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Dettaglio seduta n.112 del 10/12/87 - Legislatura n. IV - Sedute dal 12 maggio 1985 al 5 maggio 1990

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Argomento:


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PETRINI


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Passiamo al punto 1) all'o.d.g.: "Approvazione verbali precedenti sedute". Se non ci sono osservazioni i processi verbali delle adunanze consiliari del 20 e 26 febbraio, 5, 12 e 19 marzo 1987, distribuiti ai Consiglieri nella seduta del 3 dicembre u.s., si intendono approvati.
Proporrei di iniziare la discussione sulla trasformazione urbanistica del complesso del Lingotto in merito alla quale sono state presentate interpellanze ed interrogazioni. Vi sono dichiarazioni? Chiede la parola il Consigliere Bontempi. Ne ha facoltà.



BONTEMPI Rinaldo

Signor Presidente, poiché sono interpellanze e interrogazioni di rilievo perché pongono la questione del governo della Regione, non credo si possa iniziare la disputa verbale tra i Consiglieri in un'aula quasi deserta. Qui c'è sempre una doppia verità, quella delle ore 9,30 per una piccola parte di Consiglieri e l'altra per gli altri. Il ritmo slow sarà sempre più slow fino a che non ci sarà un minimo di presenza consiliare.
La Giunta è assente a dimostrazione che ignora totalmente il suo ruolo di governo.



PRESIDENTE

Consigliere Bontempi, ho constatato che erano presenti gli interroganti e l'Assessore e, come è sempre avvenuto, ho dichiarato aperta la seduta d'altra parte i lavori avrebbero dovuto iniziare alle ore 9.30 mentre ora sono quasi le 10.
Sospendo la seduta per dieci minuti.



(La seduta, sospesa alle ore 9.50 riprende alle ore 10,10)


Argomento: Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici

Interpellanza n. 1026 dei Consiglieri Chiezzi, Bontempi e Biazzi inerente il complesso del Lingotto; interpellanza n. 1082 dei Consiglieri Bontempi Biazzi, Chiezzi, Montefalchesi e Sestero inerente la trasformazione urbanistica del complesso del Lingotto; interrogazione 1086 del Consigliere Picco inerente la realizzazione del Salone dell'automobile del Lingotto interrogazione n. 1102 dei Consiglieri Marchini e Santoni sull'utilizzazione dell'area industriale del Lingotto


PRESIDENTE

La seduta riprende.
Il punto 2) all'o.d.g. prevede "Interrogazioni ed interpellanze".
Esaminiamo dunque congiuntamente le interpellanze nn. 1026 e 1082 e le interrogazioni nn. 1086 e 1102.
Se nessun Consigliere intende illustrare le interpellanze, darei la parola all'Assessore Genovese.



GENOVESE Piero Arturo, Assessore all'urbanistica

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, già nel corso della breve comunicazione della scorsa settimana, riferendo sulle iniziative assunte dalla Giunta regionale in ordine alle trasformazioni in atto e autorizzate del complesso Lingotto, ho avuto modo di richiamare i contenuti delle interpellanze n. 1026 e n. 1082 del collega Bontempi e di altri colleghi del Gruppo comunista.
Non credo di doverle riprendere anche perché la vicenda è nota ai Consiglieri presenti. Devo comunicare peraltro che sono pervenute - siamo venuti a conoscenza solo ieri - altre due interrogazioni sulla vicenda stessa della trasformazione del complesso Lingotto presentate da parte del collega Picco e dei colleghi Santoni e Marchini.
Dopo la comunicazione svolta giovedì scorso a nome della Giunta, senza peraltro entrare nel merito dei problemi, il collega Chiezzi aveva precisato in aula i punti centrali ed essenziali delle richieste rivolte alla Giunta da parte del Gruppo consiliare PCI e aveva invitato la Giunta ad affrontare questi problemi senza arzigogolare. Cercherò quindi di non arzigogolare, precisando però adeguatamente i fatti, le valutazioni, gli aspetti formali e quelli sostanziali, poiché la complessità e l'importanza delle operazioni avviate e di quelle da prevedere, a fronte dell'inadeguatezza degli strumenti di pianificazione vigenti in Torino sconsigliano eccessive semplificazioni.
Comincerò col rispondere alla interpellanza urgentissima presentata dal Gruppo consiliare PCI riguardante l'autorizzazione n. 1597 e alla prima parte dell'interrogazione del Gruppo liberale. Cercherò contestualmente di rispondere all'altra interpellanza del Gruppo comunista e all'interrogazione del collega Picco.
E' necessario preliminarmente inquadrare la questione. Il 2O ottobre 1987 il Comune di Torino ha rilasciato l'autorizzazione edilizia n. 1597 per l'esecuzione delle seguenti opere, così come sono indicate nell'atto comunale fornito in copia: installazione di tettoia temporanea in struttura mista (acciaio cemento armato) a copertura di cortile per usi espositivi adeguamento delle uscite e scale di sicurezza dei fabbricati adiacenti e formazione di nuovo gruppo di servizi igienici interni e opere varie di sistemazione.
Il rilascio dell'atto autorizzativo in questione era stato preceduto dalla stipulazione di un atto d'obbligo che, registrato, è stato richiamato nell'autorizzazione e pertanto ne fa parte integrante. Merita al riguardo notare come nelle premesse la S.p.A. FIAT dichiari di avere presentato istanza di "autorizzazione per eseguire copertura del quarto cortile, lato presse, e le modifiche interne e di prospetto per risistemazione dell'area espositiva all'interno delle due maniche della ex officina principale" oltre ad altre opere minori.
La società stessa nell'atto d'obbligo si impegna "al momento dell'approvazione del Piano particolareggiato del complesso del Lingotto attualmente in corso di predisposizione: a) a rimuovere a sua cura e spese le opere eseguite e a ripristinare la situazione precedente a semplice richiesta del Comune senza diritto ad alcun risarcimento e indennità b) a richiedere la conversione dell'autorizzazione provvisoria in concessione definitiva qualora le opere risultino conformi al suddetto Piano particolareggiato e il Comune rinunci ad avvalersi delle facoltà di cui al precedente punto a)".
La Fiat Auto S.p.A. ha dichiarato inoltre che la scrittura in oggetto sottoscritta nell'interesse pubblico edilizio a favore della Città di Torino "non potrà essere revocata, rinunciata o modificata senza il consenso scritto della Città di Torino".
Occorre però tornare ad altri atti precedenti, non senza aver notato che è stata anche acquisita, ancora presso gli uffici comunali, una copia della dichiarazione di intenti ad edificare, presentata dalla società in data 2/9/1987 ai fini presumibili di richiesta di inserimento nella integrazione del secondo Programma pluriennale di attuazione; in detta dichiarazione si denuncia una superficie coperta lorda di 181.000 mq ed una edificazione in ampliamento a carattere industriale che, collocandosi in una superficie esistente di calpestio di 310.723 mq, amplierebbe di 2.700 mq l'esistente con un investimento di circa 3 miliardi e con un rapporto di copertura inferiore a 2:1.
L'autorizzazione di cui si tratta in realtà non è altro, sinora, che l'ultima di una serie di altre sei che dal 1984 il Comune di Torino ha rilasciato alla S.p.A. FIAT onde consentire lo svolgimento del Salone dell'automobile. E' stato infatti accertato in sede di sopralluogo che le autorizzazioni hanno consentito: in data 16/4/1984 (n. 1374), la realizzazione di modifiche interne per la copertura delle fosse nella sala presse ed inoltre la realizzazione di servizi igienici in data 2/5/1984 (n. 1587) la realizzazione di modifiche interne nel terzo cortile e la realizzazione di servizi igienici e locali di ristorazione in data 30/10/1984 (n. 3068) modifiche interne con realizzazione di scale nella sala presse ed inoltre la realizzazione di biglietterie e di uffici in data 27/11/1985 due autorizzazioni per la realizzazione di uno svincolo e la formazione di uscite di sicurezza nella sala presse (nn.2272 e 2273) in data 13/3/1986 (n. 447) modifiche interne e realizzazione di due scale esterne (forse poi non realizzate).
Non si può inoltre non ricordare che nella deliberazione della Giunta municipale del 14/5/1984 (ratificata dal Consiglio comunale il 22/5/1984) che consentì per quattro anni l'utilizzazione temporanea del complesso Lingotto a fini fieristici con la riconosciuta necessità di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria sull'esistente, era altresì contenuto un riferimento ad una planimetria esplicativa ove erano indicate le aree espositive (quelle "coperte" e quelle "scoperte") e le aree destinate a "viabilità", a "parcheggi" e a "servizi": tra le aree espositive "scoperte" era indicato anche il quarto cortile, lato presse che costituisce oggetto dell'ultima autorizzazione richiamata nell'interpellanza, per quanto riguarda la copertura temporanea.
Merita ancora notare che sono stati acquisiti 11 allegati planimetrici relativi all'autorizzazione n. 1597 (riprodotti in Assessorato) e sono state scattate fotografie in data 2/12/1987 ad illustrazione dei lavori in corso che consistevano alla data stessa nella posa in opera di alcune colonne portanti installate a ridosso delle preesistenti ed imbullonate al suolo con piastre, nella posa di alcune travature in ferro oltre alla posa di due capriate centrali di copertura.
Sono stati altresì acquisiti, per l'esame istruttorio e per l'approfondimento delle interpellanze presentate, altri atti presso il Comune e presso la Società che non è il caso di elencare e che principalmente riguardano atti relativi alle autorizzazioni (l'ultima in particolare), oltreché alcuni atti urbanistici, e precisamente le varianti che si sono susseguite nel tempo, l'ultima delle quali, la n. 31 ter, non è ancora pervenuta in Regione in quanto solo adottata, per ora, dal Consiglio comunale di Torino.
Appare utile a questo punto fornire una descrizione di quanto autorizzato con atto comunale il 20/10/1987, premettendo che il Comune ha individuato, come già è stato descritto, l'installazione di una tettoia temporanea oltre all'adeguamento di uscite e scale di sicurezza con creazione di servizi igienici e opere varie, e che nella cartella della pratica, oltre alle condizioni di cui si dirà oltre, è espressamente individuata "la realizzazione di copertura di cortile per usi espositivi da assoggettare ad atto d'obbligo" e più oltre si accenna alla "installazione di tettoia temporanea, in struttura mista acciaio-cemento, a copertura di cortile".
La proprietà complessivamente ha ritenuto di richiedere: la realizzazione di una copertura di un cortile (il n. 4); modifiche interne e di prospetto per risistemazione dell'area espositiva con abbassamento del piano pavimento; collegamento con l'area espositiva ex reparto presse risistemazione percorsi di accesso all'area espositiva.
Da una disamina degli atti planimetrici appare che è prevista (e già realizzata) la demolizione dei tamponamenti interni ed esterni in luogo dei quali saranno realizzati all'esterno nuovi tamponamenti in vetro temperato e l'apertura di portoni per transito di camion con uscite di sicurezza inserite (lato via Nizza e lato strada interna al Lingotto), mentre parrebbe che all'interno i tamponamenti non siano più realizzati. Dico parrebbe perché dalle cartografie non risulta con molta chiarezza se saranno realizzati degli altri tamponamenti o se resterà il collegamento diretto fra i corpi esistenti e il vano che si verrà a ricavare con la copertura autorizzata del quarto cortile.
Conviene ancora ricordare che nel protocollo d'accordo del 1984 era già indicato nel cortile quarto (quello in questione) e nel terzo una destinazione specifica ad esposizione scoperta, ma non si faceva riferimento ad eventuali operazioni di ampliamento della superficie coperta.
Descritto l'intervento sotto i vari punti di vista, occorre spendere alcune considerazioni sulla normativa urbanistica vigente. Conformemente a quanto richiesto con nota dell'Assessorato, il Comune di Torino ha fornito copia della variante 31 ter adottata, non ancora pervenuta in Regione, e pertanto appare che la zona in questione è normata, oltre che dal Piano Regolatore Generale approvato nel 1959, dalla variante 17, dalla variante 31 bis e dalla variante in itinere - già in salvaguardia - 31 ter.
L'indagine è stata svolta nella considerazione dell'applicabilità di detti strumenti urbanistici da parte del Servizio vigilanza urbanistica in collaborazione con i responsabili di altri Servizi dell'Assessorato: dall'analisi sistematica delle diverse varianti l'intervento in questione non risulta vietato, sia come destinazione d'uso sia come ampliamento della superficie coperta.
Esaminato il Piano Regolatore Generale del 1959, appare poi difficile sostenere che la destinazione fieristica sarebbe vietata, atteso che l'art.
13 del Piano Regolatore Generale del 1959 esclude solo altre fattispecie e non fissa alcun limite di cubatura. Ancora la variante 17 conteneva all'art. 4 l'obbligo del Piano particolareggiato nella zona in questione come in altre, per ogni intervento edilizio, ma tuttavia una successiva deliberazione della Giunta municipale del 16/9/1975 limitava nel tempo a 5 anni tale obbligo.
Più recentemente la questione si è sufficientemente chiarita in quanto le varianti 31 bis, approvata, e la 31 ter, adottata, hanno posto un limite di 2:1 per la superficie di calpestio, distinguendo la normativa applicabile a seconda dell'inserimento o meno degli interventi nel Programma pluriennale di attuazione, con una limitazione dell'aumento della superficie coperta, pari a 1000 mq di superficie di calpestio, per i soli interventi produttivi al di fuori del PPA. Norma questa che ricalca quella dell'art. 33 della legge n. 56/77 e che a mio avviso non è comunque applicabile, almeno sino alla fine del 1987, per la normativa transitoria introdotta dalla legge n. 94 (legge Nicolazzi) e successive proroghe, e dall'art. 91 quinques della L.R. n. 56/77.
Il rapporto di copertura 2:1 appare rispettato e l'intervento possibile anche se non inserito in Programma pluriennale di attuazione.
Non ravvisando alcun elemento ostativo alla realizzazione dell'intervento sulla base degli atti acquisiti e valutati all'interno dell'Assessorato, il problema della legittimità dell'intervento si sposta quindi sul "nomen iuris" da attribuire all'intervento stesso: concessione o autorizzazione, quest'ultima comunque non subordinata all'inclusione nel PPA.
Si pone pertanto il problema se il manufatto centrale sia o meno una tettoia e se sia temporanea come afferma la legge regionale n. 56/77. La norma in questione (art. 56, lettera a) in precedenza, lettera c) attualmente dopo le modifiche intervenute) ha introdotto successivamente il requisito della temporaneità per potere qualificare l'intervento come soggetto ad autorizzazione.
Non esiste in materia di giurisprudenza al riguardo e, trattandosi di norma regionale, dovrebbe forse la Regione chiarirne i contorni con interpretazioni ufficiali o con circolari. In assenza di queste, si è dovuto procedere per il caso in questione ad una interpretazione specifica come d'altronde è già avvenuto in altri casi da parte dei servizi regionali.
Occorre innanzitutto precisare che non sembra esistere una definizione univoca e certa di tettoia desumibile con sufficiente chiarezza e riconducibile alle tecniche costruttive attuali e che per altro verso l'indicazione degli interventi autorizzabili, temporaneamente operata dall'art. 56 della legge n. 56/77, non sembra possa essere considerata esaustiva: la norma, cioè, non riguarda tanto la struttura che si autorizza, bensì "l'occupazione" o "l'uso del suolo" che si realizza con caratteristiche oggettive di temporaneità definita e certa e che non deve comunque comportare una trasformazione urbanistica ed edilizia irreversibile del territorio.
Nel caso in esame, a prescindere dall'entità delle opere autorizzate le opere di sostegno della copertura appaiono chiaramente eliminabili in quanto imbullonate o posate su altri elementi e non incorporate nelle strutture edilizie preesistenti. Meno certa e definita invece appare la temporaneità delle opere; risulta infatti che fa parte integrante dell'autorizzazione il già citato atto d'obbligo unilaterale nel quale la proprietà si impegna a rimuovere le opere, a richiesta dell'Amministrazione, al momento dell'approvazione del Piano particolareggiato attualmente in corso di elaborazione. Tale "impegno" non garantisce di per sé il carattere certo di "temporaneità" dell'opera e dell'uso del suolo: infatti il Piano particolareggiato non si sa quando, n se sarà approvato, al di là delle volontà e degli impegni convenzionali tra le parti, né tanto meno può essere richiamato a mio avviso, come riferimento, il periodo di validità del protocollo d'intesa e la sua scadenza, in quanto pur sempre prorogabile e comunque privo di ogni valore sotto il profilo urbanistico.
A conclusione, l'autorizzazione rilasciata appare incompleta, ma non illegittima in quanto non si ravvisano violazioni di legge atte a configurare un interesse pubblico concreto ed attuale all'intervento repressivo della Regione; quindi appare necessaria una sua integrazione congiuntamente ad una revisione dell'atto d'obbligo unilaterale, per definire con certezza di scadenza il suo carattere di temporaneità, e ad essa dovremmo richiamare l'Amministrazione comunale invitandola in sede di autotutela a provvedere alle integrazioni che sono richieste.
Questo almeno allo stato degli atti, non essendo al momento concluso formalmente da parte degli uffici preposti l'esercizio delle funzioni di vigilanza.
Devo assicurare il collega Picco che è ben presente il rilievo e l'importanza che assume la trasformazione del complesso Lingotto (e nell'immediato la preparazione del Salone dell'automobile per il 1988) e che abbiamo considerato il problema proposto con oggettività, almeno crediamo, e con la volontà di non frenare un processo di valorizzazione che non è solo del Lingotto, ma in prospettiva di Torino e del Piemonte.
Ai colleghi del PCI vorrei dire che l'interpretazione ha un conforto non sospetto, anche se di per sé non risolutivo: questa interpretazione è quella "scritta" da tempo dai Servizi dell'Assessorato, con il conforto di altri esperti, nella stesura degli "indirizzi regionali" per la formazione dei regolamenti edilizi, in adempimento al disposto della legge n. 56, che è agli atti dell'Assessorato e che quanto prima sarà rassegnata per l'esame consiliare. Non credo si potesse allora pensare al Lingotto, ma credo invece si pensasse e si debba continuare a pensare agli indirizzi da dare in materia alle Amministrazioni comunali del Piemonte.
Altro è il discorso generale e quanto dirò ora a nome della Giunta che vorrebbe costituire una risposta in sintesi ai Colleghi interpellanti e interroganti, chiarendo che non credo possa esaurirsi questa mattina la risposta sul Piano generale, per i motivi che poi spiegherò, e perché gli approfondimenti che devono intervenire fra la Regione e il Comune per quanto riguarda gli aspetti di governo che sono stati richiamati sono appena cominciati e non si hanno elementi certi per dare una risposta definitiva sulle intenzioni della Regione nei confronti della trasformazione del complesso Lingotto e dell'eventuale partecipazione all'iniziativa.
Ma ci sono anche aspetti più generali di carattere urbanistico che devono essere richiamati.
Partiamo pure dal caso in questione. E' persino difficile capire, e in questi giorni è stato verificato, quale sia la normativa in vigore nel Comune di Torino. La stessa legge regionale n. 56, più volte modificata e ormai sovrastata da leggi statali, è piena di buchi e di incoerenze, a prescindere dalle richieste di modifica sostanziale rispetto a cui conservo personalmente molta prudenza, pur ritenendo che innovazioni anche sostanziali dovrebbero essere introdotte, almeno per quanto riguarda la pianificazione territoriale e la normativa transitoria oltre che per gli adeguamenti alla normativa statale successivamente emanata.
Sempre per il caso Lingotto credo che si sarebbe potuto procedere attraverso il rilascio di concessioni (questa è una mia valutazione suffragata e confortata dagli atti che abbiamo esaminato in questi giorni) ma comprendo che le diverse Amministrazioni succedutesi nel tempo, e non solo quelle attualmente in carica, non abbiano voluto compiere scelte definitive in assenza di nuovi strumenti urbanistici generali o quanto meno di indirizzi preliminari definiti e adottati.
Manca e mancherà ancora per non breve tempo in Torino il Piano regolatore generale adeguato alla legge n. 56 e manca, e non so per quanto mancherà ancora, il progetto definitivo di Piano territoriale dell'area metropolitana. Nel caso di Torino si è proceduto e probabilmente si procederà ancora con delle varianti al vecchio strumento urbanistico generale anche se ci auguriamo che il processo di definizione della deliberazione programmatica e quindi di predisposizione del nuovo Piano regolatore possa andare avanti per dare ordine e risposta ai problemi di trasformazione intensa che certamente interesseranno sempre di più in futuro la Città di Torino.
Quando parliamo di Torino non possiamo dimenticare che proprio per le esigenze di questa città e anche per l'assenza di capacità di raccordo e di governo complessivo dell'area metropolitana da parte dei diversi livelli istituzionali, è stata data una interpretazione della legge n. 56 che ha creato grosse difficoltà e in parte ha frustrato i tempi di andata a regime della legge n. 56 stessa. Penso tutti ricordino che per Torino si sanzion la possibilità di studiare varianti sui vecchi strumenti urbanistici al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge regionale n. 56 e cioè con modifiche, nei casi in cui la legge lo prevedeva, collegate ai programmi pluriennali d'attuazione. Di conseguenza si è avviata una fase di pianificazione urbanistica nella nostra Regione che, assieme ad altri motivi di difficoltà, ha comportato ritardi in parte certamente ascrivibili alla possibilità data ai Comuni di procedere a varianti prima di dotarsi di strumenti urbanistici adeguati al titolo III della legge n. 56/77.
Restiamo ancora oggi in una situazione di difficoltà, in cui sono riscontrabili in materia di pianificazione urbanistica e territoriale responsabilità per tutti e di tutti. La società in trasformazione della nostra regione e dell'area metropolitana in particolare non ci chiede soltanto nuove leggi, bensì capacità di gestione e di realizzazione in tempi accettabili e certi.
Occorre quindi, e credo non possa non essere d'accordo la Giunta capacità di governo, anche per il Lingotto, anche per i progetti strategici di trasformazione che una società avanzata deve realizzare per dare certezza di tempi e di normativa rispetto alle necessarie esigenze di pianificazione territoriale e di salvaguardia ambientale e paesistica che si stanno portando avanti pur con difficoltà e che devono trovare una precisa definizione per consentire certezza ai cittadini e alle Amministrazioni locali e per realizzare un processo di pianificazione e di programmazione territoriale adeguato alle esigenze cui dobbiamo fare fronte.
Questo ruolo si deve sostanziare in atti di governo e in una progettualità definita; in particolare, per quanto riguarda gli aspetti della pianificazione territoriale e della pianificazione urbanistica insieme al Vicepresidente Vetrino si stanno esaminando criteri, procedure e tempi per realizzare un iter attraverso il quale procedere ai necessari ed opportuni adeguamenti normativi ed avviare momenti di operatività che consentano il superamento delle presenti difficoltà.
In altre parole, anticipando una mia posizione personale, ma che è condivisa anche dalla collega Vetrino, dico che la Regione dovrà attivarsi a tempi stretti per addivenire ad uno stralcio di Piano territoriale almeno per l'area metropolitana, perché non è più possibile il governo della pianificazione urbanistica nell'area metropolitana in assenza di un riferimento preciso che consenta una valutazione seria e corretta dei diversi Piani regolatori. Tenendo conto che per l'area metropolitana, al di là del positivo momento di raccordo e di definizione rappresentato dall'attività del Comitato comprensoriale, non si è mai addivenuti ad una valutazione complessiva dei problemi e alla formazione di strumenti di pianificazione urbanistica intercomunale. Pertanto, quasi con certezza è da immaginare che quando il Comune di Torino procederà, mi auguro a tempi brevi, allo studio e alla predisposizione del Piano regolatore dopo la presentazione della deliberazione programmatica, sorgeranno problemi di natura intercomunale e di rilievo metropolitano (in alcuni casi metropolitano - regionale) che in assenza di un quadro di riferimento territoriale o di un quadro urbanistico intercomunale non consentiranno facilmente la valutazione e l'approvazione di un Piano regolatore generale comunale per Torino.
A questa necessità dobbiamo tentare di dare una risposta sapendo che c'è un'assenza totale di strumenti e scarsità di mezzi finanziari: siamo ancora privi di una qualunque cartografia nella nostra regione; non esistono e non si sono sviluppati nel tempo momenti di consultazione e, in particolare dopo la decisione del 27 marzo 1985 in ordine alla soppressione dei Comitati comprensoriali, non si sono realizzati momenti di raccordo istituzionale e operativo; la stessa Regione non è in grado per l'attuale struttura della organizzazione dei servizi, di svolgere un'attività di promozione e di indirizzo nei confronti delle Amministrazioni comunali.
Sul Piano generale quindi, per quanto riguarda almeno gli aspetti urbanistici, si propone una riflessione più approfondita, peraltro già nel passato richiesta da alcuni Gruppi consiliari, in particolare dal Gruppo del PCI, che nel prossimo mese di gennaio cercherò di proporre all'attenzione del Consiglio regionale.
Vi sono poi aspetti più generali di governo della Regione che sono richiamati in particolare nella prima interpellanza del Gruppo consiliare comunista, nella seconda parte dell'interrogazione dei colleghi Marchini e Santoni, e, sia pure indirettamente, nell'interrogazione presentata dal collega Picco che non credo volesse riferirsi solo strettamente a quello che la Regione intende fare per garantire l'attuazione delle autorizzazioni, ma più generalmente per consentire non solo l'effettuazione del Salone del 1984, ma anche un processo controllato, razionale e corretto di trasformazione del complesso del Lingotto. A questo proposito devo dire sapendo che la mia risposta a nome della Giunta sarà giudicata non soddisfacente e non completa, che un processo di raccordo e di avvio di collaborazione con il Comune di Torino su questo problema è appena all'inizio. Ho avuto personalmente un incontro quindici giorni fa con l'Assessore Re per quanto riguarda gli aspetti più strettamente urbanistici e vi è stato un primo incontro tra la Giunta regionale e il Sindaco accompagnato da alcuni Assessori del Comune di Torino, la settimana scorsa in tale occasione, oltreché acquisire elementi di valutazione in ordine all'autorizzazione concessa per il Lingotto e alle deliberazioni ratificate dal Consiglio comunale riguardanti, come il Consiglio regionale ben sa l'istituzione della società mista di intervento, il rinnovo e l'integrazione del protocollo d'intesa tra la FIAT e il Comune, abbiamo posto il problema di un rapporto fra Regione e Comune che non sia di mero controllo nei confronti del Comune, ma di collaborazione per il governo dell'area metropolitana. Ciò in particolare per la valutazione delle operazioni di natura strategica e di rilevanza territoriale regionale che si stanno avviando o si presume possano essere avviate sul territorio del Comune di Torino e per l'eventuale partecipazione regionale alle iniziative che stanno per essere intraprese.
Oggi, il problema per la Regione non è tanto quello del riferimento formale, per quanto riguarda il complesso del Lingotto, all'art. 53 della legge urbanistica regionale e alla convenzione-quadro deliberata dal Consiglio regionale, che dovrebbe costituire in questi casi il riferimento per la definizione dei rapporti fra i soggetti che intervengono e realizzano e le Amministrazioni comunali interessate con l'eventuale partecipazione della Regione.
Il problema è di sostanza, di valutazione dell'iniziativa e di scelta politica e istituzionale.
Nel merito, come Giunta, dobbiamo dire che nessuna proposta o indicazione è mai stata formulata al Consiglio regionale perché ad oggi la Giunta regionale non è a conoscenza ufficialmente del progetto di fattibilità del Lingotto. Il Comune di Torino, nel corso del primo incontro di chiarificazione che abbiamo avuto, ha precisato che vi era l'intenzione di proporre l'esame del problema alla Regione non a scatola chiusa, ma in tempi utili per una approfondita valutazione, subito dopo la ratifica da parte del Consiglio comunale delle tre deliberazioni che sono anche richiamate nella prima interpellanza dei colleghi del Gruppo comunista. Il Comune ha previsto infatti la possibilità di partecipazione di altri Enti pubblici, dato che nell'atto iniziale di avvio dei rapporti convenzionali e di definizione dello statuto della costituenda società di intervento, il Comune si è riservato una quota di partecipazione alla società di intervento che è pari ad un terzo del capitale da sottoscrivere ed ha previsto che il 23% di questa quota potrà essere riservato alla partecipazione di altri Enti pubblici e della Regione in particolare.
La Regione dovrà riservare un approfondimento serio alla proposta di partecipazione. La Giunta regionale, non appena avrà una documentazione più precisa trasmessa ufficialmente e non appena si sarà formata una propria opinione, non potrà che sottoporre al Consiglio regionale l'approfondimento definitivo del problema.
Valutata la correttezza dell'intervento sotto i diversi aspetti e le potenzialità di sviluppo che dal progetto di trasformazione del complesso del Lingotto possono essere indotte, sarebbe riduttivo e sbagliato, a mio modo di vedere, che la Regione partecipasse ad alcune delle società derivate, che in un secondo momento dovrebbero realizzare specifiche iniziative o attività all'interno del Lingotto (cito per esempio il centro fieristico a cui la Presidenza è già stata interessata in questo ultimo periodo) senza porsi il problema della partecipazione alla società di intervento e quindi di collaborazione formale, progettuale e di intervento con il Comune di Torino e con soggetti esterni alla Regione per concorrere ai processi di trasformazione e di ammodernamento della nostra società.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Chiezzi, che replicherà a nome del Gruppo comunista per quel che riguarda la prima interpellanza.



