problema dell'occupazione e che sono chiaramente esposte nel testo che avete.
Mi soffermerò di più sul ruolo della Regione nei confronti del Governo centrale e delle forze economiche e sociali piemontesi e sulle scelte e i provvedimenti concreti che proponiamo per creare lavoro e concorrere a rilanciare lo sviluppo.
Voglio partire dalle questioni più urgenti, quelle dell'emergenza occupazione, quelle da affrontare qui e adesso di cui abbiamo discusso poc'anzi in quest'aula e in Commissione, di un'emergenza occupazione per come si manifesta, nel modo più drammatico, per la fascia più critica della disoccupazione (circa 100.000 persone, in prevalenza giovani inoccupati e 45/50enni espulsi dall'industria) e della cassa integrazione guadagni (circa 25.000 cassintegrati a zero ore da più anni per l/5 o più concentrati alla Fiat, molti oggi in questa sala) ambedue le fasce: quella più critica della disoccupazione e quella, della cassa integrazione prevalentemente-addensate nell'area torinese.
Qui sono quanto mai urgenti i provvedimenti straordinari da concertare col Governo, come i prepensionamenti a cinquant'anni (sui quali la IV Commissione ha trovato una formulazione unitaria) sulla base della mozione Fiat che noi presentammo alcuni mesi fa e che si debbono accompagnare, lo ripeto qui, l' ho detto poc'anzi in Commissione, nel caso della Fiat ad altri rientri oltre a quelli già previsti e devono segnare il superamento della cassa integrazione a zero ore in questa e in altre imprese; la rapida attuazione della Legge 444 (per l'assunzione dei cassintegrati) nella Pubblica Amministrazione in Piemonte i cui tempi debbono essere accelerati.
Ancora vanno stretti i tempi per la costruzione dell'Agenzia del lavoro (anche qui la IV Commissione sempre in seguito alla mozione Fiat che presentammo mesi fa,è ormai assai prossima alla definizione di una proposta unitaria). Occorre inoltre confermare la nostra opposizione alla trattenuta, anche se ridotta, sulla cassa integrazione guadagni per difendere il reddito, già minimo, di questi lavoratori. Tutte queste cose noi conveniamo che vengano assunte e ribadite in un Ordine del giorno da concordarsi unitariamente e da votarsi nell'attuale seduta del Consiglio regionale.
Su questi temi, come sulla riforma del mercato del lavoro, urge sempre di più un confronto col Ministro del lavoro. Proponiamo che qui lo si decida, formalmente, e ci si attivi per organizzarlo entro marzo o cogliendo la probabile venuta del Ministro per la seduta inaugurale della nuova Commissione regionale per l'impiego, o in occasione del Convegno che come si è deciso, seguirà questo dibattito, o in altro modo ancora, ma in tempi brevi. C'è poi, sempre relativamente all'emergenza, la legge sui cantieri di lavoro per la quale abbiamo recentemente portato il contributo regionale dal 30 al 50%.
Che cosa si può fare? Occorre orientare i Comuni ad estendere l'uso di questo strumento,anche drenandovi parte delle risorse prima destinate a forme più arcaiche di assistenza e offrire come Regione,una rosa di ipotesi, idee, progetti-tipo per l'apertura di cantieri per lavori di pubblica utilità. Molte di queste idee le abbiano indicate nella nostra mozione, in particolare sui temi della forestazione, dell'ambiente e dei beni culturali; sforzandoci di collegarle con progetti più ampi di sviluppo.
Occorre migliorare, inoltre, ed incoraggiare l'uso della legge regionale sulla cooperazione.
Nessuno, e tanto meno noi, si illude di risolvere i problemi dell'occupazione per questa via, ma se ne può impedire, almeno temporaneamente, la drammatizzazione; si tratta di costruire con più efficacia di quanto si sia fatto fino ad oggi, un ponte verso i tempi (non brevissimi) in cui i provvedimenti di più lungo respiro - sui quali torner sui meccanismi dell'economia e sul mercato del lavoro, potranno avere una ricaduta vera in termini di occupazione. Il ponte può e deve essere costruito da un rafforzamento e da una qualificazione delle iniziative e dei provvedimenti sull'emergenza per la disoccupazione e per la cassa integrazione.
Questo è il primo passo da fare. Ma certo non basta.
Sorge,subito dopo,una domanda cruciale a cui rispondere: pur essendo lo sviluppo di una regione strettamente connesso a dinamiche nazionali e spesso sovranazionali è possibile, e se si come, agire almeno per creare le condizioni più favorevoli alla sua ripresa e orientarla soprattutto alla crescita dell'occupazione? (Non rispondeteci che avete appena presentato il programma, perché questo, davvero, non è sufficiente!) In questo Piemonte che si è andato tanto trasformando, anche nella geografia del potere economico e finanziario, oggi l'industria è in via di rapido risanamento, l'accumulazione tocca vertici sconosciuti da un decennio, le risorse finanziarie non mancano né alle imprese né al sistema del credito e ne siamo lieti, mentre la situazione sociale appare sempre più disgregata e grave particolarmente nel capoluogo. (Su questi giudizi Brizio - e credimi, senza l'ombra di polemica, Donat Cattin in quel famoso articolo aveva ragione).
E allora? Quali leve tirare per rimettere in sintonia in Piemonte economia e società? Voi sapete, perché è scritto nella mozione, quali considerazioni facciamo sulle direttrici di sviluppo e sul ruolo del Piemonte nel contesto nazionale ed Europeo - non ci torno per brevità.
Ci sono invece due punti che mi preme sottolineare, perché sono strettamente connessi alle proposte che poi avanziamo per il lavoro e l'occupazione. Il primo è quello relativo all'espansione della base produttiva, industriale ed i servizi per le imprese,ed è strettamente connesso con il secondo, quello dell'ammodernamento.
Qui vanno orientati, in direzione dell'espansione della base produttiva, interventi delle imprese piemontesi (che hanno riaccumulato capacità di investimento) e il credito.
Qui c'è spazio per un confronto che difficilmente può racchiudersi nei confini della Regione (per la sproporzione dei poteri degli interlocutori) sulle scelte e gli indirizzi in primo luogo dei grandi gruppi, dalla Fiat all'Olivetti.
Qui occorre giocare un ruolo nella revisione degli strumenti di politica industriale nazionale, nella loro connessione con le Regioni.
Qui, infine, c'è un'opportunità che va colta di coordinamento degli strumenti che ha già attualmente a disposizione la Regione, sia pure pochi e di messa in campo di nuovi possibili strumenti, (come il coordinamento della domanda pubblica) e una legge regionale sull'innovazione che tutti assieme possono prefigurare dei segmenti, degli spezzoni di politica industriale che non vanno trascurati e che vanno finalizzati al sostegno ed all'allargamento della base produttiva.
L'espansione della base produttiva è una delle leve da tirare, forse non creerà molta occupazione aggiuntiva, ma resta un terreno strategico per evitare il declino della regione e del suo capoluogo sul quale occorre dunque impegnarci. Questo problema meriterebbe da solo una discussione approfondita.
Veniamo al secondo punto. Anche nel programma voi insistete molto sull'innovazione e l'ammodernamento "di sistema" come una delle leve principali da tirare per un intervento strutturale sullo sviluppo. Ne siamo convinti anche noi, ma qui bisogna intenderci.
Che cos'è quest'ammodernamento? Vi dirò ciò che è moderno per noi poiché, lo ripeto, da qui discendono molte delle proposte che sono avanzate nella mozione sul lavoro.
Moderno è, certamente, scommettere senza riserve sull'innovazione tecnologica e scientifica in tutti i campi, poiché un suo ritardo potrebbe forse salvare qualche posto di lavoro per qualche mese, ma poi condannerebbe al tracollo,anche occupazionale quei settori produttivi o quelle imprese che non avessero tenuto il passo.
Esistono sicuramente in Piemonte comparti privilegiati per l'innovazione, per la loro storia, per la struttura produttiva della regione (la meccanica, l'elettronica, l'automazione industriale).
Ma esplodono a fianco esigenze, straordinari bisogni collettivi, quanto mai moderni anch'essi perché innovativi, avanzati e fino a ieri assenti: bisogno di vivere in un ambiente profondamente risanato, su terra, acqua aria meno inquinata o bisogno di fonti di energia sicura e pulita,o di informazione,di prodotti artistici e culturali diffusi o di vecchi e nuovi servizi alle persone e alla comunità, non sempre primari o materiali.
Occorre considerare anche questi bisogni, che accanto a necessità antiche e mai soddisfatte ne esprimono altre che sono anche il frutto della crescita civile del Paese; vederle a fianco e non in alternativa alle prime,è moderno; e lo è scommettere su un impiego delle risorse di conoscenza, di tecnologia, di "know now" della nostra struttura produttiva, su una capacità di reperimento e di utilizzo delle risorse e dei mezzi finanziari necessari, per rispondere anche a questi bisogni, facendone anzi nuovi vettori di sviluppo e di crescita civile.
