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Dettaglio seduta n.161 del 03/11/88 - Legislatura n. IV - Sedute dal 12 maggio 1985 al 5 maggio 1990

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Argomento:


PETRINI Luigi


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
In merito al punto 1) all'o.d.g. "Approvazione verbali precedenti sedute", non essendovi osservazioni, i processi verbali delle adunanze consiliari del 29 ottobre, 10 e 11 novembre 1987 si intendono approvati.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

In merito al punto 2) all'o.d.g. "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale" comunico che hanno chiesto congedo i Consiglieri Acotto, Bruciamacchie, Carazzoni e Ratti.


Argomento:

a) Congedi

Argomento:

b) Deliberazioni adottate dalla Giunta regionale


PRESIDENTE

L'elenco delle deliberazioni adottate dalla Giunta regionale nella seduta del 19 ottobre 1988 - in attuazione all'art. 7, secondo comma, della L.R. 6/11/1978, n. 65 - in materia di consulenze e incarichi, è depositato e a disposizione presso il Servizio Aula.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

c) Costituzione Gruppo consiliare autonomo


PRESIDENTE

Comunico all'assemblea che è pervenuta dal Consigliere Ferruccio Dardanello la seguente lettera, datata 28 ottobre: "Signor Presidente, mentre rivolgo a lei e all'intero Consiglio regionale del Piemonte un saluto deferente, sono a comunicarle, con riferimento alle scelte politiche già effettuate con alcuni amici e colleghi in seno al Consiglio comunale di Mondovì e al Consiglio provinciale di Cuneo, che intendo costituirmi nell'ambito di questa assemblea in Gruppo consiliare autonomo agli effetti del comma secondo dell'art. 13 del Regolamento consiliare. Le sarò grato se vorrà prenderne atto e vorrà comunicare ai colleghi che offro fin d'ora la mia piena disponibilità e il mio impegno al fine di contribuire al raggiungimento degli obiettivi programmatici espressi dall'attuale maggioranza pur riservandomi un'autonomia decisionale in relazione alle diverse problematiche che verranno poste in discussione. Mi auguro comunque di poter operare fattivamente in collaborazione con i rappresentanti degli altri Gruppi consiliari perché questa Amministrazione possa svolgere un ruolo trainante nella valorizzazione della realtà sociale ed economica del Piemonte. Con viva cordialità. F.to Ferruccio Dardanello".


Argomento: Varie

Commemorazione dell'ex Consigliere regionale Carlo Visone


PRESIDENTE

Signori Consiglieri, come purtroppo è a tutti noto, è mancato nella notte tra giovedì e venerdì scorso, dopo oltre tre mesi di coma per un incidente stradale, il nostro ex collega dott. Carlo Visone. Non possiamo non avvertire, in modo particolare in questo triste momento, la commozione che ci prende per il tragico evento.
Se ne è andato in silenzio e con discrezione, quasi non volesse turbare i suoi amici, neppure con la sua irreversibile sofferenza, come in silenzio e con discrezione aveva svolto il suo servizio nella vita e nella comunità piemontese.
La figura dello scomparso, nel nostro pensoso e nostalgico ricordo di colleghi, riappare più vivida e - se mi è consentito - più familiare.
Voglio rammentare le tappe fondamentali della sua vita proficua ed operosa. Aveva 61 anni, era un ex funzionario della Cassa di Risparmio di Asti. Eletto Consigliere regionale nella prima legislatura aveva ricoperto l'incarico di Assessore alla cultura e all'istruzione. E' stato anche Consigliere comunale e Capogruppo della Democrazia Cristiana a Costigliole mentre in anni passati era stato Segretario provinciale della Democrazia Cristiana ad Asti. Attualmente ricopriva la carica di Presidente del Comitato Regionale di Controllo nella sezione di Asti.
Carlo Visone non è scomparso del tutto: lascia una viva e concreta testimonianza di probità morale, di passione civile, di serietà professionale, di onestà amministrativa, di convinta attività sociale e politica.
A nome dell'intero Consiglio regionale, partecipando al dolore di tutti i congiunti, esprimo il più vivo cordoglio alla sua famiglia, così come porgiamo alla Democrazia Cristiana di Asti, che indubbiamente perde una figura prestigiosa, le più sentite condoglianze.



(I presenti, in piedi, osservano un minuto di silenzio)



PRESIDENTE

A nome dell'assemblea desidero anche formulare le più vive condoglianze al collega Giovanni Picco per la morte del padre.


Argomento: Tossicodipendenza

Richiesta di informazione sulle iniziative che la Giunta regionale intende assumere in merito alla emergenza tossicodipendenza


PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Bontempi. Ne ha facoltà.



BONTEMPI Rinaldo

Vorrei porre una questione. Una settimana fa avevamo presentato un'interpellanza sulla questione della tossicodipendenza. L'emergenza vissuta dalla città di Torino si è ripercossa ampiamente anche nel Paese.
Quindi, al di là della richiesta di discutere la nostra interpellanza chiediamo che il Presidente della Giunta o l'Assessore alla sanità presentino al più presto, magari nella stessa giornata di oggi, una breve informazione sulle iniziative che si intendono assumere rispetto ai passaggi che sono previsti nei prossimi giorni e in vista dell'importante momento che vi sarà lunedì nella città di Torino. Non vogliamo portare via tempo, però vogliamo ricordare l'emergenza assoluta e la necessità che anche il Consiglio regionale abbia la possibilità di conoscere, di collocarsi e di definire delle iniziative.



PRESIDENTE

Nel corso della seduta parlerò con il Presidente della Giunta e con l'Assessori Maccari per vedere come collocare questa richiesta.
La parola al Consigliere Rossa.



ROSSA Angelo

Signor Presidente, colgo l'occasione per chiedere che si trovi un momento per valutare come Consiglio regionale lo stato gravissimo della situazione che ha colpito la città di Torino, che sta colpendo la Regione e in generale il Paese. Penso sia venuto il momento di affrontare in termini estremamente rapidi un'iniziativa di impegno della Regione intorno a questo gravissimo problema.
Mi pare che si debba trovare fin da oggi questo momento per mettere a punto un'iniziativa che veda impegnata la Regione. In questi giorni c'è un grosso impegno anche da parte delle forze politiche e sociali a Torino e in generale in Piemonte. Credo debba esserci una iniziativa incisiva e mirata da parte della Regione e da parte dell'Assessorato regionale per sostenere questa grande battaglia che si sta avviando nel Paese, da sviluppare anche nella Regione Piemonte.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, mi pare comprensibile la preoccupazione e la sensibilità espressa da alcuni colleghi.
Devo però dire che per parte nostra suggeriamo all'Assessore di muoversi su questo terreno e di riferire in Consiglio non in tempi stretti ma nei tempi giusti.
Su questa questione non c'è nessuna emergenza: c'è un dramma che dura da anni, le mode hanno fatto sì che questo dramma si dimenticasse, noi abbiamo scritto qualcosa sui giornali locali che nessuno legge improvvisamente un fatto, che non attiene al fenomeno droga, ma ai fenomeni criminali all'interno del fenomeno droga, ha reso su Torino questa vicenda più eclatante.
Assessore, credo che su questa vicenda la Regione debba tenere un comportamento esemplare, quindi non farsi prendere dal protagonismo, dalla voglia di essere quello che interpreta meglio, che vuole essere con la gente.
Sono molto preoccupato di alcuni slogan - lo dico chiaramente - di tipo socialista.
Vedete amici, le divise naziste avevano sui cinturoni una frase, che detta in tedesco è molto sinistra; detta in italiano sembra dei chierichetti: "Dio è con noi". Attenzione a dire: "Noi siamo con il popolo". La politica ha la funzione di capire, di selezionare, di interpretare, non di dare gli strumenti della vendetta, della persecuzione di voler essere pronti all'immediato. Noi siamo molto preoccupati di come questo dibattito a livello nazionale tenda a prendere, come al solito alcune strade molto semplicistiche, molto "retro" perché, guarda caso arrivano in Italia molti anni dopo ma vogliono percorrere in tempi molto più brevi quanto altri Paesi hanno filtrato in esperienze molto più lunghe.
Per cui noi riteniamo che la Regione su questo debba fare molto, deve fare tutto. Assessore, non facciamoci però prendere dalla voglia di correre anche noi con quelli che su questo sanno tutto e hanno i rimedi per risolvere tutto e con quattro frasi risolvono tutto. Assessore, venga su questi banchi con un programma che è all'altezza della sua capacità e della serietà di questa Giunta, un programma serio, rigoroso, propositivo, che abbia riflettuto su questi fatti. Non facciamoci prendere anche noi da "Dio è con noi" o "Il popolo è con noi".



(Scambio di apostrofi tra i Consiglieri Marchini e Rossa)



PRESIDENTE

Non sono ammessi i dialoghi, colleghi per favore! La parola al Consigliere Pezzana.



PEZZANA Angelo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, condivido pienamente la posizione del collega Marchini sull'argomento droga.
Parlare di emergenza oggi significa non tenere presente il dibattito che c'è stato in questi ultimi dieci anni e la drammatica diffusione della droga in Italia (in particolare in Piemonte) e in tutto il mondo. Non parlare di mercato significa fare affermazioni buone solo per quei pezzulli che vanno sui giornali in prima pagina dove si affrontano i problemi del padre disperato che deve comprare la droga al figlio e allora diventa spacciatore lui stesso o rapinatore.
E' un problema molto grosso. Ritengo che l'invito che il collega Marchini ha fatto all'Assessore vada considerato non solo con molta serietà, ma soprattutto come un invito alla Giunta affinché si esprima con una proposizione seria. Una proposizione seria che tenga soprattutto conto che ormai il problema è sovranazionale. Non esiste chi possa mettere un taccone a Torino, piuttosto che a Roma. E' un problema che va affrontato a livello sovranazionale, altrimenti non si riuscirà mai a fare una battaglia seria contro la diffusione della droga, ma solo a produrre azioni di tipo emotivo che non possono portare nulla di concreto.
Che cosa possono fare la Giunta regionale e l'Assessore in particolare? Tenere conto di tutte le posizioni che sono emerse in questi giorni, non ultima quella socialista che è una posizione anche seria dal suo punto di vista. Ha cambiato politica rispetto a quella precedente? Ma nessuno ha mai detto che cambiare politica sia sinonimo di imbecillità o di malafede significa semplicemente avere cambiato opinione. Per cui la posizione socialista va giudicata con la stessa serietà con cui si giudicano le altre posizioni.
Vorrei invece chiedere all'Assessore di valutare tutte le posizioni che esistono in riferimento al problema droga, non ultima quella che si sta diffondendo oggi in Paesi come l'America, che non lo hanno risolto, ma hanno affrontato più seriamente il problema della droga e del mercato clandestino. Perché è inutile curare in maniera surrettizia o impositiva chi si droga, ed è inutile fare propaganda contro la droga quando sappiamo che ormai il meccanismo è tale per cui il drogato diventa a sua volta spacciatore di droga. Buona parte delle cause che ci sono in tribunale per reati contro il patrimonio o contro le persone sono dovute al fatto che queste persone non hanno altra scelta che quella di aggredire, rapinare e arrivare, molto sovente, anche a dei crimini terribili. Infatti basta andare qualche volta in tribunale per una testimonianza per rendersi conto di come sia purtroppo la spirale della diffusione del mercato della droga.
Vorrei invitare l'Assessore a valutare tutte le tendenze culturali che si sono espresse in questi ultimi anni, in particolare in quest'ultimo anno, e di cui i giornali sono stati una eco - non so se fedele - nel nostro Paese per capire quali sono le proposte concrete, quali vanno veramente a fondo del problema. Non sto ad indicare che una proposta sia migliore di un'altra, ma invito la Giunta ad analizzare tutte le proposte per poi trarre una posizione seria e poter così intervenire su questo argomento, ma non in modo emotivo perché l'emergenza non è di oggi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferrara.



FERRARA Franco

Signor Presidente, purtroppo quando sono arrivato l'intervento del Gruppo comunista era già stato fatto, però mi pare che si sollecitasse un'iniziativa sul problema della droga.
Credo che esista un'emergenza droga e credo sia troppo facile dire che la droga non è un'emergenza perché è un problema che continua da molto tempo. La verità è che stiamo vivendo l'emergenza droga da molto tempo e troppe volte non si è trattato questo problema con il dovuto approfondimento che merita un problema così grave e così drammatico per la nostra società.
Mi pare giusto che la Regione, che ha competenze in materia sanitaria si ponga questo problema e si presenti, nei tempi più stretti possibili, ad un dibattito per definire le iniziative da assumere e le indicazioni da dare sul territorio regionale. Sono convinto che siamo in presenza di una oggettiva emergenza; quando si dice tempi stretti non si vuol dire senza il dovuto approfondimento, come invece è capitato troppe volte. Questo problema infatti non è stato affrontato con i necessari approfondimenti. Si sono usati slogan, vi sono stati repentini cambiamenti di indirizzo dettati dalle esigenze del mercato, non della droga ma dei voti, che è anche peggio. Ma questo non è il modo di agire di una Regione che vuole comportarsi in modo corretto e serio.
Il Partito repubblicano nei prossimi giorni assumerà una iniziativa su questo problema. Questa iniziativa non deriva dai fatti di questi giorni lo dimostra il fatto che sono ancora giacenti alcune nostre interrogazioni e ordini del giorno molto vecchi, si tratta di un approfondimento che abbiamo fatto avvalendoci dell'esperienza di organizzazioni e di associazioni che si occupano dei problemi della droga, naturalmente senza alcuna certezza perché mai come in questo caso le certezze non ci sono, la drammaticità delle scelte comporta una non certezza di quello che si dice però se la Regione farà questo approfondimento, questo sarà un utile contributo per risolvere o quanto meno affrontare questo problema.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carletto.



CARLETTO Mario

Signor Presidente, anch'io voglio intervenire su questa che non so se è un'emergenza o una non emergenza. Il numero dei morti negli ultimi giorni a Torino ci fa dire che da questo punto di vista è sicuramente un'emergenza e ci fa dire anche che gli enti pubblici, che hanno la responsabilità di affrontare questo come altri problemi gravi della nostra società, non possono non affrontare questi tempi con provvedimenti e con scelte del tutto eccezionali. Assessore, mi consenta di dirle alcune cose per l'esperienza che ho fatto nel recente passato come Assessore all'assistenza. Credo che la Regione debba davvero esercitare nei confronti delle UU.SS.SS.LL. tutta la sua autorità e debba esercitare fino in fondo il suo ruolo di coordinamento e di indirizzo chiedendo al territorio di attuare i programmi che la Regione indica. Quello che la mia forza politica vuol sapere è che cosa ha fatto la Regione in questi anni e che cosa pensa di fare per determinare le condizioni perché sul territorio della nostra Regione problemi di questo tipo possano essere affrontati in modo coerente. In modo coerente vuol dire andare a verificare come funzionano quelle poche comunità che ci sono nella nostra regione cominciando da quelle che fanno un serio lavoro di recupero per aiutarne altre che magari hanno bisogno di essere aiutate e capire se nella società matura una coscienza di questi problemi. Mi riferisco alla recentissima vicenda del Prinotti che probabilmente oggi verrà anche all'attenzione dell'aula, in quanto, come mi dicono, dovrebbe arrivare in Regione una manifestazione su questa questione. Il fatto era questo: avendo il Prinotti dei locali disponibili li ha messi a disposizione del Comune; il Comune dovendo dare al "Progetto Uomo" e a chi si occupa di tale progetto dei locali per i ragazzi usciti dal tunnel della droga e quindi in attesa di trovare un posto di lavoro e il reinserimento nella società, ha scelto di offrire questi locali al CEIS, tra l'altro, con ingressi assolutamente indipendenti, con una distinzione, dal punto di vista fisico, assoluta e totale rispetto al Prinotti. Ma questo pare abbia determinato e stia determinando una forte reazione dei genitori. So che in altre realtà della nostra città c'è difficoltà a trovare dei locali per poter definire degli spazi di accoglienza e degli spazi di terapia. Il ruolo di coordinamento e di indirizzo della Regione in questo settore è particolarmente importante e significativo nel momento in cui le UU.SS.SS.LL. non hanno saputo cogliere come momento di assoluta esigenza il decollo delle loro iniziative, quindi la Regione deve e può aiutare le UU.SS.SS.LL. per trovare delle soluzioni e per offrire delle proposte di recupero.
Da questo punto di vista anch'io ritengo che non sia assolutamente produttivo che la relazione dell'Assessore avvenga in tempi brevissimi, ma sia invece utile una relazione approfondita che porti a conoscenza del Consiglio regionale non solo la situazione della città di Torino, ma di tutta la regione, e si possa così avere l'occasione per discutere allo scopo di individuare delle linee operative sulle quali la Regione si dovrà impegnare per essere al fianco delle UU.SS.SS.LL. che hanno comunque sul territorio la responsabilità di gestione dei servizi. Da questo punto di vista ci auguriamo che l'Assessore ci proponga una relazione completa in modo che su di essa le forze politiche possano esprimersi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Gallarini.



GALLARINI Pier Luigi

Intervengo a nome del Gruppo socialdemocratico per dire che anche noi abbiamo vissuto in modo sentito gli eventi di questi giorni. Concordo con quanti hanno affermato che l'emergenza continua; l'emergenza in questo settore è purtroppo norma. Gli eventi di questi giorni hanno sottolineato in modo forte come a questa emergenza molte volte ci si abitua e hanno fatto sì che ci si accorgesse dell'esistenza di questa emergenza. Anche noi concordiamo con quanti sostengono che non sia compito di enti come la Regione quello di reagire in modo emotivo, sporadico ed episodico laddove si verifichi questo tipo di eventi.
La Regione è un ente politico di programmazione. Proprio nei giorni scorsi abbiamo discusso in V Commissione della bozza di piano triennale 1989/1991. In quale altro contesto si deve esaminare il problema della droga e delle proposte politiche che la Regione intende fare nel settore se non nell'ottica e nell'ambito di quel programma? Così pure dicasi per la questione della psichiatria della quale abbiamo già dibattuto all'interno di quest'aula. Queste tematiche non vanno affrontate a tasselli scomposti episodici, sporadici dettati dall'emotività, bensì in un quadro equilibrato di programmazione la Regione deve impostare quegli interventi pacati programmatori, politici per indirizzare nel settore le UU.SS.SS.LL. Ma le UU.SS.SS.LL., Consigliere Carletto, per poter gestire questa partita devono necessariamente avere una cornice regionale all'interno della quale muoversi. Quindi è compito della Giunta e in particolare dell'Assessore alla sanità definire una cornice che sottolinei in misura forte la questione dell'educazione sanitaria.
Educazione sanitaria che include anche la sensibilizzazione al problema droga. Questa opera di sensibilizzazione deve avvenire soprattutto durante il periodo scolastico partendo cioè dalla scuola elementare. In passato si è fatto pressoché nulla in questo senso. Noi riteniamo che un'azione incisiva di prevenzione, di sensibilizzazione e di educazione non possa realizzarsi attraverso episodici tasselli di tamponamento, ma debba avvenire solo attraverso una programmazione seria e coerente che favorisca l'educazione sanitaria all'interno del mondo della scuola e di quello del lavoro.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Converrete con me che mi sono limitato a porre una questione, non sono entrato nel merito. Ho sollecitato l'urgenza di un dibattito, ho chiesto come e quando si sarebbe dovuto discutere di questo problema. Ribadisco che anziché impegnarmi in un pre-dibattito, un po' avulso da qualsiasi risultanza possibile e in cui la discussione, pur interessante, deve vertere e dividerci - e questo mi pare un po' paradossale sul fatto se sia o non sia un'emergenza, mi sembra più utile limitarmi a chiedere che questo dibattito avvenga in tempi brevi, adeguati alla questione oggi in campo che sta muovendo istituzioni e personaggi nella nostra città attorno al "cosa fare". Questo è il mio invito. Perché chiedo che il dibattito venga fatto in tempi molto brevi e perché non mi interessa di anticipare ora nulla sulle nostre posizioni, anche se ho qui un documento da noi steso e che sarà oggetto di una nostra iniziativa? Ritengo che prima debba collocarsi la Giunta con una relazione e con delle proposte dando così la possibilità ai Gruppi di individuare azioni di carattere straordinario un po' diverse dalla routine. E' vero, ci sono tantissimi problemi, ma alcuni sono tipici e credo che possano coinvolgere uno sforzo grande del Consiglio, perfino al di là, pur tenendole nel dovuto conto, delle opzioni su liberalizzazione su punitività, ecc.
Perciò ritengo importante stabilire quando se ne discuterà, come, dove con quali passaggi. Siamo interessati ad essere presenti sia nell'informazione e sia con la loro possibilità di proposte, in questo dando una mano anche a chi deve governare. Questo è il messaggio. Quindi non stiamo aspettando l'occasione del Piano sanitario, anche se quella è la sede organica, perché non essere presenti oggi come Regione, con tutto quello che possiamo mettere in campo, a me sembra sbagliato. Ribadisco la richiesta che si individuino questi passaggi: possono essere riunioni preparatorie con i Capigruppo, percorsi da definire, date, relazioni, sedi in cui si possa portare tutto il nostro impegno per affrontare un problema che ha tutta la epocalità che sappiamo. Non abbiamo nessuna risoluzione a portata di mano e non vi è nemmeno la facile illusione di correre protagonisticamente attorno al problema: ma certo è che una sollecitazione ci viene dai fatti, dobbiamo raccoglierla e fare di più di quello che tutti quanti abbiamo fatto in passato.



MINERVINI Marta

Anche noi come Gruppo MSI ci associamo.



PRESIDENTE

La sollecitazione che ci è giunta per le iniziative e per il relativo dibattito sul problema dei tossicodipendenti in Piemonte aveva già trovato una risposta da parte della Presidenza, nel senso che era stato indicato in un incontro da tenere oggi con il Presidente e con l'Assessore competente, per riferire al Consiglio nel corso di questa seduta, sugli intendimenti della Giunta di quando se ne discuterà con i relativi passaggi. Credo che in giornata si possa dare una risposta a questa esigenza che è stata sollecitata in particolare dal Gruppo comunista, a cui si sono collegati tutti gli altri Gruppi, riferendo tempi e modi di questo dibattito.


Argomento: Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici

Prima informativa sullo stato della pianificazione urbanistica


PRESIDENTE

Passiamo al punto 3) all'o.d.g. che prevede il dibattito sulla "Prima informativa sullo stato della pianificazione urbanistica". Questo dibattito, programmato dai Presidenti dei Gruppi, verrà introdotto da una relazione dell'Assessore Genovese che ha pertanto la parola.