CHIEZZI Giuseppe

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, dichiaro subito a nome del Gruppo comunista che siamo insoddisfatti della risposta fornita dall'Assessore che con grande chiarezza mette in evidenza con quale forte ritardo la Regione Piemonte si occupi dell'affare Lingotto, con quali poche idee di intervento futuro e con quali distratti e scarsi controlli.
Dalla relazione che ha fatto l'Assessore emerge chiaramente a mio giudizio l'assenza di una politica regionale nel settore in questi due anni e mezzo. Emerge - ne devo dare atto una qualche volontà di intervenire, sia pure in ritardo ed in assenza di una forte direzione politica.
Nel corso del mio intervento illustrerò i motivi di questa insoddisfazione. Tutta questa vicenda però potrebbe essere anche guardata sotto un'altra ottica. Nell'ultimo rapporto Censis per il 1987 si legge che si vanno affermando nel nostro Paese tendenze oligarchiche sempre più marcate che vedono alcuni gruppi, alcuni ceti sociali dominare in misura sempre maggiore la società. Mi sono chiesto quindi se in Piemonte, a Torino, saremmo in grado di fare un esempio concreto di questo rafforzamento delle oligarchie. Saremmo in grado di fare dei nomi? Saremmo in grado di legare ai nomi dei fatti nei quali concretamente questo rafforzamento oligarchico viene messo in atto? La domanda, come potete capire, è molto retorica. Il nome lo faccio: la società FlAT e il fatto è quello in discussione oggi, il Lingotto.
Secondo me il Lingotto non è solo l'emblema di un problema, ma è l'emblema dell'Italia industriale e di molte città, soprattutto Torino dove vi sono edifici ex industriali in disuso per i quali si pone la necessità di una nuova destinazione.
Il Lingotto diventa l'esempio di come, in assenza di forti governi comunali e regionali, sotto la forza di spinte economiche spontanee e di interessi legittimi privati, si rafforzano i poteri delle oligarchie; in particolare in Piemonte e a Torino chi ha deciso le linee di trasformazione del Lingotto e quindi le linee di una possibile trasformazione territoriale, urbanistica ed economica di Torino non sono stati gli Enti pubblici, ma è stata soprattutto in questo ultimo periodo la FIAT.
Che il Lingotto sia una questione importante noi comunisti lo abbiamo scoperto da tempo perché abbiamo governato sino ad un certo punto anche questo problema nel rispetto delle leggi e secondo gli indirizzi generali.
Il Lingotto è un problema che esula dal contesto torinese. Se leggiamo la relazione dello studio di fattibilità il Lingotto viene definito come "un problema strategico per la definizione di un nuovo assetto urbano". Sempre in quella relazione si afferma che "se le conseguenze dell'intervento sul Lingotto si estendono a tutta la città, è giusto che anche le dimensioni di analisi facciano riferimento a questa scala".
Il Lingotto non è una fabbrica di piccole dimensioni con all'interno spazi per il terziario. Il Lingotto è un problema strategico per la città.
Le attività di carattere innovativo e direzionale, le attività più qualificate della Regione sono concentrate almeno per l'80% nella Città di Torino e il progetto FIAT colloca all'interno del Lingotto la metà del potenziale torinese nel settore dell'innovazione, quindi questa trasformazione impinge immediatamente sulla trasformazione della regione che deve essere governata dall'Ente Regione. Quindi gli estensori dello studio di fattibilità non dissimulano lo strettissimo legame che c'è tra la trasformazione all'interno del Lingotto e il PRG di Torino. E io non dissimulo un'altra cosa, e mi sembra che nemmeno l'Assessore abbia voluto dissimulare del tutto che nel rapporto Lingotto-PRG dovrebbe esserci un ruolo della Regione che orienti questo rapporto, che dia degli indirizzi attraverso il Piano territoriale almeno relativamente all'area comprensoriale torinese: Piano territoriale che è rimasto fermo per 2 anni e mezzo e solo adesso se ne riparla, solo da poche settimane la Regione attraverso i suoi organi di governo, ha preso contatti con il Comune di Torino.
Cosa ci sarà al Lingotto? Le proposte dello studio di fattibilità indicano un centro fiere, un centro congressi, un centro per l'innovazione tecnologica, il famoso "Incubator" di non chiara definizione, attività di ricerca (Università), attività commerciali e culturali, residenze, aree espositive esterne: il tutto per un totale di 1.800.000 metri cubi su 281.000 metri quadrati, con elevatissimi indici di sfruttamento del suolo.
Un coacervo di attività per alcune delle quali vi erano delle indicazioni a livello di Piano comprensoriale di Torino: il centro fieristico non era previsto al Lingotto, ma in corso Marche.
Questo insieme di attività rischia di esaurire se non di superare il potenziale che dalla città emergerà in ordine a queste attività.
Perché ci troviamo di fronte a questo squilibrio? Si potrebbe anche raccontarlo in termini di fiaba: "C'era una volta in una grande città una fabbrica abbandonata perché il padrone non sapeva più che cosa farsene.
Questo padrone aveva deciso ad un certo punto di invitare degli illustri personaggi per raccontare che cosa poteva diventare quella grande fabbrica".
La FIAT ha svolto un'ottima attività promozionale, invitando quei grandi urbanisti, architetti e progettisti che hanno raccontato in quale modo il Lingotto avrebbe potuto diventare la sede di tutte le future magnifiche sorti di Torino. Sulla base di questa spinta la Città di Torino non avendo proprie idee, ha dato un incarico ad altre tre ottime persone competenti in tema di territorio e di urbanistica perché elaborassero un progetto sulle possibili utilizzazioni del Lingotto.
Ecco allora che il Lingotto è diventato il problema di Torino e non uno dei problemi di Torino e non una sede all'interno della quale collocare quelle attività innovative sulle quali siamo d'accordo che debbano trovare posto all'interno della Città di Torino. Ma contestiamo il modo univoco nel quale si dà un indirizzo di sviluppo strategico per la Città di Torino.
E le altre industrie e le altre situazioni che non vedono la FIAT in prima persona, come verranno trattate? Ci saranno ancora spazi per attività da inserire in altre aree abbandonate? Ci saranno ancora delle risorse da destinare? Il Lingotto rischia di assorbire tutti gli spazi e tutte le risorse. Quindi le tre deliberazioni assunte dall'Amministrazione comunale di Torino rappresentano un'ipoteca gravissima per Torino e per il Piemonte.
E ciò è avvenuto al di fuori di qualsiasi indirizzo di PRG. Ecco, l'altro elemento nel quale si può sostanziare il ruolo della Regione.
E' possibile che la Città di Torino assuma tre deliberazioni di quel calibro senza neppure esplicitare nella deliberazione programmatica quali indirizzi vuole perseguire che si accordi agli interessi della FIAT ed inizi la trasformazione del Lingotto? Questa trasformazione tra l'altro ' discutibilissima per il contesto nel quale si colloca il Lingotto e per le attività previste all'interno che, in taluni casi cozzano l'uno contro l'altro. Come sostenere un centro fieristico accanto ad attività universitarie? Ma la logica era quella della massima valorizzazione dell'immobile. L'immobile è sterminato, viene quindi da sé che, per riempirlo, bisogna inserirvi tante funzioni e allora: valorizziamo l'immobile di proprietà della FIAT, dimentichiamo il resto della città scarichiamo il peso del Lingotto sulla Città di Torino e sul quartiere limitrofo che conosciamo poverissimo di servizi, inadatto per l'accessibilità ad un moderno centro fiere. Chi sta studiando il PRG di Torino ha espresso dubbi seri sulla opportunità di collocare un centro fiere all'interno del Lingotto. Queste cose la Regione le sa o non le sa?



GENOVESE Piero, Assessore all'urbanistica

Non conosco il progettista, per cui non posso dire di saperle.



CHIEZZI Giuseppe

Non lo sa, ma non la scuso, Assessore Genovese, non ne faccio un problema personale è ovvio, ma i componenti della Giunta regionale leggeranno i giornali, quindi non possono presentarsi in Consiglio regionale così disarmati. La capacità di iniziativa, la capacità di proposizione, i rapporti tra le istituzioni non possono essere lasciati cadere. Non è nemmeno accettabile il fatto che nessuno abbia mai informato la Giunta regionale. Bisognerà fare una critica su questo, però non ci si può nemmeno esimere dal rilevare inerzia, opacità di iniziativa politica in questi due anni e mezzo da parte della Giunta...



MONTEFALCHESI Corrado

C'è anche una memoria ufficiale di Gregotti su questo.



CHIEZZI Giuseppe

Penso che la Regione Piemonte debba riaffermare - scelga la Giunta il modo di farlo - intanto che il Lingotto non conta più del PRG della Città di Torino e che questo tipo di trasformazione deve essere ricondotto a un quadro regionale e a un quadro comunale di pianificazione. Ma, oltre alla passività di tipo pianificatorio, alla mancanza di un quadro regionale alla mancanza di vigilanza sui programmi e sugli interventi della Città di Torino a livello di PRG, sia pure a livello di deliberazione programmatica e a livello di atti concreti, c'è anche il problema della società mista di intervento che la Città di Torino ha formato con la FIAT in posizione di assoluta minoranza. E' una società finalizzata agli interessi FIAT, a valorizzare al massimo l'immobile e nient'altro; è quindi una società all'interno della quale l'Ente pubblico diventa subordinato e prigioniero degli interessi della FIAT, e una società nella quale la Regione è assente una società che presenta dei conti economici e voglio vedere se il mercato di Torino riuscirà a rendere i prezzi di mercato appetibili per le attività. Quando si parla di acquisire a 1.800.000 lire al metro quadrato al Lingotto, penso che i dubbi sui fattori economici di questa convenzione possano essere condivisi.
Il nostro Gruppo attraverso le interpellanze vuole affermare che la Regione deve entrare nel merito di questa questione e deve entrare nella società di intervento per riequilibrare i rapporti tra pubblico e privato per affermare la priorità dell'interesse pubblico all'interno di trasformazioni così gigantesche e per costituire un'autorità a partecipazione privata ma con forte presenza pubblica che definisca meglio le caratteristiche dell'iniziativa. Questo per quanto riguarda il governo regionale.
Per quanto riguarda dal punto di vista generale la normativa urbanistica sono d'accordo nel dire che leggi ne abbiamo fatte tante alcune delle quali possono essere corrette senza stravolgere la sostanziale bontà e lungimiranza delle stesse. Ci vuole però la capacità per gestire queste leggi, ci vuole una Giunta regionale che sappia fare politica con gli altri Enti. Ho già rilevato l'insufficiente azione della Giunta. Dal punto di vista urbanistico che cosa succede al Lingotto, al di là delle difficili interpretazioni perché le norme urbanistiche si sono accavallate? Ci sono dei fatti semplici, è sufficiente volerli guardare nella loro realtà. Al Lingotto è in atto la trasformazione di un'area industriale di grande consistenza abbandonata; le tre deliberazioni approvate dal Consiglio comunale di Torino, con le quali si approvano uno studio di fattibilità di utilizzo del Lingotto, un nuovo protocollo di intesa con la FIAT e la partecipazione alla società mista di intervento, costituiscono un concreto cambiamento di destinazione d'uso dell'area da industriale a terziario attraverso interventi di ristrutturazione edilizia e urbanistica.
Siamo ciò di fronte alla trasformazione di un'area in disuso a destinazione industriale abbandonata e quindi fuori mercato e, attraverso queste deliberazioni, alla trasformazione di quell'area fuori mercato, senza acquirenti, in un'area di lusso nel mercato delle aree da destinare ad attività più remunerative.
Non è l'unica area sulla quale potrebbero avvenire queste trasformazioni, ma è l'unica area nella quale si concentrano tutte queste attività. Penso quindi sia necessario un richiamo formale della Regione al Comune di Torino perché proceda alla revisione del Piano regolatore. Noi non discutiamo la necessità di spazi, ma discutiamo il modo con il quale questa operazione viene realizzata.
Per quanto riguarda la società d'intervento, questa società si è formata al di fuori dell'art. 53 (che noi sollecitiamo come un punto di riferimento per l'attività regionale, così come è previsto esplicitamente anche dalla deliberazione del 1979). Quindi, chiediamo che la Giunta regionale promuova (potremmo anche presentare una mozione oltre all'ordine del giorno già presentato a questo riguardo) un'azione volta alla partecipazione diretta alla società di intervento.
In questa prima parte dell'intervento ho illustrato in quale modo hanno prevalso gli interessi privati nella trasformazione del Lingotto.
Vengo ora agli ultimi fatti che sono quelli concreti. L'Amministrazione di Torino ha rilasciato alla società FIAT l'autorizzazione per installare una tettoia temporanea all'interno del Lingotto.
L'Assessore ci ha detto che è difficile definire il significato di una tettoia, le norme urbanistiche non lo dicono e non esistono sentenze in proposito. Non metto in discussione le affermazioni dell'Assessore, non esistono casi già studiati dai Tribunali, non ci sono norme urbanistiche che specificano di cosa si tratta, ma una tettoia è pur sempre una tettoia.
Andiamo a cercare il significato sul dizionario della lingua italiana. Non si fa politica del territorio con i dizionari - si potrebbe affermare - ma chi l'ha detto che la politica del territorio debba collidere con il dizionario della lingua italiana che è valido anche per le norme urbanistiche? Che cos" la tettoia? Il dizionario Palazzi così la definisce: "Copertura a forma di tetto sostenuta da pilastri per riparare dalle intemperie e dal sole un luogo aperto"; il Dardano: "Copertura a forma di tetto sostenuta da pilastri o sostegni di vario tipo posta a riparo di uno spazio aperto"; lo Zingarelli: "Copertura o riparo a guisa di tetto fatta in luogo aperto".
Le definizioni di tettoia sono dunque chiare ed univoche. Non si pu arzigogolare su cosa è una tettoia. Sono chiare per le Amministrazioni comunali, sono chiare per la FIAT a meno che non si voglia scrivere un nuovo dizionario FIAT in cui la tettoia venga definita un edificio come tutti gli altri, che forma volumetria (nel caso specifico questa volumetria non deve essere computata) e dove la tettoia è un edificio chiuso sui quattro lati e magari anche coperto con della terra per ricavare un giardino pensile. La lingua italiana bisogna conoscerla e rispettarla. La deve rispettare l'Amministrazione comunale, l'Amministrazione regionale, la FIAT la quale non può cambiare l'italiano come cambia i modelli delle automobili. Ma nella lingua italiana una tettoia rimane uno spazio coperto in un luogo aperto. Non c'è niente da inventare su questo.
Cos'è poi una tettoia temporanea l'ha già detto l'Assessore. Non è la tettoia che ha autorizzato il Comune di Torino. Temporaneo non vuol dire definitivo. E risparmio tutte le citazioni.
Sono argomenti di estrema semplicità. Eppure, questioni così semplici e banali vengono contraddette e i significati delle parole vengono allontanati dal significato originale e resi incomprensibili. Perché si complicano le cose semplici? Perché si cambia il significato delle parole? Quanto è stato autorizzato alla FIAT potrebbe essere autorizzato in situazioni analoghe in altri luoghi e per altri soggetti? La risposta è banale: sì, certo, quello che si autorizza alla FIAT, si autorizza agli altri. La legge è uguale per tutti. Ma, situazioni analoghe a Torino ce ne sono in ogni isolato, perché in ogni isolato ci sono uno o più cortili.
Ebbene, che cosa si risponderebbe a un cittadino che chiedesse di chiudere il cortile di sua proprietà con una struttura in ferro e cemento armato a livello del secondo piano fuori terra? Che tipo di autorizzazione daremmo al signor Pautasso che chiede questo?



GENOVESE Piero, Assessore all'urbanistica

Non giocare con le parole! Le autorizzazioni sono legate al rispetto della normativa urbanistica.



CHIEZZI Giuseppe

La normativa urbanistica parla di tettoia!



GENOVESE Piero, Assessore all'urbanistica

La verifica si deve fare sulla normativa comunale. Queste cose Chiezzi, le sai troppo bene. Non puoi richiamare il dizionario e ignorare gli strumenti urbanistici!



CHIEZZI Giuseppe

E tu non puoi prendere gli strumenti urbanistici e leggerli con un dizionario che non esiste, caro Genovese, o che esiste solo nella testa di qualcuno.



GENOVESE Piero, Assessore all'urbanistica

Io leggo sempre con prudenza e con timore quando si deve dare un'interpretazione della legge, ma tu stai giocando sulle parole!



CHIEZZI Giuseppe

Tant'è che sono andato a leggermi i dizionari e potevi farlo anche tu per capire almeno il significato delle parole che usiamo. Io, sulla base del dizionario, modestamente ho riportato alcuni significati. Non saranno quelli che ti piacciono, Genovese, mi dispiace di questo, troviamo altre definizioni. Mi sono posto un altro problema. Mi sono chiesto per quali interventi si rilascia l'autorizzazione.



GENOVESE Piero, Assessore all'urbanistica

Le norme di Torino le conosci meglio di me perché sei stato Assessore e Consigliere comunale!



CHIEZZI Giuseppe

Ma certo! Ma non ho mai rilasciato una autorizzazione per una tettoia di 12.000 metri cubi in calce struzzo e cemento armato all'interno di un cortile. Perché non si poteva fare per nessuno! Queste sono le interpretazioni univoche.
Però, Assessore Genovese, mi sono posto un altro problema. Mi sono chiesto per quali interventi si utilizza l'autorizzazione. Che cosa dice l'art. 56, lettera c)? L'art. 56 c) stabilisce che vengono autorizzate le occupazioni solo temporanee di suolo pubblico e privato con depositi serre, accumuli di rifiuti, relitti e rottami, attrezzature mobili esposizioni a cielo aperto di veicoli o merci in genere, coperture pressostatiche e così via. Quindi, l'art. 56 c) norma gli usi cosiddetti marginali dal punto di vista economico del suolo. Norma i depositi delle roulotte, norma i demolitori, norma le coperture pressostatiche. E' nato per normare anche attività molto marginali.
Allora, come è possibile che il decollo del Lingotto, questo edificio che deve diventare sede di iniziative le più qualificate e le più avanzate di Torino, la Teknocity del 2000, sia reso possibile dall'attivazione di norme con le quali si autorizza a un demolitore ad accumulare su un'area i rifiuti dei veicoli? La norma è nata per fare certe cose, ma quello che si fa al Lingotto spero che non sia un accumulo di rifiuti. Non saranno certo attività marginali! Qui c'è una contraddizione tra la norma, la finalità della norma e l'utilizzo. La domanda è anche: è legittimo tutto questo? Si dice che tutto questo succede, e la stampa l'ha riportato, perch bisogna fare il Salone dell'automobile. So bene che il Salone dell'automobile è una delle attività importanti di Torino. Nell'ambiente è addirittura chiamato il Salone di Torino, quindi, è una delle attività espositive che deve rimanere nella città di Torino e noi comunisti, quando governavamo in una maggioranza di sinistra, ci siamo resi conto del problema e, nel rispetto delle leggi urbanistiche vigenti, ci siamo attivati senza forzature urbanistiche per consentire che al Lingotto venisse trasferito il Salone dell'auto. Ci rendiamo conto che è importante che il Salone dell'auto rimanga a Torino.
Allora, il Salone dell'auto al Lingotto viene messo in forse da una tettoia? Vogliamo raccontarci che, con tutto lo spazio che c'è al Lingotto il Salone dell'automobile si potrà avere solo se si realizzerà una tettoia, diversamente non si terrà il Salone dell'automobile? La questione è ridicola, bisognerebbe avere un po' di senso dell'umorismo. Certo, una tettoia non mette in forse il Salone dell'automobile; se invece quella non è una tettoia è illegittimo l'atto con il quale si definisce tettoia ciò che tettoia non è. Quindi non c'è da subire nessun ricatto, ci vuole un'azione di governo capace di mantenere il Salone dell'automobile a Torino, dando alle tettoie ciò che è delle tettoie e quello che non è una tettoia lo si chiami con il proprio nome e lo si autorizzi con lo strumento proprio. A giudizio dell'Assessore lo strumento proprio poteva benissimo essere una concessione. Allora si dia la concessione, se lo strumento giusto è quello, utilizzando però tutti gli atti necessari. Ripeto, non trattandosi di tettoia, l'autorizzazione è uno strumento improprio e illegittimo e, secondo noi, deve essere annullato in base all'art. 68 della L.R. n. 56/77.
L'Assessore dice che deve esserci un interesse pubblico, concreto e attuale. Lo so, perché mi sono imbattuto anch'io in questo problema.
L'interesse pubblico di base è sempre quello del ripristino della legalità violata. In secondo luogo, l'interesse deve essere concreto ed attuale.
Visto che non si tratta di una tettoia, ma di un volume fabbricato e di metri quadrati costruiti, una struttura di questo genere aggrava la situazione urbanistica che, per volontà dell'Amministrazione comunale, sarà affrontata con un Piano particolareggiato. Quindi la realizzazione di una struttura di questo tipo, volume fabbricato e metri quadrati costruiti aggraverà le condizioni alle quali dovrà soddisfare il Piano particolareggiato. Quindi vi è un interesse pubblico concreto ed attuale ad annullare un'autorizzazione che mette in condizione la Città di Torino di fare un Piano particolareggiato in modo più oneroso e più difficile per la collettività. E un Piano particolareggiato rientra nell'interesse pubblico; c'è l'interesse generale e l'interesse particolare, quindi non c'è nessun cavillo.
Quest'opera non è autorizzabile. La Regione deve annullare l'autorizzazione e non può omettere quest'atto.
Non facciamo finire questa vicenda miseramente nel senso che c'è un edificio che cambia nome e si fa chiamare tettoia, c'è una concessione che cambia denominazione e si fa chiamare autorizzazione, c'è un'interpretazione illegittima che però è stata rilasciata come legittima c'è una vigilanza debole perché si vorrebbe vigilare solo sul fatto che la tettoia non è temporanea mentre ci si dimentica di definire che cos'è una tettoia. Insomma, ridiamo almeno al livello regionale il ruolo del governo delle istituzioni, che non sia solo benemerito per la FIAT stravolgendo la semplice realtà delle cose, ma che sia un ruolo di governo davvero nell'interesse della collettività.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Picco.



PICCO Giovanni

Le raccomandazioni del Presidente di contenere gli interventi nei limiti di una gestione corretta della programmazione dei lavori mi induce a non dilungarmi in disquisizioni né in polemiche su questo argomento che sarebbero troppo facili rispetto all'intervento che mi ha preceduto. Credo di dover affermare che lo scempio che ha caratterizzato alcune iniziative delle Giunte di sinistra, non solo per autorizzazioni a privati, ma anche e soprattutto sul suolo pubblico (vedasi la linea 3 della metropolitana leggera di Torino o il devastante uso dei parchi in occasione di iniziative fieristiche o festaiole), è eloquente e le conseguenze sono tali da gettare molte ombre sul governo del rapporto tra ambiente ed iniziative ritenute politicamente necessarie. Sulla diversificazione delle iniziative economiche ora non mi soffermo; credo che tutto questo non sia da dimenticare. Il problema della trasformazione dei suoli ha in rapporto alle esigenze di interesse pubblico, alcune necessità di gestione e di decisioni che si devono assumere, non violando le leggi, ma rendendosi conto di come il contenuto normativo possa essere interpretato per raggiungere determinate finalità. Non apriamo capitoli di questo tipo perché se dovessimo sollevare il velo su tutte le cose sulle quali le varie Amministrazioni hanno potuto agire coerentemente agli strumenti urbanistici, dovremmo aprire capitoli che penso non troverebbero certo l'attuale Giunta in carica in difetto; anzi, forse solo in ritardo per decisioni che potrebbero essere assunte con determinazione politica più incisiva.
Sul lingotto il processo di definizione delle scelte, come ha giustamente detto l'Assessore, si va correttamente delineando e per decisioni di trasformazione o di riconversione come questa il passaggio dalle scelte alle fasi attuative non è caratterizzabile, caro Chiezzi, con il metro con cui giudichiamo altre trasformazioni. Il passaggio o meno attraverso alla strumentalizzazione urbanistica, è in realtà la scelta sulla quale potremmo polemizzare. E' chiaro che un'autorizzazione è meno capace di dare scelte progettuali definitive di una concessione, una concessione è meno capace di dare definitive scelte progettuali di una strumento urbanistico e tra i veri strumenti urbanistici alcuni possono produrre definizioni più perfette ed altri meno.
Ma non vi è dubbio che il passaggio attraverso alla procedura dello strumento urbanistico per un caso come quello del Lingotto è invocabile non come argomento di polemica politica. I tempi e le more, che giustamente caratterizzano la decisione politica di partecipazione o meno alla società d'intervento ed alla gestione, sono tali da obbligare la FIAT oggi ad assumere un ruolo sostitutivo di iniziative che spetterebbero alla Pubblica amministrazione, stanti gli impegni protocollari assunti dalle giunte questa o quella di sinistra, in una precisa direzione. Non sono stato io ad accettare incondizionatamente la scelta di fare del Lingotto un certo tipo di struttura pubblica; rispetto a quella scelta l'impegno delle istituzioni deve collocarsi conseguentemente, per quanto attiene ad adempimenti e domani ad investimenti.
Siamo di fronte ad un ruolo sostitutivo che deve garantire la celere realizzazione di strutture quali il Salone dell'automobile e per la quale come ha forse un po' provocatoriamente affermato Genovese nella risposta all'interrogazione, non spetta alla Regione una iniziativa di sollecitazione. Le compete però un'attivazione per non arrestare i già lunghi tempi che si vanno configurando.
Per quanto attiene alla risposta mi dichiaro pienamente soddisfatto. Se posso fare una considerazione la faccio in ordine alla proposta di correzione dell'atto amministrativo che riguarda l'autorizzazione.
Noi sappiamo che la L.R. n. 56 non stabilisce che vi debba essere un tempo di inizio e di termine dell'autorizzazione; credo per ovvie ragioni di opportunità rispetto alle "trasformazioni", elencate nella legge stessa.
Nel nostro caso mi pare che l'autorizzazione dica che "in qualsiasi momento la tettoia può essere rimossa"; quindi non fissa tempi minimi alla permanenza della struttura provvisoria. Le garanzie di provvisorietà invocate dalla L.R. n. 56 sono pienamente fatte salve perché in qualsiasi momento l'Amministrazione comunale nel caso in cui si verifichino le condizioni di un contrasto rispetto agli interessi pubblici o alle future trasformazioni, può richiederne la demolizione. Siamo di fronte ad un atto che mi pare trovi l'Amministrazione di Torino in una botte di ferro e le precauzioni che la Regione intende chiedere mi pare che siano da sottoscrivere in un quadro di complessive garanzie del rapporto pubblico privato. In questo caso siamo di fronte ad una strutturazione dell'atto autorizzativo che mette in condizioni l'Amministrazione comunale di potere fare salvi sia l'interesse pubblico, sia l'obbiettivo di futura trasformabilità.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Marchini.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il Gruppo liberale si dichiara ampiamente soddisfatto in ordine alle questioni che ha posto all'Assessore competente e alla Giunta nel suo complesso.
Ritiene di dover illustrare le ragioni della propria soddisfazione anche se si pone l'esigenza di non lasciar cadere il senso politico dell'iniziativa della presentazione di una interrogazione per rendere governabile, da parte di una pluralità di forze del Consiglio, un dibattito che si immaginava che si sarebbe sviluppato.
L'intervento del collega Chiezzi è stato di una temerarietà senza limiti, temerarietà perché parte dal presupposto che qui, dentro e fuori nessuno abbia memoria, che le biblioteche siano state tutte distrutte, che le raccolte dei giornali non esistano più e che questo discorso sia stato fatto molti anni fa in un convegno a Caracas sui centri urbani e non a Torino, città del Lingotto e delle oligarchie. Devo dire che il termine oligarchia a Torino è un eufemismo, di cui penso qualcuno sarà molto grato al collega Chiezzi, e spero che qualcuno non lo consideri offensivo.
Indubbiamente il collega Chiezzi ha descritto un fenomeno che è incontestabile, però ne ha attribuito le responsabilità ai figli dimenticandosi dei padri. Ci sono delle responsabilità che sono ricadute sui figli alle quali l'Assessore che è espressione della maggioranza e che siede in questi banchi non si è sottratto. Queste responsabilità per qualche parte sono da attribuire ai padri e probabilmente il collega Santoni avrebbe maggiori considerazioni da svolgere e qualche aneddotica da sviluppare.
Io mi fermo su alcune frasi significative. Si accusa "la Giunta dei cento giorni" (così era chiamata) di avere affidato uno studio di fattibilità perché il Comune non aveva idee. Le idee non sono nella testa del Comune. Il Comune non ha una testa, la testa è negli uffici che hanno documenti, che fanno ricerche e studi. Questo vuol dire che le giunte di sinistra hanno lasciato il Comune a Torino senza alcun elemento di valutazione e di indagine, sia pure di larga maglia, rispetto al problema che hanno lasciato sui figli. Quindi la mancanza di idee sul Lingotto è da attribuire al Comune di Torino. Le idee però qualcuno le aveva e le aveva nella testa, caro collega Chiezzi, perché sappiamo tutti che l'invenzione della terziarizzazione del Lingotto puntata al Salone dell'automobile è nata dalla testa di qualcuno e quel qualcuno non è il Comune che non ha una testa, ma probabilmente era il suo Sindaco che una testa l'aveva. E guarda caso, è nata in una filosofia e in una cultura tipica, quella della città officina, della città fabbrica che si perpetua nel tempo. Dove si costruivano le macchine c'è il tempio dell'automobile. Questo è un disegno che per larga parte era condivisibile ed è condiviso, e su questo discuteremo.
Ci sembra però sbagliato nel momento in cui si chiede, e noi siamo d'accordo che si debba chiedere, un maggior ruolo e una maggiore autorevolezza della Regione, non fare, come si dice in Marina, il punto sulla situazione e non porsi carico delle responsabilità. Non si fa politica polemizzando su cui ha le responsabilità in ordine a processi che per qualche verso si sono chiusi. Il processo della terziarizzazione forte del Lingotto è stato avviato dalle giunte di sinistra di Torino ed è diventato irreversibile perché le forze del consenso, le forze dell'opinione pubblica, la forza delle leggi economiche e dei processi sono elementi che condizionano il decisore politico. Il decisore politico non vive sulla luna, ma vive nella società e quando in una società come in quella torinese certi processi si provocano, si favoriscono e si sostengono con tutti i modi e poi non ci si può stupire se questo processo perviene alle sue conseguenze di ordine programmatorio e decisionale di tipo formale e non soltanto più sperimentale. La terziarizzazione del Lingotto è stata avviata e voluta dalle giunte di sinistra, ma mancavano le idee, questo lo ha ammesso Chiezzi e rispetto a questa carenza di idee "la maggioranza dei cento giorni" ha ritenuto di doversi mettere almeno su un piede di pari dignità rispetto all'interlocutore privato dotandosi di uno studio di fattibilità dell'area. Era il minimo che poteva fare un amministratore che volesse lasciare idee o ipotesi di idee ai suoi successori. Ma è questo il terreno sul quale avviare la polemica.
Qui c'è la ragione politica della nostra interrogazione. Noi temevano che la Giunta si facesse prendere dall'esigenza di parlare del Lingotto e che si facesse prendere la mano da alcune suggestioni presenti nell'interrogazione e nei documenti comunisti, i quali non si limitano a chiedere informazioni, ma danno dei suggerimenti precisi. Sostengono che il ruolo di governo lo si assume diventando condomini. Questa è una concezione un po' paradossale, perché se è detta da un liberale potrebbe avere qualche senso, ma che il Partito comunista ritenga che il ruolo di governo della Regione si realizzi acquistando quote e non gestendo in modo corretto gli strumenti legislativi di potere, di governo e di indirizzo generale, mi sembra fortemente curioso. Ci saremmo preoccupati, questo è il senso dell'interrogazione che prego l'Assessore di voler apprezzare, se la Giunta su questo non facesse nessun passo indietro e nessun passo avanti.
Noi sosteniamo che questa materia, e l'Assessore ci ha soddisfatto in questo, debba vedere un recupero di ruolo forte della Regione e delle istituzioni in generale, ma si tratta di capire quale metodo avviamo per recuperare questo ruolo.
In questo sono fondamentali i metodi. Un metodo non è, per esempio quello, che noi temevamo avvenisse in quest'aula, di dare per scontato (e l'Assessore l'ha detto) che il governo passa anche e soprattutto attraverso la partecipazione alla società di intervento. Noi su questo diciamo che va avviata una metodologia. D'altra parte il governo è soltanto l'utilizzo e l'invenzione degli strumenti e dei metodi perché le realtà sul territorio esistono a prescindere dalla politica. La politica le amalgama, le sintetizza e le finalizza.
Riteniamo che la risposta dell'Assessore sia estremamente puntuale quando dice che la Giunta farà degli approfondimenti e sottoporrà al Consiglio gli approfondimenti (e non le decisioni). Il che vuol dire che si avvia un processo di confronto corretto così come ci sembra corretto il processo di concertazione, che mi pare si sia avviato con il Comune di Torino. Non dimentichiamo che la latitanza della Regione sui problemi dell'area metropolitana è durata 15 anni...