Ma la ricerca e le tecnologie non sono una cosa neutra e spesso esse non vengono orientate a sufficienza a cercare le risposte a questi bisogni.
Questa è una delle leve da tirare qui in Piemonte: qui c'è spazio, come indichiamo nei quattro o cinque progetti compresi nella mozione, per creare nuove occasioni di crescita e di sviluppo e anche occasioni di lavoro per alcune migliaia di giovani e di disoccupati; nell'ambito del mercato, come "business",. In parte si, combinando i fattori, creando opportunità orientando le risorse che ci sono nella Regione e cercandone altre. Anche qui, il rapporto col Governo centrale, con l'uso di strumenti come il F.I.O., o per la ricerca il C.N.R. e poi la CEE, giocano un grosso ruolo in parte no, perchè entrano in gioco valori primari che devono essere sottratti al mercato.
Deve dunque entrare in campo di più la politica, la programmazione come diritto alla finalizzazione dei processi, al loro controllo e alla tutela dei diritti fondamentali della gente. Questo è uno dei terreni su cui abbiamo lavorato a costruire e avanzare prime ipotesi di lavoro sui problemi dell'ambiente, dell'ecologia, dell'energia e dei beni culturali che troverete nella mozione.
Bisogna poi porre mano, per un diverso sviluppo,a un processo di svecchiamento e di profondo rinnovamento della Pubblica Amministrazione e dei servizi pubblici,perché possano efficacemente interagire con la società e con il settore privato; tornare a essere o diventare interlocutori efficaci.
Non ci pare davvero moderna l'attuale campagna della Confindustria contro il settore pubblico, che si manifesta ormai settimanalmente, e che ha come scopo il suo sostanziale smantellamento per allargare i confini del mercato.
Ad esempio, pensiamo al sistema pubblico di formazione professionale (faccio questo esempio perché lo ritroviamo nei temi della mozione). Se essa, che pure oggi è in parte arretrata, antieconomica - a volte, come dimostra l'ultima indagine sui risultati della formazione professionale ovvero lo sbocco lavorativo dei giovani, a volte anche scarsamente produttiva - fosse smantellata e affidata al mercato, si priverebbero decine di migliaia di giovani di quelle chance che un sistema formativo riformato e fortemente sinergico fra pubblico e privato potrebbe loro offrire, si aumenterebbero a dismisura tutte le disparità e le disuguaglianze sociali.
Sarebbe quanto c'è di più antico fare una scelta di questo genere, che pur viene invocata, sotto il nome della privatizzazione dei percorsi formativi, da parti non trascurabili della società anche piemontese.
Moderno ci pare invece immaginare (ma poi attuare) un sistema regionale di formazione professionale, anche più piccolo, più snello e più mobile, ma immensamente più efficace, che interagisca con le imprese e ne utilizzi le strutture e le tecnologie, (che essendo in rapido mutamento non possono essere sempre riprodotte in laboratorio), finalizzando e controllando gli interventi e che d'altra parte sappia connettere in alcuni settori chiave che vanno individuati, ricerca, formazione e mercati ai livelli più alti ma che infine non rinunci ad offrire una sponda sul versante delle conoscenze di base sulle nuove tecnologie ai giovani meno attrezzati ad affrontare il mercato del lavoro o agli adulti espulsi, che fosse possibile riconvertire ad altre attività lavorative. Queste sono le proposte di massima che, per esempio, sulla formazione troverete nella mozione che abbiamo presentato. Paiono troppo generiche? Ebbene, noi siamo disponibili a concorrere e a convertirle rapidamente in progetti operativi. Anzi, se non vi sarà riscontro dalla Giunta, li presenteremo noi a breve scadenza.
Moderno è infine, per quanto riguarda un altro settore chiave nel campo dell'occupazione, quello del mercato del lavoro, opporsi alla campagna montante di privatizzazione di tutti i servizi comprese le istituende Agenzie del lavoro, che si vorrebbero da qualche parte private e in concorrenza fra di loro, per offrire invece, pur nell'ambito di una ormai inevitabile liberalizzazione del mercato del lavoro, servizi snelli ed efficaci per favorire l'incontro fra domanda e offerta, per potenziare le fasce più deboli per sperimentare nuove politiche attive come da tempo avviene in altri Paesi europei, chiamando a concorrervi lo stesso sistema delle imprese. Nella mozione a questo riguardo non mancano le proposte.
Su tutti questi terreni, che assieme all'innovazione nei settori storici del tessuto produttivo piemontese, (la meccanica e via dicendo) configurano davvero un ammodernamento "di sistema" e indicano la strada di una ardua ma possibile e più gradevole qualità dello sviluppo, noi non ci illudiamo, sia chiaro, che si possa "fare da soli" qui in Piemonte. Ma si può incominciare; se non ci si prova nulla andrà avanti e molto probabilmente si tornerà indietro.
Nel concreto ci pare che i progetti sull'ambiente, l'energia e i beni culturali e i servizi, nella nostra mozione, più quello - che riconosciamo, occorre ridefinire meglio per la sua complessità - delle infrastrutture possono costituire un terreno utile di confronto ed una forte accentuazione rispetto, per esempio, al programma della maggioranza di temi e valori importanti per una scommessa sulla qualità dello sviluppo e sulla creazione di nuove occasioni di lavoro in Piemonte.
In particolare, noi sollecitiamo alcuni indirizzi su singoli progetti che possono avere il pregio di far precipitare il confronto da possibili unanimismi sugli obiettivi generali a scelte specifiche molto concrete e verificabili.
Ne riassumo qui rapidamente alcune, che sono alla base delle proposte della mozione sul versante dell'ambiente: l'adozione formale, dopo un dibattito, del "Progetto Montagna" e del Piano Piemonte Foreste, la verifica di quanto è gia stato fatto e la costruzione di un programma pluriennale di interventi con fondi regionali FIO e comunitari la creazione di un polo qualificato di progettazione e di interventi per il disinquinamento del territorio piemontese, chiamando in causa il sistema delle imprese e partendo dalla situazione ormai del tutto insostenibile delle discariche dei rifiuti urbani e di fanghi industriali sull'energia, oltre al nucleare, il varo di programmi di ricerca e di sperimentazione sulle fonti di energia non nucleare, la ridefinizione del piano ENEL e delle sue priorità sull'idroelettrico, l'accelerazione degli impianti di teleriscaldamento e cogenerazione che sono tutti finanziati sui problemi della cultura il varo partendo da un convegno regionale di un ampio progetto pilota sui beni culturali in Piemonte che coinvolga dall'inizio il Ministero, il mondo della cultura e le imprese, anche studiando forme di sponsorizzazione e che comprenda l'utilizzo parziale, a breve, di un certo numero di cantieri di lavoro come previsti dalla legge n. 55 l'attivazione di una serie di iniziative rivolte al Governo e agli Enti locali tendenti a qualificare e potenziare alcuni servizi sociali essenziali, oggi carenti o in parte scoperti, sia attraverso la richiesta allo Stato di quote di assunzioni che l'attivazione di cooperative e organizzazioni di volontariato, alla condizione di un'alta qualificazione e di costi competitivi.
Ci sono solo qui, considerando il fabbisogno e le piante organiche della Pubblica Amministrazione piemontese (già depurata dei possibili processi di mobilità interna), da 3000 a 4000 possibili occasioni di lavoro fra tempo pieno, part-time e lavoro autonomo (che siamo pronti a documentare) infine la definizione della linee operative e dei tempi del già ricordato Piano di riqualificazione della formazione professionale; noi diciamo sulla scorta del recente piano pluriennale.
Vi sono altri due punti della mozione su cui noi riteniamo altrettanto importante assumere degli orientamenti precisi: l'uno riguarda il coordinamento degli interventi ordinari e straordinari e nei vari campi che possono creare occupazione l'altro, la sperimentazione di forme di coordinamento della domanda pubblica che possono indurre alla qualificazione dell'imprenditoria piemontese e creare occasioni di lavoro indotto.
Sul primo, sul coordinamento degli interventi è presto detto. Chiarito che vanno rispettate le competenze e le autonomie di ciascun organo o ente nonché le attribuzioni di legge, proponiamo di costituire presso l'Assessorato regionale al lavoro o forse più propriamente presso la Presidenza della Giunta, un punto provvisorio ma attrezzato di osservazione, coordinamento politico funzionale e verifica sul piano dell'occupazione di tutti gli interventi e gli investimenti che verranno decisi nei settori indicati nella nostra mozione o in altro.