GENOVESE Piero Arturo, Assessore all'urbanistica

Signor Presidente, colleghi, non svolgerò una relazione organica, ma mi limiterò, nell'avvio di questo dibattito, ad alcune ulteriori precisazioni che non sono contenute nella comunicazione distribuita nel mese di luglio.
Comunicazione che riguarda lo stato della pianificazione urbanistica nella nostra Regione a dieci anni dall'entrata in vigore della legge regionale di tutela ed uso del suolo e che è dovuta al lavoro svolto e coordinato dal servizio promozionale del processo di pianificazione dell'Assessorato all'urbanistica, con la collaborazione dei due Settori "Studi e Vigilanza" e "Pianificazione e gestione urbanistica".
La comunicazione si inserisce, come viene precisato nella premessa all'interno di un approfondimento e di una linea di ricerca dell'Assessorato che dovrebbe portare, nei tempi e con le modalità da definire, ad un rapporto completo sullo stato della pianificazione. Ne costituisce quindi un'anticipazione significativa pur mancando per alcuni aspetti della completezza che sarebbe richiesta ad un rapporto generale sullo stato della pianificazione urbanistica nella nostra Regione. E' dovuta al lavoro dei servizi, in particolare del servizio promozionale del processo di pianificazione, però la responsabilità politica di quanto è affermato è ovviamente dell'Assessore perché si tratta di una comunicazione e perché la comunicazione stessa è stata discussa e valutata e in alcune parti scritta congiuntamente o anche rivista, sulla base di un indirizzo che a nome della Giunta ho personalmente assicurato.
Credo, per dovermi limitare alle cose essenziali, di dover riprendere alcuni dei dati più significativi, ancorché questi siano noti ai Consiglieri regionali, poiché la comunicazione è stata distribuita da tempo ed è in attesa di discussione da qualche mese. Possiamo dire sostanzialmente, per quanto risulta dalla comunicazione, che, sia pure con difficoltà, dopo dieci anni si può considerare avviata verso la conclusione una prima fase del processo di pianificazione urbanistica nella nostra Regione sulla base della normativa e delle procedure previste dalla legge regionale di tutela ed uso del suolo.
A fine giugno di quest'anno abbiamo questa situazione: 687 Comuni sono dotati di Piano regolatore generale ai sensi della legge n. 56 e 353 Comuni hanno un Piano regolatore generale in itinere sempre adeguato alla legge n.
56. Di questi ultimi, 178 hanno il Piano in istruttoria, 120 a controdeduzione, poiché il Piano è stato ritornato ai Comuni a seguito del parere del CUR. e 55 sono in attesa del provvedimento di approvazione della Giunta.
Di questi 353 Comuni in itinere, 161 risultavano totalmente privi di strumentazione urbanistica e con la conclusione dell'esame verrà superata quasi completamente la situazione di Comuni totalmente privi di strumentazione urbanistica.
Risulterebbero invece 174 i Comuni inadempienti al dettato della legge n. 56 sui 1.209 Comuni della nostra Regione. Di questi, se guardiamo alla situazione "in itinere" risultante dall'indagine condotta dal Servizio promozionale del processo di pianificazione, 58 avevano adottato a giugno un progetto preliminare, 14 avevano adottato un progetto definitivo di Piano regolatore generale, mentre 102 risultavano inadempienti (ma di questi 29 avevano adottato la deliberazione programmatica).
Quindi abbiamo un numero abbastanza limitato di Comuni inadempienti molti però di grande importanza e di grande rilievo, soprattutto per quanto riguarda la popolazione in essi residente, verso cui concentrare l'attenzione per cercare di avviare, in termini di tempo accettabili, a conclusione la prima fase di pianificazione generale del territorio regionale.
Però se guardiamo alla situazione concreta, cioè alla strumentazione urbanistica vigente in questi 174 Comuni, la situazione è meno grave rispetto al dato di inadempienza che risulterebbe rispetto alla legge n.
56, infatti di questi 174 Comuni solo 49 sono totalmente privi di strumentazione urbanistica, mentre per 43 Comuni esiste un Piano regolatore approvato ai sensi dell'art. 90 della legge n. 56 (e di questi molti sono grandi e medi Comuni), 63 hanno un Piano regolatore approvato posteriore al 1968 e 19 hanno comunque uno strumento urbanistico approvato anche se precedente al 1968.
Quindi, nella sostanza, credo possiamo dire davvero che, sia pure a dieci anni dall'emanazione della legge regionale di tutela ed uso del suolo, siamo avviati verso la conclusione di una prima fase. Non senza difficoltà operative, per cui essere avviati non vuol dire che il traguardo è di pochi mesi; si vuol dire che complessivamente nel processo di formazione, di valutazione, di approvazione dei Piani regolatori si è imboccata la strada che dovrebbe portare alla conclusione di questa prima fase di pianificazione e quindi credo possiamo ragionare in prospettiva guardando al futuro e pensare anche ad eventuali aggiornamenti della normativa regionale, immaginando che una normativa aggiornata possa andare a regime, sostanzialmente nel momento in cui per quasi tutti i Comuni della nostra Regione si porranno problemi di varianti alla strumentazione urbanistica o di passaggio a strumenti urbanistici generali di seconda generazione.
Parallelamente, credo che dovremo porci il problema di avviare a conclusione anche il processo di pianificazione territoriale esteso a tutta la regione per realizzare un quadro in cui, comunque, l'aggiornamento degli strumenti urbanistici generali da parte dei Comuni possa avvenire in presenza di un quadro di organizzazione e di indirizzi territoriali e ambientali definito. Ciò consentirebbe di realizzare un salto di qualità nel processo complessivo di pianificazione del territorio e di guardare ai possibili aggiornamenti normativi su una base concreta di riferimento su cui collocare, senza eccessive difficoltà l'operatività e gli adempimenti delle Amministrazioni comunali, dei loro Consorzi e delle Comunità montane della nostra Regione.
Devo ancora aggiungere, guardando alla situazione generale, che si pu dire ugualmente e positivamente avviata e realizzata la previsione contenuta nella legge regionale di tutela ed uso del suolo di formazione e di approvazione di Piani regolatori generali a carattere intercomunale consortili e di Comunità montana. Infatti, a fine giugno di quest'anno sul territorio regionale erano formati o in itinere Piani regolatori generali intercomunali riguardanti 445 Comuni. Rispetto alla realtà amministrativa della nostra Regione, caratterizzata da un elevatissimo numero di Comuni (1.209), l'essere pervenuti ai fini della pianificazione urbanistica all'aggregazione volontaria o obbligatoria di un numero così elevato di Comuni, può consentire di dire che si è raggiunto un obiettivo importante per il coordinamento della pianificazione a livello intercomunale, mentre si apre ora un grosso problema e si richiede una precisa riflessione infatti, si deve purtroppo registrare che, ultimata la formazione dei Piani regolatori intercomunali, ed essendo questi pervenuti all'approvazione da parte della Regione, si assiste ad una crisi dei Consorzi volontari con una tendenza al loro scioglimento o all'uscita di Comuni. Ciò anche per l'incertezza delle procedure, ma soprattutto perché queste realtà non sono state dotate dei supporti di consulenza e di strutture tecnico-operative adeguate, da istituire con il contributo della Regione.
Da qui, la necessità che la Regione prenda in considerazione iniziative di supporto, di collaborazione e di sostegno, anche finanziario, per consentire lo sviluppo di una effettiva gestione urbanistica a livello intercomunale, per non assistere passivamente alla crisi di un processo di aggregazione promosso dalla Regione e per coerenza con le proposte di riforma dell'ordinamento delle autonomie nel nostro Paese, puntando in modo non coattivo ma attraverso lo sviluppo di un processo, a superare la frammentazione amministrativa.
Dopo queste riflessioni sulla situazione dei piani, devo ancora richiamare la realtà che si è cercato di intravedere attraverso una indagine campionaria sugli esiti della pianificazione urbanistica sul territorio del Piemonte, attraverso l'analisi degli usi del suolo determinati dalla formazione dei Piani regolatori generali ai sensi della legge regionale n. 56. Come primo risultato, se consideriamo gli strumenti in itinere, abbiamo che oggi circa l'85% del territorio piemontese risulta disciplinato sotto il profilo urbanistico, attraverso le previsioni e le prescrizioni dei piani che sono stati approvati o sono in itinere, anche per le porzioni di territorio extraurbano, rispetto a una situazione precedente ben diversa, che vedeva, soprattutto in presenza di programmi di fabbricazione, normate e disciplinate solamente le parti urbane e le direttrici di possibile espansione delle parti urbane dei nostri territori comunali. Dal campione di Comuni che è stato preso in esame, in assenza di un sistema informativo urbanistico, emerge che vi è stato uno spostamento degli usi del suolo in direzione dell'incremento dell'uso pubblico e una contenuta espansione degli usi privati del suolo: infatti, la stima delle previsioni di espansione della popolazione insediabile si aggira sul 40 45%, mentre prima dell'entrata in vigore della legge n. 56 le espansioni complessivamente previste erano superiori, secondo stime attendibili, al 100% rispetto alla popolazione esistente.
Dicevo all'inizio che andiamo verso la conclusione di una prima fase della pianificazione, però questo non può far dimenticare le difficoltà e i limiti di questa fase che stiamo ancora vivendo.
Credo che essenzialmente e principalmente, come è stato evidenziato in modo preciso e dettagliato all'interno della comunicazione, le difficoltà più grandi, sia sul versante delle Amministrazioni comunali sia sul versante della Regione, siano collegate ai tempi di formazione e di approvazione degli strumenti urbanistici generali e delle loro varianti.
Tempi che sono stati esaminati con precisione per cercare di individuare per segmenti, quali siano le strozzature che si sono presentate mediamente nell'arco di tempo preso in considerazione e cercare conseguentemente di capire quali possano essere le iniziative e le scelte di carattere amministrativo, organizzativo ed anche di modifica normativa, da proporre per rendere accettabili i tempi di formazione, di esame e di approvazione degli strumenti urbanistici generali, a fronte delle veloci trasformazioni e delle esigenze presenti all'interno della società; ed anche per evitare uno dei maggiori pericoli oggi presenti non solo nella nostra Regione, a fronte dei tempi lunghi conseguenti alle norme e alle procedure che ci siamo dati, e cioè la spinta ad approvare norme eccezionali di settore e di dettaglio, sia a livello nazionale come a livello regionale, per accelerare tempi di formazione e di approvazione di interventi collegati ad una progettualità definita di settore e non ad una visione generale ed organica di carattere programmatorio e pianificatorio.
Il mutamento sociale ed anche culturale che è intervenuto nel nostro Paese in questi ultimi anni è sotto gli occhi di tutti e ha creato grosse difficoltà nella gestione e nell'indirizzo da parte della Regione dei processi che incidono sulle trasformazioni e sulla organizzazione del territorio in senso generale. Quindi l'esame dei tempi e delle fasi procedurali è stato volutamente dettagliato; devo solo sottolineare rispetto a questi temi che saranno eventualmente ripresi nella replica, che a mio modo di vedere sarebbe errato volere ricercare le responsabilità in uno solo dei momenti specifici del processo: o amministrativo o tecnico burocratico, del Comune o della Regione. Le responsabilità sono, a mio avviso, politico-istituzionali complessive della Regione, perché per troppi anni non è stato sviluppato un processo adeguato di riflessione attorno all'applicazione della legge regionale n. 56 e all'organizzazione delle strutture regionali preposte all'esame e all'espressione dei pareri in ordine agli strumenti di pianificazione urbanistica; sia perché non è stata sviluppata un'iniziativa adeguata di sostegno, di collaborazione, di consulenza nei confronti delle Amministrazioni comunali, fenomeno questo ancor più evidente dopo lo scioglimento dei Comitati comprensoriali, che in qualche misura avevano costituito un riferimento per le Amministrazioni comunali e per la stessa Regione, un momento di incontro e di valutazione attorno ai problemi della pianificazione territoriale e all'interno di questa della pianificazione urbanistica a livello comunale ed intercomunale. Il che non significa voler evitare una valutazione, anche puntuale, di fenomeni distorcenti che possono essersi manifestati all'interno delle procedure, delle strutture regionali e degli organi consultivi, bensì sottolinea la necessità di ricondurli comunque all'interno di una valutazione generale in cui le responsabilità appaiono essenzialmente di carattere istituzionale.
Vi sono però anche altri limiti che ha incontrato il processo di pianifazione urbanistica nella nostra Regione e vorrei richiamarli per semplice enunciazione. Innanzitutto, l'assenza di un quadro di organizzazione territoriale adeguato di riferimento; questa è stata certamente una grande difficoltà collegata alla scarsa chiarezza di definizione e di collegamento tra piani di diverso livello gerarchico ed anche al sovrapporsi, nel tempo, di piani sempre di natura territoriale ma diversi, che per esigenze di natura settoriale sono stati introdotti e che tendenzialmente si sostituiscono al processo complessivo di pianificazione.
Questo problema è già stato sollevato anche nel recente dibattito svoltosi in aula durante l'esame della legge di tutela dell'ambiente e di formazione dei piani paesistici, e su di esso quindi in questa occasione non mi soffermo.
Accanto a questo limite ve ne sono stati altri che enuncio: l'assenza di una cartografia l'assenza di adeguata conoscenza dei problemi geologici, promossa dalla Regione: si tratta di un problema rilevante, soprattutto oggi quando così evidenti sono le esigenze di tutela e valorizzazione delle risorse e dei beni ambientali il mancato sviluppo di un sistema informativo urbanistico, che solo ora si sta avviando in convenzione con il CSI, all'interno del sistema informativo territoriale complessivo.
Ma vi sono anche altri aspetti, forse più banali da ricordare: la mancanza di unificazione della simbologia nella formazione dei Piani regolatori; la mancanza di adeguati indirizzi nei confronti delle Amministrazioni comunali; l'assenza di una regolamentazione edilizia, come è stato ricordato ancora recentemente da alcuni colleghi del Consiglio regionale, ed altri ancora che potrebbero essere richiamati.
Rispetto a questa situazione, nella comunicazione sono indicate alcune prime iniziative dell'Assessorato per cercare di dare delle risposte amministrative e organizzative a questi problemi che sono stati evidenziati. Alcune di queste, rispetto al mese di giugno, quando la comunicazione è stata predisposta, sono già state avviate da parte della Giunta e del Consiglio regionale. Vorrei ricordare le modifiche al funzionamento del CUR. che peraltro non sono ancora state concretamente sperimentate, dopo l'approvazione della legge da parte del Consiglio regionale e del Commissario di Governo, perché - come dirò dopo - i due mesi post-feriali sono stati completamente assorbiti nell'esame della variante 31 ter di Torino e altri problemi sono stati forzatamente accantonati. Ed ancora, l'approvazione da parte del Consiglio regionale del progetto di carta tecnica regionale in scala 1:10.000, che veniva indicata fra le priorità; l'imminente definizione della circolare, preannunciata nella comunicazione, volta allo snellimento delle procedure e ad una migliore definizione dei rapporti tra Regione e Comuni, riguardante tutte le fasi di esame e di valutazione degli strumenti urbanistici generali ed in particolare gli atti amministrativi, per molti dei quali non si prevedrebbe più l'esame da parte dell'Assessorato, ma la presentazione di una certificazione del Sindaco e del Segretario comunale attestante gli avvenuti adempimenti.
Ugualmente si è dato inizio, in via sperimentale e a partire dai casi più semplici di modifica, all'esame dei regolamenti edilizi, prevedendo la formazione di una struttura sia pur minima (oggi formata da una sola persona), all'interno del settore "Studi e vigilanza urbanistica"; si è pertanto dato inizio all'attività di valutazione e di approvazione dei regolamenti edilizi e delle loro modifiche, sempre rinviata, prima all'approvazione da parte del Consiglio regionale del "regolamento tipo" e poi dei "criteri generali", previsti dalla legge n. 56, per la formazione dei regolamenti edilizi.
Se guardiamo a questi limiti di tipo amministrativo e alle cose che già possiamo fare, e tra queste ad avviare, come mi auguro, il processo di riorganizzazione dell'ente, e quindi anche dei settori e dei servizi dell'Assessorato all'urbanistica, oltreché a definire meglio la presenza sul territorio delle strutture regionali dopo la bocciatura della legge in materia di riordino dell'esercizio delle funzioni amministrative della Regione, potremo già incidere sull'operatività e sui tempi della Regione e cercare di avviare iniziative indispensabili di supporto, di collaborazione e di indirizzo nei confronti delle Amministrazioni comunali.
Per essere concreti e realisti dobbiamo però dire che a fronte delle difficoltà che si continuano a registrare, molte cose non possono essere affrontate con aggiustamenti di natura organizzativa o di carattere amministrativo minore, ma che è maturo il tempo per pensare in modo serio ed organico ad un aggiornamento della legge regionale n. 56 di tutela ed uso del suolo.
Alcuni motivi immediati sono enunciati in una parte della comunicazione e sono ricollegabili al mutamento della legislazione statale (in particolare, la legge n. 47), alle modifiche intervenute nella legislazione regionale, allo scioglimento dei Comitati comprensoriali, ad una legislazione statale di dettaglio e settoriale in continua espansione e che incide negativamente sui poteri della Regione in una materia trasferita rispetto alla quale dovremmo avere pienezza di poteri nella disciplina normativa e nell'indirizzo dei processi di pianificazione.
Ma, al di là dei motivi immediati che spingono verso una revisione della legge, sono presenti pure alcuni problemi di fondo già evidenti e indicati all'interno della comunicazione. Su questi vorrei fare alcune riflessioni per terminare questa prima valutazione, riservandomi di intervenire ulteriormente in sede di conclusione del dibattito.
Alcuni mutamenti di fondo che richiedono un aggiornamento della legge regionale n. 56 credo siano presenti alla considerazione di tutti.
Innanzitutto il rilievo che hanno assunto, anche se la considerazione di questi problemi era già presente all'interno della legge regionale di tutela ed uso del suolo, i problemi che riguardano l'ambiente, richiede una riflessione e una revisione normativa complessiva per ridefinire strumenti e procedure di pianificazione attraverso cui ambiente e territorio siano contestualmente considerati e normati. Dobbiamo cioè meglio chiarire per legge che i problemi di trasformazione e di uso del suolo e quelli generali di tutela e di valorizzazione dell'ambiente, nonché quelli dei beni culturali e ambientali, non sono separabili e debbono essere unitariamente normati e disciplinati attraverso strumenti di pianificazione coerenti.
Poi, ricordando quanto sovente viene affermato, e cioè che la legge regionale n. 56 corrisponderebbe ad una visione panurbanistica, possiamo dire che quella fase era contraddistinta da una cultura e da indirizzi politico-amministrativi diversi da quelli che abbiamo conosciuto dopo erano gli anni del Progetto 80, del Piano nazionale approvato per legge della grande tensione delle Regioni verso la realizzazione di un processo generale di programmazione e di pianificazione che avrebbe dovuto saldarsi ed essere dialetticamente capace di interloquire con i fenomeni e con le procedure di pianificazione e di programmazione a livello nazionale; erano anni in cui si credeva a procedure e a processi di pianificazione e di programmazione onnicomprensivi, cioè alla capacità delle istituzioni pubbliche di disegnare un quadro generale di orientamento e di sviluppo entro cui si sarebbero dovute collocare le diverse iniziative e la progettualità pubblica e privata per la realizzazione delle proprie finalità e dei propri obiettivi.
Sembra ora subentrata una fase diversa in cui viene esaltata, sia per le caratteristiche dello sviluppo sociale, economico e culturale del nostro Paese, sia per un diverso orientamento politico-amministrativo a livello statale, la progettualità collegata agli interventi e ai piani di settore e ciò crea grossi rischi di scoordinamento e di demotivazione delle funzioni che la Regione ha in materia in pianificazione e di programmazione. Credo quindi che dobbiamo recuperare, in un disegno organico di disciplina regionale, le modificazioni profonde che sono intervenute e che non possiamo illuderci di contrastare solo perché non ci piacciono; questa è la società dell'innovazione, della flessibilità, della velocità dell'adattamento; è molto diversa da quella che avevamo conosciuto ai tempi della formazione della legge regionale n. 56.



BONTEMPI Rinaldo

E' talmente veloce che a volte si morde la coda.



GENOVESE Piero Arturo, Assessore all'urbanistica

Ai tempi della formazione dei primi studi sulle aree ecologiche nella nostra Regione e poi della definizione delle realtà comprensoriali pensavamo ad una realtà in cui attraverso l'intervento e la previsione pubblica, su aree definite, si potessero realizzare alcune precise condizioni.
Il primo obiettivo era la diffusione dei modelli di vita urbana, che ha caratterizzato per lunghi anni il dibattito politico e culturale nella nostra Regione. Questo obiettivo, sia per le iniziative attuate sia, come credo, ancor più per forza delle cose, è stato sostanzialmente raggiunto infatti, il processo di diffusione dei modelli di vita urbana, nel bene o nel male, si è realizzato all'interno del territorio regionale.
Il secondo obiettivo era rappresentato dalla creazione, sempre per aree definite, ecologiche o comprensoriali, di condizioni di equilibrio tra risorse, occasioni di lavoro e popolazione. E questo, invece, non è avvenuto, se non in misura limitata, anche perché i processi di cambiamento intervenuti non hanno consentito nei fatti, e non consentono più in termini culturali e politici, di pensare a decentramenti fisici di "parti" del sistema produttivo di una Regione. Si è arrestato il processo di grande industrializzazione collegato allo sviluppo storicamente consolidatosi della nostra Regione, così come il processo di urbanesimo e di forte mobilità residenziale all'interno del nostro Paese è caduto prima culturalmente attraverso un rifiuto, forse non ancora conscio ma netto, dei processi di massificazione che hanno contraddistinto lo sviluppo della nostra società e poi a livello economico, perché i processi di evoluzione puntano anche in una Regione industriale come la nostra a trasformazioni profonde verso la terziarizzazione, che nella nostra Regione sono collegati comunque alle attività direttamente produttive e meno alle attività di natura finanziaria, come avviene in altre Regioni e specificamente in Lombardia. All'interno di questa situazione, verrà sempre meno uno dei motivi di fondo che hanno contraddistinto la riflessione politica e culturale degli anni '70 e '80: cioè, sempre meno ci sarà bisogno della prossimità fisica ai luoghi di lavoro, perché ad essa subentrerà sempre di più la prossimità dei microprocessori; infatti, lo sviluppo dell'elettronica e della telematica cambieranno sostanzialmente le condizioni insediative, di mobilità, di collegamento con le realtà produttive all'interno e all'esterno della nostra Regione. Se questa è la direzione del cambiamento, il processo di pianificazione non può che essere in prospettiva più orientato e centrato sulla "qualità" e meno sui dati quantitativi presenti nel passato e collegati ad una fase di espansione e di necessità di contenimento dei fenomeni di urbanesimo e di industrializzazione concentrata che ha conosciuto la nostra realtà regionale. Una nuova normativa, di aggiornamento della legge n. 56, è quindi da individuare per riuscire ad inquadrare correttamente i fenomeni che si stanno manifestando e che non possiamo contrastare per motivi socio economici ma anche per motivi politico-istituzionali.
Riporto un esempio solo per tutti. Il CIPE ha deliberato l'applicazione del programma-stralcio, previsto dalla finanziaria 1988 e 1989, dell'edilizia residenziale pubblica e in analogia a quanto alcune Regioni hanno già fatto, attraverso una propria normativa di carattere speciale, viene richiesto a tutte le Regioni italiane di attribuire i finanziamenti solo dove sarà possibile garantire entro tre mesi la cantierabilità delle opere e degli interventi. Questo vuole dire che, al di là delle strozzature già esistenti e che vanno comunque richiamate perch incidono anche sui processi di aggiornamento eventuale della legge regionale di tutela ed uso del suolo e che sono principalmente la mancanza di una normativa in materia di regime dei suoli e in materia di esproprio noi dovremo come altre Regioni inventare e normare per legge delle procedure speciali per riuscire ad intervenire; in caso diverso i finanziamenti non sarebbero più assegnati alla nostra Regione, poiché non saremmo in grado di assicurare la cantierabilità degli interventi. Tutto ciò ha già trovato risposte legislative ed amministrative da parte di altre Regioni e che oggi, poiché le deliberazioni CIPE hanno per noi valore di norma di legge, si traducono in normativa a livello statale e ci costringono ad una riflessione urgente ed importante per salvare quanto di positivo c'è nella disciplina di tutela ed uso del suolo della nostra Regione; secondo me è molto, tanto è vero che ritengo che dobbiamo procedere ad un aggiornamento che non intacchi nella sostanza il nostro attuale sistema complessivo di pianificazione. Credo, quindi, che non siano in discussione i contenuti e gli strumenti di pianificazione, ma piuttosto le procedure, le modalità di formazione e le previsioni degli strumenti di pianificazione. E' in discussione il collegamento fra tutela ambientale, pianificazione paesistica, pianificazione territoriale e urbanistica. Penso, poi, che si debbano individuare procedure atte a collegare gli strumenti di pianificazione alle esigenze di progettualità che si manifestano nella nostra società e che si debba fare una riflessione sul mai realizzato collegamento tra pianificazione urbanistica e piani finanziari di intervento della Regione e quindi anche una riflessione attorno al significato, alla funzione e al valore che mantengono gli strumenti di programmazione attuativa degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi. Credo, nella sostanza, che dobbiamo affrontare una riflessione seria, che non può più essere ritardata; contrariamente, non rimarrebbe che procedere, di volta in volta, attraverso una legislazione speciale e di dettaglio, anche a livello regionale, così come è già avvenuto in materia di smaltimento dei rifiuti, come avverrà per l'edilizia e come è stato proposto per le strutture ricettivo-alberghiere in occasione dei Mondiali del 1990 e così via, in modo disorganico, senza capacità di coordinamento e di valutazione complessiva dell'operatività della Regione e degli enti locali sul territorio.
Esistono però alcune condizioni necessarie. Secondo me, per affrontare questo lavoro occorre, senza con ciò volere evitare l'iniziativa dei Gruppi consiliari, come di tutte le forze sociali, culturali ed economiche, che la Giunta possa sentire i Gruppi e le diverse componenti della società regionale per raccoglierne le proposte, le idee e le valutazioni lungo un arco di tempo contenuto ma sufficiente. Dopodiché la Giunta deve assumersi in tempi rapidi la responsabilità di una proposta dato che il Governo deve avere una capacità di assunzione di responsabilità e di proposta formale nei confronti del Consiglio e della società regionale per l'aggiornamento della legge regionale n. 56.
Credo che occorra prevedere come condizione alcuni mesi di dialogo in cui la Giunta possa esprimere una propria proposta aperta alla riflessione e al confronto con le proposte degli altri Gruppi consiliari. Credo poi che debbano essere previsti le forme e gli apporti specialistici di consulenza; lo dico soprattutto al Presidente della Giunta, perché non si può immaginare di operare in poco tempo e in modo artigianale o volontaristico come sta avvenendo all'interno di strutture che da tempo attendono una miglior organizzazione e il necessario potenziamento. Ciò è indispensabile per poter portare a termine in questa legislatura una riflessione complessiva, dato che le esigenze che sentiamo crescere attorno appaiono oggettive, ci mettono in difficoltà e spesso in conflitto rispetto ad altri livelli istituzionali.
Pensiamo, in particolare, ai problemi riguardanti l'area metropolitana e la città di Torino in specifico; qui l'urgenza dei problemi che crescono all'interno della società, la difficoltà di prevedere e di disciplinare correttamente la realizzazione di progetti, sovente indifferibili richiedono certamente una diversa capacità operativa dell'Amministrazione comunale di Torino, come abbiamo visto in occasione della valutazione della variante 31 ter al Piano regolatore generale, ma anche una capacità di risposta adeguata e di comprensione dei fenomeni che si stanno manifestando da parte della Regione.



PRESIDENTE

Sulla relazione dell'Assessore Genovese è aperta la discussione.
Ha chiesto la parola il Consigliere Pezzana. Ne ha facoltà.



PEZZANA Angelo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, non me ne voglia l'Assessore Genovese se inizierò il mio intervento con alcune riflessioni sul modo di dare comunicazione in questo Consiglio. Mentre l'Assessore parlava, mi sono sforzato di riassumere, ogni 15-20 minuti, quanto stava dicendo. In parte l'ho fatto come esercizio mentale, per mettere alcuni appunti a sostegno di quanto mi ero preparato per dire oggi, ma non ci sono riuscito.
Sarà per una mia inadeguatezza? Credo che se la lunghissima dissertazione fatta dall'Assessore fosse stata registrata o data in diretta da una radio o da una televisione di fronte a un pubblico normale, cioè non avvezzo a sentire parlare per ore di argomenti che potrebbero essere riassunti con delle indicazioni chiare, non so cosa avrebbe potuto capire questo pubblico. Ma questa non è tanto una critica all'Assessore Genovese, quanto al modo in generale di dare le comunicazioni al Consiglio. Credo di avere una preparazione media, ma dopo un'ora di intervento dell'Assessore Genovese se dovessi dire di avere in mano degli elementi di indicazione concreta su quanto l'Assessore ci ha esposto, non lo potrei dire perch pur avendolo ascoltato con la più totale attenzione, ho una grande confusione nella testa. Non credo di essere particolarmente incapace o di avere delle chiusure verso l'argomento, che tra l'altro mi interessa molto ma se dovessi riassumere la relazione di un'ora dell'Assessore Genovese avrei delle grosse difficoltà.
Oggi stiamo parlando di un sostanziale fallimento di una legge approvata nel 1977: infatti, a distanza di più di dieci anni, più di 400 Comuni piemontesi non hanno ancora un piano approvato in maniera definitiva. Pertanto questa è una legge che non ha funzionato, che si deve riconoscere come sostanzialmente fallita. Dire questa frase comporta alcuni concetti, alcune parole chiave semplicissime, ma permette di capire dall'Assessore Genovese però non l'ho sentita pronunciare. Questo è il modo di fare politica per cui noi passiamo a discutere di argomenti nei quali si dice che tutte le motivazioni adottate negli anni '70, in base a criteri ideologici, a una cultura che in quel momento era dominante, sono sostanzialmente falliti. Questo non si può e non si deve dire perch l'attuale inazione o incapacità della Giunta di cambiare musica rispetto alla precedente, porta a giustificare comunque la validità di quello che si è dimostrato non essere valido. Questo forse per giustificare la sostanziale incapacità oggi di dare sbocco a fatti concreti, perché poi nella realtà né si legge né si discute su frasi tipo: "processo di diffusione dei modelli di vita urbana", che vanno molto bene nei libri di testo per l'Università; quando però l'insegnante intelligente spiegherà queste frasi, sociologicamente un po' astratte, dirà che la vita urbana così come la stiamo vivendo oggi, è molto dequalificata.
Posso sbagliarmi, ma nell'intervento dell'Assessore Genovese ho colto una sostanziale continuità rispetto a quello che non avviene oggi. Se si fosse veramente cambiata pagina o in meglio o in peggio, si potrebbe prendere atto, criticare o aderire; in realtà vedo che non si cambia niente, si va avanti esattamente con il modello precedente senza avere il coraggio di dire chiaramente alcune cose fondamentali, che forse non saranno tali magari per molti.
Il fallimento della legge regionale n. 56 può essere dichiarato e sottoscritto soprattutto se si tiene presente che fra i 400 Comuni, che non hanno ancora approvato definitivamente il Piano regolatore, ci sono due città come Torino e Alessandria. Il caso Torino, il cui bacino rappresenta circa la metà della regione, è un esempio drammatico dei ritardi e della incapacità a decidere. Incapacità che si nasconde sempre dietro ai lunghi interventi e alle lunghe frasi. Il male che hanno fatto i testi di sociologia lo possiamo verificare a distanza per capire come, dietro a parole astruse o complicate o comunque ripetute, si nascondano in realtà dei dati concreti che sono fallimentari.
Non voglio ritornare sulla ideologia che ha segnato gli anni '70 quando con la "pianificazione territoriale" si voleva risolvere tutto questa era la struttura portante delle realizzazioni mancate in quegli anni. Mi sembra che anche questa Giunta non sia riuscita a scrollarsi di dosso questo clima, questo modo di ragionare e di affrontare i problemi.
Infatti, il documento che ci ha dato l'Assessore contiene alcune indicazioni per la soluzione dei problemi più urgenti, però non indica i tempi per la loro realizzazione.
Per esempio, quando saranno concretamente revisionate le tabelle parametriche? Non viene detto, lo si indica come un problema dimenticando che questi problemi esistevano già dieci, venti, trent'anni fa.
La circolare sulle procedure quando verrà emessa? Anche questo non è indicato.
Caro Assessore, non sto prendendola di mira per dire che lei non vuole intervenire, dico solo che ancora una volta, anche senza la giustificazione ideologica del "bisogna cambiare tutto per lasciare tutto com'era", non ci sono indicazioni evidenti nella sua relazione. Per esempio, anche l'iter per avere una cartografia è segnato come un problema, ma non è indicato il tempo necessario per iniziarla e quando si procederà alla riforma del CUR.
Non parlo di soluzione dei problemi, ma di indicazione dei tempi occorrenti, altrimenti, come succede sempre nella politica regionale e nazionale, quando non si sa che cosa fare si nomina una Commissione e intanto la questione viene procrastinata con il sistema di prorogatio che ben conosciamo.
L'esempio di Torino ci dice che, dove si voleva intervenire, in realtà non si è intervenuti. L'immobilismo non ha pianificato nulla, non ha salvato nulla, ma ha contribuito al degrado della città. La variante 31 ter, che è stata demonizzata, e vista attraverso definizioni classiche che a furia di essere ripetute, sono state fatte proprie anche da chi non dovrebbe invece aderire a questo tipo di ideologia, è lo sblocco del regime vincolistico che era stato voluto in nome di un cambiamento. I risultati e i tempi hanno poi dimostrato che è facile fare delle affermazioni ideologiche, ma poi è molto difficile realizzarle nel senso indicato.
La variante 31 ter consente la realizzazione di cose concrete e semplici (e questo è ciò che interessa alla gente), consente la creazione di parcheggi pubblici e autorimesse private; consente di variare la destinazione d'uso di aree industriali. Sono decenni che si parla delle aree dismesse e sono decenni che queste aree sono davanti agli occhi di tutti, naturalmente affidate ad un piano urbanistico di iniziativa pubblica e privata, quindi sottoposte a una vigilanza da parte della Regione. Questo dovrebbe essere il compito precipuo di questa istituzione. Consente l'ampliamento di strutture sportive per il tempo libero: parchi pubblici gioco, sport; la creazione negli esercizi commerciali di soppalchi per ampliare superfici. Consente di snellire le procedure burocratiche che sappiamo quanto ingabbino le possibilità di realizzazione. Consente la demolizione di fabbricati e la loro sostituzione. Questo sarebbe stato importantissimo anche per le condizioni igieniche di interi stabili fatiscenti, che non vengono demoliti in base ad un criterio che vorrebbe salvaguardarli e che in realtà vengono mantenuti in condizioni di igiene primordiali, quindi punendo ancora una volta chi vi abita e favorendo le speculazioni a danno degli emarginati, degli emigrati di colore, comunque di persone prive di capacità d'inserimento immediato e di difesa dei loro diritti. Il mantenimento di queste abitazioni per salvaguardarci dalla speculazione, sappiamo quanto in realtà abbia contribuito a crearne altre.
Ci sono poi quei problemi concreti che leggiamo sul giornale. Si parla del '90, si parla di scadenze che dovrebbero portare la città di Torino a essere pronta per il Mondiale. Su "La Stampa" dell'altro giorno c'era una proposta di costruire un grande albergo a 5 stelle vicino ai Giardini Reali nella confluenza con il ponte sulla Dora. Mi chiedo come un albergo di quel genere potrà essere costruito in un anno o un anno e mezzo.
Si vedono degli accostamenti del moderno accanto all'antico, ma non al vecchio. Dov'è quell'impresa disposta a fare della beneficenza? Le imprese giustamente, devono vivere e guadagnare non sulla speculazione, ma sul profitto. Una città come Torino e larga parte del Piemonte sono ferme ad un livello che nemmeno in altre regioni italiane ormai è dato di vedere.
Genova è una città che ha costruito grattacieli e palazzi importanti Torino è una città che risente ancora della morte civile impressale da quel decennio di Giunte socialiste e comuniste che hanno immaginato che bastassero dei piani ideologici per cambiare la qualità della vita. Parole aria fritta territoriale, perché i risultati sono che i reali edifici di valore storico e architettonico stanno cadendo a pezzi in un centro storico che ormai soltanto Palermo può invidiarci, perché tutte le altre città italiane hanno provveduto alla salvaguardia dei patrimoni urbanistici.
Tutto questo produce un conflitto quasi di competenza: il Comune propone una cosa e la Regione gliela blocca. Il Comune e la Regione o si parlano poco o non fanno dei progetti comuni. In realtà, le imprese private non riescono a realizzare delle grandi progettualità, non parlo dello sviluppo capitalistico selvaggio delle periferie degli anni '50 che ha distrutto qualunque possibilità di ambiente intorno alle grandi metropoli ma di progetti per salvare ciò che può essere ancora salvato; forse sono problemi di burocrazia.
Le ripeto, Assessore, ho capito molto poco la sua relazione piena di frasi da manuale di sociologia. Quando frequentavo Sociologia all'Università, c'era un bravo insegnante che spiegava la complessità di certe affermazioni; quindi in un testo universitario queste frasi possono essere ammesse, ma in una discussione, dove si affrontano i problemi e si danno indicazioni, non aiutano a capire come la Regione possa, a livello normativo e di controllo, favorire qualunque tipo di iniziativa per riportarla ad un livello di vivibilità, che non siano solo le chiacchiere delle quali purtroppo ci sentiamo sommersi sia da parte di chi ha in mente ancora un vecchio modo di affrontare i problemi dell'economia e della gestione urbanistica, sia da parte di chi propone, in maniera altrettanto demagogica (ma ancora più pericolosa perché viene da una parte nuova), di chiudere il centro storico. La proposta di chiudere il centro storico è una delle cose più demagogiche che si siano sentite in questi ultimi anni. In nessuna città europea si è chiuso il centro storico, ma si sono fatte ben altre cose! Milano l'ha chiuso e vediamo in quali condizioni si trova! Le frasi demagogiche attirano consenso perché si parla di forze verdi di forze ambientaliste. Pare che dire la parola "ambientalista" sia una garanzia. Non credo a questo; credo invece che ci siano delle nuove forme di demagogia dalle quali una Giunta che voglia fare delle cose concrete debba guardarsi. Ma credo debba guardarsene parlando chiaro. Dalla relazione dell'Assessore ho capito molto poco. Lo so che è difficile modificare un linguaggio a cui la politica, bene o male, ha abituato molte forze politiche, però uno sforzo di intelligenza e di capacità di comunicativa dovrebbe essere fatto soprattutto da chi ha la responsabilità di condurre una politica urbanistica. Parlando con la gente viene fuori che non si capisce nulla, la gente è a conoscenza soltanto delle cose che giacciono. C'è un Piano regolatore, ma quando verrà presentato? E' fermo.
Sappiamo che i problemi non sono stati affrontati e sono fermi.
Vorrei che l'Assessore, con una presa di posizione responsabile dicesse - e lo pregherei di essere conciso - quali sono i problemi che questa Giunta e il suo Assessorato hanno in mente di affrontare e di risolvere perché non ho capito dalla sua relazione cosa intende fare il suo Assessorato, e gli sarei grato se vorrà spiegarmelo.



VIGLIONE Aldo



PRESIDENTE

L'assessore Genovese prende buona nota delle osservazioni di carattere generale che lei ha formulato.
Ha ora la parola il Consigliere Majorino.