(Interruzione del Consigliere Bontempi)



MARCHINI Sergio

E' così, Bontempi. Dopo dieci anni dal varo della legge urbanistica non c'è il Piano regolatore di Torino. Non ho detto che questa latitanza è solo del Gruppo comunista o della giunte di sinistra, è una vera latitanza dell'istituzione regionale rispetto l'area metropolitana torinese. Questa è una realtà che ho sempre denunciato in quest'aula. Io ho denunciato questo già nella passata legislatura. Non c'era un sufficiente ruolo dell'istituzione, non ho aspettato di essere all'opposizione per denunciare dall'opposizione l'insufficiente ruolo dell'istituzione sulle decisioni che si andavano formando sul piano della pubblica opinione, che è poi il decisore ultimo perché in democrazia nessuna decisione si pu portare avanti se non nel consenso. Se gli strumenti di promozione del consenso anticipano troppo il decisore politico, è chiaro che il decisore politico viene condizionato dal processo di consenso che intanto è avviato.
Se poi questo processo di consenso si sostanzia anche in strutture, in iniziative, come il Salone dell'automobile, è chiaro che il decisore politico si trova condizionato. Se non prendesse atto della volontà della pubblica opinione, non sarebbe una decisione democratica, ma davvero sarebbe una decisione oligarchica di qualcuno, che, evidentemente, prende una decisione che è del tutto estranea rispetto al processo volitivo che nel frattempo è andato avanti.
Questa è la vera storia del Lingotto. Questo è il vero modo di rapportarsi rispetto al problema.
Un ruolo va recuperato, è indubbio, ma dobbiamo essere molto attenti.
Suggerisco alla Giunta di riflettere, perché il ruolo della Regione non è il ruolo del Comune. Il Comune per sua natura è un ente dotato di patrimonio, è un ente che presta dei servizi.
La Regione è soprattutto un ente promozionale quindi la partecipazione alle società va vista con grande attenzione. Un conto è essere soci per il Comune, un conto è essere soci per la Regione. La ragione deve essere profondamente diversa e deve trovare una precisa motivazione. Il Comune è presente in una società per la gestione del risultato della società, la Regione entra in una società per promuovere un certo tipo di processo.
Questa è la sua funzione. E probabilmente deve uscire dalla società quando questa abbia compiuto il suo compito di programmazione.
Non ci scandalizzeremo sicuramente se ci verrà proposta la partecipazione all'interno del pacchetto pubblico. Probabilmente il collega Chiezzi non ha letto i documenti. Sui momenti strategici nella convenzione che è un atto privatistico, il predominio del pubblico è garantito nella misura in cui è stabilito che le maggioranze che dovranno determinare i cambiamenti di natura statutaria sono tali che il pubblico soltanto con il 30% circa è in grado di condizionare la restante maggioranza.
Richiamo la Giunta sulla delicatezza del problema. E' importante capire come stiamo nella società, perché il lasciare crescere l'impressione che la Regione starà al Centro Fiere è una ipotesi che va esternata dopo attenta e profonda riflessione. Su questa impressione nascono poi aspettative, convinzioni rispetto alle quali non saranno in grado di governare.
Ritengo che la Giunta debba in tempi stretti presentare in Consiglio una proposta globale di sua presenza, in termini propri al di fuori di quelli di governo istituzionale, all'interno del Lingotto, evitando per che, con interviste o frasi di comodo, cresca l'impressione di una nostra determinazione in un senso o nell'altro.
Noi siamo aperti a tutte le soluzioni, siamo disponibili a dare un contributo, tramite il nostro Assessore e tramite il nostro Gruppo, ai ragionamenti che nelle sedi competenti la Giunta e il Consiglio vorranno insieme avviare, riteniamo però che a questa questione dobbiamo guardare con molta attenzione. Anticipazioni e aperture non sufficientemente motivate e oggetto di adeguata riflessione tolgono la possibilità di decisione alla Regione; perché qualunque tipo di ipotesi cresca nella pubblica opinione come l'ipotesi che si ritiene essere quella sulla quale lavora la Regione diventa, in sostanza, l'ipotesi definitiva.
Ringraziamo l'Assessore che ha chiarito il quadro disastroso della Città di Torino in ordine ai problemi urbanistici attribuendo le responsabilità e le colpe a chi di dovere. La polemica in ordine alla concessione non ci compete perché non è materia della nostra interrogazione.
Devo peraltro ritenere, se ho inteso bene, che quando l'Assessore fa riferimento alla concessione che poteva essere rilasciata, non si riferiva alla questione di cui si tratta, ma agli interventi di ristrutturazione all'interno del Lingotto.
Ricordo ancora, per la storia del Consiglio, che l'Assessore ha chiuso il suo intervento in ordine a questa materia specificando che è continua l'attività di vigilanza e di controllo. La risposta dell'Assessore quindi non può essere considerata come risposta definitiva da parte della Giunta né su questo né su altri versanti sui quali la Giunta è esposta, quello della responsabilità politica e quello delle responsabilità di altra natura. Le successive, conseguenti, eventuali determinazioni la Giunta le assumerà. Quello di oggi non è che un momento del processo di cognizione di informazione e di dibattito. L'attività di verifica, di vigilanza e di approfondimento sulla problematica è in corso ad opera dei competenti uffici.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, l'intervento svolto dal Consigliere Chiezzi mi è parso assolutamente esauriente. Il dibattito per sia pure limitato ai Consiglieri e ai Gruppi che hanno assunto l'iniziativa di proporlo attraverso le interpellanze, merita una ulteriore considerazione di carattere generale, soprattutto per noi che continuiamo a ritenere improrogabile la riforma delle istituzioni e stiamo proponendo su questo tema un terreno di attenzione alle altre forze politiche. E' un tema che parte dal presupposto della riappropriazione delle funzioni di governo perdute per strada, delle decisioni rilevanti, delle opportune capacità di intervento e di progetto.
Il caso Lingotto non è andato avanti in Regione. E' emerso soltanto attraverso le interpellanze che hanno costretto l'Assessore a rincorrere notizie, informazioni e rapporti negati o a cui si era incredibilmente rinunciato in questi ultimi due anni e mezzo.
E' emblematico che soprattutto in una società moderna e complessa si riconoscano spazi ai privati; ma è necessario limitare il potere oligarchico e monopolistico dei privati, che diventa un potere su tutti gli interessi della popolazione, attraverso una funzione molto attenta della Regione, attraverso un tentativo forte delle istituzioni e, in particolare attraverso il potere di programmazione, di legislazione, quindi di coordinamento degli altri Enti.
L'Assessore Genovese usa l'arma del "dire le cose come stanno" per collocarsi nel confronto. Questo lo apprezziamo e non da oggi. E' per molto triste sentire dire che il progetto sul Lingotto, a due anni e mezzo dalla costituzione di queste Giunte, opportunamente sponsorizzato veicolato, spinto dagli interessi della proprietà in tutti questi mesi abbia visto la Regione sostanzialmente estranea ed alla finestra. Questo tempo perso non si può più recuperare, Assessore Genovese. Spero che lo stralcio del piano territoriale (ma questo non è il solo problema anche se è un problema centrale) possa essere un momento di ripresa. Credo però che sia minato nelle fondamenta nel momento stesso in cui proprio la funzione di governo e di coordinamento (che invece, caro Marchini, altro che latitanza!, era stata una delle caratteristiche forti dei governi di sinistra) oggi è stata volutamente annullata. Possiamo parlare tranquillamente di pericolosa e irresponsabile latitanza.
Riflettevo giorni fa su quali grandi questioni di governo la Regione sia stata presente in questi due anni e mezzo. Praticamente su nessuna questa è la risposta dei fatti. Che cos'è questo se non sottrazione della materia propria della Regione e quindi anche autosottrazione di responsabilità? Il fatto poi che ci sia di mezzo la FIAT credo che abiliti e legittimi i ragionamenti che faceva Chiezzi, ma credo debba metterci sull'avviso che dobbiamo riprendere la funzione propria di governo nei confronti dei più forti. Dal 1975 in poi questo fu fatto. Non fu semplice varare la convenzione quadro (art. 53), tant'è vero che continuiamo a ritenere che non debba essere dimenticata sulla base di mere opinioni degli operatori.
Parlo della convenzione quadro, ma parlo anche dei tentativi di orientare lo sviluppo, considerando per la prima volta nella storia torinese l'area metropolitana e i suoi rapporti anche con il Piemonte; di qui il senso non di periferia o di provincia che aveva il termine "riequilibrio". Tutto questo è stato oggetto di politiche. Ci sono fatti alle nostre spalle e c'è una classe politica che ha tentato di costruire una sua forza portando elementi innovativi di programmazione.
Possiamo dire con tranquillità che in questi due anni e mezzo non solo non abbiamo visto emergere alcun tentativo, ma abbiamo visto seppellire tutto ciò che si era fatto; addirittura il seppellimento è avvenuto attraverso una pesante cortina di silenzio calata su tutte le questioni che avevano attinenza con i centri di riferimento e di potere, e persino contro le istituzioni forti com'è il Comune di Torino.
Vi riteniamo responsabili di non avere chiesto in qualche caso l'aiuto del Consiglio. Per esempio, sarebbe stato importante avere dei rapporti con l'Assessore omologo al Comune e con la concezione municipalistica che invece tende a tagliar fuori la Regione. Quando c'è un forte centro di interessi, avere il monopolio o il dominio dell'interlocuzione vuol dire potere. Questo, in un non-disegno di programmazione, in un disegno politico che rinuncia a far fare all'istituzione la propria parte, è quello che si è fatto in questi due anni e mezzo. Non ci stancheremo di dire che abbiamo un legittimo e costituzionale diritto che è garantito dalla nostra collocazione in questo Consiglio regionale dai voti che ci hanno dato i cittadini. Siamo coscienti di non essere settari e di non fare un gioco di parte, ma abbiamo la concezione delle poche possibilità che al sistema dei partiti e delle istituzioni si offrono ancora per riuscire ad apparire quello che vorremmo essere. Le definizioni amare (che non concordiamo, ma che sentiamo avere qualcosa di vero) del fallimento e dell'incapacità dei partiti e delle istituzioni si stanno fissando nella coscienza della gente.
Ma di fronte a chi non sente o a chi rispetto a questi stimoli continua a rifiutare una risposta attendibile, che poi è data dai fatti e non dalle parole, noi riteniamo di legittimare ampiamente una delle critiche più forti a questa Giunta e a questa maggioranza. Avete lasciato fare lascerete fare e questo modo di dismettere le proprie responsabilità è il più sicuro per rendere il Consiglio regionale oggi e in futuro sempre più debole ed inconcludente.



PRESIDENTE

Termina così la discussione delle interrogazioni e delle interpellanze alle quali è stata data ampia risposta come d'altronde l'argomento richiedeva.



BONTEMPI Rinaldo

Vorrei ricordare che la scorsa settimana abbiamo presentato un ordine del giorno su questo argomento.



PRESIDENTE

D'accordo, però l'ordine del giorno non può essere discusso a seguito di interrogazioni ed interpellanze. Posso darne lettura e provvedere a che venga distribuito ai Gruppi. I Capigruppo stabiliranno l'ordine dei lavori della prossime sedute del Consiglio.


Argomento: Formazione professionale

Piano pluriennale per le attività di formazione professionale


PRESIDENTE

Passiamo all'esame del punto 4) all'o.d.g. che reca: "Piano pluriennale per le attività di formazione professionale." Chiede la parola il Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Vorrei far notare che l'o.d.g. riporta impropriamente il titolo di questo dibattito, in quanto si discute di questo tema sulla base di una mozione presentata dal nostro Gruppo e di una successiva mozione o ordine del giorno del Gruppo repubblicano. Quindi correttezza avrebbe voluto che si fosse scritto sull'o.d.g.: "Dibattito sulle mozioni presentate in tema di formazione professionale".



PRESIDENTE

Provvederò a che l'o.d.g. venga corretto in questo modo.
Non c'è dubbio che vi sia alle spalle un lungo processo di attivazione da parte dei Gruppi comunista, repubblicano e di altri Gruppi su questo tema, per cui ritengo sia giusto modificare la dicitura del punto 4) all'o.d.g.
Ha ora la parola l'Assessore Alberton.



ALBERTON Ezio, Assessore alla formazione professionale

A sostanziare una positiva ripresa di interesse per la formazione professionale sia a livello nazionale che locale, hanno contribuito avvenimenti diversi che hanno tenuto posizione sulla stampa di tutti i livelli di questi ultimi tempi. Ricordiamo i diversi convegni sviluppatisi sia a livello nazionale che locale; ricordo le mozioni e gli ordini del giorno dei Gruppi consiliari e infine l'elaborazione del documento sviluppato dall'IRES in collaborazione con l'Assessorato, su studi e linee per la formazione professionale in Piemonte. Nel dibattito del 31 luglio 1987 finalizzato alla approvazione del programma per l'anno 1987/88 avevo già evidenziato dati e ragionamenti che avrebbero presidiato lo studio del Piano pluriennale. Ora lo studio dell'IRES è sottoposto alla verifica di tutti i soggetti interessati e in particolare del Consiglio regionale.
La Giunta ha provveduto finora a generare un confronto con le diverse parti. Abbiamo potuto avere i primi confronti con i rappresentanti delle categorie produttive, con i rappresentanti del mondo della scuola, degli enti, con la Commissione regionale per la formazione professionale, le OO.SS. e questo giro di consultazioni si concluderà domani con il confronto con gli enti locali e con le Province in particolare. Dobbiamo riconoscere che finora sono stati espressi sostanziali e significativi apprezzamenti per lo studio stesso, per la sua organicità e per la sua completezza, già l'articolazione dello studio nei suoi vari capitoli, il sistema delle imprese e l'occupazione, la domanda di professionalità, l'esame della scolarità e del mercato della formazione professionale, le esperienze in atto in altri Paesi, l'analisi del sistema di formazione professionale in Piemonte, il finanziamento del medesimo, gli obiettivi da assegnare agli strumenti e alle metodologie di controllo, il capitolo sul decentramento.
Ci ha spinto a proporre un'analisi di questa natura il forte interesse a che il sistema sia conosciuto a fondo nei suoi dati reali positivi e negativi, nella sua complessità, fuori da ogni approssimazione o apriorismo; e sia conosciuto il sistema anche nella sua storia ed evoluzione sia di contenuti che di spesa, perché non riusciamo a comprendere un quadro che venga artificiosamente costruito di un post 1985 che ha subito degenerazioni.
Per la Giunta, ma ci pare che sia denominatore comune emergente da tutti i convegni e dalle consultazioni che abbiamo attuato, è forte la convinzione che la diffusione del sapere è presupposto determinante dello sviluppo. Di qui l'attenzione che le istituzioni, ma anche la società devono dedicare al sistema educativo - formativo nelle sue diverse articolazioni, cultura di base, cultura professionalizzante, formazione sul lavoro, con capacità di fare avanzare in modo coordinato e coerente cultura umanistica, scientifica e tecnologica.
In una società in rapida trasformazione le risorse umane sono fattore determinante: la loro formazione è tutela dei singoli, ma anche del sistema produttivo. Il continuare a studiare - si dice - sia innalzando il proprio percorso formativo da giovani, prima del lavoro, sia proseguendo anche durante il lavoro, ha cessato di essere considerato uno slogan retorico e vuoto ed è percepito sempre di più come una necessità ed un dovere.
In un sistema economico e produttivo che dà minori certezza e stabilità di un tempo una formazione di base e l'acquisizione di una professionalità spendibile, sono condizioni indispensabili per trovare un lavoro, per trovarne uno soddisfacente, per poterlo cambiare per propria scelta o per necessità.
La formazione, neanche la formazione professionale, non risolve la disoccupazione né crea posti di lavoro, ma aiuta fortemente a ridurre il numero dei soggetti a rischio di disoccupazione.
Ecco l'auspicio di un consolidarsi di maggiore attenzione verso il sistema formativo.
L'esame attento delle disfunzioni degli attuali modi d'essere della formazione professionale non può consentire di pervenire a conclusioni o a pregiudiziali del tipo "la formazione professionale non serve più".
Da nessuna sede viene l'invito a ridurre le spese. Anche dalle sedi più interessate alla massima efficienza del sistema viene l'invito a valorizzare i migliori, ma anche a intervenire perché non si perdano per strada coloro che hanno o sono in difficoltà.
Da queste stesse sedi imprenditoriali viene sì la richiesta che le esigenze delle nuove professionalità siano ritrovate andando ad un rapporto più stretto con le imprese là dove nasce la domanda, ma viene anche l'avvertimento - e basterebbe citare l'introduzione del dottor Agnelli al convegno della Fondazione Agnelli - che addestramento ed esperienze che si acquisiscono sul lavoro non bastano più.
Viene riaffermata la positività di uno specifico della formazione professionale come sistema capace di prevedere, programmare, progettare realizzare e assistere le azioni formative.
C'è la consapevolezza che i nuovi strumenti (vedi contratti di formazione lavoro) non sono alternativi e sostitutivi della formazione professionale.Insieme ad una capacità dei centri di rispondere in modo elastico ai bisogni congiunturali e di maggiore e immediata finalizzazione viene sottolineato come determinante il loro ruolo di risposta ai bisogni formativo - strutturali del sistema produttivo.
Le linee che abbiamo elaborato insieme all'IRES considerano come necessità e non come opzione che vi siano precisi impegni di collaborazione e di coinvolgimento degli enti locali, in particolare delle Province, del sistema delle imprese, del sistema scolastico, del sistema degli enti.
Di fronte a un quadro complesso di compiti affidati alla formazione professionale, molto spesso tutti validi in sé ma spesso in contraddizione tra di loro, si è cercato di definire con la massima precisione gli obiettivi e contemporaneamente gli strumenti di controllo. Solo obiettivi chiari e monitoraggio continuo possono riuscire a far evolvere il sistema.
Obiettivi, controllo, collaborazione tra le diverse forze sono i punti cardine delle soluzioni prospettate. Non si potrebbe parlare di sistema se questi venissero a mancare.
Il documento preliminare al Piano tende a individuare risposte operative a ciascuno dei problemi emergenti: il raccordo col sistema produttivo, nella programmazione, realizzazione, gestione e controllo degli interventi. Ciò pretende disponibilità ed apertura della parte pubblica del sistema formativo, ma anche da parte delle imprese. Realizzare stage e alternanza, mettere a disposizione know-how e risorse, compartecipare nei progetti formativi di Fondo Sociale Europeo o di formazione lavoro realizzare un aggiornamento dei formatori saranno banchi di prova per una collaborazione attiva.
Si è tentata una quantificazione del mercato potenziale della formazione professionale: 30 - 40.000 giovani all'anno, considerando solo l'utenza giovanile, considerando quell'utenza che a livello di scuola dell'obbligo o a livello di diploma non prosegue negli studi superiori. Ne deriva la conclusione di una copertura molto parziale di questo mercato: circa il 20%. Di qui la necessità - a parere della Giunta regionale - di non ridurre l'impegno finanziario su questo fronte e di realizzare contemporaneamente un raccordo con le altre strutture formative (scuola istituti professionali, la stessa realtà dell'azienda), una selezione degli interventi per ogni area territoriale.
Altro punto: i forti tassi di abbandono sia nella scuola sia nella formazione professionale e quindi l'obiettivo di realizzare un più spesso e articolato processo di orientamento.
La proposizione di obiettivi diversificati all'interno della stessa formazione professionale, dovendo cercare di far convivere e di dare risposte a fabbisogni di minore contenuto professionalizzante, per bisogni congiunturali, per soggetti con maggiore bisogno di inserimento immediato e contemporaneamente per interventi con maggiore spessore professionale finalizzati a obiettivi strutturali e non congiunturali. Portare il sistema di formazione professionale a verificarsi su obiettivi di efficienza e di efficacia interna ed esterna con conseguente definizione di nuovi strumenti di controllo e di convenzione con gli enti.
Il disegno di nuovi ruoli sia per la Regione che per gli enti locali in cui il decentramento non vale per il suo significato formale e burocratico ma per la sua capacità di cogliere e gestire meglio le esigenze locali.
Nuove forme di gestione delle attività formative in più stretta correlazione con il sistema produttivo a partire dai centri gestiti direttamente dalla mano pubblica regionale o locale.
Si apre certamente anche il rilevante capitolo del personale dei centri di formazione professionale. La loro disponibilità a concorrere al processo di cambiamento è determinante. Da un lato deve essere perseguita la riqualificazione delle strutture organizzative e del personale stesso.
Dall'altro deve essere impedito che i vizi dell'attuale sistema si esasperino ulteriormente: orari rigidi, scarso ricorso a qualificate risorse esterne.
Si è aperta una difficile fase per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro dei dipendenti della formazione professionale convenzionata. Le Regioni hanno teso a distinguere e caratterizzare il loro ruolo: non tutela complessiva del sistema, no ad una visione organicistica là dove, per esempio, la bozza contrattuale parla di una Commissione regionale formata da enti, organizzazioni sindacali, assessore che valuti ogni ricorso di esperti per ogni singolo progetto.
La bozza di contratto propone piattaforme difficilmente accettabili.
Nel triennio l'aumento del costo del personale sarebbe superiore al 35% al netto degli incrementi della contingenza; comprende anche riduzioni dell'orario di docenza.
Noi riconosciamo la necessità di promuovere e diversificare la figura del docente, ma ciò può avvenire solo con aumenti di produttività che consentano recupero di costi senza riduzione delle attività. Si è svolto il 5 novembre l'incontro delle Regioni con il Ministro del Lavoro. Si è evidenziata la richiesta di compartecipare alla revisione della legge n.
845 cautelandoci rispetto a primitive elaborazioni che tendevano a ridurre il ruolo e le competenze delle Regioni. C'è stata la richiesta di affrontare con i Ministeri del Lavoro e della Pubblica Istruzione la riforma della scuola media superiore, di coordinare e analizzare meglio le procedure di rapporto tra Regione e Ministero sul Fondo Sociale Europeo, di invitare il Ministero del Lavoro a promuovere progetti di riqualificazione dei sistemi regionali di formazione professionale.
Mi limito a questa introduzione, perché credo che il documento fornito contenga - e spero che i Consiglieri abbiano potuto avere l'occasione di analizzarlo - i dati che supportano questo ragionamento e anche l'articolazione dei ragionamenti medesimi. Ringrazio il Consiglio per il dibattito che si svolge oggi e ringrazio in particolare coloro che questo dibattito hanno promosso e richiesto con maggiore insistenza.
E' organizzato nella prossima settimana un convegno pubblico che tende a portare a livello di pubblica opinione il confronto su questo primo documento di linee e di indirizzi. Abbiamo cercato di coinvolgere i rappresentanti delle diverse parti interessate al problema, vogliamo dare il nostro contributo a che l'attenzione al fenomeno della formazione professionale si mantenga alto, conosca maggiore vitalità, veda la società nel suo complesso impegnata su obiettivi di lungo e alto respiro. Crediamo che sia anche un'occasione perché ciascuno in quella sede formalizzi le proprie posizioni. Se è vero che il sistema di formazione professionale pubblica, gestita o non gestita direttamente dall'ente pubblico, ha bisogno di conoscere miglioramenti è altrettanto indispensabile che a fronte della disponibilità dell'autorità pubblica ci sia la disponibilità a concorrere con idee, entusiasmi, risorse di qualsiasi genere anche da parte di tutti gli altri soggetti.



PRESIDENTE

Il dibattito è aperto.
Ha chiesto di intervenire il Consigliere Tapparo. Ne ha facoltà.



TAPPARO Giancarlo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, oggi dobbiamo discutere di indirizzi e di strategie. Al lavoro della Commissione consiliare vanno anche gli aspetti che sono interni a questi indirizzi e a queste strategie.
Sarebbe stato più opportuno che negli indirizzi che ci sono stati presentati, grazie al lavoro egregio dell'Assessore, ci potessero essere aspetti con un taglio più generale e che gli elementi specifici si potessero determinare successivamente, dopo che la discussione avesse fatto emergere una omogeneità o un orientamento preciso su alcune scelte di fondo. Nel documento presentato ci sono degli aspetti di dettaglio, dei canali procedurali, degli elementi che, così dettagliati, mettono in imbarazzo e non ci permettono di dare un'approvazione su tutto il documento.
Faccio una considerazione preliminare. Sarebbe importante collocare il Piano triennale all'interno della coerenza che il Piano regionale di sviluppo nelle sue diverse articolazioni viene a porre sulle materie, non solo quelle di nostra competenza. Sarebbe anche positivo che parallelamente alla costruzione di un piano triennale di formazione professionale potesse emergere un piano finanziario per poter vedere il rapporto tra il Piano triennale e il bilancio triennale perché, al di là delle indicazioni di intenti o delle costruzioni teoriche, dobbiamo poter cogliere nel proseguire del dibattito la fattibilità di quello che andiamo dicendo.
Non credo che il sistema della formazione professionale, come spesso certa stampa interessata e certi settori interessati dicono, sia bloccato.
E' una affermazione non generalizzabile: ad aree di ritardo, ahimè! anche di forte ritardo, si frappongono aree avanzate che vengono anche queste riconosciute come aree forti e significative che non hanno nulla da invidiare a certi momenti del privato.
Certo c'è un ritardo nell'adeguamento perché ci sono vischiosità storiche difficili da modificare; c'è anche una responsabilità nostra, cioè quella del rilievo politico negli indirizzi e nel governo di cui ognuno di noi assumerà le responsabilità per la parte che gli compete. Non è ozioso dire quali possono essere, in questa fase, con i problemi che abbiamo nell'apparato economico, il ruolo di fondo della formazione professionale.
Da un lato mi sembra ovvio ma non esclusivo dire che c'è la capacità di rispondere in modo adeguato alla domanda espressa dal sistema economico, ma non solo dal sistema economico. Non dobbiamo solo dare una risposta ad uno stimolo, ma dobbiamo concorrere con questa leva ad orientare lo sviluppo consentitemi la parola. Infatti nel documento esiste questa affermazione quando dice: "un atteggiamento della formazione professionale propulsivo anticipatore, non solo di risposta". Purtroppo non ci sono adeguate proposte e raccordi per uscire da una pura funzione formativa, circoscritta all'interno della problematica di formazione, per far diventare questa leva non solo strettamente connessa alla formazione del capitale umano, ma con aspetti propulsivi maggiori. Non dobbiamo considerare la formazione professionale in modo tecnocratico, come un fatto nel quale non ci si deve sporcare le mani, con problemi e aree di emergenza di ritardo che di volta in volta possono emergere nella nostra società, aree di ritardo che ritroviamo in momenti di crisi aziendale, in aree di giovani dequalificati questo strumento deve saper invece intervenire, deve avere la sufficiente flessibilità e la necessaria volontà politica per "sporcarsi le mani" anche in aree difficili in cui a volte si sfiorano comportamenti assistenziali senza volerlo. Deve essere uno strumento che prevalentemente guardi all'area della piccola azienda dell'artigianato perché la grande azienda (della quale evidentemente un interfacciamento è utile per capire per conoscere alcuni processi e indirizzi) in questa materia e in questo campo ha capacità di autonomia; ci mancherebbe che le poche risorse che abbiamo debbano essere prevalentemente assorbite dalla grande azienda.
Quindi è soprattutto un rapporto di attenzione verso il mondo della piccola azienda e dell'artigianato. Soprattutto la piccola azienda è la più penalizzata dalla legislazione in materia industriale e in materia di lavoro.
Dobbiamo anche guardare a un rapporto costi - benefici che sia accettabile, ma dobbiamo - e questo è un altro nostro limite culturale non pensare che tutta la formazione avanzata sia connessa al tecnologico perch ci sono professionalità elevate anche senza tecnologia, anzi, l'area torinese, il Piemonte, manifesta dei ritardi in tutta quella parte di innovazione organizzativa e gestionale decisiva e importante che dovrebbe caratterizzare di più il nostro sviluppo, appunto perché probabilmente è il trascinamento della grande azienda (che di problemi gestionali e organizzativi non gli interessa nulla); invece la ricaduta nella piccola azienda e nell'artigianato sarebbe importante; la piccola azienda è più interessata a un nostro sforzo su quanto riguarda l'innovazione tecnologica piuttosto che su quanto riguarda l'innovazione organizzativa e gestionale.
Giustamente il ponderoso saggio che ci è stato presentato ha simulato due percorsi: con la riforma dell'obbligo e senza la riforma dell'obbligo.
Direi che è importante simulare un altro percorso, quello di capire come ci vogliamo collocare o non ci vogliamo collocare rispetto agli strumenti di modifica di politica attiva del lavoro che sono già in atto e alcuni sono presenti, come per esempio il ruolo della Commissione regionale per l'impiego. Siamo disposti a concertare in quella sede delle politiche di formazione professionale? C'è il ruolo dell'agenzia, il ruolo di riqualificazione e di gestione della mobilità. Siamo disposti a spendere le nostre risorse e le nostre competenze in questo rapporto? Ahimè!, signori Consiglieri e signori della Giunta, il Presidente della Commissione regionale per l'impiego, per legge, è l'Assessore al lavoro.
La risorsa più importante che abbiamo da spendere in quella sede è la formazione professionale, ebbene, la delega è tenuta da un altro Assessore.
Nel meccanismo che ci viene presentato dalla nuova legislazione in materia di politica attiva del lavoro noi non abbiamo saputo dare coerenza alla funzione di presidenza della Commissione regionale per l'impiego organo quadripartito di correlazione e di mediazione di una serie di politiche attive per il lavoro.
Anche all'interno della riforma dell'obbligo ci sono due percorsi dei quali noi dobbiamo dire qualcosa. Se l'obbligo va a 16 anni noi ci battiamo, facciamo pressione a livello nazionale affinché i due anni di crescita della scuola dell'obbligo vengano riconosciuti come un biennio che può coprire la nostra formazione professionale o noi diciamo che la formazione professionale parte da dopo la scuola dell'obbligo? Queste sono due scelte che fanno derivare dei comportamenti e delle strutturazioni della nostra formazione professionale estremamente importanti.
Mi sembra che nella nostra cultura risentiamo troppo del collegamento con l'innovazione tecnologica e rinunciamo a far si che la formazione professionale, se vogliamo uscire dal circoscritto dello scolastico e formativo professionale, possa essere una buona occasione per dare una ricaduta di innovazione, di conoscenze, di rapporto verso la piccola impresa e verso l'artigianato.
Ho voluto recuperare alcuni passaggi dello Statuto del centro Tecnotest per ribadire che i nostri centri sono avanzati e hanno una funzione di riflesso, di beneficio, di diffusione della conoscenza rispetto alla piccola impresa dell'artigianato. Ma anche la formazione professionale pu essere una leva che interviene nei momenti di emergenza, il Verbano - Cusio Ossola è un'area particolare di crisi come la siderurgia; avremo probabilmente alcune migliaia di problemi soprattutto nell'area metropolitana torinese e noi dobbiamo capire se questa è una leva che sa misurarsi su questi problemi oppure non vuole sporcarsi le mani e resta in una visione ben delineata in una forma di ingegneria organizzativa.
L'esigenza di fondo apprezzabile è quella di raccordare la formazione professionale al sistema delle imprese. Lo diciamo in tutti i modi che non basta una spolverata di mercato nella formazione professionale, ma deve esserci qualcosa di più. Però, se ci sfugge la capacità di controllo e di governo di questo rapporto tra il nostro ruolo nella formazione professionale e l'impresa, soprattutto se questa è grande, c'è il rischio che il primo livello non finalizzato, malgrado revisioni in tempi convenuti, non cambi di molto e che la parte alta della formazione vada al controllo delle imprese e non si ricerchi l'acquisizione di nuovi spazi di governo.
Giustamente il documento dice: "dobbiamo conoscere di più, dobbiamo essere più informati". Allora c'è il sistema delle congruità, l'abbiamo visto anche nell'indagine sul collocamento professionale dei giovani qualificati del sistema formativo avviato nel 1984-1985 che ha dato i suoi frutti. Ma non basta.
Se diciamo che vogliamo mettere a disposizione nostre risorse nel rapporto tra pubblico e privato, il sistema delle imprese deve aprirsi deve darci una visibilità dei suoi comportamenti, deve indicarci le sue strategie. Allora questo governo, questa assemblea elettiva avrà titolarità ad aprire un discorso con le imprese e non che l'autonomia dell'impresa non permetta di decifrare quali sono i suoi grandi comportamenti, quali sono le sue grandi scelte. Sono fatti essenziali per poter anticipare questi processi.
Se noi nel rapporto necessario tra pubblico e privato, nel rapporto necessario con il mercato, che non deve essere solo una spruzzata di finzione, non sappiamo governare altamente, se subiamo le vischiosità e gli interessi, avremo il primo livello che non si modifica di molto e il secondo che sta emergendo verrà assorbito prevalentemente dal pubblico, ma con il quale non saremo stati in grado di aprire un rapporto politico qualificato.
Certo, noi parliamo con estrema facilità di ottimizzare la spesa; non è solo un problema di accrescere il grado di finalizzazione. Si tratta di accrescere il grado di coerenza nella collocazione dei giovani. E' chiaro che il rapporto con le imprese, il rapporto con la nuova legislazione, i contratti di formazione e lavoro, gli stage necessari all'interno della formazione di primo livello possono indubbiamente aiutarci e potrebbero avere dei riflessi sul Piano finanziario.
Come recuperare risorse finanziarie? C'è uno scostamento tra la legislazione in materia di lavoro e la legislazione in materia industriale, una scissione negativa che non dà corrispondenza ai grandi finanziamenti pubblici in innovazione. Per esempio, la legge n. 46 ha un contenuto formativo che dovrebbe essere implicito nella acquisizione da parte delle imprese di nuove tecnologie quindi da quel versante si dovrebbe poter recuperare delle risorse. La legislazione però non lo dice in modo esplicito anche se non chiude completamente questo percorso.
Visto che ci apriamo al mercato e alle imprese, dovremo essere in grado di fare questo discorso: dove arrivano risorse pubbliche di politica industriale, quelle risorse pubbliche devono in qualche modo, in qualche parte, in qualche segmento toccare il sistema formativo e dare dei benefici attraverso questo versante.
C'è poi il nodo della gestione del Fondo Sociale Europeo che guarda prevalentemente ai giovani e all'area adulta; non lo possiamo modificare possiamo soltanto dire che le aree di vecchia industrializzazione hanno degli altri problemi. Il fatto che possiamo usare di più e meglio il Fondo Sociale Europeo a favore di settori dei giovani dovrebbe farci porre un interrogativo. Non è possibile pensare di liberare delle risorse tradizionali per quelle aree che oggi non hanno nessun beneficio dalle leggi di politica attiva del lavoro? (E mi riferisco agli adulti dequalificati). Non possiamo pensare, in un concetto di formazione permanente (che non sia solo un'affermazione propagandistica) di recuperare risorse? Parlavo della siderurgia, ma ci sono altri aspetti.
Toccherò brevemente alcuni punti. C'è il problema del personale (vedo una folta ed attenta rappresentanza presente in questa occasione). Viene citata per esempio la formazione alta. Si ipotizza un certo disegno, si parla di "centri di eccellenza", ricordo che a suo tempo si erano chiamati "poli di alta qualificazione", potremo poi trovare il nome più adeguato forse "centro di eccellenza" non è chiaro rispetto alla volontà e alla sua finalità. Nei centri di eccellenza bisogna rivendicare un mix tra pubblico e privato in cui la funzione di governo, la possibilità di operare, di modificare dei percorsi sia ancora realmente in mano al momento pubblico perché non dobbiamo solo finanziare a piè di lista; credo che non sarebbe una buona trovata un'operazione del genere. Deve essere uno strumento che raccordandosi con l'impresa, sa dare un prodotto formativo adeguato, che sa svolgere alcune funzioni e che rappresenta comunque una leva di politica del lavoro e di politica industriale.
Occorre completare gli spazi che erano stati delineati nel Piano 1984 1986 (energia, moda, pubblica amministrazione, comunicazione). Vorrei accennare all'ipotesi del centro di innovazione Cad-Cam. Non l'ho trovato nel testo malgrado abbia fatto una lettura approfondita. Se non c'è va recuperato e se è soltanto accennato va detto con estrema chiarezza. Visto che l'Assessore con un'affermazione precisa in occasione di un altro dibattito si è assunto l'impegno dell'utilizzo del computer per progettare e per la gestione della produzione, magari raccordata con i laboratori di intelligenza artificiale, è necessario dire qualcosa sul discorso del centro di alta qualificazione, centro di eccellenza. Vorrei anche dire qualcosa sul Formont, sul sistema di formazione delle discipline alpine. O viene detto con estrema chiarezza che questi centri sono anche un'occasione di diffusione dell'innovazione e quindi non sono tutti interni al processo formativo, come dice lo Statuto del Tecnotex che è per il trasferimento di tecnologie e anche per l'assistenza alle aziende, diversamente il Gruppo socialista non sarà d'accordo su questo tipo di configurazione dei centri di eccellenza o dei poli di alta qualificazione.
In questo processo il ruolo del personale è delicato e complesso.
Questa macchina formativa ha un retroterra, ha un "know how" che non possiamo disperdere, quindi non possiamo accettare le critiche che dicono che tutto è arretrato e in ritardo; dobbiamo, dove ci sono aree di ritardo recuperarle offrendo degli spazi di uscita dove ci sono delle rigidità che non rendono possibile queste trasformazioni, ma è chiaro che dobbiamo guardare a questa risorsa essenziale del processo formativo con grande attenzione tenendo presente che questa risorsa, quando vedrà che il processo avanza ed è adeguato, saprà rapportarsi con le esigenze di avere risorse esterne che potranno essere recepite di volta in volta e non necessariamente in modo strutturato.
Dirò qualcosa sulle deleghe. Un punto politico preciso è il superamento della delega ai consorzi comunali. Probabilmente la Provincia è la struttura più adeguata. C'è poi un problema sul trasferimento dei centri regionali di secondo livello, c'è il rischio che si parta con un'operazione senza toccare gli altri aspetti di ritardo all'interno della formazione professionale. Non vorremmo trovarci con qualcosa di facile da gestire e da trasferire ma che il resto sia difficile, resti e si faccia a "babbo morto". Lo dico politicamente come rappresentante del Gruppo socialista, la delega alle Province deve concepire congiuntamente una sub-delega predeterminata, automatica al Comune di Torino. Altrimenti, per la realtà per le caratteristiche che ha la struttura economica e sociale della Provincia di Torino, non possiamo pensare che ci sia un organo di programmazione su un'entità che poi sovrasta in termini di strutturazione di peso, la stessa Provincia. Sono deleghe di funzioni amministrative e gestionali con aspetti di programmazione che vanno alla Regione soprattutto per cogliere le specificità.
Sull'orientamento professionale ci sarebbero molte cose da dire, per esempio, sulla formazione in agricoltura, in artigianato, in commercio e nella cooperazione dove occorrerebbe dare una precisa priorità alla formazione delle capacità gestionali più che alle capacità tecniche dove le associazioni di categoria possono recuperare risorse per altra strada. E' il nodo dell'orientamento professionale che io credo debba essere preliminare al momento della scelta. Viene a minimizzarsi l'esigenza di orientamento professionale in una situazione di formazione con strumenti di formazione lavoro, di formazione in alternanza e quindi viene a ridurre i caratteri di questo momento, mentre nella struttura tradizionale scolastica poteva avere degli aspetti chiari. Ritengo più opportuna una forte azione di base durante lo svolgimento dell'obbligo a favore delle famiglie, nei riflessi dell'opinione pubblica, una capacità da parte di ogni singolo cittadino, di ogni nucleo familiare di autoregolare e di autogovernare in parte i suoi destini futuri sul piano professionale. Ritengo che i corsi di orientamento ipotizzati da 50 a 80 ore portino il rischio di impegnare delle risorse scarse in un meccanismo, in una selezione con un momento di permanenza che mi pare non sia adeguato.
C'è un terzo livello di formazione professionale, per esempio il commercio con l'estero, come corso post-laurea. Può essere estremamente importante. Ma, se come strumento di formazione professionale vogliamo essere anche una leva di politica economica, di politica dello sviluppo che sa raccordarsi con la legislazione vigente in materia di politica del lavoro, dobbiamo anche avere il coraggio di concertare realmente con le altre parti, non solo in un rituale di consultazione degli organi preposti le nostre competenze, i nostri strumenti e le nostre risorse.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Staglianò. Ne ha facoltà.