Insomma, un osservatorio sulla ricaduta occupazionale che può giovarsi dell'osservatorio regionale del mercato del lavoro più un punto di coordinamento degli investimenti e degli interventi sul mercato del lavoro che interfacciano con le organizzazioni sociali, sindacali ed economiche interessate ai problemi dell'occupazione e con gli Enti locali piemontesi.
Non avendo ancora l'Agenzia del lavoro, (che pure non risolverebbe i problemi di coordinamento politico degli interventi, i quali, in situazioni eccezionali non possono essere consegnati all'ordinaria attività della Giunta), ci pare essenziale disporre di uno strumento di questo genere, in assenza - del quale nessun intervento sui servizi che abbisogna di un forte coordinamento fra molti interlocutori potrebbe mai essere pensato.
Sul secondo, il coordinamento della domanda pubblica, ci pare proprio una strada da cominciare a seguire, vista l'alta percentuale di prodotti o componenti richiesti dal settore pubblico in modo diretto o indiretto, che vengono prodotti e acquistati fuori del Piemonte.
Abbiamo scritto nella mozione: non si può indulgere a nessuna tentazione protezionistica per le imprese locali. Sarebbe un grosso errore e avrebbe il fiato corto. Le vie, crediamo, sono altre: 1. la conoscenza dei flussi consolidati e emergenti di spesa pubblica della Regione, degli Enti locali, delle UU.SS.SS.LL. ecc., disaggregati per settore e affiancati dalla conoscenza della situazione delle imprese piemontesi attualmente o potenzialmente interessate 2. la definizione di standards qualitativi minimi per ciascuna tipologia di prodotto 3. la programmazione nel tempo della spesa, la più costante possibile 4. l'approntamento di servizi reali alle imprese che intendono investire e qualificarsi per concorrere alle forniture 5. la revisione del meccanismo degli appalti come indicato nella mozione. Questo complesso di iniziative e di provvedimenti che tendono a realizzare un'idea non di oggi, quella del coordinamento della domanda pubblica, che determina flussi davvero ingenti, ma che finora non si è provato ancora ad attuare, ci pare possa determinare anche occasioni di ricaduta occupazionale nella Regione che possono essere sollecitate e che crediamo non siano trascurabili.
Anche qui chiediamo risposte precise e prime decisioni operative che segnino un'inversione di tendenza.
Ci sono infine nella mozione ulteriori proposte sul mercato del lavoro che vanno dal ruolo dell'osservatorio, ma ne abbiamo discusso recentemente convenendo il piano annuale d'intervento, all'apertura sperimentale di alcuni centri d'informazione per giovani disoccupati e a forme di sostegno all'occupazione femminile su cui parleranno altri compagni e Colleghi.
Chiudo rapidamente, come vedete si tratta di idee e di proposte, in qualche modo di progetti che ho qui riassunto troppo sinteticamente, che vogliono però rispondere ad una logica complessiva che ci sembra esserci ed essere abbastanza organica.
Con queste nostre proposte vogliamo interloquire e confrontarci con la maggioranza e il suo programma per arrivare a decisioni operative. La logica che ci muove non è affatto assistenziale, anzi, rappresenta un segmento importante di quella sfida aperta al futuro che dobbiamo lanciare e cambiare per non tornare indietro in Piemonte.
Una sfida prima di tutto a noi stessi, cioè al ruolo dell'Ente Regione e in generale al ruolo dell'operatore pubblico e alla sua capacità di rinnovamento. Una sfida alla società civile, al movimento dei lavoratori di cui pure noi facciamo parte, ruolo niente affatto difensivo e conservatore non arroccato in trincea, ma piuttosto dislocato in campo aperto capace di guardare criticamente a molte delle vecchie conquiste spesso svuotate e di muoversi in direzioni nuove anche se non sempre conosciute o garantite.
Una sfida all'imprenditoria piemontese a cui non si può garantire che essa sfugga. Lunedì nel corso di una consultazione della IV Commissione il prof. Terna della Federpiemonte citava questa nostra mozione e i suoi contenuti come un esempio di proposte sulle quali utilmente discutere a proposito di occupazione. Ne siamo lieti, ma chiediamo che il confronto continui e soprattutto che si passi dalle parole ai fatti.
L'imprenditoria piemontese può scegliere, se lo vuole, di diventare sempre meno piemontese ovvero sempre meno coinvolta nei destini di questa Regione; oppure può concorrere in modo rilevante al suo rilancio. E' questione che attiene a molte variabili di certo non piemontesi e ai rapporti di forza, ma anche al peso, alla autorevolezza e alle idee dell'interlocutore Regione.
Di queste cose intendiamo discutere subito e nel convegno pubblico che dovrebbe essere attivato su questi temi a marzo senza fretta e superficialità.
Molte sono le domande a cui rispondere, molte le attese che anche oggi abbiamo avvertito in questa sala ed è grande la responsabilità che sta di fronte a tutte le forze politiche della nostra regione. Chiediamo che si avvii oggi un confronto serrato che, a partire dall'emergenza, sappia fare i conti misurando le proposte del programma della maggioranza con quelle che abbiamo - qui - avanzato e che ancora avanzeremo nelle prossime settimane per immaginare una diversa qualità dello sviluppo e del suo rilancio nella nostra regione.
C'è bisogno di emergenza e di provvedimenti d'emergenza, ma non possiamo fermarci, occorre andare oltre.
Crediamo si debba ragionare di un percorso per la discussione della mozione sul lavoro che attraverso le Commissioni e il prossimo convegno porti ad individuare proposte e iniziative concrete sulle quali misurarci e decidere.
Questo è l'obiettivo che ci eravamo proposti, ci auguriamo che già dal dibattito di oggi si possa cogliere una seria disponibilità anche da parte della maggioranza che governa la Regione.



PRESIDENTE

La mozione del Partito comunista è stata illustrata. La discussione è aperta. Ha chiesto di parlare il Consigliere Minervini. Ne ha facoltà.



MINERVINI Marta

I conti dell'occupazione piemontese, e più in generale, di quello dell'intero Paese sono talmente in rosso che ci si può perfino permettere il lusso di essere approssimativi con i numeri.
I disoccupati sono così numerosi che i decimali possiamo benissimo lasciarli da parte, non cambia molto dire che i senza lavoro sono più del 10% o quantificarli con virgole e briciole, il dato di fondo rimane enorme.
In Piemonte siamo al di sopra della media nazionale, secondi solo alla Campania, con un tasso di giovani in cerca di primo impiego che ricordano più i quartieri di Secondigliano che quelli della città guida dell'ormai lontano boom economico.
Si parla, spesso a sproposito, di rimedi. Giusto, almeno quando ci si riferisce alle medicine e non ai palliativi di placebo politici che al più tranquillizzano la cattiva coscienza di quanti hanno "sgestito" la cosa pubblica in questi anni e oggi si trovano a fare i conti, ma che ci pare non possano offrire risposte seriamente praticabili a coloro che ieri avevano un posto di lavoro e oggi non l' hanno più, a coloro che ieri avevano prospettive di ingresso nel mondo del lavoro e oggi invece inseguono come unica soluzione l'assistenza per sopravvivere.
Non è retorica o facile esercizio in cui chi è all'opposizione pu eccellere con poca fatica e nessuna spesa l'andare a ricercare invece e preliminarmente le cause di questa Water-loo dello sviluppo, poiché se non si individuano i motivi della crisi, ben difficilmente se ne potranno tracciare le soluzioni.
L'economia di un Paese o di una regione non è una macchina che procede all'impazzata trasportando con scossoni e repentine sterzate quanti amministratori, forze politiche e sindacali - prendono posto o forse sarebbe più esatto dire occupano il vano di guida. E' una vettura invece che va condotta con sapienti accelerazioni, e con soste, con cambi di itinerario che alternino le andate e ritorni. Con un occhio sui consumi e con l'altro sulle usure.
Se oggi l'economia piemontese, e quella italiana in particolare, sono quasi da sfasciacarrozze, la colpa non è della macchina, ma di quanti dovendo guidarla, non l' hanno fatto.
Si è detto che la crisi economica e quindi quella dell'occupazione è un fatto generalizzato, comune all'occidente intero. E che quindi in Italia ed in Piemonte non ci troviamo di fronte a problemi né diversi ne più gravi che in Francia, in Inghilterra, in America. Si è detto; ma si tratta di un'analisi semplicistica. In realtà la crisi generale l'Occidente l' ha lasciata, almeno in parte, alle spalle a partire dai primissimi anni ottanta.
In meno di dieci anni (1973-1981) il petrolio è rincarato fino a diciotto volte, d'accordo oggi sta calando, ma andiamo per gradi, quindi in meno di dieci anni il petrolio è rincarato di diciotto volte, la conflittualità è più che triplicata, i mercati di esportazione si sono impoveriti, l'inflazione ha superato quasi ovunque la barriera del 10-15%.