MAJORINO Gaetano

Assessore, quando lei è passato alla parte conclusiva della sua comunicazione, accennando alla necessità di una proposta di aggiornamento della legge n. 56, ha detto: "E' tempo di procedere, anche in considerazione dei motivi e moventi ultimi di questa necessità, cioè modifiche di leggi nazionali in materia urbanistica nel cui alveo dovranno ricollocarsi e modificarsi quelle regionali, e anche in considerazione dell'abolizione dei Comprensori la cui parte attiva in materia urbanistica era prevista dalla legge n. 56 e adesso le loro competenze non esistono più". Nel momento in cui lei, concludendo, faceva questo accenno, mi sono illuso per un attimo di sentirmi dire, in una sorta di anteprima, quali sarebbero state le linee essenziali di un disegno di legge di modifica della legge n. 56. Pensavo mi si dicesse che la Giunta lo avesse già nei suoi cassetti, e che fosse solo più da limare, da perfezionare, quindi pronto da fare approdare in Consiglio.
Su questo punto, che il nostro Gruppo ritiene fondamentale e ha avuto modo di esternare in alcune occasioni, ricordo brevemente che nella relazione di minoranza che nel luglio 1984 il nostro Gruppo presentò in occasione della revisione fatta in allora alla legge urbanistica, si ebbe modo di osservare come la principale concausa della paralisi in cui era venuta a trovarsi l'edilizia in Piemonte andava ricercata nella eccessiva macchinosità della legge n. 56 nella quale sono confluite, sullo sfondo di uno scenario astratto e utopistico, norme urbanistiche di principio e di dettaglio, accanto a norme sostanzialmente regolamentari accorpate a istruzioni a contenuto burocratico che meglio avrebbero potuto trovare collocazione nella loro sede naturale delle circolari assessorili. Senza volere infliggere il contenuto di quella abbastanza corposa relazione di minoranza, devo ricordare che alla fine della relazione stessa si enunciava un concetto di "umiltà legislativa" che avrebbe dovuto condurre anziché a quella revisione, in allora proposta dalla Giunta di sinistra, a un lavoro più umile, cioè di ripulitura del testo della legge n. 56 sotto il profilo formale e lessicale per meglio inquadrarlo in quelle che erano le linee fondamentali della legislazione nazionale e non senza non tenere presente la copiosa e penetrante giurisprudenza del TAR del Piemonte che aveva avuto modo di sottoporre a verifica la legge n. 56 almeno nei suoi istituti essenziali.
Poi si soggiungeva come necessaria la predisposizione di una normativa diretta a costituire strumenti di assistenza tecnica ai Comuni singoli o associati per gli interventi di loro competenza, cosa che è stata ricordata proprio oggi. E infine, a ridurre all'essenziale, pur nel rispetto del giusto procedimento, le fasi di formazione del Piano regolatore.
E' stato con un certo interesse che questi concetti base e fondamentali li avevamo trovati, ripresi, sia pure con un ragionamento di sintesi, nel programma della Giunta pentapartica del luglio 1985, laddove si diceva: "E' necessario dare agli operatori pubblici e privati la certezza del diritto che loro compete; è fondamentale lo snellimento delle procedure di approvazione degli strumenti urbanistici". Quindi su questi due punti ritenuti principalissimi, noi avevamo posto una particolare attenzione.
Questi concetti erano poi sviluppati negli indirizzi politico-programmatici del gennaio 1986 laddove, dopo essersi confermata la difficile agibilità della legge n. 56 data la constatazione della bassa percentuale di strumenti generali di pianificazione approvati dalla Regione, si diceva che era necessario un complesso lavoro politico, culturale e giuridico, e che a questo lavoro sarebbero stati chiamati esperti delle diverse discipline, in modo da pervenire entro l'aprile 1986 ad una proposta operativa da utilizzare per l'elaborazione di un nuovo testo di legge sulla tutela e uso del suolo. Con l'occasione, dopo avere preannunciato che le linee essenziali di una revisione sarebbero approdate per un primo preventivo dibattito in quest'aula nell'aprile 1986, si accennava alle caratteristiche fondamentali di questa futura legge di revisione, cioè un articolato riformulato, lessicamente più semplice, non ripetitivo, limitato all'essenziale: era quanto modestissimamente avevamo chiesto noi nella relazione di minoranza del 1984. Ed ancora: semplificazione della formazione dei Piani regolatori; capacità di adattare la legge urbanistica con le modifiche, alle diverse realtà territoriali locali; infine: modifica del calcolo della capacità insediativa.
L'argomento veniva poi ripetuto di striscio senza che nell'aprile 1986 si provvedesse a quanto promesso. Questa promessa politica veniva ribadita nel programma di Giunta del luglio 1987. Ma nel frattempo si era verificato un fatto nuovo: il Gruppo liberale nel mese di luglio 1986, visto che inutilmente era passato il termine pur congruo del mese di aprile 1986 entro il quale avremmo dovuto avere un documento base da discutere quale premessa del futuro disegno di legge di modifica, aveva elaborato una traccia di lavoro, non per il Consiglio ma per la Giunta, molto complessa molto dettagliata, di cui alcune parti condivisibili, altre no, ma che comunque marciavano sui concetti che erano stati definiti, cioè snellire il testo, rendere agli operatori pubblici e privati la certezza del diritto.
Se dovessi definire questa complessa traccia di lavoro per la Giunta enunciata dal Gruppo liberale, la definizione di sintesi è quella che ho esposto.
A quanto ci consta e a quanto consta all'esterno non se n'è fatto nulla, tant'è che arriviamo alla proposta finale e definitiva di Piano di sviluppo, che ci è stato consegnato ai primi del mese di ottobre 1988, dove si dice, ancora una volta: "E' necessario ridare certezze di diritto agli operatori pubblici e privati; è necessario ripulire e rivedere la legge n.
56 onde rilanciare l'edilizia in Piemonte; è necessario, infine semplificare l'intera impalcatura legislativa". Oggi sostanziali e identiche affermazioni sono state dette dall'Assessore. Di fronte a questo vuoto progettuale - non vedo come lo si possa chiamare diversamente - di fronte alla non presentazione di un progetto di legge di verifica della legge n. 56, sul quale siamo tutti d'accordo e in particolare è d'accordo la Giunta perché lo ha collocato ripetutamente nei suoi documenti programmatici, di fronte a questa non presentazione, noi non possiamo che constatare una inadempienza della Giunta, non senza rilevare che siamo ormai a 20 mesi dalla fine della legislatura, come era stato detto in altre occasioni: siamo a 500 giorni proficuamente lavorativi, senza un progetto di revisione della legge n. 56. Questo è il discorso concreto che va fatto che non può non essere colto, che non può non essere denunciato. Quantunque intorno ai principi (ridare certezza di diritto, snellire le procedure rendere chiara e intelligibile la legge, formare quei tali centri di consulenza per i Comuni) siamo rimasti alla fase delle pie intenzioni.
Quindi non possiamo che cogliere questo dato. L'Assessore ha detto che questo lavoro dovrà essere fatto attraverso il lavoro propositivo dei Gruppi. Questo è esatto. Però un obbligo fondamentale che aveva la Giunta era quello di predisporre un testo sul quale confrontarsi. Non sono certo io che devo fare l'osservatore di quanto è accaduto in materia urbanistica in chiave quasi elogiativa della Giunta di sinistra, la quale, peraltro sul piano metodologico, aveva presentato un testo di revisione verso la fine del 1983 o i primi mesi del 1984, che per noi non andava bene, tant'è che il voto fu contrario e la nostra relazione di minoranza aveva messo in evidenza le lacune e le non opportunità di quel testo. Però il testo era stato presentato e subito dopo, da parte della Giunta di allora, si erano presentate proposte e disegni di legge dei vari Gruppi, non solo del nostro, ma del Gruppo liberale in particolare, che si era battuto con entusiasmo attraverso il compianto Assessore Turbiglio.
La revisione della legge urbanistica tra gli anni 1983 e 1984 è stata nel concreto effettuata attraverso testi di legge di modifica. Il primo, in linea di tempo, era quello della DC. Chiedo venia per il mio errore materiale. Comunque oggi siamo di fronte a un vuoto progettuale che devo denunciare soprattutto perché nel programma del luglio 1985 della Giunta e nei successivi tre documenti che ho citato si continua a parlare della necessità di questa revisione, come presupposto per sbloccare la situazione dello stallo dell'edilizia nel Piemonte e per dare certezza del diritto, e così via. Però non c'è nessun documento sul quale discutere! La comunicazione odierna è estremamente interessante, però non consente ad alcun Gruppo di collocarsi su proposte operative per il semplice fatto che non esistono. Ci troviamo di fronte a un semplice preannunzio di un futuro disegno di legge che penso - e la previsione mi pare più che ragionevole molto difficilmente potrà andare in porto entro la fine di questa legislatura.



GENOVESE Piero Arturo, Assessore all'urbanistica

La comunicazione è sullo stato della pianificazione, non è sulle proposte della Giunta.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Martinetti.



MARTINETTI Bartolomeo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, noi crediamo di dover ringraziare l'Assessore Genovese per le sue ampie e serie relazioni, quella del mese di luglio e quella di oggi, relazioni che hanno il fine di dare il quadro sulla situazione urbanistica attuale, ma che ovviamente ci danno anche motivo di esprimerci in merito all'esigenza, più volte emersa, di un aggiornamento della legislazione urbanistica regionale, al fini di correggerne le riscontrate deficienze e adeguarla alle mutate situazioni.
E' su questo aspetto che a nome del Gruppo DC mi intratterr brevemente, cioè sull'aspetto della necessità di adeguamento, di aggiornamento della legislazione vigente e degli orientamenti che si possono dare in proposito; è ciò che probabilmente l'Assessore e la Giunta si attendono da questo dibattito consiliare, per portare avanti lo studio di adeguamento legislativo che è stato annunciato.
Il nostro Gruppo non ha mai pregiudizialmente negato valore alla legge n. 56, di cui, anzi, ha apprezzato lo spessore culturale e il contributo che essa ha dato alla maturazione di una coscienza urbanistica e di tutela del territorio nella nostra regione.
Non sono mai mancate peraltro da parte nostra forti riserve rispetto alla complessità delle procedure imposte, ad una certa astrattezza accademica di talune posizioni, alla pretesa totalizzante e verticistica dell'impianto: difetti che a nostro avviso, sommandosi con i ritardi della pianificazione territoriale a livello comprensoriale e regionale e con l'inadeguatezza delle strutture deputate all'istruttoria e all'approvazione dei piani e alla vigilanza, hanno provocato una abbastanza generale contestazione dell'intera attività urbanistica regionale da parte degli amministratori comunali e dei cittadini.
E' convinzione, dunque, del nostro Gruppo che sia giunto il momento di porre mano ad una revisione della legislazione urbanistica regionale e auspichiamo che il dibattito odierno possa essere considerato come il serio avvio di un processo legislativo riformatore senza volontà pregiudizialmente eversive dell'attuale assetto, ma anche senza ingiustificate remore rispetto al dovere di rispondere ad un'attesa largamente diffusa nella nostra Regione.
In questi anni, specie quando abbiamo avuto contatti diretti con la pratica attuazione della normativa regionale sul territorio, abbiamo avuto modo di riflettere e di discutere i problemi con esperti, con amministratori e funzionari, con operatori e tecnici. Queste riflessioni e questi confronti ci portano ad esprimere alcune linee di indirizzo che a nostro avviso dovranno essere tenute in evidenza nel corso dei lavori di aggiornamento della legislazione urbanistica regionale.
La pianificazione urbanistica si trova oggi rispetto al passato - come già l'Assessore ha rilevato - di fronte a compiti più complessi e raffinati. Si può tentare, pur con evidenti limiti e incompletezze, di individuare alcuni di tali compiti, naturalmente a complemento di quanto ha già ampiamente enunciato l'Assessore.
In primo luogo - anche qui sottolineiamo un'esigenza già espressa la pianificazione urbanistica dovrà crescere e migliorare nella direzione dell'organicità e della coerenza, intesa come aderenza dei piani comunali e intercomunali ad un disegno territoriale più ampio. Perché questa crescita di organicità non contraddica alla necessità di semplificazione da tutti auspicata, sarà inevitabile porre in discussione l'idea tipica degli anni '70 - già ricordata oggi - di una rigida interconnessione tra pianificazione urbanistica e programmazione economica. L'organicità deve trovare riscontro nel principio di complessità congiunta ad unitarietà che è propria della pianificazione quando essa si sviluppa in un quadro istituzionale come quello italiano, che è fondato sulla organica e articolata autonomia di una pluralità di enti territoriali.
E' indispensabile quindi sostituire ad un sistema di autonomia sorvegliata, come si potrebbe definire quello vigente in Piemonte in questo settore e forse non soltanto in questo, un sistema che realizzi il concorso partecipativo dei diversi enti alle scelte di piano nel momento stesso della loro formazione. Ciò comporta l'affermazione della responsabilità primaria nell'atto costitutivo dello strumento urbanistico dell'ente territoriale, il cui ambito coincide con quello dello strumento stesso.
Rispetto ai Piani regolatori comunali e intercomunali le determinazioni dell'ente sovraordinato, in questo caso della Regione, devono essere vincolanti soltanto nel confronto delle scelte che, singolarmente o per i loro effetti cumulativi, introducano modificazioni alle scelte già compiute dall'ente sovraordinato nell'ambito delle sue competenze.
Una seconda finalità da perseguirsi nell'auspicata revisione è quella di garantire l'aderenza del piano al cambiamento delle esigenze della realtà concreta sempre più rapidamente mutevole. Questo risultato si pu conseguire soltanto con una forte accelerazione dei tempi necessari affinché il piano o la sua variante divenga operante sul territorio e ci non si potrà ottenere soltanto con una qualche riduzione dei tempi burocratici odierni senza radicali innovazioni procedurali e strutturali.
Occorre dunque agire in modo specifico e significativo sugli strumenti di cui la pianificazione urbanistica può disporre. Nella fase comunale si impone la disponibilità della cartografia di base e l'accessibilità a banche dati facenti parte del sistema informativo regionale. Si tratta più in generale di porre in essere una struttura regionale di aiuto e di supporto ai Comuni che progettano il piano o la variante nel momento stesso in cui li progettano.
Bisogna rendere più pregnante e puntuale il contatto degli uffici regionali con la realtà locale in un'azione collaborativa avente lo scopo di collocare dei punti fermi fin dall'inizio dell'elaborazione rispetto alle scelte regionali incidenti su quel territorio ed anche rispetto all'interpretazione da darsi alle stesse, nonché di assicurare uniformità espressiva al progetto così da facilitarne la successiva istruttoria.
Occorre tra l'altro ottenere che le norme di attuazione siano redatte in forma giuridica adeguata, senza ripetizione di norme nazionali o regionali e senza la trasposizione di parti che appartengono alla relazione illustrativa del piano e non hanno il contenuto proprio delle disposizioni normative. A questo proposito si dovrà anche studiare il modo di evitare in sede legislativa ogni dubbio circa l'affidabilità degli incarichi di Piano regolatore generale anche a professionisti di campo giuridico e non solo ai tecnici.
Tra le innovazioni che al fine dell'accelerazione si dovranno inserire nella fase regionale di istruttoria e approvazione del piano, rientra la riorganizzazione del CUR da attuarsi in questo momento privilegiando gli obiettivi connessi con l'operatività, magari con la costituzione di più sezioni, anche se ciò comporta di accettare una qualche perdita di uniformità a vantaggio di una maggiore produzione di lavoro.
Così pure è da approvare l'intendimento già manifestato dall'Assessore di distinguere le istruttorie a seconda che si tratti di PRG o di varianti di PRG di piccola entità o di piani di grande consistenza.
Un'attenzione particolare merita poi il problema della natura e dei contenuti dei piani: a questo proposito sembra interessante ed accettabile la riflessione fatta dalla Commissione ministeriale che nello scorso luglio ha rassegnato al Ministro dei Lavori Pubblici le sue proposte conclusive per il riordinamento della normativa urbanistica nazionale. Tale Commissione ha sottolineato la netta distinzione concettuale fra le trasformazioni del territorio dotate di rilevanza urbanistica, che provocano variazioni significative negli equilibri e negli assetti urbanistici, specie per quanto riguarda il carico insediativo ed il fabbisogno di attrezzature e di servizi, e le trasformazioni prive di rilevanza urbanistica individuabili negli interventi di recupero dei fabbricati esistenti inclusi la ristrutturazione edilizia e gli ampliamenti di modesta entità, i limitati incrementi degli impianti produttivi, le opere funzionali alla coltivazione dei fondi, comprese le residenze rurali ecc.
Le prime, approssimativamente definibili come trasformazioni urbanistiche, dovranno essere oggetto di concessione del Sindaco e presuppongono di norma la pianificazione urbanistica attuativa ed il versamento del contributo per opere di urbanizzazione e di quello sul plusvalore fondiario ipotizzato dalla citata Commissione ministeriale ai fini di una definizione dei noti problemi relativi alle espropriazioni.
Le seconde, definibili come trasformazioni edilizie (ovviamente in senso generale con la riserva dei dovuti approfondimenti e specificazioni) potrebbero invece essere oggetto di semplice autorizzazione del Sindaco in conformità agli strumenti urbanistici. Da questo deriva che il Piano regolatore dovrà recare da un lato le prescrizioni necessarie sufficienti a disciplinare le trasformazioni e gli utilizzi degli immobili siti nel territorio già urbanizzato del quale non si prevedono modificazioni apprezzabili dell'assetto, dall'altro dovrà presentare i connotati del piano struttura per quanto attiene alle nuove espansioni urbanistiche.
Nel primo caso dovrà essere limitato al massimo il ricorso alla strumentazione attuativa, nel secondo allo strumento urbanistico attuativo andranno invece attribuiti compiti e contenuti di grande rilievo.
Una terza finalità da perseguire è quella che riguarda la corrispondenza delle prescrizioni di piano alle effettive esigenze sociali verificate in concreto nelle localizzazioni e non solo numericamente in astratto.
In passato si è creduto di rispondere all'esigenza obiettiva di garantire ai cittadini la presenza di strutture e di servizi in misura idonea a consentire un'adeguata qualità della vita mediante un incremento degli standards minimi stabiliti dalla normativa nazionale.
Nei Piani regolatori approvati ai sensi della legge n. 56, gli standards sono stati quantitativamente rispettati, ma spesso sono stati distribuiti senza un'effettiva connessione con le esigenze vitali della popolazione. Si sono così sostanzialmente impegnate e vincolate delle aree senza un concreto riscontro pratico di esecuzione e di efficacia.
Infine, un'ultima osservazione che intendiamo evidenziare in questa fase di approccio di larga massima ai temi connessi con la revisione della legislazione urbanistica, è quella che attiene alla necessità di aderenza del piano alle esigenze proprie dello specifico ente locale a cui il Piano stesso si riferisce in relazione ai suoi connotati.
Il bisogno di uniformità non può condurre fino all'irrazionalità di trattare allo stesso modo situazioni radicalmente diverse.
E' forse il caso di chiederci se la pianificazione della conurbazione torinese debba essere regolamentata dalle stesse norme e al limite dalla stessa legge che regola la pianificazione urbanistica degli altri Comuni piemontesi, o se non si debbano ricercare per tale specifica situazione altre forme normative distinte e specifiche in un processo pianificatore che vede impegnati insieme la Regione, la Provincia e il Comune.
Di contro, ci si può chiedere se nella generalità dei restanti Comuni non possa essere evitata, ad esempio, la deliberazione programmatica essendo sufficiente la relazione illustrativa, salvo mantenere una preliminare determinazione direttoria per alcuni centri di maggiore rilievo e delicatezza.
Un ultimo auspicio riteniamo di dover ancora esprimere. Negli anni passati abbiamo assistito ad una grande fioritura di norme derogatorie di procedure speciali ed abbreviate aventi lo scopo, in presenza di esigenze particolari, di consentire risposte sollecite e decisioni tempestive.
Si è voluto con ciò rimediare alle lentezze procedurali che in molti casi rendevano inutilizzabili le procedure generali in materia di Piani regolatori, ma si è trattato di una risposta di emergenza che deve essere superata perché la pianificazione è per definizione organica.
Il rischio che l'eccezione diventi sistema e la regola quasi un'eccezione, è avvertito da molti. Tale rischio potrà essere evitato soltanto se sarà eliminata la causa del fenomeno, se cioè si riuscirà a compiere l'atto pianificatorio normale, in particolare la variante, nello stesso tempo previsto per gli atti adottabili con procedura speciale.
Questa esigenza ci riporta anche ad una concezione di piano urbanistico che riassuma ed evidenzi tutti i vincoli da porsi a garanzia del territorio, da quelli idrogeologici a quelli paesaggistici ed ambientali a quelli storico-artistici e così via in una unitarietà che elimini le reiterazioni degli atti e delle competenze, i paralizzanti contrasti delle decisioni dei diversi uffici interessati, tutte fonti di ritardi e addirittura di un pericoloso distacco tra gli interessi reali e quelli formali.
Naturalmente una concezione del piano così comprensiva ed unitaria richiede nella fase di elaborazione e di approvazione la partecipazione simultanea di tutti i poteri riguardanti le garanzie e i fini che si intendono perseguire.
Signor Presidente, con queste riflessioni crediamo di aver offerto un sia pur modesto contributo alla fase di studio e di elaborazione della nuova normativa urbanistica che deve aprirsi nella nostra Regione e soprattutto di aver mostrato, pur nei limiti di considerazioni generali quanto vivo e puntuale sia il nostro interesse per un lavoro legislativo a cui il Gruppo della Democrazia Cristiana intende dare la sua più attenta collaborazione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferrara.



FERRARA Franco

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, abbiamo ascoltato con grande attenzione la relazione dell'Assessore sullo stato di attuazione della programmazione. E' una relazione inserita in un contesto più ampio, un contesto economico e sociale, e può essere divisa in due momenti.
Il primo elemento, puramente statistico, riguarda lo stato reale della programmazione sul territorio regionale; è un dato oggettivo forse più attinente all'oggetto reale della comunicazione e politicamente meno rilevante. La seconda parte della relazione, politicamente rilevante e significativa, contiene valutazioni sulla legge urbanistica regionale e sulle proposte di modifica della stessa.
Il Gruppo repubblicano, nel dare una valutazione della legge urbanistica regionale, riconosce che si è trattato dell'espressione di un impegno culturale e politico che ha esplicitato un'indubbia crescita e lievitazione del livello di gestione dell'assetto del territorio. Questa legge ha con forza esplicitato una serie di principi che hanno contribuito a creare una cultura del territorio e dell'ambiente, una cultura che ha avuto negli anni successivi delle forti conferme che si sono ormai radicate nell'opinione pubblica. Proprio la scorsa settimana in quest'aula si è svolto un dibattito su questi argomenti. La stessa legge Galasso è l'espressione di questa nuova cultura, cultura che ha avuto anche grossi momenti di caduta quando, ad esempio, si sono approvate, con grande facilità, leggi sui condoni edilizi, che di fatto sono la contraddizione della cultura nuova nell'opinione pubblica.
Noi non diciamo - come invece ha detto qualcuno che la legge urbanistica regionale è stata un fallimento tout court. Non è questo il nostro giudizio, per noi i principi di fondo in essa contenuti, malgrado tutto, continuano ad essere dei fatti irrinunciabili, restano attuali la doverosa attenzione all'unitarietà della disciplina del territorio, la tutela e gli usi delle risorse naturali pensati come strumenti primari di programmazione.
I risultati che questa legge ha conseguito nella realtà piemontese non sono soddisfacenti come le premesse e le finalità generali facevano pensare. E poiché la validità delle intenzioni di così grande portata non può essere solo verificata dalla serietà dell'impostazione e dai principi d'ordine generali da essa propugnati, occorre verificare a consuntivo, sia pur parziale, se i contenuti del progetto complessivo sono risultati non aderenti alla necessità di un ordinato sviluppo del territorio e dove l'organizzazione dei meccanismi funzionali ha provocato risultati non coerenti con i principi di supporto generale.
Alla necessità di queste verifiche occorre affiancare anche gli obblighi di modifica e di integrazione alla legge stessa che nascono dall'entrata in vigore di nuove norme di carattere nazionale da una parte o nuove norme che annullano quei Comitati comprensoriali che erano un punto di riferimento importante della legge n. 56 e che oggi di fatto sono venuti meno.
Oltre alle modifiche legislative intervenute in questi anni, occorre valutare le modifiche del contesto economico e sociale di riferimento, cioè alla necessità di rallentare e di ordinare la spinta all'espansione è subentrata la inderogabile esigenza di agevolare la crescita e le trasformazioni.
Una nuova legge urbanistica regionale, o comunque una legge urbanistica regionale rinnovata rispetto a quella attualmente in vigore, che non conceda spazio ad una indispensabile elasticità gestionale, rischia di confermare uno dei più evidenti elementi di impotenza, riscontrati anche nell'attuazione della legge n. 56, esplicitato da una involuzione burocratica di fatto paralizzante come unica risposta ad ogni situazione imprevista.
Occorrerà quindi poter fare riferimento ad una normativa e a procedure che impongano scelte, priorità e condizioni che tutelino l'interesse pubblico, ma che consentano successive e immediate correzioni del disegno operativo.
Ad una politica urbanistica rigidamente programmatoria occorre quindi sostituire una politica puntuale nel proporre un chiaro disegno di sviluppo territoriale ma liberale e aperta nei confronti della pluralità degli strumenti che devono concorrere a realizzare le intenzioni.
Le valutazioni sin qui espresse portano a proporre una revisione della legge urbanistica regionale che, pur conservandone i valori d'ordine culturali in essa presenti e parzialmente anche la sua struttura attuale preveda un suo aggiornamento sostanziale che consenta ai cittadini e agli amministratori di utilizzare strumenti adeguati alle opportune crescite della società.
L'Assessore ha conchiuso la relazione con alcune indicazioni e ha detto: "Dateci tempo per lavorare e lavoriamo insieme".
Noi crediamo che questa richiesta dell'Assessore sia meritevole di attenzione. Avremmo voluto indicare già fin d'ora alcune norme che, a giudizio del Gruppo repubblicano, dovrebbero essere apportate; peraltro alcune sono indicate anche nella relazione dell'Assessore. Ma ci asteniamo dal farlo e aderiamo alla richiesta dell'Assessore di un confronto per raggiungere un'intesa di modifica della legge regionale. Chiediamo che, a fronte di questa disponibilità alla collaborazione, la Giunta a sua volta si impegni a dare attuazione a queste richieste e a queste sollecitazioni di modifica della legge regionale. Crediamo che al momento della formazione della Giunta sia stato assunto un impegno, confermato poi nei vari momenti di verifica dei programmi di questa maggioranza. Chiediamo che l'impegno assunto, in questa sede e all'esterno, nei confronti dell'opinione pubblica e delle componenti economiche e sociali della nostra Regione sia mantenuto.
Forse i tempi sono stretti. L'Assessore ha detto che alla Giunta non interessa tanto l'urbanistica. Però io dico che l'urbanistica interessa al Consiglio, soprattutto interessa alla gente. Quindi anche se manca solo più un anno al termine della legislatura, credo che in questo anno ci sia la possibilità, se questa è la volontà di tutti i Gruppi di maggioranza e di opposizione, giacché non mi pare ci sia alcuno che intenda portare degli stravolgimenti rispetto all'attuale normativa almeno nei principi fondamentali, di realizzare e di attuare un programma, una nuova legge che dalla prossima legislatura, consenta di avere a disposizione degli amministratori, dell'opinione pubblica e delle componenti economiche e sociali della nostra Regione uno strumento urbanistico valido ed efficace.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Picco.



