Sei qui: Home > Leggi e banche dati > Resoconti consiliari > Archivio



Dettaglio seduta n.176 del 03/02/89 - Legislatura n. IV - Sedute dal 12 maggio 1985 al 5 maggio 1990

Scarica PDF completo

Argomento:


ROSSA Angelo


Argomento: Piani pluriennali - Programmazione: argomenti non sopra specificati

Piano regionale di sviluppo 1988/1990 e relativo programma pluriennale di attività e di spesa (seguito)


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Riprendiamo la discussione sul Piano regionale di sviluppo 1988/1990 e relativo programma pluriennale di attività e di spesa, di cui al punto 4) all'o.d.g.
La parola al Consigliere Bontempi.
BONTEMPI La nostra collocazione sul Piano di sviluppo ha evitato un pericolo che per noi era emotivamente presente, quello di riferirci alle dichiarazioni che il Consigliere Marchini fece nel 1984 quando disse: "Noi non possiamo non richiamare fortemente all'attenzione dell'opinione pubblica e delle forze politiche la contraddizione inaudita e macroscopica con cui questa maggioranza (si riferiva alla maggioranza di sinistra) inadempiente sul piano politico e programmatico da ben quattro anni governa la Regione senza lo straccio di un documento di programmazione"; oppure potremmo riferirci a quanto diceva il non reaganiano Brizio quando annunciava che il Gruppo DC non avrebbe partecipato né al dibattito né al voto.
Siamo stati attenti a non cadere nella trappola di rendere pan per focaccia e di dimostrare che qualsiasi appuntamento vada eluso, vada esorcizzato con parole forti. Abbiamo voluto evitare questo, intanto per significare una differenza di collocazione.
Noi, forse a differenza di qualcuno in quegli anni, avevamo bisogno da tempo di un dibattito sulla programmazione, ma non l'abbiamo avuto. Questa è la differenza con l'altra legislatura, quando già si segnavano i grandi limiti del piano, della politica di programmazione e l'abbiamo detto più volte. Una differenza abissale rispetto al 1977, altro clima, altra epoca.
Che cosa avvenne nel 1984? Intanto si arrivò a quell'anno dopo una lunga crisi dovuta allo scandalo e alla ricostituzione della Giunta. Questa non è certamente un'attenuante sul piano generale, ma lo è sul piano del lavoro e dei tempi. Non solo. Quel piano, proprio perché si collocava dopo la vicenda FIAT in un momento in cui la Regione cominciava pesantemente a sentire i limiti di governo delle variabili economiche, dei poteri, delle competenze, fu un tentativo perseguito, non so se migliore o meno, ognuno può avere le proprie opinioni. Ricordo soltanto quella parte generale sul governo dell'innovazione, alla quale il nostro compagno Rivalta Vicepresidente della Giunta e coordinatore del piano, dette un apporto personale, insieme al collega Tapparo. Fu il tentativo di ricollocare una Regione, che era molto diversa da quella della fine degli anni '70, in un processo già critico e con difficoltà politiche, e lo scandalo fu il segnale. Ricordo quante volte in Commissione il nostro Gruppo, quello socialista e socialdemocratico, sollecitarono il piano.
Questo non è avvenuto, cari signori. Questo piano è finto, avrebbe meritato le parole "inaudito", "macroscopico" e tante altre ancora. Questo non è avvenuto o perché non si è voluto o perché da parte della maggioranza non vi si è creduto. Noi almeno - pur nei limiti che ho indicato con chiarezza quello strumento, nato in quelle circostanze, lo volevamo perseguire.
La storia va ricordata, non può essere assolutamente elemento per irrigidire o schematizzare, tant'è vero che noi non abbiamo preso un atteggiamento simmetrico, ma va ricordato per il ragionamento che poi farò.
E' un rito a cui siamo costretti ricorrere ancora a quattro anni dall'avvio della legislatura, che dimostra come non si è stati capaci di innovare siamo al modo ottativo: "occorrerebbe", "si dovrebbe fare". Abbiamo alle spalle quattro anni e quello che non è avvenuto pesa e conta, è la cartina di tornasole di quello che è scritto.
In questo senso il nostro Gruppo ha voluto significare la differenza di atteggiamento, pur avendo piena memoria di quello che è successo e anche consapevolezza dello sforzo che in quell'anno la maggioranza fece contro le eccezioni. Ricordo che il collega Marchini fu bravo, con un'opposizione un po' ostruzionistica, nel sollevare le questioni di procedura su quel piano.
Però noi volevamo il piano perché ritenevamo che, pur nella limitatezza dello strumento e pur nel ritardo dei tempi, contenesse non solo la cosiddetta guida all'azione di governo, ma qualche spunto attuabile come la politica dell'innovazione e la politica ambientale che già allora si delineava. Questi sono i due termini di riferimento.
Oggi che cosa è avvenuto? E' miope e sbagliato individuare nell'Assessore alla programmazione il responsabile delle cose che non vanno. E' una scorciatoia a cui troppo spesso si addiviene qui nelle nostre chiacchiere. Credo però che ci sia una responsabilità primaria. Fin dal 1985 proprio l'ammaestramento del piano del 1984 aveva suggerito a noi forza che diventò di opposizione, la necessità di una forte innovazione e abbiamo cercato di perseguirla, in posizione però di assenza totale di dialogo perché la nostra proposta - ahimè! - non è stata recepita, non ha inciso. Era necessaria una forte innovazione, una programmazione in tempo reale che potesse darci documenti programmatori agili, anche nuovi, magari meno organici, ma tempestivi. Tutto questo non è avvenuto per il modo in cui si è costituito il pentapartito, quello che abbiamo chiamato dell'eteroformazione, talvolta dell'eterodirezione che ha sottratto anche il terreno pur limitato dalla possibile rivendicazione di autorevolezza regionale.
Questo che cosa vuol dire? Vuol dire che non produciamo più la carta giusta, che non produciamo più il volume? Secondo me vuol dire ben altro.
Vuol dire che si è consumato in questi anni, ad un punto visibile ed avvertibile da tutti, lo svuotamento dei poteri decisionali di questa assemblea.
Perché nel 1977 ci fu una grande discussione sul Piano di sviluppo? Perché quando si alzava a parlare per noi Minucci e dall'altra parte rispondevano Bianchi, Simonelli o Cardinali, c'era la coscienza netta che qualche decisione la Regione l'avrebbe presa e l'avrebbe presa a seguito di quel dibattito.
Oggi non è più così, le decisioni vengono prese o in qualche Ministero quando va bene, o in centri esterni.
Perché il piano è così finto? Devo dire che mi ha commosso l'approccio al vecchio modo, da vecchi grandi signori, con cui sono intervenuti alcuni esponenti DC. Le grandi decisioni non si prendono più né con il piano né senza piano e l'unico attracco concreto è portato da qualche Consigliere esponente di realtà locali. Ma tutto questo con la politica di piano o con la politica di governo ha poco a che fare.
Quello di oggi è un clima contraddittorio con il senso della programmazione. Si può dire che i Consiglieri sono diventati distratti, che preferiscono prendere il caffè, che non si occupano del piano. Certo, pu anche darsi che ci sia una scarsa volontà soggettiva, però l'opposizione da quattro anni ormai, indica alla Regione una via d'uscita con proposte concrete, ma al di là di qualche condivisione da parte di qualcuno non abbiamo trovato purtroppo azioni coerenti.
Siete arrivati tardi, siete arrivati senza innovazioni considerando il piano come una meta formale da raggiungere e sapendo che la produttività di effetti rilevanti è pressoché nulla. Non potete dire che qualcosa si attuerà. Si attuerà quello che è iniziato in maniera sparsa e non con organizzazione delle scelte e delle priorità. L'attività di governo è stata quanto mai difficile e debole, questa è la condanna, nonostante abbiate governato con i numeri. Avete però governato con scarsissima disponibilità al dialogo con gli altri che sostenevano altre proposte. La responsabilità è davvero vostra.
E' un piano sbagliato e per certi versi inutile. Mi spiace usare questo termine, perché qualcuno ha pure lavorato magari credendoci, non voglio disprezzare nessuno, alla fine però è un piano politicamente finto.
Ci resta ancora un anno di lavoro e noi presenteremo una indicazione delle poche priorità da portare avanti. Tra l'altro, tra i limiti e i difetti da tutti ormai riconosciuti, vi è l'eccessiva ridondanza di opzioni che contenevano già altri piani, con la differenza che gli altri piani avevano autorevolezza e capacità di decisione dei soggetti. Oggi questo non c'è più per cui le opzioni sono schegge sparse e, come nel pozzo di San Patrizio, non si riesce ad organizzare una minima gerarchia di importanza.
Questa pacata, ma ferma analisi ci pone nella condizione di rivendicare tre meriti che forse non ci sono riconosciuti, ma noi li sentiamo e tenteremo di tradurli sul piano dell'azione politica.
Primo: aver colto in tempo, anche sulla nostra pelle, che occorreva molta innovazione. I dieci anni di Giunte di sinistra hanno costituito un ciclo. Il nuovo ciclo però non è mai cominciato, o meglio è cominciato perché c'è un pentapartito, ma non è cominciato sul piano della caratterizzazione innovativa e sul piano dell'autorità regionale.
Secondo: abbiamo denunciato questo stato di cose, abbiamo fatto alcune proposte innovative tentando di segnare le priorità di decisione visibili e forti. Noi avevamo puntato sul governo delle risorse altrui: l'ente politico Regione che si propone di governare le proprie risorse, ma anche le risorse altrui che provengono dall'ambito territoriale. Qui si è registrato uno dei più grandi limiti di autorità. Nel caso dell'autostrada del Frejus abbiamo riscontrato più volte la mancata funzione di governo. Il rapporto tra i Comuni e la società concessionaria è quanto di peggio possa esserci ai fini del governo globale. Non so se le singole situazioni vadano bene, certo è che ognuno bada a sé, soprattutto la società.
Che fine ha fatto la possibilità di usare lo studio di impatto ambientale per interloquire con i Comuni, se necessario, e con l'azienda? E il piano degli inerti? Pare che per fare quell'autostrada si debba scavare la montagna e il confronto è tra la SITAF e un Comune di 1.500 abitanti.
Questo non è governo! Potrei fare molti altri esempi, ma cito questo perché l'ho presente come governo delle risorse altrui.
Potrei parlare della società telematica. Che senso ha dar vita a qualcosa di giusto nel merito, se non esce il senso del governo che si sostanzia nei comportamenti? Io dico che non esce il senso del governo perché non c'è.
Il nostro giudizio non è né inaudito né apocalittico, però il fallimento è visibile e percepibile da tutti: il fallimento dell'operazione piano è il fallimento della formula e del governo di pentapartito. Lo è come espressione, al di là degli intenti e degli sforzi (che non disprezzo) dei funzionari che hanno lavorato e degli Assessori che ci hanno creduto.
L'operazione non è riuscita e non poteva riuscire perché i presupposti politici, strategici, programmatici e comportamentali non ci sono stati.
Un rivelatore, una spia sarebbe stata quella di aprire un confronto coraggioso sul piano. Noi abbiamo prodotto un documento più o meno contestuale all'uscita del piano, non potete dirci che abbiamo fatto i pesci in barile altrove per aspettare il momento in cui sarebbero venuti qui l'Assessore Vetrino o il Presidente Beltrami per prendere un bastone e picchiarli. In Commissione c'è stata una fase di black-out di sei mesi nel senso che si era detto che sarebbe arrivato un documento integrativo con due novità, una relativamente alla legge sulle procedure di programmazione l'altra relativamente alla legge urbanistica. Quel documento però non è mai arrivato. Quello sulla legge urbanistica è sparito. Nella versione definitiva del piano c'è ancora la vecchia versione della legge urbanistica, quella del 1987, per cui sarebbe curioso sapere se il piano ha smentito quel documento integrativo che è stato prodotto più tardi e che non è mai stato contraddetto da nessuno. Faccio questo esempio per dire che il balletto del documento integrativo è stato così poco vero che ha indotto legittimamente in noi il dubbio che ci fosse qualcosa di più consistente. Mi spiace non sia presente l'Assessore Genovese perché vorrei capire se la base fondante della legge n. 56/77 è il primo documento, che noi consideriamo nettamente peggiore, ma che è nel piano definitivo, o se è il secondo, che riteniamo un po' migliore, che però non c'è più.
L'operazione è vissuta sugli spilli, è vissuta su qualche postulato di buona volontà.
Abbiamo letto con molto stupore il documento della DC. Che un Gruppo di maggioranza si esponga al dibattito politico con sue valutazioni, lo considero un fatto positivo, magari altri Gruppi lo facessero, visto che più nessuno scrive e non ci si parla più, quello che però ci ha impressionati è il contenuto del documento. Non lo dico soltanto io, lo dicono anche i miei compagni. Sapete che il nostro Partito oggi è diverso non c'è più quello che dà la velina e gli altri che approvano, oggi si ragiona con molta libertà. Ebbene, leggendo quel documento ci è sembrato di aver vissuto quattro anni diversi da quelli descritti, o meglio accennati.
Non leggiamo i momenti che abbiamo vissuto. E vorrò sentire dal Gruppo DC una spiegazione sul piano politico. L'ultima parte, per esempio, richiama l'esigenza di un confronto tra le forze politiche, ma non si possono trascurare le parti precedenti.
Ci sono dei limiti di approccio che rendono impossibile credere al confronto. Che senso ha perdere la voce per ragionare su questo documento? E' ancora possibile addebitare i problemi all'eredità avuta dalle Giunte di sinistra? La DC e i Gruppi di maggioranza quando la smetteranno di usare questo argomento? Sarà il 1990 o il 1992 quando arriverà l'integrazione europea? Ditecelo, almeno saremo preparati! Sono convinto che gli ultimi cinque anni dell'amministrazione di sinistra siano stati migliori di questi (è legittima l'opinione diversa). Questo argomento, a un anno dalla fine di questa legislatura, non può più essere invocato come argomento a priori.
Parlate del dissesto finanziario delle precedenti amministrazioni, ma signori, qui non c'è un governo asessuato, c'è un governo che ha una formula politica, un Presidente del Consiglio, ci vuole un po' di decoro! Sono due anni che questa Regione presenta l'esercizio provvisorio su un bilancio che non conosciamo. Lasciamo perdere la questione del personale a proposito del quale il documento DC dice una cosa giusta e condivisibile: la distinzione tra tecnici e politici. Ma è proprio su questo punto che viene un altro grande problema. Il Consigliere Avondo da questi banchi ha condotto una dura battaglia sulla distinzione dei compiti sull'organizzazione, ma tutto questo nelle nomine non è avvenuto perché si è rimasti dentro la vecchia logica mista, del pubblico, dei concorsi, delle qualifiche e alla fine si è vista la promozione di gente che non c'era neanche in Regione, che fa mestiere politico fuori addirittura ai massimi livelli! Sul rapporto tra la Regione e la società mi chiedo se siamo o non siamo arrivati al massimo livello di rottura con i Comuni.
Non è accettabile una lettura così disinvolta delle cose e dei fatti.
Noi abbiamo presente un altro tipo di legislatura, noi abbiamo fatto uno sforzo sulle riforme istituzionali che ha trovato un momento di unione e di dibattito, ma sulle cinque o sei proposte di legge la maggioranza era inesistente o quasi.
Adesso si dice che si farà. Ci eravamo impegnati per il 15 novembre, i tempi corrono, le riforme istituzionali si fanno se i tempi sono congrui e se ci si schiera sulle priorità.
A noi sembra di poter dire che un atteggiamento di questo tipo da parte del Partito di maggioranza relativa rende stupefatti, non lo comprendiamo perché rende assai difficile la percorribilità politica del confronto. Se non ci si intende su quello che è avvenuto per partire di lì e trovare magari soluzioni diverse, è difficile pensare di poter ragionevolmente continuare.
Credo che questo dibattito sul Piano di sviluppo possa avere un senso se almeno, dopo il riconoscimento di come non è andata l'operazione governo e la questione della stabilità (c'è una stabilità da "rigor mortis" che è terribile), si riconosca anche che la stabilità non può essere mai disgiunta da qualcosa che si fa, da qualcosa che si ottiene. Dopo questo dibattito sarebbe interessante sapere se su qualcosa ci intendiamo ancora.
Noi ormai abbiamo perso questa fiducia e tenteremo quindi, con la fantasia che ci resta, che non è immensa, di individuare un percorso per quest'ultimo anno che non ci faccia - come diceva Pavese - finire nel gorgo, muti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Tapparo.
TAPPARO Signor Presidente, dopo le battute conclusive del collega Bontempi ritengo di dover dire qualcosa, perché nel gorgo non siamo ancora tutti finiti e non siamo tutti muti.
Non intendo tornare al vecchio dibattito che si è aperto in Italia dai primi anni '60 sulla programmazione (tipo e caratteri), ma oggi vale la pena sottolineare che c'è necessità di programmazione per dare efficacia (ed operare con efficienza) all'azione pubblica ad ogni livello. La situazione che viviamo infatti, con spinte centrifughe sempre più accentuate, con volontà di autogoverno, che crescono nella società, pone il problema della programmazione di una comunità, di una Regione, di un Paese come un elemento fondamentale, se non si vuole ridurre il pubblico ad un ruolo residuale, cadenzato nei comportamenti (e nei finanziamenti) dagli interessi economici e sociali.
La programmazione, i grandi gruppi economici e finanziari la "praticano" in modo molto sofisticato. Ma nel pubblico i giudizi cambiano perché la programmazione predetermina dei percorsi e stabilisce delle priorità che limitano il gioco degli interessi. Anche a livello di Regione, per quelle che possono essere le nostre forze e le nostre competenze, dobbiamo cercare, una volta scelti gli obiettivi di fondo, di utilizzare al meglio le nostre risorse umane e materiali per raggiungere gli obiettivi che l'assemblea elettiva piemontese si è data.
Quello che facciamo oggi non è un rituale, dovrebbe essere un momento solenne, anche se attuato in ritardo e con difficoltà, che dovrebbe suscitare un po' di orgoglio per quello che possiamo concorrere a fare in Piemonte, che è un segnale verso i vincoli che il centralismo statalistico pone alla nostra operatività e che anche i grossi interessi economici pongono.
Occorre tentare di dare una strategia di lungo periodo alla nostra azione, perché nella parte di legislatura che ci resta dobbiamo mettere alcuni significativi mattoni della costruzione che ci porterà all'Europa del 1992, che dovrà vedere il ruolo adeguato delle Regioni, della nostra in particolare. C'è questa volontà programmatoria all'interno di questa assemblea elettiva? Forse a parole sì, perché non ha costi e conseguenze, è un esercizio accademico.
Programmazione vuol dire capacità di gestire un problema complesso con un approccio sistemico, non una politica spezzettata, la sommatoria degli atti dei singoli Assessorati, la pratica di scelte scollegate ai grandi obiettivi che qui spesso decantiamo.
Il Gruppo socialista intende impegnarsi a fondo e non strumentalmente su questo tema, sia per nostra tradizione sia per sincero convincimento però non credo che solo i socialisti siano i depositari di questa impostazione. Come socialisti abbiamo portato a questa alleanza di governo alcune impostazioni di fondo, che seppure non possiamo pensare di ritrovare in modo esclusivo e totalizzante, riteniamo siano chiaramente visibili; se non è così probabilmente dovremo rivedere i termini della nostra presenza in questa alleanza.
Noi abbiamo detto che volevamo operare per minimizzare i dualismi presenti nella nostra Regione, dualismi territoriali, dualismi settoriali all'interno dell'apparato economico, dualismi sociali tra una società forte, innovativa e una società invece sempre più marginalizzata paradossalmente marginalizzata mentre cresce il prodotto interno lordo del Piemonte.
Abbiamo detto di voler saldare innovazione e occupazione, spezzando la logica perversa di dare al sistema produttivo risorse finanziarie con una mano e con l'altra non ricavare a sufficienza per quanto riguarda i problemi del mercato del lavoro.
Abbiamo cercato di correlare i problemi dell'ambiente con quelli del territorio considerando gli strumenti e gli interventi conseguenti una politica attiva, non passiva, non di emergenza o di rincorsa.
Il nostro Gruppo è rimasto amareggiato da quanto nella conferenza stampa il Gruppo della Democrazia Cristiana ha sostenuto essere stato il processo di programmazione nelle due passate legislature (la seconda e la terza), perché di quei processi noi siamo stati parte piena e integrante ne vantiamo meriti e ovviamente ci facciamo carico dei limiti. Non abiuriamo quella fase seppure sia stata piena di difficoltà. Abbiamo contribuito a delineare alcune politiche che oggi fanno parte del Piano di sviluppo presentato dall'Assessore Vetrino. C'è una continuità, non credo si sia partiti da zero, che tutto il passato è stato negativo e che adesso si dimostrerà quanto si è bravi. Ci sono a nostro avviso alcune linee di continuità forti che possono essere sì corrette, ma non possono essere negate nei valori di fondo. Certamente alcuni aspetti vanno rimarcati riaggiustati, adeguati al nuovo della situazione economico-sociale.
La saldatura tra innovazione ed occupazione deve essere più attenta alla piccola impresa e all'artigianato, perché la grande impresa si "arrangia", altrimenti rischiamo di dare risorse aggiuntive a chi fa operazioni che comunque sarebbe stato costretto a fare per restare al passo con i rapporti di competitività a livello sopranazionale. Ci sono aree produttive della nostra regione che non hanno la forza per processi di adeguamento strutturale e che devono trovare nell'ente la capacità di interpretazione e, in qualche misura, di sostegno. Per questo in passato si pensò ai settori di punta dell'informatica, l'intelligenza artificiale, il CAD-CAM che - ahimè - è morto in questa legislatura ed era nato in quella precedente: è un fatto negativo perché erano stati assunti dei precisi impegni a non far morire quel tipo di iniziativa che era tesa a diffondere l'uso, nella progettazione e nella gestione della produzione, del computer nelle piccole aziende. Cito ancora il Tecnotex, che è nato nella legislatura passata e che oggi ha una continuità ed è un modello di riferimento anche per altre iniziative della formazione professionale. Le politiche del lavoro hanno trovato una saldatura e una continuità: non sono state rigettate le leggi della legislatura passata ed esse oggi hanno trovato un perfezionamento e un affinamento, non un cambiamento.
E' quindi con grande imbarazzo, direi anche con umiliazione, che ho sentito le affermazioni del Gruppo DC, perché dette in quel contesto hanno fatto di ogni erba un fascio, colpendo anche quelle che mi parevano iniziative oggettivamente importanti. Se così fosse, se cioè tutto il passato è stato sbagliato, se il nostro apporto di elaborazione non è stato valido e non c'è una linea di continuità su alcuni aspetti che noi abbiamo detto essere elementi costitutivi della nostra collocazione in questo governo, probabilmente dobbiamo rivedere la nostra presenza in questo tipo di alleanza.
A questo punto richiediamo che vengano riconosciuti, quindi accolti nella deliberazione di recepimento del piano, alcuni elementi chiari costitutivi, caratterizzanti della nostra presenza. Il Gruppo PSI non è per emendare il piano, perché gli emendamenti li abbiamo presentati a suo tempo in fase di discussione in Commissione, in questa fase sono le grandi determinazioni che possono trovare una puntualizzazione.
Ho avuto l'impressione che rispetto alle difficoltà date dal centralismo statalistico per cui si opera con competenze e risorse sempre più limitate e progressivamente esose, ci sia stata da parte nostra anche una sorta di accettazione fatalistica, una filosofia di accettazione di un ruolo interstiziale, schiacciati da riferimenti culturalmente ed economicamente determinati da grandi potentati economici, che sopportano la programmazione solo come un rituale. Cosa importa al Piemonte, società civile ed economica, che in questo momento si stia discutendo il Piano regionale di sviluppo? Forse il dibattito di ieri sulle chiese era più interessante perché era di merito con i finanziamenti, oppure domani ci sarà più interesse sulle nomine dei Presidenti delle APT, ma il Piano regionale di sviluppo non modifica nulla, è un'esercitazione fatta in punta di piedi che mette insieme alcuni Consiglieri tanto per adempiere ad atti richiesti da nostre procedure.
E' anche una questione psicologica, di cultura politica, rivendicare che questo è un momento importante e per farlo diventare tale si legano alle determinazioni di oggi i comportamenti concreti di domani: domani non si andrà a ruota libera in certi ambiti, ma si dovranno seguire le direttrici che qui vengono predeterminate. Questa è la programmazione.
Sono presenti al dibattito in corso solo due Assessori, probabilmente perché gli assenti sanno che le direttrici che stiamo per determinare hanno conseguenze. Ovviamente io mi auguro di no, perché programmazione vuol dire individuare dei percorsi e verificarne le coerenze negli atti concreti.
In questo senso, dobbiamo parlare degli obiettivi strategici che dovrebbero essere quelli ai quali fare riferimento: i programmi e le scelte operative. Quando assumiamo una decisione qual è il senso, qual è la "sintesi" a cui facciamo riferimento? E' la cultura di un'alleanza che si è determinata, che raccoglie dei valori che non possono essere dispersi perché non si incomincia mai dall'anno zero. Noi abbiamo detto che la cultura della programmazione è quella che sa misurarsi con il mercato in modo corretto, non animoso, ma nemmeno remissivo, interstiziale e che viaggia in punta di piedi. Occorre sancire che l'allocazione delle risorse fatta dal mercato (per esempio, per i problemi del mercato del lavoro dell'artigianato, della piccola industria, degli squilibri territoriali) non è in grado di risolvere tali problemi. I finanziamenti pubblici regionali messi in campo per l'innovazione vanno ad operare nelle aree dove l'allocazione delle risorse fatte dal mercato è imperfetta e noi assumiamo una decisione chiaramente politica andando a modificare quel tipo di dislocazione che si verrebbe a determinare in modo spontaneo, in tale caso distorto e indesiderato. Questa è una scelta politica di cui devono essere consequenziali gli atti, i programmi e i comportamenti specifici anche nell'uso del territorio. Ho sentito nell'illustrazione del documento da parte del collega Carletto, durante la conferenza stampa citata, parlare di legge urbanistica, dei parchi, ecc. Questi strumenti devono essere utilizzati come leve di politica attiva, non come un fatto circoscritto senza interconnessioni. Non necessitiamo di un processo di deregolamentazione, ma di un processo di adeguamento delle regole di una società che cambia, non perché le spinte di una corporazione sono diventate più forti, ma perché si è arrivati ad autonome determinazioni in questo senso.
Si tenta di operare per il riequilibrio dei dualismi sociali con una legge che pur prevedendo un modesto intervento (le cooperative sociali) è coerente con una logica non assistenziale. Circa il rapporto tra pubblico e privato (mi riferisco più al privato sociale che al privato economico) non possiamo accettare un meccanismo sotterraneo, che tende a dimostrare che là dove il pubblico non è in grado di funzionare la soluzione è il privato. Non c'è la possibilità di verificare un mix o un riequilibrio o comunque un impegno a recuperare i ritardi del pubblico. Per il privato sociale ritengo che vi debba essere complementarietà (nell'assistenza e in molti altri campi) e non sostituzione al pubblico. Non possiamo dire che non funziona l'assistenza e che è pronta la soluzione del privato sociale perché ci viene il dubbio che a qualcuno piaccia che non funzioni il pubblico per trovare poi delle facili sostituzioni. Noi riteniamo che per il pubblico, se determiniamo che deve assolvere a certi compiti, si debba operare fin che basta perché funzioni.
Anche per il privato economico non dobbiamo essere solo portatori di risorse, ma portatori di progetti. Tecnocity abbiamo detto trattarsi di un "contenitore" e adesso bussano alla porta perché lo si riempia con risorse ma è la Regione che determina un progetto, che vede interagire vasti settori della società. Se avessimo creato un progetto migliore di Tecnocity non avremmo avuto le condizioni di esprimerlo con quei caratteri di altisonanza che ha trovato. Non siamo portatori di risorse, bensì di progetti e non possiamo nemmeno salvarci l'anima delegando ampi spazi alla Finpiemonte, che non so se può essere interprete legittima e piena del momento pubblico: è una componente, una parte, un'articolazione mista.
Avviandomi alla conclusione del mio intervento ritengo di dover chiarire l'aspetto del rapporto tra Regioni e Stato. Questo va fatto perch si tratta di un aspetto di fondo della nostra strategia. Io spero nell'Europa, perché credo che l'Europa possa essere il disinnesco di un centralismo statalistico inadeguato per affrontare i problemi della società, ma che è molto comodo ai potentati economici e ai sistemi di interessi organizzati nel Paese. Tale centralismo dovrà in qualche modo allentarsi, dovendosi configurare e misurare con altre realtà e noi potremo recuperare molto dei limiti posti anche per costruire un rapporto più "producente" tra pubblico e privato, con un apparato pubblico che sappia funzionare e con una spesa pubblica che sappia essere più efficace. Credo sia anche necessaria una maggiore determinazione e, perché no, aggressività nei rapporti con le Partecipazioni Statali.
Inoltre la funzione di governo deve pensare a dotarsi delle tecnologie organizzative essenziali. Nel dibattito in corso emerge un "lamento" per il livello di informazione insufficiente per governare la Regione.
L'informazione connessa a sistemi che raccolgono le esperienze delle decisioni assunte in precedenza, non solo nella nostra Regione, dovrebbe essere uno strumento di supporto per le decisioni. Abbiamo ancora un anno e due mesi alla fine della legislatura, però abbiamo due bilanci di previsione davanti. Siamo alla fine, si dice che non possiamo più fare nulla, ma io non lo credo; infatti possiamo darci alcune precise priorità da caratterizzare con una coerenza finanziaria di spesa. Se decidiamo che in trecento giorni vogliamo concentrarci su poche aree prioritarie per realizzare dei risultati significativi, è chiaro che qualcosa sul piano finanziario deve avvenire. Se non avviene nulla sul piano finanziario nella configurazione dei bilanci di previsione si corre il rischio di fare solo dell'accademia, oppure di menomare ulteriormente lo strumento della programmazione. In questo senso, occorre individuare alcune iniziative esemplari, chiare e determinate.
Oltre alle priorità e alla coerenza finanziaria occorre anche pensare a degli strumenti: l'adeguamento degli enti strumentali e la definizione di alcune politiche. Accennavo prima a politiche organizzative del funzionamento dell'apparato di governo e pensavo anche ad un'espansione delle esperienze tipo Tecnotex che potrebbero caratterizzare con importanza alcuni nostri comportamenti.
Concludo con una proposta che spero possa essere accolta nella deliberazione di recepimento. Abbiamo delle risorse libere seppure limitate. Su queste risorse libere, come abbiamo fatto nel bilancio di previsione dell'anno passato, possiamo determinare, con opportuni ritocchi e tosature, uno o più blocchi di spesa significativi che costituiscano una massa critica di intervento per operare in uno dei campi prioritari detti in precedenza e che potrebbe essere quello delle politiche di innovazione o quello delle politiche del lavoro o quello ancora delle politiche dell'approccio e dell'aggancio all'Europa, in modo che diano realmente sostanza ad un adeguato interfacciamento della Regione con il 1992.
E' sostanzialmente un modo per atteggiarci e operare. E' un modo che comporta delle "sofferenze", perché non credo che dobbiamo tosare i capitoli di spesa applicando una percentuale fissa. Occorrerà avere la volontà di selezionare questi obiettivi articolando la riduzione di spesa.
Uso il termine tosatura riferendomi all'economia monetaria. Una volta i re rimpinguavano le casse limando gli angoli delle monete d'oro e d'argento: questa operazione veniva chiamata tosatura. Allo stesso modo noi dobbiamo fare una tosatura dei capitoli di spesa, dobbiamo ridurre la funzione di spesa di alcuni di essi allo scopo di ricavare blocchi di spesa significativi che, lo ripeto, costituiscono una massa critica per intervenire in alcune aree di emergenza che io individuo nelle politiche dell'innovazione, del lavoro e dell'interfacciamento con l'appuntamento del 1992.
Un'altra area di intervento importante è il FIO. Per evitare che nella "confusione" (per usare un eufemismo) che si determina a livello nazionale il progetto da noi indicato con priorità ultima ci venga finanziato con priorità prima, i progetti legati al Fondo Investimenti Occupazione che noi proponiamo al Governo devono essere mirati con riferimento alle priorità individuate nel nostro Piano di sviluppo. Noi diamo priorità al riequilibrio dell'apparato economico, al riequilibrio del mercato del lavoro, al riequilibrio territoriale, per cui nella scelta dei progetti FIO occorre vedere il grado di ricaduta che una scelta di progetti può avere per massimizzare gli elementi che si vogliono privilegiare.
Un terzo elemento a parità di risorse (non sto chiedendo allo Stato più soldi o piangendo sulla mancanza di competenze e di risorse) riguarda gli interventi speciali del Governo. Questi interventi speciali ci danno autonomia nella scelta delle tecnologie, della dislocazione, dei rapporti cioè negli atti di attuazione, e tali attuazioni hanno ricadute diverse nel nostro apparato economico, nella piccola industria, nell'artigianato, nel terziario di progettazione, nelle esigenze di formazione del nostro mercato del lavoro, negli effetti sulla disoccupazione, negli effetti sulle fasce deboli e sulle fasce forti del mercato del lavoro. I fondi provenienti dal Governo relativi all'ambiente, al territorio, alla viabilità e così via devono essere visti nella scelta del progetto specifico, valutando gli effetti indotti e privilegiando quel tipo di configurazione della spesa che vadano in direzione del raggiungimento delle priorità del piano.
Un quarto elemento è il ruolo contrattuale che la Regione può assumere nella gestione del territorio, nelle politiche territoriali, che non possono essere fatte a compartimenti stagni, ma se ne deve vedere l'interconnessione. Cito il Lingotto, il Campo Volo, il problema delle ex aree siderurgiche dismesse. Occorre giocare un ruolo attivo complessivo rispetto ai grandi interessi economici che detengono queste risorse per farle fruttare e per orientarle all'interno della programmazione. E' anche con questo modo che possiamo recuperare rispetto per la programmazione regionale, perché se i potentati economici sanno che una determinazione assunta in questa sede in qualche modo ha gambe, ha coerenza, perché impone alcuni orientamenti di comportamento nell'utilizzo del territorio e in altri aspetti, gli stessi potentati saranno molto interessati alle decisioni di questa assemblea elettiva. E' chiaro che se discutiamo di scelte operative e legislative, i problemi del lavoro non devono stare da una parte e quelli dell'innovazione da un'altra. Occorre una guida sistemica dei processi decisionali che porti ad un maggiore rispetto del rapporto tra scelte, spese e coerenza con i principi di fondo. Mi rivolgo al Presidente Beltrami e all'Assessore Vetrino, tra l'altro Vicepresidente perché sia garantita questa funzione di sintesi e il rispetto delle coerenze.
Il Gruppo socialista non proporrà degli emendamenti al piano, perché li abbiamo presentati a suo tempo e abbiamo visto che sono stati recepiti.
Sottolineo che alcuni di questi emendamenti contenevano già alcune delle considerazioni che ho fatto. Vogliamo riconoscerci come Gruppo nella deliberazione di recepimento del Piano regionale di sviluppo, ma deve emergere chiaramente in tale documento il rapporto tra indirizzi di fondo e coerenza di comportamenti e finanziaria.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Santoni.
SANTONI Signor Presidente, colleghi Consiglieri, se questa discussione vuole avere un'utilità che va al di là dei fatti contingenti, credo debba innanzitutto dare risposta a un quesito: il Piano regionale di sviluppo così com'è, è ancora uno strumento utile? Non credo che le maggioranze e le Giunte che si sono succedute negli ultimi anni abbiano, con gusto perverso cercato di arrivare all'approvazione del piano in articulo mortis perch erano cattive o perché erano incapaci. Parlo delle maggioranze di coloritura diversa, le maggioranze e le Giunte di sinistra negli anni dal 1975 al 1985 e la maggioranza attuale in questa legislatura.
Allora dobbiamo chiederci perché si arriva sempre in articulo mortis ad approvare questo benedetto piano. Credo che la risposta sia proprio nella sostanza del piano stesso; non solo e non tanto nella procedura di approvazione, che è poi una conseguenza, ma nel merito e nella struttura con cui questo piano è stato sempre immaginato.
Dobbiamo ricordare che la volontà di programmazione generale era il mito degli anni '70, era come Garibaldi, non se ne poteva parlare male anche se poi nei corridoi male se ne parlava, e questo tipo di piano è figlio di quel mito, è figlio di quell'impostazione che gli anni hanno verificato, non solo in Piemonte e non solo in Italia, essere un falso mito, qualche cosa di impraticabile. E' il mito che in Italia ha creato le cattedrali nel deserto; è il mito che in altri Paesi ha fatto fare i piani quinquennali che regolarmente non venivano attuati e fallivano non dopo cinque anni, ma dopo due o tre. Allora dobbiamo incominciare a prendere il toro per le corna se vogliamo raggiungere un risultato utile, al di là dei tempi, e dobbiamo incominciare a rispondere a quel quesito che ho posto all'inizio: il piano, così com'è, è ancora uno strumento utile? Consentitemi una battuta. Mi ricorda la vicenda di un film di Paolo Villaggio: la Corazzata Potemkin. Ho l'impressione che il Piano regionale di sviluppo, così com'è, sia come la Corazzata Potemkin di cui tutti parlano bene nelle occasioni ufficiali, ma poi fuori ne parlano male.
Allora credo sia venuto il momento in cui un Fantozzi di turno dica che la Corazzata Potemkin è una boiata pazzesca, così com'è, altrimenti continuiamo a girare intorno al nodo del problema.
Al di là delle battute, dobbiamo prendere atto - questo vale anche per il collega Tapparo il cui intervento ho apprezzato anche se non l'ho interamente condiviso - che la società civile si sviluppa in una realtà libera, ma non solo in una realtà libera come quella in cui viviamo secondo sue regole, che non sono le regole perverse del grande capitale, ma sono le regole dello sviluppo, sono le regole della domanda e dell'offerta come il fiume che andrà sempre da monte a valle e qualunque cosa noi faremo non riusciremo mai a farlo andare da valle a monte; potremo orientarne il percorso, potremo correggerlo, contenerne gli argini, ma non invertiremo mai il flusso. Dobbiamo prendere atto di questo e cominciare a pensare ad una programmazione che parta dalla realtà in cui si vive e prenda atto delle tendenze che quella realtà ha.
Non dico che si debba procedere senza alcun tipo di programmazione ritornare al vecchio "laisser faire", ci mancherebbe altro. Credo però che dobbiamo adeguare e correggere i nostri strumenti dando priorità al punto di partenza cioè all'analisi della situazione in cui operiamo.
Quindi dovremo organizzare la nostra programmazione regionale partendo da un programma politico, da un'approfondita analisi socio-economica e territoriale che prenda atto della fotografia della società su cui si vuole incidere e delle tendenze e delle dinamiche che sono in atto in questa società, che elabori un progetto di interventi, progetti, leggi di settore e che si dia un collegamento stabile con gli enti locali che questo tipo di interventi, in ultima analisi, dovranno gestire. E da ultimo che sia in grado, cosa che non si è mai riusciti a fare, di verificare se i progetti le leggi, i programmi, alla fine della legislatura hanno avuto un esito quale risultato hanno avuto, cosa è stato realizzato e cosa no.
Se questa maggioranza e questa Giunta hanno avuto un pregio e ritengo che ne abbiano avuto più di uno - è stato quello di essersi date all'inizio di questa legislatura un programma che passava attraverso i tre enti territoriali (Comune, Provincia e Regione), perché questa maggioranza e la Giunta che si andava formando si rendevano conto che qualunque ragionamento di programmazione non poteva non coinvolgere gli enti locali territoriali.
Quella intuizione avuta all'inizio della legislatura credo vada coltivata e formalizzata in una nuova legge delle procedure, la quale stabilito il contenuto e l'oggetto del documento, dovrà rivedere il percorso, ma alla luce del contenuto e del progetto che vogliamo porre in essere: procedure che consentano entro il primo anno di legislatura di definire non solo il programma, ma il progetto di interventi e di leggi di settore, certamente quelle di maggior respiro, che si ritiene di dover porre in essere nel corso della legislatura. Una legge delle procedure che consenta non solo di avere un rapporto di consultazione con gli enti locali, ma un rapporto di programmazione coordinata tra la Regione e gli enti locali che dovrà svilupparsi nel corso della legislatura e che consenta, alla fine della stessa, una verifica dei progetti posti in campo e di ciò che è stato fatto o non è stato fatto.
Cari colleghi, ogni volta che si discute di Piano di sviluppo, o meglio, ogni volta che si pone mano al Piano di sviluppo, ho l'impressione che si parta dall'anno zero, come se quello che è successo prima fosse irrilevante e come se si dovessero dettare le dodici tavole del comportamento regionale per gli anni a seguire. Credo che anche questo attraverso l'individuazione esatta del documento che si vuole fare e delle procedure che si dovranno seguire, dovrà essere superato. Bisognerà tener conto che la vita della Regione nei suoi aspetti istituzionali e nei suoi aspetti di società civile, è qualche cosa di continuo che non è la fine della legislatura ad interrompere. Bisognerà considerare che certi fatti ci sono stati, bisognerà quindi valutarli e quello che sarà da correggere bisognerà correggerlo e quello che sarà da continuare bisognerà indicare esplicitamente la necessità di una continuazione.
Ho cercato di semplificare perché se ci si vuol capire è meglio non girare intorno alle questioni e andare per grandi titoli e per semplificazioni.
Queste cose sono emerse dalle consultazioni che la I Commissione ha svolto più di un anno fa sul testo originario del piano. Quando abbiamo incontrato gli amministratori locali, i responsabili delle categorie produttive e sociali, l'attenzione maggiore che quei soggetti hanno dato al documento che presentavamo e su cui chiedevamo un parere, era proprio sulle leggi che la Regione aveva varato o che non aveva ancora varato. Ci chiedevano informazioni sullo stato della legislazione sulle autonomie locali, sulla tutela ambientale e paesistica, sulla modifica della legge urbanistica, della legge sui centri fieristici; ritornando al piano, ci chiedevano notizie sugli interventi infrastrutturali e sui progetti, quali potevano essere finanziati e andare avanti.
Quindi, era un atteggiamento estremamente pragmatico, estremamente legato all'attività concreta della Regione e al suo svolgersi in questo periodo di legislatura, ben sapendo che i grandi titoli, i grandi quadri di prospettiva, sarebbero sfumati nella necessità di arrivare all'approvazione di un documento certamente non all'inizio, ma più verso la fine della legislatura.
Se rimaniamo attestati su questo concetto di piano e su questo iter processuale, in ogni legislatura ci ritroveremo qui a lamentare, a seconda della collocazione che avremo di maggioranza o di opposizione, recitando ognuno la nostra parte, il nostro ruolo, il fatto che la programmazione non decolla e che si arriva sempre alla fine della legislatura ad approvare questo documento. E' un circolo vizioso da cui non si esce se non si cambia il metodo e la sostanza di ciò che si vuole programmare.
Credo che questo piano qualche intuizione in questa direzione l'abbia avuta e la miglior conferma è venuta ieri dalla collega Bresso che alla fine ha detto: "qui c'è un po' di tutto, però quello che, a mio avviso manca è il corpo centrale del piano". Questa è la prova che il piano oggi davanti a noi è un po' diverso e ha incominciato a imboccare quella strada che cercavo di indicare laddove, a parte gli allegati e i documenti esecutivi, si compone di quattro parti essenziali: un'analisi un'individuazione degli obiettivi, un quadro finanziario e un'indicazione dei progetti. Questa è la struttura portante del piano e io credo che sia una struttura corretta, magari da aggiustare e da adeguare alla luce delle indicazioni che ho dato, sia pure in modo generico.
Manca un corpo centrale, manca cioè quel grande affresco complessivo.
Io però sono ben lieto che manchi perché credo che non sia più quello lo strumento adeguato per governare una reale programmazione.
Si dice che siamo arrivati tardi, ma abbiamo visto le cause.
Io credo che la forza delle cose sia sempre superiore alla volontà degli uomini. Se leggiamo quello che c'è scritto nei progetti e negli obiettivi, vediamo che in larga parte queste cose sono state già fatte molti progetti sono già stati avviati, molti hanno già ricevuto in parte il finanziamento (dal FIO perché le risorse regionali sono quelle che sono) molti obiettivi che necessitavano di una legge sono stati perseguiti attraverso leggi che il Consiglio regionale ha già discusso e votato, e non soltanto negli ultimi mesi.
Anche la parte che riguarda il territorio, che dà importanti indicazioni di quadro, è già in cammino. Certamente, non iniziamo con questo piano l'individuazione e il processo. Per esempio, i processi dei centri intermodali di trasporto merci di Torino e di Novara sono già in fase di attuazione, in parte hanno già i relativi finanziamenti.
Il programma era all'inizio e il piano, con una procedura e con un rito che ritengo siano da superare, è già in atto. Il Consigliere Bontempi osservava che con questo meccanismo si finisce per sottrarre i processi alla decisione del Consiglio. Questo è vero fino ad un certo punto, perch tutte le determinazioni che concretamente hanno dato avvio alle iniziative che in questo piano sono descritte, sono passate all'esame del Consiglio sotto la veste di leggi, di deliberazioni, di scelte ed atteggiamenti della Giunta.
Cari colleghi, credo che non faremmo opera utile a noi e alle istituzioni continuando a far vivere dei miti che non hanno più ragione di vivere; non continuiamo a piangerci addosso sul ruolo della Regione, sul fatto che alla gente non interessa più quello che facciamo, sul fatto che stiamo perdendo di immagine, sul fatto che la collocazione della Regione nel quadro complessivo dei poteri statuali, da quelli centrali a quelli periferici, perde di ruolo. Se questo avviene, dipende in gran parte dalla nostra capacità o incapacità a ritrovare, a ricercare un ruolo della Regione che sia attuale, che non sia ancorato a miti ormai superati.
Non arrocchiamoci su vecchi ruoli che non ci sono più, cerchiamo di trovare strumenti e contenuti che ricollochino la Regione nel quadro complessivo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ala.