I flussi creditizi si sono prosciugati, la stagnazione è diventata ben presto recessione. Un panorama comune a tutti gli anni '70, abbiamo detto.
Anche se però dobbiamo aggiungere che l'Italia è stato il Paese che per tutti gli anni '70 è riuscito ad andare in testa al gruppo con il 24% di svalutazione nel '78, con una conflittualità diffusa ancora più accentuata della media europea, con una stretta creditizia proporzionale all'inflazione, e, conseguentemente, con una caduta verticale delle nostre esportazioni.
Ma finché il male era comune anche se non di mezzo gaudio si poteva parlare, per lo meno si era in compagnia.
I guai veri si sono profilati a partire dai primi anni '80 allorquando mentre a Roma Spadolini - che proprio nell'autunno dell'83 venne a Torino per affrontare il caso Piemonte, con quali risultati decisivi si vede bene sbandierava come una seconda Vittorio Veneto la discesa dell'inflazione dal 17 e rotti al 16 e mezzo, a Washington, Londra, Bonn è in tutti gli altri paesi occidentali ci si era rimboccate le maniche da un pezzo per risalire la china, con il risultato che l'Italia ha cominciato ad arrancare. Oggi siamo il settimo incomodo fra i paesi industrializzati.
Domani saremo ancora il più piccolo dei grandi o ci aspetta la serie B? La lezione degli anni '70 era stata energia troppo scarsa e troppo cara, troppa conflittualità, troppa rigidità fra le parti sociali latitanza del potere politico che aveva di fatto abdicato all'intransigenza di chi riusciva ad organizzarsi meglio e ad agitarsi di più, sganciamento dei salari e degli stipendi dalla variabile della produttività, troppo stato assistenziale, scarsi investimenti ed anche miopi, tutto per l'incremento della produttività immediata e poco o niente per la ricerca e il rinnovamento tecnologico nel lungo periodo; errori che si traducevano in un sempre maggiore allargamento della spessa pubblica e dell'inflazione che, sottraendo risorse, risospingevano a spirale l'economia verso il ristagno e la recessione.
La scelta che generalmente è stata effettuata a partire dagli anni '80 pur con una decisione diversa a seconda dei paesi, è stata di optare per forme alternative di energia, come quella atomica e comunque ricavabili in casa. Il petrolio inglese del Mare del Nord insegna di ridurre la conflittualità anche con interventi diretti del Governo di fronte a parti sociali troppo riottose, di riaffermare, com'è naturale, il predominio del politico sull'economico, di riagganciare i salari alla produttività, di ridimensionare convenientemente lo Stato-mamma, di investire non per saturare ancora di più un mercato già in sovrapproduzione, ma per il lungo termine, quando il superamento della recessione avrebbe garantito più spazi per tutti.
Il Piemonte ha rivissuto completamente queste fasi e questi errori. E come le altre aree industriali italiane si trova oggi a dover fare i conti con gli errori degli anni '70 e l'immobilismo dei primi anni '80.
L'industria metalmeccanica, cuore dell'economia piemontese, è stata la prima ad entrare nell'occhio del ciclone. Un po' perché in sovrapproduzione, un po' perché trascinata al ribasso dalla più generale crisi della metallurgia e dell'acciaio. Dietro ad essa l'indotto. Il tessile era già in crisi da tempo, specie quello collegato alle fibre sintetiche ed al mercato di massa.
La risposta alla crisi praticata dagli imprenditori, vista di buon occhio dai sindacati ed avallata dagli amministratori, è stata quella del ricorso indiscriminato agli ammortizzatori sociali, la cassa integrazione prima,e poi, con sempre maggiore favore, il prepensionamento.
Tutti contenti, i sindacati che mantenevano una parvenza di occupazione, gli amministratori e le forze politiche che non si inimicavano elettori e simpatie e gli stessi cassintegrabili e prepensionabili, per cui l'assistenza pubblica, anche se sapeva di beneficenza di Stato, era pur sempre preferibile al licenziamento. Gli stessi imprenditori hanno tradizionalmente fatto man bassa della cassa integrazione trovando spesso comodo e giovevole scaricare sulla collettività difficoltà che a volte potevano anche essere superate diversamente. Ma tant'è l'occasione fa l'uomo ladro, o almeno pronto a spendere con i denari del vicino.
Così siamo arrivati ai risultati attuali: i dati dell' I.N.P.S. pongono il Piemonte al primo posto assoluto in Italia della cassa integrazione, con 240 milioni (del totale italiano) di ore l'anno ed un numero di cassin tegrati superiore alle 70.000 unità. Ad essere larghi il 50% di questi lavoratori non rientreranno mai più in fabbrica, col risultato che attualmente in Piemonte esistono di fatto quasi 250.000 persone in cerca di occupazione, una cifra che fa balzare la nostra Regione al primo posto in assoluto nella graduatoria della disoccupazione nazionale.
Nel frattempo il Piemonte ha fatto concorrenza ai bacini di crisi del Sud con il risultato di vedere a volte partorire delle vere e proprie mostruosità giuridiche: se per la Puglia è stata approvata ad hoc la legge 501 del 1977 la cosiddetta legge Taranto, tanto per buttare qualche migliaio di miliardi nell'ultima colata di acciaio di altiforni destinati allo smantellamento, in Piemonte siamo riusciti ad assistere all'erogazione della cassa integrazione a favore di lavoratori di imprese fallite i cui contratti di lavoro con il datore - giuridicamente defunto - sono stati fittizziamente mantenuti in vita anche dopo che l'azienda era stata materialmente smantellata per soddisfare i creditori: è stato il caso della Venchi-Unica che ha dato il nome alla legge 301 del '79. Una legge che ha senz'altro ribadito i principi di generalità e astrattezza del diritto diretta conseguenza dello stravolgimento che l'istituto della Cassa integrazione aveva subito nel corso degli anni. Perfettamente inseribile in un contesto che ha fatto dell'assistenza una filosofia e della passività una caratteristica strutturale dei bilanci pubblici. Una linea tendenziale che oggi occorre drasticamente invertire nella speranza che non sia troppo tardi. Nata dalla contrattazione collettiva corporativa la cassa integrazione fu recepita integralmente nel decreto legislativo luogotenenziale 788 del 1945, modificato, ma non nella sostanza dal decreto luogotenenziale 869 del 1947. Alla base della cassa integrazione c'era all'origine l'intuizione, peraltro esattissima, che essa dovesse farsi carico di quelle situazioni contingenti che, relativamente normali nel settore industriale, pur presentando una situazione di crisi, fossero sicuramente superabili: uno strumento per i lavoratori, messi in condizione di non dover affannosamente e per motivi non gravi, cercare un nuovo posto di lavoro, e per gli imprenditori che, passata la crisi momentanea potevano contare sulle proprie già qualificate e sperimentate maestranze.
Un meccanismo di indiretta incentivazione produttiva, dunque, non di certo mera assistenza. A partire dai primi anni '70 però la cassa integrazione inizia a presentare i caratteri darwiniani della specie in evoluzione e così geneticamente mutata si trasforma in un carrozzone. Con la legge 1115 del 1968 e la legge 464 del 1972, con la 164 e la 427 del 1975 ha inizio l'alluvione, che diventa inarrestabile con la 675 del 1977 che trasforma la cassa integrazione in un vero e proprio supporto passivo di un circuito preferenziale di mobilità extraziendale ripudiato ben presto dagli stessi sindacati che ne avevano caldeggiato l'approvazione. Il resto è cronaca di questi anni. La cassa integrazione diventa sempre più il provvedimento materasso per spostare in avanti i problemi posti dalla crisi economica perdendo completamente la propria originaria funzione di ammortizzatore temporaneo. Tant'è vero che perfino le stesse forze sindacali considerandola evidentemente solo come strumento assistenziale, si sono date da fare per trattare; più o meno sotterraneamente i ristretti margini di mobilità da posto a posto scavalcando quelle stesse leggi di cui si erano fatti all'inizio propugnatori.
Nel giro di poco più di tre anni - dal 1977 al 1979 - abbiamo avuto sulla materia della cassa integrazione cinque leggi e un numero imprecisato di decreti legge che stanno a testimoniare il fallimento della via intrapresa. Fallimento sottolineato dai due successivi interventi di Governo - il lodo Scotti dell'83 e il decreto Craxi dell'84 - che si sono trovati ancora una volta di fronte i problemi lasciati irrisolti dalla cassa integrazione.