PICCO Giovanni

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, probabilmente nella successione delle alternanze non andava collocato subito questo mio intervento, ma, per ragioni personali, avevo chiesto al Presidente di lasciarmi questo spazio e ringrazio i colleghi.
Mi colloco ad integrazione di un ottimo intervento fatto dal collega Martinetti, il quale ha sostanzialmente ripreso i temi di carattere generale che motivano l'impegno a questo nostro dibattito e l'impegno politico che seguirà sia da parte dell'esecutivo, sia da parte dei Gruppi consiliari.
Esprimo anche io apprezzamento per la relazione che l'Assessore a suo tempo ci ha fornito e che stamani ha commentato, anche se poi rilever alcune carenze. Apprezzamento perché lo stato della situazione ereditata dall'attuale Assessore e datata giugno 1988 certifica un certo punto di riferimento, un traguardo che non può genericamente ascriversi a tutte le gestioni e ad ogni segmento di gestione. Mi pare che l'Assessore Genovese abbia fatto bene a presentarci a luglio questo rapporto. Oggi lo riprendiamo con delle connotazioni che non possono non manifestare alcune preoccupazioni ed è appunto per questo che siamo qui a impegnarci con questo dibattito per rivisitare alcuni dei motivi e delle ragioni che a suo tempo hanno caratterizzato il dibattito politico.
Fin dal dicembre 1977, in occasione dell'approvazione della legge n.
56, questo dibattito è stato caratterizzato da tempestive critiche di merito sul provvedimento da parte dei Gruppi di opposizione. Dico tempestive perché certamente le critiche in allora avevano un grosso contenuto di preveggenza di ciò che sarebbe successo e che in realtà è successo. Come Martinetti ha ricordato, un atteggiamento costruttivo in allora orientato soprattutto a dotare la nostra Regione di uno strumento che consentisse di avviare i processi di pianificazione, di consolidarli e di gestire i processi di trasformazione stessi; quindi un atteggiamento che, all'interno della critica, collocava una grande speranza per il periodo che si sarebbe aperto. In realtà questo periodo ha manifestato tutti i limiti e confermato le critiche che noi avevamo fatto nel 1977 e l'appuntamento del 1984 ha consentito di scontare tutta una serie di limiti della legge stessa per quanto riguardava i provvedimenti strettamente attinenti alla gestione, anche se l'appuntamento del 1984 non aveva ancora consentito, come ci consente oggi, una rivisitazione critica, tempistica dei contenuti sulla pianificazione a livello sovracomunale o comprensoriale.
Oggi, invece, l'aggravarsi dei fenomeni rilevati e dei ritardi che si sono accumulati deve purtroppo anche registrare il ritardo per quanto attiene alla redazione e all'approvazione dei piani comprensoriali; ritardo che si è ulteriormente complessizzato con il sopraggiungere della legge Galasso e di tutte le prescrizioni che hanno intrecciato processi normativi per quanto attiene alla salvaguardia e alla tutela dei beni ambientali e culturali.
Il collega Martinetti ha già detto e io lo riconfermo a nome del Gruppo, che il consuntivo di questi ritardi ci induce oggi ad una serie di impegni ai quali non possiamo più sottrarci, indipendentemente dalle attivazioni più o meno storicizzate o temporizzate che erano state ricordate dal Consigliere Majorino. Credo che sia l'impegno comune delle forze politiche, nella misura in cui si rileva l'esigenza di un nuovo testo legislativo, di confrontarsi su questi testi. Quindi il problema della variazione alla legge n. 56 rimane un traguardo. Non è che con queste affermazioni si venga qui a dire che siamo detentori di certezze e quindi di alternative su tutti i punti sui quali rivisitiamo criticamente i contenuti della legge, quindi deve essere ben chiaro che questo traguardo ci induce alla modestia di approccio sia culturale, sia strategico che richiede una materia di questo tipo.
Ciò detto, vi sono alcuni nodi sui quali ritengo di potermi inserire cercando di non ripetere quanto già ha detto benissimo il Consigliere Martinetti. Nodi che poi riassumerò nella parte finale del mio intervento ma che voglio far precedere da una serie di considerazioni che attengono da un lato le cosiddette invarianti alla gestione urbanistica regionale che sono state in parte ricordate dall'Assessore, ma che è opportuno che qui vengano riprese. Voglio far precedere queste considerazioni anche da alcuni nodi giuridici operativi che comunque permangono all'interno delle difficoltà nella concezione di un testo eventualmente alternativo all'attuale legge n. 56.
Per quanto attiene il problema delle varianti, è a tutti noto come le incertezze relative all'approvazione dei disegni di legge sulle deleghe abbia indotto la macchina regionale ad una oggettiva difficoltà. Devo darne atto alla Giunta e in particolare all'Assessorato, però non posso tacere come la Regione oggi si trovi fortemente handicappata e penalizzata nell'approccio e nella conoscenza del territorio per tutta una serie di componenti che, dai patrimoni naturali ai patrimoni acculturati fino alla conoscenza più generalizzata del territorio, vedasi produzione di cartografie, trova di fatto la struttura burocratica molte volte destrutturata, o come dire, penalizzata rispetto a strumenti conoscitivi della quale certamente potrebbe disporre.
Questa è una lacuna che deve essere colmata; già l'Assessore ha manifestato i primi approcci, i primi passi che si sono fatti per colmare carenze e ritardi del passato, però credo che sarebbe ingeneroso dire che tutto questo debba essere solo attribuito alle carenze di gestione politica. Vi sono indubbiamente anche dei ritardi che attengono complessivamente alla capacità da parte dell'istituto regionale di dotarsi di un'autonoma capacità di presenza e di approccio a questi problemi.
La seconda invariante riguarda il problema del decentramento strutturale e delle strutture di controllo e di istruttoria. Questo rimane un grossissimo problema che non credo possa necessariamente ancorarsi solo ai livelli delle deleghe e dell'articolazione istituzionale. Sono profondamente convinto che all'interno dell'organizzazione di ciascun Assessorato esistono possibilità di articolare e decentrare la struttura nella misura in cui questo lo si voglia e lo si persegua con un obiettivo reale. Ritengo che la conoscenza del territorio e le risposte che la comunità si attende, non possono prescindere da questa diffusa presenza attrezzata della struttura burocratica.
Vi è un problema che attiene alle procedure che debbono essere unificate relativamente ai cosiddetti contenuti autorizzativi, secondo una definizione di moda, che credo sia sufficientemente esaustiva e convincente, ed è il cosiddetto sportello unico autorizzativo. Ci troviamo oggi di fronte all'esigenza di dare risposte sul patrimonio naturale e culturale, sulle trasformazioni del territorio e/o edilizie che, vedi caso molte volte coincidono. Non possiamo pensare che il cittadino sia forzato a richiedere ripetitivamente per lo stesso oggetto autorizzativo riferito al territorio quattro autorizzazioni a quattro uffici diversi. Questa è un'esigenza che è inerente al decentramento, quindi all'attrezzatura delle strutture.
In ultimo, vorrei dire qualcosa circa la tempestività della presenza della Regione sugli aggiornamenti delle scelte dei processi in atto sui quali ritornerò quando parlerò dei piani settoriali. Credo ci sia l'esigenza di dotare la macchina regionale degli strumenti di riqualificazione di questa presenza, possibilmente cercando di non disperdere le energie a diaspora, ma concentrandole sulle finalità e sugli obiettivi sui quali il Piano di sviluppo evidenzia l'esigenza di porre a servizio strumenti conoscitivi aggiornati.
Chiudo questo capitolo fondamentale per riprendere invece il problema dei nodi giuridici operativi che rimangono come altra invariante rispetto alla quale dovremmo cercare, nel nuovo testo legislativo regionale, di dare delle risposte.
In primo luogo ricordo le acquisizioni di aree comunali come strategia di politica urbanistica. Questo è un problema che caratterizza la qualità degli strumenti urbanistici e dei piani. Non penso che si possa prescindere da una corretta pianificazione urbanistica se non esiste una corretta strategia di politica pubblica nei confronti delle trasformazioni del territorio. All'interno di questo problema, gli espropri e l'acquisizione delle aree, rimangono tematiche che hanno delle caratteristiche di patologicità, evidenziata sia pure da incertezze dal punto di vista della legislazione nazionale, ma che non può non essere preso a carico dalla nostra sensibilità e capacità di traduzione per quanto attiene agli indirizzi che si vogliono perseguire nella pianificazione urbanistica.
Quindi il problema del patrimonio di aree pubbliche rimane un problema di grande rilevanza.
In secondo luogo vi è il problema della disponibilità dei patrimoni insediativi da risanare e da riqualificare. In questo caso la disponibilità non sempre deve essere pubblica; a volte è temporanea per consentire le trasformazioni del patrimonio dei centri storici e delle aree produttive dismesse oppure dei cosiddetti contenitori pubblici che devono essere riqualificati al servizio.
Questa è un'esigenza che deve trovare riscontro all'interno dei meccanismi normativi propri di una legislazione regionale. Purtroppo siamo incappati in un'operatività che non ha dato effetti. Le trasformazioni delle aree dismesse sono avvenute senza l'art. 53 e se si deve procedere alle trasformazioni all'interno dei centri storici, si attivano strumenti di improvvisazione operativa legati più all'iniziativa delle singole amministrazioni che non a strumenti contemplati e appoggiati a qualche punto di riferimento preciso all'interno della legislazione regionale.
Non possiamo più sfuggire a questi appuntamenti. Possiamo ammettere consapevolmente che esistono limiti non superabili in termini di disponibilità della proprietà privata a livello nazionale, però sappiamo bene che nella misura in cui si voglia inserire un determinato ruolo della Regione o del Comune per risolvere efficacemente e tempestivamente questi problemi, gli strumenti si trovano. Per esempio, il piano tecnico operativo ha dato dei risultati discreti nella legge n. 56; è uno strumento che se trovasse possibilità di dilatazione e di applicazione in settori più pertinenti e più precisati, potrebbe consentire di avviare a soluzione il regime d'uso di aree pubbliche e private per il cosiddetto regime concessionario o di concessioni. Questo per realizzare infrastrutture sociali, infrastrutture tecniche, quali i parcheggi ed altre opere pubbliche.
La valorizzazione del patrimonio culturale è un altro nodo che finalmente ha trovato una prima risposta legislativa con il disegno di legge n. 233, che dovrebbe consentire lo sbocco di una situazione nella quale eravamo inceppati soprattutto nella equivoca interferenza tra processi e livelli di pianificazione finalizzati, cioè i livelli di pianificazione che attenevano o solo alle trasformazioni oppure solo alle tutele. Credo che con i piani paesistici, così come definiti nel disegno di legge n. 233, si sia trovato un punto di riferimento dove una serie di obiettivi (trasformazioni, valorizzazioni e tutela) potrebbe trovare un contemperamento. Mi auguro che la Regione Piemonte e in particolare l'Assessorato alla pianificazione urbanistica utilizzino questa opportunità al meglio e che i piani paesistici si facciano con le dimensioni necessarie ed opportune e siano efficaci a tutti gli effetti.
Dopo aver ricordato le invarianti e i nodi giuridici, riprendo alcuni degli argomenti che sono insiti nella dialettica propria delle critiche che abbiamo fatto più volte alla legge n. 56 e che spero troveranno in un nuovo testo legislativo alcuni sbocchi ed alcune soluzioni.
Primo punto: la strumentazione urbanistica a livello sovracomunale.
Questo argomento è già stato definito con molta pertinenza dal collega Martinetti; voglio comunque ricordare alcune cose molto precise, molto lapidarie, ma credo necessarie.
Gli strumenti di pianificazione regionale e subregionale sono di supporto per le scelte territoriali di programmazione socio-economica; la loro elaborazione deve seguire, per tempi e periodicità, le scelte e gli aggiornamenti del Piano di sviluppo. Solo il rigoroso rispetto di questo principio consentirà di portare immediatamente a regime tutto il nostro sistema. Altrimenti non capiremo mai nulla e continueremo a vivere nel regime di transitorietà della legge n. 56, continueremo ad aspettare che vi sia chissà quale serie di successioni di opportunità per aggiornare i piani, ecc. Mi pare che nell'altra legislatura ci siamo dati delle coordinate precise dal punto di vista delle scadenze per il Piano di sviluppo; queste scadenze devono essere seguite con tempestiva serietà in modo tale che ne possano conseguire, per quanto riguarda gli strumenti di pianificazione, le necessarie condizioni di aggiornamento; se così non fosse non potremo mai esigere che esista a livello della pianificazione comunale alcun riferimento di coerenza alla strumentazione sovracomunale se questa non ha un minimo di periodicità di aggiornamento.
Gli strumenti di pianificazione regionale e subregionale non inventano un nuovo assetto totalizzante di organizzazione delle compatibilità tra il territorio, gli insediamenti e le attività in atto, ma aggiornano le condizioni rispetto agli obiettivi che siano socialmente, politicamente ed economicamente perseguibili. Quindi questa condizione di aggiornamento richiama il concetto di tempestività. Se questa connessione non esiste ritengo che il pensare agli obiettivi onnicomprensivi nel tempo e nello spazio abbia già creato sufficienti equivoci.
Introduco ora una novità, Assessore Genovese. Voglio sapere che disponibilità c'è a rivedere questa dimensione degli strumenti dei piani territoriali comprensoriali. Sono convinto che a questo punto la sintesi regionale sia necessaria, ma che i livelli delle subaree regionali siano tutti da discutere. Sono per il ritorno alla dimensione comprensoriale perché la ritengo maggiormente capace di dare delle risposte comprensibili.
In ogni caso se la dimensione deve essere provinciale, si valuti all'interno delle situazioni complesse come può essere disarticolata perché non è detto che la provincia di Torino debba essere oggetto di un solo piano territoriale. Credo che comunque debba essere recuperata la dimensione d'area e di subarea regionale, che sia strategicamente rilevante alle finalità di un'organizzazione degli interventi o di programmazione degli investimenti. Ricordo come la Valle Bormida, la Valle d'Ossola e molte altre aree della nostra regione esigono risposte che non possono identificarsi solo con il piano a dimensione istituzionale. Quindi il superamento di una dimensione geografica per andare verso una direzione strategica potrebbe essere una novità che ormai si impone nei fatti. Non esistono più, quindi, le condizioni per trastullarci se una dimensione geografica debba essere ottimale rispetto ad un'altra.
Come secondo punto introduco la critica in ordine alla relazione dell'Assessore Genovese. Il problema che deve interessarci a riguardo del nuovo contenuto legislativo, è la qualità della pianificazione che produciamo. Non credo che si possano limitare i giudizi critici sulla qualità in termini di quantità di aree industriali insediative pubblico private e standard. Non penso che sia solo questo il concetto che deve caratterizzare la qualità della pianificazione; piuttosto la qualità della stessa deve ancorarsi anche ad altro; quindi sollecito che sotto questo profilo vi sia se non l'aggiornamento dei libroni gialli di Astengo (forse è un obiettivo un po' anacronistico, nel senso che comporterebbe una rivisitazione di ciò che è stato prodotto ed una selezione che non è facile effettuare, anche perché comporterebbe il comparare situazioni un po' disparate tra di loro) quanto meno una rivisitazione della qualità dei piani che punti soprattutto a verificare qual è la dimensione progettuale e previsionale che questi piani hanno rispetto alle esigenze e agli obiettivi che si propongono. Con una certa autocritica mi rendo conto che molti limiti della qualità dei piani dipendono dagli architetti e dai tecnici redattori, quindi non sempre questa qualità è imputabile solo alle non scelte; oggettivamente esiste una componente di capacità professionale che consente (come la maieutica) di favorire, di tirar fuori dalle scelte politiche ciò che è qualitativamente rilevante ai fini di una previsione di pianificazione.
La qualità dei piani deve essere analizzata come obiettivo. Per essere breve, consiglierei all'Assessore di fare un aggiornamento di questo stato della pianificazione in ordine a questo tema, perché esige, sia da parte dei Comuni, sia delle classi professionali e culturali, qualche punto di riferimento sul quale ci si possa confrontare. Sia nella pratica politica come nella pratica professionale, ci si imbatte troppe volte di fronte a due grossi ostacoli: da un lato una concezione eccessivamente garantista e giuridica degli strumenti di pianificazione che riduce gli spazi di discrezionalità gestionale (questo potrebbe essere un aspetto positivo) dall'altro però limita le prospettive di scelte politiche adeguate, alle insorgenti necessità di ordine sociale e politico che devono essere affrontate. Su questo argomento dobbiamo cercare di capire in che misura lo strumento urbanistico possa avere un corpo normativo che non rappresenti l'unico vero oggetto sul quale ci si cimenta; ammettere quindi la possibilità di alzare i tetti, di riempire i fienili e di fare autorimesse ovunque; infatti è questo che finisce per essere all'attenzione degli amministratori.
Un piano, invece, deve contenere un inquadramento progettuale complessivo che consenta, in termini di infrastrutture, di servizio e di acquisizione di patrimoni comunali, di realizzare questa politica e consenta di proiettarla verso traguardi che non sono sempre rapportabili unicamente con il momento normativo e con il momento gestionale.
Soprattutto nelle grandi agglomerazioni, è necessario capire che previsioni di un certo tipo non devono essere sempre e comunque intese come operativamente cogenti, ma possono essere previsioni programmatiche e di indirizzo. Ad esempio, occorre far sì che la produzione di documenti non sia soltanto quella che prevede la legge n. 56, ma sia di un livello tale da dare spazio alle giuste preoccupazioni di adattabilità acconsentendo certe trasformazioni e producendo documenti più specificatamente orientati alla gestione operativa. Questo consentirebbe di togliersi dall'impoverimento delle attenzioni che le Amministrazioni comunali pongono a questo problema e di collocare anche la qualità stessa dei piani in una prospettiva diversa.
L'altra considerazione è in ordine al problema dei tempi e della modalità di redazione dei Piani regolatori. Dalla relazione dovremmo dare la colpa a tutti i Comuni perché i tempi di maggior rilevanza in termini di ritardi sono questi. Nessuno li vuole negare. Questi ritardi esistono per una serie di ragioni che probabilmente dipendono anche dal fatalismo di certi eventi, dal fatto che le maggioranze non riescono a ricomporsi o da scelte che non riescono ad essere effettuate. Dipendono però anche dall'accettazione di una condizione che non fa più paura a nessuno; il potere istitutivo delle Regioni non esiste, conseguenze immediate e palesi sulle inadempienze non ve ne sono. Nessuno si fa più carico della responsabilità di portare un Piano regolatore prima delle elezioni o dopo le elezioni, sei mesi prima o sei mesi dopo, non pensando che invece questi ritardi hanno un'effettiva incidenza, al di là delle garanzie che si devono da dare ai cittadini, anche in termini di risposte politiche.
Sul problema dei ritardi registriamo quelli che i Comuni accumulano e chiediamoci però in che misura la Regione ne è responsabile stabilendo così la vera ragione di analisi.
Su altre questioni che attengono alla natura e al carattere delle trasformazioni, il collega Martinetti ha già esposto le posizioni che il nostro Gruppo intende seguire anche con riferimento agli indirizzi che la Commissione nazionale di studio sulle leggi urbanistiche nazionali ha ripreso.
In conclusione voglio ricordare come esista l'esigenza di annotare alcune componenti di queste trasformazioni perché probabilmente su queste sarà opportuno rivisitare tutta la normativa relativa ai tipi di interventi e alle destinazioni d'uso. Secondo me questi grossi punti riguardano: il mercato e la domanda delle abitazioni il problema della dinamica di trasformazione delle attività produttive il problema della razionalizzazione delle strutture e delle infrastrutture, che non è solo la megalomania del cemento e del volere comunque riempire di inutili opere pubbliche il territorio, ma è l'esigenza di dare delle riposte tecniche in ordine ad un processo di affinamento delle esigenze di mobilità oppure di razionalizzazione dei servizi (vedi depuratori e inceneritori) che lo richiedono perché la condizione dell'aggiornamento tecnologico è quella del continuo aggiornamento la qualità di vita che è l'argomento sul quale il Consigliere Pezzana ha voluto riprendere polemicamente le dichiarazioni dell'Assessore sul quale invece ritengo che ci sarebbero molte considerazioni da fare in ordine non tanto alla macrourbanistica, ma alla microurbanistica che mi auguro, a ricaduta rispetto agli strumenti generali, possa trovare delle risposte.
A questo proposito, ricordo come sarebbe opportuno che i Comuni fossero maggiormente obbligati al ricorso dello strumento attuativo o dello strumento esecutivo e non a gestire il piano solo con i Piani regolatori generali. Tra l'altro, questo strumento attuativo è di loro competenza e quindi consentirebbe loro un rapporto di garanzie, di pubblicità e di qualità progettuale che finora, purtroppo, solamente ancorato alle previsioni dei Piani regolatori dà risultati abbastanza deludenti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rossa.



ROSSA Angelo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, a nome del Gruppo e mio voglio esprimere la valutazione positiva sulla relazione a suo tempo presentata e ripresa questa mattina dall'Assessore Genovese su questo arco di tempo di dieci anni di attuazione della legge urbanistica n. 56.
Concordo con l'Assessore Genovese quando, rispondendo ad una osservazione del collega Majorino, ha precisato che si trattava di una valutazione dell'attuazione della legge; vi sarà una parte successiva che riguarderà la normativa e la ridefinizione di tutta una serie di interventi alla luce degli aspetti che abbiamo verificato durante questi dieci anni.
E' difficile stabilire se occorrevano dieci anni o meno. Probabilmente visti i limiti che abbiamo riscontrato in questi anni, si sarebbe potuto realizzare il lavoro svolto sin qui in tempi più stretti. Ma di questo parleremo dopo.
Intanto vorrei dare una valutazione positiva di quella che è stata una felice intuizione di carattere culturale sfociata in una organizzazione normativa che è stata introdotta nella comunità piemontese con la legge n.
56/77. Nel dare questa valutazione mi richiamo a quanto avevo detto dopo essermi occupato direttamente di questa materia per un certo periodo di tempo nel Comprensorio di Alessandria. Si avvertiva sempre più la necessità di una risposta ad una politica urbanistica non controllata, disinvolta che ha provocato gli squassi degli anni '60; una politica urbanistica che non aveva una normativa in grado di regolare lo sviluppo di carattere industriale che è avvenuto negli anni del boom. Era quindi necessario porre un freno e regolamentare quella situazione. Così, nel definire questa nuova normativa, forse si è andati più in là di quanto fosse necessario.
La legge n. 56 aveva sicuramente alcuni difetti fondamentali: per esempio, non distingueva la grande città dal piccolo Comune.
Da questo punto di vista dieci anni sono stati sufficienti o meno? L'opera di regolamentazione nuova poteva avere luogo in un arco di tempo inferiore? Le difficoltà sono riconducibili a diversi momenti, che sono stati anche pesanti: dal progetto preliminare alla dichiarazione programmatica all'adozione del PRG. Forse alcuni momenti potevano o potranno essere riassunti quando presenteremo delle altre proposte e da parte nostra come Gruppo socialista lo faremo; altri Gruppi lo hanno già fatto. Si tratta di valutare il tipo di alleggerimento normativo che è possibile realizzare. Ci sono anche studi professionali e figure professionali che si occupano di questo settore che, per molteplici impegni, per un carattere anche di controllo estensivo sull'attività urbanistica, forse non sono completamente estranei alla pesantezza delle norme e ai ritardi.
Non sono estranei a questi ritardi l'organizzazione e la gestione degli uffici dell'urbanistica e i funzionari competenti. Già all'inizio degli anni '80 avevamo avvertito questi ritardi e queste pesantezze. Ci nonostante la maggior parte dei 1.209 Comuni piemontesi si è dotata di strumenti urbanistici. Mi sembra di poter dire che i risultati conseguiti siano estremamente importanti soprattutto se li rapportiamo ad una situazione preesistente alla legge n. 56 quando esisteva una specie di non urbanistica o di urbanistica selvaggia. Le procedure dovranno essere snellite e le funzioni ridefinite.
Per quanto riguarda i piani, ci si domanda come mai i piani intercomunali hanno faticato nel muovere i propri passi. L'Assessore Genovese conosce meglio di me la situazione generale, io conosco quella alessandrina, ma da quanto mi consta esistono altri piani intercomunali che, per una serie di ragioni, non sono ancora arrivati in porto; ci sono stati addirittura dei Comuni che hanno deciso di staccarsi dal Comune capofila. La proposta di piani intercomunali, che era una proposta valida non ha fatto molti passi in avanti nonostante vi sia stato il concorso finanziario della Regione alle spese.
Oltre la necessità di rivedere tutti gli aspetti che hanno rappresentato i limiti di una legge che comunque ha dato basi di fondo dal punto di vista della pianificazione, sono dell'idea che la Regione debba svolgere un ruolo di più incisiva assistenza, indirizzo e orientamento. Si dovrà affrontare il problema del referente per stabilire se dovrà essere la Provincia alla quale delegare le funzioni, quindi anche quelle dei Comitati urbanistici, oppure se si dovrà affrontare il discorso del decentramento con una direzione unitaria regionale. Credo che se riconosceremo alla Provincia il livello di governo autonomo dell'area territoriale, dovremo anche riconoscerle questo ruolo. E' necessario affrontare un discorso nuovo sulla riorganizzazione degli uffici, sul decentramento.
Decentramento o delega? Se da una parte esiste l'esigenza di una direzione unitaria regionale, dall'altra è anche necessario riconoscere un certo ruolo alle Province. Le quali però non hanno una esperienza urbanistica.



MARCHINI Sergio

Finalmente c'è qualcuno che lo dice!



ROSSA Angelo

Lo dico perché è vero.



MARCHINI Sergio

Non hanno esperienza neanche di territorio.



ROSSA Angelo

In materia di territorio hanno già più esperienza che in materia urbanistica.



MARCHINI Sergio

Sulla base di quale competenza?



ROSSA Angelo

Sulla base delle competenze che le Province hanno ritenuto di darsi sul piano territoriale.



MARCHINI Sergio

Sto chiedendo: sulla base di quale legge dello Stato?



ROSSA Angelo

Pur non avendo strumenti legislativi a disposizione, nulla ha impedito alle Province di occuparsi del territorio, mentre invece non hanno alcuna esperienza urbanistica. Lo dico anche ad un collega come Piero Genovese che pure lui è stato in Provincia. Come si approcciano le Province a queste cose? E' una domanda che dovrà far parte del discorso di riorganizzazione e di rilancio di questi enti territoriali. Sono d'accordo con le considerazioni finali dell'Assessore Genovese sul cambiamento della dimensione culturale e politica per la quale abbiamo lavorato in questi anni. E' cambiata la connotazione dello sviluppo; occorrerà adeguare la normativa legislativa alla maggiore flessibilità che viene richiesta per i progetti, senza però perdere di vista la programmazione che è comunque fondamentale.



PRESIDENTE

Signori Consiglieri, si conclude la prima parte dei lavori del Consiglio.
La seduta è sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 13,15 riprende alle ore 15,10)



PRESIDENTE

La seduta riprende.
Proseguiamo il dibattito sulla pianificazione urbanistica.
E' iscritto a parlare il Consigliere Chiezzi. Ne ha facoltà.



CHIEZZI Giuseppe

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la relazione svolta dall'Assessore Genovese e il documento sullo stato della pianificazione urbanistica comunale non hanno proposto una politica, ma hanno cercato di capire se esisteva uno spazio per una politica e di che tipo. Da questa impostazione deriva l'andamento del dibattito che ha visto da un lato delle dichiarazioni di disaccordo con la relazione, accusata di scarsa chiarezza dall'altro alcuni interventi hanno dichiarato cosa bisognerà fare.
Deriva dal tono e dai contenuti della dichiarazione dell'Assessore Genovese il fatto che il dibattito si è svolto su queste due falsarighe: "non capisco la proposta" oppure (Gruppo DC soprattutto) "bisogna proporre questa politica". In realtà, l'Assessore Genovese non ha espresso esplicitamente una politica, ha lanciato però qualche sassolino e ha lasciato la mano a mezz'aria per vedere cosa succedeva, per capire dove poi riporla e quale sasso tirare fuori dopo. Alcuni dei sassolini li condivido.
L'Assessore Genovese ha parlato in modo un po' critico, ha provato a dire qualcosa per vedere come gli si rispondeva. In forma implicita ha detto che la legge n. 56 non è stata una brutta legge, osservando il fatto che ormai più di mille Comuni hanno adottato un Piano regolatore anche se non ha aggiunto la considerazione che questa legge un beneficio al Piemonte lo ha prodotto; questo concetto è una conseguenza della prima osservazione.
L'Assessore Genovese salva uno dei punti fondamentali di questa legge i due livelli di pianificazione, quello territoriale e quello locale. Ne riafferma la necessità e questo è un altro punto fuori discussione, come dice l'Assessore Genovese. Invece è talmente in discussione che l'Assessore critica il fatto che mentre la pianificazione comunale è andata avanti perché i Comuni hanno approvato i piani, la pianificazione territoriale ahimè, non ha proceduto e questo impedisce lo sviluppo dell'altra potenzialità della legge n. 56, quella di passare dalla prima fase di Piani regolatori difensivi (che dovevano riportare sul territorio elementi di qualità sottratti dallo sviluppo caotico) alla seconda fase di Piani regolatori redatti sulla base di indicazioni di sviluppo territoriale sia pure qualitativo.
In questo modo svolge anche una critica all'interno della Giunta.
L'Assessore Genovese siede sui banchi di una Giunta da tre anni e questo è un'implicita critica e autocritica a un modo di procedere.
L'Assessore Genovese dà anche un giudizio sul passato e critica lo sviluppo spontaneo guidato soprattutto dagli interessi più forti, quello che aveva caratterizzato lo sviluppo delle città prima dell'approvazione della legge n. 56, quindi conferma un giudizio politico, non univoco; pu essere non condiviso, lo riafferma e noi siamo d'accordo con queste affermazioni. Critica lentezze e ritardi che hanno fatto sì che questa legge procedesse molto male sul suo cammino pratico, critiche e lentezze che implicitamente sarebbe anche difficile addebitare unicamente all'Assessore, che ha questa delega non da tre anni, perché prima di lui sedeva qualcun altro nell'Assessorato; queste critiche devono essere ripartite in quota parte a Genovese e a chi l'ha preceduto. Come mai allora i regolamenti edilizi non sono stati esaminati, gli oneri di urbanizzazione non sono stati aggiornati, non sono stati dati i sostegni ai Comuni e nemmeno agli uffici decentrati, gli aiuti per i finanziamenti sono stati scarsi?



GENOVESE Piero Arturo, Assessore all'urbanistica

Può essere attribuito anche a più Giunte.