PRESIDENTE

ALA



PRESIDENTE

E' quasi d'obbligo intervenire su un documento che si propone di avere un ampio ed elevato peso e di essere uno dei documenti chiave di una legislatura e di una maggioranza, o comunque di una coalizione di governo più o meno solidamente in sella da tempo, e che probabilmente si augura di esserlo a lungo, senza - io credo - molto consenso da parte dei cittadini della Regione. Ma questo è un aspetto secondario.
L'intervento che segue sarà di carattere generale e non entrerà nel merito dei singoli progetti e delle singole parti, perché parte da una sottovalutazione del documento che si augura resti (diversamente da quanto paiono augurarsi altri, compresi i giornalisti) un libro dei sogni, una sorta di documento inutile. Non ce la sentiamo di affermare, come invece fa "Stampa Sera", che è "un documento bello". No, non è bello e mi auguro che sia in buona parte inutile. Del resto avrei voluto vi fosse stato modo di ragionare tutti insieme sul precedente Piano di sviluppo e su quanto di quel piano sia stato attuato. In altri termini: non solo si facciano i piani, ma terminato il periodo di validità di un piano si valuti e verifichi quanto sia stato fatto o meno. Questo non mi pare sia avvenuto rispetto al piano precedente, uno dei cardini del quale era uno splendido piano in materia energetica. Il nuovo Piano regionale di sviluppo ha evidentemente imparato alcune cose: non si parla più del Piano energetico regionale. Si farà piuttosto una conferenza. Ma anche la conferenza regionale sull'energia pare essere una questione quasi dimenticata nonostante la larga unanimità.
All'interno del Piano regionale di sviluppo questa pare essere una questione che si mette da parte e si scantona. Nel piano precedente stava invece la centrale nucleare di Trino. Questo serva da monito: il megaprogetto, la megaquestione è naufragata di fronte alla distanza fra le intenzioni e la realtà. Quindi, la forza delle cose il collega Santoni l'ha richiamata poco tempo fa - si è incaricata, e mi auguro si incarichi nuovamente, di mettere in soffitta buona parte di questa programmazione.
Programmazione che tra l'altro non sembra fatta da quel baldo manipolo di Assessori regionali e membri dell'Ufficio di Presidenza che diligentemente alzavano le loro bandierine bianche al Palasport durante la trasmissione televisiva in diretta condotta da Piero Angela, tutti lì in prima fila a dire "siamo bravi ambientalisti e alziamo le bandierine".