Recenti studi hanno fatto emergere che in Piemonte il sommerso, che con termine un po' meno elegante ma forse più franco è la fetta di "lavoro nero" su cui questa nostra società postindustriale e informatizzata senza troppi scrupoli si adagia, occupa circa 160.000 persone, un esercito grande tre volte la Fiat post-ristrutturazione, come dire: la prima azienda italiana.
Qualcuno arriva perfino a dire: meglio così, è una valvola di sfogo.
Certamente i numeri sono indicativi, perché approssimativamente indicano una certa corrispondenza fra il numero totale di disoccupati e cassintegrati da una parte e i "sommersi" dall'altra. E questo spiega molte cose. Soprattutto perché la situazione - che stando alle cifre nude e crude è esplosiva - di fatto non è ancora esplosa.
Queste sono considerazioni che stanno ad indicare un solo fatto: la bancarotta di dieci anni di scelte sbagliate.
Se si scorporano i dati, possiamo rilevare che, com'era facile prevedere, chi è in cassa integrazione tende praticamente nella quasi totalità dei casi a rioccuparsi con lavoro nero. Oggi, forse per ragioni contabili, si fa un gran parlare di prepensionamento, tutto ancora una volta, a quanto pare, sulle possenti spalle dell'I.N.P.S., ma evidentemente in un altro capitolo di bilancio. Tanto per poter dire che i cassintegrati non aumentano e la ricerca di occupazione si fa meno pressante. Ma noi pensiamo e diciamo che i problemi non si risolvono per decreto.
Il prepensionamento non è una soluzione, soprattutto perch immetterebbe nel mercato del lavoro forze ancora pienamente utilizzabili.
Quale soluzione infatti al problema occupazionale potrebbe fornire la giubilazione di alcune migliaia di cinquantenni ancora in grado di lavorare per altri dieci o quindici anni? Il risultato sarebbe ancora lo stesso: altro lavoro nero "spondato" dall'erogazione pensionistica. Quindi il nodo va affrontato alla base, recuperando quella che era la filosofia originaria della cassa integrazione, fase di transizione per il reinserimento in azienda e, nei casi più gravi, per il reimpiego altrove. Laddove ciò non sia possibile, utilizzazione dell'istituto, come ammortizzatore sociale e non come paravento per la pratica di altre attività.
Io penso, anzi noi pensiamo, che se De Crescenzo dovesse scrivere un altro "Bellavista" oggi da Napoli verrebbe certamente a Torino. Qui difficilmente potrà trovare il disoccupato che prende il sussidio del Comune di cui è contemporaneamente dipendente come netturbino, ma sicuramente troverà che non mancano cassintegrati scopertisi improvvisamente imbianchini, o idraulici che, chiudendo magari ad altri spazi di lavoro, in piena crisi, riescono a fare tombola raddoppiando l'assegno dell'I.N.P.S. Altrimenti non si spiegherebbe come mai oggi solo il 17% di chi è in cassa integrazione ha accettato le offerte di lavoro pervenutegli.
Occorre, dicevamo, recuperare le motivazioni di base della cassa integrazione, senza ovviamente per questo chiudere gli occhi di fronte ad una realtà drammaticamente negativa come l'attuale.
Quindi senza sbrigativamente dire: se niente ha finora funzionato giubiliamo tutto ed azzeriamo ogni cosa. Una soluzione che per noi è assurda e assolutamente impraticabile.
La strada passa invece attraverso la gestione della forza lavoro in cassa integrazione. Occorre condizionare l'erogazione della cassa integrazione all'impiego di cassintegrati in lavori socialmente utili a cui l'obbligatoriamente avviare i lavoratori in cassa integrazione purché si tratti di lavori non incompatibili con la loro professionalità". Cos' ha fatto la Commissione regionale piemontese al proposito? Cos' ha fatto la Regione Piemonte? Il 67% dei lavoratori in C.I. non vantano precise qualifiche professionali. Alla luce delle normative citate è così difficile individuare attività non in contrasto con la professionalità? Né mancano gli ambiti su cui operare: dal recupero delle terre marginali alla sistemazione e manutenzione dei giardini e dei parchi pubblici, dalla risistemazione idrologica ai servizi sociali di accompagnamento degli invalidi, dall'impiego nei musei alla ristrutturazione delle biblioteche.
Ma se il nodo della C.I. rispetto al problema della disoccupazione è senz'altro in primo piano, anche altri fattori vanno tenuti nel debito conto. Già è di per se indicativo che ancora alcuni mesi fa quasi il 20% di richieste di mano d'opera specializzate andasse delusa: segno questo di un precario collegamento fra il mondo imprenditoriale e quello delle scuole. E chi se non la Regione dovrebbe farsi carico di un serio lavoro di informazione e di indirizzo in tal senso? Ciò che è ancora più grave per è che spesso sono gli stessi meccanismi di accesso al lavoro che rallentano o addirittura vanificano l'assorbimento della disoccupazione.
L'Italia è senza dubbio il Paese che presenta la legislazione ad un tempo più frammentaria, farraginosa e rigida di tutta la CEE.
Commissioni a tutti i livelli, dalla Regione fino al caseggiato.
Duplicazione fra gli organi amministrativi e quelli gestionali, liste e circuiti dove la regola è l'eccezione: dalle categorie speciali ai contratti di lavoro speciali, dai parametri di privilegio alle categorie protette con il risultato che il vero lavoro nel cercare un lavoro è quello di oltrepassare i controlli e gli sbarramenti che si accavallano facendo perdere tempo e fiducia a tutti, nel segno di una cronica disorganizzazione degli uffici che ancora di recente si sono dichiarati non in grado di automatizzare convenientemente una banca dati che deborda da tutte le parti. La polemica è nata a partire dai primi anni '80 sull'assunzione nominativa. Come al solito si è pensato che gli interventi ad annaffiatoio fossero sufficienti.
Così tra l'83 e l'84 si è in parte liberalizzata l'assunzione nominativa e si è iniziata la regolamentazione di nuove figure contrattuali come il part-time o il contratto di formazione e lavoro. Ma quel che è stato fatto non basta. Il contratto di formazione lavoro ha dato buona prova tanto che in Piemonte è stata la Regione che ne ha visti stipulare il maggior numero.
Anche con il part-time i risultati sono stati discreti, ma occorre incidere più in profondità.
Le assunzioni devono diventare tutte nominative, specialmente per quanto riguarda i giovani; è dimostrato che il vero scoglio è rappresentato dall'ingresso per la prima volta nel mondo del lavoro poi, una volta superato, è relativamente facile rimanere nel circuito occupazionale. Ai contratti di formazione lavoro quindi, occorre affiancare una nuova e più moderna disciplina dell'apprendistato che in Italia è ancora regolamentato da una normativa ormai decisamente superata. Occorre lavorare sulle possibilità offerte dallo stage (per cui sia la legge quadro 845 del 1978 che la legge 863 del 1984 lasciano ampi e decisivi spazi alla potestà normativa regionale); occorre rivedere le possibilità offerte dai contratti a termine, con le leggi 876 del 1977 - 18 del 1978 - 737 del 1978,che hanno aperto i qualche spiraglio nel senso della flessibilità.
Spesso i posti di lavoro non emergono perché in fase di crisi l'imprenditore è portato ad assumere non con l'intendimento di operare ampliamenti stabili, ma per sfruttare al meglio fasi congiunturali favorevoli. Contratti aventi le caratteristiche della temporaneità servono appunto ad assecondare questa tendenza. Da un lato inoltre essi servono ad allentare il peso della crisi. Dall'altro consentono senz'altro di attivare altrove nuove forze produttive che, sollecitate, possono a loro volta sollecitarne altre, facendo si che la congiuntura positiva si allarghi e possa diventare anche situazione di struttura. Certo è però, che nessun provvedimento, se slegato da una più ampia politica di collocamento, pu risultare veramente decisivo. Non basta l'assunzione nominativa, né la moltiplicazione dei part-time e degli apprendisti. Tutto ciò va inquadrato nell'ambito di una politica più generale. Si fa un gran parlare di "agenzia lavoro". Se arriverà comunque non solo sarà intempestiva, visto che ormai se ne parla da anni, ma temiamo, anche inutile. Dalle proposte che sono state fatte questo nuovo organismo pare destinato a replicare, senza poteri e senza nuove idee, le negative esperienze della Commissione regionale dell'impiego. In un certo senso un prologo l'abbiamo già avuto con l'Osservatorio del Mercato del Lavoro che certo non ha offerto di sé una buona immagine né una buona prova utile e funzionale. Le caratteristiche dell'Agenzia del lavoro dovrebbero essere invece completamente diverse questo è il nostro parere naturalmente. Essa dovrebbe servire a colmare quelle lacune, e sono enormi e numerose, che il collocamento pubblico ha denunciato in questi anni. L'Agenzia del lavoro in sostanza dovrebbe costituire lo strumento con cui operare sulla cassa integrazione nei termini a cui abbiamo accennato, dovrebbe gestire direttamente il mercato del lavoro, come diretta conseguenza dei programmatori e di indagine che dovrebbero esserle propri. A titolo sperimentale dovrebbe esserle consentito di derogare alla stessa normativa di collocamento. Il che non significa operare senza regole del gioco, bensì stipulare contratti in termini ben predeterminati per verificare se una prima liberalizzazione sperimentale del sistema è o no in grado di sbloccare una situazione che se pur gravissima, si inserisce pur sempre, non dimentichiamolo, in una congiuntura interna ed internazionale che dà segni di ripresa e quindi nel limite del possibile va assecondata. Liberissimi di ritornare all'antico se gli esperimenti non dovessero fornire esiti soddisfacenti. Si tratta di spezzare l'attuale circolo vizioso dell'assistenzialismo. Prendendo a carico cassintegrati, disoccupati e giovani in cerca di prima occupazione l'Agenzia potrebbe provvedere direttamente alla loro qualificazione e o riqualificazione attraverso un inserimento di queste fasce di lavoratori direttamente nel mondo del lavoro, promuovendo contratti a termine e riprendendo in carico i lavoratori al termine del periodo di qualificazione o di lavoro a termine.