STAGLIANO' Gregorio Igor

Signor Presidente, intervengo per una mozione d'ordine.
Dato che il dibattito su questo punto è incominciato in ritardo rispetto alle previsioni iniziali e data la presenza di una folta delegazione di operatori dei centri a questa discussione, sottopongo all'attenzione sua e dei colleghi Capigruppo l'opportunità di proseguire i lavori fino alle ore 12,30/14 in modo che chi fosse interessato alla nostra discussione possa seguirla.



PRESIDENTE

Se non vi sono obiezioni a questa proposta, io sono d'accordo.
Ha ora la parola il Consigliere Amerio.



AMERIO Mario

Noi avvertiamo un certo disagio nell'affrontare la discussione di oggi.
Abbiamo atteso 8 mesi dal momento in cui, con la presentazione della nostra mozione sui problemi della formazione professionale, abbiamo sollecitato e voluto questo dibattito. Abbiamo atteso che pervenissero i materiali della Giunta per la predisposizione di un Piano pluriennale e abbiamo accettato la trasformazione in dibattito della seduta di oggi, tutto ciò nella speranza e nella convinzione che la Giunta in qualche modo si sarebbe collocata con una propria posizione rispetto a questo dibattito. Ciò non è avvenuto. Abbiamo ascoltato una brevissima introduzione dell'Assessore che non indica le linee, gli orientamenti, le scelte sulle grandi questioni della formazione professionale che dobbiamo affrontare.
Ci sarà a giorni un convegno su questi materiali, che non sono un piano, convegno nel quale singolarmente l'opposizione del Consiglio regionale, la minoranza, non ha voce e non ha titolo per intervenire.
Riteniamo quindi riprovevole l'atteggiamento della Giunta anche in questa occasione.
Riproporremo pertanto interamente i temi, i contenuti, le scelte sulle quali avevamo costruito la nostra mozione. L'avevamo presentata 8 mesi fa nella convinzione, che si è nel frattempo anche rafforzata, che la formazione del capitale umano stia diventando del tutto centrale e per le politiche attive per l'impiego, come già il Consigliere Tapparo ricordava e al contempo, sia pure non da sola, stia diventando una leva insostituibile anche di politica industriale e di una moderna concezione della programmazione.
La nostra mozione partiva da un assunto che vorrei qui richiamare: di pari passo con le trasformazioni tecnologiche, economiche, sociali e anche culturali degli anni '80 va tramontando sempre più rapidamente la nozione stessa di formazione dalla scuola al lavoro che abbiamo conosciuto nei decenni precedenti. E' ormai senso comune che se in passato si poteva pensare alla formazione come una attività statica cui dedicare la prima parte della vita per apprendere nozioni durevoli in vista di una professione o di un mestiere sostanzialmente stabile nel tempo, oggi le cose stanno diversamente. Sapere e saper fare sono divenuti i concetti inseparabili e in continuo addivenire, perché mestieri e professioni cambiano rapidamente, nascono e muoiono, come si dice, ma più spesso si trasformano incorporando nuovi saperi.
Poiché alla rigidità dei curricula, dei tempi e dei contenuti della formazione, delle forme del lavoro, si sono andate sostituendo la flessibilità e la reversibilità in ciascuno di questi campi; al sapere una volta per tutte va sostituito sempre più l'imparare ad apprendere, e ad apprendere in modo ricorrente, in previsione, se è possibile certo, del posto di lavoro, ma anche e sempre di più di iter professionali plurimi intrecciati a fasi di riqualificazione e di aggiornamento professionale. E' perciò essenziale rimodellare i processi di formazione dalla scuola alla formazione professionale senza che ciò significhi però appiattirsi sulle trasformazioni produttive e sui bisogni delle imprese, per aderire maggiormente ai processi reali, ma anche per disporre di nuovi strumenti atti a influire su questi processi, a orientarli al miglioramento della qualità sociale. Laddove la formazione, anche la formazione professionale si è resa del tutto subalterna alla produzione, si assiste in modo crescente a effetti indesiderati, talvolta inquietanti, si veda il dibattito in corso negli Stati Uniti.
Del resto le elaborazioni più avanzate spingono in direzione delle più ampie sinergie, ma anche di precise autonomie tra formazione e processo produttivo. Così si esprime con grande chiarezza un recente studio franco tedesco in materia, pubblicato alla metà di quest'anno dal Centro Europeo per lo sviluppo della formazione professionale, studio che sconsiglia l'affidamento, la delega alle imprese tout court in materia di formazione professionale.
Occorre dunque ed urge in questa materia un riesame coraggioso e a tutto campo dell'esistente.
Noi abbiamo come Regione competenze solo per quel segmento, tuttavia non marginale dei processi formativi, che è la formazione professionale.
Quello della formazione professionale è un sistema non bloccato ma sicuramente in parte sofferente e negli ultimi due anni e mezzo con questa maggioranza e questa gestione, questa sofferenza si è aggravata pericolosamente per la interruzione di un processo di rinnovamento faticosamente avviato in precedenza e per la totale assenza di analisi o di elaborazioni che indicassero una qualsiasi anche altra direzione di marcia da intraprendere. Questo denunciavamo, questa critica severa rivolgevamo nella nostra mozione dell'aprile scorso ed è perciò colpevole anche il ritardo con il quale giungiamo a questo dibattito.
Perché il sistema è sofferente? Richiamerò rapidamente le riflessioni e i giudizi contenuti nella mozione. Il sistema di formazione del Piemonte in larghissima parte è gestito in regime di convenzione con enti privati, si colloca nel panorama nazionale in una fascia medio alta, mediamente costoso, ma come vedremo il costo va poi rapportato ai risultati. Aveva avviato nella vigenza del primo Piano triennale aggiustamenti sperimentazioni e innovazioni, magari disorganiche, ma non per questo meno significative. Faccio tre esempi che trovano rari riscontri nelle altre Regioni: l'adozione delle fasce professionali per il primo livello, le esperienze di secondo livello con la creazione dei consorzi misti, le prime sperimentazioni di formazione post laurea nei settori del Cad-Cam e dell'intelligenza artificiale.
L'investimento - informazione è parallelamente cresciuto e non poco: dal 1983 ad oggi il costo reale è aumentato di quasi il 50%. Oggi spendiamo mediamente 260 milioni al giorno, cifra che va incrementata del 50% se si considerano i corsi del Fondo Sociale Europeo a titolarità regionale.
Ciò nonostante e pur considerando, perché ne siamo perfettamente consapevoli, che vi sono nel sistema formativo regionale aree di sperimentazione avanzata di grande interesse, nel complesso i risultati non sono rispondenti alle attese e allo sforzo. Per ogni 100 giovani in età è in condizioni di rivolgersi al sistema formativo esso ne assorbe mediamente poco più di 20, i tassi di abbandono sfiorano la metà, mentre solo un terzo dei qualificati andranno a svolgere in futuro mansioni attinenti alla qualifica conseguita.
Quei giovani, inoltre, non sembrano avere sul mercato del lavoro molte chance in più rispetto ai loro coetanei che non hanno frequentato i corsi pur anche questo dato da prendersi con forti differenziazioni interne.
Poco o nulla sappiamo infine e controlliamo delle attività finanziate dal Fondo Sociale Europeo. E' vero che questa situazione nasce da lontano e ha cause che in parte vanno oltre le responsabilità della Regione, ma è almeno altrettanto vero che le dinamiche innovative contenute, magari anche con ritardi e con difficoltà, nel primo Piano triennale e che erano alla base di quelle diversità positive che citavo da tante altre Regioni anche vicine a noi, con questa maggioranza e con questa gestione negli ultimi due anni e mezzo, non hanno avuto seguito, anzi hanno subito un'interruzione forzata, una soluzione di continuità per nulla giustificabile e assai grave sul piano delle conseguenze pratiche. Non sono sorti i nuovi centri di secondo livello; le attività di livello universitario sono rimaste le due già ricordate, intelligenza artificiale e Cad-Cam, e si direbbe che sopravvivano nella indifferenza della Regione e grazie soprattutto all'impegno degli altri partner, dall'Università al CSI. Si è persa con gli accordi - quadro per i contratti di formazione lavoro nell'industria torinese un'ottima occasione, la prima, per fare interagire davvero imprese e sistema formativo regionale, non solo sul versante dei rapporti con il sistema delle imprese, ma anche su quello dell'orientamento e dei rapporti col mondo della scuola, campo quest'ultimo nel quale pure fiorivano qua e là autonomamente sperimentazioni assai apprezzabili. Non si è stati in grado di mettere a punto un progetto che coordinasse, accelerasse e diffondesse gli elementi di innovazione che si erano manifestati.
Le deleghe infine non sono state assegnate, né è stato risolto il problema dell'inquadramento del ruolo del personale che anche oggi è oggetto di una manifestazione dei dipendenti.
Insomma, si è caduti per oltre due anni nella inerzia più assoluta senza che emergesse alcun disegno alternativo, senza che vi fosse risposta alle critiche reiterate, non solo nostre, ma crediamo di poter dire anche delle OO.SS. e delle stesse organizzazioni degli imprenditori. Due anni e mezzo di indecisioni, di rinvii, di non governo.
In questo quadro di grave depotenziamento delle linee e del disegno del primo Piano triennale e di assoluta stagnazione, noi avanzammo le proposte che sono contenute nella mozione che tendevano a reinnescare e accelerare il rinnovamento del sistema della formazione professionale, rompendone soprattutto, come scrivemmo nella mozione, la duplice separatezza dalla scuola e dal mondo del lavoro con l'obiettivo finale di trasformarlo in un sistema misto pubblico - privato a guida pubblica, sperimentale, molto progettuale, caratterizzato da una forte presenza di attività progredite strutturato per agenzie formative moderne e gestito in modo efficace e snello, capace di interagire strettamente col territorio. Qui, nella rottura di questa duplice separatezza e nella creazione, al contrario, di un sistema forte di sinergie noi vediamo l'asse portante di qualsiasi strategia di ammodernamento e di rilancio della formazione professionale.
Ci opponiamo infatti alle suggestioni, che pure non mancano, a partire dal vecchio progetto di riforma della legge n. 845 del precedente Governo, ma anche e soprattutto all'uso finora fatto dei contratti di formazione lavoro, alle suggestioni, dicevo, alla privatizzazione della formazione professionale come rimedio ai suoi mali. Sarebbe questa una scelta miope ormai contestata in tutti i Paesi avanzati che, spingendo in direzione contraria alla riforma, accrescerebbe quelle diseconomie di sistema l'arretratezza dei servizi e delle grandi infrastrutture pubbliche che tutti lamentiamo, ma che se non vengono superate possono vanificare il processo di ammodernamento in atto nel sistema produttivo.
In pari tempo riteniamo però del tutto improponibile la difesa dell'esistente, l'immobilismo o un troppo lento divenire. Per questa via se questa fosse la scelta o la non scelta come è stato in questi anni, lo svuotamento dei sistemi regionali di formazione diventerebbe solo un fatto di tempo e i tempi non sarebbero poi così lunghi. Per questo insistiamo sull'idea di un sistema misto a guida pubblica, nel quale possano interagire efficacemente mercato e interessi collettivi. E' una scommessa difficile, ma è la scommessa del futuro, alla quale non è lecito sottrarsi se si vuole davvero governare. Abbiamo avanzato a questo proposito nella mozione alcune proposte precise che in qualche parte echeggiano adesso nei materiali della Giunta per il Piano pluriennale, peraltro in modo assai confuso, contraddittorio, come se si volesse a tutti i costi tendere a conservare un assetto le cui convenienze sfuggono a una limpida logica politica.
Vorrei riassumere rapidamente e illustrare quelle proposte: 1) il Piemonte deve far sentire il suo peso a favore di una evoluzione e di una riforma del quadro legislativo nazionale in materia di formazione e di lavoro. Non è una affermazione generica, è questione centrale, che deve andare avanti di pari passo con l'iniziativa diretta ed autonoma dell'ente Regione. Vanno banditi facili ottimismi riguardo alle dinamiche dell'occupazione e del mercato del lavoro. La disoccupazione non accenna a diminuire; la segmentazione del mercato del lavoro è sempre più accentuata, a causa anche di una deregulation del mercato del lavoro. Senza nuove regole, si sono scavati nel tempo solchi rigidi fra giovanissimi giovani inferiori ai 29 anni, adulti dequalificati cinquantenni, e così fra uomini e donne, le quali ultime si affacciano sempre più numerose sul mercato e più ancora drammaticamente fra nord e sud. Questa segmentazione del mercato del lavoro è assai accentuata anche in Piemonte. Ora, se la formazione non crea direttamente occupazione è tuttavia un potente fattore di accelerazione e di promozione se adeguatamente usata nel quadro di moderne politiche attive per l'impiego, ma queste moderne attive politiche per l'impiego non ci sono. La legge n. 56 non è ancora a regime e in parte è inapplicata; la riforma della cassa integrazione attende da anni, così quella del collocamento; è debolissima, se non del tutto inesistente in Italia una legislazione di sostegno alla riduzione degli orari di lavoro.
Su questo versante da un lato e dall'altro su quello della riforma della scuola secondaria superiore va chiesto dunque alla Regione di svolgere un ruolo dialettico e protagonista, un ruolo forte degno di una Regione tra le principali del nostro Paese nei confronti del Governo. E la stessa Regione deve tendere a coordinare percorsi formativi e politiche attive per l'impiego nelle diverse sedi, ruolo finora totalmente disatteso.
In modo particolarissimo va a questo punto assunta una iniziativa per la modifica legislativa dei contratti di formazione e lavoro, in direzione di una loro netta qualificazione del sostegno all'occupazione stabile e all'occupazione femminile e delle fasce più svantaggiate del mercato del lavoro, anche varando parallelamente una nuova normativa per favorire l'occupazione giovanile tout court, senza pretese formative, ovviamente con agevolazioni inferiori e va riformato l'apprendistato.
2) La Regione deve dismettere, riteniamo, alla luce dell'esperienza la gestione diretta della formazione professionale. Essa deve invece assumere un ruolo marcato di lettura del territorio, progettazione e programmazione. Per questo sono necessarie le deleghe alle Province deleghe ampie, riguardanti il monitoraggio, l'orientamento, la progettazione delle attività, la gestione organizzativa e quella finanziaria. Deleghe vincolate alla messa in atto nella progettazione dei programmi formativi di sedi locali di interfaccia fra imprenditori sindacati, servizi pubblici per l'impiego, mondo della scuola, attraverso forme diverse che si possono sperimentare fino a quelle più strutturate attraverso i consorzi misti. Deleghe che prevedano anche forme di subdelega ad altri enti locali. Da questo punto di vista va detto con grande nettezza che l'ipotesi su cui pare la Giunta si orienti, di un decentramento alle Province dei soli centri della diretta è una ipotesi della quale, a nostro avviso, il meno che si possa dire è che non sta né in cielo, né in terra. Cosa significherebbe? Quale ratio la giustificherebbe? Avremmo Province con una delega di gestione ed altre no. E con quale coordinamento complessivo e con quale capacità di governo? Si tradurrebbe in realtà in una dispersione del tutto illogica e immotivata di parte del settore pubblico della formazione, in assenza di un progetto complessivo e degli strumenti per attuarla. Noi saremmo contrari a questa ipotesi.
Ragioniamo invece di un percorso che porti a tutto campo a deleghe vere nei campi e con le competenze che ho rapidamente ricordato. Ma per questo è indispensabile attivare subito, a livello centrale e decentrato, quello che chiamerei un sistema informativo complesso.
E' un sistema mirato a reperire, organizzare e fornire un gran numero di informazioni, rivolte da un lato agli operatori e alle amministrazioni locali per progettare le attività più idonee ed efficaci in quella situazione, e dall'altro rivolto all'utenza per renderla capace di muoversi più agevolmente nel mondo del lavoro e della formazione. Ecco quindi l'utilità di una rete di osservatori territoriali sul mercato del lavoro convenzionati con quello regionale, di un forte rilancio dell'orientamento d'intesa con i provveditorati agli studi, superando il dualismo tra orientamento scolastico e professionale anche in assenza della legge quadro, ecco l'istituzione di sportelli di informazione per i giovani in quei centri di iniziativa locale per l'impiego, la cui legge istitutiva noi presentammo sette o otto mesi fa, mentre solo nel gennaio prossimo la Giunta - sembra presenterà finalmente la propria.
La qualificazione delle attività e della spesa e la creazione di ulteriori sinergie fra scuola, formazione e sistema delle imprese è il terzo dei temi che abbiamo posto.
Anche in assenza della riforma della scuola, bisogna adoperarsi per ridurre il tasso di assistenzialismo presente nella formazione a favore della promozione e della finalizzazione degli interventi; favorendo soprattutto l'alternanza scuola - lavoro bisogna imprimere una forte accelerazione alle attività progredite, affiancando alla formazione esperienze nei campi del trasferimento di tecnologie all'impresa minore e della ricerca applicata. Bisogna sviluppare la formazione post-laurea.
La questione delle attività di primo livello, quelle legate particolarmente al drop-out della scuola, va chiarita una volta per tutte anche perché non possa più costituire un comodo alibi dietro il quale si nasconde nella migliore delle ipotesi l'inerzia più totale.
Certo, il problema della gran parte delle attività di prima qualificazione può risolversi compiutamente solo con quella riforma della secondaria superiore che attendiamo inutilmente da almeno dieci anni.
L'introduzione del biennio e l'elevazione dell'obbligo infatti otterrebbero i risultati di offrire uno zoccolo più alto di formazione di base e di liberare la formazione professionale dal ruolo di supplenza della scuola ufficiale che oggi ne limita pesantemente le risorse e le potenzialità.
In questo quadro, come è noto, noi saremmo contrari a introdurre la possibilità del completamento dell'obbligo nei sistemi formativi che ricreerebbe un sistema a due velocità e preferiamo pensare a un ruolo della formazione a quel punto di transizione snella e mirata al lavoro e alla sperimentazione di un sistema flessibile che consenta uscite e rientri dalla scuola.
In assenza di riforma il bisogno di una maggiore maturità e formazione di base dei giovani, che pure è ineludibile, si esprime lo stesso, ma in modo improprio come si vede dall'andamento del mercato del lavoro: cade l'apprendistato per i giovanissimi; i contratti di formazione - lavoro vedono protagonisti i giovani, ma raramente inferiori ai diciannove vent'anni; il giovane da parte sua, dopo l'obbligo, rinvia se può l'impatto con il lavoro, un lavoro a quell'età improbabile, e se può continua gli studi superiori, i quali registrano tassi di abbandono rilevanti.
Nessuno si sogna, e tanto meno una forza come la nostra, di sostenere che a questo ruolo, seppure improprio, di supplenza, la Regione deve sottrarsi abbandonando questi giovani a se stessi. Ma questa supplenza, che non è in discussione, può e deve essere esercitata in modi e forme assai più utili, incisivi ed efficaci di quanto oggi non avvenga.
Occorre a breve, questo è il punto, fornire agli enti delegati un forte supporto tecnico-progettuale della Regione, mirato a questa fascia di utenza, che è anche la più debole ed esposta: da attività di orientamento a progetti pilota d'intesa con gli istituti tecnici e professionali, a corsi brevi di tipo propedeutico, a moduli di formazione anche teorica in alternanza (apprendistato e contratti di formazione lavoro), allo spostamento di risorse in direzione di ulteriori incentivazioni alle imprese disponibili a farsi carico di questo problema (si veda la nostra proposta per un fondo straordinario per l'occupazione in Piemonte), alla sperimentazione limitata e controllata di forme inedite di intervento quale il credito d'ore.
La sperimentazione, come linea direttrice del rinnovamento della formazione professionale, deve qui trovare e toccare con coraggio il suo punto più alto per restare al fianco di questa utenza, ma dando di più fuoriuscendo dal parcheggio dell'assistenza troppe volte senza prospettive.
In questo campo soprattutto i finanziamenti agli enti devono essere commisurati alle capacità di innovare anche radicalmente e di finalizzare senza garanzia e a priori per nessuno.
In questa direzione va modificata la convenzione - quadro tra Regione e enti e vanno indirizzate le convenzioni decentrate che con il nuovo regime delegato si dovranno stipulare.
Il secondo e il terzo livello vanno nettamente potenziati. Nel prossimo triennio deve essere completato, a nostro avviso, il progetto e avviata l'esecuzione di nuovi enti consortili misti oltre a quelli esistenti che si configurino come aree di eccellenza della formazione professionale non in quanto staccati dal resto del sistema o fiori all'occhiello di un sistema che resta nel suo complesso così come era, ma come fuochi capaci sia pure progressivamente di connettere formazione ad alto livello, ricerca diffusione delle tecnologie, di realizzare più forti sinergie con Università, Politecnico, centri di ricerca e imprese innovative e di garantire una ricaduta sull'intero sistema formativo regionale.
La vocazione di questi consorzi deve essere riferita al territorio, al fabbisogno dell'economia e del sistema delle imprese, ma anche alla necessità di dare risposte a grandi questioni aperte che sollecitano un livello alto di intervento, come l'ambiente, il disinquinamento, le energie non nucleari. Ciò del resto era previsto, almeno in parte, dal precedente Piano triennale. Si tratta anche qui di recuperare il tempo perduto. Va dato nuovo impulso e slancio alle attività di terzo livello, già avviato da tempo. Va stretto un rapporto di maggiore collaborazione con Università e Politecnico, raccordando dove è necessario le attività di secondo livello con la istituzione delle scuole dirette a fini speciali, anch'esse post diploma, e partecipando attivamente a progetti innovativi come quelli già avviati dall'Università con imprese private per la formazione di tecnici e quadri aziendali in alcuni settori, e progettandone altre, rivolte per esempio ai quadri della pubblica amministrazione. Un sistema regionale che si trasformi gradualmente, ma in tempi certi, nelle direzioni che ho cercato sommariamente di indicare, pur guardando ai punti forti dell'economia e dello sviluppo della Regione, ma anche alla qualità sociale, non lascia indietro i soggetti più deboli e svantaggiati. Anzi su di essi, come ho già ricordato a proposito del primo livello, compie forse lo sforzo più grande di ricerca di nuove e più avanzate forme di solidarietà, qui anche come nella ricerca di una giusta sintesi quando si tratta di determinare le scelte fra interessi del sistema produttivo e interessi collettivi, sta il senso stesso della presenza e della guida pubblica in un sistema fortemente interattivo come quello che proponiamo.
Perciò - e mi avvio alle conclusioni - consideriamo questioni rilevanti non solo quelle del drop-out, ma anche quelle dell'inserimento dei diversi soggetti svantaggiati, dei portatori di handicap, della lotta al superamento dell'emarginazione, anche tramite la formazione professionale e l'inserimento al lavoro e crediamo, noi assieme a quasi tutti gli altri Gruppi di questo Consiglio regionale di avere dato in questa direzione un contributo forse non marginale con la presentazione di una proposta di legge per l'incentivazione e il sostegno alle cooperative integrate con soggetti svantaggiati che avrà nella formazione un supporto di grandissima rilevanza. E così anche la questione della riqualificazione degli adulti espulsi dei processi produttivi nell'ambito di progetti finalizzati di riaccompagnamento al lavoro, per i quali sarebbe purtroppo necessaria l'Agenzia per l'impiego che ancora non è attivata; così ancora il nodo della discriminazione nell'occupazione e nella posizione professionale delle donne, persino nell'accesso al sistema formativo dove occupano ancora le posizioni spesso più basse e meno qualificate. Bisogna che la Regione assolva al suo ruolo di punto alto di progettazione e di supporto agli enti delegati realizzando in proprio e a livello decentrato progetti speciali capaci di migliorare la qualità e l'efficacia degli interventi. Nel quadro di questi progetti speciali, ma non mi dilungo, ci sono temi di grande rilievo come la formazione imprenditoriale, la formazione nei settori dell'artigianato, del commercio, dell'agricoltura, i fabbisogni formativi legati al coordinamento della domanda pubblica, e mi domando se mai con questa maggioranza riusciremo a dare avvio a queste forme di coordinamento della spesa della domanda pubblica che costituiscono da tempo un impegno del Consiglio a tutt'oggi ancora disatteso dalla Giunta.
In questo quadro c'è bisogno di conoscere, finalizzare e controllare assai meglio di quanto avvenga l'utilizzo del Fondo Sociale Europeo.
Vorrei concludere soffermandomi sul tema che ho lasciato per ultimo perché costituisce il banco di prova più importante e non a caso anche il terreno sul quale i corposi documenti preparatori della Giunta sono con ogni evidenza più evasivi e sfuggenti, quello delle forme, dei modi e degli strumenti, degli impegni e dei tempi per guidare il sistema regionale di formazione professionale nelle direzioni indicate.
Da quanto ho detto fin qui risulta evidente che la Regione deve non solo dare rapidamente le deleghe, ma deve accompagnarle con precise indicazioni e con un progetto. Pensiamo che i cardini di questo progetto debbano essere quelli che ho già ricordato, cioè il sistema informativo locale, la progettazione concertata dei piani di formazione, la creazione di sinergie locali, e insieme a questi anche indicazioni sulla strutturazione dei centri sul coinvolgimento, l'utilizzo del personale sulla formazione dei formatori, attraverso piani straordinari ricorrenti che utilizzino il know-how esistenti negli atenei, il settore del terziario qualificato, nello stesso sistema dell'impresa.
Qualche osservazione sul primo punto. Le esperienze e la professionalità del personale della formazione vanno adeguatamente valorizzate ed ulteriormente incrementate; va risolto il problema dello stato giuridico e normativo dei dipendenti, ricercando l'intesa con le OO.SS. ma senza creare nuovi fattori di rigidità. In questo quadro noi conveniamo che una soluzione utile può essere quella dell'individuazione di un ruolo unico dell'assegnazione delle deleghe alle Province individuato nella Regione o nelle Province. Crediamo che un momento unificante in questa direzione possa essere un terreno da ragionare e da sperimentare.
Nel quadro della contrattazione con i sindacati vanno utilizzate tutte le potenzialità nuove del contratto di settore e vanno ricercate intese integrative in grado di valorizzare e remunerare nei centri la professionalità, l'aggiornamento, la flessibilità. Occorre pensare a centri non strutturati troppo rigidamente, ma flessibili, capaci di dotarsi anche di collaborazioni esterne ad alta qualificazione, mirate e reversibili su progetti a operatori che gradualmente si qualificano non solo come docenti ma anche come organizzatori della formazione abili a reperire e combinare supporti e conoscenze ed esperienze diverse.
Affinché il progetto non resti sulla carta esso deve essere armato con due strumenti: la creazione di un'èquipe altamente qualificata presso l'Assessorato, facendo leva sulle forze già disponibili e che hanno maturato in questi anni una significativa esperienza, ma non escludendo forme di collaborazione con l'Università o altri centri che dispongano anch'essi delle esperienze e dei saperi necessari a gestire una transizione così complessa; un'èquipe che nonostante le tradizioni di assodata disorganicità del lavoro di questa maggioranza dovrebbe essere messa in condizioni di poter lavorare in sintonia almeno con l'Assessorato all'industria e lavoro; e dall'altra parte occorre una radicale modifica della convenzione con gli enti che consenta alle Province, organo delegato da subito di modulare ampiamente i finanziamenti sulla base dei livelli di innovazione introdotti, attraverso un sistema di incentivi e disincentivi e in prospettiva, noi pensiamo e vorremmo aprire su questo tema un confronto di passare dal finanziamento del sistema di formazione professionale al finanziamento di progetti formativi. Questo è il salto da fare e crediamo si possano almeno avviare sperimentazioni pilota nella vigenza del prossimo Piano triennale. Intendo dire un passaggio sperimentale graduale da sistema di finanziamento analitico a piè di lista a forme di finanziamento che portino a stabilire i costi standard dei diversi moduli formativi o anche su singoli progetti e che limitino i controlli all'efficienza dei servizi resi. Da questo punto di vista una ipotesi avanzata nell'ordine del giorno presentato dal Gruppo repubblicano ci pare possa costituire un utile terreno di confronto.
Nei confronti degli enti, con le proposte che avanziamo, vogliamo assumere un atteggiamento di disponibilità. La Regione deve disporsi ad accompagnare nei processi di ammodernamento e a riconoscere gli sforzi che vanno in questa direzione, ma nulla può essere garantito al di là di questo in una transizione difficile che ha per posta la stessa sopravvivenza dei sistemi regionali di formazione professionale. Toccherà agli enti, ma anche ai centri e ai consorzi misti dimostrare che possono farcela, cimentarsi; guadagnare o perdere sul terreno nuovo spazi anche di mercato e prospettive per il futuro e qualificarsi o no come le moderne agenzie formative di cui il Piemonte ha bisogno. L'interesse della Regione è limitato all'efficacia della formazione professionale e al necessario ruolo e controllo pubblico; non può riguardare gli assetti o il destino degli enti. Su questo punto almeno condividiamo la tesi esposta nei materiali presentati, ma alle parole debbono seguire i fatti. I fatti sono due e ci hanno ampiamente dimostrato che non c'è nessuna ragione di fiducia nella gestione fin qui realizzata, che proprio sulla formazione professionale uno dei temi più qualificanti ha reso in questi anni una delle prove più basse. Non se la prenda l'Assessore Alberton. Va detto con grande nettezza che la verità è che questo Assessorato non ha voluto o saputo in questi anni scegliere. Ci si è trovati sballottati fra gli interessi forti delle imprese, quelli degli enti che volevano mantenere le loro prerogative, fra Province e Comuni che manifestavano interessi diversi per il decentramento, fra una consapevolezza del nuovo da creare che ci è parsa disarmata e un'assoluta impotenza di fronte ai processi reali e agli interessi in campo. In questo mare burrascoso la Giunta ha da tempo rinunciato a navigare, preferendo lasciarsi andare alla deriva, evitando via via gli ostacoli maggiori. Ma così facendo, altri governano, appunto gli interessi forti e non la Regione.
In poche parole questo ci sembra il consuntivo di questa gestione e da qui la nostra sfiducia. Per questo vi annunciamo una posizione assai ferma e rigorosa nelle vicende prossime dell'iter del Piano triennale. Saremmo disponibili a concludere con una posizione unitaria solo qualora si assumessero impegni vincolanti e inequivocabili che indichino una precisa e significativa correzione di rotta rispetto al passato; un passato breve ma che ha prodotto, soprattutto sui problemi della formazione professionale già fin troppi guasti.