CHIEZZI Giuseppe

Questo lo dice lei, Assessore Genovese.
Dovete rendervi conto, amici della maggioranza e amici Assessori, che questa frase non potete ripeterla troppo a lungo. In tre anni si possono costruire uffici efficienti e dopo tre anni l'opposizione la polemica la fa a tutto campo. Possiamo anche dire di aver già pagato, ora dovete pagare voi. C'è stata una nostra insufficienza, ma le insufficienze ora sono di qualcun altro che non può più difendersi dicendo che anche noi a nostro tempo avevamo avuto queste carenze. Abbiamo fatto male ad averle noi, ma oggi è compito dell'opposizione rilevare che nella scena politica ed amministrativa la carenza è assolutamente intollerabile, quindi va decisamente contrastata.
Questo è lo scenario all'interno del quale si è sviluppato un dibattito che tendeva a portarci sulle nuvole. I discorsi che abbiamo sentito sulla legge n. 56 e sulla sua revisione che senso hanno quando non più di una settimana fa la nostra proposta di adeguare la legge n. 56, per le questioni ambientali previste dalla legge Galasso, ci è stata rifiutata? Scorrendo gli atti regionali ho rilevato che, quando avete discusso la legge n. 56, la DC ha presentato 230 emendamenti, 93 o 95 dei quali sono stati accettati. Di quella discussione ho letto in tanti interventi che in effetti uno spazio per l'opposizione c'era stato, tanti emendamenti erano stati ritirati perché nel contenuto della legge si era ottenuto qualcosa.
Non possiamo oggi dire altrettanto, visti i nostri due o tre emendamenti accettati, sulla cinquantina presentati! Abbiamo trovato chiusura su questo, avete scelto un'altra strada, ci mettete in un angolo, poi la settimana successiva venite qui ad agitare le grandi bandiere di una bella legge che finalmente risolve tutti i problemi del territorio.
La legge n. 56 è come un bell'edificio, una grande casa modernissima piena di elementi di razionalità, nella quale tutte le componenti della progettazione corrispondono ad una logica, piena di attrezzature, la casa telematica, tecnologica, con tutti gli strumenti per poter parlare con il mondo, i video, i telefoni più sofisticati, le attrezzature di rubinetteria migliori che ci siano, le più belle coibentazioni. Abbiamo questa casa bellissima, perfetta, aggiornata e razionale, ebbene, che cosa facciamo? Quando la costruiamo ci dimentichiamo di allacciarla ai pubblici servizi o facciamo degli allacciamenti che non sono congrui alle esigenze dell'abitazione. L'attacco delle fogne lo facciamo troppo piccolo, il contatore della luce non regge il carico di tutti gli alloggi, per cui abitando questa casa, non appena in cinque o sei inquilini accendono la luce o fanno funzionare i video, salta l'interruttore; quando apriamo i rubinetti dei lavandini l'acqua per un po' scorre, poi tracima dai lavandini. In sostanza in questa casa ci si abita male e si finisce che invece di criticare le insufficienze degli allacciamenti ai pubblici servizi, viene comodo dire che quella casa non funziona e che è brutta. Mi sembra che una parte delle critiche che si svolgono sulla legge n. 56 non tengano d'occhio questi elementi.
Cosa si critica della legge n. 56? E' una legge che ha introdotto pochi principi, ma molto chiari. Il primo è quello della responsabilità politica: le prime scelte di piano non sono tecniche ma politiche, quindi occorre ricondurle alla responsabilità politica. Vogliamo contestare questo? Penso assolutamente di no. E' l'avvio del Piano regolatore con l'adozione della delibera programmatica.
Un secondo principio afferma che per compiere delle previsioni in sede urbanistica bisogna conoscere la realtà, non solo analiticamente, ma anche criticamente. I Piani regolatori devono fondarsi su un'analisi di base dei problemi del territorio, della morfologia, degli input economici e via dicendo. Quindi conoscenza e analisi prima di decidere. Vogliamo mettere in discussione questo? La legge prevede che questi percorsi urbanistici siano pubblici, con la partecipazione diretta dei cittadini, a differenza della legislazione precedente che era fondata sui programmi di fabbricazione che venivano elaborati solo dalla Giunta; i Piani regolatori devono essere pubblicati, i cittadini devono conoscerli e possono proporre delle modifiche che vanno discusse pubblicamente. Vogliamo mettere in discussione questo? La legge prevede un nesso preciso tra livelli di pianificazione e ne sceglie due: uno a livello territoriale e uno a livello locale. Mi sembra che anche questa sia una scelta che corrisponde a razionalità.
Questa legge, secondo me, deve pure essere aggiornata, perché sono intercorsi dei fatti nuovi. La critica da svolgere però è sulle novità che sono state introdotte sia dalla legislazione, sia dall'esperienza; la Giunta di sinistra è stata la prima a introdurre delle modificazioni della legge n. 56. Ogni edificio, per quanto bello, può essere sempre migliorato cambiano anche usi ed esigenze. Mi pare che la parte più consistente delle critiche debba essere rivolta a valle, sul cattivo funzionamento di questa legge. In questo documento ci sono delle luci che noi vogliamo rimarcare non so però che spazio avranno queste luci per irraggiare la scena amministrativa di questa Giunta; dagli interventi che ho sentito forse questo spazio non è molto. Si può avanzare qualche dubbio sulla possibilità di gestire degli spazi politici in una situazione di grande debolezza politica di questa Giunta, che politica non ne esprime; così chi vuole esprimerla fa dei tentativi, lancia dei ballon d'essai.
Ho enumerato gli elementi positivi ma ne esistono anche di negativi in questa relazione che vanno ricondotti ad un'attività della Giunta.
L'Assessore Genovese tende a proporli come se li guardasse dall'esterno. La realtà invece è che lui o la sua Giunta è responsabile eccome! Quindi senza fare polemiche, il ruolo di sostegno ai Comuni per i Piani regolatori intercomunali è molto debole e non si capisce bene che fine faccia. Ci sono Comuni che non hanno adottato la deliberazione programmatica, e altri nemmeno l'incarico, per fare il Piano regolatore. L'Assessore Genovese il 18 settembre 1984 affermava che se qualche Comune non avesse ancora, dopo sette anni dall'approvazione della legge n. 56, approvato la deliberazione programmatica, avrebbe dovuto essere sostituito. Ripropongo ora quella affermazione a dieci anni dalla legge n. 56. Nella relazione, l'Assessore dice che per i Comuni che ancora non hanno approvato la deliberazione è necessario capirne il perché. Tre anni fa diceva che i Comuni inadempienti dovevano essere sostituiti dalla Regione; dieci anni dopo io chiedo perch non è stato fatto. Ci sono quattordici Comuni che non hanno mosso un dito si cominci da questi. Sarebbe il segnale che la Regione ha una legge che deve essere rispettata.
Altro elemento negativo sono questi tre anni e mezzo per approvare i piani da parte della Regione. Tre anni e mezzo sono troppi; è necessario prendere delle decisioni di vario tipo, di potenziamento delle strutture bisogna che questi tempi vengano ridotti drasticamente; è possibile farlo.
Queste lentezze non possono essere addebitate ai Comuni, sono lentezze della Regione che devono essere assolutamente superate. Un modo è l'approvazione della nuova legge sul CUR; esistono già due proposte di legge. Il nostro Gruppo propone che vengano entrambe ridiscusse in aula non appena il Regolamento lo consenta. Confrontiamoci anche in aula, ma non temporeggiamo più sulla riforma del CUR e sul potenziamento degli uffici regionali. La Giunta deve prendere dei provvedimenti.
Per quanto riguarda i contenuti dei piani, l'Assessore Genovese ha annunciato un rapporto definitivo sullo stato della pianificazione. Un altro elemento di incertezza nella discussione è che stiamo discutendo un documento nel quale è scritto che in autunno sarebbe stata presentata una relazione sullo stato definitivo. Il documento è del mese di luglio, la discussione vera dovremmo farla sullo stato definitivo, ma l'autunno sta per finire. Ci sono però considerazioni provvisorie sui contenuti dei piani alle quali non vorrei dare grossa rilevanza, perché avete considerato solo un campione rappresentativo. Mi sembra che una realtà così diversa e multiforme come è il Piemonte richieda un'analisi puntuale caso per caso.
Devo però dire che, anche dai numeri che vengono forniti, si riscontrano degli elementi di qualità introdotti dalla legge n. 56. E' difficile dire che l'incremento del 208% di aree destinate ai servizi pubblici non sia un elemento di qualità; lo è la quantità che è il supporto di ogni discorso di qualità. Infatti senza quantità le qualità non esistono. E quando le quantità diventano troppo piccole, parlare di qualità significa forse anche prendere in giro la gente. E' come se a chi ha bisogno di 3.000 calorie al giorno per vivere si desse solo un cucchiaino di brodo con la motivazione che però è brodo di gran qualità. Questo è quindi l'elemento positivo.
L'elemento negativo qual è? Di tutti questi Piani regolatori solo il 15% viene approvato d'ufficio.
E' un po' poco. E' ben strano che si sprechino voti per l'autonomia dei Comuni quando si tratta di scaricargli i problemi che noi non sappiamo risolvere, e poi contemporaneamente si dica che solamente 15 su 100 Comuni sono in grado di fare dei Piani regolatori in rispetto delle leggi. C'è qualcosa che non funziona: il 15% di piani corretti è troppo poco dovrebbero essere più della metà e i due terzi degli stessi devono essere approvati senza modifiche. I Piani regolatori sono deliberati dai Consigli comunali e mi sembra strano che la Regione ne rimandi il 75% circa.
Altri elementi negativi sono relativi ai regolamenti edilizi dove siamo veramente fermi. Anche le valutazioni politiche di prospettiva sono rimaste un po' sul vago, con dichiarazioni che vogliono far quadrare il cerchio quando invece il cerchio non è ancora stato quadrato e non è quadrato nemmeno il cerchio della compatibilità tra sviluppo e tutela ambientale tra promozione degli interessi privati e tutela degli interessi collettivi sono questioni che non si risolvono con una battuta.
Si discuterà il rapporto sullo stato della pianificazione urbanistica? Pongo un'altra domanda: se la circolare per le procedure annunciata per settembre è pronta e se non è pronta quali previsioni ci sono? A riguardo delle tabelle parametriche, l'aggiornamento degli oneri di urbanizzazione l'Assessore Calsolaro nel 1984 aveva detto in Consiglio regionale che era già quasi tutto pronto. Nella relazione ora vedo che si prevede una Commissione. Il lavoro svolto allora dall'Assessore Calsolaro era molto dettagliato, infatti se si leggono i verbali dell'epoca i criteri erano stati già definiti; adesso non se ne parla più, chiedo notizie.
Sulla cartografia, Assessore Genovese, noi le abbiamo dato una mano quando se la merita, è quando non se la merita che non gliela diamo. Ci è sembrato lodevole che dopo anni di buio e di disattenzione un Assessore decidesse, sia pure in modo che poteva essere criticato più di quanto abbiamo fatto, di fare finalmente una cartografia (che poi fosse in scala 1:10.000 ed anche ortofotografica ci siamo passati sopra). Abbiamo discusso e criticato poco nell'interesse della Regione e di tutti i cittadini questo nostro atteggiamento però era subordinato alla celerità degli atti e uno di questi atti, in base ai quali abbiamo svolto un'opposizione che si è fatta molto carico dei problemi di governo, era quello che prevedeva la partenza di voli per effettuare le fotografie aeree del territorio. Sono partiti questi voli? Gli appalti sono stati fatti? Ci auguriamo di sì perché altrimenti si incrinerebbe quel rapporto di fiducia che l'opposizione ha avuto nei confronti dell'Assessore. La cosa importante era fare la cartografia il più presto possibile e di avviarla finalmente contrariamente saremmo indotti a ragionamenti di sfiducia che non vorremmo fare. La legge n. 56 ha un impianto serio che va mantenuto, corrispondeva a un pensiero e a una politica forti che facevano i conti con il territorio ha creato una coscienza nuova. Certo queste politiche forti corrispondevano a una situazione nazionale parecchio diversa dall'attuale. Pensiamo solo che uno degli input della legge n. 56 era quello che finalmente pareva che tra diritto di proprietà e diritto di edificare si fosse effettuata una separazione. Questo portava a dire che finalmente la gestione del territorio poteva avvenire non solo in funzione delle scelte degli interessi in attesa di percepire rendite parassitarie. Oggi la situazione è molto cambiata: sul regime dei suoli siamo senza regole, il diritto di proprietà e il diritto di edificare si confondono; siamo in una situazione molto diversa che esigerebbe la definizione di una seria politica nazionale ed un ruolo attivo della Regione.
Un ulteriore elemento negativo di questa relazione è quello relativo al giudizio su Torino. Infatti sono più di mille i Comuni che hanno predisposto i piani, ma Torino di piano regolatore non ne ha. Che giudizio dare su questo? Nel documento è presente un peccato di omissione. Si dice che ci sono realtà difficili, complesse, che è un gran problema. Tenterei invece di dire qualcosa su questo fatto che non può essere sottaciuto.
Prima di tutto nel 1980 Torino aveva un Piano regolatore; era il progetto preliminare adottato nell'aprile del 1980. Lo dico non per vanteria, per sottintendere che noi ci eravamo quasi riusciti e via dicendo, ma perché, anche per il caso di Torino, non è vero che la legge n.
56 abbia prodotto niente. Aver predisposto il progetto preliminare vuol dire essere veramente ad un passo dal Piano regolatore. Come mai le Giunte di sinistra sono arrivate a compiere questo passo? Perché è entrato in crisi un accordo sui contenuti del Piano regolatore; cominciavano allora anche in funzione delle sentenze della Corte Costituzionale, a prendere peso interessi di tipo parassitario che erano stati sconfitti dalla legge n. 10 e che tornavano ad essere in attesa di mutamenti a loro favorevoli.
Questo ha provocato un impasse di un paio d'anni; c'è stata poi la vicenda dello scandalo delle tangenti e dopo quel periodo nella città di Torino fino alla Giunta dei 100 giorni, si è svolta dell'ordinaria amministrazione. Non si poteva pensare che il Partito comunista da solo portasse a termine un progetto, quando una coalizione di socialisti e di comunisti non era stata in grado di farlo. La legge n. 56 aveva permesso di arrivare ad un progetto preliminare; adesso in quale situazione siamo? Nella situazione che a Torino il pentapartito non è stato in grado di proporre una politica diversa, perché non ha assunto neppure il primo atto di responsabilità politica costituito dal dichiarare cosa si vuole fare, la delibera programmatica di impostazione generale, con la quale un'Amministrazione responsabile afferma gli obiettivi che vuole raggiungere. Non è stato fatto ed è grave. E perché non è stato fatto? Forse ci saranno anche delle difformità di giudizio su questo all'interno della coalizione di pentapartito. Evidentemente non esiste una politica non si è in grado di esprimerla.
Mi pare che, in questa città, chi sia in grado di esprimere una politica siano la FIAT e il Collegio Costruttori, due soggetti che operano la politica, la esprimono e la fanno anche capire. Quella che manca è una politica che venga affermata dal soggetto che dovrebbe, in questo nostro sistema democratico, essere il responsabile della definizione di una politica.
Torino è senza Piano regolatore. A Torino cosa succede, è tutto fermo? A me non pare. Chi si preoccupa che a Torino rimanga tutto fermo perché non esiste un Piano regolatore, in realtà, o non ha capito niente oppure detto questo si volta e fa una grande risata. A Torino, in assenza della delibera programmatica, avvengono le trasformazioni più spericolate e legate agli interessi più precisi e settoriali (la FIAT) o a vecchi interessi, che una volta mettevano in moto la società - non so quanto la rimettano in moto adesso - che sono quelli legati alle aspettative fondiarie, di valorizzazione dei suoli, di incameramento delle rendite.
E' sotto gli occhi di tutti che a Torino sta prendendo avvio l'operazione Lingotto. Se non è questa una parte del Piano regolatore allora non capisco più cosa sia il Piano regolatore. La Giunta comunale approva una modifica del quadruplicamento ferroviario che, a parte i costi e i tempi di dilazione dell'esecuzione di questo intervento, prevede una gigantesca lottizzazione di 1.300.000 mq sui quali costruire 2 mc su mq: sono 2.600.000 mc sull'asta ferroviaria, 26.000 stanze. Ce ne sarà bisogno? Come saranno utilizzate? Queste gigantesche operazioni di trasformazione immobiliare del suolo corrispondono ai bisogni di Torino? Riprendo un accenno dell'Assessore Genovese, forse non a caso, o forse a caso. Nella sua conclusione diceva che la Torino di oggi necessita di cose nuove, le reti telematiche, le nuove tecnologie, i sistemi raffinati per la qualità della vita; diceva che gli elementi quantitativi di sviluppo forse non sono gli elementi del domani o di un domani che sarebbe però già vecchio o interesse di pochi. Allora mi chiedo: di fronte alle decisioni del pentapartito torinese di cementificare nuovamente Torino, ed anche un po' a casaccio, cosa si dice? Queste decisioni, in effetti, non sono il Piano regolatore di Torino? Ad esempio, la variante 31 ter è il nuovo Piano regolatore di Torino! Una volta che è fatta l'operazione del Lingotto, l'edilizia giudiziaria, lo Stadio, il quadruplicamento in asse e la Venchi Unica, una volta che viene approvata la variante 31 ter, che bisogno c'è di fare un Piano regolatore a Torino? Vedete allora che il discorso sul Piano regolatore a Torino è un discorso che deve avere dietro di sé la volontà di far emergere una politica, da parte del soggetto pubblico. Esprimere una politica significa dire dei "sì" e dire dei "no". Se non è così, i discorsi che si sentono fare sulla necessità di una legge 56 moderna flessibile, funzionale, sono superflui. La realtà si è incaricata, in presenza di pressioni e interessi economici, di fare in modo che "legge 56 o non legge 56" gli interessi dei gruppi forti vengano risolti; il Piano regolatore a questo punto è fatto.
Questa variante 31 ter, che è stata propagandata molto bene, non risolve i problemi che dice di risolvere. E' una variante molto grossolana culturalmente è impresentabile, tecnicamente è improponibile; è una variante che è stata presentata all'esame del CUR da una relazione svolta da due funzionari; una relazione professionalmente seria che dimostra come all'interno del settore pubblico ci siano forze e competenze serie, che non si lasciano intimidire. Cosa prevede questa variante 31 ter? Innanzitutto non risolverà il problema dei parcheggi, perché per una città questo problema non si pone in termini di trovare qualche soggetto disponibile ad impiegare dei soldi ricavandone un profitto sufficiente. Un interesse di questo genere è incongruo rispetto alle esigenze della città.
I parcheggi vanno costruiti dove servono e non in un luogo qualunque non dove servono a chi deve valorizzare il proprio terreno perché può darsi che quel parcheggio provochi più danni che benefici! Il problema dei parcheggi va affrontato con un piano del traffico, occorre sapere dove i cittadini è opportuno che lascino le macchine e "lì" costruire il parcheggio e con questo coordino le linee di trasporto pubblico veloce per i cittadini. Ma i parcheggi, come dice la variante 31 ter, nascono dove si vuole!



FERRARA Franco

Esiste un piano dei parcheggi a Torino.



CHIEZZI Giuseppe

No, il piano dei parcheggi non esiste! In Consiglio comunale non è mai stato discusso. E' un'altra di quelle chimere che si agitano. Non c'è mai stato un atto del Consiglio comunale che dica che esiste un piano dei parcheggi. Tale piano deve essere legato a un piano dei trasporti! La bozza della delibera programmatica era pronta un anno fa; siamo ancora qui ad aspettarla! Mentre la variante 31 ter è una decisione già presa. A quelle persone, se sono in buona fede, che pensano che la variante 31 ter affronti il problema dei parcheggi dico di stare attenti, di andare ad esaminarla questa variante 31 ter; non è vero che risolve il problema dei parcheggi.
Sapete che con la variante 31 ter si ricomincerà a costruire a casaccio in collina? Sapete che sarà una variante che permetterà di utilizzare, così come è stata approvata dal Comune di Torino, per qualsiasi scopo, qualsiasi edificio ubicato in qualsiasi zona della collina torinese? Povera legge 56 quando affermava che nel Piemonte ricco di valori, questi erano e sono costituiti anche dai fabbricati rurali che non sono come quelli toscani o quelli veneti, però vanno valorizzati. Ci sono dei valori da salvaguardare in collina, sia pure forse minori; è necessario verificare come sono posti rispetto ai luoghi, infatti sappiamo tutti quale organismo delicato sia la collina torinese dal punto di vista della morfologia, della geologia, come sia fragile e delicata. Sappiamo come nel corso dei secoli si sia costruito in funzione di attività e in sintonia con l'ambiente.
Che senso ha nel 1988 proporre una variante che afferma che tutti i fabbricati esistenti in collina vengano ristrutturati. Magari abbattendoli completamente e ricostruiti, per farne cosa? Quello che si vorrà. E' una bella rozzezza culturale questa! Vedete che vuol dire appoggiarsi a vecchie leve economiche che una volta forse hanno funzionato. Ho dei dubbi che funzionino adesso però.
Per non parlare di alcune proposte che veramente sono incredibili! Dire che una ristrutturazione equivale a una demolizione è inammissibile, ma il Comune di Torino l'ha fatto; quando poi il confronto tecnico diventa serio ci sarà qualcuno che farà rilevare che ristrutturazione e demolizione necessitano di norme diverse. Consentire che a Torino si possa demolire qualsiasi cosa, purché si dimostri la convenienza a demolire piuttosto che non ristrutturare, è anche questo di una superficialità che non è degna dei tempi. Un edificio può avere un valore in quanto inserito in quel luogo può avere un valore al di là delle proprie caratteristiche, che prese a se stanti possono non averne, ma inserite nel loro ambiente assumono un valore preciso.
Vedete allora che questa variante 31 ter ha avuto forse un papà e una mamma, l'inseminazione probabilmente l'ha praticata il Collegio Costruttori. Pensate al Collegio Costruttori che ha assistito ai lavori della variante 31 ter, lavori ai quali abbiamo assistito il collega Marchini ed io, con un funzionario del Collegio nel corridoio; i corridoi possono essere frequentati da chiunque, anche dai funzionari del Collegio Costruttori. La sala dove si svolgeva questa discussione era piantonata e certo deve esser stato un bel lavorare per l'Assessore Genovese, dal momento che era al corrente che fuori c'era il piantone funzionario del Collegio Costruttori; quasi con la cura che i parenti tengono fuori dalla camera operatoria in cui il familiare viene operato dal medico. Stanno in trepida attesa che l'operazione finisca bene e forse anche per trasmettere al medico che deve operare bene. C'è anche qualche parente che fa così. Non deve essere stato un gran bel lavoro quello svolto dall'Assessore Genovese dal momento che poi è stato condotto anche a episodi di arroganza, di insofferenza che non sono propri dell'Assessore.
Questo Collegio Costruttori deve aver spiegato bene a molti le virtù di questa variante 31 ter, e deve averli anche convinti. Non so, Consigliere Pezzana, se ha avuto qualche informazione di questo genere, però quanto è stato detto - io ho provato, sia pure sinteticamente, a fornire un'altra interpretazione ma sono disponibile a discutere anche fuori di questi rapporti d'aula formali sui contenuti di questa variante 31 ter - non trova rispondenza nella variante 31 ter.
Cosa succede ora su questa variante 31 ter? Qui entro in polemica con l'Assessore Genovese. Non so che cosa induca una persona come l'Assessore a comportarsi in certo modo; va criticato e anche duramente. Che cosa si propone adesso? La variante 31 ter è andata all'esame del CUR; ottimi funzionari hanno svolto una relazione che in sostanza afferma che se il Comune di Torino ha dei problemi, questi si risolvono con rispetto delle leggi e l'esecuzione dei piani e che la variante 31 ter così com'è è per tre quarti da buttare. E' una semplificazione, è un'esagerazione, ma questo era il senso, tant'è che la reazione del Comune di Torino, Sindaco in testa, è stata piuttosto violenta. Quindi il CUR e la Regione hanno dato un giudizio di questa variante 31 ter che era improponibile.
Nel corso dell'esame, sempre con il Collegio Costruttori fermo fuori dalla porta, cosa succede? Che questa variante 31 ter nel prosieguo dell'esame viene riscritta. L'art. 7, ad esempio, tranne forse due commi che sono stati solo variati, è stato completamente riscritto con contenuti diversi dall'originario.
Allora, l'Assessore è soggetto a pressioni? Non si sa. Comunque, che cosa ha proposto al CUR? Ha proposto di seguire una procedura, a mio giudizio, assolutamente illegittima, che consente alla Giunta regionale e qui mi rivolgo alla Giunta e al suo Vicepresidente - che è la massima autorità, di proporre al Comune di Torino queste modifiche. Questa variante quindi, che io chiamerei 32, non è più la variante 31 ter. Proponete di restituirla al Comune con una procedura in base alla quale, se il Comune non risponde entro trenta giorni, viene approvata d'ufficio, dal che si deduce che il Comitato urbanistico regionale più l'Assessore e una Giunta regionale hanno deciso il Piano regolatore di Torino, senza che il Comune di Torino ne discuta e senza che i cittadini possano fare delle osservazioni.
Voi mi chiederete se è vero o non è vero che a queste varianti sono stati introdotti dei mutamenti. Certo che è vero! Sulla ristrutturazione demolizione il CUR ha dichiarato che se si tratta di ristrutturazione si seguono delle regole, se si tratta di demolire si parla di sostituzione edilizia; ha altre regole che nelle modifiche del CUR impegnano anche il Consiglio comunale. Non vi pare che questa sia una modifica di sostanza sulla quale il Consiglio comunale "debba" esprimersi e non "possa" semplicemente esprimersi? Per quanto riguarda le zone miste, sapete che questa variante è stata adottata come non "sostanziale" dal Comune di Torino. Ha già seguito quindi una procedura illegittima; perché avrebbe dovuto fare una deliberazione programmatica? In base a questa variante su tutto il territorio comunale indistintamente, quindi senza una logica, si potranno trasformare zone miste per 700.000 mq. Saranno cinquanta interventi; le modifiche introdotte dal CUR invece subordinano al parere del Consiglio comunale a certi interventi.
Assessore Genovese, non so perché lei abbia preso questa strada, ma in considerazione di questo noi sosteniamo che è illegittimo. La Giunta (ho riletto la legge sulla quale abbiamo anche polemizzato esagerando con i toni e le parole) deve discutere questo fatto, se è sostanziale o meno questa variante; per discuterla prego l'Assessore di far conoscere al mio Gruppo - ma prima ancora alla Giunta - il testo definitivo del parere del CUR. Secondo me non è un documento segreto. Non l'avete ancora, ma una volta in possesso chiedo ufficialmente che in Giunta se ne discuta e che si venga a riferire il perché di questa decisione che a mio parere è illegittima. La procedura seguita è quella di rispondere con quello stesso parere - se lo condividete - al Comune di Torino che deve controdedurre in Consiglio comunale e pubblicare la variante per le osservazioni dei cittadini.
Forse avete scelto questa strada perché, pressioni o non pressioni qualcuno vi avrà detto che bisogna fare in fretta perché altrimenti la Giunta di Torino se non porta a "casa" la variante 31 ter comincia a traballare un po' troppo. Che la Giunta di Torino traballi può dar fastidio a voi e non a noi, ma non deve dare fastidio alla legge, non deve indurre a contrasti con le leggi, che vanno rispettate da tutti. Prima di prendere questa decisione, chiederei che ci sia una nuova comunicazione in Consiglio regionale. Mi sembra che in questo modo si possa riportare il Consiglio regionale ad un suo ruolo preciso.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ala.



ALA Nemesio

Ero in dubbio, fino ad un certo momento della discussione, se intervenire o meno. Poi, ho pensato di fare un regalo troppo grande all'assemblea rimanendo in silenzio; ho poche cose da dire, dato che, sotto certi aspetti, la relazione dell'Assessore, nel suo contenuto, non si presta a molto. E' una relazione che ha cercato - bene o male che sia - di mantenersi ben lontana dal prendere impegni. Riguardo alle "cose che vanno fatte", sia pure nella loro genericità, non si dice né quando né come e soprattutto con quale maggioranza (dico "maggioranza" in termini culturali). E' ancora recente la vicenda della legge n. 431 relativa alle competenze regionali, per vedere come si fosse trascinata così a lungo per dissidi, contrasti, conflitti all'interno della maggioranza, all'interno dell'opposizione e tra maggioranza e opposizione che hanno reso molto difficile la lettura e l'analisi del testo votato in quest'aula rispetto alla legge n. 431. Se ora si intende con simili procedure e con simili modelli, sia all'interno della Commissione che in aula, nuovamente giungere alle modificazioni di leggi e di normative, così come proposte dalla relazione dell'Assessorato, direi che non vi sono i tempi all'interno di questa legislatura per un qualcosa del genere, non esiste - mi spiace dirlo, ma credo che sia difficile smentire - una maggioranza sulle posizioni che bene o male, sia pure con certa cautela, l'Assessore ha delineato.
Non credo che esista una maggioranza in quest'aula per sviluppare all'interno delle linee programmatiche delineate dall'Assessore Genovese queste modifiche della legge n. 56, visto che ritengo che le posizioni personali dell'Assessore non siano quelle dell'accettazione pacifica chiara e senza problemi, di quello che è accaduto e di quello che sta accadendo a Torino con la variante 31 ter. In termini molto più semplici: se le modifiche della legge n. 56 che si propongono vanno nel senso che noi vediamo proposto dalla Giunta comunale di Torino, in termini molto chiari ed espliciti, sono contrario ad ogni modificazione della legge n. 56, visto che pur con tutte le sue difficoltà, la sua farraginosità e il suo essere superata dai tempi, si pone come strumento che permette un controllo di una determinata svolta devastante rispetto all'uso del territorio. Se invece come pare cogliere dalle affermazioni dell'Assessore, gli obiettivi di fondo sono, per esempio, il rilievo che hanno assunto i problemi che riguardano l'ambiente (il rapporto tra ambiente e territorio, i problemi in generale della tutela dell'ambiente), francamente non ritengo ci sia assolutamente una maggioranza capace coerentemente di una rilettura della legge n. 56 in termini più adeguati alla nuova sensibilità ambientale.
Perché la politica emergente - l'Assessore lo dice in un'altra parte della relazione - sono gli stralci, sono gli interventi settoriali, ognuno scoordinato dall'altro, ognuno dei quali però è finalizzato (mi spiace dirlo ma voglio essere esplicito) alla distruzione del territorio o di quel poco che rimane. Che questo nuovo clima si sia ingenerato e abbia preso corpo negli ultimi anni è vero, è un dato incontestabile.
A questo proposito vorrei ricordare una mia interpellanza presentata oltre un anno fa all'Assessore, in merito alla mostra "Via Roma ha 50 anni", mostra che si è tenuta l'anno scorso. In quell'occasione mi chiedevo che cosa ne pensasse l'Assessorato all'urbanistica, non tanto perché avesse qualche competenza diretta rispetto all'avvenimento, quanto perché quella mostra metteva in evidenza un profondo mutamento culturale rispetto all'uso del territorio urbano; sostanzialmente diceva che una serie di forze economiche e politiche torinesi e metropolitane erano giunte - ed era interessante vedere attraverso quali scenari alla magnificazione di quell'uso del territorio che si era reso possibile sia in termini di decisionismo, sia in termini di capitali messi in movimento insieme, sia in termini di volumetrie, sia in termini di sostanziale abbandono di ogni principio democratico. C'è tutto un "clap-clap", un battere di mani.
L'altra settimana abbiamo parlato del Ministro Bottai, trattando della legge n. 1497, questa volta invece possiamo parlare dell'architetto Piacentini. Con la mostra "Via Roma: 50 anni" del 1987 abbiamo visto l'elogio da parte di forze politiche, imprenditoriali ed economiche torinesi, del modello di uso del territorio, che ha portato alla costruzione di Via Roma e in misura ancora maggiore ha caratterizzato le scelte urbanistiche di Roma o di altre città italiane.



PRESIDENTE

I Fori Imperiali, ad esempio.



ALA Nemesio

Si possono far fare delle belle sfilate per le Forze Armate il giorno della festa dell'esercito, che tra l'altro mi pare sia domani, non è vero?



FRACCHIA Mario

Il 4 novembre non deve essere dissacrato perché è l'unica volta che abbiamo vinto.



MONTEFALCHESI Corrado

Ma chi ha vinto, Fracchia?



FRACCHIA Mario

Mio padre che ha combattuto.



MONTEFALCHESI Corrado

Queste sono cose che ci raccontano.



PRESIDENTE

Prosegua, Consigliere Ala, ma la prego di restare sulla pianificazione nostra.