L'importante è non incorrere nell'errore assistenzialistico di sempre creare delle sacche di mobilità. Chi non ha lavoro deve essere messo in circolo perché solo attraverso il diretto contatto con chi può offrire lavoro è possibile creare occasioni stabili di impiego. In quest'ottica naturalmente va inserito il discorso del presalario di avviamento al lavoro, sia per non creare discriminazioni fra quanti risultano a carico, a diverso titolo dell'agenzia, sia per consentire ad essa di essere l'interlocutore diretto dei lavoratori, dotato nei loro confronti di potere contrattuale giuridico. Si tratta di una soluzione che, pur mantenendo nell'alveo della gestione pubblica il collocamento, snellisce di molto le procedure e riunifica elementi quali quelli del reperimento del posto di lavoro, della qualificazione e della contrattazione, fino ad ora rimasti malamente slegati. D'altronde la situazione, per quanto grave, offre testimonianze esplicite di capacità. Laddove si è avuto coraggio ed intelligenza sufficienti, fantasia e sangue freddo si è riusciti a fronteggiare con successo la marea montante della recessione.
Visto che quando mi invitano a chiudere, chiudo volentieri, vorrei solamente far presente ai colleghi ed alla Presidenza, a chi mi ascolta che avrei parlato delle cooperative giovanili, che avrei ancora parlato della Finpiemonte, che avrei ancora parlato di qualche considerazione cui è arrivata - l'Enea.
Per stare a quello che diceva il Presidente, termino dicendo che la Regione Piemonte deve essere consapevole di tutto questo, perché la vera sfida non è fra capitale e lavoro, fra partiti e partiti, e nemmeno fra gruppi di potere: tutte queste questioni dovranno passare in secondo piano perché secondo noi il vero nodo sarà un altro, sarà la sfida fra il futuro e il passato.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Tapparo.



TAPPARO Giancarlo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, credo che vada detto con estrema chiarezza che i temi della mozione del P.C.I. sono stati trattati e non in modo superficiale - gia due settimane fa in occasione della discussione del documento presentato dalla Giunta sugli indirizzi politico programmatici, c'è quindi il rischio di ripetersi.
Allora ho fatto un intervento che ha focalizzato soprattutto i temi che sono stati posti in evidenza ancora stamani dal collega Amerio. Vorrei brevemente aggiungere alcune considerazioni a quelle che avevo già detto due settimane fa, come contributo del Gruppo socialista alla discussione.
Intanto premetto che discutere, approfondire, cercare di essere poi operativi sui temi del lavoro, della politica attiva del lavoro, sui temi della struttura economica della nostra regione, è necessario, ma richiederebbe maggiore attenzione, maggiore determinazione. Infatti, ci troviamo dinnanzi a delle emergenze reali oppure è solo un rituale, sono affermazioni convenzionali? Ritengo che sono emergenze tanto più crescenti quanto ci accorgiamo per esempio che il famoso settore terziario, attorno al quale noi pensavamo di trovare delle risposte a molti problemi occupazionali, non tira, in termini di crescita dei posti di lavoro, anzi sta vivendo in questi mesi e vivrà probabilmente nei prossimi anni quello che hanno vissuto i settori industriali, i settori di officina negli anni precedenti, cioè un processo di forte crescita dell'automazione.
Allora vedremo, e lo vediamo già ora, che le banche avranno eccedenza di manodopera a parità o con superiorità di servizio offerti; vediamo anche che il terziario superiore non è capace di offrire delle chance all'occupazione perché, per esempio quelli che sono gli uffici di progettazione delle industrie tendono a ridurre i posti di lavoro e non solo per alcuni aspetti di decentramento di attività all'esterno, ma per l'innovazione tecnologica e organizzativa.
Ci troviamo quindi di fronte ad un nodo abbastanza critico: non ci sono condizioni oggettive d'occupazione attorno alla crescita di un terziario che sembrava alcuni anni fa capace di poter offrire delle risposte ai nostri problemi. L'unica strada è, dinnanzi al fatto che sul piano demografico riceviamo nel mercato del lavoro ancora le ultime ondate di anni di crescita forte delle nascite, e che si manifestano sempre di più nuove propensioni sul piano sociale - quelle ad esempio della donna che tende maggiormente ad avvicinarsi al lavoro, quelle di trovare delle soluzioni "forti".
Una di queste è l'ampliamento della base produttiva (obiettivo oggettivamente difficile da raggiungere), l'altra è che dobbiamo discutere se non vogliamo convivere con una società dualistica, tra chi sta dentro il lavoro, magari lavorando intensamente, e chi sta fuori dal lavoro e deve vivere assistito, se accettiamo come fisiologica una forte disoccupazione strutturale frutto di una società spontanea o se invece siamo contro quel tipo di logica e incominciamo a fare qualche cosa per cambiare alla radice la situazione.
Ci vuole dunque coerenza, nuove idee, responsabilità di tutti, non c'è impresa o soggetto fuori dal problema, siamo tutti dentro a questo problema. Ci vuole una cultura particolare rivolta a rifiutare il dualismo della società.
Mi si consenta brevemente di accennare che noi stiamo entrando in una fase nuova. Il fatto che il dollaro ha una quotazione che probabilmente si stabilizzerà, il fatto che il prezzo del petrolio cala (non solo per il valore del dollaro) e che quindi tutta una serie di materie prime calano (per il valore del dollaro principalmente) il fatto che l'attuale livello del dollaro non pregiudica ancora i canali di esportazione europei italiani in particolare e piemontesi, che ha importanti correnti nella sua azione, ci deve indurre ad alcune riflessioni.
Come utilizzare queste opportunità? Come suggerisce Carli, in un articolo sulla "La Repubblica" di domenica scorsa, dicendo che i benefici dovranno essere in qualche modo lasciati andare spontaneamente, e che sarà poi il mercato che in qualche modo darà le risposte positive oppure dobbiamo recuperare degli spazi occupazionali? E se alla fine di questi 4 o 5 anni ri-spetto ai quali i giornali economici ci dicono che ci sono delle grandi opportunità da cogliere sarà accresciuto il numero dei disoccupati? Cosa diranno i cittadini della nostra regione, della nostra città, che non possono essere presi in giro anche dinnanzi ad una situazione in cui se ne esaltano le opportunità e l'utilità economica e poi non ci sono riflessi positivi, significativi sotto l'aspetto occupazionale? Dunque dobbiamo anche cogliere questa situazione per espandere la nostra base occupazionale. Ma occorre parlare anche della politica europea che manca. L' ha tentato la Francia nel'81/82, ma si è spezzata le ossa perché era una politica espansiva in una situazione di forte inflazione ma oggi, con l'opportunità di vedere il problema dell'inflazione ridotto come emergenza, non potrebbe esserci una politica europea espansiva? Questo potrebbe essere un elemento importante di discussione. Mi dispiace introdurlo così, però non si può tenerlo fuori. E' un tema che questa assemblea elettiva dovrà portare anche a livello superiore (Governo Parlamento, ecc.) Dall'altro lato noi dobbiamo essere consapevoli che la situazione dell'occupazione - e mi pare che il documento del PCI dica cose nuove per certi versi: mentre su alcune si può non essere d'accordo e discuterne, su altre mi pare che ci sia il consenso - impone che occorre fare uno sforzo maggiore per coniugare politiche del lavoro con la politica economica espansiva.