PRESIDENTE

Ha ora la parola il Consigliere Ferrara.



FERRARA Franco

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, è forse destino della formazione professionale effettuare il dibattito in situazioni sempre alquanto precarie. L'ultima volta che ne abbiamo discusso erano le sei di sera circa del 31 luglio; oggi ci troviamo a discuterne in queste ore di solito dedicate ad altre questioni, ed è un peccato perché il problema è importante sia per la questione in sé, sia per il documento, predisposto dall'IRES che l'Assessorato ci ha messo a disposizione.
E' importante la formazione professionale per la competenza regionale diretta, per la rilevanza quantitativa di bilancio e soprattutto per la rilevanza qualitativa di strumento fondamentale decisivo per i problemi dell'occupazione.
Emerge da questo studio che l'interesse e l'impegno della Regione rispetto a questo settore e a questo problema non sono certamente diminuiti: anche se le situazioni contabili richiamano una vecchia polemica, certamente gli stanziamenti a bilancio hanno avuto un grosso balzo in avanti tra il 1985 e il 1986.
E' un aspetto importante che vede spendere risorse rilevantissime: a livello nazionale si parla di 5.000 miliardi all'anno e nel solo Piemonte la spesa è di 600 miliardi e se è vero, come dice qualcuno, che non è congrua rispetto alle necessità, è pur tuttavia una cifra di per s importante e significativa che è stata dispersa in questi anni. Non farei tanto un discorso sugli ultimi due anni; direi che nel passato è stata dispersa in eccessivi rivoli - come dice lo stesso studio dell'IRES - che hanno di fatto vanificato la necessità di programmazione e di supporto al sistema produttivo che la formazione professionale potrebbe avere. La formazione professionale è stata oggetto di un approfondito dibattito tra le forze di maggioranza nel mese di luglio quando c'è stata la verifica oggi abbiamo la possibilità di valutare in concreto gli impegni della Giunta e dare un giudizio sulle proposte.
Uno studio importante quello dell'IRES, qualcuno ha detto persino troppo importante, troppo ampio. E' certamente molto ampio, però dobbiamo oggettivamente riconoscere che uno studio così analitico e articolato rispetto ai problemi della formazione professionale se può determinare un certo sconcerto quando lo si esamina, è oltremodo uno strumento valido per affrontare seriamente il problema.
Lo studio ha messo in evidenza alcune disfunzioni e aspetti negativi peraltro già noti, e non è il caso di fare polemica e andare vedere a quale Giunta e maggioranza sono imputabili i difetti: credo a nessuna Giunta e a nessuna maggioranza specificatamente. Sono un processo storico di lunga data che la Regione ha ereditato e non ha saputo affrontare in modo così deciso da riformarlo, anche se dobbiamo riconoscere che quando le situazioni si determinano in conseguenza di processi storici lunghi è molto difficile pretendere di modificarli nel giro di poco tempo.
Questo studio però ha dato indicazioni in positivo, ha chiarito certi ruoli mettendo in evidenza l'assoluta necessità e importanza del I, II e III livello, facendo così cadere certi luoghi comuni troppo facili, quasi che fosse buono soltanto il III livello, poi il II e infine il I. Forse in passato si è ecceduto per facilità o per come si è formata la formazione professionale; certamente oggi non è facilmente smontabile e neanche riconducibili ai livelli le disfunzioni che ci sono.
Ha messo anche in evidenza il problema del reinserimento del mondo del lavoro, i contratti di formazione che poi non vengono consolidati, la riconversione nel mondo del lavoro dei lavoratori esclusi dai processi produttivi, di fondamentale importanza per il Piemonte: il problema della FIAT l'abbiamo esaminato tempo fa; il problema della siderurgia del quale si discute oggi in una sala del Palazzo e al quale purtroppo non posso partecipare perché sono impegnato in aula, settore che indubbiamente ha dei grossi problemi, questi lavoratori dovranno essere oggetto di qualche provvedimento per quanto si riferisce alla formazione o alla riconversione professionale. Credo che la Regione Piemonte purtroppo abbia tante situazioni di questo genere, quindi anche la riconversione di lavoratori esclusi dal processo produttivo è un aspetto importante.
Questo studio ha messo in evidenza tanti altri aspetti: l'eccessiva durata dei corsi ha un aspetto negativo, una durata che sconta da un lato un recupero scolastico e dall'altro un non adeguato rapporto formativo con il sistema delle imprese, quanto determina un troppo lungo intervallo tra la scuola e il lavoro creando difficoltà effettive; il problema degli abbandoni determina grosse diseconomie nel settore della formazione e aumenta man mano che aumenta la durata dei corsi. Del problema del follow up, della conseguenza, del seguito rispetto ai corsi di formazione avevamo già parlato; il follow up rispetto alla formazione professionale, rispetto al grande sforzo che la Regione ha fatto. è inadeguato.
Tutti questi problemi sono noti, erano noti prima, sono stati meglio definiti e non credo sia opportuno dilungarsi sia per l'ora sia perché il dibattito di oggi mi pare debba essere essenzialmente propedeutico rispetto ad un dibattito più approfondito che andremo a fare quando sarà presentato il Piano pluriennale della formazione professionale.
Però ci sono alcuni aspetti che devono essere presi in esame. Sappiamo che nell'attuale situazione finanziaria regionale non è prevedibile un aumento di impegno in questo settore. Quindi la formazione professionale per qualificarsi, e ha motivo e necessità di riformarsi, dovrà procedere con spostamenti di risorse interne. Questo è necessario non soltanto per un fatto meramente di bilancio, ma per motivi di effettiva qualità del servizio prestato. Ci sono rilevanti squilibri tra corsi e corsi addirittura da uno a tre volte sono gli squilibri che esistono e questo non può non essere preso in considerazione.
Il collega Amerio faceva riferimento a quanto è detto nell'ordine del giorno presentato dal Gruppo repubblicano rispetto ai costi standard. Credo che qualcosa di questo genere debba essere ricercato perché non sono ammissibili o perlomeno devono essere verificate con molta attenzione le enormi divaricazioni presenti.
Abbiamo preso atto con soddisfazione dell'impegno dell'Assessore rispetto ad un'attività di iniziativa della Regione per coordinare i diversi enti che operano nella formazione; questo è certamente uno degli elementi di inefficacia del sistema, uno degli elementi che crea duplicazioni ed inefficienze del sistema.
Occorre superare il problema della rigidità. Ci sono enti e centri che vivono per svolgere formazione professionale con finanziamenti esclusivamente della Regione e che hanno una capacità di formazione molto ridotta.
Non dobbiamo nasconderci dietro il dito. I problemi dell'occupazione esistono, però la formazione professionale è un servizio offerto per formare e avvicinare al nuovo lavoro, non è certamente offerto come surrogato di cassa integrazione.
Infine, è stato messo in evidenza il distacco o la marginalità del sistema formativo rispetto al sistema delle imprese. Credo debba esserci un grosso collegamento tra questi due sistemi. Oggi è stato detto che non occorre dare soltanto delle risposte a una domanda; credo che fondamentale per la formazione professionale sia dare risposte alla domanda di lavoro.
Questo non vuol dire giungere sempre al seguito, forse occorre anche saper prevedere la domanda di lavoro che si creerà e quindi creare le condizioni perché a questa domanda ci sia un'offerta, ma non credo, penso sia velleitario, che con la formazione professionale si possano indirizzare quelli che potranno essere gli sviluppi del sistema produttivo.
Lo studio IRES indica alcuni obiettivi per ridurre i tipi e la durata degli interventi per abbassare il costo unitario per allievo, liberare risorse finanziarie, razionalizzare il modo di operare dei centri di formazione, avvicinare il sistema delle imprese al sistema formativo evitare, soprattutto per il II livello, corsi lunghi con contenuti generici e ripetitivi dell'istruzione superiore.
Sulla base di queste valutazioni e di questi obiettivi possiamo avviarci correttamente ad una riforma del sistema. A mio giudizio dovremmo in qualche modo sgombrare il campo dalla situazione evidenziata in questo studio, che è stata ripresa oggi: dobbiamo ragionare con il sistema pre riforma o post riforma della scuola secondaria? Il Piano che faremo si muoverà certamente in uno scenario di preriforma secondaria, visto che quand'anche entrasse in vigore la riforma della scuola secondaria superiore è evidente che la formazione interverrà a conclusione del ciclo scolastico: quindi questo Piano pluriennale deve essere fatto nell'attuale scenario di preriforma.
Allora occorre dare indicazioni precise che non siano conclusive. Non riteniamo che con questo Piano possiamo giungere ad una situazione ottimale della formazione professionale. Abbiamo detto prima che il settore ha grandi incrostazioni storiche che non possiamo pretendere si risolva con il Piano. Però possiamo e dobbiamo pretendere che con il Piano vengano individuate direzioni precise. Questo sarebbe già un fatto fortemente positivo.
Il Partito repubblicano, come aspetti qualificanti per il nuovo Piano pluriennale, ritiene fondamentale la revisione dei criteri di ripartizione dei fondi impostata sulla economicità dei corsi e sulla loro finalizzazione e la individuazione di progetti specifici e criteri di costi standard di cui ho già parlato.
Ritiene importante, proprio per raggiungere quel momento d'incontro tra domanda e offerta di lavoro, tra formazione e sistema produttivo, avviare la strutturazione di quelle che abbiamo chiamato "isole di gestione", ma che non abbiamo difficoltà a chiamare in altro modo, non è un fatto nominalistico. E' importante poter raggiungere momenti di incontro per bacini omogenei, tra mondo dell'industria e mondo della formazione, momenti gestiti o articolati con la configurazione giuridica che potrà essere individuata meglio, con un ruolo fondamentale e centrale di indirizzo della parte pubblica. Anche se è doloroso dirlo, nell'attuale situazione occorre avere il coraggio di chiudere quei corsi o quei centri che non sono in grado di svolgere una reale funzione formativa. Di questi ce ne sono per ammissione di questo studio e per ammissione dell'Assessore in precedenti dibattiti.
Un'ultima importante considerazione, che non è contenuta nello studio IRES, riguarda i corsi di formazione permanente collegati al sistema delle imprese (formazione amministrativa, commerciale e di produzione): corsi che in Piemonte sono completamente assenti e vedono quotidianamente, sul treno delle ore 7 per Milano, un trasferimento in massa di gran parte del mondo produttivo torinese; questi corsi rappresenterebbero un momento qualificante per quel terziario di cui tante volte si parla e darebbero al Piemonte un ruolo preciso anche in questo settore, ruolo che oggi il Piemonte non ha. La Regione Piemonte potrebbe muoversi in questa direzione.
Il costo sarebbe zero. E' un settore che ha bisogno di uno stimolo e questo stimolo può essere svolto dalla Regione.
Concludo esprimendo un apprezzamento per questa iniziativa dell'Assessore. Non condividiamo le critiche che sono in qualche modo pregiudiziali. Noi eravamo critici rispetto alla formazione regionale, per crediamo che un giudizio troppo tranchant rispetto a quello che stiamo discutendo oggi non sia corretto. Lo studio dell'IRES è serio, è importante per affrontare questo problema. Cogliamo qualcosa di nuovo rispetto a quello che c'era precedentemente. Ci pare ci sia qualche cosa di nuovo.
Oggi dalle enunciazioni e da quanto è scritto in questo studio occorre passare a agli atti di governo.
La verifica che abbiamo fatto a luglio poneva la formazione professionale come momento centrale e importante del programma della Giunta e della maggioranza. Il Partito repubblicano riteneva questo problema essenziale e rinviava al momento della discussione del Piano pluriennale i giudizi di merito. Crediamo che questa sia l'occasione perché le buone intenzioni che sono state espresse e che sono contenute in questo studio si trasformino in precisi atti di governo.



PRESIDENTE

La prima parte del dibattito è terminata.
La seduta è sospesa.



(La seduta, sospesa alle ore 13,40 riprende alle ore 15,20)



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE VIGLIONE



PRESIDENTE

La seduta riprende.
Il primo Consigliere iscritto a parlare è Rossa che ha facoltà di intervenire.



ROSSA Angelo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, le linee programmatiche che sono alla base del dibattito per la elaborazione del Piano pluriennale della formazione professionale e la discussione che attorno a queste linee si sta svolgendo consentiranno al Consiglio di aggiornare e adeguare nuove proposte e nuove iniziative nel campo della formazione e dell'avviamento al lavoro.
Le trasformazioni in corso richiedono un grosso sforzo di rinnovamento anche in Piemonte e la formazione rappresenta una componente importante e strategica di tutto l'ammodernamento della capacità produttiva e professionale nella scuola e nelle aziende. Viviamo in un'epoca in cui è essenziale la preparazione tecnica, scientifica e culturale della mano d'opera. Gli apparati produttivi richiedono sempre di più mano d'opera altamente qualificata e professionalizzata che la scuola non riesce ad esprimere, mentre ancora vasta è l'area della mano d'opera non qualificata e senza professionalità.
Da ciò deriva la necessità di una svolta significativa in tutto il settore della formazione professionale.
Il nuovo scenario dello sviluppo che il mondo del lavoro presenta profondamente innovato dalle nuove tecnologie richiede maggiori e nuove conoscenze scientifiche e tecnologiche, uso di nuovi linguaggi, più complesse capacità operative, atteggiamenti positivi rispetto all'innovazione e al cambiamento. Tutti i ruoli di lavoro sono interessati da processi di tecnologizzazione e flessibilizzazione oltre che di rapido mutamento, il sapere ed il sapere fare tendono ad identificarsi ed il sapere dell'esperienza tende a trasformarsi in saper formalizzato. E' sempre più necessario che ogni lavoratore conosca la specificità della sua attività non solo rispetto al suo risultato ma all'intero processo lavorativo e agli obiettivi - tecnico economici dell'impresa.
Questi processi interessano dirigenti, impiegati, operai.
Contestualmente emergono nuove figure professionali con riferimento all'ambiente, all'energia, al nuovo terziario, ai beni culturali ed ambientali, al lavoro autonomo, alla cooperazione e all'imprenditorialità.
In questo scenario, per il quale il mercato del lavoro dal lato della domanda è sempre più complesso, frammentario, sofisticato e dinamico, la formazione professionale è una risorsa strategica che deve fare i conti non solo con i nuovi modi di produrre beni e servizi, ma anche con atteggiamenti nuovi presenti negli adulti, ma soprattutto nei giovani domande di soggettività con la tendenza a personalizzare l'impegno di lavoro ed un itinerario formativo adeguato, di professionalità per migliorare l'inserimento nel lavoro e per conseguire maggiore sicurezza in un quadro complessivo di grande incertezza, di intreccio fra formazione e lavoro, non solo per motivi economici, ma per realizzare una esperienza più ricca e aperta.
Più alti livelli di formazione e quindi di professionalità non solo sono decisivi per restare o inserirsi nel lavoro, ma costituiscono un fattore fondamentale di identità culturale e di integrazione sociale.
Due sono quindi le caratteristiche nuove: una grande espansione quantitativa di bisogni formativi ed una estrema diversificazione della domanda.
Mentre la formazione professionale regionale si rivolge ancora prevalentemente ai ragazzi che hanno completato l'obbligo scolastico ovvero hanno abbandonato precocemente la scuola, compresi i soggetti portatori di handicap, spesso anche con un ruolo di recupero rispetto a gravi insufficienze del sistema scolastico di base, nuovi soggetti esprimono una nuova e differenziata domanda formativa. Si tratta di giovani, diplomati o laureati o con una preparazione secondaria superiore interrotta, in cerca di prima occupazione, di giovani che continuano a studiare nella secondaria superiore o nelle Università e intendono accrescere le possibilità per un inserimento nel lavoro, di lavoratori adulti in mobilità per i processi di ristrutturazione, ovvero occupati interessati ad aggiornamento e riqualificazione professionale. Anche i soggetti dell'offerta formativa sono molteplici, pubblici e privati, in assenza in gran parte di qualsiasi coordinamento ed integrazione (Università, istituti tecnici e professionali, imprese e loro centri di formazione, enti bilaterali, istituti di ricerca, una miriade di agenzie private, la formazione professionale regionale a gestione diretta e convenzionata).
Avendo presente la quantità e la qualità della domanda formativa, sia organizzata che personale, e le condizioni dell'offerta, la questione di fondo è come migliorare la qualità della formazione professionale e organizzare un sistema di formazione adeguato alle esigenze del lavoro e delle imprese, capaci oltretutto di rompere l'attuale separatezza rispetto sia alla scuola e all'Università sia al mercato del lavoro.
Prima di individuare i problemi e gli obiettivi è opportuno premettere una considerazione sui ruoli diversi che in un itinerario formativo hanno la scuola, la formazione professionale, la formazione sul lavoro e quindi sciogliere il nodo fondamentale di chi fa formazione professionale.
Noi pensiamo che alla scuola spettano la formazione culturale generale l'acquisizione dei nuovi linguaggi, delle conoscenze scientifiche e tecnologiche di base, delle capacità di un loro uso operativo, di atteggiamenti positivi di fronte al cambiamento sostenuti dal possesso degli strumenti di autoprogettazione culturale e professionale.
Nella formazione professionale questo patrimonio culturale si traduce con gli specifici bisogni del sistema produttivo in determinati tipi di attività professionale.
Nella formazione sul lavoro il processo di professionalizzazione affronta di volta in volta lo specifico tecnologico ed organizzativo delle singole realtà lavorative.
Questi tre momenti tendono a non porsi più in sequenza temporale.
Sistema produttivo e esigenze personali richiedono oggi un intreccio temporale ed una loro integrazione strutturale.
L'innalzamento dell'obbligo scolastico non può rispondere ad una logica di parcheggio, cioè di camuffamento della disoccupazione giovanile. Sono la complessità sempre maggiore della vita sociale e le esigenze nuove del sistema produttivo, determinato dalle innovazioni scientifiche e tecnologiche, che richiedono da un lato maggiori capacità di orientamento culturale e dall'altro un più alto livello di formazione come condizione per affrontare i rapidi mutamenti professionali.
Per questo l'innalzamento dell'obbligo scolastico deve avvenire nei primi due anni della secondaria superiore per rispondere alle esigenze indicate, compreso un primo approccio professionale in cui devono articolarsi gli indirizzi del successivo triennio, mentre si dovrebbe estendere l'ipotesi del prolungamento dell'obbligo scolastico nella formazione professionale non solo per evitare una precoce selezione sociale, ma potrebbe essere valutata la opportunità di sperimentare contestualmente un modello di biennio secondario superiore che preveda un segmento di integrazione con la formazione professionale sulla base di convenzioni con la Regione. Alla conclusione del biennio il giovane dovrebbe poter proseguire gli studi secondari, acquisire una qualifica professionale da parte della Regione per la quale le attività svolte costituirebbero un credito.
Per quanto riguarda il raccordo con il triennio della secondaria superiore, va ribadita la necessità di integrazione strutturale con la formazione professionale e la formazione sul lavoro in un sistema organico di connessione tra studio e lavoro e viceversa. Oltre l'innalzamento dei livelli e della qualità dell'istruzione, la seconda questione è la ridefinizione in termini di strutture e di competenze del ruolo della formazione professionale regionale. Va innanzitutto affermata l'esigenza che il sistema sia descolarizzato, assumendo in modo generalizzato la modularità degli interventi, la flessibilità, la brevità, la finalizzazione, la territorialità e privilegiando iniziative integrate con la scuola, l'impresa, le Università e gli enti di ricerca, le altre agenzie formative private.
Rispetto ad una domanda organizzata e personale differenziata, il sistema di formazione professionale deve essere estremamente flessibile e articolato, rispetto all'apprendistato, ai contratti di formazione lavoro ai processi di riconversione dei lavoratori in mobilità, e qui trattandosi di formazione sul lavoro, un ruolo centrale lo ha l'azienda.
La formazione professionale deve porsi soprattutto come struttura di servizio, analisi di bisogni, assistenza tecnica, spazi didattici progettazione e coordinamento dell'itinerario di formazione lavoro, docenza su moduli a carattere più generale e strutturale rispetto alle iniziative ricorrenti post-obbligo o integrative alla istruzione del nuovo biennio.
Decisivi sono la modularità, la qualità dei metodi didattici, la pratica degli stage aziendali, la dotazione tecnologica, il coordinamento che eviti sovrapposizioni di ruoli tra scuola e formazione, rispetto alle figure professionali ad alto contenuto tecnologico e gestionale a quelle emergenti dalle aree occupazionali nuovi, alla formazione post-secondaria e all'integrazione con gli indirizzi professionali della secondaria superiore. La formazione professionale deve offrire strutture tecnologicamente avanzate e staff di docenti molto aggiornati che garantiscano continuità organizzativa e siano capaci di integrare sui progetti formativi a carattere modulare il contributo di strutture e competenze professionali provenienti dalle aziende, dalle Università, dagli enti di ricerca, dalla scuola, da altre agenzie private. L'uso integrato delle strutture didattiche e tecnologiche nonché la flessibilità degli interventi comporta una forte ridefinizione della struttura dei centri, la cui rigidità va superata privilegiando strutture che devono favorire forme consortili a maggioranza pubblica in cui sia presente il sistema delle imprese. L'altro problema è una nuova politica del personale che deve essere affrontata con l'imminente rinnovo del contratto nazionale.
Il ruolo complesso della formazione professionale richiede una riarticolazione delle qualifiche professionali, che deve rispondere alle diverse funzioni presenti nella flessibilità degli interventi, docenti programmatori, analisti, progettisti, tutor, coordinatori, orientatori operatori dell'assistenza tecnica, eccetera.
Un assetto nuovo della formazione sotto il profilo delle strutture (contenuti e organizzazione) e della politica del personale ha il suo punto critico nel ruolo programmatorio della Regione Piemonte. Deve cambiare radicalmente la qualità della programmazione pubblica, attraverso un ruolo forte con l'istituzione di nuovi strumenti di governo. In particolare riteniamo che la qualificazione del sistema regionale di formazione professionale passi attraverso la qualificazione della strumentazione politica e tecnica della Regione che dovrà realizzare il governo unitario a livello istituzionale della programmazione, della gestione e della direzione politica delle attività di formazione professionale, e la riunificazione delle funzioni connesse all'istruzione, all'orientamento e al mercato del lavoro da conseguire o attraverso forme di coordinamento interassessorile o attraverso la riunificazione delle funzioni sotto un unico Assessorato articolato in dipartimenti. La modularità di tutte le attività formative e la conseguente ridefinizione attraverso la contrattazione regionale degli standard formativi regionali; la valorizzazione del ruolo degli operatori in termini di progettazione didattico - curriculare nel quadro degli standard definiti regionalmente la realizzazione di uno staff tecnico - scientifico al servizio della Regione e degli enti locali, con capacità di letture, di elaborazione dei dati relativi all'osservazione del territorio e con capacità di programmazione, certificazione, progettazione, coordinamento, verifica e controllo delle attività formative; la individuazione e definizione di una sede politica di consultazione e di contrattazione permanente tra Regione enti locali, amministrazione scolastica periferica, sindacati confederali e della scuola e associazioni imprenditoriali, per l'acquisizione delle esigenze generali di professionalità e la conseguente definizione degli standard formativi generali ed il loro continuo aggiornamento, nonché per la definizione di accordi per progetti integrati e interattivi tra scuola formazione professionale e lavoro, ivi compreso l'utilizzo integrato delle 150 ore per il recupero e l'innalzamento dei livelli culturali di base finalizzati alle esigenze curriculari e delle azioni di transizione e dei progetti di riqualificazione e riconversione aziendale. La definizione di un'intesa quadro sugli obiettivi di aggiornamento, di qualificazione, di riconversione delle strutture del personale di formazione professionale al cui interno sviluppare i piani e i progetti specifici regionali.
La progettualità relativa dovrà essere finalizzata alla trasformazione del sistema formativo regionale; i progetti di riqualificazione e di riconversione dovranno pertanto prevedere un'articolazione funzionale operativa dei servizi e delle strutture di formazione professionale. Sulla base delle analisi dei bisogni per aree territoriali si deve articolare la presenza, il ruolo e le funzioni dei centri, prevedendo la creazione di centri pilota territoriali di supporto e di servizio al sistema formativo regionale in cui collocare le professionalità relative alla gestione degli strumenti di politica attiva del lavoro, della progettazione e della programmazione all'orientamento, al coordinamento territoriale all'attuazione delle iniziative di aggiornamento del personale. La individuazione e creazione, anche attraverso la riconversione di centri di formazione professionale, di sedi di produzione di software didattico formativo in grado di agire sul territorio come terminali di sistemi di formazione a distanza e di banche dati regionali, con funzioni articolate di orientamento e tutorato nei confronti della utenza. La individuazione la riqualificazione e riconversione dei centri di formazione delegati all'attuazione delle strategie formative, qualificandone in modo articolato il ruolo relativamente alle azioni di transizione e alla formazione di primo e secondo livello, adeguandoli alla realtà socio - produttiva delle aree territoriali in cui insistono e realizzando in esse capacità di progettazione e programmazione didattiche - curriculari, di progettazione e coordinamento di esperienze in alternanza di orientamento e tutorato di formazione.
La Regione Piemonte inoltre dovrebbe favorire la definizione a livello nazionale di un contratto da stipulare con gli enti gestori che, nel tradurre in professionalità ruolo e funzione degli operatori e relativa organizzazione del lavoro, le politiche e gli obiettivi concordati con le altre Regioni, definisca un quadro di riferimento nazionale per principi e per aree normative, alcune delle quali soggette a continui adattamenti adeguamenti alle esigenze programmatorie e progettuali.
Questi interventi di innovazione e riqualificazione del sistema della formazione professionale richiedono anche la definizione di una politica nazionale e pertanto la necessità di impegnare il Governo sulla messa in campo di una strategia di disponibilità di risorse che sostengano il ruolo delle Regioni per uno sviluppo adeguato del sistema. Per certi aspetti si tratta di dare attuazione a norme contenute nella legge n. 845, ancora disattesa.
Da questo quadro di indirizzi emerge chiaramente che rispetto alle sfide che deve affrontare la formazione professionale nessuno è autosufficiente, né la scuola, né l'Università, né la formazione regionale né altre agenzie formative, né l'impresa. Il policentrismo del sistema è una ricchezza che può accrescere la sua qualificazione ed efficacia nella misura in cui si coordina e si integra nelle competenze e negli interventi concreti. L'impresa in particolare, cioè la formazione sul lavoro, ha un ruolo di rilievo, ma non esclusivo.
Quindi, per concludere, rispetto a questo segmento importante di formazione professionale non vi è da parte nostra alcuna pregiudiziale anche se la vicenda dei contratti di formazione - lavoro toglie in parte credibilità al dichiarato impegno confindustriale (essi rispondono sicuramente alla soluzione del problema lavoro, un po' meno alla soluzione del problema formazione, anche se recentemente "Il Sole - 24 Ore" riportava un'indagine abbastanza positiva dal punto di vista dell'impiego).
La questione che deve essere chiarita è la disponibilità delle imprese ad essere sedi di formazione, con gli assetti organizzativi che ci comporta, ma assolutamente integrata con i centri di formazione professionale della Regione Piemonte attraverso un uso integrato di momenti di formazione, in parte nei centri e in parte nelle aziende.
C'è infine il problema del coordinamento sul territorio delle varie attività dei centri di formazione professionale. Ricordo ancora a questo punto che nella provincia di Alessandria c'è l'esigenza di una maggiore qualificazione di base della formazione professionale, utilizzando le esperienze che già sono state sperimentate in modo positivo in molti centri di formazione.
Sul secondo livello occorre intervenire favorendo i corsi che mirano all'innovazione e all'introduzione delle nuove tecnologie (automazione industriale ed elettronica ad esempio): è il problema della razionalizzazione in sostanza, per evitare che ogni centro, magari della stessa città, proponga gli stessi indirizzi seguiti dal centro vicino. Sono casi che abbiamo potuto verificare.
Nasce il problema di nuove forme di gestione dei centri su basi consortili per realizzare nuovi livelli di insegnamento e più redditizi impieghi delle risorse, che sono sempre insufficienti rispetto alle necessità.
In poche parole si tratta di spendere nel modo migliore: non è questione di quantità, ma di qualità della spesa. Questo metodo già esiste nella Provincia di Alessandria anziché quello di ridimensionare il numero delle scuole di formazione professionale perché risulterebbero sovradimensionate.
C'è infine il problema, che è stato sottolineato da più parti, di delegare alle Province tutta la materia. E' un nodo che, a nostro avviso la Regione dovrebbe sciogliere al più presto. E' un discorso che tocca la materia delle deleghe.
Attorno a queste questioni c'è molta attesa e noi socialisti riteniamo che debbano essere risolte il più presto possibile. Grazie alle scelte che faremo su questa materia si qualificherà il ruolo e la funzione della Regione come ente di legislazione e di programmazione.
A questo punto occorre andare verso il passaggio delle deleghe e verso la realizzazione di un rapporto equilibrato al fine di evitare differenti e contrastanti interpretazioni, che in sostanza non andrebbero a favore di una politica di programmazione che è di competenza della Regione.



PRESIDENTE

Ha chiesto di parlare il Consigliere Marchini. Ne ha facoltà.