ALA Nemesio

Sì, ma l'attuale pianificazione che passa su Torino ha quei modelli di riferimento, piaccia o non piaccia. Già l'anno scorso chiesi all'Assessore un chiarimento su qual era l'atteggiamento della Giunta regionale rispetto all'emergere e al crescere di modelli e atteggiamenti culturali che presuppongono atteggiamenti economici rispetto al territorio che sono di questo genere, che sono totalmente diversi rispetto a quelli basati sulla tutela e la salvaguardia del territorio.
Le cose che vorrei chiedere all'Assessore sono queste: quali interventi e quali strumenti mettiamo in atto per frenare i Comuni in questa loro libidine della crescita della popolazione? Perché si tratta di un atteggiamento di libidine, nel senso che ogni Comune fa a gara per varare una fittizia politica demografica (anche qui i riferimenti al ventennio si sprecano), tutti i Comuni del Piemonte usano la legge n. 56 per un fantasma di politica demografica: +30%, +40%. E l'Assessore ritiene che sia un grosso successo della legge n. 56 quello di aver ridotto l'incremento dal 100% al 45%. Il problema è che o i piemontesi fanno figli oppure è il Collegio Costruttori che vuol fare case, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione. E' il Collegio Costruttori che fa la politica demografica? I problemi sono anche di questa natura. Abbiamo visto - che abbia funzionato bene o male la legge n. 56 - che comunque questi dieci anni per un certo periodo hanno rappresentato un freno alla occupazione del suolo, poi - piaccia o non piaccia - nessuno è stato più capace di frenare l'occupazione del territorio da parte di ogni dissennato progetto che venisse da un operatore privato o dagli enti pubblici.
La quantità degli interventi degli enti pubblici che richiamava l'Assessore Genovese non è un segno di qualità. In parte sono gli enti pubblici, lo Stato, il parastato, il sottostato e il sottogoverno, chi più ne ha più ne metta, ad assumere in prima persona la politica di occupazione del territori e quindi di sfruttamento e di valorizzazione della rendita.
Più spazio per i partiti e per tutti i loro gruppi, gruppetti e clientele di quanto ne avessero i privati prima. E' stata una sorta di sostituzione in cui la spinta all'edificazione, all'occupazione ulteriore del territorio, è avvenuta attraverso enti pubblici, spesso - questo è ancora più paradossale e sotto certi aspetti anche meschino - giustificato nel segno della qualità della vita, della valorizzazione ambientale e via dicendo. Ritengo che l'unica legge che noi possiamo fare - potrò sembrare utopista o estremista - è una legge che vieti o penalizzi fortemente ogni ulteriore occupazione di territorio, che parta dal presupposto di una regione in equilibrio, che attraverso le leggi urbanistiche deve ridurre il volume del traffico complessivo, deve occuparsi del ripristino del territorio e prevedere interventi ormai soltanto più nelle aree già occupate, che quindi devono essere ristrutturate e individuare gli strumenti per un intervento all'interno delle aree già urbanizzate. Il problema principale a fianco di questa pseudopolitica demografica è la tremenda, enorme e per quanto riguarda il territorio piemontese, pressoch totale impermeabilizzazione dei terreni e del territorio. Dice l'Assessore che c'è un vento del progresso, dell'innovazione tecnologica, della telematica e via dicendo. Ma questo vento, ammesso che esista, potrebbe servire a ridurre l'occupazione del territorio e a razionalizzarlo, mentre invece pare che questo serva a costruire, a costruire e a costruire ancora.
Non c'è bisogno di nuove case di edilizia residenziale pubblica, si possono prevedere interventi di tipo diverso. Lo ripeto, non v'è bisogno né di nuove strade né di nuovo territorio. Perché altrimenti confondiamo quello che è un vento di progresso tecnologico con il vento di cui parlava un filosofo tedesco, purtroppo finito suicida durante la seconda guerra mondiale, Walter Benjamin, un vento che chiamiamo progresso ma che invece è un vento che tutti ci travolge. Un vento che sta travolgendo anche istituzioni quale questa, il cui potere diventa sempre più risibile rispetto alla forza e alla violenza degli interessi, ma anche delle ideologie, di questa nuova idolatria che ci circonda rispetto allo sviluppo tecnologico. Dico fin d'ora che rispetto a questa idolatria, rispetto a questi modelli, rispetto a questo modo di concepire il nostro rapporto con il territorio, non ho nessuna disponibilità a nessuna modifica legislativa.
Ne ho invece rispetto ad un'altra possibilità, quella che vede come prioritaria la salvaguardia di quello che ci rimane, con forza nei confronti di Torino, ma non solo. Il collega Chiezzi parla male della Giunta di Torino, ma su scala identica, dal punto di vista concettuale, si muovono i Comuni, con le Giunte di sinistra, della cintura torinese con i loro ipermercati, con le occupazioni del milione di metri cubi sul Campo Volo, l'ipermercato su corso Allamano e altro. Abbiamo modelli culturali che si scontrano ed incontrano, al di là delle forze politiche. Non c'è soltanto il modello torinese. Sia rispetto a questo modello, sia rispetto ai modelli della prima cintura si vedrà se la Regione possiede una politica di tutela ambientale o se la sua politica è soltanto quella della forza nei confronti dei piccoli Comuni di montagna. Se si vedranno questi segni dichiaro che c" da parte nostra una grossa disponibilità ad intervenire a sostegno di alcuni aspetti della politica dell'Assessorato, che abbiamo finora condiviso. Ma direi che questo segnale io ora non lo vedo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, questo dibattito, dipanandosi rivela sempre più elementi di interesse, ma anche di latitanza che vanno sgombrati. Esso è soprattutto caratterizzato da una novità che considero positiva: l'aver introdotto, il collega Chiezzi, in "cauda venenum" la questione torinese, perché probabilmente bisognerà evitare che le esigenze di correlazione tra istituzioni che hanno competenze complementari, non concorrenziali né di controllo - questo è il punto vero - quando cercano di pervenire ad una soluzione che possa rispondere alle esigenze del Governo e delle istituzioni - condivisibili o meno vengono contrabbandate come pressioni ed ingerenze. Bisognerà quindi incominciare a ragionare su alcuni processi che avvengono su Torino in modo tale che la Regione non ne sia soltanto investita in cauda venenum, dopodiché si lascia l'Assessore esposto come la causa del disastro urbanistico di Torino, se lavora in un senso, e come la causa del disastro politico-istituzionale di Torino, se si comporta in un altro. Ho l'impressione che dobbiamo stare più attenti ai processi torinesi per evitare questa messa nell'angolo e in corner. Su questo dirò qualcosa alla fine del mio intervento.
In questa discussione sono emerse le questioni di fondo, eluse da buona barte della maggioranza e da buona parte dell'opposizione, ma sono emerse ugualmente.
Cominciamo dalla manovra di mascheramento del Gruppo comunista. Stimo molto il collega Chiezzi, gli rimprovero soltanto di non essere coerente nel suo linguaggio al personaggio che è. Ha la fortuna di avere uno stile mitteleuropeo, da ufficiale del tardo impero austro-ungarico, colui che nei film che vedevamo quando eravamo ragazzi, faceva la corte alle sciantose dei nostri caffè nelle retrovie; quindi lo identifico con una proprietà e un'eleganza di linguaggio che collima con questa immagine e con questi ricordi, per cui mi disturbano, proprio sul piano di coerenza rispetto al personaggio, alcune espressioni provocatorie nei confronti dell'Assessore sulla recente vicenda della variante 31 ter. Ma non è questo che desidero contestare al collega Chiezzi. Il collega Chiezzi ha cercato con un'operazione di mascheramento, con cortine fumogene, di ridurre la legge n. 56 a una cosetta piccola piccola che ha introdotto alcune novità: l'assunzione di responsabilità politica con la deliberazione programmatica e la pubblicità degli atti, come se in definitiva la legge n. 56 fosse questo, tutto il resto non fosse niente. No! E' una cosa molto diversa l'Assessore l'ha detto e debbo dire che rispetto a questo buona parte della maggioranza si è defilata.
La legge n. 56 è stata descritta come uno degli elementi, nell'affresco che la Regione ha costruito negli anni di sinistra, prima facendo il fondale fortemente calcificato con la politica di programmazione territoriale e poi con il Piano di sviluppo che individuava sulla pianificazione territoriale gli obiettivi e alla fine con lo strumento d'imperio di una politica che è la legge n. 56.
La legge n. 56 noi l'abbiamo combattuta perché era lo strumento di una politica e quindi non possiamo minimizzarla ad una legge che si caratterizza per tre questioni di carattere formale. Lo strumento di una politica è coerente ad una politica, quindi - caro Rossa - non è un'intuizione: l'intuizione, per quello che ricordo del Petrocchi, è la reazione intellettuale rispetto ad uno stimolo che non ha di solito retroterra molto lontani nel tempo. La legge n. 56 è il precipitato storico della cultura di Astengo, che era dell'istituto urbanistico italiano di decenni prima della legge n. 56, precipitato storico con le condizioni politiche straordinarie eccezionali che hanno portato alla legge n. 10. La legge n. 56 di Astengo non è un'intuizione, è un infelice connubio, ma felice nel tipo di risultato che ha dato, anche se noi lo consideriamo essere poco praticabile, tra un'elaborazione culturale e dottrinale di antica data con un percorso politico che ha portato alla legge n. 10.
Quindi, non minimizziamo la legge n. 56, cerchiamo di coglierne il senso politico. Cerchiamo di capire se in questo dibattito qualcuno ha affrontato questa questione. L'Assessore ha affrontato la questione e da parte di alcuni colleghi di maggioranza si è teso immediatamente a mettere acqua sul fuoco dicendo: "Ma no, dopo tutto vediamo". L'Assessore Genovese ha detto che "bisogna passare alla politica per progetti". La legge 56 è l'esatto contrario della politica per progetti e pone le condizioni di governo del territorio finalizzate all'attuazione dei progetti innovativi a tempi di realizzazione di dieci anni, quindi significa la negazione della politica per progetti. Dire che la legge n. 56 ha avuto un risultato politico positivo perché il 96% circa dei Comuni ha realizzato una regolamentazione, significa semplicemente che si è data una disciplina sulla linea della politica di dieci anni fa e allora vorrei capire quanto tempo metteranno i nostri amministratori ad avere degli strumenti di governo del territorio coerenti rispetto ai processi di forte innovazione nei quali viviamo: questo è il problema. Il salto deve essere di questa natura. Non si tratta tanto di cancellare o non cancellare la legge n. 56 perché all'interno di questa comprensione (che quindi non è dell'Assessore all'urbanistica, ma è della Giunta) questo è l'elemento che dovrà caratterizzare i pronunciamenti della Giunta sulle diverse questioni in relazione all'indicazione data dall'Assessore all'urbanistica. La politica per progetti non attiene all'urbanistica, attiene a qualunque tipo di intervento, trova nella dimensione urbanistica la sua accezione territoriale, ma trova in tutto il versante degli interventi regionali la sua nuova filosofia. C'è l'abbandono della programmazione, come strategia c'è l'abbandono della programmazione per obiettivi che presupponeva di poter condurre, attraverso gli strumenti regionali, la nostra società ad alcuni obiettivi. C'è un'assunzione di responsabilità da parte dell'Assessore, che la Giunta deve fare sua, perché questi sono i tempi dei progetti, non sono i tempi dei programmi. Avevo cercato di fare capire questa differenza al mio Partito nella campagna elettorale del 1985, poi avevo cercato di spiegare la differenza tra programma e progetto: il programma è qualcosa che si offre ad un utilizzatore, il progetto è la risposta in termini tecnici e professionali evoluti e avanzati di una domanda che però un soggetto propone. Si va dal professionista per farsi fare il progetto di una casa avendo in testa il programma di una casa avendo cioè idea di costruire una casa in un certo luogo, con certe caratteristiche: si affida al decisore tecnico - in questo caso politico la soluzione ottimale rispetto al programma che si ha in testa. Quindi, c'è una presa d'atto della forza di presenza e di decisione della società civile al di fuori dell'istituzione e della politica. Questo è un passo che noi consideriamo di grande coraggio, che deve però vedere la Giunta corresponsabile. Questo passaggio - che noi apprezziamo grandemente perch è nella forza delle cose - dovrà trovare sì la ricaduta in una revisione della legge n. 56, ma dovrà trovare la ricaduta in atti di tipo normativo diversi che non saranno la modifica della legge n. 56, saranno l'avvio di leggi che danno luogo a progetti speciali: questa è la filosofia che viene fuori dalla relazione dell'Assessore.
Rispetto a questo c'è stata una presa di distanza da parte di alcuni colleghi. Non si tratta di stravolgere. A mio modo di vedere, collega Assessore e colleghi Consiglieri, qui si tratta di partire dal consuntivo zero. Il consuntivo zero è un meccanismo che dovrebbe servire alla pubblica amministrazione per fare veramente politica e innovare i bilanci, vuol dire che non si scrive in nessun posto il consuntivo dell'anno precedente e si parte sulla tabella bianca. Questo non nega che alla fine della proposta si arrivi ai risultati dell'anno precedente, ma non ci si deve fare condizionare. Non nego che alla fine dell'ipotesi zero la legge n. 56 venga ripresa per quegli elementi di razionalità in termini di passaggi che pu avere, non lo nego. Deve essere azzerata nella misura in cui è una risposta rispetto a un metodo politico superato che noi a suo tempo abbiamo condannato e adesso non condanniamo più perché non ci interessa più dare un giudizio. Registriamo la realtà di una società che è in grado di autogovernarsi, di fare le proprie scelte e di chiedere alla politica e alle istituzioni non più il messaggio, ma il progetto, la società civile non vuole più il programma dalle istituzioni, vuole il progetto finalizzato a fare accettare il proprio programma all'interno di un massimo di consenso e all'interno di un massimo di sintesi degli interessi in contrasto.
Questa, a nostro modo di vedere, è la vicenda politica che stiamo vivendo.
Se qualche forza politica, in particolare il Partito socialista, ha grande successo in questo Paese è perché ha rinunciato al primato della politica.
Non so se sia un bene o se sia un male, su questo potremmo scontrarci.
Quando questa mattina polemizzavo sulla frase: "la gente è con noi" non è una frase d'effetto, è una scelta politica, è un salto di cultura politica, grande rispetto alle cose che ci hanno portati nella nostra passione giovanile sui nostri banchi. Siamo venuti qui con la presunzione che come classe politica sapessimo in una qualche misura guidare la società, cercando di vedere dall'alto dello scenario politico le contraddizioni delle spinte che la società faceva nascere per se stessa e per noi: non è più così, la società è maturata ed è tollerante e, in una qualche misura, al proprio interno risolve i propri conflitti in modo che è in grado di proporre all'istituzione un programma di sviluppo della società stessa, con un complesso tale di elementi che può consentire alle istituzioni soltanto il progetto, il momento finale del disegno, che è il più raffinato, il più delicato; l'idea che ha il mio amico Santoni della casa che vuol fare costruire, dovrà poi trovare la verifica attraverso il calcolatore del cemento armato, e questo attiene al politico: ma non siamo più al tempo in cui possiamo immaginare che il programma della casa dell'avv. Santoni lo facciano le istituzioni come avevamo pensato. Questo è un salto radicale che aspettavamo da molto tempo e che devo dire oggi è emerso nella sua chiarezza.
Ritengo però che la grande disponibilità dell'Assessore a confrontarsi con i Gruppi - non ha detto Gruppi di maggioranza - su questa questione possa essere un'ipotesi percorribile e coraggiosa nella misura in cui la Giunta sappia dare segnali forti che questa scelta di svolta di comportamento politico non è soltanto una espressione verbale; certamente non lo è per l'Assessore Genovese; è un'assunzione di consapevolezza da parte del governo regionale nel suo complesso e quindi una consapevolezza che gli dà la forza di confrontarsi con tutto il Consiglio nella logica parlamentare più pura che non presuppone a monte divisioni in maggioranze e minoranze, ma da una parte il governo e dall'altra parte il parlamento, che controlla prima come parlamento e poi decide se essere maggioranza o minoranza. Ma questo significa, colleghi della Giunta soprattutto, che da parte vostra questa maturazione di responsabilità politica che l'Assessore ha svolto questa mattina (che sicuramente è anche l'espressione della volontà della Giunta) si collochi in alcune indicazioni di tipo legislativo molto forti e tali da poterci fare misurare la quantità di scostamento che il testo finale che andremo ad esaminare in Commissione e in aula avrà rispetto all'intuizione (che potremmo magari passarla come tale) anche se non è della Giunta all'origine.
Se questo è il senso del dibattito di oggi, mi sembra un dibattito di grande rilievo. La legge n. 56 rimane come uno strumento di governo del territorio, viene ripensata la filosofia della politica in questa Regione colleghi Consiglieri. La filosofia della politica, il modo d'essere delle istituzioni, il modo di collocarsi rispetto alla società; se questa sarà l'occasione sarà sicuramente una felice stagione quella dell'ultimo anno di legislatura in cui probabilmente si porranno questioni non soltanto politiche ma anche istituzionali: il ruolo della Provincia, ma il ruolo stesso e proprio della Regione e della politica rispetto alla società civile.
Quindi come la legge n. 56 a suo tempo fu una pietra miliare della politica di sinistra, la modifica della legge n. 56 non sarà una novellistica che cambia questa o quella norma: sarà veramente la dimostrazione che questa maggioranza di pentapartito ha una ragione di differenziarsi dalle maggioranze di sinistra o meno. Questo, a nostro modo di vedere, dovrà essere il senso del dibattito sulla legge n. 56 e potrà pervenire paradossalmente alla riproposizione del 98-99% degli articoli che in esso sono contenuti. Non stiamo ad accelerare delle norme o a fare delle leggi più svelte, cerchiamo di capire in che misura le istituzioni rispondano ad un'esigenza che ha la società civile di esprimersi, non all'esigenza di case o di nuove abitazioni. L'uomo da quando esiste si esprime con alcuni strumenti. Il primo strumento con cui l'uomo si è espresso nei confronti del mondo è il contenitore in cui vive.



ADDUCI Donato

E' la parola.



MARCHINI Sergio

Nei confronti del mondo in cui vive non è la parola, perché io normalmente alle pietre non parlo, parlo con gli altri uomini; ma nei confronti dell'ambiente, di quella parte del Creato che è stato destinato non a lui, ma che gli è complementare, il primo strumento con cui l'uomo si è espresso è il suo contenitore. Paradossalmente qui si viene a rivendicare giustamente da parte di Chiezzi e su questo devo dire che lo seguo la conservazione di elementi anche marginali rispetto al nostro paesaggio rispetto alla nostra storia, perché la storia del contenitore dell'uomo è la storia dell'uomo. Non possiamo immaginare che questa nostra generazione non voglia lasciare il proprio segno su questo territorio esprimendosi nei suoi contenitori (che non sono più soltanto il contenitore abitativo, ma sono anche il contenitore del tempo libero, della ricerca, della cultura dell'espressione delle attività sociali); rifiuto questa immagine che l'uomo fa per l'uomo costruttore e per l'uomo speculatore. Paradossalmente su questo, se guardate le percentuali negli altri Paesi, che cosa scoprite? Che la maturazione nella società civile in termini europei porterà a una fuoriuscita progressiva della proprietà privata dalla casa e ci sarà di più un intervento in natura finanziaria. In questo, Assessore, andrei cauto a dare per scontato che abbiamo su Torino una grande presenza di secondario e la mancanza di terziario soprattutto quello finanziario. In Italia quasi il 60% dei cittadini vive nella propria casa, in Europa il meccanismo è inverso; quindi c'è da pensare che le generazioni future vivranno in case in proprietà o in affitto su media europea e le case in affitto non saranno più, come è avvenuto per i nostri nonni, quelle costruite con i risparmi o con la liquidazione: saranno il risultato dei processi finanziari, quindi la qualità della vita a Torino nelle generazioni future, sulle quali stiamo ragionando oggi, dipenderà molto anche dalla capacità che attraverso queste leggi si riescano ad invertire dei processi che sono di gente povera legata al proprio territorio. E' quasi patetico questo tentativo di radicarsi con la propria costruzione che rimane al proprio figlio, al figlio del proprio figlio. Questo significa, il più delle volte, creare dei vincoli alle espressioni delle generazioni future. Le generazioni future devono trovare sul territorio la mobilità che deriva anche dal fatto che le loro risorse possono essere utilizzate rispetto alle opzioni che la vita dà loro e non viceversa. Non devono essere condizionate nella scelta di vita dall'alloggio del nonno, per esprimere la questione in termini molto semplici.
Collega Assessore e signori Consiglieri, confido che l'Assessore, la Giunta e i Gruppi sapranno affrontare questa questione con l'impegno che la stessa richiede; certamente però bisogna fare alcune chiarezze. E' comprensibile che il Partito comunista tenda, in una qualche misura, a ritardare il più possibile il tempo di questo confronto, quindi del cambiamento radicale riducendo la radicalità del problema; mi pare che da parte di alcuni colleghi di maggioranza è stato detto: "facendo salvo l'impianto culturale". Ma se noi immaginiamo di costruire la nuova legge n.
56 mantenendo salvo l'impianto culturale dell'istituto urbanistico del prof. Astengo, questa maggioranza dovrebbe tenersi la legge urbanistica fino alla fine! Magari faremo qualche legge sul CUR. qualche idea in proposito posso averla. E' l'impianto culturale che va rivisto; perch l'impianto culturale ha le sue ricadute in quel libro dei sogni, in quella raccolta cartacea che è il Piano di sviluppo. Infatti, se noi ragionassimo non per termini di piani di sviluppo ma per progetti, probabilmente mireremmo le nostre poche risorse finanziarie e le pochissime risorse intellettuali - parlo in particolare delle mie - rispetto ad obiettivi concreti, precisi, selezionati, selettivi e, magari, non ci lamenteremmo che lo Stato poi si sostituisce all'analisi specifica dei progetti scartando e scegliendo ad libitum. Ma noi questa operazione di sintesi non la facciamo perché anche i progetti presentati al FIO sono ancora figli della programmazione e non della progettazione, per cui ogni Assessore si sente penalizzato se non ha il suo numero di progetti, ogni area si sente penalizzata se non ha un proprio numero di progetti. Una programmazione che non abbia gli strumenti significa non governo, lasciando il governo agli interessi forti: sul FIO sono i decisori esterni, sulle questioni nostre sono magari i gruppi di pressione.
Dicevamo all'inizio che bene ha fatto l'Assessore a richiamarci a quello che deve essere l'obiettivo che dobbiamo cercare di perseguire: ottenere la massima progettualità da parte dei Comuni, e io dico dalla società civile, e ottenere una contestuale grande capacità di risposta da parte della Regione. Bene ha fatto il Consigliere Chiezzi ad impostare in quest'aula alcune questioni apparentemente fuori tema. Allora mi vedo costretto ad introdurne alcune. E' vero: c'è polemica su come si conclude la variante 31 ter. Sicuramente dobbiamo immaginare che il clima, lo status psicologico in cui l'Assessore ha operato non sia stato di assoluta libertà. Se è una verifica di ordine tecnico che attiene a un controllore non si capisce perché la decisione di costui avrebbe dovuto e potuto determinare delle conseguenze politiche. Vuol dire quindi che su Torino esiste, su molte vicende delle quali poi noi Regione saremo chiamati responsabili, una forte incertezza sulla quale riteniamo di dover fare chiarezza. Fino a quando le vicende torinesi sono vicende sulle quali la Regione non ha responsabilità, per carità, non ci riguardano; ma quando le vicende sulle quali la Regione e il Comune di Torino si incastrano fortemente in progetti di natura regionale o in responsabilità di natura regionale, ritengo che qualche riflessione vada fatta.
Quindi, come Gruppo liberale, ho il dovere di registrare la situazione di difficoltà che il Comune di Torino ha su questo. Difficoltà che ricade su alcune questioni che la Regione si pone. Le reticenze e le riserve della DC sul progetto Lingotto-Torino evidentemente pongono un'ipoteca forte sul lavoro che su questa materia dovrà fare la Regione. Ma vicende più recenti la polemica di ieri sul giornale, meritano da un liberale una risposta in questa sede. Lasciamo da parte il tono usato nei confronti dei piccoli partiti che, essendo tre, possono decidere in cinque minuti. Le idee, per essere elaborate, richiedono lo stesso tempo sia da tre persone che da venti persone.
Le idee non sono la somma dei tempi concessi a qualcuno per pensare, ma sono il tempo che un processo decisionale richiede a un gruppo di persone.
Dalle dichiarazioni comparse questa mattina sul giornale emerge un quadro abbastanza disastrato e abborracciato dell'urbanistica sul piano torinese guarda caso, affidato alla responsabilità dei liberali. Le cose non sono così! Potrà piacere o non piacere, ma da quando queste maggioranze vedono responsabilità liberale, il Comune di Torino ha adottato la variante 31 ter, la deliberazione del Lingotto, il piano particolareggiato dell'Area 21, il piano particolareggiato dell'Area di Via Stradella, i piani di edilizia residenziale pubblica sulle Aree 21 e 29, l'individuazione dell'Area dello Stadio, il compimento degli studi di fattibilità per l'area di Via Po e di Piazza Vittorio. La maggioranza ha in esame la deliberazione programmata, il piano di attuazione e il regime transitorio in attesa del nuovo Piano regolatore. Non è questo un lavoro che giustifichi la messa in stato d'accusa di nessuno, che non giustifica il clima di tensione che si è creato intorno alla variante 31 ter; c'è una maggioranza a Torino che lavora, secondo noi lavora bene, ha diritto ad un confronto sereno e costruttivo con la Regione Piemonte senza che debba da questo nascere alcun clima di tensione nelle politiche istituzionali.
Devo anche richiamare la verità dei fatti perché nell'intervista di ieri si dice una cosa non esattamente conforme a quanto è avvenuto, ed essendo avvenuto in casa liberale va detta: la DC, che certamente ha dei grossi problemi, è un grande partito e come tale le sue decisioni richiedono tempi lunghi e forse più lunghi di quelli dei piccoli partiti su questo ha tutto il diritto di chiedere e di prendere tempo, ma non pu dire che aspettava la bozza. La bozza è stata consegnata in casa liberale dal nostro Assessore liberale il 13/10/1988, il Segretario della DC ha chiesto 15 giorni per riflettere su questo documento e la riunione è avvenuta 15 giorni dopo. Quindi, proprio per evitare che un provvedimento di ordinaria amministrazione, quale è l'esame da parte del CUR. non ancora della Giunta che sarà un atto di natura politica, diventi una questione delicata nei rapporti tra Comune e Regione, occorrerà, forse, che anche queste vicende vengano gestite con meno drammaticità; non è un dramma se non si sono trovati cinque partiti ma solo quattro, non è un dramma se una bozza si pensava che fosse arrivata e non è arrivata. Non drammatizziamo tutto, altrimenti il rischio è che l'operatore regionale, in termini di programmazione e in termini di controllo per quanto gli compete, si trovi fortemente condizionato anche in un ruolo di immagine fortemente difficile come quello in cui si è trovato l'Assessore Genovese. Mi rendo conto che questa digressione non ci sta tutta nell'argomento che trattiamo, come non ci stava tutta quella che ha fatto il collega del Gruppo comunista. Ritengo però che anche l'esame della legge n. 56 non potrà non prescindere dall'esigenza di avviare con i Comuni dei meccanismi di conoscenza dei processi decisionali, proprio per evitare che l'attività di controllo finisca per essere una mannaia che taglia la testa oppure di essere tacciati di illiceità quando si ritiene di addivenire ad un processo di natura collaborativa con l'altro ente. Digressioni, sia la mia che quella del collega Chiezzi, in qualche misura gratuite, ma, se opportunatamente interpretate, possono dare un contributo per individuare alcuni dei nodi cruciali della legge n. 56 che sono la non completa maturazione dei rapporti con gli enti locali.
Per il resto devo dire che la passione di parte questa volta forse mi ha fatto occupare troppo del mio tempo a difesa del lavoro che i liberali fanno sui problemi del territorio e sulla città di Torino al meglio delle loro possibilità. Soprattutto su Torino con due Assessori comunali: Dondona e Re, che hanno ben meritato nel loro lavoro.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Gallarini.



GALLARINI Pier Luigi

Anche il Gruppo socialdemocratico, che a suo tempo aveva approvato la legge n. 56 e che in seguito è stato promotore delle modifiche che qualche anno fa sono state recepite all'interno della legge urbanistica regionale intendiamo svolgere qualche considerazione in base all'esposizione fatta dall'Assessore Genovese, riservandoci ovviamente di intervenire allorquando saremo coinvolti, per apportare le modifiche che si sono rese necessarie per snellire alcune procedure, ferma restando la filosofia di impianto della legge che abbiamo condiviso allora e condividiamo anche ora.
All'interno di quest'aula, forse in modo eccessivo, si è discusso di questo problema anche dall'ottica del Comune di Torino e di altri enti istituzionali. Noi ci limiteremo invece ad affrontare il problema in modo molto sintetico, dall'ottica strettamente regionale.
Si è parlato della necessità di inserire in questa legge alcune modifiche di carattere sostanziale. Innanzitutto per l'esperienza acquisita in questi anni dobbiamo dire che i piani intercomunali hanno dimostrato un loro grosso limite. Molte volte le inadempienze di un Comune o la mancanza di dinamica di un altro Comune hanno frenato il tutto impedendo che anche quelle Amministrazioni più solerti arrivassero all'approvazione dello strumento urbanistico in tempi stretti e subissero i ritardi imposti da altre Amministrazioni. Quindi, al di là dell'ottica di impostazione generale, l'intercomunalità non ha dimostrato efficacia laddove le singole Amministrazioni possono essere più snelle e più sollecite.
Per quanto riguarda gli iter burocratici della legge, riteniamo che all'interno del CUR vada inserito l'elemento Provincia. Questa osservazione l'abbiamo già fatta in occasione delle modifiche istituzionali al cosiddetto progetto di ingegneria istituzionale. Non siamo per delegare alle Amministrazioni provinciali la competenza urbanistica su queste questioni; prima di tutto perché la Provincia non ha un consolidato storico di esperienza che le permetta di intervenire in merito con cognizione di causa, con tempestività e competenza; riteniamo invece che l'ente Provincia, per il quale in questi ultimi anni è venuto avanti un riconoscimento di competenza e di ruolo istituzionale, debba essere coinvolto attraverso la presenza del Presidente o dell'Assessore delegato all'interno del CUR in quanto riteniamo che, all'interno di quel Comitato la Provincia debba entrare nel merito degli strumenti urbanistici non dal punto di vista degli indici di edificabilità o della scelta delle zone residenziali o industriali, ma per esaminare quegli strumenti attraverso il filtro delle proprie competenze che sono la viabilità e l'edilizia scolastica. Riteniamo che questi due filtri, che sono di stretta competenza delle Amministrazioni provinciali, non possano essere bypassati passando direttamente dall'adozione dei Comuni all'approvazione regionale senza che l'Amministrazione provinciale possa esaminare da quest'ottica il problema.
Per quanto riguarda la questione di carattere generale noi siamo fra quelli che esprimono rispetto alla legge n. 56 una critica di fondo: quella di considerare alla stessa stregua tutti i 1.209 Comuni della Regione Piemonte. Si è parlato molto di Torino, comprensibile sotto certi aspetti perché da solo rappresenta forse più di 1/5 della popolazione della regione Piemonte, ma analogamente si potrebbe parlare di uno dei 1.209 Comuni che ha pure le sue esigenze e che molte volte non sono prese in considerazione.
Altro è ad esempio il centro storico di Torino o della città di Novara o di Alessandria, altro è il centro storico di uno a caso dei mille altri Comuni di periferia. Che lo spostamento di un'apertura o di una facciata inserita nel centro storico di Torino o all'interno di uno di questi altri Comuni sia trattato alla stessa stregua ci sembra una incongruità che molte volte penalizza i piccoli Comuni laddove il centro storico di storico ha ben poco.
Per quanto riguarda gli oneri di urbanizzazione, abbiamo assistito in questi anni ad una proliferazione di grandi eterogeneità fra gli stessi. Se è vero che ogni Comune deve avere una propria autonomia di carattere impositivo e di carattere programmatorio per quanto riguarda la definizione degli oneri di urbanizzazione, ci sembra giusto che la Regione non debba andare ad omogeneizzare gli oneri imponendo delle tariffe al metro cubo o al metro quadro, ma ci sembra altrettanto giusto che nella erogazione dei propri contributi debba calibrare questi contributi alle risorse che i Comuni hanno attraverso gli oneri di urbanizzazione. In questo settore ci sembra che una proposizione politica precisa possa caratterizzare l'attività della Regione Piemonte, della maggioranza e dell'Assessore Genovese.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Signor Presidente, voglio svolgere un breve intervento a integrazione e a sintesi della posizione del nostro Gruppo che è stata rappresentata con molta efficacia dall'intervento del collega Chiezzi.
Voglio toccare tre questioni che mi sembrano ancora utili, anche a questo punto del dibattito.
Prima questione: non sfugge a nessuno l'enorme difficoltà e indeterminatezza che viene ad assumere questo dibattito, e ciò ha cause precise. Mi spiace dire questo nel momento in cui qualcuno ha fatto qualcosa; è un po' come quando nelle riunioni ci si arrabbia perché quelli che sono andati via sono tanti ed è rimasto solo più qualcuno e si usa sgridare quello che è rimasto. Credo vada apprezzato il lavoro che ha compiuto l'Assessore Genovese ed anche il fatto che ha portato all'attenzione della discussione una questione centrale nella funzione regionale, addirittura una delle questioni di identità del ruolo regionale.
Questo però avviene troppo tardi e il tempo perduto non si recupera più.
E' bene dirlo con chiarezza in quanto il dibattito oggi è così vario e vago che rischia di essere vano proprio perché un lavoro che avevamo già chiesto all'inizio della legislatura ai predecessori dell'Assessore Genovese non è stato fatto. Non è stato fatto al punto che oggi rischia di essere velleitario compiere delle fughe verbali in avanti, immaginare scenari magari anche confusamente, senza fare i debiti conti con quello che non è stato fatto, con l'assenza degli atti che avrebbero potuto essere compiuti e con il rischio di alimentare un'illusione. L'illusione cioè che da oggi in poi cambierà qualcosa. Temo che questo non avvenga. Noi vorremmo che le cose cambiassero almeno in una certa direzione; ma questo rischia di non avvenire. Le inadempienze sono cruciali. Comunque la si prenda e comunque la si voglia poi polemicamente leggere, in una storia che però ha avuto anche scansioni e momenti diversi, la legge n. 56, senza la parte di pianificazione territoriale, è acefala. E' acefala, quindi è utilizzabile ma solo e molto parzialmente rispetto agli elementi propulsivi e dinamici che la parte territoriale, per sua natura, contiene e che fa coincidere in un concreto strumento la funzione di direzione e di governo regionale su un processo che poi ha dei soggetti autonomi come i Comuni. Così gli schemi dei piani territoriali giacciono e quindi non è avvenuta la loro conseguente adozione. Ne abbiamo discusso l'altra settimana, ci siamo anche scontrati sul fatto che i piani territoriali a valenza ambientale giacciono da tempo; mi auguro che la prossima settimana si assuma una decisione conforme allo spirito del nostro ordine del giorno (che, tra l'altro, deve ancora essere discusso) sulla possibile adozione dei piani territoriali con valenza paesistica.
Ma la stessa gestione della politica urbanistica, che - come diceva il collega Chiezzi - si è rivelata critica negli aspetti di funzionamento, in questi anni ha trovato semmai elementi di confusione ulteriore. Non credo di sfondare una porta del tutto chiusa quando dico questo. Nel 1984 avevamo individuato due punti cardine per quanto riguarda il funzionamento della legge: da un lato la politica territoriale, dall'altro la struttura complessiva, ma in particolare quella adibita alle funzioni di verifica e di approvazione (il CUR), e infine i rapporti con il CUR. La questione che con qualche passione si discusse nel 1984, oggi è peggiorata. Ed è peggiorata con gli elementi pericolosi che i peggioramenti senza spiraglio o possibilità di cambiamento che non vengono intravisti generano anche su chi opera. Le demotivazioni sono pericolose più ancora delle assenze.
Abbiamo assenze, probabilmente quantitative, abbiamo necessità di implementazioni qualitative, quindi di nuove funzioni, ma abbiamo anche il problema di motivazione nelle forze pure importanti che esistono e che in questa materia in particolare sentono che attraverso la Regione, in un processo di crisi profonda dell'ente, è sfuggito un ruolo che prima si poteva avere, al di là di come venisse esercitato.
I tempi attuali di approvazione dei Piani regolatori sono ancora intollerabili, sono ancora lunghi, sono tali cioè da non rendere giustizia alla legge, che peraltro ha dimostrato ampiamente una sua validità. Il dato quantitativo non dirà tutto, ma dice molto: una Regione che arriva a dotarsi, almeno a livello di adozione per un migliaio di Comuni, di strumenti regolatori è un cambiamento forte. Mi stupisco ma non troppo di chi viene in Consiglio con la caratteristica di ignorare completamente la storia e le difficoltà di governo e dà giudizi di fallimento. Ma la legge in sé ha dimostrato di essere stata accolta e percepita, allora era antiveggente di un bisogno e poi è diventata una realtà nella realtà e nel processo non semplice.
Dobbiamo smetterla di fare delle battaglie sbagliate, le battaglie ideologiche che sono state fatte contro la legge sono state una specie di testa d'ariete per fare della pura polemica politica. Anche la maggioranza si è vista costretta a riconoscere che questi frutti sono stati prodotti.
L'importante è che una legge sia consolidata nei suoi principi fondamentali, se poi esistono i problemi del suo funzionamento o delle innovazioni da introdurre in relazione ai tempi che sono cambiati noi su questo non abbiamo assolutamente nulla da controdedurre, purché stiano in questo spirito. Stare in questo spirito vuol dire stare in valori che, nel 1977, Astengo affermava essere gli atti più riconoscibili di questa Regione in tutta la sua esistenza. Però gli atti di governo e il lavoro a ridosso della costruzione a servizio dei Comuni e della comunità hanno reso intollerabile il ritardo con cui si è arrivati a discutere e hanno reso inesistente sul tavolo qualsiasi proposta. Obiettivamente credo che tutto questo non sia più possibile recuperarlo in "zona Cesarini". Il tempo è tale che è difficile porre mano a un ragionamento di questo genere, senza poi contare come di pari passo avrebbe dovuto andare avanti un'armatura programmatica nuova.
Credo che fra circa un mese discuteremo del Piano di sviluppo. Però in questo caso c'è una connessione di fondo, anche qui tendo a non soggettivizzare più di tanto, tendo a rendermi conto delle difficoltà e di quanto si è spostato fuori dalle istituzioni. Ma proprio perché questo è pericoloso (cioè quanto di decisioni si è spostato fuori o quanto il pezzo per pezzo stia diventando la regola) necessiterebbe che i meccanismi democratici di confronto dessero più forza su obiettivi di dignità e di autorevolezza dell'ente e delle sue scelte; sul Piano di sviluppo purtroppo arriveremo di nuovo con un enorme ritardo, presenteremo così un documento che in sé è inutile, per quando arriva. I piani di settore non ci sono, non c'è il piano dei trasporti, non c'è il piano socio-sanitario. Ci stiamo avvicinando al 1989 e non c'è un piano di settore. Tutto questo è compito precipuo della Regione; forse, con una coraggiosa innovazione anche su come fare i piani, si sarebbe potuto, se se ne fosse discusso, avere prima qualche segnale o qualche primo punto fermo. Dico del Piano di sviluppo perché penso sia inattendibile un piano che arriva tardi, penso che sia più attendibile prevedere oggi che il piano viene fatto entro un anno, oppure si decade dal diritto di fare i piani con qualche conseguenza, magari sarebbe immaginabile qualche sanzione al proposito. Credo che questa sarebbe un'operazione seria, vuol dire magari ridurre la carta, avere più chiarezza di idee, distinguere e scegliere un po' di più, non mettere assieme tutto l'auspicabile, come tradizionalmente vengono fatti i piani.
Perché ho parlato del Piano di sviluppo? Perché c'è una connessione tra come si intende operare nelle politiche e il peso che all'interno di queste politiche viene dato alla manovra territoriale di verifica, di approvazione e di rilancio anche di nuovi compiti (pensiamo alla questione ambientale nei confronti degli stessi Comuni).
Diamo atto all'Assessore del lavoro che ha fatto e di essere venuto in aula con una relazione che aveva sì quei chiaroscuri che diceva il Consigliere Chiezzi, quelle molte cose implicite (forse prevalenti rispetto alle cose esplicite), comunque un tentativo l'ha fatto. Dobbiamo per registrare che è tardi. E' un vecchio luogo comune comunista quello di non parlare sempre e solo di Assessori: noi tendiamo a parlare di giunte, di governi in quanto le sinergie nascono lì, le scelte possono essere fatte solo in sedi di quel tipo. Allora per noi può anche essere interessante rilevare lo sforzo fatto, ma questo non ci può esimere da un giudizio che purtroppo è molto pessimistico anche sul dibattito e sulle sue conseguenze.
Conseguenze che, a mio avviso, rivelano che si è accettato di far spostare l'asse delle decisioni rilevanti sul territorio tendenzialmente fuori dalle istituzioni, i soggetti forti pesano molto di più e condizionano molto di più qualsiasi decisione. Il veicolo politico per questi soggetti non sono le istituzioni in senso tipico, sono invece modi e forme attraverso cui la politica (in genere in certi personaggi che contano, tra cui non ho il piacere di essere annoverato e credo che anche altri non abbiamo questo piacere o dispiacere) riesce a far passare le decisioni. Però nel merito molto spesso quelle cose hanno il difetto della parzialità degli interessi.
La variante 31 ter è da esaminare alla luce di qualche concetto di interesse generale della città o di interessi di altre parti, che non sono quelle propriamente premiate da questa operazione, per esempio sono interessi che notoriamente non riescono ad affiorare nei momenti decisori magari per prendere voti vanno bene, ma non vanno bene quando si tratta di stabilire quanto, come e dove operare le scelte infrastrutturali o le scelte di vincolo, le scelte di intervento sulla città. Il problema quindi è in difetto, è un grave difetto, politicamente molto condannabile, e che rovescia quello a cui noi comunisti stiamo pervenendo, in una elaborazione anche travagliata, ma mi pare di qualche fecondità: noi sosteniamo che il rapporto pubblico-privato debba recuperare elementi di direzione e di controllo forti del pubblico con più coraggio nel pensare che il pubblico non può gestire tutto. Probabilmente la gestione è da lasciare più a una competizione. La vicenda di Torino l'ha descritta il Consigliere Chiezzi e non la ripeto. E' stato il gioco di far uscire un anno fa un progetto, con la paternità di chi l'ha elaborato, per poi neanche tradurlo nella deliberazione programmatica, altro segno assai preoccupante di un'inversione rispetto a quello che a me sembrerebbe un intervento riformatore serio. Mi sorprende che parti costitutive e costruttive di questo rovesciamento di posizioni siano ormai sparse abbondantemente anche nella sinistra o almeno in quella che abbiamo tradizionalmente inteso come sinistra; deregolatori forti di momenti essenziali di direzione di sintesi pubblica di questi o di altri piani, e invece fautori piuttosto accaniti di momenti di iperpresenza partitica sulla gestione di tutto, della sanità o di altri interventi. Questo è davvero un cammino a rovescio, questa realtà deve cambiare e i cambiamenti non possono non passare attraverso a traumi le crisi politiche hanno di positivo il fatto che mettono a nudo i problemi in certi casi, non sempre. Tutto sommato i problemi ci sono. Non a caso questo tormento che è nei partiti di maggioranza, che è visibile nel Comune di Torino, anche in Regione ha qualche pezzo di verità; è il segnale che non è più possibile acquiescere per molto tempo a questo modo di arrendersi allo stato delle cose, pena la liquidazione molto pesante non solo di idee ma anche di forze, di risorse. Penso, ad esempio, alle risorse umane concrete e progettuali che pure la pubblica amministrazione ha espresso e credo sia ancora in grado di esprimere, se è vero come è vero che in questi anni se ne sono andati molti dalla Regione, certo per i nostri limiti, ma sono andati per svolgere le loro funzioni in strutture molto forti come la Federpiemonte. Il che ci deve mettere in allarme.
Per concludere che cosa? L'Assessore Genovese ha detto che la Giunta intende avviare una fase di revisione legislativa aperta. L'Assessore ha chiesto che non si levassero strali contro la possibilità di darsi strumenti di consulenza per elaborare questa revisione. Noi non abbiamo mai sgridato questa Giunta perché faceva le cose, ma abbiamo tratto un giudizio politico spesso perché non le faceva. Questa mancanza di dialogo alla fine rende i nostri interventi d'obbligo; li facciamo perché siamo qui, ma non abbiamo molta fiducia di essere ascoltati. Credo che i presupposti di un'azione di rilancio legislativa e di governo debbano essere cercati in un cambiamento molto forte del modo di essere attuale della Regione, intanto di chi governa. Questa priorità c'è? E' una priorità o è una delle molte cose affidate a un Assessore? Quali sono i tempi di questa priorità? In che modo riusciamo a tenere insieme quello che già c'è e a farlo lievitare? Se viene approvato qualche piano territoriale (così come abbiamo chiesto nell'ordine del giorno), se viene fatta una proposta di modifica legislativa, se riguardo alle questioni territoriali di Torino ci impegniamo a produrre in Regione una discussione e può darsi anche uno stralcio di documento di indirizzo territoriale, allora il nostro impegno ci sarà, ma se manca questo viene vanificata l'azione di modifica legislativa.
Ho richiamato la questione di Torino perché la questione del rilancio della città e i modi diversi per intenderla sono questioni del tutto aperte. Questioni su cui la funzione della Regione, per quello che è possibile, deve essere esercitata. Possibilità ce ne sono, insisto: ci sono queste possibilità. Non voglio richiamare un mio vecchio slogan, ma mi pare che quello che manchi è una volontà politica determinata e anche un senso gradualistico e realistico, ma incisivo di fare alcuni atti che mettano in condizione altri soggetti di fare la loro parte, ma non tutta la parte anche al posto nostro. Quando parlo dell'area metropolitana parlo di questioni concrete e parlo di scelte che non possono essere affidate a una forma del tutto surrettizia di scelta di piano regolatore attraverso una variante o il maquillage di questa variante fatto da un CUR. Non è questo il terreno possibile. Pertanto, più che proporre un'adesione a un futuro incerto, credo sia giusto richiamare nel giro di due o tre mesi l'emanazione, da parte della Giunta, di alcuni atti che possono essere adottati ora, ma che avrebbero già dovuto essere adottati prima. Se questo viene fatto, noi siamo per dire la nostra, partendo da una soddisfazione che oggi abbiamo avuto, dentro la delusione e questa difficoltà obiettiva a fare il dibattito. La soddisfazione di avere registrato che questa legge che è stata una legge della Giunta di sinistra a cui peraltro una cultura più larga ha dato la sua parte, è una legge che, rivedibile e innovabile ha comunque portato nella nostra Regione a un risultato quantitativo (qualitativo non sono in grado di dirlo) che di per sé è già un fatto importante.
D'altra parte in tutte le riviste della letteratura specializzata i confronti che vengono fatti con le legislazioni di altre Regioni dicono che su questo piano almeno la Regione Piemonte ha un punto d'avanguardia.
Questo sgombra non da tutte le critiche, ma certo da quelle che sono state spesso intollerabili e faziose, che hanno visto in una grande scelta una scelta caratterizzante, antiveggente e spesso inquietosa e hanno cercato di far tornare indietro una strumentazione, una cultura della programmazione e della pianificazione a cui noi continuiamo ad essere legati.
Si innovi pure: cambiamo la legge delle procedure, va bene, noi predisporremo un documento, cercheremo di dare dei suggerimenti, ma il gioco rischia di essere troppo comodo: "Dato che le cose non funzionano allora abbattiamo la casa". Il vero problema non è questo: caso mai cerchiamo di rimodellare la cosa; è necessaria una sede generale senza la quale noi siamo disarmati e credo che più disarmati di noi siano gli interessi deboli diffusi della città e del Piemonte. Perché il liberismo sfrenato, in un Paese che non ha la legge degli espropri e tutte le cose che noi sappiamo, credo che possa portare pericolosi danni a qualcuno ed enormi vantaggi a qualcun altro. Mi auguro che le scelte che questa Regione sarà capace di esprimere siano contro queste logiche. Logiche che peraltro stanno facendo la fortuna di personaggi e forse di partiti. Noi le combattiamo, anche se in maniera tranquilla come ho fatto in questo intervento, ma con assoluta fermezza.
In questo senso un esame attento anche delle movimentazioni di per s alle questioni che diceva il collega Chiezzi sarebbe quanto mai dovuto.
Sono stupefatto quando sento rilanciare davvero solo parole d'ordine come: "Occorre fare". Sì, occorre fare, ma occorre fare a pro di che cosa? Sulla base di quale disegno della città e quale ricaduta potenziale su tutti i cittadini? A cominciare da uno come me che vive nel centro storico e che a differenza di altri ritiene che prima lo si chiude - non sarà la migliore delle misure, ma oggi non può essere che così - meglio è.