PRESIDENTE

Abbiamo anche notato che tu non c'eri.
ALA Io ho visto il Presidente Rossa, l'Assessore Cerchio, l'Assessore Brizio e l'Assessore Moretti, tutti lì ad alzare "belli belli" le bandierine. Immagino avessero i biglietti invito perché il sottoscritto caro Presidente Rossa, non c'era perché si è presentato di fronte al Palasport, al termine della seduta del Consiglio regionale, insieme a suoi amici e ha visto che per entrare bisognava avere fantomatici biglietti invito. Avrei certo potuto mostrare le tessere di cui sono in possesso, ma non potevo abbandonare gli amici, per cui sono andato con loro in birreria e a posteriori posso dire che in quel modo ho fatto esperienza più piacevole e interessante e culturalmente utile. Tanto più che, poi, alla televisione abbiamo avuto modo di vedere la manifestazione. Ed in merito è meglio un diplomatico "no comment".
Stavo dicendo che gli Assessori che sono andati ad alzare le bandierine al Palasport, lo stesso giorno in Consiglio regionale avevano alzato i limiti dell'atrazina, mentre in questo Piano di sviluppo si preoccupano di alzare ampie, adeguate e confacenti infrastrutture in cemento armato.
Io invoco coerenza, colleghi! Non affastelliamo insieme nello stesso piano questi elementi con altri elementi che possono essere rilevanti e interessanti, perché ve ne sono in questo piano. Non voglio nuovamente essere iscritto nella pagellina dei cattivi, come ha fatto recentemente l'Assessore Cernetti alla quale deve essere regalata una lavagnetta sulla quale scrivere i nomi dei buoni e dei cattivi.
Coerenza imporrebbe di assumere atteggiamenti coerenti sempre e non come è successo, di avere un certo atteggiamento in Consiglio e di averne un altro al Palasport. In ogni caso - potrebbe essere presentato come un doppio emendamento - in via preliminare non ritengo che la Regione abbia bisogno di un Piano di sviluppo. A mio parere la Regione ha bisogno sì di un piano, ma non di sviluppo, bensì (richiamo un dibattito avviato recentemente in VII Commissione) di riequilibrio, un piano tendente a raggiungere alcuni obiettivi di stabilità e di equilibrio, un piano che si inserisca nella consapevolezza che siamo in presenza di un equilibrio turbato che deve essere ristabilito, così come la perdita dell'equilibrio faunistico nelle aree a parco. Questo atteggiamento dovrebbe trasparire sin dal titolo, altrimenti i Piani di sviluppo si collegano l'un l'altro nell'impostazione filosofica di fondo e, pur nella loro diversità, non vi è distinzione tra questo piano e quello precedente. Si possono esaminare tutti i progetti, ma quando prima ho parlato di nucleare è perché ritengo che anche il Piano regionale di sviluppo precedente puntasse, scommettesse avesse fiducia in un modo di gestire il nostro Paese che dev'essere invece a mio avviso abbandonato.
Altro emendamento che si potrebbe apportare (visto che il piano è quello che è, e non può essere definito un piano tendente al raggiungimento di un equilibrio) potrebbe essere quello di chiamarlo con il suo vero nome come anche il piano precedente, ovvero "Piano di distruzione programmata del territorio della Regione Piemonte". Più o meno programmata perché in questa Regione non c'è molta programmazione, comunque pur senza programmazione un tentativo sistematico di intervenire nella distruzione esiste. Del resto c'è un piano molto più bello, perché è già stato fatto: si tratta dell'Indice sistematico dell'anno 1988 del Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte, l'indice sistematico del degrado della nostra Regione. E' un elenco di autorizzazioni ai sensi della legge n. 27 autorizzazioni ai sensi della legge n. 431; autorizzazioni a costruire e ad asfaltare strade, piste in montagna, ecc. Settimana dopo settimana milioncino in qualche caso e miliardi in qualche altro, secondo una geografia politica più che secondo una geografia territoriale, possiamo scorrerlo in ordine alfabetico, dalle captazioni e derivazioni d'acqua alle piste forestali, ai contributi alle aziende inquinanti, le cave e torbiere l'edilizia agevolata, commerciale, sportiva, convenzionata, economica popolare e le opere varie; le fiere, le mostre, i mercati; le linee elettriche; i porti, le opere pubbliche, ecc. Questo è il piano per il 1988 già svolto, che è un segmento del grande piano.
La distruzione è programmata e sistematica. Ogni martedì mattina la Giunta regionale si incarica di contribuirvi con il suo obolo di cemento armato e di qualche albero in meno. Che siano atteggiamenti ormai inveterati e probabilmente cronici, non episodici e non contingenti, pare dato dal fatto di una sistematicità, di una stabilità. E quale fretta! Come nel caso dell'inceneritore di Moncalieri tra la decisione del Consorzio Torino Sud e la deliberazione della Giunta regionale con i poteri di urgenza immediatamente esecutiva. Meno d'un mese, 63 miliardi, inquinamento e IVA inclusi.
E' vero che ci sono anche autorizzazioni che non arrivano, però auspico una minore efficienza nella procedura di asfaltamento della nostra Regione da parte della Giunta regionale, perché il fatto di andare a vedere i monitor con il CO2 che aumenta e le foreste che diminuiscono riguarda anche la nostra Regione. Noi potremo tranquillamente ogni giorno vedere di quanto si riduce il territorio non urbanizzato della nostra Regione, quanto CO2 buttiamo in aria (anche se è noto che solo la città di Milano è inquinata dalle automobili) e di quanto depauperiamo il patrimonio forestale, cioè di quanto si riducono gli alberi ogni giorno. Abbiamo un piccolo territorio e non un pianeta, però portiamo coraggiosamente e civilmente il nostro contributo alla sua distruzione, per quanto di competenza. Pare che questo nel piano venga ulteriormente codificato: il piano regionale di distruzione programmata è un piano a prova di ottimismo, redatto da una Giunta che sta nella sala da ballo del Titanic, che tranquillamente è lì inossidabile e si ritiene inaffondabile, non tanto come maggioranza quanto come modello e concezione di cultura di governo e di gestione di un territorio e di una serie di risorse. L'iceberg sta fuori e l'iceberg nella nostra Regione ha una serie di nomi ormai noti. Tra l'altro, questa Giunta regionale non nega neppure la loro esistenza, perché poi in qualche pagina che esistano delle emergenze è anche scritto, ma è la coerenza che manca. Le emergenze e le politiche per fronteggiare le emergenze coesistono, e quasi sempre vengono dopo, con le politiche che costruiscono, producono e mantengono le emergenze medesime.
Non si può dire che c'è il dissesto idrogeologico mentre nelle pagine precedenti vediamo quante ulteriori strade ed interventi infrastrutturali possiamo e vogliamo fare in montagna. Non possiamo dire che ci sono delle emergenze idriche e poi produrre una delle parti più tragiche e pericolose di questo piano, cioè quella relativa al Piano degli acquedotti e all'approvvigionamento idrico. E' una delle parti più pericolose e preoccupanti di questo piano, forse anche una delle più dettagliate per quanto riguarda le voci di spesa e i singoli interventi. Ma è certamente la parte che più incide su alcuni elementi ormai fragilissimi.
Altra emergenza è quella dei rifiuti. Colgo l'occasione per ringraziare il Vicepresidente Vetrino per avermi risposto in merito ad una mia lettera rispetto alla congruenza tra Piano regionale per l'organizzazione dei servizi di smaltimento e questo Piano di sviluppo. La risposta non dice che l'incongruenza non c'è, dice soltanto che i ragionamenti sono in buona parte diversi. Resta il fatto che l'emergenza rifiuti, l'emergenza acqua l'emergenza aria, l'emergenza inquinamento collegato ad una certa politica dei trasporti, l'emergenza viabilità derivante dall'eccesso di strade l'emergenza agricoltura, l'emergenza futura del turismo (cioè di come il turismo sia ormai avviato a diventare un'altra emergenza ambientale della Regione), l'emergenza approvvigionamento idrico, ci sono ma non sono assunte con carattere di priorità, come quegli elementi attorno ai quali soltanto, con poche eccezioni, deve essere costruito un piano regionale che miri ad un equilibrio e ad un tentativo di raggiungimento non dico della felicità dei cittadini che abitano in questa regione, ma di un minimo di sostanziale tranquillità per quanto riguarda il loro futuro e quello dei loro figli.
Le poche altre emergenze da aggiungere, che compaiono in parte nel piano come dichiarazione e come intenti, sono: l'emergenza occupazionale (soprattutto per quanto riguarda il mondo giovanile) e l'emergenza anziani che nel piano compare come indicazione, dovuta al progressivo invecchiamento della nostra regione con i problemi che comporta. Compaiono molto meno l'emergenza della disgregazione della società che vive nelle grandi metropoli, di cui certe forme di condizione giovanile sono soltanto i fenomeni più appariscenti. E non compare ugualmente, con il dovuto interesse e la necessaria attenzione, il problema dell'immigrazione dai Paesi extracomunitari che pure è destinato, come tutti sappiamo e come dicono ampiamente le cronache recenti, a diventare uno dei problemi emergenti anche della nostra Regione. Ma non è possibile costruire un piano con alcune di queste preoccupazioni e combinarlo con le direttrici pedemontane o altre direttrici d'altro genere o autostrade. Queste cose non ci possono stare e non devono starci più. Una volta che noi abbiamo preso in esame e affrontato le emergenze di carattere ambientale e sanitario e le esigenze, gli investimenti e le politiche che a questo devono essere correlate, occorre fermarsi. Proprio per poterle realizzare. E non dimentichiamo che alcuni di questi interessanti progetti nel piano compaiono, quali il monitoraggio dell'aria o il catasto dei rifiuti. Fermo restando che il catasto dei rifiuti mi pare sia ormai una eredità di vari progetti, piani e decisioni. E' quella cosa che ogni anno ci si dice che deve esistere. Anzi, che l'Assessore ci dice che esiste. Ed è stravagante che poi, ogni volta, venga indicata come cosa che è ancora da fare. Ma perché non scommettere su una rete efficiente di laboratori di sanità pubblica e di monitoraggio ambientale? E' una scommessa che qui non vedo su un rapporto Regione-cittadini improntato ad una correttezza, ad una ricchezza e tempestività di informazione.
La politica dei parchi: non è possibile mantenerla unita e collegata a politiche che rispetto a quella dei parchi sono antagonistiche e schizofreniche: viabilità, trasporti, usi plurimi delle acque, attività di escavazione, turismo massiccio e ad alto impatto ambientale. Se si fa il PTO del Po e il Parco fluviale del Po (cosa che, come è noto all'Assessore e a tutti i Consiglieri, io auspico venga fatto in questa legislatura) questo implica che non si possono fare le altre strade. Non è possibile che ogni Assessore, ogni corporazione, ogni lobby, ogni insieme di interessi produca, sviluppi e voglia fare la politica che a lui compete andando una in un modo e l'altra in un altro.
MIGNONE, Assessore alla viabilità Per andare nei parchi ci vogliono le strade.
ALA Ci vogliono i sentieri.
La politica ambientale ne esce sconfitta.
A proposito della politica relativa alla grande area metropolitana, non c'è scritto da nessuna parte che le aree non consumate debbano rimanere non più consumabili, mentre invece è questa la politica realistica che va fatta. Più volte qui abbiamo parlato purtroppo della spensieratezza dell'allegria, della voluttà, della libidine con la quale le amministrazioni comunali, provinciali e regionali vanno a consumarsi il territorio disponibile dal Comune di Torino ai Comuni di sinistra della cintura torinese.
A me piacciono le citazioni musicali e quella che era relativa all'ottimismo da Titanic, ovviamente faceva anche riferimento ad una splendida canzone di Francesco De Gregori. La canzone di Francesco de Gregori parlava anche dell'esistenza sul Titanic, che comunque andava tutto alla catastrofe nell'ottimismo positivista di inizio secolo, di una prima classe, una seconda classe e una terza classe. Ancora adesso nell'ottimismo attuale, esistono la prima, la seconda e la terza classe esistono quelli che andranno a fondo in terza classe e quelli che ci vanno in prima classe. Anche a questo aspetto, a quello della disuguaglianza, nel duecentesimo anniversario della egalité della Rivoluzione francese, noi continuiamo a non prestare sufficiente attenzione. Ed è poco probabile pensare che all'uguaglianza provvedano il mercato o le politiche tatcheriane. All'uguaglianza dovrebbero soprattutto pensare gli enti pubblici (la Regione, lo Stato e via dicendo). E' per questo che problemi come quelli relativi agli aspetti sanitari, ai nuovi diritti di cittadinanza, di accesso all'informazione, all'abbattimento delle barriere architettoniche devono essere considerati. Beni che una volta erano disponibili ed ora non più. Nuove povertà individuali e collettive, come la qualità dell'aria e dell'acqua, non sono sufficientemente considerati nelle ultime vicende e soprattutto in questo piano regionale.
Vorrei brevemente esaminare alcuni aspetti che mi paiono cruciali in questo piano, che riguardano le politiche legislative e la questione della legge regionale n. 56/77. A pag. 75 di questo piano si legge un'affermazione che, a mio modo di vedere, è una spia della scelta di campo culturale e ideologica prima che politica compiuta da questo piano e che dimostra quali sono i referenti e i modelli ai quali ci si rifà. A pag. 75 del piano sta scritto - e mi spiace non sia in aula l'Assessore Genovese considerato che una frase come questa suona strana rispetto alle politiche finora adottate in campo urbanistico - che la correzione della legge n.
56/77 deve essere intesa come "codificazione e traduzione territoriale delle scelte economiche fondamentali in atto e programmate". Questo modello di ragionamento e di comportamento è la pietra tombale su ogni politica ambientale nella nostra Regione. Se le politiche ambientali sono subordinate - come si dice - e devono essere la traduzione territoriale delle scelte economiche fondamentali in atto e programmate, si dica con chiarezza che questo atteggiamento è la svendita del territorio. Allora l'ambiente è come la ciliegina sulla torta, buona soltanto per una scampagnata al Palasport.
Le geremiadi sulla finanza locale e sulla mancanza della finanza locale sono state da me curate con relativa scarsa attenzione, perché ritengo che il problema principale sia come spendere e non quanto si ha da spendere.
Paradossalmente, posso affermare che le limitazioni della finanza locale stanno trasformandosi in un elemento a beneficio della tutela ambientale proprio perché impediscono, e hanno impedito molte volte, la realizzazione di progetti devastanti. Anche se poi gli Assessori di ogni ordine e grado usano la mancanza di finanziamenti e di fondi a bilancio delle amministrazioni locali per sostenere che non si possono fare le politiche ambientali. Però, con i pochi soldi a disposizione si riescono a fare già troppo bene le politiche di distruzione dell'ambiente. E vorrei che qualcuno mi spiegasse come l'aumento della finanza locale possa trasformarsi in un aumento delle politiche a tutela dell'ambiente e non in un aumento delle politiche a distruzione del territorio. Di un territorio che qui viene percepito come ostacolo al dispiegarsi delle scelte economiche e delle politiche commerciali: dei trasporti, delle merci che circolano, delle espansioni urbane. Dove il piano individua la viabilità come lotta titanica dell'uomo che costruisce le strade per superare gli ostacoli naturali, per far viaggiare e ingolfare le merci più in fretta per creare centri intermodali, centri plurimodali, centri plurifunzionali centri direzionali, tutti ovviamente asfaltati che occupano quanto più spazio è possibile, sottraendolo alla Cenerentola di turno che è l'agricoltura. Tutto un tripudio di affermazioni e concezioni quali la viabilità come presupposto di sviluppo, la complessità, l'innovazione, la modernizzazione, che cerca di coprire un quadro di aggressione generalizzata.
Le pagine che cercano di contrastare questa aggressione appaiono essere il frutto di una mediazione politica, di una contrattazione che dice: "distruggiamo soltanto il 95% del territorio e il 5% tuteliamolo" (fermo restando che i cacciatori la pensino diversamente).
L'ultimo aspetto, trattato anche dai colleghi, che voglio citare è il rapporto fra aree urbane e montagna che viene delineato in questo Piano regionale di sviluppo. Quando parlavo di mancanza di uguaglianza intendevo dire che questo piano mira ad ampliare il disequilibrio nella nostra Regione, per quanto riguarda le aree deboli e le aree montane, nonostante ciò venga camuffato da pagine e pagine relative alla tutela e valorizzazione e tanti bla-bla relativi alla montagna. La montagna nonostante gli interventi, i convegni e le belle parole, viene ormai considerata secondo modelli coloniali dai grandi centri di decisione che riguardano il territorio. Lo si vede per quanto riguarda la parte delle infrastrutture. Le infrastrutture in montagna sono finalizzate non alla montagna, ma al superamento della montagna in vista dei mercati unici che magicamente trasformeranno il nostro Paese. Quindi, la montagna è un ostacolo. La valorizzazione turistica della montagna viene affidata a grandi interventi finanziari, da Sampeyre all'Alpe Veglia (per citare la nostra regione), i cui benefici sugli abitanti della montagna saranno sostanzialmente inesistenti e si tradurranno in condomini, cemento accompagnati dalla distruzione di conifere e di alberi ad alto fusto. Come ho detto recentemente in II Commissione, un giorno viene finanziata la costruzione delle piste da sci e il giorno dopo viene finanziata la mancanza della neve. Tutto ormai viene finanziato ed è questo il vero "hard" intervento che viene fatto in montagna. Ed è tutto a beneficio delle società finanziarie berlusconiane, insieme alle grandi opere di viabilità e al vero furto legalizzato e organizzato che questo Piano regionale di sviluppo mette in atto parallelamente a quello che ha in mente l'ENEL (sempre grande amico della nostra Regione). Mi riferisco al furto generalizzato della risorsa idrica in alta montagna come risultato del fallimento totale di ogni politica relativa all'inquinamento idrico, sia di origine industriale, sia di origine civile, sia di origine agricola.
Progetti, quali l'invaso della Combanera, rappresentano l'imperio e il dominio da parte del modello di sviluppo urbano sulle aree periferiche della nostra regione. I benefici dell'attività turistica, intesa come svago, ritornano sulle aree metropolitane e per i cittadini metropolitani.
E il furto dell'acqua distrugge la montagna. Quindi la montagna è sempre di più al servizio, come un paese del Terzo Mondo, come una colonia, della vita urbana. E con il paradosso (ritengo che tutti possano valutare la fatica che mi costa giungere ad un ragionamento del genere) che anche la politica di tutela ambientale, fatta come ormai viene fatta, finisce per assumere l'aspetto di una conservazione di una risorsa ambientale in montagna a beneficio reale o immaginario dell'elettore urbano, del cittadino urbanizzato. Perché una politica ambientale che è in grado di imporre vincoli soltanto nelle aree di montagna, quelle coloniali, e non riesce a imporli a Collegno, a S. Mauro, a Carmagnola, lungo l'asta del Po nelle zone forti di pianura, significa paradossalmente che anche la politica dei parchi è un momento di colonizzazione delle aree deboli del nostro territorio. Ed è proprio questo modello violento che produce cemento, asfalto e progressiva colonizzazione ed emarginazione di aree del nostro territorio che fa sì, insieme alla totale mancanza di coerenza di questo piano, che il mio giudizio non possa che essere totalmente negativo.
Un ottimismo che avrà bisogno di chissà quanti altri rovesci e schiaffi in faccia dalla realtà per essere in minima parte tenuto sotto controllo, con l'auspicio che la popolazione e purtroppo la realtà delle cose si incarichino, come è avvenuto con il precedente Piano regionale di sviluppo di impedire la realizzazione di questo piano.
Ben venga allora la mancanza di risorse a contribuire alla non realizzazione del piano. Il mio unico dispiacere è che la mancanza di risorse purtroppo non andrà soltanto a limitare gli interventi a base di asfalto e di cemento, ma colpirà soprattutto quei pochi interventi presenti all'interno di questo piano che sono meritevoli, in tutto o in parte (e comunque in larga misura), di attenzione e di attuazione.