MARCHINI Sergio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, il Gruppo liberale considera questo appuntamento interlocutorio e preparatorio al lavoro che la Commissione competente e il Consiglio avvieranno con la Giunta. Quindi il Gruppo riserva le sue più puntuali partecipazioni in quelle sedi, che verranno al solito affidate al collega Santoni (lo sostituisco in questo intervento in una ipotesi che era stata fatta di sua non possibilità ad essere presente).
Proprio perché si tratta di un momento interlocutorio, che peraltro non deve essere sottoconsiderato, è forse il caso di non ripetere le questioni di carattere generale e segnalare alcuni punti fermi affinché anche le novità significative ed interessanti che emergono dai documenti incomincino a trovare, a tempi ragionevolmente stretti, alcuni segnali di svolta rispetto a un'indicazione che noi cerchiamo brevemente di individuare.
Quando diciamo che la situazione della formazione professionale non soddisfa, non vogliamo dire che non ci soddisfa quello che ha fatto la Giunta o quello che hanno fatto le Giunte in questa Regione.
La formazione professionale in Italia è una realtà difficile da governare, sfugge all'interno di pressioni di diversa natura ed è difficile incanalarla verso quegli obiettivi che tutti dichiariamo a parole, ma che sostanzialmente ostacoliamo nei fatti, pressati dagli interessi di cui siamo portatori e dalle ideologie di cui siamo alfieri.
La situazione di malessere che avvertiamo intorno a questa realtà non è della nostra regione, ma è del nostro Paese, soprattutto al confronto con le altre realtà europee. Questo ci deve preoccupare. Che questo strano essere, la formazione professionale, sfugga al governo e tenda a dilatarsi in termini assoluti e relativi di risorse e di ruolo, proprio dove meno è presente un sistema economico dinamico e moderno, correlato a un corretto rapporto con l'istituzione, è emerso dall'esame dello scenario nazionale dove si vede che i segnali di non congruità dell'uso delle risorse rispetto ai risultati in termini occupazionali o di rapporto rispetto al sistema imprenditoriale o comunque di attività esistente si ripercuotono in termini progressivi.
Gli elementi non positivi della nostra Regione li leggiamo accentuati nelle Regioni che hanno minor presenza di lavoro della nostra e soprattutto in quelle all'interno delle quali il rapporto risorse - risultato finale è ancora peggiore del nostro.
Questo sta quindi ad indicare che questo strano animale tende soprattutto a giovarsi delle aree di vicariato rispetto ad altre funzioni che lo Stato non svolge, che vengono chiamate, in termini di facile comprensione ma a mio modo di vedere non puntuali, di assistenzialismo.
Riempire spazi di cui si ha bisogno non vuol dire fare dell'assistenzialismo; probabilmente si svolge una funzione vicaria. Una funzione è assistenziale quando si dà qualcosa a qualcuno in termini non produttivi; qui si copre uno spazio della vita dei giovani che dovrebbe essere coperto da una funzione dello Stato.
Penso che abbia ragione il collega Amerio quando dice che in Piemonte il problema della disoccupazione si pone in termini non soltanto regionali ma statali, nel senso che le conseguenze della mancata utilizzazione razionale della forza lavoro della nostra regione, ha degli inconvenienti a scala nazionale maggiori perché significa una non adeguata utilizzazione di un sistema produttivo più avanzato rispetto al resto del Paese. Questo giustifica la questione che pone il collega Amerio e cioè che la Regione Piemonte, di concerto con le Regioni che si trovino in situazioni analoghe deve avere la capacità di aprire una vera e propria "questione Piemonte".
Preoccupa che, di fronte a questa strana realtà che sfugge al controllo puntuale delle istituzioni e delle forze della società, anzich affrontarla, spesso si tentino fughe in avanti immaginando scenari affascinanti come quello di una politica che ponga al centro la sinergia delle risorse della formazione professionale con l'Università oppure quello della riforma della scuola secondaria. Questa proposizione politica sarebbe accettabile se si collocasse all'interno di scenari successivi; qualche volta però è un modo per non chiudere su questioni concrete sulle quali bisogna pur chiudere.
Continuare a pensare che la formazione professionale possa condizionare lo sviluppo industriale non è razionale ma velleitario. Certo, la presenza di una formazione professionale di un certo tipo è una condizione in più perché un processo di tipo imprenditoriale si collochi, ma non è sufficiente, soprattutto non è condizionante. Occorre vedere se altre realtà non sono in grado di garantire condizioni maggiori o diverse magari senza quelle che noi offriamo. Quindi la concorrenza sul milanese sul piano della formazione professionale la possiamo avviare, ma dobbiamo immaginare la nostra Regione come Regione europea.
Siamo abituati ad immaginare l'Europa come quel colle del cuneese attraverso il quale è arrivato Napoleone, ma l'Europa vera, quella delle grandi trasformazioni socio-economiche, è un po' più a Est. Ho l'impressione che immaginare la formazione professionale come una leva anche di governo e di programmazione socio-economica tendente a determinare un certo tipo di sviluppo all'interno della nostra società e del nostro territorio, è un'operazione che ha una componente velleitaria sulla quale bisogna riflettere.
Preso atto che la grande impresa, per le sue caratteristiche di omogeneità di essere nel tempo, ha poca esigenza di formazione professionale moderna e riconosciuto nello stesso tempo che la caratteristica della piccola e media impresa non è la dimensione, ma la sua flessibilità e la sua capacità di adattarsi alle esigenze di mercato riconosciuto che il destinatario principale della nostra azione è il sistema delle piccole e medie imprese e dell'artigianato, bisogna riconoscere alle imprese un ruolo significativo in questo processo, proprio perché il sistema pubblico per ragioni di sedimentazioni culturali e di tendenza alla senescenza dei centri ha sempre più difficoltà ad essere coerente rispetto al sistema flessibile ed agile della piccola e media impresa.
Se la grande azienda ritenesse di trasferire i tre mesi di tirocinio rispetto al comportamento uniforme nel tempo, dal proprio interno all'esterno, potremmo dare queste risposte in modo puntuale. Molto più difficile è invece rispondere ad un sistema complesso di piccole e medie imprese che sono inflessibili nel tempo e soprattutto nella qualità del prodotto e nel tipo di settore che vanno a coprire.
La mia preoccupazione e la mia convinzione è che il sistema burocratico tende a criminalizzare e demonizzare tutte le cose difficoltose da capirsi.
Le cellule cerebrali di molti di noi non sono più nelle condizioni di capire i nuovi meccanismi informatici, dobbiamo sforzarci di accettarli come realtà difficile da capire, ma dobbiamo rifiutare l'ipotesi di demonizzarli.
Si polemizza sull'uso non adeguato delle risorse del Fondo europeo bisogna però riconoscere che vi sono orientamenti di politica comunitaria che privilegiano Regioni diverse dalla nostra, i meccanismi decisionali a livello europeo; ma dobbiamo riconoscere anche che il sistema burocratico regionale rivela rozzezza e difficoltà a capire, e qualche volta questa difficoltà si trasforma in fiscalismo, malattia tipica della burocrazia.
Prego l'Assessore di segnarsi questo punto perché chiederemo risposte puntuali alla fine del lavoro di ricognizione. Prego l'Assessore di avviare un processo di massima professionalizzazione, di mobilità all'interno dei servizi che si occupano di queste cose per essere certi che il confronto tra il sistema regionale e quello delle imprese e dei centri esterni sia al meglio della capacità di conoscenza e che non si apra una forbice tra le realtà che si rinnovano e le realtà che tendono fisiologicamente ad identificarsi in se stesse quindi a diventare conservatrici. E' un processo di ordine psicologico, visto che sono gli uomini a gestire le cose e non le cose a gestire gli uomini. Esprimo questa preoccupazione perché le sensazioni che avverto negli ambienti interessati non possono non preoccuparmi dal punto di vista politico istituzionale.
Che qualche malessere ci sia in questo rapporto me lo fa pensare il programma del convegno organizzato dall'Assessorato competente. Mi sembrano troppo accentuate alcune presenze dell'imprenditoria locale, mentre sono troppo sfumate alcune presenze di altri settori dell'imprenditoria locale.
E' la dimostrazione che il processo, che ci auguriamo si avvii, ha difficoltà a partire e prego l'Assessore di considerare il mio intervento un contributo di tipo costruttivo e uno stimolo soprattutto partendo dalla riaffermazione di quanto si è detto all'inizio che questa è una realtà che non soddisfa nessuno a nessun livello, che non ci trova soddisfatti e che non ci troverà probabilmente soddisfatti neanche a tempi medio lunghi essendo a valle una situazione rispetto alla quale non abbiamo mai criminalizzato nessuno perché ci rendiamo conto che questa realtà è il risultato di un contenzioso sociale e politico non riferibile solo ai decisori politici. E' certo però che alcune rigidità debbono essere smobilitate. Quando Rossa conclude il suo intervento facendo, come al solito, riferimento alla sua Provincia, mi fa pensare a quanto abbia ragione Bontempi, che comincia ad essere il Consigliere della Regione Piemonte "alla Bozzi" che di tanto in tanto lancia dei messaggi che nel momento della polemica è difficile declinare, ma che rimangono nella mente.
Qui finiremo per essere una cooperativa e non più un'assemblea di conestabili di centri territoriali esterni, magari conflittuali, e misureremo il nostro lavoro politico rispetto alla ricaduta che hanno nel nostro collegio elettorale. Una bella riforma sarebbe secondo me quella di fare una lista unica regionale e non una lista per province.
Forse ad Alessandria si evidenzia una situazione che è positiva e negativa al tempo stesso. Alcuni centri hanno capacità di promuovere un processo che forse non è il processo che noi ci augureremmo. E' indubbio che molti centri riescono a attrarre risorse in conseguenza della loro capacità di gestire sul territorio la loro funzione, hanno credibilità hanno considerazione, hanno allievi, hanno risultati significativi di tipo formativo, quindi è difficile capire perché bisognerebbe chiuderli. Si dovrebbero chiudere perché manca il rapporto con il momento successivo dell'occupazione? Ma sappiamo che non esiste alcun collegamento diretto e meccanico tra formazione e occupazione. E' certo però che anche i centri positivi, significativi, attrezzati e qualificati qualche volta rischiano di essere un limite alla programmazione regionale. Quindi, ci sono le rigidità del sistema burocratico che ho denunciato prima, ma ci sono le riserve di potere che si stanno costruendo i centri più qualificati e più capaci. Indubbiamente queste situazioni devono trovare nella programmazione regionale una capacità di superamento che tenda a spezzare questo processo diabolico per cui le risorse vanno ai centri, i centri le distribuiscono agli allievi, gli allievi le utilizzano, però, all'interno del processo di modernizzazione del sistema, non si riesce a coglierne il tasso di ricaduta.
E' un processo che in qualche misura si governa per conto suo. Bisogna riuscire ad introdurre dei criteri che siano meno equalitaristici possibile. Bisognerà trovare un meccanismo con cui i finanziamenti siano in relazione alla capacità di innovare i programmi, le tecnologie e il mercato del lavoro.
E' un terreno difficile che richiede da parte dei Consiglieri di maggioranza il massimo di affidamento all'Assessore. Le forze politiche consiliari, nella loro autonomia, hanno l'obbligo di denunciare la loro insoddisfazione rispetto a questo fenomeno e di indicare alcuni segnali in tempi politicamente accettabili.
Rimane un riferimento alla delega. E' una questione sulla quale il Consiglio dovrebbe promuovere un seminario chiuso per riflettere sulle esperienze fatte e sulle pressioni che ci orientano all'attuazione di questo obbligo costituzionale, al quale i liberali certamente non intendono sottrarsi.
Se ci rendiamo conto che la formazione nel suo complesso è diventata ormai un sistema di pressione, ho l'impressione che la delega rischi di rendere più debole l'istituzione nei confronti del gruppo di pressione che diventa più forte. Allora, la delega deve essere avviata nei termini più stretti, nel modo più ampio, ma con la capacità di rimediare o quanto meno di governare questo stato di cose. La delega deve venire all'interno di un processo di programmazione e di governo forte che sia in grado di ridurre la capacità di pressione che ha il sistema della formazione professionale quale gruppo di pressione sulle decisioni della istituzione stessa. E' questa una realtà indiscutibile, dobbiamo procedere sul percorso della delega nei tempi più stretti, nel modo più ampio, con gli strumenti più adatti, ma con la consapevolezza che la Regione deve avviare questo processo avendo costruito un quadro di programmazione e di riferimento e strumenti di governo reali, tali da garantire il destinatario, cioè l'istituzione provinciale e il destinatario ultimo del servizio, i centri esterni e comunque tutto il mondo che ruota intorno a questa complessa problematica, in un sistema equilibrato che non riporti situazioni paradossali come quelle che abbiamo registrato, per esempio, con le deleghe in materia di discariche.
Abbiamo discusso ore ed ore sui problemi delle discariche e poi abbiamo scoperto che la Regione non ha più alcun potere in materia di localizzazione delle discariche. E' comprensibile che le Province gestiscano, verifichino e controllino alcune discariche che hanno valenza non solo regionale, ma in qualche caso pluriregionali, ma devono vedere un livello decisionale meno condizionato dalle pressioni che fisiologicamente esistono sul territorio e tali da consentire di assumere le decisioni con una visione più ampia e meno condizionata dagli interessi che oggettivamente questo processo scatena.
Il nostro Gruppo darà, attraverso il collega Santoni, il massimo apporto al lavoro di approfondimento che verrà fatto nelle sedi proprie. Si riserva di completare le sue valutazioni e il suo confronto con la Giunta nella consapevolezza delle difficoltà che ha l'Assessore.
La fine di questa legislatura, nella quale il nostro Partito ha responsabilità di maggioranza, dovrà vedere emergere qualche segnale significativo sulla capacità di recupero in questa materia e non dubitiamo che l'Assessore Alberton e il complesso dei funzionari che collaborano con lui, abbiano la volontà e la possibilità di realizzare questo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Staglianò.



STAGLIANO' Gregorio Igor

La ringrazio, signor Presidente, anche se il momento in cui mi tocca intervenire non mi incentiva ad approfondire questioni di primaria importanza e non soltanto per una questione di orologio. Fino alle 11,45 di questa mattina non si sapeva di che cosa avremmo discusso. Dopo aver sentito l'Assessore Alberton non ho ancora capito di che cosa stiamo discutendo, se stiamo facendo cioè una discussione accademica sulla formazione professionale, come si direbbe sentendo i pur apprezzabili interventi di colleghi che sono intervenuti prima di me, oppure se c'è qualche relazione tra questi ragionamenti complessivi e l'azione concreta di governo dei processi reali che ci troviamo di fronte.
Gli insegnanti che questa mattina hanno seguito i nostri lavori non hanno potuto che andarsene profondamente insoddisfatti, giustamente - io aggiungo - e mi auguro che ritornino presto a ricordarci problemi concreti.
Per non percorrere in questo brevissimo intervento la strada percorsa da altri colleghi, che per alcuni accenti è stata apprezzabile, ma accademicamente inutile, voglio indicare tre nodi molto concreti partendo da un flash fotografico per cercare di mettere a fuoco il tema della nostra discussione.
Dal Piano pluriennale di attività e di spesa per la formazione professionale per il 1987-1990, che non abbiamo avuto ancora l'onore o il piacere di discutere (sarebbe un atto concreto che ci aiuterebbe a dimensionare, quindi a dialettizzarci meglio con le posizioni espresse dal Governo), si evince che nel 1986 su un totale di 19.610 allievi nella gestione diretta sono coinvolti 2.100 allievi, nella gestione indiretta pubblica 3.610, nella indiretta privata ben 14.000 allievi. Come sappiamo quest'ultima tranche è sottoposta a controllo e ad esame del Consiglio regionale.
Risulta a tutti chiaro come con questi rapporti di forza tra esperienze direttamente gestite o guidate dalla Regione e quelle che crescono al di fuori di essa, con un potere di sindacato in verità molto labile, qualsiasi politica della formazione professionale da parte della Regione risulta accademica. Pensiamo, ad esempio, senza per questo dover partire lancia in resta verso crociate ideologiche, che per quanto riguarda l'indiretta privata non sia possibile andare avanti attraverso convenzioni annuali attraverso le quali la Regione prende, ahimè, soltanto "quello che passa il convento". Ciò non basta. Da questo punto di vista, la quota pubblica, che risulterebbe comunque di un terzo qualora, come noi auspichiamo, si verificasse una unificazione anche sotto il profilo giuridico della gestione diretta e indiretta pubblica, è assolutamente insufficiente per determinare degli indirizzi e per fare effettivamente, ad esempio, della sperimentazione. Pensiamo a quanto incide rispetto alle capacità di indirizzo reale di una politica effettiva, il reclutamento del personale la sua qualificazione e riqualificazione che dovrebbe insegnare.
A noi pare che ci sia l'esigenza di riuscire a condizionare il mercato non soltanto per restare nei campi più tradizionali, ma anche per andare verso terreni più nuovi e che sono stati portati alla nostra attenzione dalle emergenze di questi ultimi anni. Pensiamo al risanamento ambientale e quindi alla necessità di qualificazione di operatori in grado di intervenire in questo segmento di realtà.
Questa fotografia ci dà la dimensione di come risulti assolutamente velleitario riuscire ad esercitare un'effettiva politica, non perché in astratto non sia possibile, pensiamo anzi sia possibile fare delle cose positive partendo da questo dato della realtà; però, dal tono della comunicazione dell'Assessore, mi verrebbe da dire che questa quota pur esigua sia già fastidiosamente eccessiva, appunto perché non abbiamo avuto modo stamani di sentire in quale direzione intende muoversi esplicitamente l'Assessorato. Non può essere evidentemente una sintesi giornalistica del rapporto dell'IRES.
Se questa è la fotografia proviamo ad entrare nel merito di un nodo che è stato opportunamente sottolineato da parte dei colleghi che mi hanno preceduto: il rapporto tra il sistema di formazione professionale regionale e il sistema delle imprese.
E' stato già rilevato che c'è una contraddizione forse insanabile allo stato delle cose e non risolubile e cioè che due materie così contigue così strettamente intrecciate siano affidate a due Assessorati distinti, di cui uno, quello relativo al rapporto con il mondo dell'industria, delle imprese, è assente addirittura dai banchi della Giunta durante questa discussione.
A noi pare che il rapporto tra sistema di formazione e sistema delle imprese non possa essere né un rapporto di servizio unilaterale alle imprese né di delega alle imprese non soltanto per una ragione astrattamente ideologica.
Mi spiace per il collega Marchini e il collega Ferrara, ma l'attività di formazione professionale non si rivolge - o non dovrebbe rivolgersi prevalentemente alle necessità delle imprese, ma alle necessità del mercato del lavoro, che vede confrontarsi l'esigenza delle imprese di reperire conoscenze e abilità professionali precise e l'esigenza dei lavoratori di possedere conoscenze ed abilità professionali in grado di rispondere in modo aggiornato ed elastico, nel tempo più duraturo possibile, alle opportunità di impiego.
Forse il concetto non risulta chiarissimo, quindi, schematizzando potremmo dire che le singole imprese sollecitano il sistema di formazione professionale con tendenze specialistico - addestrative. Questa è la realtà dei fatti, al di là dei documenti che Federpiemonte può scrivere al riguardo. Mentre sull'altro versante, quello dell'offerta del lavoro, il sistema di formazione professionale sarà sollecitato rispetto al bisogno dei prestatori d'opera in direzione di una formazione polivalente e formativa, in grado appunto di rapportarsi nel corso del tempo alle variazioni che il mercato stesso determina.
Forse il concetto risulta più chiaro alla luce dell'esperienza dell'applicazione dei contratti di formazione - lavoro.
Faccio riferimento a queste cose non soltanto per una ragione politica ma anche per una ragione addirittura teorica, se mi consentite questo termine, perché quando discutiamo di questi problemi pare che non esista ad esempio, in questo campo (dico una bestemmia) la lotta di classe, pare che non esistano interessi contrapposti, che non esista un interesse da parte della mano d'opera di non subire le flessibilità contingenti dei datori di lavoro che, come abbiamo visto per i contratti di formazione lavoro, si sono premurati di addestrare, quando è andata bene, la mano d'opera per quella specifica funzione.
Il sistema di formazione professionale regionale in quest'ambito dovrebbe avere il compito di realizzare una sintesi delle diverse tendenze.
Ecco il ruolo alto, se si volesse giocarlo, da parte della Regione, una sintesi valida di tendenze che corrispondono ad interessi diversi. Proprio per questo il rapporto con il sistema delle imprese andrebbe rivolto, a nostro modesto avviso, principalmente verso due finalità: innanzitutto la verifica periodica e ricorrente delle reali modificazioni professionali indotte dalle innovazioni tecnologiche, sia di prodotto che di sistema produttivo, per poter operare anche attraverso lo strumento degli stage aziendali gli eventuali adeguamenti dei "curricula" formativi.
In secondo luogo, quello a cui si rinuncia totalmente, la promozione della conoscenza delle potenzialità offerte in qualità e quantità di lavoratori formati, giungendo anche a momenti di effettiva contrattazione tramite gli strumenti a disposizione della Regione in casi di progetti particolari. Ad esempio, con i corsi di riqualificazione per lavoratori in Cassa integrazione a zero ore o in disoccupazione speciale, oppure attraverso i corsi di prima qualificazione per disoccupati a reddito zero.
Anche qui, se non vogliamo fare accademia astratta, non possiamo dimenticarci quello che ci dicemmo esattamente un anno fa votando un ordine del giorno, che è rimasto totalmente disatteso nelle conseguenze politico istituzionali, in relazione alla esperienza dei 400 corsi di formazione per i disoccupati a reddito zero, i quali, come sappiamo, sono stati lasciati a se stessi, non c'è stata in questa esperienza nessuna interazione da parte della Regione con il sistema delle imprese. La medesima cosa che è avvenuta con i corsi di formazione destinati ai cassintegrati della FIAT, la quale ha ripreso solo quei lavoratori che non avevano frequentato i corsi (senza che la Regione dicesse nulla).
Bisognerebbe approfondire questo aspetto, ma non lo faccio adesso per brevità anche perché vedo che l'interesse fra i colleghi è circoscritto quasi esclusivamente agli addetti ai lavori o ai costretti per dovere d'ufficio a prestare attenzione.
Se il rapporto tra formazione professionale e il sistema delle imprese è totalmente annullato in un polo che è quello della capacità di indirizzo di fare politica, di fare mediazione istituzionale e quindi sociale da parte della Regione stessa, proviamo a ritornare sulla vicenda dei contratti di formazione - lavoro. E' un appuntamento mancato di interazione effettiva tra scuola e lavoro. Riguardo alla abdicazione del ruolo politico ed istituzionale della Regione vorrei rimandare i colleghi e l'Assessore Alberton alla sentenza della Corte Costituzionale n. 190 del 21.5.87 con la quale si dichiarava testualmente illegittimo costituzionalmente l'art. 3 comma 8, della legge 19.12.84 n. 863, nella parte in cui non prevede che le competenti strutture regionali possano accertare il livello di formazione acquisito dai lavoratori.
Ecco la riprova anche sotto il profilo giuridico della legittimità dei comportamenti, ecco dimostrato come questo campo debba essere assolutamente ripreso e riaffrontato perché l'omissione di ruolo da parte della Regione sulla attività formativa non può essere accettata. Si finisce - ed è la realtà di questi anni - per stornare fondi dalla formazione passivamente.
Il ruolo della Commissione regionale per l'impiego non può essere come è stato sinora di esclusivo vaglio sindacale. Dovrebbe essere a nostro avviso di vaglio dei piani formativi, però qui c'è la contraddizione che sottolineava questa mattina il collega Tapparo, cioè di una presidenza della Commissione regionale che non corrisponde alla competenza istituzionale per quanto riguarda la responsabilità diretta dell'Assessore.
In sostanza, si tratterebbe di verificare la efficacia di questi piani per dare effettivamente un ruolo al sistema della formazione regionale, perch su questa base sarebbe possibile verificare anche la effettiva qualificazione acquisita.
Come si può svolgere questo ruolo? Come si può fare questo se non si affronta il nodo da cui sono partito, cioè quello di un ruolo effettivo integrato dentro la politica regionale di una fetta consistente di personale, di operatori dei centri di formazione? Non soltanto auspichiamo che questi lavoratori ritornino qui e, fino alla soluzione dei problemi, inducano tutti a darsi da fare. Per quanto ci riguarda noi abbiamo predisposto, lo annuncio qui e lo faremo nei prossimi giorni anche agli organi di informazione che non prestassero oggi particolare attenzione agli argomenti che abbiamo voluto portare in quest'aula, una proposta di legge che affronti questa questione perché, se rimane irrisolta, tutto il resto rischia di essere in gran parte aria fritta.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Sestero.



SESTERO Maria Grazia

Come il collega Staglianò anch'io ho delle perplessità che crescono mano a mano che si sviluppa questo dibattito, che mi pare un po' lunare. Ho difficoltà a capire gli obiettivi, il senso e gli sbocchi di una discussione di questo genere, non perché non ci siano stati interventi che hanno sottolineato questioni interessanti, ottiche e angolazioni di lettura importanti, ma perché mi pare si riproduca quello che pressoch puntualmente accade quando discutiamo del Piano annuale.
Noi abbiamo presentato mesi fa una mozione con delle linee di intervento e di sviluppo nel merito del funzionamento e delle finalità della formazione professionale, ma è come se quella mozione non ci fosse stata perché non è stata presa in considerazione né dall'Assessore né dagli interventi di altri Gruppi.
Sul tavolo non abbiamo il Piano pluriennale, ma due volumi che, con una strana ambiguità si chiamano "Piano pluriennale" e che sono una raccolta di dati che in gran parte erano già in possesso dell'Assessorato, ma che non contengono, se non per scarni cenni, ed è anche ovvio e scontato che sia così perché non toccherebbe all'IRES fare lo schema di Piano pluriennale indicazioni, soluzioni, prospettive di governo del settore. Peraltro la rapida comunicazione dell'Assessore non ha posto sul tappeto le questioni importanti, sopratutto non ha espresso la volontà politico - amministrativa della Giunta. Da questa relazione non abbiamo ricavato nessun elemento che ci lasci intravedere le direzioni verso cui la Giunta intende muoversi. La nostra mozione non viene riconosciuta come terreno di confronto, la Giunta si presenta senza linee programmatiche, a questo punto è inevitabile che ognuno faccia le sue osservazioni generiche o parziali. Ancora una volta dopo due anni e mezzo, il confronto, ammesso che si riesca in quest'aula fare un confronto reale, viene rinviato al momento della presentazione dello schema del Piano pluriennale. Ho qualche dubbio che questo dibattito riesca a costituire una tappa per arrivare allo schema di piano.
Entrando nel merito, va detto che ci sono ormai dei giudizi scontati sulla formazione professionale. Si procede per invocazioni ad intervenire.
Io credo che per governare un settore così ampio il terreno di confronto debba essere un altro. Proviamo una volta finalmente a misurarci su concrete proposte di governo per uscire dallo stallo, dalle difficoltà.
Vorrei richiamare alcune questioni.
Si misura l'utenza potenziale. Sono circa 40.000 i giovani che escono dal sistema scolastico per compimento o perché abbandonano e si dice che una minima parte passa al sistema di formazione professionale. Il 64% degli allievi è tra i 14 e i 18 anni, quindi la fascia più consistente e quella in uscita dall'obbligo; di questa scarsa quantità di giovani attratti dalla formazione professionale solo il 58% raggiunge la qualifica; abbiamo uno scarto in termini aziendali del 42%.
Questi dati segnalano che il sistema è scarsamente appetibile all'ingresso e scarsamente appetibile per chi lo percorre, tanto che lo abbandona, in un momento di aumento della disoccupazione dei giovani in fasce di età dai 14 ai 19 anni. Dal 1980 al 1985 in questa fascia post scolarità c'è stato un incremento del 45% di disoccupati. La durata della formazione professionale è al massimo di due anni, quindi abbiamo una quantità ridotta dell'utenza e questa certificazione produce scarsa occupazione perché non è una certificazione apprezzata dal sistema delle imprese, tant'è vero che il 61% degli avviati al lavoro si colloca in una fascia successiva con contratti di formazione lavoro cioè nella fascia dai 19 ai 24 anni. Si può intendere, come viene evidenziato nel fascicolo, che il passaggio alla formazione professionale non è ritenuto sufficiente dalle imprese che utilizzano, in un'età successiva, i contratti di formazione lavoro; la spesa ovviamente si raddoppia.
D'altra parte abbiamo 19.000 allievi dei corsi regionali, 10.000 allievi attraverso i percorsi del Fondo Sociale Europeo, 34.000 avviamenti al lavoro attraverso i contratti di formazione-lavoro, il che vuol dire non solo l'improduttività della prima fascia della formazione professionale, ma anche la libertà totale del mercato del lavoro e canali diversi.
Un dato significativo riconosciuto da parte della Giunta attraverso l'Assessore è che questo tipo di formazione professionale ha una funzione di recupero della scuola dell'obbligo e quindi una funzione assistenziale e viene conservato con questo tipo di giustificazione. E' un riconoscimento preoccupante.
Molto spesso parliamo genericamente dell'improduttività della spesa, ma io vorrei anche parlare di risorse che per un bilancio regionale sono consistenti. Sarebbe interessante capire dove finiscono e sapere chi le usa concretamente. I dati sono noti, li richiamo brevemente.
Il 59% dei corsi e a gestione privata. Nell'anno formativo '86/'87 c'è stata una caduta dei corsi a titolarità regionale del Fondo Sociale Europeo, mentre sono cresciuti quelli a titolarità aziendale. Quindi dentro una spesa riconosciuta con titolarità della Regione ci sono forme e risorse finanziarie che sono scarsamente controllate dalla Regione. Su 35 enti di formazione, 23 sono privati e controllano 56 centri più qualche altro centro privato, si arriva a 69 centri privati; sono circa 50/60 miliardi l'anno che passano ai privati e all'interno dei privati 5 sono i soggetti che hanno il più gran numero di centri e il volume più alto di attività (l'ENAIP, lo IAL. lo CNOS, il CIOPS e la Casa di carità). C'è una concentrazione, un controllo ampio da parte di 5 enti su gran parte delle risorse che la Regione destina alla formazione professionale. E' anche un giro d'affari non indifferente.
I costi dei corsi per allievo sono spropositati; un allievo qualificato costa 10 milioni e mezzo, un iscritto costa 3 milioni e 800 mila lire mentre i costi della scuola di Stato, che non è il più bell'esempio di efficienza produttiva, è di 2 milioni per allievo. Quindi i costi dei corsi di formazione professionale, che in gran parte è improduttiva, non sono legati a costi reali. La richiesta di trasferimento avviene su un calcolo delle disponibilità, cioè l'ente gestore calcola il monte di risorse e fa di fatto un prezzo che gli permette di portar via quanto più è possibile.
Dirò qualcosa sulle caratteristiche e sulla qualità della formazione.
Si direbbe che questi enti operino in un circolo vizioso, fanno le proposte dei corsi, raccolgono la domanda dell'utenza che appare come conferma della proposta, con questa legittimazione fanno la richiesta alla Regione.
Considerando che il bacino di utenza degli allievi è ampio (40 mila utenti potenziali) qualsiasi proposta ha una risposta. In un bacino di utenza così ampio qualsiasi cosa può venire legittimata, in realtà l'offerta di corso la richiesta di finanziamento, il riconoscimento in Regione risponde alla logica che tende a conservare centri di autofinanziamento e non a soddisfare ai bisogni reali delle imprese o a logiche di produzione di forza-lavoro qualificate in rapporto alle esigenze della programmazione territoriale. Quindi è un blocco di interessi che vive all'interno del sistema regionale che si autogiustifica e si autoconserva.
Vorrei richiamare un altro passaggio che riprendo dal volume, quello del governo del sistema. Il 58% della spesa è fatta dal Piano annuale, il 10% sono i corsi del Fondo Sociale Europeo a titolarità regionale, il 31 sono i corsi a titolarità aziendale.
Se si verificano aumenti delle titolarità aziendali sul Fondo Sociale Europeo, aumenta l'area delle risorse complessive per la formazione professionale e la Regione nei fatti non può che esercitare un governo assai debole. Si consideri che 25/30 miliardi del Piano annuale sono gestiti nei centri pubblici, mentre tutto il resto è gestito nei centri privati, quindi qualche problema sul controllo della produttività sull'efficacia e circa la legittimazione del bisogno c'è. Anche all'interno dei progetti a titolarità regionale si verifica un trasferimento - e noi lo mettemmo in discussione - ai centri privati di formazione. Nell'86 sui 2108 allievi del Piano speciale dell'Unione industriale, solo 225 erano previsti in formazione presso le strutture pubbliche; tutto il resto veniva direttamente lasciato alla gestione degli imprenditori e delle aziende.
In termini finanziari vuol dire che su 2108 allievi circa 10 miliardi sono stati trasferiti alle associazioni industriali per formazione su progetti a titolarità regionale.
Sul Piano del Fondo Sociale Europeo dell'88, abbiamo 81 miliardi a titolarità regionale; presupponendo che le cose vadano come l'anno scorso vuol dire che 20 miliardi circa verranno spesi per progetti di formazione nei centri aziendali. Cioè da un anno all'altro si raddoppia il finanziamento alle imprese per una formazione di cui è titolare la Regione perché il progetto si presenta con titolarità regionale.
Dai dati emerge assenza di governo e privatizzazione completa nella gestione di 3/4 delle risorse regionali da parte di cinque potenti enti privati. Questi dati impongono ed esigono che si adottino strumenti di intervento adeguati.
Il Piano pluriennale scaduto nel 1987, nella parte degli investimenti presentava 12 progetti dei quali ne sono stati attivati solo 3.
L'Assessore Alberton invoca la collaborazione tra soggetti diversi. Io sono preoccupata per questo. Abbiamo presentato una mozione in cui riconosciamo che sono necessarie forme miste di gestione, consorzi chiediamo che il sistema della formazione professionale sia meno separato dal sistema delle imprese; non riteniamo però che un ente di governo come la Regione debba svolgere un ruolo di mediazione in questo grande panorama di interessi. Riteniamo che la Regione debba invece svolgere un ruolo di governo, quindi programmazione, interventi linee, controllo e monitoraggio.
Da due anni si invocano le modifiche, ma anche oggi si è usato prevalentemente il condizionale e il futuro "bisognerebbe, sarebbe necessario, si dovrà fare".
Ormai è passata la prima metà della legislatura e noi speriamo venga il momento in cui venga detto quali strumenti si vorranno adottare per tutte queste esigenze e ambizioni.
Un'ultima questione. Da anni seguo la riforma della secondaria superiore e sono giunta ad un livello di intolleranza totale. Mi chiedo se in Italia si arriverà a questa riforma. La legge finanziaria dimostra ancora una volta che non c'è una lira per la scuola. Ormai nessuno più, se non un utopista del 500, si sognerebbe di dire che si possono fare le riforme senza i danari. I danari sono necessari. Per anni abbiamo detto che la riforma della superiore era centrale per tutto il sistema formativo. Ci dicevano però che non era vero. Adesso molti qui hanno ripreso questo argomento, ma io sono sospettosa. Secondo me questo è un alibi evocato perché, come qualcuno diceva, non è di domani la riforma della secondaria superiore, non ci sono i presupposti politici e programmatici credibili perché si realizzi domani. Allora bisognerà pure trovare una strada per agire sul sistema professionale senza scaricare le colpe sulla scuola secondaria superiore.
La riforma della secondaria superiore non riguarda l'elevamento della scuola dell'obbligo. Il passaggio alla formazione professionale adesso avviene dopo i 15 anni e quando ci sarà la riforma dovrà avvenire a 16 anni, dopo il biennio. Sono d'accordo con il collega Rossa che sosteneva che l'elevamento dell'obbligo passi tutto attraverso la scuola di Stato. Mi auguro che quando chiuderemo questa discussione il collega Rossa se lo ricordi.
Se è così, l'elevamento dell'obbligo non c'entra niente con il sistema di formazione professionale. Usciranno in prima formazione dopo i 16 anni.
La differenza è solo questa. Il problema semmai riguarda che tipo di formazione dà il percorso della secondaria superiore, quindi si ritorna alla questione dell'unitarietà della scuola superiore, quali spazi, quali moduli, quali forme di interazione il sistema professionale deve adottare.
Sull'unitarietà della scuola superiore, dopo che a Frascati tanti anni fa tutti i Partiti, compresa la DC, erano d'accordo, si è aperta invece una divaricazione. La DC non farà una riforma con carattere unitario.
L'altro scoglio sul quale si è arenata la riforma riguarda l'asse culturale della secondaria superiore, riguarda un problema annoso di tipo culturale. Che cos'è un asse scientifico in un Paese in cui molto spesso la scienza è considerata figlia del demonio? Le resistenze si sono rincontrate lì. La conoscenza scientifica nella formazione di tutti gli studenti d'Italia è parsa cosa volgarmente materialistica, demoniaca e quindi non consona ad un Paese così spiritualista com'è l'Italia.
Gli istituti professionali di Stato devono sparire se la scuola è unitaria. E' inutile giocare su due tavoli, mentre si dice che in mancanza della riforma non si può intervenire sul sistema di formazione professionale, viene una ripulsa di un certo tipo di riforma che pu soccorrere e far chiarezza sul funzionamento della formazione professionale. Noi riteniamo che si debba intervenire ora a queste condizioni per risolvere i problemi della formazione professionale.
Dicevo prima che questo documento è una collazione di dati, non contiene linee programmatiche. E' giusto che sia così, basta sapere che non è lo schema di piano.
Un dato serpeggia in questo lavoro, è il tentativo di sbilanciare tutti i problemi a favore del sistema delle imprese evocando soluzioni di altri Paesi in modo non sempre preciso, cercando di spostare la spesa da quei cinque enti verso altri privati, più moderni, più efficienti, capaci in pochi anni di assorbire decine di miliardi di risorse pubbliche.
Ho l'impressione che questa battaglia tra due interessi diversi non riuscirà a trovare una composizione. Bisogna da un lato salvaguardare 50 miliardi annui a cinque enti di formazione religiosa, è la mentalità che convive all'interno di questo esecutivo, e dall'altro modernizzare trasferendo i soldi verso le imprese. Bisognerà scegliere, ma ho l'impressione che non saprete scegliere tra questi due mondi, quello cattolico da un lato, che attraverso la formazione professionale svolge un ruolo che non ritengo negativo come presenza, come rapporto con i giovani su cui ha un monopolio storico, e dall'altro quello dell'impresa moderna.
Ho l'impressione che non riuscirete, per la composizione di questa maggioranza, scegliere tra queste due strade. Quindi ci trascineremo dietro tutto il mondo assistenziale e daremo soldi alle imprese e la Regione, su una barca di miliardi che girano non riuscirà a controllare, a governare e a fare delle scelte.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Villa.