E' qui in fondo l'anello di congiunzione che oggi manca; perché noi potremmo fare la migliore struttura di gestione del mercato del lavoro, ma se, parallelamente, la struttura dell'offerta non si muove con coerenza avremmo uno strumento perfetto, lubrificato, che però lascia delle persone senza lavoro, al limite, finito questo processo troveremmo un numero di disoccupati uguale a quello di prima, e non è impossibile che esso possa essere aumentato.
Questo significa coniugare politiche del lavoro con politica economica espansiva, nell'ambito di un ruolo di programmazione, a livello centrale e regionale ovviamente non dirigistica, che si correla col mercato. La Regione non è solo lo strumento che si occupa della viabilità, dei lavori pubblici e di altre cose simili, ma si occupa, anzi si deve anche occupare del collegamento tra politiche del, lavoro e politiche economiche (industriali, del settore primario, del settore terziario).
Quando si dice di finalizzare le risorse pubbliche ai fini dell'occupazione, si deve aggiungere che questo non vuol dire rimescolare i posti di lavoro, ma operare per favorire, ad esempio, che attraverso una domanda pubblica ben finalizzata si riesca a rafforzare indotti, a creare degli spazi che magari oggi sono solo piccoli e interstiziali, ad alcune specializzazioni.
Il documento del P.C.I. cita la forestazione, l'assetto idrogeologico l'ecologia, l'energia ma sono cose dette e di comune accordo.
Credo di individuare tre filoni sui quali imperniare una politica del lavoro che sappia guardare alle politiche economiche.
Da un lato quella che viene definita politica attiva del lavoro con la riforma del mercato del lavoro. Il Piemonte, per le sue caratteristiche e le sue specificità, non può vedersi applicati dei meccanismi standard perché ha dei problemi particolari. Alle nostre spalle ci sono strutture economiche e professionalità che hanno una storia diversa da quella della Toscana o del Veneto o del Lazio. Quindi c'è la necessità di particolari interventi.
La nuova Commissione regionale per l'impiego, quella che verrà insediata dal Ministro il prossimo mese (tra l'altro il Ministro l'altro giorno all'Università ha accennato che vorrà vivere lo sviluppo della Commissione regionale per l'impiego piemontese, insieme a quelle della Campania e del Veneto, quindi accompagnerà con la sua presenza gli sviluppi di quella Commissione) è uno strumento importante per verificare (è uno strumento quadripartito, come si sa) la bontà delle politiche del lavoro e per migliorarne la portata. Una di queste è la legge 863 approvata dal Parlamento per intervenire in modo adeguato sulla disoccupazione strutturale la quale prevede il part-time che però in Piemonte non viene ancora utilizzato (in Lombardia invece l'utilizzo è assai diffuso).
Dobbiamo ancora dire che non si possono accettare, dinnanzi a queste emergenze, dei veti ideologici e di principio. Occorre che le leggi dello Stato per le politiche del lavoro siano fatte parallelamente a quelle della politica industriale. Non si capisce perché, per esempio, la 675 va bene è invece la 863 non va bene.
Dobbiamo anche pensare che esistono degli spazi sottoutilizzati, per esempio, tutti i beni artistici del Paese - questa è la proposta del Ministro De Michelis sui giacimenti culturali - possono essere uno strumento importante d'impiego e per valorizzare risorse che abbiamo, che possono con il circuito del turismo e di altre valorizzazioni dare un'occasione di crescita occupazionale.
Naturalmente non sto a soffermarmi sul ruolo della formazione professionale.
Il primo strumento è quello delle politiche attive del lavoro, il secondo è il sostegno alla modernizzazione.
Qui abbiamo piccoli spazi d'intervento, consorzi, diffusione dell'innovazione, ecc.
C'è da organizzare la domanda pubblica: c'era nel vecchio Piano Regionale di sviluppo, è stata recuperata dal documento di maggioranza del luglio scorso, c'è negli indirizzi politico-programmatici. Dobbiamo metterci a lavorare non per far si che questa domanda pubblica generi miglioramenti imprenditoriali e aziendali, irrobustire la nostra struttura e, anche attraverso questa strada, ampliare la base produttiva.
C'è poi il terzo filone, quello più drammatico, che la gente sente sulla propria pelle e sono gli interventi nelle aree emarginate che presentano difficoltà di rientro nel circuito del lavoro in modo spontaneo.
Non cito solo le nuove povertà, ma cito i disoccupati adulti dequalificati, i giovani, soprattutto le ragazze senza qualificazione, che sono in posizioni veramente debole in un mercato del lavoro sempre più esigente.
Qui occorrono degli interventi straordinari e alcuni ordinari. Il prepensionamento. Sulla legge 444 arriverà credo con il prossimo mese l'elenco dei 1.500 cassaintegrati che entreranno nella pubblica amministrazione con la deroga dei 35 anni. Al Ministro del lavoro bisognerà dire che queste deroghe dovranno funzionare per certi periodi, perché non si capisce perché non si possa per certi versi avere degli strumenti importanti, che permettono di ridurre delle sacche di disoccupazione particolare che altrimenti non sarebbero aggredibili.
Concludo con due considerazioni: evitare la politica delle scatole vuote, ma operare su iniziative specifiche, fattibili, rapide, inserite in una strategia e non casuali. C'è il rischio di essere affascinati dalle scatole vuote con bei titoli (ad esempio agenzia per il lavoro, job creation, ecc).
Il ritualismo del parlare di agenzia del lavoro pensando che la parola di per sé possa risolverci dei problemi è sbagliato) Occorre pensare che l'agenzia del lavoro va "riempita" di contenuti giorno per giorno. Alcuni elementi da inserirci li abbiamo, altri vanno perfezionati, altri ancora vanno creati, altri vanno sollecitati a livello nazionale.
Nei documenti che sono stati presentati in questa assemblea elettiva sia in quello degli indirizzi politico-programmatici della Giunta sia in quello del P.C.I. c'è un rifiuto a convivere fatalisticamente con il dualismo occupazione - disoccupazione. Occorre da questo principio affermato, che è un principio non solo di giustizia sociale, ma di equilibrio economico, perché non è una società equilibrata quella che ha milioni e milioni di disoccupati, trarne le conseguenze nei comportamenti in tutti i campi, perché l'interdipendenza con i problemi dell'occupazione è ampia.
E' una società squilibrata, irrazionale, è una società che programma rigidamente l'uso dei fattori della produzione all'interno dell'azienda e quando mette un passo fuori dall'a-zienda accetta che la società sia così squilibrata, con i fattori della produzione, come il capitale umano sottoutilizzato.
Credo allora che da questa discussione, come quella di due settimane fa, devono partire gli stimoli - lo stiamo facendo in IV Commissione sull'agenzia e su altri strumenti - per operare concretamente. Avendo ben presente che come sta andando la nostra società, come evolvono le tecnologie, come si assestano i mercati, non potremmo dare una risposta equilibrata alla nostra società e ai milioni di disoccupati, senza pensare ad una diversa distribuzione del lavoro.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Reburdo.



REBURDO Giuseppe

La mozione presentata dal Gruppo comunista sui problemi del lavoro sottopone al vaglio del Consiglio regionale una serie di aspetti che non sono ancora sufficientemente presenti all'attenzione di questo Consiglio anche se vi è stato un dibattito sul programma della Giunta. Tra questi aspetti l'occupazione è un problema centrale attorno al quale ruota il modo di essere di una Regione, di un'istituzione pubblica, della società nel suo insieme.
Senza riferirci ad aspetti di carattere generale, conosciamo tutti perfettamente il dramma e le contraddizioni di uno sviluppo che punta sempre di più al profitto incontrollato e a fondare il profitto sulla espulsione dal mondo del lavoro sul non inserimento di nuove forze lavoro.
Credo che siano saltate due verità di questi anni: quella secondo cui la crisi del sistema industriale sarebbe stata assorbita dallo sviluppo del terziario e del quaternario e quella secondo cui lo sviluppo tecnologico indiscriminato e pienamente applicato avrebbe corrisposto ai problemi occupazionali. Non solo questi assiomi non sono stati dimostrati, anzi, una pubblicistica molto ampia ormai parla di un "2000" dove vi saranno milioni di disoccupati ed uno sviluppo tecnologico estremamente avanzato.
Occorre allora dare delle risposte non tanto allo sviluppo tecnologico quanto al problema dei senza lavoro. Questa è la scommessa che ci dovrebbe impegnare in modo prevalente.
Abbiamo assistito ad un altro fatto abbastanza emblematico, la libertà di "lacci e lacciuoli", quindi la possibilità del mondo imprenditoriale di atteggiarsi, di comportarsi e di muoversi a 360 gradi senza vincoli. La rottura dei "lacci e lacciuoli" sarebbe stata la strada attraverso la quale poter dare delle risposte concrete.