PRESIDENTE

La parola al collega Ferrara.
FERRARA Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il Partito repubblicano si riconosce nelle valutazioni e nelle indicazioni del piano, quindi non ritiene di dover intervenire globalmente su tutti i vari aspetti del piano ma si limita a fare alcune considerazioni e puntualizzazioni in ordine al piano stesso.
Una prima valutazione che il Partito repubblicano ritiene di dover fare è già stata oggetto di esame e di dibattito non solo in quest'aula, ma anche al di fuori, ovvero sul ruolo che il Piano di sviluppo regionale deve avere e che ha.
Noi abbiamo la convinzione che il Piano di sviluppo regionale, ma non solo questo, in genere i documenti di programmazione così come vengono elaborati, sono il frutto di una cultura profondamente radicata in Italia e in Piemonte e che a mio giudizio è superata sia sul piano del metodo di elaborazione sia sul piano dei contenuti.
Sul piano del metodo dell'elaborazione e dell'approvazione del Piano di sviluppo regionale, credo siamo tutti ormai d'accordo sulla necessità di snellire le procedure della programmazione. Il ritardo in sé grave di alcuni anni in altre condizioni sarebbe stato oggetto, a nostro giudizio di forte censura e polemica da parte dell'opposizione, ma di fatto questa forte critica non c'è stata. E questo, io credo, non solo per qualche tipo di difesa del passato, quando situazioni di questo genere già si erano manifestate, quanto nella convinzione che le norme stesse che noi ci siamo dati sono vecchie, sono superate, sono da aggiornare, ma sono soprattutto da snellire, da rendere compatibili con quello che dovrebbe essere un disegno programmatorio reale.
E' inammissibile che un documento che è stato approvato dalla Giunta nel 1986, già in ritardo rispetto ai termini di legge, impieghi tre anni per giungere all'approvazione in quest'aula, di fatto vanificando gran parte dei contenuti programmatori che lo stesso ha.
Ma anche sui contenuti occorre fare qualche riflessione. Che cos'è un Piano di sviluppo regionale? E' ancora utile un Piano di sviluppo regionale così come lo stiamo elaborando? Il collega Santoni ha posto una serie di problemi in parte condivisibili. Occorre fare una seria riflessione in ordine ai contenuti del piano, perché un Piano di sviluppo regionale, per aver valore, deve essere un piano di indirizzo strategico, di obiettivi grandi che la Regione vuole porsi, lasciando i contenuti specifici della programmazione, le scelte specifiche e puntuali, agli atti legislativi ed amministrativi da adottarsi nel corso di validità del piano.
Dalla fine degli anni '50 tutti i piani di fatto hanno avuto un indirizzo analogo a questo. Io sono a conoscenza però di un'eccezione (forse potrebbero essercene state altre) rispetto a questo modo di fare che risale al principio degli anni '60, quando un uomo di governo, che credeva fortemente nella programmazione, stilò un documento programmatorio di poche pagine come nota aggiuntiva ad un bilancio dello Stato che presentava indicazioni e coerenze di politica economica allo scopo di individuare una strategia di sviluppo per la nostra economia. Mi riferisco alla nota aggiuntiva al bilancio dell'onorevole Ugo La Malfa. Quelle indicazioni, che vennero poi conosciute come politica dei redditi, rappresentano ancora oggi, dopo tanti anni di critiche da destra e da sinistra, dal mondo imprenditoriale e dal mondo sindacale, una strategia riconosciuta ed accettata sostanzialmente da tutti.
Occorre quindi a nostro avviso fare un grosso sforzo nel processo di revisione delle procedure di programmazione per giungere ad un Piano di sviluppo regionale meno dettagliato, meno operativo, meno puntuale, più di indirizzo. Sono consapevole del fatto che questo è molto più difficile. Non si fa programmazione integrando con qualche progetto un piano dettagliato puntuale elenco di tante cose. Bisogna immaginare un nuovo Piano di sviluppo nel quale il ruolo della Regione dev'essere fortemente ed essenzialmente di programmazione. Io dico "essenzialmente di programmazione" ben sapendo che la Regione ha anche una parte di funzione gestionale, ma lo dico anche perché nel Piano di sviluppo si fa questa distinzione dicendo "di programmazione, ma anche di gestione deve essere il ruolo della Regione". Io credo però che si è fatto troppo spesso soltanto della gestione a scapito della programmazione, troppe volte la programmazione è stata negletta, dimenticata, per certi versi quasi indisponente in questa Regione e quindi ritengo sia giusto rafforzare questo ruolo importante.
Per fare la programmazione però la Regione deve essere attrezzata occorre pertanto procedere ad una revisione delle sue strutture. La Democrazia Cristiana nei giorni scorsi ha diffuso un documento che sul piano delle strutture organizzative dell'ente dice cose assolutamente condivisibili. Dice infatti che "principali vizi della struttura sono una burocratizzazione molto forte e rigida e una confusione sempre maggiore di ruolo tra il politico ed il funzionario burocrate" e indica quale soluzione una maggiore snellezza ed una capacità di rispondere con maggiore flessibilità alle domande che vengono poste dai cittadini.
Il Piano di sviluppo a mio parere dà indicazioni in questo senso, pone problemi di efficienza sostanziale della struttura. Sono valutazioni condivisibili per il Partito repubblicano anche perché già in passato aveva dato, per quanto poteva, queste indicazioni.
Ricordo che nel dibattito svoltosi qualche anno fa sulle strutture della Regione, il Partito repubblicano fece un grosso sforzo, devo dire assolutamente inutile, in questa direzione indicando metodologie ed obiettivi diversi da quelli che poi si sono assunti. Evidentemente allora non c'erano le condizioni, ma alla luce di quanto è emerso oggi o da quanto si dice nel Piano di sviluppo da una parte e da quanto è detto nel documento della DC per altro verso, riteniamo esistano queste condizioni.
E' un fatto nuovo, di grande importanza che se ha i contenuti che paiono emergere da questi documenti sarebbe già un fatto in sé qualificante per un'intera legislatura regionale.
Venendo ad alcuni punti importanti di questo Piano di sviluppo troviamo come emergenza fondamentale i problemi dell'occupazione che sono reali e di grande importanza. Occorre dire onestamente che l'attività della Regione nel settore del lavoro e dell'occupazione è stata importante. Sebbene molte volte non sia condivisa totalmente dal Partito repubblicano e sebbene molte volte si sia assistito ad una maggiore convergenza tra scelte della Giunta e Partiti di opposizione rispetto a determinati strumenti più puntuali e precisi, sostanzialmente l'attività della Regione viene condivisa dal Partito repubblicano dando atto che è stata migliorativa rispetto agli strumenti normativi che esistevano in precedenza.
Siamo convinti - l'abbiamo già detto e lo vogliamo ripetere perché ne siamo fortemente convinti - che i veri strumenti attivi di lavoro, quindi capaci di vincere, di superare i problemi della disoccupazione, sono comunque quegli strumenti che avvicinano di fatto la domanda all'offerta di lavoro. Mi riferisco in modo particolare alla formazione professionale, ma non solo a questa. I giudizi sull'andamento dell'occupazione in un tempo non brevissimo, indicati nel Piano di sviluppo, sono fortemente allarmanti.
A volte però si può dire che siano più allarmanti, per un verso completamente diverso e quasi per l'opposto dei motivi che caratterizzano l'allarme attuale, i dati riferiti al medio periodo. In base a studi effettuati dalla Fondazione Agnelli nella seconda metà degli anni '90 esisterà una criticità dell'occupazione di natura fortemente diversa da quella attuale e dei prossimi immediati anni. Lo studio ci dice che oggi il fabbisogno, per esempio, di ingegneri nella sola provincia di Torino è di mille ingegneri all'anno, oltre al fabbisogno collaterale esistente per i servizi pubblici e privati, ma i laureati in ingegneria attualmente sono circa seicento all'anno, quindi già oggi esiste una forbice rispetto alla domanda e all'offerta del lavoro.
Analoga situazione esiste, anche se è meno esasperata, per i diplomati tecnici. Gli andamenti demografici prevedibili, previsti, ormai noti, ci dicono che queste criticità andranno vieppiù aumentando, diventeranno vieppiù allarmanti.
In questa situazione credo che la Regione Piemonte possa e debba svolgere un ruolo programmatorio importante, almeno su alcuni aspetti quelli su cui può vantare argomenti specifici e puntuali.
Uno di questi è l'Università. Si deve avviare con urgenza il progetto di decentramento dell'Università del Piemonte. Senza velleitarismi, senza chiedere nuove Università per avere nuove e piccole cattedrali, ma distribuendo armonicamente sul territorio secondo le esigenze stesse del territorio, istituendo quei corsi di laurea che devono essere coerenti con le esigenze del mercato di oggi e in prospettiva. Se le scelte di distribuzione sul territorio e dei tipi di corsi di laurea fossero motivate da contenuti campanilistici o per tradizioni o da funzioni e ruoli essenzialmente elettoralistici, noi crediamo che si tradirebbe fortemente il ruolo della programmazione della Regione in un settore che può essere strategico rispetto al superamento di determinate difficoltà del Piemonte.
Altro strumento forte, che mi pare trattato in modo un po' marginale nel Piano di sviluppo regionale, è la formazione professionale. Si tratta di una funzione propria delle Regioni, che ha una valenza strategica reale che deve essere considerato momento centrale dell'attività regionale. Non credo sia necessario oggi riprendere i dibattiti che abbiamo fatto sulla formazione professionale, occorre comunque rilevare che si è potuto registrare un fatto nuovo ormai da qualche anno, ovvero una visione complessiva del ruolo della formazione professionale regionale che è stata condivisa in quest'aula da tutte le forze. Occorre muoversi rapidamente secondo questi indirizzi, evitando di giungere, come sempre capita, al 31 luglio di ogni anno, alle sette di sera, a parlare dei piani di formazione professionale. Occorre riflettere su quali devono essere i piani della formazione professionale sapendo che il documento condiviso da tutti dà degli obiettivi strategici di lungo periodo che non possono essere raggiunti con un singolo piano, ma ogni singolo piano deve comunque tenere conto di questi obiettivi strategici e su questi deve muoversi. L'obiettivo non è certamente raggiungibile subito, ma da subito occorre muoversi perch questi obiettivi vengano raggiunti.
Un altro problema che mi pare non sia stato trattato a sufficienza come ricordava d'altra parte il collega Ala - nel Piano di sviluppo è quello dell'energia. Tutta la passata legislatura è stata impiegata per fare delle scelte in politica energetica, giuste o sbagliate non sta a noi adesso giudicare. Ciascuno di noi ha le proprie valutazioni, la storia ci dirà chi aveva torto e chi aveva ragione, ma il problema esiste al di là delle scelte, giuste o sbagliate che fossero. Il problema a mio parere è ancora aperto e riguarda un deficit energetico che pure dovrà essere colmato negli anni futuri. Noi crediamo alla compatibilità tra lo sviluppo e l'ambiente, la Regione Piemonte deve credere a queste compatibilità. Il collega Ala dice che non esiste un problema di sviluppo. E' una visione che noi non riusciamo a condividere ed è il grosso iato che esiste tra la visione ambientalista del Partito repubblicano e certo ambientalismo che non può essere condiviso.
Noi crediamo che occorra ricercare fortemente la compatibilità tra sviluppo e ambiente e per poter fare questo occorre dare delle risposte concrete, coerenti e serie al problema energetico che non si è risolto con un referendum. Se la Regione vuole svolgere quel ruolo programmatorio al quale è istituzionalmente chiamata, occorre concretamente procedere ad una ricognizione generale su questo problema individuando tutte le risorse possibili ancora da sfruttare e sulla base di tali ricognizioni fornire le necessarie indicazioni.
Su alcuni punti marginali vorrei fare un breve cenno.
Una vera programmazione passa anche attraverso una rivisitazione di vari enti strumentali, avendo il coraggio di affrontare il problema sapendo che occorre programmare e fare delle scelte.
Non userò toni polemici sulle scelte fatte in passato, non dirò se si è fatto bene o male, se sono state giuste o sbagliate, perché non si tratta oggi di fare un processo al passato. Se si vuol fare vera programmazione ci sono momenti per la polemica e momenti per la programmazione, quindi costruttivi in prospettiva. Occorre avere il coraggio di esaminare le cose fatte, se sono cambiate le condizioni per cui quelle cose, giuste o sbagliate, si erano fatte e rimuovere, modificare e liquidare quelle che oggi non sono più necessarie. Apprendo dal Piano di sviluppo che sta per partire il progetto dell'Ente Fiere del Piemonte. Si tratta di uno strumento di grande importanza per il sistema produttivo ed economico piemontese nel suo complesso. E' giusto l'approccio che l'Assessore Marchini ha dato a questo nuovo ente, che non è solo un fatto espositivo perché sarebbe ben poca cosa. Se parlassimo di Ente Fiere come un Torino Esposizioni più grande avremmo tradito un ruolo che abbiamo voluto darci con la costituzione di questo Ente Fiere. Occorre fare una riflessione seria e una rimeditazione su che cosa deve essere un Ente Fiere, con tutto quello che sta a valle e a monte del momento espositivo e quindi riaffrontare il problema della sua distribuzione sul territorio.
Il Piano di sviluppo dice - in questa parte non lo condividiamo che per il sistema distribuito degli Enti Fiere per il Piemonte si prevede una spesa di alcune decine di miliardi: sono risorse sciupate e mi auguro che restino soltanto in questo piano come conseguenza di una norma di legge approvata dal Consiglio regionale. Sono decine di miliardi di risorse per le quali si prevede una distribuzione sul territorio che, a nostro giudizio, è negativa. Non facciamo un serio servizio alle imprese, occorre rimeditare senza criminalizzazioni e senza processi al passato, ma con la volontà di andare ad individuare strumenti capaci di rimuovere certi processi.
Faccio un'ultima breve considerazione rileggendo il Piano di sviluppo.
In questi giorni, proprio quando ci incontravamo sul problema dell'emergenza neve, è emerso il problema del turismo. Da una parte c'è l'emergenza neve, dall'altra una grande prospettiva e opportunità data dai Campionati del mondo di calcio del 1990: la Regione Piemonte avrebbe e ha la capacità per reagire. Abbiamo la sensazione, in coerenza con quanto dicevamo prima, che la scelta fatta di distribuire le aziende di promozione turistica su tutto il territorio della regione, con grande dispersione di risorse, abbia posto nell'impossibilità di svolgere un ruolo di stimolo e di supporto alle effettive necessità turistiche che oggi esistono e che fra un anno ci saranno ancora, negando la possibilità di avviare il superamento del turismo artigianale verso una soluzione più avanzata.
Devo in conclusione osservare che comunque gran parte dei progetti indicati nel piano sono già cosa concreta, quindi il ritardo del Piano di sviluppo e della sua approvazione ha consentito l'avvio di una serie di progetti importanti che trovano l'approvazione del Partito repubblicano.
Alla luce dell'avvio di questi progetti di rilevante importanza già avviati dalla Regione il Partito repubblicano esprime una valutazione positiva al Piano di sviluppo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Reburdo.
REBURDO E' abbastanza emblematico il modo stanco con il quale si sta svolgendo il dibattito: nonostante polemiche o verifiche politiche si avverte l'indifferenza dell'istituzione ad affrontare la complessità dei problemi in termini progettuali e non del giorno per giorno. E' una scelta politica che il pentapartito in questi quattro anni ha compiuto teorizzando un modo di atteggiarsi e di procedere emblematico dell'incapacità a svolgere un ruolo positivo e di governo della società.
Penso che lo sforzo compiuto, in particolare dal Vicepresidente Vetrino, sia apprezzabile ed intelligente, ma che è stato obbligato ad operare nel vuoto di una progettualità politica della Giunta e della maggioranza. Risente di una grande volontà, ma anche dell'impossibilità a fare un'operazione di programmazione, di orientamento e di sviluppo coinvolgente la politica globale di questa maggioranza. E' presente nel piano un elemento di dualismo e di contraddizione che, pur avendo delle intuizioni importanti, già risente dell'impossibilità di proporre quelle che saranno le linee guida della Regione. E' una testimonianza che un gruppo di persone, probabilmente sollecitate dal Vicepresidente, ha fatto quasi a futura memoria, cioè a dire: "E' una tradizione culturale di questa Regione, per cui dobbiamo redigere questo piano anche se rimane, non dico il libro dei sogni, ma il libro incompiuto".
In altri termini si tratta di un documento che non riguarderà le politiche e le iniziative, tant'è vero che la DC, probabilmente più attenta al vuoto che si è determinato in questi quattro anni e sapendo che deve rendere conto ad una serie di realtà, è uscita allo scoperto, in modo inopportuno per quanto riguarda la maggioranza, ma opportuno per quanto riguarda un'assemblea dove il confronto non è quasi mai avvenuto tra forze politiche, ma tra una maggioranza senza progettualità e senza volontà obbligata a stare insieme per mancanza di alternative, e un'opposizione che ha dovuto fare i conti con questa situazione.
Se la DC ha dovuto venire allo scoperto dimostra come ci sia qualcosa di più del malessere tradizionale di una maggioranza. A questo credo valga l'interessante risposta che il Capogruppo socialista, non si sa bene quanto a nome suo o a nome del Gruppo, ha dato rispetto a questo problema e anche gli altri partner della maggioranza non possono che nutrire un risentimento di fronte a questo atto della DC. Credo che sia un risentimento all'interno della maggioranza utile e interessante per riaprire una discussione su un problema generale se però esso è la conseguenza di un tentativo del Gruppo socialista di rispondere alla "provocazione" che la DC ha tentato di fare con il documento di cui siamo venuti a conoscenza dai giornali e dalle interviste.
Questo è il dato politico sul quale tenterò di fare un ragionamento. A me pare di poter dire che probabilmente non c'è la coscienza di questo non mi adombro - delle forze politiche (chi più, chi meno) del fatto che vi è una oggettiva crisi del ruolo delle Regioni. Anni di esperienza delle Regioni non hanno innovato nella realtà istituzionale, non hanno corrisposto alle grandi aspettative di rinnovamento dello Stato, da Stato centralistico a Stato delle autonomie: evidentemente siamo di fronte ad una crisi di identità del ruolo di un ente estremamente importante che da un lato dà spazio allo Stato di sviluppare una politica centralistica a fronte delle incapacità delle Regioni per dati oggettivi e per carenze obiettive che ci sono state nella loro gestione e dall'altro lato dà la possibilità agli enti locali cosiddetti a livello diverso o più semplicisticamente minori di avere compreso in particolare che il rapporto con la Regione è un rapporto che ha gli stessi elementi di quello esistente tra i Comuni e lo Stato.
C'è una posizione di rivendicazione di quello che si può in qualche modo ottenere, ma senza avere fiducia che la Regione in quanto tale sia il referente politico e programmatico di enti che hanno bisogno di operare sul territorio rispondendo ai bisogni reali dei cittadini in un quadro che in qualche modo dia un sistema di garanzie ai Comuni. C'è quindi una dissociazione evidente.
Devo dire che sono relativamente interessato a questa crisi probabilmente perché sono un po' "diverso" dalla stragrande maggioranza di questo Consiglio. Penso invece che accanto a questo ci sia un problema ben più preoccupante, che però preoccupa di meno le forze politiche perché in fondo questa tanto accentuata sottolineatura del distacco tra istituzioni e società incide relativamente sulle forze politiche, la gente va a votare in qualche modo le si risponde favorendo il corporativismo organizzato e strutturato: oggi si fa l'accordo con il sindacato, un'ora dopo si smentisce l'accordo. Si predilige cioè un rapporto con gruppi di interesse piuttosto che un rapporto che favorisca la crescita della società civile e della società in genere, come elemento essenziale di dialettica e di dualismo per un ripensamento e una rivalorizzazione del ruolo della Regione in quanto in grado di rispondere progettualmente ai bisogni emergenti nella società.
Mi pare che questo sia l'elemento più carente che esiste nel piano e nella politica della Giunta. Ecco allora l'indifferenza, al di là delle apparenze, nell'attrezzare anche istituzionalmente attraverso strumenti legislativi ed operativi elementi di sostegno alla crescita della società civile, non dal punto di vista settoriale, ma globale. Se c'è una carenza in questa Regione è la quasi marginalità della disponibilità a misurarsi dialetticamente con grandi capacità di orientamento e di confronto con la società dando ad essa quegli strumenti che lo Statuto della Regione prevede, ma che il sistema, l'impianto legislativo e operativo della Regione non ha sostanzialmente affrontato. Non sto qui a fare degli esempi perché sarebbe inutile.
Voglio però ribadire che questo problema esiste, lo si sente. Non si può dire: "c'è una carenza sulle consultazioni, la gente è indifferente alle consultazioni". Abbiamo mai pensato che cosa significa il processo di consultazione che si attua nelle Commissioni? Può suscitare interesse là dove esistono fatti particolarmente eclatanti, ma non c'è un ripensamento del modo di rapportarsi per le consultazioni, aspetto istituzionale che mi pare importante e che continua ad andare avanti tradizionalmente, anzi con crescente difficoltà. Pensiamo soltanto alla consultazione sul piano dei rifiuti, dove la documentazione non solo non è stata fatta pervenire neanche ai soggetti istituzionali preposti alla consultazione (gli stessi Consiglieri regionali l'hanno ricevuta con molto ritardo), ma non è stata fatta pervenire neanche ai Comuni. Questo è lo scadimento del rapporto tra un'istituzione che aveva suscitato grandi speranze e una società che in essa aveva riposto delle speranze, ma che si è trovata sostanzialmente schiacciata.
Sono cresciuti giustamente - lo sottolineo - dei processi di autonomizzazione della società: vi è la tendenza ad autorganizzarsi da parte delle forze più sensibili, il volontariato o l'associazionismo serio non soltanto di quello tradizionale; è un associazionismo diffuso che rifiuta l'elemento organizzativo verticale per una sfiducia che abbiamo determinato tutti insieme nella valorizzazione della partecipazione progettuale dei cittadini. C'è il rifiuto di rapportarsi e abbiamo visto questo problema non solo nella legge sul volontariato, ma anche in altre leggi. Abbiamo visto una diffidenza crescente della società seria organizzata, nei confronti di un'istituzione sempre meno credibile: questo è elemento di grande preoccupazione per alcuni, evidentemente non lo è per la stragrande maggioranza, perché non si è mai affrontato questo problema con la dovuta pregnanza.
Faccio degli esempi. In questo Consiglio regionale quando è di scena la grande politica intervengono i big del Consiglio (trasporti, aspetti strutturali), ma quando si affrontano questioni che hanno valenza sociale civile, di società, di verifica nel rapporto diretto con la società più viva e così via, ci sono gli addetti ai lavori che devono intervenire quelli che hanno maggiore sensibilità, che sono i soliti e in qualche modo non sono strutturalmente coinvolti nella cosiddetta politica strutturale di questa Regione o delle istituzioni.
Assessore Vetrino, credo che sia questo il problema generale: per chi crede nelle serie sorti della democrazia è un aspetto sostanziale e non formale questo scadimento di credibilità che le istituzioni e anche le forze politiche hanno nei confronti della gente che vede sempre di più il rapporto dell'usa e getta, per cui se mi servi ti uso e quando non mi servi ti getto.
Questa è la politica che si è instaurata nel nostro Paese e non è sicuramente la politica da perseguire. Sostanzialmente questo è il dato reale e manca non solo nel piano, ma nella politica della Regione, il senso, il taglio, la sensibilità per affrontare in modo aperto questi problemi.
Voglio ancora soffermarmi su alcuni aspetti. Ho letto il piano e mi sono trovato in grande difficoltà cercando di capire qual è la logica politica, culturale ed istituzionale che guida la formulazione di un piano presi da un lato dalla necessità di rispondere alla concretezza dei problemi e dall'altro dalla vaghezza dell'impostazione e degli orientamenti. Questo dualismo interno permane; permane una situazione dove è difficile cogliere quali sono le idee portanti che un Piano di sviluppo deve pur avere e che non possono essere solo prettamente economicistiche ma devono tenere conto anche dell'uomo, dei suoi valori, delle sue esigenze, della sua centralità. L'organizzazione territoriale non pu essere pensata soltanto nell'interesse del profitto, ma dovrebbe vedere l'uomo al centro dell'operatività e dell'agire politico nell'economia nella società, nella cultura.
Non vedo il tentativo di affrontare tre questioni tra loro integrate: il lavoro, l'ambiente e qualità della vita, il territorio. A me pare che si tenda a settorializzare l'intervento, cioè a pensare che ci possono essere le politiche del lavoro, le politiche dell'ambiente, le politiche del territorio. Non c'è uno sforzo concettuale politico legislativo progettuale nel tentare di affrontare questo problema. E' vero o non è vero, caro Assessore Cerchio? E il caso ACNA è uno! Ma quanti casi ACNA ci sono in Piemonte? Il Piemonte, l'Italia non è forse un unico caso ACNA? Ricordo le vicende di Milano, di Torino, di Pinerolo, di Novara: quando si presenta in termini così drammatici il problema dell'ambiente c'è la necessità di riprogettare il lavoro e l'organizzazione del territorio tenendo conto di una progettualità trasversale che affronti la globalità del problema. Il modo in cui viene affrontato, ad esempio, il problema di Milano, dicendo di spegnere i motori delle auto al semaforo, ricorda le disposizioni che vengono date dagli intelligenti militari, i quali, in caso di attacco atomico, consigliano di chiudersi in casa e di infilarsi sotto un tavolo: questo è scritto nelle disposizioni date dalle Forze Armate in caso di guerra atomica! Non è inoltre presente nel piano un sufficiente discorso per quanto riguarda le pari opportunità. Le pari opportunità non riguardano soltanto la questione del rapporto tra i sessi, ma anche un problema di organizzazione del territorio e di opportunità di lavoro. In questo caso continuano ad esserci delle disparità troppo evidenti fra le opportunità concentrate in alcune aree e larga parte del nostro territorio dove anche le opportunità essenziali mancano. Quindi il problema deve essere affrontato come un elemento che guidi trasversalmente la questione.
C'è un altro aspetto che voglio evidenziare. Si parla tanto della politica a favore della persona, dei deboli, degli emarginati, di coloro che sono in difficoltà; questa è una politica settoriale, guai a noi se pensassimo che questa fa parte della politica territoriale. Il creare se non in casi eccezionali dei servizi ad hoc significa favorire quel processo di emarginazione crescente per cui in questa società ci sono i forti e i deboli, quindi due livelli di organizzazione diversi. Esiste invece il problema di un'integrazione dell'intervento alla persona nel quale vi sia una particolare attenzione al problema dei più deboli, dei nuovi poveri e via dicendo. Pensiamo soltanto al settore della sanità e dell'assistenza: culturalmente, ma anche operativamente, l'integrazione a livello dei servizi è stata soltanto marginale. Si continua a pensare che quella che riguarda i cittadini più in difficoltà sia quasi una questione a parte quasi che avessimo a che fare con persone che non hanno pari dignità con le altre. Questo deve essere superato perché non esiste una società forte e una società debole: le politiche devono essere in grado di rispondere contemporaneamente ai bisogni dell'una e dell'altra senza elementi di crescente emarginazione.
Vengo al problema dell'adeguamento culturale, quindi al discorso della formazione permanente. Se è vero che la nostra è una società in grande evoluzione e se crediamo che l'uomo debba essere al centro di questo sviluppo, l'uomo deve essere messo in grado di avere tutti gli strumenti necessari per conoscere l'evoluzione, i processi ed anche le contraddizioni dello sviluppo e deve essere messo nella condizione di rispondere a questo con una rinnovata attrezzatura culturale. Ecco perché il discorso della politica di formazione ed educazione permanente diventa un fatto progettualmente complesso che rientra anche nelle politiche strutturali.
La tendenza di giocare sempre sulla separatezza dei due momenti va superata anche in questo modo.
C'è quindi la necessità di uscire da questo tipo di logica in una società così complessa, ma tale questione è stata affrontata con un semplicismo che è disarmante e che non può più essere considerato a questo livello. Io ho apprezzato, tra le cose che sono state dette dal Consigliere Tapparo, la sottolineatura di un problema che costituisce il suo bagaglio culturale, ovvero lo sviluppo tecnologico.
E' vero, questo problema esiste, ma io pongo un'altra questione: in questa Regione - l'ho già ripetuto altre volte esistono intelligenze che non vengono utilizzate e lasciamo l'uso di queste intelligenze all'industria bellica. L'industria bellica è in grado di utilizzarle con il massimo di efficienza: l'Aeritalia infatti utilizza le intelligenze che nascono nelle nostre Università e nella nostra società. E' l'unica in grado, oggi, di dare ad esse uno sbocco. Sostanzialmente esistono limitatissimi sbocchi alternativi all'industria bellica.
Si pone quindi il problema di dare una risposta tecnologicamente alta alternativa ed articolata sul territorio regionale. L'individuazione del settore pubblico, del settore privato sociale e del privato diffuso, cioè non del grande privato, che è in grado di attrezzarsi da solo anche con i mezzi finanziari, deve trovare una risposta che io non vedo non solo qui ma in generale nella cultura e nella politica.
In altri termini è un dato oggettivo la mancanza di collegialità da parte della Giunta, di una vera progettualità e di un reale coordinamento delle politiche, al di là delle divisioni che ci possono essere, per cui un Assessore sostanzialmente non sa che cosa fa un altro Assessore. In Commissioni diverse vediamo provvedimenti tra loro contrastanti ed esattamente alternativi sul piano dei contenuti. Credo quindi sia necessaria una razionalizzazione all'interno della Giunta perché talune questioni non siano in aperta contraddizione: cito per tutte il Parco fluviale del Po e il Piano cave che sono esattamente agli antipodi! Eppure sono due provvedimenti che questa Giunta ha portato al Consiglio e alle Commissioni e rappresentano un elemento che supporta la considerazione che in fondo si tratta di un problema di forte capacità da parte della Giunta di avere quel coordinamento e quell'integrazione delle politiche che sono essenziali se vi è una minima parvenza di credibilità seria nei confronti di un piano regionale che non vorrei che rimanesse soltanto il piano dell'Assessore Vetrino.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Picco.
PICCO Il dibattito sul Piano di sviluppo si colloca temporalmente rispetto ad un percorso della Giunta che è consolidato e che non poteva dare per scontata, unitamente ad un'inversione delle politiche, anche una totale reiezione di tutto il patrimonio acquisito nelle passate legislature.
L'insofferenza che si manifesta per quanto attiene al problema dei Piani di sviluppo ha in realtà dei precedenti storici purtroppo spiacevoli che risalgono ad altre legislature dove la tempestività non fu assicurata nemmeno quando le Giunte generarono se stesse e quindi di fatto procrearono una continuità politica che poteva consentire una presentazione tempestiva dei documenti di aggiornamento. Certo, quello che noi auspicheremmo - è stato qui ampiamente ripreso è che comunque, soprattutto per quanto attiene alle politiche territoriali, d'ora in poi (e quando si dice "d'ora in poi" è la coscienza di una maturazione di esperienza che risale a qualche legislatura addietro) il Piano di sviluppo sarebbe opportuno fosse un documento di aggiornamento tempestivo nelle legislature per consentire tutti quei processi di adeguamento delle politiche settoriali, ma soprattutto degli strumenti che, come ben sappiamo, hanno largamente beneficiato di una certa improvvisazione.
Cercherò comunque sinteticamente di esprimere un'opinione sul passaggio dai precedenti Piani di sviluppo a questo, allo scopo di focalizzare soprattutto le attenzioni ad alcune componenti del piano che attengono all'area metropolitana torinese.
Diamo atto alla Giunta di avere tentato una nuova strada per la programmazione regionale e dobbiamo rilevare da un lato il positivo ridimensionamento di molte enunciazioni, ma dall'altro il persistere di scorciatoie alla corretta praticabilità delle soluzioni dei problemi problemi che purtroppo, come dirò in alcune esemplificazioni, non sono ancora sufficientemente affrontati per potersi collocare nell'ambito di una progettualità.
A nostro avviso è da recuperare la dimensione storica e temporale dei programmi nel Piano di sviluppo, non già per temporalizzare gli obiettivi che sono irrinunciabili e che quindi non cambiano da un Piano di sviluppo all'altro, ma per dare loro una proiezione articolata e corretta che non sia astratta dai risultati, che siano effettivamente conseguibili nella proiezione del piano, quindi della legislatura e delle reali attese della gente.
Le maggiori perplessità discendono dall'ancora troppo vago quadro della pianificazione territoriale. Non voglio fare dell'Assessore Vetrino il capro espiatorio di tutte le cose non fatte da questa Giunta, ma lei assomma queste responsabilità, dopo anni di mancate conclusioni. Noi non sollecitiamo una trasposizione dei processi di elaborazione di scelta degli investimenti e di dialettica dei programmi settoriali al piano come ipoteca rigida, come stereotipo di una scelta prefabbricata, ma riteniamo che sia dispersivo il continuo ricorso a riverifiche territorialmente estese di ripetitive proiezioni vincolistiche, ad esempio quando dovrebbero crescere i contenuti progettuali che proprio i progetti del Piano di sviluppo sollecitano. Cito soltanto i Piani paesistici di progetti territoriali operativi del Po come uno degli esempi di questa dilatazione che, secondo noi, deve essere ridimensionata per individuarvi concreti elementi di destinazione di risorse. Analogamente - per citare un altro settore importantissimo che investe le politiche settoriali ad ampia scala riteniamo necessaria una più oculata proiezione strategica nelle politiche ecologiche. A pag. 41 del Piano si cita il piano di rientro dagli inquinamenti che nel documento è dato per scontato come registrazione di un processo in atto, mentre invece questo piano di rientro in realtà registra delle concrete e apprezzabili conclusioni solo sul versante della depurazione delle acque e, purtroppo, non sono operanti nei catasti e nei piani di bonifica che presupporrebbero accertamenti anche solo per sapere quali sono i casi patologici più gravi e per i quali i pericoli che incombono chiedono attivazione di controlli e di risorse.
Venendo quindi ai problemi dell'area metropolitana come ho premesso emergono, a mio avviso, alcune componenti strategiche che intendo evidenziare.
Servizi all'uomo e alla famiglia. L'area torinese presenta alti livelli quantitativi di strutture socio-assistenziali e sanitarie, scolastiche educative e culturali, ricreative e sportive. Strutture che necessitano di grandi quantità di risorse per il loro necessario e costante aggiornamento.
Nonostante la demonizzazione per alcuni e l'enfatizzazione per altri delle cosiddette "privatizzazioni" (abbiamo parlato molto dei regimi concessionari e delle sponsorizzazioni) come principi di possibili autoequilibri economici di restituzione del servizio rispetto agli investimenti, restituzione in termini di contribuzione del soggetto che ne beneficia; nonostante tutto questo cresce il carico di ingerenza del pubblico e di preoccupante insufficienza di risorse per farvi fronte. E' esemplare di questa incapacità a gestire qualche segno di inversione di tendenza la vicenda della costruzione del nuovo stadio di Torino che era stato preannunciato come qualcosa che quasi non dovesse avere carico rispetto agli investimenti della comunità e che invece si rivela come generatore, forse anche positivo in parte, di investimenti che sono ben al di là delle proiezioni iniziali. In questo quadro il rischio di una progressiva diluizione degli investimenti pubblici anche solo per quei servizi essenziali alle fondamentali garanzie sulla salute e al diritto della formazione culturale - i due aspetti che intendo sottolineare diviene macroscopico relegando sempre più la Regione a ruoli insignificanti sulle scelte di programmazione settoriale.
La caratterizzazione sulla quale da tempo la DC insiste - e per l'area metropolitana questo è un problema che ha particolare rilevanza - è nella direzione di una qualificazione delle strutture con scelte di priorità tra le quali possiamo segnalare l'assistenza agli anziani con limitati investimenti nella direzione della sanitarizzazione e maggiori garanzie all'anziano assistito nell'ambito familiare.
Il secondo aspetto è relativo ai servizi per la promozione culturale tra i quali positivamente rilevo l'attenzione che il piano riserva alle biblioteche. E' un problema sul quale non mi soffermo, ma che richiederebbe, anche dal punto di vista delle attenzioni gestionali, una particolare attenzione.
Un altro aspetto che intendo rilevare come emergente rispetto ai progetti dell'area metropolitana torinese è la riqualificazione ambientale riferita alle aree di periferizzazione. Cito in particolare le aree urbane.
E' da notare che questo aspetto non investe solo le aree periferiche, ma anche quelle centrali; la marginalizzazione per la provincia di Torino riguarda in particolare le aree montane.
Sulla periferizzazione delle aree urbane sottolineiamo positivamente alcune tendenze in atto circa gli investimenti sui quartieri di edilizia popolare e sui primi centri dello sviluppo patologico della conurbazione torinese, laddove dovrebbero avviarsi quei processi di rinnovo sostitutivo di localizzazione industriale che sono impostati da tempo, ma che non riescono a decollare anche perché le provvidenze regionali sono insufficienti per incentivare economicamente l'infrastrutturazione, ad esempio, dei parcheggi per evitare l'accessibilità motorizzata, oppure le infrastrutturazioni di insediamenti previste in leggi regionali quali la legge n. 9 del 1980.
Altra componente che non mi pare sufficientemente affrontata in questo piano e che vorrei fosse oggetto di una precisazione correttiva anche nei documenti finali, riguarda le aree montane della provincia di Torino. E' vero che sono citati progetti che riguardano aree (dal Monregalese al Verbano Cusio Ossola) dove è indiscutibilmente necessario attivare progetti di Comunità montana, però anche il Canavese, le Valli di Lanzo e del Sangone che sono vicinissime al capoluogo non hanno minori condizioni di marginalizzazione. E' inimmaginabile pensare di recuperare la qualità di vita degli insediamenti deserti per dieci mesi all'anno e dove non è purtroppo nemmeno riproponibile il reinsediamento delle attività agricole come purtroppo invece vedo ottimisticamente e reiteratamente avanzare proposte da parte della politica regionale agricola.
Le politiche di reinsediamento a mio avviso debbono realisticamente inventare figure professionali esterne per queste aree, come quelle attivate dal turismo per potenziare e gestire il patrimonio forestale e naturalistico. Sono necessari programmi di investimenti geoambientali (quali i piani di bacino) per la concreta utilizzazione dei patrimoni naturali e delle risorse idriche.
Terza componente delle politiche necessarie per l'area torinese è l'emergenza ecologica e su queste abbiamo già profuso parecchie parole.
Ripeto che alcune precisazioni del testo sarebbero opportune, perché l'area metropolitana esige consistenti investimenti non ancora sufficientemente individuati nei documenti di programmazione settoriale. A nostro avviso occorre maggiore impegno nell'individuazione di soluzioni da dare ad alcuni problemi: ad esempio, la discarica Barricalla per i rifiuti speciali l'assenza di impianti per lo smaltimento finale di rifiuti urbani ed il preoccupante pronunciamento del TAR per quanto riguarda Poirino. Questi problemi denunciano un insufficiente approccio ai precari indirizzi di governo della politica ecologica nell'area metropolitana. E siamo anche preoccupati del facile ricorso all'enfatizzazione dei problemi con rischi di investimenti emotivi e demagogici, ma che in realtà non si collocano in una proiezione di finalizzazione degli investimenti pubblici stessi.
In ultimo, l'aspetto relativo alla mobilità che per quanto attiene l'area metropolitana torinese presenta aspetti di arretramento rilevanti.
Occorre ammettere che abbiamo un fabbisogno arretrato di investimenti per i prossimi dieci-quindici anni di almeno 3.000 miliardi nell'area torinese, a costi 1989, dei quali 1.500 per le linee metropolitane sotterranee (oggi una linea metropolitana costa 100 miliardi al chilometro) e 1.500 miliardi per linee ferroviarie superficiali attrezzate. Credo che la dimensione minima dei progetti in atto sia sui 50-60 chilometri per la sola area torinese (mi riferisco ai collegamenti con Caselle, Lanzo, Rivarolo Pinerolo, Chieri e Rivoli). Si tratta quindi di una proiezione minima per rendere giustificabile ed integrabile gli altri investimenti che lo Stato sta facendo sul sistema ferroviario passante e sulle integrazioni ai sistemi che auspichiamo la nuova gestione delle Ferrovie dello Stato vorrà pure affrontare, non solo in termini di abolizione di rami secchi, perch non credo sia l'unica politica alternativa quella della denuncia della non valenza economica e della conseguente soppressione.
Credo però che l'attivazione di 3.000 miliardi di investimenti nell'area metropolitana torinese esiga da parte della Regione la consapevolezza che non si può procedere con gli strumenti con i quali finora sono stati affrontati i problemi. La dimensione complessiva è tale da esigere una più seria politica di programmazione regionale che proprio in quest'area ha rivelato macroscopiche deficienze di previsioni suffragate da scelte progettuali precise e non ancorate a continue improvvisazioni.
Oggi purtroppo l'improvvisazione ha screditato Torino, ma non lascia indenne la Regione, perché non v'è dubbio che di riflesso alcuni ritardi o improvvisazioni nel decidere investimenti derivino da un non sufficiente patrimonio progettuale consolidato e concordato ai vari livelli, tale da poter riattivare risorse.
Assessore, sono anche deluso dall'affermazione a pag. 293 dove si dice: "Potrebbe essere interessante creare una struttura tecnica di studio e di progettazioni di supporto all'attività di coordinamento per i vari enti".
Penso che metterla in questi termini sia ingiusto rispetto a quello che si è fatto nel passato, perché qualcosa si è pur fatto, la verità è di capire e verificare se ciò che è stato fatto funziona oppure se si debba cambiare completamente strada. Diversamente ritengo che l'affermazione rivelerebbe l'impotenza e la rinuncia della Giunta regionale alla gestione di governo.
La DC non può ritenere relegabile questo programma alla logica della parcellizzazione politica, come purtroppo pare emergere da una serie di vicende che continuano a far alzare la temperatura nelle istituzioni.
Chiunque sia preposto ad attuare il programma dovrà seguire un preciso schema di percorso e di ordine di priorità che sia già supportato da verifiche progettuali. Auspico che questo schema costituisca l'ordine gerarchico degli investimenti e non privilegi linee tranviarie ad uso domenicale a scapito di infrastrutture veloci o portanti sotterranee che creino effetti moltiplicatori di razionalità che noi riteniamo abbiano una strategica e rilevante importanza nella definizione delle opportunità di accesso sia in posti di lavoro, sia a qualunque sistema di alternativa insediativa residenziale che si debba verificare nella nostra Regione.
Il piano parla, forse contraddittoriamente, di individuazione di sistemi urbani integrati esterni all'area metropolitana torinese contraddizioni perché non sempre si riconosce una sufficiente consistenza alle esistenze rispetto a quello che si vorrebbe fosse. Ad esempio, il problema del sistema Tecnocity è in realtà un auspicio di potenzialità che si vorrebbero fossero tali, ma che non sono ancora, quando invece vi sono realtà come quelle di Pinerolo - per citare un esempio alternativo che non è compreso nelle schematizzazioni di Tecnocity - che sono realtà concrete sulle quali non si può astrarre e sulle quali ritardi di investimenti nei collegamenti sono riprovevoli.
Il discorso dell'effetto moltiplicatore della mobilità sulle opportunità di accesso al posto di lavoro e dalle residenze deve costituire uno dei nodi di maggiore rilevanza per le politiche dell'area metropolitana. Sottolineo con convinzione l'esigenza di dedicarvi grande attenzione, grande professionalità e grande capacità di governo. Solo così saranno possibili le proiezioni di nuove possibilità di sviluppo delle professionalità ancorate a collegamenti rapidi, ad accessibilità alternative ai centri urbani e solo così potremmo anche presumere di ridare dignità alla qualificazione dei servizi che reiteratamente rivendichiamo come uno degli obiettivi principali del Piano di sviluppo.