BRESSO Mercedes

Prima lo si chiude e prima si respira.



BONTEMPI Rinaldo

E' l'intollerabilità assoluta della vita che lì rende necessaria la chiusura.



PEZZANA Angelo

Come con i manicomi: prima si chiudono e poi dopo dieci anni penseremo a cosa fare.



BONTEMPI Rinaldo

Noi cominciamo a chiuderlo. Anche tu vivi in centro e sai che non si vive bene.



PEZZANA Angelo

Non c'è nessuna città in Europa che ha il centro storico chiuso.



BONTEMPI Rinaldo

Non voglio fare polemica, ma ho sentito poche proposte e in realtà molta contrarietà: favore alla variante 31 ter e a tutte le movimentazioni possibili; contrarietà alla chiusura del centro storico. Sono per qualsiasi misura che vada ad incidere su situazioni difficilmente tollerabili.



PEZZANA Angelo

Teniamo un convegno lunedì, se vieni ci fai piacere.



BONTEMPI Rinaldo

Certo, devo dirti però che prima ci si deve rendere conto che vivere così è impossibile, quindi la chiusura è una sanzione opportuna e necessaria.



PEZZANA Angelo

E' peggio, non è meglio!



BONTEMPI Rinaldo

E' un modo per esprimere il diritto a certi cittadini di vivere e non di essere, anche attraverso le inesistenti decisioni di governo, colpiti solo dagli effetti perversi del meccanismo cosiddetto di sviluppo e anche dell'imperizia e dell'inerzia dei governanti.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Carletto.



CARLETTO Mario

Sia la relazione che ci ha proposto l'Assessore sia il documento sullo stato della pianificazione, che fin dal mese di luglio aveva preparato e distribuito, credo siano stati delle premesse molto utili e positive che hanno consentito oggi in Consiglio regionale di poter discutere seriamente e in modo approfondito dell'argomento. Non sono d'accordo sul giudizio del Capogruppo comunista rispetto alla difficoltà di confronto oggi sull'argomento, anche se l'attenzione dell'aula si è limitata a non molti colleghi, ma certo è stato un dibattito che ha consentito a tutte le forze politiche di collocarsi. Sono emerse da parte di tutte le forze politiche delle valutazioni, delle indicazioni, delle analisi e delle proposte quindi già solo per questo credo si possa dire che la Democrazia Cristiana ha tratto e trae delle valutazioni positive e ha colto anche negli interventi di alcuni colleghi delle intuizioni che non possono essere sottovalutate.
Non riteniamo che l'Assessore abbia fatto una relazione che non ha stimolato l'aula; riteniamo che l'Assessore abbia fatto una relazione opportunamente prudente - ed è stata una scelta sua e della Giunta - per consentire alle forze politiche, soprattutto alla maggioranza, di potersi esprimere con una certa libertà, senza che ci fossero delle gabbie precostituite all'interno delle quali poteva essere non facile, per un partito che sostiene la Giunta, collocarsi. Quindi è stato anche un atto di rispetto nei confronti del Consiglio e della maggioranza che noi abbiamo apprezzato. Il Gruppo DC, attraverso gli interventi dei colleghi Martinetti e Picco, ha dato delle indicazioni ed alcune proposte in ordine al tema della pianificazione urbanistica.
Avevamo già annunciato che purtroppo siamo su questo argomento quasi in "zona Cesarini", forse è anche colpa dei Capigruppo che non hanno saputo calendarizzare prima questo dibattito; forse è anche una forma di preoccupazione che aleggia ed aleggiava in questi anni in questo Consiglio rispetto a dei mostri sacri come la legge n. 56 che sembrava quasi impossibile non dico toccare, ma discutere; forse l'aver sbloccato la legge n. 20 ed alcune altre situazioni e aver scoperto che la modifica della legge n. 20 non ha determinato grandi sconquassi ha incoraggiato tutti e ci ha convinti che si poteva discutere anche di pianificazione urbanistica.
Però è vero: siamo in "zona Cesarini", soprattutto per chi come noi ritiene che la legge urbanistica n. 56 debba essere rivista prima della fine della legislatura.
Mi sia consentito dire, non per vanto ma per memoria storica, che già nel 1977 l'opposizione di allora propose degli emendamenti. Noi giudicavamo la legge non soddisfacente perché la ritenevamo assolutamente inadeguata rispetto alle nostre idee e alle nostre obiezioni. Comunque è ben vero che nel 1977 l'allora maggioranza dimostrò una certa disponibilità, e grazie anche a quegli emendamenti che non solo il nostro partito ma le opposizioni di allora proposero, oggi possiamo dire che noi non chiediamo una rivoluzione culturale di questa legge, non solo perché non c'è tempo, ma anche perché a noi interessa tentare di razionalizzarla e di renderla moderna ed attuale per capire se, attraverso una serie di strumenti di modifica sui quali mi soffermerò brevemente, può essere calata in una prospettiva di gestione urbanistica del territorio. Se è vero che oggi ormai si ragiona per progetti e che quindi il modo d'essere dell'ente pubblico oltre che del sistema privato deve essere sempre più finalizzato ad obiettivi precisi e quindi ad una progettualità finalizzata, è anche vero che lasciare questa progettualità aperta e libera sul territorio pu non essere opportuno, quanto meno non capiamo alla fine dove si vada a parare. A noi pare di poter dire che oggi possono coesistere le due esigenze, dicendo che lavorare sul progetto e sui progetti può essere fatto senza prescindere da una programmazione che l'ente pubblico deve fare e deve saper governare con delle griglie più larghe rispetto a quelle che si era dato in anni nei quali questa programmazione era stata mitizzata e che si riteneva essere la panacea di tutti i mali: bastava che l'ente pubblico programmasse, le risorse allora c'erano e negli enti pubblici, soprattutto in Regione che ha il compito precipuo della programmazione degli indirizzi era diventata abitudine consolidata dire: "Programmiamo, abbiamo le risorse e quindi i problemi si risolvono in modo conseguente". Poi le risorse non ci sono più state; la programmazione ha avuto un brusco arresto, non solo per questo ma perché il processo culturale, sociale ed economico del nostro Paese è andato avanti e ci ha fatto capire che la pura e semplice programmazione, spesso teorica, non è assolutamente in grado di risolvere i problemi della società. Mi pare che oggi si possa dire che viviamo una fase nella quale la progettualità all'interno di una programmazione più a maglia larga possa essere la strada maestra sulla quale tentare di fare qualche ragionamento all'interno di quest'aula su questi problemi.
Collega Chiezzi, la prima fase dei Piani regolatori comunali è pressoché terminata, non mi interessano tanto i numeri e le percentuali.
Quella fase è terminata e dobbiamo saperlo. La legge regionale impone una normativa e i Comuni hanno dovuto adeguarsi a quella normativa.
Non so con quale entusiasmo i Comuni della nostra regione abbiano fatto i Piani regolatori nei termini e nei modi così come sono stati proposti dalla legge regionale. Non so fino a che punto gli amministratori locali che negli enti locali rappresentano la società piemontese, abbiano accettato favorevolmente ciò che la legge regionale ha proposto. E' ben vero che la gran parte dei Comuni ha fatto i Piani regolatori e oggi dice Chiezzi - noi dovremmo passare alla seconda fase, cioè alla fase di sviluppo e di rilancio delle nostre realtà locali. Noi immaginiamo che questa fase si possa e si debba realizzare con una legge urbanistica modificata.
Collega Chiezzi, noi ci auguriamo di non perdere; abbiamo già perso nel 1975, tenteremmo di non perdere più dopo questi anni di ritorno al governo regionale e lasciamo ad altri di fare l'esperienza che abbiamo fatto nel 1975. Noi riteniamo che oggi su queste questioni ci si debba porre con grande realismo. Nel dibattito ho sentito alcune affermazioni che mi hanno un po' preoccupato. Quando il collega Ala dice che non c'è bisogno di case credo davvero che sia un pochino fuori dai problemi della grande città, ma non solo della grande città. Vorrei chiedere all'Assessore alla casa del Comune di Torino se davvero a Torino non c'è bisogno di case. A Torino c'è bisogno di case perché la società è cambiata! Ce n'è bisogno perché la famiglia è cambiata. Non perché ci sia un incremento demografico, ma perch il sistema famiglia è cambiato. Venti, trent'anni fa una casa risolveva i problemi di una famiglia; oggi quella famiglia, purtroppo in tante situazioni, si è sgretolata e oggi c'è bisogno di tre case per dare una risposta a quel nucleo familiare. Se sono questi i problemi non credo che il Collegio Costruttori faccia l'attesa per costruire delle case che non servono. Il Collegio Costruttori è una componente sociale che cerca di fare il suo mestiere; è compito dell'ente pubblico garantire un quadro complessivo di normativa che sia nell'interesse generale e che consenta alle parti sociali di svolgere la loro parte.
Quali sono le proposte che la DC ha fatto negli interventi dei colleghi e che voglio brevemente sintetizzare? Uno snellimento delle procedure, sia quelle interne alla Regione che quelle degli enti locali. L'Assessore ha parlato di modifica del CUR.
qualcun altro ha parlato di modifica di organizzazione del lavoro all'interno dell'Assessorato, da altre parti sono arrivate delle proposte: noi siamo disposti a confrontarci, ma certo è che queste procedure debbono essere snellite. Debbono essere definiti dei tempi puntuali per l'approvazione degli strumenti urbanistici, debbono essere date delle certezze ai cittadini. Non è pensabile che oggi si debbano attendere anni per vedersi approvata o magari non approvata una variante a uno strumento urbanistico anche se spesso scarsamente significativa. Ma questa non è una responsabilità né una colpa dell'Assessore: questa è una responsabilità complessiva che, per certi versi, è insita nella legge e, per certi altri versi, deve essere valutata anche nel modo di rapportarsi sul territorio da parte della Regione. E' comunque una questione sulla quale bisogna porre mano perché sono assolutamente indispensabili dei tempi certi affinché i cittadini si sentano tutelati.
Un altro argomento che a noi pare importante è la ridefinizione degli standards, che noi riteniamo che nella nostra legge regionale siano penalizzanti rispetto alla legislazione nazionale, ma che ci paiono anche non coerenti rispetto alle reali necessità del nostro territorio e delle nostre comunità locali.
Quindi, anche da questo punto di vista, noi chiediamo che nel rivedere la legge n. 56 ci si confronti perché ci pare che anche su questo argomento si possano fare dei passi avanti. Così come siamo completamente d'accordo con l'osservazione fatta da qualche collega circa l'esigenza di differenziare le norme sulla base delle dimensioni e delle tipologie degli enti locali interessati anche in considerazione delle caratteristiche territoriali. E qui vengo alla variante 31 ter.
La variante 31 ter è un provvedimento che ha fatto e fa discutere, sul quale non voglio entrare, così come non voglio entrare nelle questioni politiche della città di Torino, altri colleghi hanno ritenuto di doverlo fare, noi diciamo che il Comune di Torino deve affrontare i problemi che ha la città. Noi diamo un giudizio solo di carattere generale. Noi vediamo e abbiamo visto con favore la variante 31 ter, così come è uscita dal CUR.
Ringraziamo l'Assessore per l'impegno che ha messo in questo lavoro difficile, lungo, complesso, articolato, dietro al quale c'erano, e non dobbiamo scandalizzarci, degli interessi, ma degli interessi legittimi della società torinese, della città, degli operatori economici, delle forze sindacali, perché la città vuole camminare, vuole andare avanti, vuole tentare di risolvere alcuni dei suoi gravi e antichi problemi irrisolti nel passato. Riteniamo che la variante 31 ter, così come si pone oggi all'attenzione del Consiglio comunale, sia una soluzione positiva e ci auguriamo che il Consiglio comunale sappia attuare i provvedimenti che sono di sua competenza per renderla operativa.
Noi non sappiamo se nella vicenda della variante 31 ter gli interessi dell'economia privata torinese hanno giocato un ruolo maggiore o inferiore rispetto a quelli che hanno giocato nel passato (mi riferisco, per esempio alla legge n. 25).
Noi riteniamo che l'Assessore regionale all'urbanistica ha le carte in regola oggi dopo il lavoro fatto sulla variante 31 ter per presentarsi su qualsiasi palcoscenico politico e istituzionale per un confronto sulla variante 31 ter così come è uscita dal CUR.
Noi riteniamo che questo sia un atto dovuto all'Assessore e alla Giunta, ancorché noi chiediamo all'Assessore che su queste questioni la Giunta assuma i provvedimenti che ha annunciato questa mattina.
L'impegno della maggioranza sulla modifica della legge urbanistica è stato scritto e confermato e quindi la DC in questa sede ribadisce alla Giunta e all'Assessore il suo totale impegno e la sua disponibilità sulla strada di questa modifica e revisione della legge n. 56.
Mi pare che la posizione delle forze politiche, non solo quelle di maggioranza, sia una posizione interlocutoria e di disponibilità al confronto, problematica, e mi pare che da nessuna parte politica ci sia stata una chiusura rispetto a questa ipotesi di confronto. Questo lo valutiamo positivamente e diciamo all'Assessore e alla Giunta che se ritengono di volersi attrezzare anche attraverso le consulenze noi riteniamo che oggi la legge, così come è stata modificata, sia una legge sulle consulenze modificata che consenta di affidare a persone esperte e qualificate una collaborazione su questa questione. Noi invitiamo la Giunta a farlo, attendiamo dall'Assessore e dalla Giunta le proposte, ci auguriamo e speriamo che queste proposte arrivino entro tempi ragionevoli. Riteniamo che nel giro di tre, quattro mesi si possa arrivare al confronto che l'Assessore ha chiesto alle forze politiche, quindi ci auguriamo che questi tempi da parte della Giunta possano essere realizzati, noi faremo di tutto per chiedere alla Giunta che siano realizzati e rispettati. Se fra tre quattro mesi ci saranno le condizioni, nella sede che definiremo, per aprire questo confronto, noi ci collocheremo con delle proposte, non abbiamo la presunzione di ritenere che le nostre proposte debbano e possano essere tutte e sempre condivise. Quindi siamo con lo stato d'animo di chi è aperto a capire gli altri e a confrontarsi, ma riteniamo che questa città e questa regione abbiano bisogno per il futuro di saper cogliere ciò che di nuovo si è mosso e si sta muovendo nella società, per non essere sempre superati da una società che è in continua evoluzione. Tutto questo senza voler enfatizzare il tecnicismo e le nuove tecnologie, ma per dire di saper cogliere nel quotidiano e nelle piccole cose che cosa c'è di nuovo. E' nostro dovere sapere interpretare questo nuovo, saperlo cogliere e saperlo tradurre anche attraverso il nostro impegno legislativo in leggi coerenti e in leggi moderne che sappiano intuire il futuro. Con questa disponibilità il Gruppo della DC invita l'Assessore e la Giunta a proseguire in questo lavoro, li incoraggia a fare delle proposte che tengano conto del dibattito di oggi, nel quale la DC si è collocata con alcune proposte, formulate dai miei colleghi, che il Gruppo ha apprezzato molto e per questo quindi vi ringrazio ancora.


Argomento: Nomine

NOMINE


PRESIDENTE

Prima di dare la parola all'Assessore Genovese per la replica, passiamo al punto 13) all'o.d.g. che reca: "Nomine".
Si provveda pertanto alla distribuzione delle schede.
ESAP - Collegio sindacale. Nomina del Presidente.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Comitato misto paritetico Regione - Autorità militari sulla nuova regolamentazione delle servitù militari. Sostituzione del signor Roberto Diana membro supplente.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Comitato misto paritetico Regione - Autorità militari sulla nuova regolamentazione delle servitù militari. Sostituzione del signor Cesare Volpiano membro dimissionario.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Co.Re.Co. - Sezione decentrata di Novara. Sostituzione del signor Rinaldo Canna membro effettivo dimissionario.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Comitato regionale per le opere pubbliche (CROP) - Sezione opere edili. Sostituzione del signor Colombati (esperto) dimissionario.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Riserva naturale Garzaia di Valenza. Sostituzione del signor Dario Raspagni dimissionario.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Cooperative artigiane di garanzia - Provincia di Torino Susa COGARV Collegio sindacale. Nomina del Presidente.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Cooperative artigiane di garanzia - Provincia di Torino Piemonte Panificatori - Consiglio di amministrazione. Nomina di due componenti.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Cooperative artigiane di garanzia - Provincia di Torino Piemonte panificatori - Collegio sindacale. Nomina del Presidente.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Cooperative artigiane di garanzia - Provincia di Cuneo Benevagienna ACAI - Consiglio di amministrazione. Nomina di due componenti.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Cooperative artigiane di garanzia - Provincia di Cuneo Benevagienna ACAI - Collegio sindacale. Nomina del Presidente.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Cooperative artigiane di garanzia - Provincia di Alessandria Acqui Terme CASA - Consiglio di amministrazione. Nomina di due componenti.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Cooperative artigiane di garanzia - Provincia di Alessandria Acqui Terme CASA - Collegio sindacale. Nomina del Presidente.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Cooperative artigiane di garanzia - Provincia di Alessandria Murisengo ACAI - Consiglio di amministrazione. Nomina di due componenti.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Consiglio Sanitario Nazionale. Nomina del rappresentante regionale supplente.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Consigli scolastici provinciali - Provincia di Vercelli. Nomina di un rappresentante.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Consigli scolastici provinciali - Provincia di Cuneo. Nomina di un rappresentante.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Cooperative artigiane di garanzia - Provincia di Torino Susa COGARV Consiglio di amministrazione. Nomina di un componente in sostituzione del signor Giovanni Micheletti.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Cooperative artigiane di garanzia - Provincia di Torino Chivasso Collegio sindacale. Nomina del Presidente.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

Cooperative artigiane di garanzia - Provincia di Torino Condove Collegio sindacale. Nomina del Presidente.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

IRRSAE - Consiglio direttivo. Sostituzione del signor Arzarello dimissionario.



(Si procede alla votazione a scrutinio segreto)



ESAP - Collegio sindacale. Nomina di un Sindaco effettivo.

La proclamazione degli eletti avrà luogo nel corso della prossima adunanza consiliare.



PETRINI Luigi


Argomento: Personale del servizio sanitario

Esame proposta di deliberazione n. 967: "UU.S.SS.LL. n. 57 di Omegna e n. 70 di Alessandria. Adeguamento organico dei laboratori di sanità pubblica ai sensi dell'art. 18 del D.L. 18/6/1982 convertito nella legge 7/8/1986 n. 462"


PRESIDENTE

Passiamo all'esame della proposta di deliberazione n. 967, di cui al punto 4) all'o.d.g., il cui testo è a mani dei Consiglieri e verrà trascritto nel processo verbale dell'adunanza in corso.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
La deliberazione è approvata con 40 voti favorevoli e un'astensione.


Argomento: Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici

Prima informativa sullo stato della pianificazione urbanistica (seguito)


PRESIDENTE

Riprendiamo il dibattito in merito alla prima informativa sullo stato della pianificazione urbanistica.
La parola all'Assessore Genovese per la replica.