VILLA Antonio

Ritengo che la profezia finale della collega Sestero abbia difficilmente a realizzarsi.
Il taglio degli interventi che abbiamo ascoltato finora, al di là della collocazione di Gruppi, in fondo recupera parecchie ipotesi operative.
Si è sentita un po' l'opposizione di rito soprattutto quando il collega Amerio in particolare metteva il dito sull'attuazione della formazione professionale in questi ultimi due anni. Sarebbe importante approfondire questo dato che certo è un dato reale, considerandolo nel complesso, nel circuito più ampio di tutta la formazione professionale non solo in Piemonte. Anzi, il Piemonte potrebbe essere un'isola, non azzardo felice ma certamente non disastrata, come in tante altre zone. In questo circuito più ampio, invero si è constatata una lentezza nel settore della formazione professionale.
Questa considerazione dà modo di accogliere con maggiore curiosità e con maggiore attenzione quanto ci è stato dato e la proposta che ci viene fatta.
Sono proposizioni di filoni di lavoro; ne abbiamo sentiti parecchi, ma credo sia difficile non scoprirli, leggendo con attenzione le circa 200 pagine, al di là degli allegati.
Non ritengo che in quelle pagine vi sia soltanto una raccolta di dati buttati all'attenzione del Consiglio: ci sono proposte, ci sono prospettive, ci sono indicazioni.
Quella di oggi è la presa d'atto dei vari problemi che articolano questo studio, con l'aiuto anche dei documenti che sono stati presentati dal Gruppo comunista, dal Gruppo repubblicano e l'ultimo dalla Democrazia Cristiana che accoglie il pensiero della maggioranza. Questo è un dibattito propedeutico alla formazione del Piano. Dopo questo dibattito i documenti a nostre mani dovranno essere verificati non solo nel nostro interno, ma anche nelle consultazioni che si faranno con le forze del lavoro, con le forze degli imprenditori, con gli organismi politici e sociali.
Questo è un punto di partenza, e permettetemi ora, al di là di questa premessa come risposta o come puntualizzazione alle argomentazioni che sono state portate, che introduca l'argomento che è posto in discussione in Consiglio. Esso ha due risvolti che si intrecciano, atti a rilevare l'importanza determinante che può assumere l'ente Regione nello svolgersi democratico della nostra società. Da un lato la legislazione statale attinente a numerosi settori, quali la scuola, il lavoro con i problemi di collocamento, di apprendistato, lo sviluppo economico e sociale, è motivo di considerazioni piuttosto amare per l'atteggiamento pervicace di giochi schermistici tra le varie parti politiche che non giungono, se non in tempi troppo lunghi, a definizioni di leggi. E' una constatazione che ha fatto anche la collega Sestero, è una constatazione vera, ma al di là di questo occorre pur camminare. Dall'altro lato il compito istituzionale delle Regioni, che devono tradurre in programmi e in realizzazioni il quadro statale, si impone come un dovere personale per tutti noi.
Oggi noi adempiamo ad uno di questi obblighi e il rilievo che esso ha lo inserisce fra i tracciati guida della nostra opera. Non stiamo discutendo esclusivamente perché le leggi (la legge nazionale n. 845 e la legge regionale n. 8) lo prescrivono, ma perché l'adempimento prescritto si presenta in maniera ampia, documentata, approfondita, propositiva preceduta ed accompagnata inoltre dagli interventi dei Gruppi politici a dimostrazione di quanto sia sentito il tema della formazione professionale.
Siamo chiamati a un discorso che può avvalersi di un supporto di valore nella sua elaborazione e di questo credo sia giusto dare atto e ringraziare sia l'Assessorato che l'IRES, qualunque possa essere il giudizio che su di esso venga dato. E' ovvio che il riconoscimento va espresso in particolar modo all'Assessore che ha intrapreso e proseguito con tenacia questa strada per due motivi: perché è un'ampia meditazione e perché si raccomanda proprio in questi tempi di transizione circa la formazione professionale e perché non ci si accontenta di esporre dei concetti, che su di essi ci sia un dibattito largo ed articolato del quale i nostri interventi e i nostri documenti sono parte fondamentale ma non totale.
Lo studio IRES che ci è stato presentato, è il terreno su cui le istituzioni, le organizzazioni dei lavoratori, degli imprenditori, le espressioni politiche sociali e culturali è bene lavorino per aprire il periodo del secondo Piano pluriennale, secondo quanto stabiliscono gli articoli di legge.
Ad eliminare subito, qualora ci fossero accuse di sordità alle sollecitazioni e di cronico ritardo negli adempimenti di legge, ricordo, al di là delle manifestazioni che abbiamo avuto per quanto riguarda il personale, che "Le note di discussione in tema di formazione professionale" (ed era una bozza del Partito repubblicano neanche pubblicizzata che però è stata raccolta nell'ordine del giorno presentato) e la "proposta di mozione" n. 268 del PCI in data 23 aprile 1987 furono oggetto di una comunicazione da parte dell'Assessore Alberton in sede di VI Commissione nella quale dichiarava non solo la volontà di giungere al più presto alla discussione del Piano pluriennale, ma soprattutto l'intenzione di portare un corredo di tracciati sui quali concretamente e realisticamente ci fosse modo di confrontarci qui e in avanti.
Mi venga tuttavia scusato un accenno che non vuole in maniera assoluta essere polemico, ma pignolo, forse per quel tanto che mi rimane di giudice in matita rossa e blu, che riguarda le scansioni temporali, certo non precipitose, del passato. Il 21 dicembre 1978 abbiamo la legge quadro n.
845, il 25 febbraio 1980 la legge regionale n. 8 e il 14 agosto 1984 la pubblicazione sul n. 33 del Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte del Piano pluriennale della formazione professionale 1984-1987.
E' giusto invece sottolineare che la scadenza del 1987 coincide con la presentazione in ottobre di studi e linee per il Piano pluriennale per le attività di formazione professionale per gli anni fino al '91.
Notando inoltre che abbiamo tra mano non l'opera di un singolo, ma un'opera alla quale hanno concorso più persone provenienti da esperienze "diverse" tutte legate da un preciso interesse per la formazione professionale.
Innegabilmente il lavoro svolto dall'IRES e dall'Assessorato ci permette un avvio corredato da una conoscenza puntuale e doviziosa di dati tale che l'Assessore potrebbe con una venatura d'orgoglio consegnarcela come esauriente. Certo nulla è perfetto sotto le stelle (all'Assessore, a volte, conviene, per esempio, anche per far rivedere la stesura dattilografica).
Le varie parti tuttavia dello studio possono essere considerate opinabili ed è proprio questo il motivo per cui non giudichiamo concluso l'argomento ed il Piano è aperto non solo nel significato più pregnante e operativo quale è sussunto nella premessa.
Mi pare quindi che sotto il profilo della procedura l'impegno sia stato corretto, giusto, serio, persino severo e in riferimento ai contenuti si sia proceduto in forma problematica e perciò fertile.
Vorrei qui marcare il preciso sviluppo sistematico e alieno dalle divagazioni facili, ma inafferenti. L'esposizione prudente nel rifiutare traguardi definitivi, pur ferma nei principi, quasi spregiudicata aggiungerei, senza strettoie né binari preconcettualmente obbligati; si veda, e cito come esemplificazione, a pag. 114 circa il Fondo Sociale Europeo, a pag. 130 circa la didattica dei corsi, a pag. 151 circa la funzione di supplenza alla Regione da parte degli enti di formazione professionale, a pag. 185 circa il sistema bloccato e la sua marginalità e distacco dal sistema delle imprese.
L'intenzione di assumere l'odierno dibattito come punto di partenza e come premessa alle attività di confronto e di consultazione che la Commissione consiliare competente è tenuta a svolgere, mi esime dall'entrare nella disamina dei vari capitoli che costituiscono la trama dello studio, ma ritengo sia indispensabile esporre alcuni concetti che costituiscono la base portante per giungere ad una formazione professionale che pur strettamente legata ai risvolti economici, non si astenga dal pensare all'uomo che deve essere formato, anche professionalmente, ma in modo preliminare nel suo essere uomo.
L'incremento e la generalizzazione dei principi democratici ruotano attorno all'uomo totale, quindi la formazione tout court dell'uomo passa attraverso a problemi singoli e comuni (mi riferisco a sanità, istruzione sicurezza, ecc.) onde pervenire allo sbocco di una comunità la più giusta e libera nei limiti dell'umano. Prima acquisizione necessaria all'individuo è la conquista di una capacità critica, cioè di giudicare: e non è leggera impresa in una società nella quale le rapide trasformazioni possono fuorviare e disorientare e sulla quale il tambureggiamento dei mass media può innestare momenti lunghi di alienazione divertente e di massiccio imbonimento.
Il nodo centrale diventa immediatamente il problema scolastico da risolversi con una formazione critica che sia canale di unione al passato di preparazione costante nel presente, di progettazione consapevole per il futuro.
Di passaggio accenno all'interesse che avrebbe, nel nostro Piemonte, un meditato riscontro sulla positività del prolungamento dell'obbligo scolastico fino a 14 anni, da elevare, presto e possibilmente e per ora, a 16: non nego le lacune nella scuola ancora persistenti, ma potremmo incontrare forse liete sorprese. Il passaggio alla realizzazione di sé nel lavoro di qualunque tipo segna l'interconnessione fra la produttività della scuola (base di preparazione del singolo) e della formazione professionale (base dell'inserimento nella società, perché ognuno assolva al dovere di essere o poter essere almeno partecipe e attivo elemento della società stessa). Il richiamo all'innovazione che dovrebbe ufficializzarsi nella riforma della scuola media superiore diventa al limite pleonastico tanto e ripetuto.
Esiste già tuttavia una innovazione che si potrebbe definire "sommersa" perché non sempre è riconosciuta e valorizzata, che si affida a cittadini volonterosi. Lo testimoniano le 727 sperimentazioni in atto nelle scuole secondarie (che coinvolgono il 9,6% degli istituti), i progetti pilota CEE (che coinvolgono 2.000 docenti e 20.000 alunni), le iniziative condotte in tante aree d'Italia con l'aiuto dei soggetti locali (associazioni imprenditoriali, singole aziende, enti locali, distretti), la diffusione seppure disordinata, dell'informatica nella scuola (nel 34,2% delle scuole secondarie esiste almeno un computer). Questi dati li ho ricavati dalle tabelle del diciannovesimo rapporto del CENSIS.
Insieme al problema scolastico perciò occorre soffermarsi su quello della formazione professionale.
Dopo il periodo dell'acceso dibattito, ma anche di intensa crescita della formazione professionale, che ha caratterizzato gli anni '70, nella metà degli anni '80 si diffonde un calo di tensione che si evidenzia in una progressiva burocratizzazione proprio nel momento in cui nuove modalità formative potrebbero essere sollecitate dalla evoluzione in atto nel mondo scientifico ed economico. Ciò si ritiene dovuto: a) ai ritardi relativi alla applicazione di punti qualificanti della legge quadro b) alla incertezza quasi patologica che circonda il futuro della secondaria superiore c) alla attesa ormai troppo pensante di strumenti legislativi nel settore occupazione che attualizzino e superino le leggi nn. 79 del 1983 e 863 del 1984.
Si delinea una crisi di identità, o forse è meglio dire di progettualità, che sembra attanagliare la formazione professionale pubblica, così come, in parte, quella che realizzano gli enti gestori. Di questa crisi sono segnali il rallentato aggiornamento dei docenti l'attenuata sperimentazione, l'insicuro rapporto con le istituzioni.
Al di là tuttavia della denuncia delle inadempienze e del calo di attenzione attorno alla formazione professionale che si riscontra a livello nazionale, la Regione Piemonte cerca con impegno di superare i ricorrenti problemi finanziari, organizzativi e didattici che i tanti cambiamenti intervenuti in questi ultimi anni inevitabilmente propongono.
Con questa prospettiva, in una elaborazione concettuale, ritengo si debbano considerare quattro Piani di analisi e di proposte: il Piano istituzionale;- il Piano che attiene al rapporto con il sistema formativo il Piano relativo al rapporto con il lavoro il Piano culturale e sociale.
Il Piano istituzionale. In questo ambito si presenta subito una delle questioni che richiedono sempre ulteriori approfondimenti perché può essere interpretata in maniera controversa: il pluralismo. E' ben vero che i riconoscimenti non mancano fin dalla legge quadro nazionale a quelle regionali, ma nella concretizzazione talora si sente la pesantezza di scelte programmatiche e di prassi amministrativa che possono porre dei condizionamenti agli enti gestori derivanti dalla inevitabile mediazione che accompagnano generalmente l'elaborazione delle leggi, oppure connessi con scelte amministrative orientate a privilegiare e promuovere gli itinerari formativi della scuola statale, piuttosto che quelle della formazione professionale.
Non si tratta di interessi, in senso lato, consolidati da difendere, ma si ritiene non solo anticostituzionale, ma politicamente e socialmente miope la negazione di una molteplicità di agenzie formative. Alla generale privatizzazione del servizio si contrappone proficuamente la responsabilizzazione delle aggregazioni sociali che, fuori della logica del mercato, danno una risposta ai bisogni in concorso con le istituzioni pubbliche.
L'istituzione pubblica non deve certo essere privata delle sue funzioni di coordinamento e di programmazione, ma non raramente si è trovata nella impossibilità di rispondere pienamente alla domanda di servizi sociali, per cui il pluralismo non si chiude in un arroccamento ideologico, ma si dimostra un arricchimento politico, perché le diverse proposte formative degli enti gestori articolano e animano il sociale, evitando il rischio di una totale pubblicizzazione.
Il ruolo di programmazione e di rigoroso controllo compete esclusivamente alle pubbliche istituzioni come pure l'autotutela sindacale spetta agli operatori, ma un vero pluralismo deve consentire libertà di gestione delle attività specie sotto il profilo metodologico e didattico organizzativo, semmai rendendo più robusti i controlli in entrata (la programmazione) ed in uscita (verifiche di merito sugli esami finali), e pretendendo ovviamente la massima garanzia circa l'utilizzo dei finanziamenti.
Mediando fra gli interessi degli operatori e quelli pur legittimi degli utenti, occorrerà prevedere una mobilità ai mutamenti occupazionali e una ridefinizione dei ruoli professionali, fino forse ad ipotizzare un centro di formazione professionale con docenti stabili, forse pochi, e qualificati metodologicamente e didatticamente e con una componente utilizzata secondo diverse esigenze e proveniente anche, se necessario, dalle aziende stesse tramite convenzione.
Il piano del rapporto con il sistema formativo. Storicamente la formazione professionale sovente assolveva o cercava di assolvere ad un suo compito ben preciso che non si limitava ad addestrare, ma che tendeva soprattutto a formare specialmente nel confronto di quegli utenti che presentavano particolari svantaggi socio - culturali ed economici.
Probabilmente ora la componente che fruisce della formazione professionale è meno di una volta rappresentata da giovani in condizioni di precarietà, ma sta verificandosi, e va dilatandosi, l'afflusso di studenti che hanno abbandonato, dopo uno o due anni, la scuola secondaria superiore in relazione alla crescente scolarizzazione:E questo fatto precostituisce quanto presumibilmente succederà con l'obbligo scolastico portato a 16 anni.
E' vero che la formazione professionale sovente ha supplito a inefficienze scolastiche ed ha dovuto attardarsi in opera di recupero, ma proprio queste capacità di metodi e di didattica acquisite in lunghi anni di lavoro non possono essere svendute, trascurando un ricco patrimonio pedagogico sull'altare della statalizzazione dell'istruzione.
Da questa considerazione sorge un problema che dovrà essere risolto forse non con uno sbocco unico e semplicistico, ma con una varietà di esiti perché vari potranno essere i presupposti: il problema cioè della possibilità di usufruire degli anni di formazione professionale anche ai fini dell'assolvimento dell'obbligo scolastico. Questo è messo evidentemente in forma interrogativa. Su questo, è chiaro, occorre anche confrontarci. Si passerà in tal modo con maggiore flessibilità e fluidità dalla prima qualificazione ad altri livelli formativi, in particolare a quello oggi critico del post - diploma e del post - laurea e a quello della educazione degli adulti.
Piano del rapporto con il lavoro. Anche a questo riguardo storicizzando non sembra che la formazione professionale sia sempre stata molto attenta specie ai mutamenti in atto nella sfera produttiva, per cui dovendo riprogettare qualche linea portante di formazione professionale conviene partire dalla disoccupazione e dai suoi caratteri, che sono per opinione ormai generale: la disoccupazione in Italia è fenomeno prevalentemente giovanile; non riguarda solo il lavoro intellettuale; è più grave per le donne; colpisce più chi è in possesso di abilità manuali tradizionali o che occupa i livelli amministrativi inferiori (è l'area invasa dalle innovazioni tecnologiche); riguarda più la grande che la piccola impresa o il lavoro indipendente.
La formazione, che mirava a un lavoro tipicamente industriale e organizzato su basi tayloristiche, deve già fin d'ora operare aggiustamenti e modifiche rendendosi avvertita di ciò che sta cambiando nella sfera produttiva. Il lavoro tratterà più le informazioni che le cose, comporterà più discrezionalità e capacità decisionale, sarà più legata ai processi produttivi, esigerà più capacità di autonomia; un lavoro che sarà un percorso esistenziale e fatto di tante varianti e di part-time cui sarà necessario soprattutto la capacità del rapporto con gli altri.
Il Centro di formazione professionale quindi, non certo scolarizzante dovrà sapere interagire in modo più sistematico con le imprese e più orientato ad una cultura dell'alternanza scuola - lavoro.
Ci sono ancora ostacoli da superare, ma la società lo pretende giustamente e, se non saremo capaci di agire noi, verrà fatto senza di noi.
Basti pensare ai chiari segni premonitori, quali il nascente movimento di centri di solidarietà, il rinnovato interesse per l'apprendistato, le speranze legate ai contratti di formazione lavoro, la crescita di iniziative di orientamento scolastico e professionale, il risveglio del movimento cooperativo specie giovanile, l'attenzione più viva sul piano locale al tema della job - creation.
Piano culturale. Un ente che voglia operare con una specifica proposta formativa può essere legittimato solo da una sicura dimensione culturale.
Si fa poi formazione professionale con una cultura del lavoro stesso e le sue opere al servizio dell'uomo e della sua crescita, in libertà e dignità evitando con ogni sforzo la contraddizione di reclamare per un verso più capacità di produzione di risorse e più attaccamento al lavoro e per l'altro di escludere larghe quote di giovani, donne, persone ormai in età matura.
Le regole dell'economia, del mercato, dell'efficienza non perdono valore evidentemente, ma non possono sovvertire l'etica del lavoro privilegiata dal dettato costituzionale anche se sono in parte cadute tradizionali ideologie.
Nella ricerca di produzione di valori il lavoro è strumento efficace e mi si consenta di citare la suggestione dell'appello del Cardinale Martini - "per una economia che non pretenda di esaurire tutta la razionalità dell'uomo".
La formazione professionale quindi, se vuole essere al servizio della persona, deve ridefinirsi secondo i caratteri dell'educazione permanente accogliendo colui che deve essere formato lungo l'arco completo della sua esistenza lavorativa e realizzando interventi compensativi per le fasce più deboli, handicappati compresi.
A questo proposito nella presente fase storica non è possibile non cogliere l'esigenza di un nuovo apprendimento, mi riferisco cioè ai nuovi linguaggi, che ci rendano consapevoli di fronte alle tante complessità del vivere moderno. Fuori da questa nuova alfabetizzazione tecnologica ed insieme economico e sociale, si rischia di essere esposti ad un marginalità che può diventare emarginazione e povertà. Ogni età hai suoi poveri. La formazione professionale può aiutarci ad impedire o almeno ad attenuare il pericolo, già reale, che accanto alle tradizionali povertà di istruzione e di lavoro emerga una povertà di "motivazioni" verso il lavoro, così come verso una vita responsabile ed anzi forse verso la vita stessa.
Nello scorrere i documenti che ci sono stati consegnati ho incontrato la traduzione di questi pensieri: una traduzione che si apre al "valido contributo del dibattito dei Consiglieri". Le proposte decisionali possono essere confrontate in Commissione onde arrivare al più presto in aula per la sanzione definitiva del Piano. E' una seduta quella di oggi che segna un momento veramente importante della vita del nostro Consiglio; il lavoro svolto è un punto di partenza sollecitante, l'argomento sta ritornando d'attualità sulla scia di provvedimenti legislativi, ma più ancora per l'urgere dei mutamenti che viviamo ogni giorno.
Abbiamo un bagaglio di proposte, offerteci dalle nostre meditazioni dal lavoro competente di molte persone, dalle esperienze positive e anche negative dei vari centri, che sono comunque da seguire con attenta partecipazione. Abbiamo tra una settimana un convegno di grande peso, con presenze qualificate che tratterà lo stesso nostro oggetto di oggi. Sono voci che si aggiungono e che ci aiuteranno; ogni accento ha una risonanza.
Non fermiamoci agli auspici; con alacrità e dialettica facciamo fiorire la stagione delle speranze anche attraverso una nuova cosciente, vigile formazione professionale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Dameri.



DAMERI Silvana

L'elemento che è messo in forte evidenza nel rapporto dell'ISFOL di quest'anno è quello che sottolinea la necessità, l'urgenza l'indifferibilità di un'opera innovativa in ambito formativo nel quale il momento della programmazione va individuato come capacità di costruire un raccordo tra i diversi segnali e le tendenze che nella società su questo terreno si manifestano. L'individuazione nella formazione professionale di un suo modo di essere con un carattere fortemente dinamico e anticipatore dei processi formativi e del mercato del lavoro a me pare convincente.
Però a fronte di questa considerazione che penso non trovi nessuno discorde, anzi, è persino un po' banale, devo dire che negli studi che ci sono stati proposti dall'Assessorato ho trovato dei termini assai vecchi e impacciati nel modo di analizzare il fenomeno strutturale che è espresso dalla domanda di formazione e di lavoro delle donne e segnatamente delle ragazze. E' un elemento questo che balza con evidenza e scompare del tutto per quanto riguarda la sua evidenziazione dal punto di vista dei problemi di ordine culturale e sociale e anche di iniziativa che sul terreno della formazione si pongono. Infatti in diversi passaggi, in uno particolarmente leggiamo come la richiesta di lavoro delle donne sarebbe da riferirsi a un periodo di sviluppo occupazionale. Questa lettura del fenomeno segna un fortissimo ritardo culturale nella capacità di ascolto della soggettività espressa dalle donne che non è congiunturale e che non è soltanto riferibile a modificazioni del mercato del lavoro, anzi, è proprio questo diverso approccio, questa soggettività, questa domanda di lavoro delle donne che determina una tensione del tutto inedita nel mercato del lavoro e chiede anche una ridefinizione della stessa divisione sessuale del lavoro.
Si tratta di capire se ci si approccia a questa domanda in termini di fastidio verso qualcosa a cui bisognerà dare una risposta magari in termini parziali, in termini meramente aggiuntivi al carico di lavoro riproduttivo sociale che le donne assolvono oppure in termini di risorsa, come forza intellettuale, come disponibilità sociale.
I dati rilevati nella relazione dell'IRES dello scorso anno, poi confermati in questo studio, ci dicono quanto sia importante la formazione professionale e quanto sia grande l'esigenza di attivare una specifica azione che produca efficacia e produttività per quanto riguarda i percorsi formativi e gli sbocchi occupazionali delle donne. Infatti si evidenzia come esiste in particolare per le donne una totale indifferenza, se non negatività in qualche caso, dell'esperienza formativa nella ricerca di lavoro. So che questo non attiene solamente alla questione della formazione, ma chiama in campo anche i problemi dell'orientamento professionale e opportunamente viene richiamata l'esigenza di una legislazione nazionale e di un suo aggiornamento.
Tuttavia credo sia necessario richiamare una iniziativa specifica e consapevole della Regione su questo terreno.
Nel materiale che ci è stato fornito troviamo disseminate tracce di una analisi frettolosa, vecchia, che pure non può smentire alcuni dati. Ad esempio, a pag. 23 si evidenzia nettamente che i tempi di attesa per quanto riguarda le ragazze sono enormemente più elevati e che molto più indifferente è la qualificazione professionale e anche la qualificazione scolastica. I tempi per giovani laureati e per giovani laureate sono molto diversi. Questo vuol dire probabilmente che occorre pensare ad una formazione professionale che si ponga anche il problema di modificare moduli, tipologie, caratteristiche professionali. Quindi occorre una riconversione nei campi in cui il titolo di laurea ha scarsa capacità scarso interesse nel mercato del lavoro.
La percentuale dei maschi fra gli occupati è pari al 63% e nelle persone in cerca di occupazione del 38%, il che vuol dire ovviamente anche il contrario. Qui emerge con molta nettezza non solo un elemento di palese discriminazione, i dati da questo punto di vista abbondano, ma come sia necessario un intervento attivo e consapevole del momento pubblico perch c'è un interesse discriminatorio da parte del privato per quanto riguarda la possibilità di lavoro delle donne.
L'unico esito propositivo, se così possiamo leggerlo, è preoccupante ovvero nella individuazione dei modi di approccio per un controllo del sistema di formazione professionale, per un suo monitoraggio, in una considerazione su quale deve essere la modalità di valutazione dell'efficacia esterna del sistema, troviamo tra gli elementi di congruità tra il sistema formativo e l'evolversi del mercato del lavoro si indica una congruità in relazione al sesso. Questo vuol dire che cerchiamo nell'attività formativa dei percorsi di formazione professionale specifici differenziati per sesso. Credo che questo sia un modo vecchio di valutare il problema. Il problema è esattamente l'opposto: vedere come si riesce attraverso un'azione coordinata che chiami in causa anche l'iniziativa programmatoria della Regione, mettere in azione iniziative che tendano a rimuovere le discriminazioni originarie, le difficoltà, gli elementi di orientamento anche culturali anche soggettivi che tendano a far sì che quella mano d'opera femminile non trovi sbocco, quella formazione sia fatta su terreni dequalificati e quindi il denaro pubblico viene speso in settori che poi non producono dei risultati positivi in termini di occupazione e questo determina soggettivamente degli elementi di frustrazione individuale e collettiva.
E' già preoccupante il modo vecchio con cui viene proposta questa questione. Andiamo più a fondo cerchiamo di cogliere davvero lo spessore del problema e vediamo come ci si deve approcciare.
Nella nostra mozione, che riletta a distanza di qualche mese può essere meglio definita e precisata, a dimostrazione che si può, se si vuole tentare di migliorare le cose, c'è un tentativo di risistemare e di innovare il sistema formativo rilanciando un ruolo dinamico e attivo della formazione che contenga non qualche congruità relativamente al sesso, ma motivazioni, elementi, sottolineature sensibilità e un'intenzionalità precisa a promuovere la rimozione delle discriminazioni e la sollecitazione all'accesso a nuovi settori che può determinare appunto un effettivo inserimento delle donne nel mondo del lavoro per i lavori nei quali hanno più possibilità di realizzarsi e che hanno anche una rispondenza rispetto alla moderna coscienza delle donne.
Se non facciamo questo intanto veniamo meno a un dato strutturale del mercato, non meramente soggettivo, e secondariamente non teniamo conto dell'aspetto a cui si richiamava il Consigliere Villa, e cioè che quando consideriamo il momento formativo parliamo di esigenze del mercato, ma parliamo anche di aspettative, di motivazioni, di condizioni concrete dei singoli che un loro peso devono averlo.
Nella nostra mozione abbiamo inserito una serie di richiami alla necessità che la formazione professionale venga riformata, che comprenda come metodo costante il monitoraggio e che nel monitoraggio dei dati la disaggregazione per sesso per individuare i percorsi che vengono fatti, che consenta di intervenire successivamente in un'azione di orientamento.
Prevediamo progetti mirati tesi a collegare la possibilità di formazione professionale delle donne nei settori più innovativi negli ambiti delle cosiddette nuove tecnologie.
Vanno individuati gli elementi che ancora sono forti di segregazione formativa e questo è possibile farlo se si riesce ad avere il quadro d'insieme di tutti i soggetti che fanno formazione.
Per quanto riguarda il rapporto formazione - lavoro occorre individuare un'azione specifica di riconversione, per esempio, dell'utilizzo delle 150 ore per quanto riguarda le donne in mobilità e le donne adulte. Quando in questo Consiglio abbiamo di fronte casi di donne che hanno superato i 29 anni e non sono più neanche interessanti dal punto di vista dei contratti di formazione - lavoro, non sappiamo da che parte cominciare. Attiviamo allora dei progetti specifici di formazione per questo tipo di mano d'opera che ha enormi difficoltà a riconvertirsi in assenza di un'attenzione pubblica.
Così come va vista la questione delle laureate e delle diplomate che sono in settori senza sbocchi professionali. E questo con l'ottica di dare una risposta positiva ad aspettative di lavoro, ma anche di determinare un vantaggio dal punto di vista dell'interesse complessivo del sistema.
Il superamento della segregazione formativa femminile e l'effettiva promozionalità delle donne alle professionalità più innovative è una finalità qualificante che può essere dettata solamente dall'indirizzo pubblico. Non pensiamo tanto ad alcune manager che si promuovono in alcuni settori, ma a un dato più complessivo di crescita culturale, formativa delle donne come elemento di ricchezza della realtà non solamente produttiva, ma sociale del nostro Paese e del Piemonte.
D'altronde le sordità, le vecchie culture, l'indifferenza, il non cogliere questi elementi sarà inevitabilmente travolto dai fatti, perché la realtà è anche più testarda della nostra capacità di capirla fino in fondo.
Un'ultima considerazione che si riallaccia a quanto ho detto finora anche se con fatica e me ne scuso.
E' necessario che si riesca a capire, con un documento che l'Assessore ci presenterà, qual è la volontà della Giunta. Questi sono soltanto i primi elementi, bisognerà metterli a fuoco con un'ottica nuova.
Credo sia bene considerare non solamente l'offerta di lavoro, le sue caratteristiche, le tipologie, i profili, cioè solamente le motivazioni delle imprese, ma è necessario considerare anche gli atteggiamenti soggettivi, i carichi sociali, l'iniqua distribuzione del lavoro di riproduzione sociale attuale non pensando che tutto questo è risolvibile magari con un piano di formazione professionale, ma sapendo che nel momento in cui noi facciamo un intervento su un pezzo di formazione professionale in realtà incidiamo su un individuo, su una persona, su un uomo o su una donna che hanno nella propria esperienza concreta di vita una contestualità di elementi rispetto ai quali è dovere dell'intervento pubblico di rimuovere le discriminazioni e le segregazioni, gli elementi che tendono a sfavorire un soggetto rispetto ad un altro. Questa è questione precipua dell'azione pubblica. E' evidente che i privati, che hanno motivazioni degnissime ma diverse come la ricerca del profitto, questo lavoro non lo fanno. Il pubblico ha questo dovere oltre che il diritto.
Non solo dalla ingegneria di un sistema formativo, ma dalla capacità di rispondere alle aspettative di chi il lavoro lo cerca e di chi vuol essere formato ed è disponibile ad esserlo in termini positivi, potremo dare un giudizio sulla qualità del lavoro e delle proposte che ci verranno avanzate.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bergoglio.