PRESIDENTE

La discussione riprenderà oggi pomeriggio.
La seduta è sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 13.30 riprende alle ore 15.15)



PETRINI Luigi



PRESIDENTE

La seduta riprende.
E' iscritto a parlare il Consigliere Rossa. Ne ha facoltà.



PRESIDENTE

ROSSA



PRESIDENTE

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, anche io cercherò di portare un piccolo contributo al dibattito che si è aperto sul Piano di sviluppo argomento introdotto dalla Vicepresidente Vetrino e seguito da molti interventi.
Per il Gruppo socialista ha già svolto un intervento complessivo il collega Tapparo, io cercherò di fare qualche considerazione di carattere generale di indirizzo ed eventualmente anche considerazioni particolari che riguardano problemi che ognuno di noi vive direttamente.
La presentazione degli aggiornamenti al Piano regionale di sviluppo per il periodo 1988/1990 avviene in un momento particolarmente significativo per il Piemonte in quanto da un lato i risultati economici raggiunti nel 1988 confermano la prosecuzione di una fase di ripresa molto duratura dall'altro il 1989 potrebbe anche rappresentare l'anno di svolta, durante il quale emergeranno segni evidenti di rallentamento. Sta aumentando, per esempio, il tasso di inflazione e vi sono segnali di problemi nei confronti dei quali sarà necessario avere particolare attenzione.
E' difficile pensare che l'espansione del PIL regionale in termini reali possa ancora attestarsi intorno al 3,8-4% con una crescita del fatturato industriale prossima ai cinque punti ed un contributo primario offerto dall'industria motrice dell'auto e in genere dai grandi gruppi.
E' evidente che un minor dinamismo dei settori portanti per l'economia subalpina implicherebbe di riflesso maggiori difficoltà nella realizzazione degli stessi obiettivi fondamentali del piano regionale, che invece acquisiscono particolare rilevanza in rapporto sia ad alcuni ritardi accumulati nella loro realizzazione sia all'approssimarsi del Mercato unico comunitario. Occorre quindi un forte impegno programmatico anche per evitare un appannamento del ruolo della Regione, soprattutto nei confronti di altre istituzioni che di fatto hanno una posizione dominante nel quadro regionale. Basti pensare al riguardo al Gruppo FIAT che ha fatturato, nel 1988, 45.000 miliardi e che esercita un'influenza molto estesa anche in settori non direttamente produttivi e tramite rilevanti iniziative culturali. E' vero che il Gruppo FIAT opera addirittura su un piano strategico di livello internazionale, però è chiaro che, essendo un gruppo che ha una connotazione regionale, ha una diretta incidenza sulla realtà economica e sociale del Piemonte.
Si devono certamente considerare fattori molto positivi il notevole recupero delle grandi imprese, dopo la fase critica attraversata negli anni '70 e la loro ritrovata capacità di sostenere la concorrenza sui mercati esteri. Ciò però si è realizzato al prezzo di costi sociali rilevanti attraverso la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro che ha elevato il tasso di disoccupazione in Piemonte dal 4-5% degli anni '60 all'oltre 10% attuale.
Di conseguenza, la seconda regione industriale d'Italia e la terza per reddito complessivo (dopo la Lombardia e il Lazio) si trova oggi nonostante qualche modesto segno di inversione di tendenza, ad avere circa 180.000 persone senza lavoro, soprattutto in età inferiore ai 29 anni nonostante i risultati registrati con i contratti di formazione lavoro che hanno concorso in questa direzione ad aprire una prospettiva, ma le cose non sono cambiate significativamente.
D'altronde si deve riconoscere che questo fenomeno negativo ha interessato tutti i Paesi comunitari (non è solo un fatto piemontese o nazionale, se andiamo nel Mezzogiorno d'Italia la percentuale di disoccupazione tocca quasi il 20%) e molte altre aree di antica industrializzazione che in diversi casi non sono neppure riuscite ad avviare efficaci processi di risanamento e di riconversione produttiva.
Da qui un declino pressoché irrimediabile, a cui il Piemonte si è potuto sottrarre (ci sono zone che hanno registrato un grosso stacco tra le prospettive e la posizione di ripresa) in quanto le sue più radicate vocazioni manifatturiere, in primo luogo quella meccanica e quella tessile gli hanno consentito di capovolgere la tendenza alla deindustrializzazione emersa nel decennio scorso. Tuttavia restano aperte parecchie difficoltà.
La diffusione, che dovrebbe incrementarsi nei prossimi anni, delle tecnologie automatizzate anche nelle piccole e medie imprese rischia inoltre di frapporre ulteriori ostacoli all'assorbimento di forza lavoro e quindi di non favorire l'auspicata soluzione del problema occupazionale.
Questo sarà uno dei grossi problemi che il piano e la Regione nel suo insieme dovrà affrontare perché da una parte c'è il problema dello sviluppo tecnologico, della computerizzazione del sistema e dei meccanismi di produzione, dall'altra c'è una sacca di disoccupazione cui far fronte ed è difficile trovare delle soluzioni. Occorrerà mirare più alto per delineare prospettive che consentano la crescita della nostra società che vive già dal mio punto di vista, nel 2000. Il problema occupazionale, fin dalla prima legislatura, è stato considerato come centrale nella programmazione del Piemonte. Infatti gli sbocchi alternativi costituiti dal terziario pubblico e privato si sono quasi esauriti (questi sembrano essere gli indicatori che vengono a porsi di fronte alla nostra attenzione), mentre il settore primario presenta una situazione di sovraffollamento incompatibile con un sostanziale miglioramento delle sue prospettive, soprattutto nelle aree collinari e montane. Quello delle aree collinari e montane è un problema nei confronti del quale occorrerà vedere quale progetto (ad esempio il "progetto montagna") sarà in grado di garantire il mantenimento della popolazione, finalizzata ad una produzione di reddito che non sia soltanto una presenza di carattere assistenziale.
Anche gli altri obiettivi di fondo contemplati nel piano regionale non sembrano di facile attuazione. Si tratta dell'ampliamento e della riqualificazione dei servizi e delle infrastrutture; del superamento della cosiddetta emergenza ambientale e delle emergenze sociali, cui si sono riferiti tutti gli interventi. Essi richiedono risorse adeguate, una notevole capacità progettuale ed un efficace coordinamento con le autorità del Governo centrale, oltre che con gli amministratori e con gli enti locali. Si apre qui uno spazio importante per il ruolo che potrebbe essere svolto dalla Regione al fine di rilanciare la sua funzione come ente di governo su un'area vasta in collegamento con le articolazioni locali e in rapporto con il Governo centrale.
Giustamente nel documento presentato (pag. 49) si afferma che il compito più qualificante della Regione sarà quello di potenziare ed aggiornare continuamente le "infrastrutture per lo sviluppo" intese nell'accezione più ampia che si può conferire al termine, comprendendo l'organizzazione del territorio, l'urbanistica, i trasporti, la tutela dell'ambiente, i servizi alle imprese e alle persone.
Da qui l'esigenza primaria di una spiccata capacità di coordinamento delle iniziative e di individuazione delle priorità indispensabili a rendere più efficiente e moderno il "sistema Piemonte", che si concepisce come sistema aperto. Al riguardo si deve osservare che questa capacità operativa appare tanto più importante in vista del 1992 in quanto la piena liberalizzazione dei movimenti dei capitali, delle persone e dei beni, non si tradurrà automaticamente, attraverso l'opera di qualche "mano invisibile" o di qualche "bacchetta magica", in un beneficio per le aree più deboli e meno favorite sul piano della dotazione culturale infrastrutturale e geografica.
Anzi, potrebbe senz'altro rafforzarsi una tendenza spontanea alla polarizzazione delle risorse verso le regioni più ricche, dove i vantaggi in termini di "economia esterna" risultano senz'altro più elevati e dove le occasioni di sviluppo tecnologico finanziario e commerciale appaiono incomparabilmente superiori. Molte volte parliamo di Europa delle Regioni e credo che la nostra posizione geografica oltre che le nostre energie intellettuali, morali, politiche, amministrative ed economiche, si richiamino a definire un progetto complessivo, capace di dare concretamente gambe al rilancio dello sviluppo e ad un'iniziativa che sia in grado di collocare il Piemonte nel concerto delle Regioni d'Europa.
Se non fossimo in grado di fare questo si aggraverebbero gli squilibri territoriali, settoriali, di reddito e consumo che lamentiamo tutti. Mi pare abbastanza evidente che immaginare l'Europa come un grande Paese richieda grossi impegni tra aree forti e aree deboli, altrimenti quello che non è stato ancora risolto in Italia potrebbe ripercuotersi anche all'interno dell'Europa. Sono quindi necessari grandi progetti che dovranno essere sollecitati per poter far fronte alla sfida degli anni '90, partendo dal ruolo centrale del capoluogo del Piemonte che dev'essere posto in grado di competere alla pari con le principali metropoli italiane e comunitarie.
Occorre prendere atto che senza una politica mirata ben difficilmente si potrebbero decentrare rispetto al polo metropolitano iniziative economiche e finanziarie, ma anche culturali e scientifiche di qualche rilievo. In altri termini, nel momento in cui riconosciamo il ruolo metropolitano della città di Torino, dovremmo vedere quali sono gli eventuali ritardi da superare e le necessità di ammodernamento della struttura complessiva. Per esempio, per quanto riguarda la seconda Università, una Regione come la nostra non è ancora riuscita a realizzare questo progetto, che deve essere visto non come una battaglia impostata da qualcuno (il che non è vero) al fine di mettersi un fiore all'occhiello, ma come un elemento che precede accompagna, segue, una prospettiva di rilancio.
Da questo punto di vista dobbiamo valutare la possibilità di finanziare iniziative e progetti, per non sopravvalutare, come fanno molti, la portata delle trasformazioni tecnologiche in corso nell'area metropolitana torinese o nel triangolo di Tecnocity. Al riguardo ho letto pubblicazioni nelle quali se ne parla enfaticamente: si tratta quindi di verificare se rispondono alle esigenze e dove hanno bisogno di una loro esplicazione. Su questo punto la Regione deve attivarsi. Alcune iniziative sono già state avviate: la riunione tenutasi recentemente a Villa Gualino con la partecipazione di scienziati a livello internazionale, del Presidente Beltrami, dell'Assessore Nerviani e di altri colleghi, ha messo a punto le grandi prospettive, però bisogna valutare tempi, offerte e capacità.
Abbiamo notato una certa insoddisfazione da parte di alcuni scienziati nel vedere l'incertezza che incombe ancora sulla loro volontà d'impegno.
Dobbiamo essere in grado di impegnare i quadri che reggeranno lo sviluppo del futuro superando le incertezze e sollecitando gruppi economici rilevanti, privati e pubblici, per dare prospettive alle attività di ricerca, perché il rischio è che domani potremo perdere questi contributi significativi.
Non è un caso che una recente indagine riferita alle caratteristiche assunte dai flussi importativi ed esportativi generati dal Piemonte negli ultimi anni ha posto in luce un calo della quota delle esportazioni per prodotti ad alta tecnologia, che non arrivano più al 4% del totale rispetto ad una continua crescita delle importazioni di prodotti della stessa categoria. Il Piemonte e la provincia di Torino infatti hanno realizzato un notevole flusso di innovazioni incrementate sulla base di tecnologie importate, ma ben poche innovazioni radicali che sembrano sempre più riservate alle grandi multinazionali o alle istituzioni scientifiche dei Paesi più avanzati.
Questa situazione di relativa difficoltà potrebbe mostrare tutti i suoi risvolti negativi nel momento in cui alcuni settori dell'auto dell'elettronica di consumo e del settore del tessile-abbigliamento dovessero subire una flessione produttiva. Queste cose debbono indurci a moltiplicare i nostri sforzi affinché si intensifichino i rapporti fra industria e ricerca, si diffondano strumenti adeguati di promozione dello sviluppo tecnologico, di finanziamento e commercializzazione sui mercati esteri dei prodotti delle aziende piemontesi oltre che italiane.
Il livello attuale di diversificazione e di concentrazione di tali imprese è destinato ad incrementarsi negli anni '90. Nel contempo permarranno ampi spazi di affermazione per le imprese minori e per quelle artigiane, se ci sarà questo sviluppo coordinato a cui si può richiedere un vero e proprio salto di qualità perché si tratta di un settore importante.
Guai se dovessimo ignorare questa componente della nostra economia! E' in questa realtà produttiva complessa e variegata che dovremo misurarci in termini costruttivi, se intendiamo contribuire fattivamente per quanto è compatibile con le nostre competenze istituzionali, al pieno recupero, per il Piemonte, del ruolo di area forte del sud Europa e di cerniera tra i Paesi comunitari e il resto dell'Italia. Bisogna allora andare a vedere quali sono le strozzature e le questioni su cui far leva.
Credo, per esempio, che sia necessario un rilancio con le Regioni a noi vicine, in modo particolare con la Regione Liguria, per un impegno comune sui progetti e le proposte che si intende mettere in atto nei confronti del sistema portuale ligure - chiamiamolo sistema portuale anche se, secondo me, non lo è ancora affinché sia in grado di competere con la grande concorrenza internazionale, prima di tutto europea, perché se non sarà così avremo perso un'altra grande occasione.
Sono profondamente convinto che debba esserci uno sviluppo della direttrice che va verso la Liguria, nello stesso tempo inducendo la stessa Lombardia a compiere scelte, che non ha mai voluto compiere per la sua posizione geografica, che non siano dirette a penalizzare questa parte del Piemonte, perché in genere c'è la tendenza in Lombardia a vedere il nord est del Paese.
Dobbiamo quindi essere in grado di offrire dei progetti, stabilire dei comuni impegni, definire gli obiettivi su cui lavorare.
In passato le Regioni hanno dovuto ridimensionare molto le proprie ambizioni ed iniziative concrete in rapporto sia allo scarseggiare delle risorse disponibili, sia ad un orientamento meno favorevole alle autonomie locali. Questo stato di cose permane ancora e qui si collega il rilancio dello stesso istituto regionale. Mi sembra, per esempio, che noi abbiamo superato - mi permetto di fare un'affermazione che non ho verificato e forse anche un po' azzardata - la fase più bassa del volo che compiono le Regioni. Si apre per le Regioni, quindi anche per il Piemonte, una prospettiva di rilancio se è vero che l'Europa sarà sempre di più l'Europa delle Regioni e sempre meno l'Europa degli Stati, questi Stati che abbiamo visto trovarsi in grandi difficoltà di fronte a questo o quel problema. In questa direzione possiamo fare uno sforzo, convinti che le Regioni possano svolgere un grande ruolo di unificazione di carattere economico, sociale politico e culturale più di quanto non sia stato fatto dagli stessi Stati.
Ciò non toglie che, nonostante i limiti accennati, si siano realizzati interventi significativi, però le Regioni forti delle esperienze accumulate non possono farsi carico di una grande quantità di problemi. Secondo me devono poter mirare ad alcune questioni di fondo che debbono essere individuate dal piano e quindi riassumere il loro impegno.
Non avremo molto tempo, perché il documento che andiamo ad approvare lo consegneremo alla futura legislatura, possiamo però indicare, attraverso l'individuazione e la definizione di alcuni progetti importanti e qualificanti per il riequilibrio del Piemonte e per i suoi collegamenti e le prospettive, un terreno di lavoro per rafforzare sempre di più un sistema Piemonte fondato sull'economia aperta in una prospettiva di ulteriore sviluppo.
E' ovvio che il raggiungimento degli obiettivi più importanti richiede la mobilitazione di risorse cospicue e ciò ha come presupposto un'effettiva riforma del sistema finanziario delle Regioni, riforma che rappresenti inoltre un contributo specifico al riordinamento della finanza pubblica.
Questo problema, così come altre questioni in particolare, dovrebbe essere oggetto di contributi specifici.
Il collegamento con le Regioni confinanti e con l'Europa comunitaria risulta, a mio avviso, ancora inadeguato in riferimento sia all'asse nord sud che all'asse est-ovest. Noi abbiamo ricevuto, la settimana scorsa, una delegazione dei nostri vicini francesi; molti colleghi erano presenti abbiamo visto con quale convinzione e con quale impegno il Governo francese sta sostenendo un grosso sforzo nella Regione Savoia, a ridosso dei confini con il Piemonte, in vista delle Olimpiadi invernali del 1992. Certo, il nostro Governo non ha questa convinzione, c'è poco da fare, però occorrerà da parte nostra far sì che i documenti che stiamo discutendo non siano soltanto delle elaborazioni egregie scritte sulla carta, ma diventino dei progetti concreti, perché i programmi che ci hanno illustrato gli amici francesi in vista delle Olimpiadi sono destinati a durare.
Questi programmi guardano oltre il 1992, si pongono già dall'altra parte; bisognerà quindi stare attenti a non trovarsi ad un certo punto senza quelle strutture, senza quell'immagine, senza quei momenti significativi di richiamo che ci consentono oggi di stare nel circuito e per rientrarvi dovranno compiersi molti sforzi.
Analoghe considerazioni valgono per le cosiddette dorsali di riequilibrio pedemontane, che dovrebbero collegare aree diverse dall'entroterra ligure fino al Novarese, dando impulso ad interventi di valorizzazione economica delle zone interessate a partire da quelle montane che sono tra le più bisognose di un rilancio qualificato e di un'adeguata tutela ambientale.
E' necessario svolgere un ruolo importante intorno al recupero ambientale, alla valorizzazione del progetto Po su cui si sta lavorando e visto che si parla di utilizzazione turistica, agricola e navigabile occorre vedere concretamente quali sono e rilanciare il discorso delle Bormide.
E' chiaro che una volta definito il piano bisogna vedere quali sono le cose da fare. Nel Piemonte ci sono vaste energie, c'è grosso fervore e molto impegno, ad esempio per quanto concerne il rilancio delle attività fieristiche che hanno la loro struttura centrale nel capoluogo del Piemonte. Deve però essere realizzata una rete di attività fieristiche che consenta alle Province di stare all'interno della politica di programmazione. Politica di programmazione che sarà tanto più significativa quanto più sarà portante di proposte progettuali, capace di impegnare settore per settore, area geografica per area geografica, le forze vive, le forze che vogliono operare e lavorare in tutto il Piemonte per il rilancio del Piemonte stesso.
Ho voluto fare queste considerazioni in relazione all'ammodernamento che non è soltanto tecnico, produttivo ed economico, ma è anche culturale per fare andare avanti, insieme alla soluzione dei problemi, anche le questioni che riguardano il resto dell'universo civile.
Da questo punto di vista ritengo che il piano costituisca un'utile base di impegno e di lavoro da cui far discendere proposte sulle quali confrontarci con le forze istituzionali a livello di governo e impegnare le stesse forze a livello locale. In questo quadro credo senz'altro che uno sforzo debba essere fatto perché la Regione possa riprendere il suo cammino fuori dalle incertezze: se restare un ente che gestisce, un ente che legifera o un ente che fa soltanto programmazione. E' un problema delicato al quale occorrerà dedicare un'attenzione particolare perché abbiamo il compito di evitare che la Regione si svuoti del significato e, nello stesso tempo, abbiamo il dovere di evitare che la Regione si carichi di compiti che non sono suoi, in prospettiva dell'unificazione europea che, è nostra profonda convinzione, deve far leva principalmente sull'Europa delle Regioni. Questo è il mio contributo a questo dibattito che considero molto importante. Non lo considero soltanto un doveroso atto previsto dallo Statuto (probabilmente richiede anche delle modifiche che ci porteranno a ridefinire la mappa del documento che la Regione sta elaborando fuori dai concetti del Gosplan o del Masterplan che attengono ad una visione culturale), ma l'esplicitazione di una nostra visione culturale autonoma che è anche europea e che può essere costruttiva per realizzare nuovi destini per la comunità piemontese.
PRESIDENTE



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Valeri.