GENOVESE Piero Arturo, Assessore all'urbanistica

Signor Presidente, ringrazio i colleghi che sono intervenuti nel dibattito. Cercherò di non tirare delle conclusioni definitive, ma di dare delle spiegazioni alle richieste avanzate.
Preciso subito che il senso di questa comunicazione era principalmente di corrispondere in modo documentato ad un'esigenza avvertita di conoscenza della situazione sullo stato della pianificazione nella nostra regione.
Comunicazione che è stata svolta, collega Pezzana, attraverso una relazione scritta pervenuta per tempo a tutti i Consiglieri e che credo abbia consentito a tutti, al di là dell'inadeguatezza della mia esposizione odierna, di fare delle valutazioni in ordine a dieci anni di applicazione della legge regionale di tutela ed uso del suolo. Risultati e valutazioni che possono essere principalmente di carattere quantitativo e di evidenziazione dei problemi di gestione della legge, per arrivare ad un giudizio che per alcuni colleghi è di totale fallimento e per altri invece è un giudizio positivo. A mio parere, e l'ho spiegato oggi, il giudizio è largamente positivo se consideriamo la situazione della pianificazione urbanistica sul nostro territorio prima della legge regionale n. 56; è di insoddisfazione se guardiamo alla capacità di gestione e di indirizzo da parte della Regione e di preoccupazione odierna per i problemi che si pongono e che credo siano oggettivamente e qualitativamente diversi da quelli presenti al momento della formazione della legge regionale n. 56.
Certamente questa è una legge che aveva dietro di sé una cultura precisa che può essere accettata o rifiutata, ma rimane anche il prodotto di una condizione economica e sociale diversa da quella che oggi viviamo e quindi occorre una valutazione serena e di merito alla luce degli obiettivi e dei risultati che oggi ci poniamo come istituzione nei confronti dei problemi della società.
Non credo sia importante per una Giunta proporsi di cambiare tutto per dimostrare che ha capacità di propria proposta e di iniziativa alternativa mentre penso invece che si debbano cambiare le cose che si ritiene non corrispondano alle esigenze e agli interessi collettivi per ragioni che si sono determinate nel tempo. A titolo personale non ho mai creduto che si debba dare un giudizio negativo di ciò che le istituzioni hanno prodotto con riferimento alle maggioranze che le hanno governate. Soprattutto ho molte perplessità a pronunciare giudizi definitivi di fallimento o di inadeguatezza delle norme e delle procedure regionali in materia ricordando peraltro come, essendo all'opposizione, ho cercato di partecipare ai tempi della formazione della legge n. 56 con proposte collaborazione e critiche là dove non ero convinto, ma con un atteggiamento che ha cercato di essere culturalmente motivato. Ora non credo, se guardiamo agli strumenti di pianificazione e ai contenuti dei piani, che si sia manifestata in questi anni in termini culturalmente apprezzabili una proposta alternativa al sistema di pianificazione che abbiamo.
Quindi sono partito da questa valutazione personale e politica. Ci sono da cambiare aspetti significativi di natura procedurale ed anche rispetto agli stessi contenuti della pianificazione credo vi sia una riflessione da fare. Ma non credo proponibile pensare ad un aggiornamento cancellando tutto. Ciò sarebbe possibile, in termini politicamente dignitosi e accettabili, solo se si fosse portatori di una proposta culturale e politica alternativa e maturata con motivazioni precise e comprensibili.
Proprio per questo, forse più modestamente, si è cercato di fare una valutazione sullo stato della pianificazione, fornendo i dati di conoscenza a tutti ed estendendo la valutazione anche ad alcuni momenti di funzionamento della struttura regionale e alla capacità di gestione politica da parte della Regione dei processi di pianificazione. Nella parte iniziale dell'intervento del collega Chiezzi credo che sia stata colta l'intenzione con cui ci si è presentati a questo dibattito, che rimane quella di capire quale spazio politico esista e quali aggiornamenti della normativa in materia oggi siano praticabili. Essendo assodato (e qui rispondo a diversi colleghi, in particolare al Consigliere Majorino) e dando per scontato che l'intenzione della maggioranza e della Giunta è quella di affrontare - avendolo ripetuto in vari documenti ufficiali di maggioranza e riaffermato all'interno dell'ultima stesura del Piano di sviluppo - una modifica di aggiornamento della normativa in materia di tutela ed uso del suolo. Rimane questa volontà, più volte espressa e che si confronta con il giudizio dato dai colleghi rispetto al tempo trascorso da quando è stata enunciata l'intenzione di procedere a modifiche della legge n. 56 dalla maggioranza di pentapartito. Oggi si tratta di capire se uno spazio politico esiste ancorché i tempi siano estremamente ristretti e non sia facile recuperare i ritardi in questo come in altri settori. Ritengo che i ritardi, e non lo dico per addossare ad altri delle responsabilità siano variamente motivati nel tempo e che molte volte abbiano una provenienza lontana. Ho presente, al di là del giudizio sulla normativa quale fosse il programma operativo enunciato nel 1980 alla chiusura della legislatura che aveva portato all'approvazione della legge regionale di tutela ed uso del suolo; un programma che individuava i problemi di gestione politica e di ruolo della Regione, che non è poi stato perseguito e che è caduto anche in termini di predisposizione degli strumenti necessari per svolgere un ruolo attivo, di indirizzo e di collaborazione nei confronti delle amministrazioni locali.
I ritardi esistono e sono difficili da recuperare, ma in ogni caso il tentativo di modificare questa situazione e di corrispondere ad uno dei punti programmatici della maggioranza e della Giunta di pentapartito e alle indicazioni dall'ultima stesura del Piano di sviluppo, induce ad affrontare, in termini brevi ed immediati, una riflessione che consenta definitivamente alla Giunta di comunicare al Consiglio regionale ufficialmente se è in grado di affrontare un confronto per arrivare alla modifica della legge regionale n. 56 in questa legislatura. La verifica degli impegni non è quindi di oggi.
Oggi si intendeva semplicemente capire quale spazio esista e se è possibile registrare una convergenza significativa di volontà rispetto all'esigenza di modifica che la maggioranza e la Giunta hanno manifestato ancorché i tempi ed anche gli "spazi" politici appaiano ristretti, poich l'approfondimento culturale necessario e sufficiente per affrontare un problema così delicato e complesso non c'è stato in questi anni, credo non solo all'interno della maggioranza o all'interno della Giunta, ma complessivamente all'interno dei Gruppi politici e della nostra società esistono invece posizioni e valutazioni molto divaricate senza che queste abbiano portato alla formulazione di visioni culturalmente mature e alternative rispetto al sistema di pianificazione urbanistica vigente.
Ora che cosa si può dire a conclusione di questo confronto e di questo dibattito? Innanzitutto riconfermare questa intenzione della Giunta e l'impegno ad avviare un processo aperto di larga consultazione; affinch questo non venga poi frainteso da parte del Consiglio regionale, deve essere detto che verrà avviato con i Gruppi politici e con le forze culturali e sociali un processo di confronto e di valutazione per arrivare in tempi accettabili ad una proposta della Giunta rispetto alla quale poi si verificherà la percorribilità di un processo di modificazione della legge n. 56 nel tempo che rimane di questa quarta legislatura regionale.
Vi è poi un altro problema che è stato sollevato, che mi sembrava molto più semplice da comprendere, ed è quello della gestione del settore. Nella comunicazione rassegnata a giugno, senza indicare scadenze perché ciò non sembrava necessario, sono stati indicati alcuni atti di natura amministrativa od organizzativa che possono essere nell'immediato compiuti per cercare di migliorare la condizione della gestione e dei rapporti tra la Regione e gli enti locali per avviare un processo di collaborazione attiva.
Le iniziative sono state indicate senza una scadenza, perché si ritengono assolutamente indispensabili; alcune di esse sono già state attuate, altre stanno per essere affrontate o sono state avviate. Ricordo ai colleghi che per quanto riguarda le modifiche di funzionamento del CUR si è proceduto e stiamo ora iniziando a sperimentare il nuovo sistema di esame-relazione dei piani, mentre già si preannuncia la volontà da parte del Consiglio, almeno di alcuni Gruppi, di ulteriori modifiche al CUR prima ancora di avviare la sperimentazione concreta delle norme che sono state introdotte. Per quanto riguarda la cartografia, c'è stata una decisione del Consiglio regionale che il collega Pezzana dovrebbe ricordare; quindi l'adempimento è già avvenuto nel senso che è stato approvato il progetto generale della carta tecnica, mentre, rispondendo anche al collega Chiezzi e guardandomi dal dire date precise, di cui poi si chiede conto molto puntualmente, devo precisare che non abbiamo ancora potuto appaltare i lavori di cartografia e che si stanno stendendo i capitolati. Il motivo principale sta nella difficoltà di predisporre questi capitolati d'appalto che non sono cosa semplice e per i quali non abbiamo un'esperienza diretta se non per piccole operazioni; una seconda difficoltà sta nella mancata risposta da parte del Ministero dei Trasporti in ordine alla possibilità o meno di indire un appalto europeo dato che per l'entità dello stesso dovremmo seguire la normativa europea, mentre per vecchie norme che riguardano il segreto militare non sappiamo se possiamo avere il permesso da parte dell'aviazione civile, e quindi del Ministero dei Trasporti, di estendere l'appalto a livello europeo.
Se le informazioni che abbiamo non sono sbagliate, una decisione rispetto al quesito che abbiamo posto dovrebbe essere presa tra oggi e domani, dopo le sollecitazioni che abbiamo rivolto a Roma e credo quindi che tra poco avremo le condizioni per decidere in ordine agli appalti e procedere all'inizio delle operazioni conseguenti per la formazione della carta tecnica regionale.
La circolare indicata nella comunicazione è in fase di valutazione.
Stesa da oltre due mesi, credo che potrà essere emanata a tempi brevi e che potrà dare un indirizzo più chiaro e preciso alle Amministrazioni comunali avviando modalità di valutazione e di esame dei piani migliori di quelle che abbiamo seguito nel passato.
Erano poi indicate altre operazioni da avviare e credo che ad alcune con la necessaria gradualità, daremo risposta nei prossimi mesi; così in materia di oneri di urbanizzazione, per i quali non esisteva un lavoro organico per la revisione della delibera quadro regionale ma alcune indicazioni predisposte dall'Assessore Calsolaro, in parte superate dalle modifiche introdotte agli standards in sede di revisione alla legge n. 56 e dalla legge n. 47; si tratta di riprendere la valutazione che in questi anni è venuta meno e gli uffici hanno iniziato a lavorare attorno ad una proposta di revisione della deliberazione stessa.
Vorrei precisare però che il problema principale di gestione riguarda la capacità di indirizzo da parte della Regione nei confronti dei Comuni e la necessità di avviare strumenti e iniziative di collaborazione e di consulenza permanente; ciò, in una condizione strutturale sempre più difficile, perché credo si debba dire che oggi all'interno dell'Assessorato all'urbanistica vi sono servizi che esistono ormai più solo sulla carta e si è in attesa di poter procedere attraverso assunzioni, quando mai si faranno, a realizzare una condizione diversa. Vi sono dei servizi dove non esiste più nessuno, come è per il servizio legislativo che assicurava la consulenza in materia alle Amministrazioni comunali, oppure per il Servizio promozionale del processo di pianificazione che è ridotto ad una unità.
Quindi credo di poter dire che il nocciolo duro della gestione è oggi la struttura. Considerando la realtà di oggi, si sta cercando di individuare nuove modalità di funzionamento anche in conseguenza della legge regionale di riorganizzazione che è stata approvata. A breve termine saremo in grado però di dare solo le risposte possibili, ma certamente non adeguate ai problemi che devono essere affrontati e alle esigenze che avvertiamo; quindi, anche le iniziative che dovrebbero essere assunte potranno essere avviate solo gradualmente. Queste cose vanno dette non per alibi o per rinuncia, ma perché si deve sapere che iniziative necessarie potranno essere solo gradualmente avviate dato che non ci sono le possibilità concrete di procedere diversamente.
Ciò precisato, credo che molti dei rilievi, delle difficoltà e delle ombre denunciate dai colleghi non possano che essere condivisi; per parte mia non ho fatto nulla per nasconderli, né in sede di stesura della comunicazione né mai nelle discussioni che vengono affrontate. Questi problemi esistono davvero e non credo di poter rispondere: "Faccio l'Assessore da poco", poiché non ha nessun significato; si tratta di difficoltà oggettive che si riscontrano all'interno della Regione e che richiamano responsabilità politiche che certamente non possono essere nascoste. Ma intendo con fermezza ribadire che ci sono altri aspetti che devono essere evidenziati: il primo è la capacità, comunque si giudichino le norme urbanistiche che abbiamo nella nostra Regione, che vi è stata in questi anni di portare avanti il processo di pianificazione con risultati che credo non possano temere il confronto con altre realtà regionali del nostro Paese. Arrivare alla situazione in cui tutti i Comuni siano dotati di una strumentazione urbanistica adeguata, è ancora oggi infatti un grosso obiettivo non solo per la nostra Regione, ma per la totalità delle Regioni italiane.
Va poi subito sottolineato con chiarezza che all'interno dell'Assessorato, pur esistendo ragioni di demotivazione legate all'insufficienza strutturale, è cresciuta una cultura ed una professionalità che sono un patrimonio importante per la Regione. Le cose si possono giudicare variamente, però all'interno dell'Assessorato esiste una competenza e un livello professionale adeguati ad affrontare i problemi, anche se le risposte non si manifestano nei termini di tempo che si vorrebbero; e ciò rappresenta un punto di partenza positivo su cui lavorare per migliorare la capacità di gestione e la capacità di indirizzo nel settore che la Regione deve essere in grado di esprimere.
Vi sono poi aspetti particolari che sono stati richiamati. Alcuni riguardano i modi e le procedure di lavoro e i rapporti tra i servizi e il Comitato urbanistico regionale. Può essere fondata l'osservazione che ha fatto il collega Chiezzi, e cioè che solo il 15% degli strumenti urbanistici generali sia stato approvato (questa verifica non l'ho fatta con esattezza, ma penso sia esatto) con modifiche d'ufficio da parte della Giunta regionale. In realtà, però, l'approvazione con modifiche d'ufficio si fa solo in alcuni casi, cioè può avvenire solo per assicurare l'applicazione formale delle leggi in materia e la correzione di errori materiali. Credo che possa esistere uno spazio non secondario di approvazione senza restituzione dei piani alle Amministrazioni comunali qualora si riesca a realizzare un rapporto effettivo di collaborazione e ad assicurare momenti di consulenza e di supporto sistematici alle Amministrazioni comunali. Con i limiti che oggi abbiamo questa è la strada principale da seguire e che sarà seguita nei prossimi mesi, per verificare e distinguere le difficoltà dalle inadempienze volute. Infatti, dopo dieci anni non possono più essere tollerate situazioni di inadempienza totale dei Comuni, ma sovente quelle che noi chiamiamo situazioni di inadempienza sono situazioni che scaturiscono da difficoltà oggettive che non conosciamo e che non abbiamo aiutato a superare. Solo ora si è fatta un'indagine per capire quali siano le motivazioni reali della inadempienza dei Comuni e credo che adesso si possa intervenire, caso per caso, per capire quali processi e quali rapporti debbono essere attivati per aiutare le Amministrazioni comunali che non hanno sinora provveduto a dotarsi di una adeguata strumentazione urbanistica; mentre va precisato che si porrà il problema della sostituzione nei confronti di Comuni che probabilmente ritengono di non doversi adeguare alla legge n. 56 e potrebbero essere Comuni significativi della nostra regione, per importanza e non solo per popolazione, che avendo uno strumento urbanistico generale post '68, o avendo uno strumento approvato ai sensi dell'art. 90 della legge n. 56 potrebbero non ravvisare alcuna utilità concreta e pratica nel dotarsi di una nuova strumentazione urbanistica. Questa è una osservazione e una valutazione che va ben verificata e da cui dovremo tirare le necessarie conseguenze assumendo le iniziative che si riterranno conseguentemente necessarie.
Posso assicurare il Consiglio che fatta questa verifica non mancherò di sottoporre all'attenzione della Giunta l'opportunità di procedere attraverso atti di sostituzione nei confronti dei Comuni che non fornissero una risposta positiva alla disponibilità di collaborazione che la Regione desidera assicurare.
Per quanto riguarda il problema sollevato del funzionamento del CUR.
non ho ravvisato sinora motivazioni per proporre un radicale mutamento perché questa riflessione si può solo fare dopo che si sono capiti i meccanismi di funzionamento concreto. Denuncio con molta schiettezza che non essendo professionalmente adeguato ho dei limiti rispetto alla funzione che mi è assegnata di presiedere le sedute del CUR e ho preferito cercare di capire che cosa succedeva; ogni decisione intempestiva mi pareva fuori luogo, però è certo che nel funzionamento del CUR. per prassi consolidate nel tempo, si sono seguite procedure di esame e di decisione che non corrispondono rigorosamente allo spirito e al dettato delle norme regionali. In particolare credo che se si osservano con attenzione e con rigore le norme dell'art. 15, si potrebbe concludere che in molti casi una seconda valutazione degli strumenti urbanistici da parte del CUR non è richiesta, mentre ciò avviene normalmente attraverso l'esame delle controdeduzioni fornite dal Comune. Ma per evitare il secondo esame del CUR. occorre applicare con rigore i commi 12 e 13 dell'art. 15 (mi riferisco a ciò per rispondere poi anche in ordine alla variante 31 ter) e formulare, nei casi in cui la norma lo consente, osservazioni e proposte di modifica puntuali che consentano un'approvazione automatica da parte della Giunta regionale degli strumenti restituiti con osservazioni, qualora le Amministrazioni interessate non rispondano nell'arco di 45 giorni, cioè nei 30 giorni più i 15 relativi all'esecutività della deliberazione di Consiglio comunale. Questa è la via normale indicata dall'art. 15, che è però stato interpretato per esigenze fondate sovente ad una restituzione degli atti con osservazioni non puntuali da parte del CUR e al successivo esame delle controdeduzioni comunali da parte del Comitato stesso.
Nel funzionamento del CUR. già con le norme che oggi abbiamo, esistono spazi e possibilità di precisazione e di cambiamento, comunque subordinati a un indirizzo che deve essere scelto e che fino ad oggi, in attesa di capire meglio i meccanismi in atto, non ho ritenuto di sottoporre n all'attenzione della struttura né a quella della Giunta e del Consiglio.
Credo cioè che il CUR possa già oggi funzionare in termini più adeguati e possa con le norme di legge e regolamentari che ci siamo dati assicurare un funzionamento più efficiente, meglio definito, coerente con obiettivi che devono essere individuati e resi espliciti. Non solo per le proposte di legge presentate di recente in materia, ma anche in conseguenza dell'esame di pratiche particolarmente difficili e complesse pervenute ultimamente alla considerazione del CUR. lo stesso è oggi molto discusso all'interno e fuori del Consiglio regionale. So benissimo che alcuni colleghi hanno lamentato o lamentano che all'interno del CUR si inserisce di fatto anche una valutazione di ordine politico sulle pratiche in esame; ma ciò, come ho già detto in Comitato, non può essere a mio avviso motivo di scandalo particolare. Infatti, occorre avvertire come a fronte di problemi particolarmente rilevanti e complessi, soprattutto quelli che riguardano la città di Torino e l'area metropolitana, inevitabilmente sul CUR si scarichi e si concentri una valutazione anche di ordine politico. Come per tutti gli organismi formati da molte persone, ed è appunto il caso del CUR. è difficile pensare che questi pur essendo chiamati ad esprimere una valutazione tecnica siano impermeabili a considerazioni di ordine politico.
Credo però di poter dire oggi che, pur con i difetti di funzionamento che può avere, il CUR per la larga rappresentatività, per il livello culturale di coloro che ne fanno parte e per la competenza specifica, è e rimane una stanza di compensazione accettabile rispetto a quanto avviene al di fuori della Regione. E' ancora cioè una sede in cui le opinioni di carattere professionale, culturale, tecnico e disciplinare, si confrontano apertamente e prevalgono su quelle, pur a volte avvertibili, di parte. Non penso che alcuno possa immaginare che il CUR non venga sfiorato, in momenti particolari di tensione, da valutazioni politiche; anche perché sovente sono le stesse istituzioni politiche e amministrative che inevitabilmente provocano una riflessione politica all'interno degli organismi tecnici.
Devo aggiungere rispetto alle vicende che maggiormente hanno impegnato il CUR negli ultimi tempi e rispetto alle decisioni assunte, per esempio sulla variante 31 ter, che i membri del CUR e nel caso specifico i funzionari che erano relatori sulla variante 31 ter hanno operato in piena autonomia, ancorché il clima complessivo, e non la pressione specifica premesse sulle valutazioni e sulle decisioni da assumere e che le proposte formulate siano culturalmente dignitose, tecnicamente motivate e serie e hanno consentito una libera discussione nel pieno rispetto delle norme che la Regione si è data.
Non pensavo oggi di dover entrare nello specifico, dato che esistono due interpellanze sul problema della variante 31 ter; ma poiché il problema è stato ampiamente discusso all'interno di questo dibattito, credo di dover aggiungere qualche valutazione. Per la variante 31 ter credo di poter dire che la valutazione degli istruttori, dei relatori e del CUR ha portato a configurare un parere di non accoglibilità totale, poiché nella formulazione approvata dal Comune non era, nel giudizio dei relatori e del CUR. accoglibile. Noi dovevamo valutare questa pratica urbanistica come le altre, non dicendo che il Comune di Torino è diverso da altri Comuni, anche se per importanza e per il rilievo dei problemi lo è certamente. Dovevamo quindi valutare questa variante con tutta l'attenzione che l'importanza della proposta richiedeva: per il significato che assume, per i problemi che affronta, per l'attesa che esiste e non per motivi di "collegamento politico" con una Giunta comunale. La città di Torino presentava una variante importante e di grande rilievo ai propri strumenti urbanistici generali, sia pure in forma discutibile e discussa, e proprio per questo l'attenzione doveva essere massima. Credo che la Regione abbia dato una risposta accettabile e tempestiva. Il collega Pezzana chiede che fine ha fatto la variante e dice che la Regione ne ha bloccato l'esame. La Regione non ha bloccato proprio un bel niente. Abbiamo ricevuto le ultime integrazioni alla variante 31 ter richieste al Comune, pur avendone già iniziato l'esame, il 3 agosto. Il 5 settembre, terminata l'istruttoria e la stesura della relazione, la variante 31 ter è stata portata all'esame del CUR. Dopo il 5 settembre si sono tenute una dozzina circa di riunioni formali ed informali del CUR per proseguirne l'esame e costituire il parere secondo modalità che sono state decise dal CUR e che io ritengo - collega Chiezzi discutibili ma legittime; discutibili nel senso che sono opinabili ma certamente legittime.
Innanzitutto si sono dovute risolvere questioni di legittimità che sono state poste come pregiudiziali all'interno del CUR che, a larghissima maggioranza, ha ritenuto di non ravvisare nella variante 31 ter contenuti tali da far ritenere che non fosse proponibile ai sensi del terzo comma dell'art. 17. Il CUR cioè ha innanzitutto ritenuto la variante presentabile ai sensi del terzo comma dell'art. 17 della legge n. 56, come variante importante e significativa ma non "sostanziale" con riferimento formale alla legge. Per legge le varianti sono "sostanziali" o "non sostanziali" ma non esiste una definizione certa per dire quando una variante sia sostanziale o meno e quindi sovente occorre dare un'interpretazione della norma, anche se l'art. 17 chiarisce in modo sufficiente quali siano le varianti non sostanziali. Il CUR nel caso in questione ha ritenuto che la variante potesse essere formata e presentata ai sensi del terzo comma dell'art. 17.
Successivamente è stata posta un'altra questione pregiudiziale in ordine ai criteri di esame e di formulazione del parere. Il CUR non ha scelto, come alcuni colleghi sostengono, una procedura inusitata o non consentita dalla legge, bensì la procedura normale prevista dall'art. 15 poiché è invece la prassi che sovente si è discostata in altri casi dalla norma. Ai sensi dell'art. 15 della legge n. 56 le pratiche urbanistiche possono essere da parte della Giunta valutate ed approvate sulla base di proposte di modifica, formulate previo parere del Comitato regionale e comunicate al Comune che entro 30 giorni adotta con deliberazione consiliare le proprie controdeduzioni. Questa è la via ordinaria quando non si chiede una rielaborazione totale o parziale, ma si fanno solo delle osservazioni, e le stesse non siano per adeguamento alla legge o per cancellare errori materiali: nel qual caso c'è la possibilità di modifiche d'ufficio. Il comma tredicesimo poi aggiunge: "in caso di silenzio del Comune, oltre ai termini fissati per le controdeduzioni, le modifiche sono introdotte d'ufficio nel Piano regolatore dalla Giunta regionale". Questa lo ripeto, è la via ordinaria, ancorché in molti casi per prassi il CUR - e la Giunta regionale lo ha accolto in tutti questi anni - abbia deciso l'applicazione solo del comma dodicesimo senza citare il tredicesimo e quindi lasciando 30 giorni per le controdeduzioni comunali come termine ordinatorio e lasciando al Comune la possibilità di valutazione più ampia delle osservazioni poiché a volte queste non possono essere fatte facilmente in modo puntuale e perché si vuole evitare, a fronte delle difficoltà dell'iter di formazione ed approvazione del piano urbanistico di rinviarlo per rielaborazioni parziali; il che comporterebbe la ripubblicazione, con procedure di fatto equivalenti, come tempi, alla formazione di un progetto definitivo di strumento urbanistico generale o di sua variante. In definitiva, per la variante 31 ter non si è scelta una procedura inusitata, dato che è quella prevista per legge e seguita anche per altri Comuni, dato che nel limite della legittimità e della correttezza degli atti proposti si cerca di dare risposte che tengano anche conto che nel tempo si sono accumulati ritardi e inadempienze, certamente imputabili alle amministrazioni locali, ma sovente anche all'Amministrazione regionale; alla nostra inadeguatezza a dar corso ad un processo di pianificazione urbanistica che non sia solo di verifica e di controllo, ma di supporto attivo per aiutare i Comuni a superare le difficoltà oggettive che a volte si presentano nell'applicazione della normativa regionale. Non abbiamo seguito quindi nessuna via eccezionale o straordinaria: il CUR a maggioranza, su alcuni con maggioranza semplice di un voto (in alcuni momenti è stato così, perché è stata una decisione sofferta e difficile) ha rassegnato un parere finale che ritengo legittimo, ancorché rischioso dato che non ci si è limitati ad osservazioni ma si sono rielaborate puntualmente proposte di modifica delle norme adottate che sono comunque sottoposte al Comune, che ha 30 giorni di tempo per adottare le proprie controdeduzioni. La legge dice che il Comune adotta le controdeduzioni e che, solo in caso di silenzio, la Giunta regionale può sostituirsi; ma la norma è il rinvio in controdeduzioni affinché il Comune deliberi sulle proposte che la Regione formula. Nel caso sollevato non vi è stata la sostituzione del Comune, bensì la ricerca di riportare la variante 31 ter entro limiti di accettabilità cercando di applicare criteri che sono contenuti all'interno della legge regionale n. 56, in quanto il Comune di Torino non ha un Piano regolatore formato e adottato ai sensi della legge regionale n. 56. E' una vecchia questione aperta nella nostra Regione; la Regione avrebbe a suo tempo potuto (o dovuto) chiarire che per i Comuni non dotati di Piano regolatore formato ai sensi della legge regionale n. 56 era ammessa una sola variante agli strumenti urbanistici generali formata contestualmente all'adozione del primo programma pluriennale di attuazione e con l'adeguamento agli standards, e che successivamente non avrebbero più potuto presentare varianti, ma procedere ad adeguare la propria strumentazione alle norme della legge n. 56. Riconosciuta invece la possibilità, per questi Comuni, di presentare successive varianti, ciò è stato applicato per tutta la Regione e di conseguenza siamo in una condizione di valutazione molto rischiosa e difficile, a cui però non ci possiamo sottrarre. Nel caso della variante 31 ter si è cercato di fare riferimento ai criteri della legge n. 56 proponendo delle norme che ritengo possano riportarla in un ambito di accettabilità e di correttezza con trasparenza di procedure. Quanto affermo è certamente opinabile, ma questa è stata la scelta che il CUR ha fatto ed è una scelta nel cui merito non credo oggi di dover entrare, perché non sarebbe da parte mia corretto. Mi sono solo soffermato sulle procedure che sono state richiamate. Non sarebbe invece corretto entrare nel merito, perché nessuno di noi pu presumere che il Comune di Torino non si esprima in ordine al parere del CUR e quindi, secondo la prassi vigente e fino ad oggi accettata all'interno dell'Assessorato, le controdeduzioni dovranno essere nuovamente valutate dal CUR e solo dopo sottoposte all'attenzione della Giunta per l'approvazione definitiva. Siamo ancora in una situazione procedurale aperta, in cui non posso dare valutazioni di merito pubblicamente, prima della trasmissione del parere al Comune, attualmente in corso di stesura da parte del Servizio di segreteria del CUR. Posso garantire ai colleghi che non appena il parere sarà trasmesso al Comune, mi farò premura di farlo avere a coloro che desiderassero conoscerlo e credo che dopo ci si potrà soffermare anche nel merito dello stesso.
Intendo però precisare che certamente se ne può discutere in Consiglio regionale e che posso anche svolgere una comunicazione, mentre certamente dovrò rispondere alle interpellanze, rendendo conto anche nel merito e non solo dell'iter procedurale che è stato seguito, ma che in ogni caso questo problema non può restare in sospeso o in attesa. Io ho il dovere di trasmettere il parere del CUR al Comune, perché questo credo sia un compito che spetta alla Giunta. Posso semmai sottoporre alla Giunta le proposte contenute nel parere espresso dal CUR. anche se la Giunta ha delegato da sempre l'Assessore competente a trasmettere, come atto dovuto, i pareri alle Amministrazioni interessate.
In conclusione, chiedendo scusa per essere stato così lungo, vorrei ringraziare i colleghi per il contributo di idee, anche critico, che è stato dato. Pur con tutte le difficoltà e con le perplessità che già ho richiamato sui tempi che ci rimangono, credo che la Giunta, non potendo trarre conclusioni formali immediate, affronterà nei termini che sono stati di massima indicati, tenendone informati il Consiglio e la competente Commissione consiliare, il processo di valutazione per arrivare, nei tempi più brevi possibili, ad una proposta organica di aggiornamento della normativa in materia di tutela ed uso del suolo. Mi auguro che a questo processo concorra il contributo e l'apporto di tutte le parti, fermo restando che la Giunta si assumerà la responsabilità di una propria proposta da rassegnare al Consiglio in tempo utile affinché il confronto possa avvenire all'interno del tempo che ci rimane di questa quarta legislatura.



PRESIDENTE

Ringrazio l'Assessore del suo intervento. Per non ripetere in aula una discussione sull'argomento, c'è una proposta concreta che il collega Chiezzi ha suggerito alla Presidenza.
La parola al Consigliere Chiezzi.



CHIEZZI Giuseppe

Signor Presidente, ho chiesto la parola perché mi sembra indiscutibile che l'ultima parte della replica dell'Assessore si configuri come una comunicazione al Consiglio su un tema nuovo.



PRESIDENTE

Come risposta ad una interpellanza.



CHIEZZI Giuseppe

L'Assessore, essendoci delle interpellanze, si dichiara disponibile a discuterle in Consiglio: sarebbe meglio discuterle nell'ambito di una comunicazione della Giunta.
Comunque, dato che rimangono perplessità su questa procedura, chiederei all'Assessore se, successivamente alla decisione di Giunta in ordine alla procedura prescelta per l'approvazione di questa variante, può riferire in Commissione fornendo preventivamente il testo della nuova variante 31 ter così come l'avrebbe riscritta il CUR. in modo tale che in Commissione sia possibile un confronto di merito sulla questione, se le modifiche proposte alla variante dal CUR siano o no sostanziali rispetto alla variante che aveva adottato Torino. Io sostengo di sì, però si consenta di leggere le modifiche del CUR e di discuterle in modo approfondito in Commissione. In tal modo in Consiglio regionale, in sede di discussione dell'interpellanza si potrà essere più rapidi.



FERRARA Franco

Questo prima di inviarlo al Comune?



CHIEZZI Giuseppe

Certo, l'Assessore, scelta la procedura, può farlo la prossima settimana, non è un problema di tempi, venga in Commissione o al primo Consiglio regionale e se ne discuta.
Collega Ferrara, se il parere del CUR non è ancora scritto, si sbrighino a scriverlo, lo mandino ai Consiglieri regionali e si faccia il dibattito in Commissione per non impegnare molto tempo del Consiglio. Se si preferisce il Consiglio non saremo certo noi a dire di no.



GENOVESE Piero Arturo, Assessore all'urbanistica

Non è che gli uffici si devono sbrigare a scrivere. La verità è che gli uffici non possono inviare il parere espresso dal CUR prima di avere steso tutti i verbali, ancorché sommari, delle sedute. Per stendere i verbali sommari delle sedute ci vuole del tempo, e credo che tutti lo comprendano perché le sedute ordinarie e straordinarie sono durate due mesi. Le operazioni sono praticamente terminate, devono essere ricopiati i verbali sommari sul librone rilegato, che è ancora adottato in questa Regione dopodiché, stesi i verbali, essendo il parere pronto, perché è stato steso durante le sedute al momento delle votazioni sugli articoli, si potrà trasmettere. E' stato detto che sarà trasmesso con delibera di Giunta, ma ciò non è mai successo, signor Presidente. Il parere del CUR è un atto che è sempre stato automaticamente trasmesso alle Amministrazioni comunali e non è mai stato valutato dalla Giunta in questi dieci anni di applicazione della legge n. 56. E' una questione che pongo al Presidente della Giunta regionale e alla Giunta nel suo complesso. Sarebbe un'innovazione davvero rilevante di ordine procedurale, perché la trasmissione è sempre stata ritenuta un atto dovuto. L'Assessore si limita a firmare le lettere di trasmissione del parere che il CUR ha rassegnato. Leggendo la legge si pu anche capire altro. Come ho già detto prima ci sono delle prassi, secondo me discutibili, che sono state seguite nel funzionamento del CUR. Per chiarezza domani proporrò il problema alla Giunta. Se la Giunta non cambierà indirizzo, la trasmissione dei pareri è un atto dovuto di tipo formale a cui adempie l'Assessore incaricato.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Avrei rinunciato ad intervenire se non avessi sentito la frase dell'Assessore che mi ha creato qualche problema. La Giunta è liberissima di valutare come determinarsi in ordine al parere del CUR. ma come Consiglio dobbiamo chiarire che non è possibile alcun tipo di intervento del Consiglio nella procedura di approvazione. I fatti di ispezione politica e di responsabilità politica sono successivi, non in itinere. Su questo punto chiediamo di essere molto chiari. Noi ci opporremo e chiederemo che venga dichiarato recepibile qualunque tipo di documento che dovesse essere presentato e tendente a far intervenire il Consiglio nel processo di approvazione della variante 31 ter.
Quando la Giunta avrà assunto le sue determinazioni su questo, si aprirà il processo di ispezione politica e di verifica delle responsabilità assunte.



PRESIDENTE

Collega Marchini, poiché vi erano delle interpellanze in atto, il tentativo era quello di discuterle in Commissione, non in aula.



MARCHINI Sergio

Dopo quello che è successo in Commissione.



PRESIDENTE

Benissimo. L'aula sarà nuovamente investita dalle interpellanze presentate e dalle risposte dell'Assessore.
Si chiude così il dibattito sulla comunicazione relativa allo stato della pianificazione urbanistica.


Argomento:

Annunzio interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno


PRESIDENTE

I testi delle interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno pervenute all'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale verranno allegati al processo verbale dell'adunanza in corso.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19)



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