L'esempio della FIAT è uno dei più significativi: un elevatissimo reddito imprenditoriale e una larghissima fascia di disoccupazione e di espulsione dei lavoratori dall'impresa e dall'industria.
In questa situazione abbiamo assistito al trasferimento di ingenti interventi pubblici nelle industrie, anche di carattere finanziario sarebbe interessante sapere quanto pubblico denaro direttamente o indirettamente in questi anni è andato alla FIAT e alla grande industria c'è la sensazione che proprio le industrie in cui c'è stata una forte immissione di denaro pubblico hanno fatto tagli degli organici più consistenti.
Una risposta a questa situazione non può che passare attraverso la riduzione dell'orario di lavoro finalizzata a maggiori aumenti occupazionali. Questo elemento importante è anche oggetto di discussione e di parziali accordi in altre realtà. Vogliamo essere europei, ma, quando in Europa succede qualcosa di significativo, rialziamo le frontiere e cerchiamo di guardare solo al nostro interno. In Germania Federale è in atto un'operazione interessante, anche se piena di contraddizioni, ma che indica come la strada della riduzione dell'orario, legata a un sistema di controlli e alla programmazione pubblica, sia una strada fondamentale importante ed essenziale.
Per non rimanere nel generale e nel generico, entrerò in alcuni aspetti importanti e significativi.
Vorrei prima di tutto soffermarmi sugli strumenti che gli Enti locali possono attivare per contribuire ad elaborare delle proposte per dare delle risposte ai disoccupati, ai cassintegrati e ai giovani.
C'è il problema della gestione del mercato del lavoro, il compagno Tapparo ne ha messo in evidenza alcuni aspetti.
Visto che è di competenza regionale e che probabilmente arriverà in Consiglio una proposta in materia, vorrei parlare dei contratti di formazione e lavoro. Da quanto è emerso dai lavori della VI Commissione sono intesi dalle aziende come un modo per aggirare la gestione pubblica del mercato del lavoro. La Regione deve svolgere un ruolo attento e pregnante su questa questione, in particolare dovrebbe formulare un progetto quadro all'interno del quale collocare in modo puntuale i contratti di formazione e lavoro. Inoltre la Regione, attraverso i centri di formazione professionale, pubblici e privati, dovrebbe avere il pieno controllo della formazione teorica e dovrebbe poter seguire i giovani all'interno dell'azienda, per accertarsi che si tratti di un'autentica formazione.
Ma gli Enti locali possono tentare di dare altre risposte. Abbiamo parlato del piano di forestazione che richiede un finanziamento pluriennale, ma fintanto che a livello nazionale non viene approvata una legge che assicuri tale finanziamento, rischia di essere aria fritta.
Eppure la Regione attraverso questo piano sicuramente potrebbe dare delle risposte, sia ai problemi dell'occupazione sia ai problemi di riassetto del territorio che è gravemente compromesso dal punto di vista geologico e forestale.
L'altro aspetto che voglio sottolineare è quello dell'ambiente. E' un settore che richiede da un lato la formazione di quadri di tecnici e dall'altro il rilancio della ricerca in collaborazione con l'Università, il Politecnico e le istituzioni pubbliche.
Opere pubbliche. In questo settore gli enti locali possono svolgere un ruolo importante. Le attuali amministrazioni locali hanno evidenziato che nei prossimi anni, a Torino ci saranno investimenti per centinaia, forse migliaia di miliardi nelle Opere pubbliche. Credo che questi interventi debbano essere mirati e graduati secondo le priorità. Forse le priorità sono già disegnate a livello progettuale, pensiamo, per esempio, al recupero dei cosiddetti rami secchi e a quel che comporta un piano regionale di intervento nel settore dei trasporti soprattutto nelle aree marginali della Regione; e pensiamo al problema del pendolarismo, ai problemi della metropolitana di Torino con i relativi progetti che devono essere finanziati celermente.
Altre priorità probabilmente riguardano lo Stadio e il Palazzo di giustizia. Si tratta di capire se l'intervento nel campo della giustizia è prioritario rispetto a quello dello Stadio, tanto più che l'attuale stadio risponde ampiamente alla situazione attuale.
C'è un problema di priorità come nel campo delle energie alternative e rinnovabili.
Ricordo che a Torino si erano sviluppati due progetti per il teleriscaldamento, uno interessava Mirafiori Sud, l'altro Mirafiori Nord.
Mi pare di capire che la nuova dirigenza della Azienda Energetica Municipale stia tentando di ridimensionare questi progetti dicendo, ad esempio, che è inutile sviluppare un piano di teleriscaldamento perché il prezzo del petrolio è in diminuzione quindi le attuali centrali produttrici di energia sono più che sufficienti e il teleriscaldamento non e più competitivo.
Mi domando allora: perché non si rapporta questo ragionamento alla centrale elettronucleare di Trino, dove, con il crollo del prezzo del petrolio, si potrebbe mettere in discussione la valenza e la convenienza economica di quell'operazione che presenta i gravi problemi che qui abbiamo già denunciato? Con le stesse risorse investite invece in settori energetici diversi si potrebbe garantire uno sviluppo tecnologico estremamente avanzato essendo le energie alternative energie di prospettiva.
Questa è l'altra scommessa che noi intendiamo sviluppare.
Cantieri di lavoro. La legge è provvisoria e, per certi aspetti, non dà ancora una risposta strutturale dell'occupazione. E' però vero che questa legge, attraverso un progetto, potrebbe rispondere con immediatezza alla domanda di occupazione.
Voglio richiamare la proposta di un cantiere di lavoro all'I.N.P.S. che secondo quanto leggo in un Ordine del giorno votato dal Comune di Torino sarebbe stato bloccato dalla Regione. Credo invece che a quel progetto debba essere data una risposta positiva. E' un intervento straordinario che, se avviato, dovrebbe permettere di risolvere le cosiddette vacanze di organico dell'I.N.P.S. dando lavoro a qualche centinaio di disoccupati, non solo, ma obbligando la pubblica amministrazione a consolidare e ad ampliare i propri organici.
Ritengo quindi che la Regione intervenga per attivare le potenzialità che esistono.
Assistenza domiciliare. Si parla spesso dell'esigenza di dare spazio al privato, non in termini speculativi e si sottolinea l'esigenza che sull'assistenza domiciliare debbono essere attivate risorse e impegni diversi anche attraverso esperienze cooperativistiche. E' una strada che accanto all'intervento pubblico può dare delle risposte all'occupazione e ai bisogni degli anziani e delle persone in difficoltà, problemi che non si possono risolvere con i tagli della legge finanziaria, con la tassa sulla salute o con la ghettizzazione delle persone anziane.
Esiste a Torino la cooperativa di cassintegrati "Vivere" composta da una ventina di persone, che ha presentato una proposta di assistenza domiciliare e ha richiesto da un anno al Comune e alla Regione un intervento per un corso di formazione. Quella cooperativa è ancora li parcheggiata e non ha avuto alcuna risposta. Quindi la strada di sollecitare i cassintegrati a trovare autonomamente delle soluzioni viene ricondotta al passato e ributtata all'indietro.
Uffici finanziari. Con il compagno Montefalchesi, oggi Consigliere comunale, per anni nella passata legislatura abbiamo sollevato la carenza di organici, la impossibilità di una loro operatività contro le evasioni.
Prendo atto con piacere che anche altri compagni si sono accorti che è necessario stringere i tempi per ottenere un risultato.
E' possibile intervenire anche in questo caso con un cantiere di lavoro per la formazione di quadri che sicuramente porterà più benefici che costi perché la lotta all'evasione fiscale è una lotta importante. Questo presenta necessità di addestramento, esige correzioni e interventi. Il problema degli Uffici finanziari o attraverso i cantieri di lavoro o attraverso l'apertura di una vertenza con il Governo per l'allargamento degli organici è, estremamente importante e può dare delle risposte concrete non alle fanfalucche, ma a problemi reali di occupazione.
Vorrei aprire una riflessione sulla formazione professionale, ma per non rubare ulteriore tempo in questa sede, rinvio ad altra occasione. Si aprono possibilità concrete e reali per la Regione di attivare strumenti fondamentali nel mercato del lavoro.
Credo vada fatto un ragionamento più attento, purtroppo il tempo è tiranno. Ho voluto soltanto richiamare alcuni problemi per risolvere i quali non si può sempre chiamare "Roma 3131"ma occorre ed è sufficiente richiamare la volontà degli Enti locali.



MARCHIARO Maria Laura



PRESIDENTE

Potremmo sospendere a questo punto la seduta e riprendere i lavori alle ore 14,15. Devo far presente ai colleghi che la circolazione è difficile in quanto la nebbia è molto fitta, quindi, bisognerebbe chiudere questo dibattito non oltre le ore 17.00.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13,05)



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