PRESIDENTE

VALERI



PRESIDENTE

Il nostro Gruppo aveva deciso di considerare esaurito il proprio impegno con gli interventi della collega Bresso e di questa mattina del Capogruppo Bontempi.
Peraltro il dibattito ha fatto emergere alcuni aspetti sui quali ci pare opportuna qualche puntualizzazione. Innanzitutto ci pare sia utile, a dibattito in corso, rilevare come le motivazioni degli interventi di parecchi dei membri della maggioranza di questa mattina confermano le ragioni del nostro giudizio profondamente negativo sul piano. Di fatto analizzando gli interventi fatti anche dai banchi della maggioranza, emerge quasi un giudizio di oggettiva inutilità di questo piano.
Lo stesso Presidente del Consiglio nel suo intervento ha detto: "Adesso discutiamo e votiamo, poi vedremo il da farsi". Ci pare insomma di capire che il piano, a giudizio di parecchi dei componenti della maggioranza dovrebbe essere sostanzialmente rivisto per individuarvi delle reali priorità di intervento così come da noi espressamente sollecitato, in considerazione anche dei tempi di scadenza della legislatura.
Valutando questi interventi - se mi si consente un'immagine un po' ironica - la Giunta, con questo piano, esce alla stregua di un pugile che oltre ad essere picchiato dal suo avversario le prende anche quando ritorna all'angolo, dai suoi secondi. Potremmo anche fermarci qui se non forse per il fatto che un paio delle pur scarse motivazioni favorevoli esposte dagli oratori di maggioranza meritano qualche considerazione e chiarimento. La prima, illustrata questa mattina dal Consigliere Santoni, parte dal presupposto che il grave ritardo con cui il piano è stato presentato dalla Giunta è da considerarsi inevitabile indipendentemente dalle procedure eccessivamente rigide e pesanti che vincolano il processo di programmazione. Se ciò è vero, com'è vero, occorrerebbe però trarne qualche conclusione politica. Infatti, se non sono le procedure, che pure noi abbiamo affermato andrebbero riviste, quali sono le ragioni che hanno impedito alla Giunta di muoversi con maggiore sollecitudine se non proprio con totale puntualità? La risposta non può che essere cercata nelle debolezze del governo regionale e nel suo oggettivo rifiuto di assumere la programmazione come asse di riferimento delle sue scelte operative.
D'altra parte, visto che si fanno anche molti esempi e si cerca di giustificare l'oggi riandando al passato, quasi non esistesse l'istituto della prescrizione, è bene ricordare che anche i ritardi del precedente piano non furono dovuti che in minima parte ai vincoli posti dalla legge delle procedure della programmazione. I ritardi di allora furono causati essenzialmente dall'impatto dei fatti del 3 marzo e dalle conseguenze politiche che ne derivarono. Per questa Giunta, che non ha vissuto avvenimenti di quella drammaticità e di quella natura, le ragioni delle sue inadempienze stanno - non le voglio ripetere - nelle cose che questa mattina con puntualità e con dovizia di argomentazioni ha denunciato il nostro Capogruppo Bontempi. E stanno anche in quella preoccupante perdita di ruolo della Regione che ha indotto il Capogruppo del PSI, Tapparo, in un intervento che ho personalmente molto apprezzato, a parlare di ruolo interstiziale, come effetto, certo, del carattere neocentralistico delle scelte governative di questi anni, ma anche, in grande misura, delle proprie insufficienze e incapacità politico-amministrative.
Il fatto che dai banchi stessi della maggioranza sia venuto anche un rilievo all'incapacità del governo regionale di presentare un volto unitario, in grado di far emergere e di far prevalere il momento del coordinamento intersettoriale degli interventi assessorili, non fa che confermare come la insufficienza metodologica e di contenuto di questo piano siano il prodotto di scelte politiche errate e di assetti di governo inadeguati. Anche la perdita di contatto e di raccordo con gli enti locali registratasi in questi anni è il frutto preoccupante ma coerente di un simile modo di agire, nettamente contrastante con gli orientamenti espressi a più riprese da questo Consiglio. Per stare all'ultima tornata di dibattiti in materia di rapporti Regione - enti locali, quello che accompagnò la soppressione dei Comprensori, ricordo l'impegno pressoch unanime espresso sui provvedimenti diretti a consentire, seppure in forme diverse dal passato e non sovrapposte alle Province, di realizzare un'articolazione sul territorio della funzione regionale di programmazione e delle conseguenti strutture amministrative. Quel voto è però rimasto lettera morta, fino al punto di lasciare in condizione di pratico inutilizzo parte del personale rimasto negli ex uffici comprensoriali.
Numerosi dipendenti oggi non sanno neppure come far trascorrere il tempo mancando una qualsiasi direttiva operativa che li impegni. E' un'immagine avvilente.
Collega Nerviani, se non hai fatto questa esperienza, ti consiglio di andare a visitare qualche Comprensorio, di parlare con qualche dipendente regionale, potrai constatare lo stato di profonda frustrazione e il senso di inutilità che li pervade.
La seconda considerazione di un qualche rilievo a sostegno della Giunta formulata da oratori della maggioranza riguarda un preteso carattere innovativo del piano, frutto, è stato detto, di una impostazione che abbandona gli scenari generali per passare ai progetti. Posso comprendere che Santoni e Ferrara compiano questo errore in quanto non erano - non per loro colpa presenti su questi banchi nel corso della precedente legislatura.Picco però c'era e non può aver dimenticato che la scelta di staccarsi dalle ipotesi di programmazione onnicomprensiva è stata compiuta dalla precedente Giunta e che è stata la precedente maggioranza ad affermare la necessità di realizzare una programmazione per progetti.
Collega Devecchi, tu c'eri.



PRESIDENTE

DEVECCHI



PRESIDENTE

Ricordo gli 84 progetti.



PRESIDENTE

VALERI



PRESIDENTE

Esatto. Al ricordo degli 84 progetti ti vorrei richiamare per trovare conferma di quanto dico. Tanto più che diversi di quei progetti sono tuttora in fase di realizzazione e sono ricompresi in questo piano.
Gabellare, quindi, per innovativa una scelta compiuta da altri in precedenza denota semmai la pochezza degli argomenti a sostegno della Giunta. Altra cosa sarebbe stato se, come noi stessi abbiamo invano richiesto, si fosse operato per far evolvere la precedente esperienza di programmazione in un senso di maggiore selettività degli obiettivi e di una più puntuale progettualità, accompagnata da precisi vincoli di spesa e di verifica dei risultati.
L'affermata progettualità non può, peraltro, esaurirsi in una dichiarazione di principi, deve bensì misurarsi nel merito.
Le dichiarazioni critiche venute in proposito dai banchi della maggioranza sono una conferma di tale esigenza, mentre i numerosi rilievi formulati dalla collega Bresso nel suo intervento hanno efficacemente dimostrato come tra l'affermare un intento progettuale e il realizzarlo pu passare un abisso. Aggiungo un solo esempio alla già lunga casistica evidenziata dal dibattito; riguarda un problema di considerevole portata per il Piemonte: il dopo referendum sul nucleare e il da farsi a Trino 1 e a Trino 2. Indubbiamente si tratta di un nodo strategico rilevante, sia dal punto di vista delle scelte di approvvigionamento energetico che degli elementi innovativi da introdurre nell'apparato energetico regionale, ma invano cercherete nel piano una risposta progettuale o quanto meno propositiva. E dire che come Gruppo comunista abbiamo avanzato nei mesi scorsi la proposta di un progetto integrato energia-risparmio, per il riutilizzo del sito di Trino 2, incentrato sulla costruzione di due gruppi da 300 Megawatt a ciclo combinato, nonché su altri interventi di tipo sperimentale miranti all'impiego delle biomasse e dei rifiuti solidi urbani, oltre che sul recupero e l'utilizzo del calore residuo degli impianti per agrotermia. Il silenzio del piano è ancora più assurdo se si considera che il recente decreto del CIPE, con cui è stato approvato il piano di interventi a breve termine predisposto dall'ENEL. ha recepito quella nostra proposta, quanto meno per la parte relativa alla costruzione di un impianto a ciclo combinato turbina gas, turbina vapore, composto da due gruppi da 300 Megawatt, uno dei quali, noi riteniamo, occorrerebbe verificare in sede progettuale se sia possibile inserirlo alla Centrale nucleare E. Fermi (Trino 1) per poterne avviare la riconversione.
Sulla restante parte della nostra proposta, in assenza di risposte, il confronto rimane invece aperto. In tal senso continueremo la nostra iniziativa, qui e fuori da quest'aula, anche per vincere l'inerzia e il vuoto di iniziativa di una maggioranza che, impegnata da questo Consiglio attraverso l'ordine del giorno unitario di sei mesi fa, a convocare - entro quattro mesi! - la seconda Conferenza energetica regionale, non ha mancato di dimostrare ancora una volta tutta la sua preoccupante insipienza.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Gallarini.
GALLARINI A nome del Gruppo socialdemocratico riprendo per un attimo soltanto e non in tono polemico quanto già affermato dal collega Tapparo stamani relativamente al giudizio sostanzialmente espresso dal documento della DC nella prima pagina di presentazione, in quanto noi facevamo parte di quella maggioranza di sinistra che ha retto le Giunte passate fino al 1985.
Rispetto a questo piano ci collochiamo come forza politica che rappresenta una continuità dal punto di vista operativo (continuità che è stata messa in atto nel corso delle amministrazioni precedenti, quindi non possiamo condividere il giudizio espresso in quel documento) e continuità rispetto ad argomenti, a filoni conduttori che ripresi dai piani precedenti, noi rivediamo elaborati, aggiornati con nuovi stimoli, con nuovi input contenuti nel Piano regionale di sviluppo che ci viene sottoposto per la discussione e per l'approvazione.
Ci riconosciamo in questo piano come forza politica che nelle sedi di Giunta e di Commissione ha contribuito alla stesura; condividiamo peraltro alcune critiche che ci permettiamo di fare a fini ovviamente costruttivi pur da ambiti di collocazione all'interno della maggioranza che regge la Regione Piemonte, ma riteniamo che effettivamente, mancando trecento giorni come è detto nel documento della DC - alla scadenza naturale di questa legislatura, questi non siano sufficienti per andare all'interno di quel piano a sventagliare una serie di iniziative sminuzzate in vari settori.
Riteniamo comunque che questi trecento giorni siano sufficienti per stimolare un salto di qualità all'interno del governo della Regione Piemonte; salto di qualità rispetto a quanto è venuto avanti in questi anni relativamente ad una certa capillarizzazione di contributi e di interventi che molte volte vanifica il peso specifico e l'incisività dell'intervento stesso.
Riteniamo quindi che all'interno dei numerosi problemi e dei numerosi interventi di settore contenuti nel piano che stiamo esaminando vadano stralciate alcune linee conduttrici, alcuni interventi forti sui quali concentrare le modeste risorse disponibili della Regione.
E' vero, in questi ultimi anni - condivido l'affermazione di Tapparo ripresa da Valeri - la Regione Piemonte, in particolare per alcune caratteristiche di debolezza peculiare, è stata costretta ad operare in strati interstiziali che sono però dovuti ad una volontà pervicace di riaccorpamento di centralità da parte del Governo e dello Stato: alcuni esempi li abbiamo citati in occasione del dibattito sulle riforme istituzionali tenuto in quest'aula nell'aprile scorso. D'altra parte le stesse deleghe che la Regione ha proceduto a dare soprattutto negli ultimi anni alle Province hanno sicuramente contribuito a far sì che si creassero dei compartimenti stagni.
I compartimenti stagni li riscontriamo laddove il baricentro dell'azione della Regione si sposta dal livello dell'iniziativa politico programmatica al livello della gestione. E' ovvio che quando si è costretti, anche per la quotidianità degli interventi, ad appiattirsi sulla minuteria amministrativa di propria competenza, si finisce con il perdere la visione di insieme che deve guidare le linee di incisività politica che provocano un indotto nei vari settori.
Sia questa ritrovata spinta verso una centralità statale sia, per converso, il decentramento, le deleghe alle Province molte volte non sufficientemente sorrette da personale e da mezzi per poterle gestire hanno finito con il creare dei compartimenti stagni difficilmente riconoscibili in un unico filone politico di impostazione e di incisività che invece la Regione secondo noi deve riprendere. Se questi trecento giorni non sono sicuramente sufficienti ad attuare o quanto meno anche solo ad iniziare in modo cospicuo alcune iniziative di fondo all'interno dei vari settori, devono essere comunque sufficienti a far fare un salto di qualità alle scelte programmatiche che già con i bilanci del 1989 e del 1990 la Regione Piemonte ha cominciato a determinare.
Gli orientamenti devono essere convogliati e finalizzati su iniziative forti e non attraverso una dispersione che finisce con il disperdere anche quelli che sono gli effetti propositivi e di indotto che possono ricadere sul territorio.
Per quanto concerne l'organizzazione istituzionale, riteniamo che nello scorcio di legislatura che ancora rimane da qui al 1990 si debba procedere alla predisposizione di alcune linee guida che faccia seguito al dibattito dell'aprile scorso in cui fu affrontata la questione delle cosiddette autoriforme e della necessità di snellire alcuni organismi regionali, quali il CUR e il Co.Re.Sa. Vorremmo che iniziative di questo tipo fossero riprese in modo forte e incisivo per dare un'anima alle linee indicatrici emerse da quel dibattito.
Per quanto riguarda l'autonomia impositiva ovviamente non possiamo stravolgere concezioni di questo tipo, ma, visto che per vari aspetti è stata creata attorno all'Ente Regione una certa gabbia, c'è modo e modo di stare all'interno di questa gabbia: si può restare appisolati sul trespolo oppure dibattersi in modo dinamico per svellere le sbarre della gabbia e cercare di farsi ascoltare in modo più forte a livello statale e governativo per conquistare un'autonomia impositiva che consenta una qualificazione sorretta da maggiori disponibilità economiche per quanto riguarda le iniziative regionali.
In questo squarcio di legislatura c'è ancora lo spazio per un'iniziativa che sposti il baricentro dell'iniziativa politica regionale dal settore amministrativo a quello dell'iniziativa politica: riteniamo che questo debba essere lo stimolo con il quale affrontare la nuova legislatura e l'appuntamento dell'Europa del 1992 di cui parlano tutti. All'interno del 1992 e della realtà che vedrà coinvolta la nostra Regione, penso sia difficile immaginare che non vigerà il principio che le aree deboli saranno probabilmente sempre più deboli e le aree forti avranno la possibilità di diventare ancora più forti. E' ovvio che per affrontare questo compito la Regione dovrà avviare delle iniziative forti. Per quanto concerne gli enti strumentali abbiamo apprezzato l'approccio, di una certa aggressività, con cui Marchini ha affrontato il problema della Promark, ma quello che vale per la Promark riteniamo debba valere per tutti gli enti strumentali. In anni in cui, per cause che tutti conosciamo, la Regione ha visto espandersi in misura sempre maggiore la spesa incomprimibile per cui fa sostanzialmente da passacarte e da passalire dallo Stato agli enti locali e ha visto comprimersi in misura notevolissima la propria energia di risorse libere, in una situazione di questo tipo l'unico braccio che la Regione pu usare per incidere dal punto di vista politico di fondo è quello degli enti strumentali che pertanto occorre rinvigorire. Rinvigorirli significa dare loro un'anima che sia aggiornata rispetto alle esigenze e alle necessità di oggi.
Questi enti strumentali sono nati molti anni fa, sono stati lasciati in qualche misura un poco a se stessi, hanno le batterie quasi scariche che quindi bisogna ricaricare attraverso stimoli ed iniziative che solo l'esecutivo e la maggioranza che regge la Regione possono individuare attraverso questi stimoli si potrà andare a renderli più competitivi e all'altezza dei tempi.
Per quanto riguarda le questioni di carattere settoriale, geografico non vogliamo disperderci in rivoli di tipo particolare, ma un accenno - e non è un accenno di natura campanilistica - lo vorremmo dare per l'apprezzamento di alcuni punti che sono inseriti nel piano. Tra questi c'è il piano d'intervento per il Novarese e il Verbano Cusio Ossola. Quella è un'area nella quale sono in atto stravolgimenti profondi soprattutto per quanto riguarda le infrastrutture. Riteniamo che un ente di programmazione politica forte quale può e deve essere la Regione Piemonte debba andare a preparare il futuro attraverso interventi, come ad esempio la realizzazione di una turbina che utilizzi il flusso energetico che si riverserà su quell'area, flusso energetico che può venire anche dalla vicina Regione Lombardia. Sarebbe delittuoso se la Regione Piemonte non prevedesse di andare ad utilizzare questi flussi economici, a capitalizzarli e ad essere in grado di convertirli come ricaduta per quanto riguarda sia la zona del Verbano Cusio Ossola che la Regione nel suo complesso. Così facendo si colgono le dinamiche del territorio, quindi non si è a rimorchio rispetto alle iniziative, ma ci si inserisce nel flusso delle iniziative là dove queste sono in atto e si cerca di strappare il massimo possibile dalla produttività di indotto che sicuramente è notevole ed è in grado di preparare un futuro diverso per quella zona. Nel campo della scuola occorre andare all'individuazione di nuove professionalità. Nuove professionalità che tengano conto che siamo alle soglie dell'Europa unita che tengano conto dei problemi della disoccupazione e del fatto che alcuni settori industriali e produttivi sono spenti, mentre altri sono vivi ed in espansione. Non si può prescindere dal cogliere una dinamica di questo tipo per andare a far sì che le professionalità calzino con le esigenze di mercato e con i settori trainanti dal punto di vista occupazionale. Anche nel campo dell'ambiente il piano affronta il grave problema dei rifiuti, ma riteniamo che possa essere affrontato in modo più incisivo: ad esempio attraverso la promozione, con le risorse disponibili, di consorzi misti pubblico-privato, probabilmente i soli in grado di coinvolgere gli enti locali.
Per quanto riguarda il problema dell'ambiente in generale riteniamo che questo non vada affrontato attraverso le deleghe. L'esperienza di un anno e mezzo fa, relativamente al trasferimento delle deleghe alle Province e in un secondo tempo alla riappropriazione da parte della Regione di quelle deleghe (per ragioni che tutti conosciamo), ha dimostrato che non è questo il modo per affrontare il problema. Gli enti locali non vanno delegati su questo problema, ma vanno coinvolti anche attraverso incentivazioni. Noi oggi assistiamo al rifiuto generalizzato, preconcetto degli enti locali per le ubicazioni di impianti di smaltimento dei rifiuti, ma solo attraverso una politica che preveda la promozione, l'incentivazione e l'elargizione di contributi anche sostanziosi ai consorzi misti che coinvolgano accanto al privato il pubblico sia per quanto riguarda gli investimenti e gli impianti sia per la gestione e il controllo, è possibile non solo favorire, ma permettere un approccio al problema di tipo più produttivo e gratificante.
Un'altra iniziativa che abbiamo visto solo sfiorata all'interno del piano è quella dell'istituzione di una rete di rilevamento delle acque.
Come diceva il Consigliere Picco relativamente al problema delle acque, in effetti il piano affronta se non in modo esaustivo sicuramente in modo soddisfacente il problema. Per quanto riguarda l'inquinamento atmosferico è necessaria una politica di raccordo da parte della Regione perch assistiamo oggi al fatto che alcune Province, alcuni Comuni, alcune UU.SS.SS.LL., stanno installando a briglia sciolta centraline di rilevamento - altro che compartimenti stagni! - nel senso che sovente accade che una Provincia installi centraline di rilevamento con determinati metodi informatici di trasmissione dei dati, salvo poi non sapere che cosa avviene nella Provincia limitrofa se non addirittura nell'USSL o nel Comune accanto. Riteniamo che operazioni di questo tipo non possano e non debbano essere abbandonate alla spontaneità dei vari enti locali, ma prima ancora che raccordate deve essere delineato un piano di coordinamento in modo tale che, attraverso un linguaggio comune, la Regione sia in grado, non solo di sapere cosa sta avvenendo, ma addirittura di tirare le fila e dare alcuni input per quanto riguarda iniziative di questo tipo. Analogamente a quanto si diceva per la questione dei rifiuti, è necessaria una razionalizzazione in questo settore e chi, se non la dimensione territoriale, geografica e politica della Regione, meglio può assolvere ad un compito di questo tipo? Attraverso iniziative sparse, spicciole, capillari, minute e disperdenti si sprecano risorse - e ce ne sono poche - e i risultati si stenta a vederli o, laddove si vedono, molte volte queste strutture sono usate in modo campanilistico e non permettono quindi di avere un quadro generale attendibile. Queste le nostre considerazioni sul piano e immaginiamo che l'Assessore raccoglierà i contributi che sono venuti dalla discussione in aula consiliare. Giovedì prossimo ci accingeremo ad esprimere un voto favorevole, ma al di là del formalismo riteniamo che occorra incidere sull'anima di questo piano e ciò sarà possibile in questo squarcio di legislatura soltanto andando alla ricerca di una iniziativa forte su alcuni settori portanti, selezionando, quindi, alcune priorità nei confronti delle quali destinare in modo pesante le scarse risorse di cui la Regione dispone.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Masaracchio.
MASARACCHIO Signor Presidente, colleghi Consiglieri, io capisco che certi pensieri sono inevitabili a chi è neofita in un consesso come questo, però è anche vero che di fronte all'assenteismo di tipo parlamentare che fa di questo Consiglio un'aula piuttosto distratta, corre quasi l'obbligo di farla una riflessione politica, naturalmente.
Io ricordo - non è vero Gallarini? Ricordi anche tu? che quando eravamo alla Provincia di Novara, nei momenti in cui si dibattevano i programmi, o quanto meno si pensava che attraverso il dibattito sui programmi si potesse costruire qualcosa di più e di nuovo per la Provincia, non ci si alzava nemmeno per un attimo dagli scanni. Si era sempre presenti e guai se gli Assessori si fossero assentati dal dibattito! Si aveva, in ogni caso l'illusione di poter parlare non a cose fatte, ma in un quadro di intendimenti tale da poter influire in una qualche maniera.
Egregi colleghi, è deludente che ci sia una così vasta assenza nel Consiglio regionale di fronte ad un programma che in ogni caso non dovrebbe essere come un dato di fatto già acquisito, ma costituire la proposta attraverso la quale le confluenze, quanto meno per l'avvenire, visto che nel tempo che corre non potrà essere attuato, valgano quanto meno a dare un indirizzo e riconciliare un qualche concreto intendimento di rinnovo e di potenziamento della Regione Piemonte.
Fatta questa considerazione, leggo il mio intervento per evitare di debordare dagli argomenti che mi sono stati assegnati, e quindi chiedo alla cortesia dei presenti la pazienza di ascoltarmi.
Signor Presidente, signori della Giunta, è bene che dica subito che non intendo affrontare, in questo mio intervento, i problemi esposti dal Piano di sviluppo in discussione, non tanto perché il cosiddetto strumento di programma pluriennale 1987/1990 non meriti giudizi in ordine all'impostazione politico-amministrativa e all'analisi della società piemontese che vi sono contenute in termini storici e di attualità, ma quanto per ogni suo negativo aspetto di estemporaneità.
Le linee politiche di un programma, di un piano, di un progetto di investimenti, devono osservare i tempi di attuazione prefissi, perché siano credibili e se si vuole davvero che incidano organicamente nella società.
Tutto sommato, sarebbe anche giusto, pur tenendo fermo ogni presupposto di opposizione pregiudiziale, puntualizzare i motivi di ragionato contrasto verso l'effettiva possibilità di realizzare i progetti in ordine alla capacità di spesa delle risorse regionali e alle effettive e concrete disponibilità dell'iniziativa privata ad intervenire.
E' di questi giorni la notizia, tanto per fare un esempio di immediato riscontro, che Torino perde un miliardo di lire dalla CEE per la sperimentazione energetica tecnologica ambientale sull'area della ex-Venchi Unica. Lo riporta la rassegna stampa dell'Ufficio Stampa della Regione.
Chiunque può riscontrarlo, è la n. 20 dell'1 febbraio 1989.
Quindi, seppure nell'intenzione di svolgere un intervento che miri a contraddire ogni asserita puntualità del piano in parola, un po' nel merito dovrò pure calarmici, ovviamente con licenza dei colleghi Majorino e Minervini. Ebbene, ribadisco prima la critica di fondo che il Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale puntualmente fa alla politica del sistema di cui questo governo regionale è espressione. Lo dice la Costituzione italiana vigente, lo ribadisce lo Statuto regionale, lo si afferma in ogni ente della pubblica amministrazione, lo si introduce tutte le volte che si parla di spesa pubblica e di pubblico erario, di investimenti e di tassazione. La programmazione è lo strumento atto ad evitare che la cosa pubblica sia amministrata disordinatamente, perché non si viva alla giornata o, peggio ancora, nell'assurdo che l'ordinaria amministrazione sia veicolo di contrabbando ideologico. Lo stesso concetto di democrazia, lo ha ricordato oggi il liberale Santoni riferendosi in termini critici agli anni '70, ha voluto individuare nella programmazione i motivi della propria intrinseca credibilità, ma strumentalmente, poiché la dialettica del confronto, così come la si concepisce oggi dal sistema, più che essere momento creativo, è solo una mera questione di forma senza sostanza, è lo scheletro della precaria credibilità della politica della partitocrazia.
E' nato così il progetto politico programmato per la realizzazione nell'arco del tempo di un mandato di legislatura o a medio termine. E' così che si è fatta la fabbrica della propaganda che è lastricata sì di buone intenzioni, ma il più delle volte le buone intenzioni sono solo promesse giacché accade, alla fine, che le programmazioni si discutano e si approvino ai limiti della scadenza dei tempi previsti per la loro attuazione; qualche mese prima della fine della legislatura, come avviene per i bilanci preventivi che si accavallano ai consuntivi dell'annata precedente, in un'intenzione disorganica che vanifica ogni buon proposito.
Il sistema è divenuto prassi costante tanto da avere determinato nel tempo l'invenzione dei piani pluriennali pieni di vuote cifre. Scusate il bisticcio dell'immagine. Il fatto è, dunque, che quando i programmi non vengono fondati sulle acquisite adempienze, su dati concreti e inconfutabili di livelli raggiunti con assoluta certezza, diventano mera demagogia, quanto meno tentate buone intenzioni che in parte giustificano il fallimento o lo scarso rendimento della gestione corrente. Insomma, noi del MSI-DN diciamo invece che la programmazione non può essere confusa con la pianificazione la quale nei sempiterni equivoci della politica italiana altro non è che appiattimento.
La nostra cultura politica, lasciatemelo dire fuori da ogni impertinente nostalgismo, ha radici vive e fertili nel terreno dell'economia a fini sociali, in perfetta sintonia anche in questo caso con la Costituzione nazionale, nel solco di tutto un patrimonio scientifico ideologico fondato sul concetto che soprattutto l'economia di Stato non debba eludere il dovere della programmazione.
Egregi colleghi, Assessore Vetrino, su tale argomento è ben poca cosa ciò che mi è parso opportuno e doveroso dire. Me ne rendo conto. Ma il mio compito di oggi - lo ripeto - è di esporre il pensiero politico che ruota attorno alla filosofia della programmazione che, a qualsiasi ideologia la si voglia ricondurre, un dato certo per tutte le salse deve pure averlo, ed è questo: il rispetto dei tempi di attuazione.
Su ciò credo che nessuno qui voglia dire il contrario. Del resto basterebbe rileggere i resoconti del dibattito consiliare del dicembre 1984 sul secondo Piano regionale di sviluppo per il Piemonte. In quella occasione, non solo dal Gruppo del MSI-DN, come ha giustamente ricordato ieri la collega Minervini, ma anche da tutti gli oppositori del tempo (democristiani, repubblicani, liberali) si sostenne che una programmazione non è più tale quando non ha davanti a sé i tempi per la realizzazione.
Anzi, il collega Majorino addirittura avanzò una rigorosa quanto pertinente pregiudiziale sulla improponibilità del quel piano e, quindi, sulla sua inutilità pratica, proprio perché presentato alla scadenza della tornata di legislatura. Il giudizio di Majorino fu di merito, ma toccò anche più di un problema giuridico-istituzionale ineccepibile, tant'è che ne conseguì un dibattito e un voto (per la cronaca, venti Consiglieri non socialcomunisti dopo aver sostenuto la eccezione di Majorino, non ebbero l'animo di andare fino in fondo e si astennero!).
Quanto largamente affermato in quella occasione è di attualità ancora oggi, per cui possiamo tranquillamente concludere che le ragioni dell'opposizione, quando questa non è strumentale e capziosa, sono immutabili allorché il confronto è con chi governa senza tener conto delle regole di fondo della correttezza che vuole il rispetto del principio codificato. Ieri come oggi, da sinistra e dal centro, la regola è di "macinare" ciò che scorre per la farina del quotidiano e nel frattempo lasciar vivere le attese dello sviluppo nel libro dei sogni dei piani e dei programmi, proiettando le cose non fatte e quelle da farsi nel mondo degli intenti, in una sorta di nostalgia dell'avvenire, di sogno di fine stagione.
Tutto questo al tempo della cosiddetta Giunta rossa ed ora con gli attuali occupanti dell'area di centro. Non è cambiato nulla: "invertendo l'ordine dei fattori, il prodotto non cambia". Dopodiché è incontestabile il fatto che solamente il MSI-DN ha le carte in regola, ha pieno titolo ancora una volta di dichiarare che al gioco delle inadempienze non ci sta nemmeno questa volta.
E credo abbia titolo di intervenire anche a proposito di quanto il Gruppo della DC ha fatto circolare, dentro e fuori questo Consiglio, con un suo documento di analisi sullo stato della Regione Piemonte. E' inaudito che si possano fare talune affermazioni senza che se ne diano i dovuti chiarimenti o comunque senza delineare i confini di tutto ciò che pu essere reso credibile.
La DC ci fa sapere che finalmente il governo regionale, guidato dal democristiano Vittorio Beltrami, ha saputo ricreare l'immagine di amministrazione stabile, non litigiosa, efficiente, affidabile e soprattutto, dice, onesta. Ora, un rappresentante dell'opposizione, un missino, uno del MSI ha tutto il diritto di chiedere quali siano state le disonestà per le quali i rappresentanti del PSI e gli altri Consiglieri che facevano parte della coalizione di maggioranza insieme ai comunisti hanno creduto opportuno di abbandonare quella Giunta che si definiva rossa, per collocarsi al centro, nell'attuale formazione di pentapartito. Sono affermazioni molto gravi che questo Consiglio meriterebbe di conoscere fino in fondo e di poterle comparare oggi, perché in definitiva ciò non pare possa considerarsi del tutto avulso dal contesto del dibattito che sul programma si sta facendo, tant'è che lo stesso documento della DC afferma che bisogna provvedere nel futuro, come se non fossero passati dal 1985 ad oggi gli anni necessari per provvedere al risanamento di una rigida situazione di estrema burocratizzazione, che ha fortemente burocratizzato ogni rapporto. Occorre mettere le cose a posto perché non ci sia più quella grave confusione dei ruoli tra il politico e il funzionario burocrate come dice il documento della DC. Un concetto che viene ripetuto ancora più avanti, per cui ecco che gli allarmi da parte dell'opposizione nei confronti di una corretta gestione sono tanti. Le nostre preoccupazioni sono veramente molte.
Mi stupisce il fatto che i rappresentanti del PCI (forse l'avranno fatto per estrema cautela) non abbiano affrontato questo problema rinunciando a questa storica occasione di confronto con i loro ex alleati e lasciando registrare al Consiglio che abbiamo avuto delle disonestà nell'amministrazione rossa di questa Regione. Bene, ne prendiamo atto, ma registriamo pure che oggi non si è potuto verificare abbastanza come fare a coprire le disonestà denunciate, per cui in avvenire, quando sarà passato questo piano di programma, si potrà davvero pensare, si potrà credere che non ci siano più problemi di disonestà, che ci sia una riqualificazione del personale, che si rivedano i livelli funzionali, che ci sia la produttività dell'Ente Regione come ente di programmazione, di intervento, di coinvolgimento, così come si va dicendo anche dai banchi della maggioranza? Fatte tali considerazioni, dico che questi sono i motivi che ci consentono di dire: "ma non è una cosa seria".
In politica è una cosa seria ciò che si può realizzare indipendentemente dalle finalità ideologiche che ne caratterizzano l'impostazione, indipendentemente dalla credibilità dei problemi che si affrontano in termini di proposta. Un piano, un programma di interventi può essere pure lastricato di problemi seri e concreti, purché non si tratti solamente di una testimonianza atta a significare che esiste la "inderogabile esigenza di un intervento pubblico nuovo, che sappia cioè utilizzare tutti gli strumenti e tutte le forme di intervento ipotizzabili per porre riparo a tendenze che il mercato da solo non è in grado di mitigare" (così è scritto nel piano). Siamo sempre ai grandi propositi siamo sempre alle grandi affermazioni, come se il tempo venturo fosse un tempo di grandi conquiste, magari nella stratosfera e nello spazio.
Io chiedo quale valore possano avere le analisi e le statistiche degli anni 1984/1985 e che significato può avere qualsiasi riferimento al 1986 o al 1987, a fronte di tutto ciò che è accaduto fino ad oggi, di fronte alla trasformazione in non pochi casi radicale della realtà economico-sociale? Il prodotto interno lordo degli anni passati non è quello di oggi e non potrà essere quello dell'anno venturo.
I problemi congiunturali in rapporto agli altri Paesi che ci coinvolgono non hanno le medesime caratteristiche del passato.
Le emergenze di ieri, seppure fedeli ad una costante di latente crisi checché ce ne dica l'Assessore regionale al lavoro, non sono le stesse di oggi.
La cosiddetta "grande razionalizzazione" industriale ha determinato i suoi sviluppi, ma a quale prezzo? E quale è stato l'apporto delle attuazioni che il piano prevedeva? I cedimenti occupazionali hanno dilagato nel terziario di ogni ordine e grado senza che si sia fatto un progetto di controllo e di regolamentazione del fenomeno che è parte del contesto della crisi occupazionale e per di più senza che si siano create le necessarie premesse per la realizzazione di quei progetti che verrebbero affidati alla telematica per taluni importanti sviluppi dell'economia regionale. Cito a questo proposito, solo perché se ne registri una vibrata denuncia (campanilistica se si vuole), il caso dell'Alto Novarese, di Domodossola in particolare. Fu affidato all'Università Bocconi di Milano l'impegno (ricordo ancora le riunioni, le interviste, i numerosi dottori venuti da quella Università) di setacciare il territorio e darci la risoluzione sin da allora dei destini di quel territorio che oggi (Gallarini dice stiano per essere definitivamente stravolti, magari con l'istituzione della nuova Provincia) avrebbe dovuto essere dotato del Progetto ITACA - com'è curioso il destino delle parole! per lo sviluppo di tutta quella vasta zona fortemente provata da una crisi occupazionale ormai irreversibile. Ad Itaca, Ulisse poté fare ritorno dopo dieci anni di guerra e dieci anni di pellegrinaggio alla ricerca di un approdo. Chissà a quest'altra ITACA quando il turismo, la floricoltura, il credito, i trasporti, l'ambiente, la sanità, la formazione, il monitoraggio potranno giungere? Non si sa. Abbiamo letto in questi giorni che al Ministero del Lavoro si pensa di poter stanziare qualche miliardo per il Progetto ITACA, ma il Progetto ITACA ha bisogno di 55 miliardi. Per il credito, i lavoratori, l'ambiente, la sanità, la formazione, il monitoraggio per ora abbiamo solo migliaia e migliaia di pagine di documenti di ricerca, costati una barca di denari, e una sintesi di pronta consultazione giacente presso l'Amministrazione provinciale di Novara e in qualche ufficio della Regione. Potremmo dire dimenticato, se non fosse che il piano ne faccia menzione in poche righe di intenti, a memoria, come si suol dire in termini contabili. Una cosa è certa e nessuno lo ha ancora detto: occorrono 55 miliardi (se bastano ancora oggi) per realizzare il Piano ITACA e non è certo la Regione che potrà o dovrà spendere in questo investimento.
Egregi colleghi, chiedo venia. Alla fine - come vedete la voglia di farlo un esame del piano programmatico mi ha coinvolto.Era inevitabile giacché non ci si può del tutto sottrarre al dovere di opporsi e di cercare, al di là di ogni necessità di confronto e di dialogo, di influire per il cambiamento. E allora una qualche considerazione facciamola, senza stare a perdere tempo sulle reiterate ovvie diagnosi del piano e le emergenze più che decennali del Piemonte. Ebbene, la mia lunga esperienza di Consigliere provinciale e comunale di Novara (me ne possono essere testimoni i colleghi Avondo, lo stesso Presidente della Giunta regionale Beltrami, Gallarini, Bosio, l'Assessore Nerviani, se vogliono) mi consente di dire che tutti i progetti di cui al presente piano (certamente io parlo da oppositore), i progetti che riguardano il territorio del Novarese s'intende, da molte parti in quella Provincia sono considerati "aria fritta". Purtroppo è opinione corrente che il neoliberismo economico "faccia da sé" nel Novarese che per questo aspetto ha una storia e una tradizione. Anche in Provincia di Novara si è piuttosto orientati di lasciare al "pubblico potere" la politica dell'immagine della retorica della vuota disciplina degli intenti. Del resto, diciamolo pure, che senso ha discutere di progetti ancora oggi dopo averne parlato anni addietro senza venirne a capo? Ho fatto l'esempio del Progetto ITACA per dirne uno, ma di tutti si pu affermare che sono l'elencazione di quanto emerge da un quadro scoordinato di interessi locali non del tutto verificati in termini di concreta fattibilità, e non certamente in funzione della spesa che ciascuno richiede di sostenere, ma per le mille complicanze e le tante interferenze politiche che rendono la politica del regime sempre in stato di provvisorietà e di precarietà. Si veda il caso di Trino Vercellese, si vedano le politiche locali per gli anziani, si vedano le reazioni degli ospedalini locali, si vedano le Finanziarie dello Stato e le necessità sempre più pressanti di operare tagli drastici alla spesa pubblica, si vedano le risoluzioni campanilistiche di ogni genere, i provvedimenti del TAR che, a torto o a ragione, sconfessano la liceità degli strumenti operativi regionali; si faccia caso a questo e a quell'altro Sindaco, a questa e a quell'altra comunità territoriale, alle categorie che non conciliano tra di loro in una sorta di basso corporativismo, di quel corporativismo che è settorialismo nell'ambito della sempre più invadente filosofia edonistica della società contemporanea. Siamo di fronte ad un'abnorme reazione a catena di interessi contrapposti e spesso inconciliabili.
Ordunque, a fronte di tutto questo si viene, a trecento giorni dalla fine della legislatura, con un piano cogitato tanto tempo fa e riportato pari pari oggi, senza un aggiornamento che abbia un minimo di credibilità sulla sua fattibilità, come nello stesso ambito della maggioranza che lo sostiene si va dicendo a chiare lettere.
Cosicché non resta che fare questa considerazione: il piano poteva essere un programma due-tre anni fa; ora è solo uno strumento di campagna elettorale, buono per le prossime europee e riciclabile nelle amministrative del 1990. Nel frattempo si sarà magari capito come renderlo credibile e quindi riciclabile per l'altro quinquennio, fino al 1995 sempre che la stabilità di cui si vanta questa maggioranza regga al processo delle cose politiche del futuro.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ripa.
RIPA Signor Presidente, il documento politico-programmatico "Piano di sviluppo 1988/1990" dovrebbe essere un documento basilare della politica di intervento sociale ed economico della Regione sul territorio.
Le linee programmatiche, le dichiarazioni di intenti contenute potranno solo in parte essere attivate dato che siamo ormai al termine della legislatura.
Non mi addentrerò sulla filosofia o sulle filosofie ispiratrici (altri l'hanno fatto), sulle difficoltà oggettive nella realizzazione di questo piano, ma vorrei esprimere alcune considerazioni in merito agli indirizzi programmatici generali per lo sviluppo delle aree deboli della nostra regione, in particolare le aree montane e pedemontane.
A livello locale, per quanto riguarda la mia provincia, sono d'accordo con la sostanza delle richieste fatte dai colleghi Martinetti e Bonino per l'inserimento dei bacini turistici della provincia di Cuneo nel capitolo generale dello sviluppo dei bacini turistici. Anche questo è un modo per aiutare lo sviluppo delle aree deboli e marginali, valendosi degli studi conoscitivi e progettuali fatti dagli enti locali in questi ultimi anni (Provincia, Camera di Commercio, Comunità montane, Comuni, Unione Industriale, ecc.). L'emergenza neve dovrebbe essere un ulteriore motivo contingente e sostanziale in questa direzione.
Tornando alle osservazioni generali è giusto riallacciarci alla considerazione preliminare che viene fatta in questo piano laddove si dice che il territorio classificato montano rappresenta il 51,78% dell'intera superficie regionale. L'obiettivo di rendere la montagna piemontese "montagna viva" non può prescindere dalla percentuale citata prima, proprio perché gli interventi dovrebbero essere più incisivi e continuativi unitamente alla volontà politico-amministrativa della Regione, perché senza volontà non si può fare nulla nel tempo.
Il territorio montano e pedemontano non è ancora "montagna viva", è ancora in stato di necessità sostanziale. Non mi sentirei di concordare appieno sulla sostanziale scomparsa dello "stato di necessità" cui si fa cenno. Valgano alcuni esempi: sull'informazione in generale, sulla ricezione dei programmi televisivi regionali in particolare, nonostante i tentativi fatti dalla Regione nel passato con un'apposita legge regionale ancora oggi nelle vallate alpine piemontesi vi sono zone d'ombra per la ricezione di RAI 2 e RAI 3.
Un altro esempio riguarda gli interventi agricolo-sociali nelle fasce montane, pedemontane e collinari, a proposito dell'indennità compensativa che viene citata nel piano e che vede la Comunità montana gestire un regolamento CEE (n. 797) ed un regolamento regionale che di fatto hanno favorito le aziende della fascia della bassa montagna (aziende molto più ampie come territorio, come superficie, come numero di capi) rispetto alle zone più disagiate dell'alta montagna, oppure aziende che hanno sempre avuto un alto numero di capi.
D'altra parte non si può sognare un riequilibrio demografico nella regione Piemonte a favore della fascia pedemontana rispetto alle statistiche sullo spopolamento montano degli ultimi decenni.
Un'ultima osservazione la vorrei fare sull'ipotesi che è scritta in questo piano, di revisione della legislazione regionale per le aree montane.
A questo proposito è comunque essenziale e prioritario che ci sia da parte dello Stato maggiore buona volontà per quanto riguarda il rifinanziamento della legge n. 1102; c'è la necessità di una riserva di quote di contributi statali finalizzati nei vari settori. Si tratta di un'ipotesi da sempre richiesta ed avanzata negli ultimi anni dall'UNCEM. In larga parte non è operativa, un lavoro preparatorio va dunque avviato, così come giustamente si afferma nel piano.
In questa fase sarebbe molto utile un ripensamento rispetto allo spirito della legge nazionale istitutiva per ciò che concerne la delimitazione della zona montana.
L'attuale delimitazione ha debordato verso la pianura in alcune Comunità montane, in altre non ha debordato; quindi sarebbe auspicabile per il futuro un'estensione od una riduzione più generale con criteri oggettivi e parametri più sicuri che tengano conto della forma del suolo e quanto meno dell'altitudine.
Sulle aree deboli, economicamente marginali e con sviluppo sociale insufficiente rispetto all'altra parte del territorio - quindi non si tratta solo delle aree montane, ma anche di quelle collinari - sono opportuni interventi più concreti e meno verbali.
L'intervento sostanziale e concreto per la vivibilità - come dice il testo di questo piano - ed il miglioramento della qualità della vita in montagna avrà senso fintanto che le comunità locali resisteranno nelle attuali condizioni di disagio. Quindi, l'intervento da svolgere è urgente e indilazionabile.



ROSSA Angelo



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi.
CHIEZZI Signor Presidente, colleghi Consiglieri, avendo ascoltato questo dibattito voglio fare una prima osservazione: che in questo Paese manchi proprio un'alternativa ai Governi che sino ad ora ci hanno governato.
A me pare, sentendo questo stupefacente dibattito, che si rischi di far venir meno il gusto di fare politica o forse anche il senso di fare politica. Quando in occasione della discussione dell'atto più importante del governo regionale (la Regione è nata soprattutto per programmare), cioè il Piano regionale di sviluppo, si sentono interventi di critica di non riconoscimento del valore politico di questo piano da parte soprattutto della maggioranza degli intervenuti, a me pare che venga meno quell'elemento di dialettica e di distinzione, quel momento di cultura forse, che separa un'opposizione da una maggioranza. Se manca questo, far politica cosa diventa in questo Paese e in quest'aula? Si sono sentite le affermazioni del collega Picco, che io potrei ripetere solo alzando il tono della voce per distinguermi da Picco che ha denunciato l'improvvisazione che ha screditato Torino e che non lascia da parte la Regione. Questo l'ha detto il collega Picco e allora per distinguermi salto sul banco e mi metto a gridare? Capite che questa confusione è gravissima, perché il collega Picco siede nei banchi della maggioranza; se Picco dicesse queste cose fuori dall'aula gli si potrebbe dire di non fare il furbo, ma dicendole in quest'aula mi chiedo come nasce una dialettica politica in questo modo, con questa confusione.
Perché succede questo? Forse perché manca l'alternativa. Forse perch non si intravede nel Paese a livello generale la possibilità di un ricambio e questa impossibilità o mancanza o inattualità di un ricambio porta poi i governi, ad esempio il governo di pentapartito della Regione Piemonte, a vivacchiare e a consentire a ciascuno di noi di assumere nei confronti degli atti di governo la posizione che più gli piace. Capite che il confronto democratico a questo punto diventa asfittico. Questa è una democrazia che sta asfissiando per mancanza di ricambio d'aria, ricambio d'aria che sarebbe permesso da un'alternativa. Ora le critiche di questo tipo vanno respinte. Facile dirlo! Non dovrebbero essere permesse: è altrettanto facile dirlo. Certo che stupisce che a queste critiche non faccia seguito alcuna conseguenza di carattere politico: è troppo facile governare e fare l'opposizione insieme. Oltre a governare, il Gruppo comunista dice male, oltre ad occupare gli spazi di governo, in questo modo si tenta di occupare anche lo spazio dell'opposizione la quale è già impedita nel governo e viene depotenziata nelle sue critiche. Questo è molto scorretto, ma più che della scorrettezza verso una forza politica di opposizione mi preoccupa veramente il fatto che la democrazia risulta molto soffocata e impedita di esprimersi nei suoi principi fondamentali. Manca la dialettica tra il Governo che ha una propria politica e la difende e un'opposizione che con quella non è d'accordo. Parlare di fallimento del governo mi sembra il minimo che si possa dire prendendo come argomenti proprio quelli che sono stati usati da chi questo governo dovrebbe sostenere.
Alcuni hanno parlato di un ruolo insignificante della Regione. E' vero.
Questo è un giudizio che è stato espresso dal collega Tapparo e che noi condividiamo. Spesso su tante questioni la Regione non ha avuto un ruolo ha occupato piccoli spazi, ha recitato delle parti che sono di comparsa in una scena che è stata disegnata e costruita dai potentati economici. Per c'è anche una differenza di giudizio: non è sempre e solo stato così. In effetti il governo regionale, sia pure forse in forma implicita e passiva delle decisioni le ha prese o le ha consentite o non le ha contrastate.
Decisioni che hanno un grosso impatto sulla società e sul futuro dell'area metropolitana e della Regione Piemonte; sono il Lingotto, sono la mancanza di decisioni sul Metrò, sono alcuni grossi episodi che vedono in forte difficoltà la maggioranza del Comune di Torino e trovano anche in quest'aula molte perplessità, come quella dello stadio. Lo stadio lo avete deciso voi! Il collega Picco dice "lo stadio costa". Ricordo che in Consiglio comunale il Consigliere Montanaro del Gruppo DC aveva dichiarato che la validità dell'impianto del nuovo stadio stava nel fatto che questo sarebbe stato realizzato a "costo zero" per la collettività (questo è nei verbali del Consiglio comunale). Adesso mi pare ci siano richieste da parte della società concessionaria di contributi a tutti, forse anche alla Regione, per 20 miliardi! Da questo punto di vista la situazione è estremamente critica e grave.
Se in quest'aula fosse possibile introdurre da parte del Gruppo comunista un elemento concreto e a sostegno della possibilità di un'alternativa porrei questo elemento attorno al problema del rapporto pubblico-privato.
Ma devo dire che la possibilità e la forza di un'alternativa, visti questi quattro anni del governo pentapartito, derivano anche da un riesame critico della nostra esperienza di dieci anni di governo. Noi in quei dieci anni di governo abbiamo tanto creduto in un tipo di trasformazione (lo diceva Bontempi questa mattina), abbiamo determinato un ciclo, c'era un governo e c'era anche un'opposizione; almeno questo penso lo si debba riconoscere da parte di tutti. Allora, se nel governo delle Giunte di sinistra c'è un elemento che rispetto al procedere della società è stato di grande valore ritengo sia quello del ruolo del rapporto tra pubblico e privato. Negli anni 1975/1980, se vi ricordate, il tema era appena agli albori e forse da parte dei comunisti vi era una certa diffidenza iniziale nell'affrontarlo.
Ma va detto che sono state proprio le amministrazioni di sinistra ad aver fatto delle esperienze concrete di rilevanza nazionale in questo settore.
Abbiamo lavorato in due settori: nel settore della casa e in quello della trasformazione delle aree industriali. Se analizziamo la situazione possiamo vedere che nel settore della casa nella città di Torino le uniche esperienze condotte nell'ambito della cooperazione tra capitale pubblico e privato risalgono ancora agli anni 1976/1977, dopo più nessuna esperienza è stata fatta. Se esaminiamo gli accordi che la Giunta di sinistra aveva fatto con la FIAT per la trasformazione delle aree di Borgo S. Paolo ed esaminiamo i contenuti di merito di quegli accordi, cioè i benefici pubblici che sono stati portati alla città in conseguenza dell'accordo tra interessi privati e interessi pubblici, potete verificare il livello di grande rilevanza di beneficio pubblico che è stato ottenuto.
Allora sia per esperienza fatta sia, se volete, per la convinzione, in base all'esperienza fatta ed in base alla natura e alla struttura della nostra società, riteniamo che questo rapporto pubblico-privato debba essere promosso. Questo è un tema sul quale è possibile indicare concretamente le forme di un'alternativa di governo. Lo indicano anche le esperienze negative dei governi che si sono succedute alle esperienze di sinistra.
Prendiamo l'esempio del Lingotto, che giunge in queste settimane a conclusione attraverso la presentazione di un piano particolareggiato: non ho difficoltà ad affermare che il Lingotto, che pure dovrebbe essere una forma di cooperazione tra capitale pubblico e capitale privato, a mio parere si configura come una grossolana e gigantesca operazione di speculazione edilizia. La città avrà pochissimi benefici. Nel piano particolareggiato del Lingotto non si soddisfano tutte le esigenze di servizi. Si sono inventate delle cose assurde: vengono conteggiati come verde attrezzato i metri quadrati della pista sopra il tetto del Lingotto.
I benefici per la collettività sono minimi, è una gigantesca opera di speculazione immobiliare a favore del soggetto privato! Questo modo di trattare il rapporto pubblico-privato è deleterio nocivo per la città, sbagliato. E' sbagliato per due motivi, primo perch aggrava le condizioni di quella zona in ordine ai servizi e secondo perch inserisce - la Giunta qui ha delle responsabilità, collega Tapparo, qui non siete interstiziali! - e il Piano regionale di sviluppo lo accetta, in quella zona il Centro Fiere e il Centro Congressi. Bravi! Bravi! C'è scritto questo! Vetrino, se vuoi lo togliamo, noi siamo d'accordo. Questa è veramente una decisione gravissima! In quest'aula mi pareva di aver sentito qualche opinione, forse non espressa in forma ufficiale, che tentennava su questa decisione o comunque la voleva subordinare a certe verifiche. Invece a pag. 295 del Piano regionale di sviluppo, al quarto o quinto capoverso si compie questa scelta, senza guardare al 1992, prevedendo un Centro Fiere ubicato in un luogo sbagliato perché congestionato, inaccessibile, ubicato in una zona in cui è impossibile ogni ulteriore ampliamento, accanto ad attività che sono incompatibili, l'Università e via dicendo; in una struttura che non è la struttura moderna e competitiva che può rendere appetibile l'insediamento e lo svolgimento di fiere in competizione con gli altri centri fieristici d'Italia e d'Europa. E' una somma di errori espliciti, questa decisione presa dalla Regione Piemonte! Non è interstizio questo: è una decisione rilevante che vincolerà il futuro di Torino e di quella zona per i prossimi decenni. Ma c'è qualcuno in questo Consiglio qualcuno c'è stato, a dire il vero, mi riferisco al collega Picco - c'è una forza politica, che decida di stralciare questa scelta sciagurata dal vostro Piano di sviluppo? Se non è così, il discorso che siete solo deboli vale fino ad un certo punto. Siete deboli, ma nella vostra debolezza accettate decisioni forti, e queste decisioni forti non le prendono gli enti pubblici. Gli enti pubblici si accodano a decisioni forti e l'unico soggetto forte che fate esistere in questa Regione, in questa città in questo caso, diventa la FIAT.
Quindi, da questo punto di vista la critica è netta. Mancano trecento giorni alla scadenza della legislatura, per carità, continuerete probabilmente fino alla fine. La vostra esperienza ci fortifica nella nostra capacità di contribuire ad un'alternativa alle cose che state facendo e ci aiuta anche a verificare in positivo le esperienze che abbiamo fatto. Il tipo di rapporto tra pubblico e privato che proponete è un rapporto nel quale l'ente pubblico è stato subordinato alla volontà del privato. I rapporti pubblico-privato devono essere perseguiti; il pubblico non deve gestire tutto, intanto il pubblico non può gestire tutto, ma diciamo anche che non deve, non è giusto che certi settori siano gestiti dal pubblico, però quello che noi garantiamo e ricerchiamo è che nella contrattazione tra pubblico e privato si facciano i conti precisi e nella contrattazione si realizzino interessi collettivi conformi ai bisogni dei cittadini.
Questo non è avvenuto e allora, su questo tema, forse nei trecento giorni, si potrebbe anche verificare, al di là delle parole e delle lamentele da parte della maggioranza, cosa si può fare e cosa si pu costruire per il futuro.
La pianificazione, dice il collega Picco, è inesistente. Assessore Vetrino, il collega Picco le ha detto delle cose che avrei potuto dire anch'io. Gliele diciamo in due! E' inesistente, i piani paesistici non ci sono. Assessore Vetrino, vogliamo chiarire in quest'aula chi vuole i piani paesistici e chi non li vuole? Vogliamo aprire un confronto aperto scusate se faccio qualche forzatura - in questa palude? Come mai non si approvano i piani paesistici? L'Assessore Vetrino e il Presidente Beltrami li hanno in un cassetto.
Su questi piani si sono espressi tutti i soggetti che dovevano esprimersi su alcuni di essi il parere è stato positivo. Una legge dello Stato impone di adottarli, ma continuano comunque a stare in un cassetto.
Sul Piano di sviluppo l'Assessore Vetrino ha riscritto le stesse cose che ci aveva detto in una sua comunicazione in Consiglio regionale: una sequela di frasi in base alle quali si dice che i piani non si adotteranno.
Allora perché non si adottano? Io vorrei che almeno ci fosse un'assunzione di responsabilità esplicita con la quale potermi confrontare, mentre invece i confronti diventano difficili. Perché si impedisce a un forza come la nostra, che chiede l'applicazione della legge Galasso immediatamente per i piani che hanno avuto un parere positivo, di poter colloquiare con chi non li vuole misurandosi, cimentandosi, portando questo confronto all'esterno, parlando con la gente affinché la gente possa poi giudicare? Assessore Vetrino, chi le impedisce di portare all'approvazione i piani paesistici? Facciamo emergere in quest'aula la politica vera, il confronto delle idee e delle posizioni. Perché deve stare tutto sottaciuto? Mi sembra che si perda molto da questo punto di vista.
Ho svolto queste poche considerazioni per dire che noi non rinunciamo a far politica. Possiamo avere delle carenze di carattere soggettivo, ma riteniamo che su questo Piano regionale di sviluppo sia maturata un'ultima fase che ci spinge a procedere affinché in quest'aula si faccia politica ci sia un reale confronto delle idee che possa essere anche utile per il futuro.
Concludo quindi il mio intervento con l'auspicio che su questi punti nodali, al di là degli atti concreti, ci sia un'assunzione di responsabilità da parte di tutti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carletto.
CARLETTO Viviamo indubbiamente tempi nei quali non è certo facile parlare e fare programmazione. Non è facile farla nelle piccole aziende dove oggi c'è lavoro e domani non c'è più e non era facile prevederlo.
Non è facile fare programmazione nelle grandi aziende, e quello della grande azienda torinese che pochi mesi prima di mettere in cassa integrazione migliaia di lavoratori ha assunto dei dipendenti ne è un esempio. Non è certo facile fare programmazione negli enti pubblici e le ragioni sono note: gli scenari cambiano continuamente, è sufficiente che il prezzo del petrolio salga o scenda, lo stesso dicasi per il dollaro oppure che ci sia una guerra, anche locale, ma in una zona strategica per gli equilibri mondiali, ed ancora il fenomeno dell'inflazione. Sono tutti scenari che incidono fortemente nel sistema della programmazione dell'ente pubblico, dello Stato italiano, degli Stati, quelli perlomeno che sono inseriti nel contesto dei Paesi forti del nostro pianeta. Non è certo facile fare programmazione nella Regione Piemonte o nel Comune di Volpiano dove ho fatto per anni il Sindaco.
A nome del Gruppo DC devo formulare un apprezzamento per lo sforzo che l'Assessore Vetrino ha fatto in questi anni per cercare di arrivare ad un Piano di sviluppo che fosse il più coerente possibile con le esigenze del Piemonte. In mezzo a queste tante difficoltà mi pare di poter affermare che intanto un risultato è stato ottenuto: abbiamo di fronte un piano diverso rispetto a quelli del passato, diverso non nella soluzione del singolo problema, ma nella filosofia complessiva che tenta di interpretare e che mi pare essere l'elemento di apertura di questo piano nei confronti di ciò che di nuovo e di moderno c'è nella nostra Regione. E lo sforzo che ha contraddistinto questo lavoro si coglie anche nella disponibilità che la Giunta ha avuto nell'accogliere le osservazioni che ci sono state durante le consultazioni, in quello che l'Assessore Vetrino nella sua relazione ha chiamato il "recupero di collegialità" che l'ultima stesura ha evidenziato e che noi vogliamo sottolineare perché abbiamo sempre ritenuto la collegialità della Giunta uno degli elementi premianti di un governo regionale.
Nel lavoro che l'Assessore Vetrino e la Giunta hanno fatto colgo alcuni elementi caratterizzanti gli interventi che la collega Vetrino faceva quando, Capogruppo del PRI, all'opposizione sedeva in questi banchi e con la quale abbiamo più volte ragionato su questi argomenti. Non preoccupiamoci se i tempi non sono stati rispettati; secondo me la programmazione non è un fatto schematico, non ci sono delle scadenze, non è pensabile che una programmazione valga fino al 31 dicembre di un anno e il primo gennaio dell'anno dopo non valga più. Non è questo il problema, lo ha rilevato giustamente il Consigliere Bontempi quando ha detto: "noi non abbiamo esorcizzato l'aspetto del ritardo". Questo perché i ritardi hanno caratterizzato le amministrazioni di sinistra, ma non è questo il problema che mi interessa trattare. Il Gruppo comunista coglie che oggi il problema non è tanto nei tempi se non nel senso di intervenire al momento giusto in un determinato fattore economico. Un piano così complesso ed articolato indubbiamente ha meno questa caratteristica e più quella di piano generale di indirizzo, di coordinamento delle politiche che nel territorio regionale si debbono realizzare e quindi meno legato ad esigenze di tempistica così scadenzata.
Il problema non è che la maggioranza crede o non crede in questo piano per effetto del ritardo: la maggioranza crede in questo piano e ha ritenuto prioritario migliorarlo, legarlo di più ai problemi, farlo nascere attraverso il confronto con le realtà del Piemonte, istituzionali e sociali. Questo ha determinato dei ritardi proprio perché non si va per schemi e perché noi non rinneghiamo tutto ciò che è stato fatto nei vecchi piani. Immaginiamo che questo piano nei prossimi anni possa collocarsi anche a cavallo delle future elezioni e quindi essere una proposta che non è limitativa, ma che può offrire anche per l'inizio della prossima legislatura un punto di riferimento. Ciò che comunque a nostro giudizio va fatto è modificare la legge regionale di programmazione.
Noi riteniamo che il futuro piano debba essere predisposto sulla base di una legge diversa. E non è solo un problema di procedure: è un problema del modo di porsi della programmazione negli anni che stiamo vivendo. Negli anni trascorsi era comprensibile una programmazione di questo tipo, anche se per alcuni versi ci pareva troppo rigida, ma certo dagli anni '70 agli anni '90 le cose sono cambiate, la società è andata avanti e quindi anche la programmazione regionale deve procedere sapendo cogliere le esigenze della società di oggi. Questo lo si può fare non solo attraverso lo sforzo che la Giunta e la collega Vetrino hanno fatto nel redigere questo piano ma soprattutto attraverso un modo diverso e nuovo, più moderno, di procedere con la programmazione.
Non rinneghiamo ciò che è stato fatto nei passati piani, riteniamo anzi che questo piano abbia degli elementi di continuità rispetto ai piani precedenti, ma voglio dire, colleghi, che non si è iniziato a programmare in questa Regione dal 1975. In questa Regione si tentava già di fare ragionamenti di programmazione agli inizi degli anni '60, vedasi l'IRES e quant'altro. Quindi questa è una Regione che per la cultura che ha alle spalle, per le esperienze che ha fatto, per le realtà che deve rappresentare, ha una cultura della programmazione. Noi riteniamo che di questa programmazione del passato si debba tenere conto. Non abbiamo mai ritenuto di dover partire dall'anno zero e chi ha pensato che noi potessimo immaginare questo, consentitemi, ha pensato male. Nel modo di fare programmazione che la Giunta ci propone c'è qualche elemento di novità positivo. Innanzitutto, la visione di un Piemonte - Regione aperta, un Piemonte che vuole inserirsi di più e meglio nel contesto europeo; un Piemonte che cerca di individuare le modernità che ci sono. Il Consigliere Villa ha richiamato le modernità e le modernizzazioni culturali presenti in questa proposta, non è solo questo l'aspetto che voglio sottolineare, ma certo è importante questa sottolineatura. Questo Piano di sviluppo cerca di cogliere attraverso le nuove tecnologie ciò che di nuovo sta uscendo nelle professionalità, in una società che cammina verso il domani, della nostra Regione. E' uno sforzo che apprezziamo immaginando che sia stato fatto nella logica di guardare all'Europa, un'Europa che non dialogherà solo con gli Stati nazionali, ma che dialogherà fortemente anche con le Regioni.
Questo sforzo di raccordo con le altre Regioni italiane, con le Regioni francesi, con i Cantoni elvetici, nell'ambito di un disegno che vede il Piemonte inserito di più nel contesto europeo, ci pare una proposta affascinante sulla quale sicuramente ci cimenteremo. La DC dà un giudizio positivo sul Piano di sviluppo. Lo hanno già detto i miei colleghi Martinetti, Villa, Paris, Picco e Petrini che hanno portato il contributo della DC, come è abitudine del nostro Gruppo dare contributi sulle leggi e sui provvedimenti importanti. Abbiamo svolto degli interventi di merito come peraltro hanno fatto altri colleghi della maggioranza che colgo l'occasione per ringraziare, non solo per segnare questa scelta di non appiattimento su una proposta del governo regionale per esigenze politiche ma anche per segnare il fatto che in questo piano c'è e ci sarà il concorso di tutte le forze politiche della maggioranza (DC, PRI, PLI, PSI e PSDI).
Tutti hanno concorso, attraverso gli interventi di ieri e di oggi, nel formulare delle proposte. Questo non deve suonare a scandalo. Se il collega Picco, come altri colleghi, hanno sottolineato delle carenze in ordine a qualche scenario proposto è perché siamo convinti di non avere in tasca tutta la verità e perché siamo convinti di essere in una fase così complessa da richiedere un confronto sempre più approfondito sulle soluzioni che non sono facili da individuare.
A nostro giudizio, questo piano può contribuire, seppure in mezzo a mille difficoltà, ad avvicinare il Piemonte all'Europa pur non trascurando in questo disegno di ricerca e di sostegno del "nuovo positivo", le fasce più deboli di cittadini nei cui confronti occorre prestare attenzione.
La DC non è d'accordo che la forbice si ampli ulteriormente. Non siamo d'accordo che una fase di sviluppo, che cerchiamo di favorire in ogni modo determini delle condizioni per cui i più forti siano sempre più forti e i più deboli siano ancora e sempre più deboli. Così come non siamo d'accordo che lo sviluppo vada a danno di una condizione di vita che oggi tutti ci chiedono all'altezza della qualità che noi dobbiamo rappresentare.
Riteniamo che ci siano le condizioni perché lo sviluppo e il rispetto dell'ambiente non siano alternativi, ma che anzi possano procedere insieme.
Lo sviluppo non è sinonimo di degrado ambientale, ma deve essere fatto ogni sforzo perché le tecnologie più avanzate siano applicate per realizzare un ambiente sempre più vivibile. Devono essere messe in campo le risorse necessarie per creare queste condizioni. L'attenzione che la Regione sta formulando (non solo la maggioranza, non solo il governo, ma anche l'opposizione) in ordine a questa preoccupazione è un segnale positivo, nel senso che si possono, nei prossimi mesi e nei prossimi anni, individuare soluzioni che consentano uno scenario di questo tipo.
Diamo pertanto un giudizio positivo sul Piano di sviluppo e attendiamo dal Vicepresidente Vetrino e dalla Giunta le repliche con le proposte conclusive.
Vorrei ora svolgere una seconda parte di intervento su un altro elemento emerso in questo dibattito intorno al documento che il Gruppo DC ha presentato nei giorni scorsi all'opinione pubblica. Mi sono chiesto il perché del clamore suscitato da questo documento: non è forse compito o non è tra i diritti-doveri di una forza politica e di un Gruppo discutere dei problemi della nostra società? Non ci stupisce che non sia condiviso, perché se tutto ciò che scrive o che dice una forza politica fosse condiviso da tutti vorrebbe dire che siamo ormai allo stadio dell'unanimismo, assai negativo per la crescita della nostra società. Ci ha stupito il clamore, ma giudichiamo positiva l'attenzione che gli è stata rivolta, perché probabilmente vuol dire che era necessario che intorno a qualche problema si creasse un'occasione per discutere e per favorire il confronto. Il Gruppo PCI ha riconosciuto questo aspetto positivo.
Il Gruppo DC per ora ha fatto un solo documento, ma ne faremo altri.
Abbiamo in programma di elaborare fra pochi mesi un documento molto più articolato. Stiamo realizzando alcune iniziative: sabato scorso si è svolto un convegno sui problemi della sanità e dell'assistenza nella nostra regione, nel mese di marzo organizzeremo un convegno sui problemi dell'ambiente ed assumeremo altre iniziative con l'accordo tra Gruppo consiliare e Partito. Questo è un diritto-dovere di una forza politica e di un Gruppo come quello della DC che vuole interrogarsi al proprio interno e confrontarsi con le altre forze politiche e con la società su questi problemi.
Ho sentito aleggiare due interpretazioni, sulle quali vorrei subito togliere il dubbio. Intanto non era e non voleva essere un documento di valutazione politica sui quattro anni di amministrazione di pentapartito alla Regione Piemonte. Non aveva questo significato, anche perché, se lo avesse voluto avere, probabilmente avrebbe avuto un'articolazione diversa e molto più ampia, ma non era questo il nostro obiettivo. Non è e non voleva essere un documento parallelo, alternativo al Piano di sviluppo. Il nostro documento parla del Piano di sviluppo in mezza pagina dicendo che è un elemento strategico nella politica della Regione. Chi l'ha interpretato in questo modo, mi consenta, ha sbagliato: non era questo lo spirito, voleva e vuole essere una proposta su alcuni obiettivi che la DC condivide da qui al 1990 per vedere se siamo d'accordo di raggiungerli insieme.
Le proposte da noi formulate sulle cose da fare in questi ultimi trecento giorni lavorativi sono obiettivi coerenti con i documenti del pentapartito, obiettivi tra l'altro ampiamente condivisi in quest'aula non solo dalla maggioranza, ma anche dall'opposizione. Il documento è rispettoso delle idee di tutti, soprattutto quando conclude dicendo che non ci chiudiamo sulle nostre proposte, ma che attendiamo proposte dalle altre forze politiche, che siamo disponibili al confronto e quindi chiediamo che da qui al 1990 si realizzino alcune cose nell'interesse della Regione.
Questo per completare il programma che nel 1985 il pentapartito si è dato perché queste cose erano previste in quel documento e in quell'accordo.
Siamo convinti che tali risultati entro il 1990 si possano e si debbano raggiungere e che non sia necessario né rivedere l'accordo del 1985 n rimettere in discussione una strada che insieme abbiamo iniziato. La DC vuole concorrere per il raggiungimento di questi obiettivi e siamo convinti che il pentapartito tiri dalla stessa parte e otterrà questi risultati.
Dove non siamo d'accordo - e credo che questo sia scontato - è che il Gruppo della DC sia composto - non me ne vogliano i colleghi del mio Gruppo di utili idioti. Utili perché magari serviamo a lavorare in Commissione e a votare in aula, a fare il numero, ma idioti perché non abbiamo diritto di fare delle proposte.
Non siamo neanche d'accordo - e qualcuno ha fatto dire questo al documento del mio Gruppo - che si addebitino alle Giunte di sinistra tutti i problemi che oggi la Regione ha. Noi riteniamo che ci siano delle eredità che il pentapartito ha avuto dalle amministrazioni di sinistra e i giudizi sulle amministrazioni di sinistra li abbiamo dati, allora ed anche recentemente, ma con molto rispetto, perché abbiamo provato anche noi dai banchi del governo quanto sia difficile governare, quindi non siamo massimalisti, non semplifichiamo le cose. E questo è tanto più vero in quanto non abbiamo mai scritto libri bianchi di denuncia sulle cose del passato, anche se magari qualche argomento avremmo potuto ben averlo.
Questo documento della DC - consentitemi - non può essere letto in chiave negativa. Vorremmo fosse letto in chiave positiva e propositiva, cioè in chiave di chi, come il nostro Gruppo, intende contribuire con tutto il Consiglio regionale a dare soluzione ai problemi.
Attraverso la nostra posizione diamo un giudizio positivo di questi quattro anni: lo abbiamo scritto nel documento, ma voglio ribadirlo a scanso di equivoci. Diamo un giudizio positivo e siamo molto soddisfatti della collaborazione che con gli altri quattro Partiti si è instaurata nel 1985, anche se le difficoltà non mancano e sono sotto gli occhi di tutti alcune sono state sottolineate giustamente da qualche collega, ma qualcun'altra vorrei ricordarla.
Colleghi e amici, non è facile governare in cinque forze politiche.
Forse era più facile governare in tre, non fosse altro perché cinque è un numero che determina delle condizioni di confronto più ampio rispetto al confronto che c'è in tre. Non dobbiamo dimenticare inoltre che le risorse finanziarie di cui hanno disposto le amministrazioni di sinistra in quegli anni sono assai diverse rispetto alle risorse finanziarie di cui ha disposto e continua a disporre in questi anni il pentapartito. Secondo noi le cose che si fanno non hanno diretta dipendenza solo con gli aspetti finanziari, perché noi siamo tra quelli che sostengono che con i soldi non si riesce a far tutto, perché c'è gente che ha i soldi ma non riesce a far molto e c'è gente che soldi ne ha di meno e magari riesce a fare di più perché è più punto di riferimento. Non è quindi questione di soldi, ma non si può comunque dimenticare la questione risorse. Allora bisogna dire che le risorse finanziarie di cui disponeva questa Regione negli anni 1975/1978, cioè nella prima legislatura delle Giunte di sinistra, erano risorse finanziarie consistenti e noi siamo ben lieti che la Regione le abbia avute. Siamo meno lieti di come in qualche passaggio siano state utilizzate.
Altro elemento è il neocentralismo, richiamato giustamente dal collega Valeri e da altri, cioè il progressivo tentativo di riportare a Roma, al Parlamento e al Governo, competenze e funzioni che avevamo immaginato potessero essere del Consiglio e della Giunta regionale. Questo tentativo investe tutte le Regioni italiane, determinando ulteriori difficoltà rispetto alle passate legislature, quando si pensava che le Regioni potessero e dovessero avere atti concreti coerenti.
Un altro elemento ancora è la sempre più rapida trasformazione della società e quindi il sempre più continuo accavallarsi dei problemi rispetto a dieci, quindici anni fa. I tempi già allora erano rapidi, ma oggi lo sono di più e dobbiamo sapere che forse dopo il 1990 ci sarà una rapidità ancora maggiore. Dobbiamo quindi attrezzarci per avere degli strumenti di intervento che siano agili, snelli, incisivi e in grado, nell'ottica non di un Piano di sviluppo complessivo, ma di interventi mirati, di cogliere nel segno ed essere elemento che concorre allo sviluppo, che è quello cui tutti guardiamo.
Nonostante queste difficoltà riteniamo che questa coalizione sia l'unica in grado di governare oggi la Regione e le istituzioni in Piemonte.
In Regione, a nostro giudizio, si è lavorato bene non trascurando ci che di buono è stato fatto nel passato. Questo elemento non emerge solo dal Piano di sviluppo, ma anche da una serie di altre considerazioni che noi e il pentapartito abbiamo fatto in questi anni su tutta una serie di questioni che si legavano al passato. Penso alla singola legge, come al provvedimento amministrativo, come alla Giunta stessa, che non ha mai rinnegato ciò che di buono è stato fatto nel passato sia esso il passato recente, quello delle Giunte di sinistra, o il passato della prima legislatura.
Concludo dicendo che alcune cose devono ancora essere realizzate.
Invitiamo la Giunta regionale a realizzarle e noi contribuiremo perché ci sia possibile.
Collega Bontempi, questa posizione della DC forse può essere giudicata troppo ottimistica, ma noi crediamo nel futuro e lavoriamo per un futuro migliore. Può essere considerata ingenua, ma in fondo credo che un tocco di ingenuità in una vita così complessa e difficile possa anche darci lo sprint necessario. Non credo sia una posizione superficiale, ma seria, come riteniamo seria la posizione assunta dai Partiti di maggioranza e anche dai Partiti di opposizione. Consideriamo serie le osservazioni e il contributo che ha offerto il Gruppo comunista. Consideriamo invece bisognosa di affinamento un'obiezione che il collega Chiezzi ha fatto nel suo intervento e che è in contrasto forte con le cose che il collega Bontempi spesso richiama nei suoi interventi.
Quando la maggioranza è appiattita per ragioni di governo e di solidarietà di maggioranza ci accusate, ed è la tua accusa che spesso ho sentito fare in quest'aula; quando facciamo degli interventi problematici come quelli fatti oggi sul Piano di sviluppo impediamo all'opposizione di fare il suo ruolo! Noi riteniamo che ci sia bisogno di recuperare un po' di chiarezza in quest'aula attraverso il concorso di tutti e non abbiatene a male se mi permetto di fare questa osservazione: io sono convinto che il Partito comunista, che è un grande Partito, riuscirà a recuperare questa chiarezza di linea politica. Non condivido il giudizio di quel giornalista che nei giorni scorsi su un quotidiano ha scritto che i dirigenti del Partito comunista anche quando raccolgono i cocci lo fanno cavalcando un cavallo bianco.



PRESIDENTE

Con questo intervento si conclude il dibattito generale sul Piano di sviluppo 1988/1990. Data l'ora, le repliche degli Assessori verranno svolte nella prossima seduta.


Argomento:

Annunzio interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno


PRESIDENTE

I testi delle interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno pervenute all'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale verranno allegati al processo verbale dell'adunanza in corso.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 17.45)



< torna indietro