BERGOGLIO Emilia

Ho chiesto di intervenire dopo il collega Villa non tanto per aggiungere alla lunga fila degli interventi un'altra voce, ma perché mi pare che alcune considerazioni emerse da questo dibattito meritino qualche osservazione.
Intanto devo dire che una serie di considerazioni danno l'impressione che tutto sia cominciato due anni e mezzo fa e che siamo partiti dall'anno zero come se il settore della formazione professionale in Piemonte non avesse avuto una storia, dei promotori, dei responsabili, delle persone che dal loro angolo visuale culturale politico hanno cercato di dare delle risposte. Alcuni nodi che oggi vengono attribuiti a questa maggioranza o a questo Assessore in realtà potremmo considerarli nodi storici della formazione professionale che non si possono risolvere con un colpo di bacchetta magica in questi famosi due anni e mezzo che rimangono (sembra quasi ante Cristo e dopo Cristo).



BONTEMPI Rinaldo

Risolvetene uno.



BERGOGLIO Emilia

Io spero anche più di uno è qualcosa è già stato risolto. Questo modo di porre le questioni non mi pare né opportuno né produttivo. Ho sentito critiche da parte di ex Assessori alla formazione professionale su iniziative o realizzazioni da loro iniziate e che vengono portate avanti e continuate. Visto che non è possibile sdoppiarsi, che le cose procedono maturano, si trasformano e visto che i tentativi fatti non hanno dato i risultati sperati, magari si deve cambiare. Che la formazione professionale abbia una funzione di supplenza nel nostro sistema scolastico non lo scopriamo oggi. Non è colpa dell'Assessore Alberton o dei funzionari dei suoi uffici. Chiunque operi nel settore della scuola sa benissimo quale problema esista nella scelta del corso degli studi dopo la scuola dell'obbligo: ai più bravi si consiglia la scuola superiore di Stato a quelli meno dotati si consiglia un corso di formazione professionale.
Questi profili vengono trasmessi dalla scuola media alla scuola superiore.
Allora, non ci si può stracciare le vesti se la formazione professionale ha il problema del recupero culturale di base, se ai ragazzi bisogna ancora insegnare a fare di conto quando hanno scelto il corso per aggiustatori radio-televisivi o corsi del genere che richiedono una conoscenza della matematica e del disegno tecnico certamente superiore a quella che pu essere richiesta a chi sceglie il corso di maestro o di ragioniere.
Quelle che sto dicendo non sono fantasie, ma sono realtà cui si trova di fronte chi conosce a fondo la scuola. Un discorso di riqualificazione del sistema professionale del Piemonte passa attraverso l'aggiornamento dei corsi, che sono obsoleti e superati sia per gli uomini che per le donne.
Non credo che l'Assessore Alberton abbia avviato ancora corsi di cucito.
Sicuramente in questo settore ha cercato di tagliare incontrando sicuramente delle resistenze da parte del cosiddetto consolidato, privato o pubblico che esso sia e incontrando le difficoltà che i Consiglieri verificano quando cercano di dare una sistemazione alle professionalità.
Tutti giustamente diciamo che bisogna rimettere in pista le professionalità, i corsi professionali, quando però si tratta di porvi mano il discorso diventa meno teorico e più difficile da realizzare perch ognuno ha le proprie sollecitazioni da porre in essere e non sempre sono sollecitazioni che vanno nella direzione della riqualificazione e dell'aggiornamento del sistema.
Bisogna anche dire che oltre alla difficoltà culturale di base, c'è la difficoltà di scelta e di orientamento che è legata all'evoluzione del settore tecnologico che è difficile da prevedere a livello scolastico.
Perché la collega Sestero si stupisce del fatto che dopo i corsi di formazione professionale si deve andare ancora ai corsi di formazione lavoro per adeguare il lavoratore alle reali esigenze della produzione dell'azienda? Sappiamo tutti che i neo ragionieri, geometri, maestri quando si imbattono in concreto con il lavoro hanno bisogno di qualificazione professionale e di aggiornamento continuo. La scuola non potrà mai, per quanto si voglia essere lungimiranti, anticipare le esigenze del mercato del lavoro. La scuola sarà sempre costretta ad adattarsi alle tecnologie e alle strutture che l'industria aggiorna.
Non si tratta tanto di insegnare un mestiere consolidato, quanto di dare degli strumenti culturali di formazione che consentano di affrontare in posizione non disarmata il mondo reale del lavoro.
Ritengo che il proseguimento della fase di formazione e lavoro è un fatto sicuramente positivo che va incentivato e guardato con molta attenzione. Che non diventi un qualcosa di diverso siamo i primi a richiederlo, che sia una continuazione della formazione professionale credo che sia un dato auspicabile.
Vorrei dire ancora qualcosa su questo tema. Mi sarebbe piaciuto vedere qui presenti gli operatori della formazione professionale per sentire quello che diciamo che vuole anche mettere sul tappeto la scommessa della loro qualificazione professionale, della loro capacità di essere educatori e professionisti. E' un sistema che non può essere costruito se non c'è uno strettissimo rapporto tra i pubblici poteri e gli operatori che in questo settore debbono fare bene la loro parte.
Non c'è dubbio che i contratti di formazione e lavoro sono stati studiati e messi sul tappeto per favorire l'occupazione giovanile nelle imprese.
La collega Dameri ha sollevato il problema dell'occupazione e della formazione professionale femminile.
Dobbiamo intenderci su come vogliamo costruire il sistema di formazione professionale. Le donne non vogliono essere una categoria protetta. Credo di interpretare l'impostazione data dall'Assessore. La formazione professionale è rivolta a tutti coloro che vogliono studiare e che vogliono prepararsi professionalmente. Saranno i giovani a scegliere in quale settore o in quale tipo di professione ritengono di orientare il loro interesse, le loro scelte e le loro capacità personali. Quindi leggendo l'impostazione data in questo modo non lo vedrei così negativo il fatto che non si pone una particolare attenzione alla formazione professionale femminile. Leggo quelle che sono le intenzioni della Giunta: si è tutti realmente e concretamente sullo stesso piano nelle possibilità di accesso alla formazione professionale così come gli sbocchi della formazione professionale devono essere aperti a tutti, uomini o donne. Il problema è semmai nell'accesso ai settori professionali e alle possibilità di occupazione successiva, ma questo non può essere un problema che viene addebitato alle intenzioni dell'Assessore alla formazione professionale: mi sembra un processo alle intenzioni.
Sottolineo l'esigenza che ci sia un reale recupero di parità, di possibilità e di opportunità nelle possibilità di formazione e nelle possibilità di lavoro sia per gli uomini che per le donne, ma lo sottolineo in termini di una parità reale che dobbiamo raggiungere nei fatti, ma non in posizione di protezione come se le donne appartenessero ad una categoria protetta come quella degli handicappati. Questo non sarebbe un bel servizio all'occupazione femminile.
L'obiettivo che ci vogliamo porre è identico ed è quello di una reale possibilità di competitività e di accesso al lavoro quelle difficoltà che conosciamo.
Giudico positiva l'impostazione data ai documenti. L'occupazione femminile non vogliamo vederla come categoria a parte, quella della occupazione femminile, ma deve essere una categoria nel sistema complessivamente preso in considerazione, in condizione di reale parità.
Il convegno che il collega Villa ha ricordato dovrebbe permettere un ulteriore approfondimento di questa questione e, viste le forze che sono in campo, potrà essere anche una verifica di quanto questo nostro dibattito sia stato capace di interpretare una realtà e non si sia limitato ad una esposizione dialettica teorica più o meno datata nel tempo.



PRESIDENTE

Non vi sono altri iscritti a parlare. Ha ora la parola l'Assessore Alberton per la replica.



ALBERTON Ezio, Assessore alla formazione professionale

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, desidero esprimere il ringraziamento personale a tutti coloro che hanno portato un contributo a questa analisi rivolgendolo in particolare agli ultimi due interventi dei Consiglieri Dameri e Bergoglio per la sottolineatura da parte dell'una di una parte che viene ritenuta non completamente o insufficientemente sviluppata e all'altra per il contributo di consapevole realismo con il quale ci ha invitato ad analizzare i problemi che abbiamo discusso.
Nella lettera con cui trasmettevo il documento in esame ai Consiglieri esplicitavo che questo non costituiva solo una fotografia della situazione ma che in virtù di un confronto intenso con il gruppo di lavoro pilotato dall'IRES, il documento si proponeva di tracciare anche indirizzi e linee di soluzione per i problemi prima esaminati ricercando coerenza tra le analisi e i possibili sbocchi di uscita.
In questo senso, ho ritenuto che il poter svolgere questo dibattito avendo non solo a disposizione le mozioni e gli ordini del giorno dei Gruppi consiliari, ma anche il documento prodotto dall'IRES nel quale la Giunta e l'Assessorato si riconoscono in larga parte per gli indirizzi fondamentali in esso esposti, potesse offrire al Consiglio un'occasione quanto mai ricca e in termini potenzialmente molto produttivi per il confronto.
Francamente si rimane sorpresi quando si sente da un lato affermare che il documento non indica linee per il Piano e contemporaneamente criticare che in alcuni passaggi è perfino troppo analiticamente sviluppato. Abbiamo incominciato a svolgere come Assessorato questi confronti anche con le forze esterne alla Regione e giustamente è stato ricordato come il convegno programmato per la prossima settimana vuole essere l'occasione pubblica per un confronto con questi stessi soggetti.
Riconfermo, e non per riportare messaggi falsi o artificiosi, che sono pervenute dalle varie rappresentanze espressioni di forte apprezzamento per questo documento per lo sforzo di integrare tra di loro aspetti anche diversi e potenzialmente in conflitto tra di loro e per il tentativo di fronte ai problemi di trovare delle linee di uscita.
In questo senso stupisce che si affermi da parte di qualcuno che oggi non si sapeva bene di che cosa si sarebbe dovuto parlare. Il documento si è prefisso anche di fare l'analisi storica della situazione non riconoscendo nella storia (perlomeno in quella recente, degli ultimi 5-6 anni che siamo riusciti a ricostruire) dei momenti di discontinuità ed è stato detto che non c'è un anno zero prefissabile all'agosto 1985. La Regione nel tempo ha prima ereditato e poi consolidato un patrimonio che il documento espone nei suoi punti di debolezza, ma anche di forza.
Nostro obiettivo e compito è valorizzare ciò che esiste, volgerlo quanto più possibile al meglio senza immaginare che cancellando tutto quello che esiste sia possibile per la Regione costruire un sistema formativo alternativo rispetto a quello che in termini di competenza, di know-how e di risorse intellettuali si è consolidato nel tempo in Piemonte.
Vengo sempre accusato di fare introduzioni ai dibattiti troppo sintetiche in realtà non mi piace ripetermi. Avevo svolto un intervento il 31 luglio sufficientemente sviluppato e lungo forse tanto da disturbare i lavori del Consiglio. Avendo quindi svolto quell'intervento e avendo consegnato un documento di tali dimensioni e con questa sorta di approfondimento, mi sentivo esonerato dal ripercorrere analiticamente tutto quanto in esso era contenuto. Ricordo che nell'intervento di luglio dissi che non era più il momento di una contrapposizione che appariva sempre più falsa, tra pubblico e privato, ma che semmai il problema difficile e pericoloso di fronte al quale ci trovavamo era una divaricazione tra la formazione professionale che si svolgeva fuori dall'impresa e quella che si svolgeva dentro l'impresa con il rischio che si creassero due sistemi non comunicanti tra di loro. La contrapposizione tra pubblico e privato è riemersa nella parte finale di questa giornata. Anche sotto questo profilo gli ultimi due anni non hanno introdotto alcuna variazione nei rapporti di presenza consolidata negli anni tra pubblico e privato. La convenzione con cui regoliamo i rapporti con la gestione cosiddetta privata è uguale, ha le stesse regole di quella con cui regoliamo i rapporti con la gestione pubblica non regionale, non diretta. Non ci sono regole particolari. E la qualità delle diverse attività, i risultati delle medesime - come dicevo nella relazione di luglio e come viene ripreso nel documento dipende moltissimo dai singoli enti e dai singoli centri. E la qualità dell'intervento non è rapportabile meccanicamente al fatto che sia di gestione privata, pubblica diretta o pubblica di altri enti locali, né è giusto pensare che il controllo della produttività, della capacità interna della formazione professionale, la sua efficacia e la sua efficienza in termini di spesa, conosca differenziazioni rigide tra gestione pubblica e gestione privata o peggio ancora che se si facessero queste analisi risulterebbe negativamente esposta la gestione privata. Non sono dati rilevabili dalle analisi obiettive della situazione.
Si è detto di un rapporto corretto da realizzarsi con il sistema delle imprese e si è detto - credo giustamente - che compito della formazione professionale è quello di rapportarsi con questo sistema per raggiungere due obiettivi: dare sicurezza allo sbocco della persona che ha ricevuto la formazione e dare un contributo attraverso la formazione allo sviluppo dello stesso sistema produttivo.
Affermare queste cose è tutt'altra cosa che disegnare un rapporto di sudditanza o di vassallaggio della formazione professionale nei confronti dell'impresa o dell'imprenditore.
Si chiede un rapporto quasi di controllo più rigoroso, di capacità di imposizione delle persone uscite dalla formazione professionale verso il sistema delle imprese. Se ci si approccia al problema in questo modo ancora una volta si carica il sistema della formazione professionale di ruoli non propri che non saprà mai assolvere.



STAGLIANO' Gregorio Igor

Sapere invece che fine hanno fatto queste persone interessa.



ALBERTON Ezio, Assessore alla formazione professionale

Staglianò, sapere che fine hanno fatto ho cominciato a dirtelo già l'anno scorso. Ma proprio rivolgendomi a te voglio dire che i dati evidenziano che dei 60.000 ragazzi che escono ogni anno dal sistema scolastico tra diplomati, qualificati degli istituti professionali e coloro che abbandonano, noi ne pilotiamo in entrata o in uscita circa 6 mila.
Possiamo immaginare che risolviamo il rapporto tra i sistemi formativi qualunque essi siano e il mercato delle imprese applicando delle regole particolari a questo 10% quando il sistema delle imprese per regole sulle quali non mi pronuncio neanche, ma di cui prendo atto come amministratore regionale, comunque ha un bacino di utenza potenziale che vale dieci volte tanto. Allora non chiediamo queste cose alla formazione professionale.
Ho detto che più importante secondo me del rapporto in contrapposizione tra pubblico e privato è quello tra formazione professionale e sistema produttivo. Non credo che la Giunta regionale non dia garanzie di capacità di governo di questo problema solo perché le responsabilità del lavoro e della formazione professionale conoscono due deleghe distinte.
L'Assessorato alla formazione professionale ha fornito finora un suo contributo al problema dei contratti di formazione-lavoro svolgendo un compito di consulente tecnico che pure la legge non gli riconosce. Eppure lo abbiamo fatto perché lo consideravamo importante e saremo tanto lieti che la legislazione nazionale riconoscesse questa competenza alle Regioni invece che sottrargliela attraverso la strada del contratto di formazione lavoro.
Pongo un motivo di riflessione ulteriore: se è vero che la formazione ha e deve rispondere a obiettivi congiunturali, ma ha e deve rispondere anche a obiettivi strutturali, facciamo attenzione a considerare come sede che analizza i problemi formativi la Commissione regionale per l'impiego.
Lì avremmo presenti tre interlocutori (datori di lavoro, sindacati, momento pubblico regionale), ma vi mancherebbe un attore fondamentale, ovvero il soggetto che eroga la formazione, che dovrebbe esprimersi sullo spessore dei progetti formativi. Si corre quindi il rischio che ci sia una eccessiva potenziale dipendenza a fini congiunturali occupazionali dell'intervento formativo.
E' stato detto che molti di coloro che escono dalla formazione professionale passano poi ancora attraverso il contratto di formazione lavoro. Nel documento si evidenzia a chiare lettere il giudizio che si esprime sotto il profilo del rapporto con il problema formativo sui contratti di formazione-lavoro, ma dal considerare questo fenomeno e dire che la formazione professionale non serve, mi sembra ci passi parecchio perché - e questo è un dato che non abbiamo ancora - sarebbe interessante sapere quanti di quelli che imboccano la strada del contratto di formazione lavoro sono qualificati dalla formazione professionale e cioè quanto del contratto di formazione-lavoro riesce a stare in piedi solo perché alle spalle ha un intervento formativo già realizzato e piuttosto robusto.
Allora sì che in quel caso il contratto di formazione-lavoro esplica tutta intera la sua funzione ai fini occupazionali, ma perché ai fini formativi ha provveduto qualcun altro a risolvere il problema.



SESTERO Maria Grazia

Questo è un ruolo della formazione.



ALBERTON Ezio, Assessore alla formazione professionale

Consigliere Sestero, ti voglio dire che di una certa legislazione al contorno, sulla quale poi si possono esprimere tutti i giudizi politici che si vogliono, ma perlomeno fuori da un'aula che ha certe competenze e non altre, conviene prima di tutto prenderne atto e se politicamente ci si deve esprimere in termini di formazione, non di sostegno all'occupazione, si preferisce esprimersi dicendo: "sono sufficienti i contratti di formazione lavoro", oppure sono questi uno strumento improprio di formazione, positivi sotto il profilo occupazionale, e invece deve rimanere in piedi la formazione professionale? A questa domanda da parte del sistema delle imprese mi sento rispondere che il contratto di formazione lavoro sarebbe inadeguato.
Se poi ricercate un giudizio, un giudizio qui lo si ritrova e si dice che in altri Paesi i due strumenti incentivanti, uno l'occupazione, l'altro la formazione, sono tenuti molto più distinti che non da noi e che lo strumento di formazione-lavoro oggi ha spiazzato la formazione professionale sotto certi aspetti, ma che sarebbe pericoloso - lo dico politicamente - immaginarsi che il sostegno formativo per giovani o meno giovani fosse sufficientemente rappresentato dal contratto di formazione lavoro.



AMERIO Mario

Vogliamo riformare questo istituto.



ALBERTON Ezio, Assessore alla formazione Professionale

Posso anche essere d'accordo con te. Se adesso chiedete che sia la Regione Piemonte a riformare la legislazione sui contratti di formazione lavoro dico che...



STAGLIANO' Gregorio Igor

Però assentire alle assunzioni nominative senza formazione con gli oneri sociali pagati dalla collettività forse si potrebbe fare.



ALBERTON Ezio, Assessore alla formazione professionale

Sono stati sottolineati o ripresi aspetti molto rilevanti della gestione del Fondo Sociale Europeo. Sono aspetti che nella loro dimensione avevo io stesso messo in evidenza ancora nell'intervento di luglio e a testimonianza di questa correttezza anche di rapporto con gli estensori del Piano, nello stesso sono evidenziati punti di criticità di questo sistema il sistema ha conosciuto criticità crescenti in questi ultimi due anni perché, come ho già ripetutamente detto, il ricorso al Fondo Sociale Europeo ha conosciuto in questi ultimi due anni, almeno in Piemonte, uno sviluppo che non era immaginabile, eppure nel documento sono indicate linee di selezione prioritaria tra titolarità aziendale e titolarità regionale o quali altri strumenti, a partire dal regolamento che abbiamo in piedi oggi, devono essere modificati per garantire non solo un maggiore utilizzo delle risorse, ma anche un migliore utilizzo delle risorse.
Nelle linee del documento e quindi nelle linee che informeranno il Piano non c'è una tesi messianica della riforma della scuola media superiore. Si è consapevoli che sono in atto almeno tre possibili scenari: una riforma che richiede l'innalzamento dell'obbligo a 16 anni con un percorso unitario all'interno della scuola cosiddetta di Stato per semplificazione uno scenario alternativo che è quello di far assolvere l'obbligo anche attraverso le strutture delle formazione professionale uno scenario che assegna a questo biennio differenziato rispetto ai possibili bienni anche un ruolo professionalizzante.
Questi tre scenari offrono e prospettano posizioni per la formazione professionale profondamente distinte. Il primo scenario metterebbe la formazione professionale a intervenire con percorsi certamente più brevi dopo i 16 anni; il secondo lascerebbe la formazione professionale con la necessità, dovendo essa assolvere l'obbligo, di avere un contenuto didattico anche di base più robusto di quello attuale; il terzo scenario può prefigurare un rapporto tra la formazione professionale e quel biennio professionalizzante all'interno delle scuole, una formazione professionale che dia garanzia di maggiore aggancio con il ruolo professionalizzante essendo sicuramente la formazione professionale a gestione regionale, là dove questa non conosce fenomeni deteriori, più aderente alle esigenze del mercato del lavoro di quanto non lo sia qualsiasi struttura di tipo scolastico.
Non abbiamo semplicemente dipinto questi tre scenari; abbiamo cercato di individuare quale può essere un minimo comune denominatore tra queste possibili alternative. Consigliere Amerio, il problema delle fasce non si è arrestato nel 1985. Il collega Tapparo penso lo sappia meglio di tanti altri. Sulle fasce si è continuato a lavorare e probabilmente è vero che c'è qualche fenomeno che è scarsamente conosciuto e quindi non apprezzato del funzionamento della formazione professionale, se è vero invece che da parte di tanti esponenti del mondo delle imprese o del sindacato si riconosce la positività di lavoro delle Commissioni che presiedono allo sviluppo di queste fasce. Ma nel documento si dice: "Ci può essere e ci deve essere un intervento strutturale ad alto spessore formativo" e in questo caso le fasce rappresentano il meglio che oggi ci viene offerto dall'elaborazione didattica. Ma ci può essere l'esigenza per soggetti che non riescono neppure a seguire il percorso formativo dei due anni attraverso le fasce, o per soggetti che ricercano un più immediato inserimento nel mondo del lavoro, o per un intervento maggiormente raccordato con i contratti di formazione-lavoro la necessità di sperimentare dei percorsi formativi più brevi. Il documento si propone di andare a scandagliare questa strada, con la necessità credo compresa da tutti, che anche là dove ci fosse un intervento più breve questo avesse comunque uno standard di qualità certificabile, pena il rischio di dare un'illusione al ragazzo che imboccasse questa strada. Ma questo serve anche per incominciare a stimolare centri ed enti di formazione professionale a muoversi su percorsi meno predeterminati, meno standard, in modo che anche un'eventuale riforma della scuola media superiore, nel senso del primo scenario possibile, trovi queste realtà formative non impreparate.
Il documento parla esplicitamente del privilegio che si vorrebbe assegnare a questi momenti di alternanza e di stage. Qui faccio mia la considerazione che qualcun altro ha già fatto: anche questi interventi possono portare maggiore qualità nel processo formativo, ma costano di più di quanto non costano gli interventi attuali. La prima risposta che danno gli imprenditori è questa: "Noi siamo disponibili a ospitare stage, a realizzare momenti di alternanza; mettiamo in atto il sistema un tale che copra i costi". E' chiaro che un momento in alternanza, in stage, costa di più che un momento formativo svolto all'interno della struttura canonica dell'edificio della formazione professionale.
Si è sempre rimarcata la volontà di trovare linee operative. Noi accettiamo la sfida di valutare il nostro sistema di formazione professionale su una serie articolata di obiettivi, uno dei quali è la finalizzazione dell'intervento formativo.
Quando ci sono centri che realizzano il loro inserimento produttivo al 90%, non riesco ad attribuire a questi enti che fanno formazione di primo livello un significato assistenziale. Bisogna smetterla di usare in maniera indiscriminata questo termine. Ho partecipato l'altro giorno alla consegna dei diplomi di qualifica in due scuole serali per orologiai e per orefici sono scuole che richiedono tre anni di frequenza e che sono gestite anche dagli stessi datori di lavoro. E' facile dire che il 100% dei frequentatori alla fine ha un'occupazione; ci sono ragazzi che alla fine dei tre anni non hanno un giorno di assenza. Non riesco a dequalificare una struttura formativa di questo genere, non capisco come si possa parlare di gestione della spesa facile, di gestione improduttiva, non verificata, non partecipata, in una formazione professionale che conosce questi momenti.
C'erano genitori, studenti; se ci fossero dei problemi di inefficienza penso che un genitore alzerebbe il dito e direbbe che lì le cose non vanno.
Noi sottoponiamo la formazione professionale a questa verifica. Se sottoponessimo gli istituti professionali di Stato alla stessa verifica sono convinto che avremmo dei risultati certamente peggiori di quelli che qui realizziamo sulla formazione professionale. Eppure qualcuno dice che quella è assistenza.
Il documento mette in evidenza, anche con crudeltà, alcuni dati. C'è il problema degli abbandoni nella formazione professionale, fenomeno dal quale deriva essenzialmente il problema della forte divaricazione dei costi perché la forte dispersione tra costo per iscritto e costo per qualificato o nei costi da centro a centro è, nella stragrande maggioranza dei casi addebitabile al processo di abbandono che si realizza durante l'anno. Gli abbandoni possono avvenire o perché l'alunno ha trovato, con maggiore opportunità di altri, un'occasione di lavoro, anche non corrispondente alla strada che aveva imboccato o perché non ce la fa anche in termini formativi. L'interrogativo che dovremmo porci con realismo è: conviene introdurre a monte dei corsi di formazione professionale una selezione? Chi è uomo di scuola sa che cosa potrebbe voler dire questo. Personalmente a livello post-diploma non ho dubbi: nella formazione professionale bisogna introdurre la selezione in ingresso, perché lì operiamo su ragazzi con un'età attorno ai 18-19 anni per i quali c'è la possibilità e la garanzia di poter pilotare degli strumenti che fanno presa sulla loro maturità e sulla loro consapevolezza. Se la applichiamo a ragazzi di 15 anni, mi domando se possiamo estendere uniformemente al territorio regionale una selezione attraverso i test psico-attitudinali. Sono disponibile a discutere su questo, ma vorrei che si prendesse consapevolmente atto di questo problema. Non avendo voluto dare una risposta in termini così rigidi, abbiamo proposto quegli interventi robusti di orientamento e motivazione, e sono io il primo ad essere consapevole del rischio che si corre. E' stato giustamente detto che potrebbero esserci delle risorse non piccole. Penso che in questo campo, come in tanti altri, dovrebbe essere fondamentale la sperimentazione in alcuni punti del nostro territorio là dove riscopriamo un ambiente, mondo della scuola, mondo delle imprese mondo sindacale, mondo formativo particolarmente attento e capace di sviluppare un'azione di sinergia su questo tema.
Ho sentito per una lunga parte del dibattito sciogliere potenziali contrapposizioni tra I, II e III livello. Nel finale poi ho sentito nuovi motivi di polemica nei confronti del I livello. Il documento è chiaro sotto questo profilo. Oggi tuteliamo - se così si può dire il 17% dei ragazzi.
Nell'incontro avuto ieri con le OO.SS. ho sentito dire che è da considerarsi momento di intervento strategico la protezione di queste fasce. Qualcuno dice che non serve. Se non serve, la abbandoniamo, oppure dobbiamo dedurre che non serve nei casi in cui viene fatta male e non corrisponde a certi livelli di finalizzazione. Se c'è questa sottolineatura che, attraverso la dotazione di strumenti formativi, si deve riuscire a eliminare gli elementi di potenziale differenziazione in negativo tra i soggetti, sarà necessario considerare tra i soggetti deboli o potenzialmente deboli anche queste fasce che dopo la scuola dell'obbligo non fanno nessun'altro intervento formativo. In questo senso non vedo contrapposizione quasi ideologica, ma vedo la necessità di essere rigorosi nelle verifiche su ciascuno intervento, sia di I, di II o di III livello.
Perché alla fine sul II livello, che pure è l'unico che ha conosciuto in questi anni elementi di incremento, noi perlomeno tuteliamo il 27% non il 17%.
E' stata giustamente sottolineata la necessità che la Regione Piemonte faccia, sia su questo fronte sia sul fronte della formazione più alta ulteriori sforzi. E' stato però riconosciuto come necessario un intervento in sinergia con altri soggetti.
Sono in discussione interventi di formazione post-laurea nel settore dell'automazione industriale e nel settore dell'informatica. E' nato in questi giorni il consorzio di formazione di educazione permanente presso il Politecnico di Torino. Ho detto in altre occasioni come vediamo il ruolo delle scuole dirette a fini speciali. Sono tutti elementi nei quali la Regione vuole essere presente per sostenere la formazione alta, sapendo che più ci portiamo verso questi livelli più c'è bisogno di una compartecipazione di altri soggetti nella gestione, nel know-how e nelle risorse finanziarie. Basti dire che il primo preventivo che è stato fatto di un intervento di master sull'automazione industriale e sull'informatica porta il costo, per soggetto formato, a 60 milioni all'anno. D'altra parte sono convinto che una gestione solo pubblica, al di là delle difficoltà di carattere finanziario, non riuscirebbe ad avere lo stesso "appeal" nei confronti dell'utenza di quello che potrebbe avere invece una gestione mista.
Per ciò che riguarda il rapporto di convenzionamento con gli enti anche solo ai fini della gestione economica, il documento è molto chiaro.
In esso si concordano obiettivi di efficacia di coloro che escono dal sistema formativo, di efficienza, di ricaduta sul sistema territorialmente interessato e si misurano i finanziamenti sul raggiungimento di questi obiettivi. Questo si chiamerà costo standard, sarà una formula più complessa, se ne potrà discutere, la logica però è di ragionare più sui risultati che non sulla premessa.
E' stato riconosciuto come il ruolo della Regione debba qualificarsi maggiormente. Con molta correttezza è stato detto che il primo passo è quello dell'irrobustimento e della qualificazione della struttura interna della Regione. Questo dimostra che non si tratta di una degenerazione di questi ultimi due anni. Per gestire i 700 progetti del Fondo Sociale Europeo abbiamo dovuto impegnare nell'ultimo anno 15 persone, almeno la metà delle quali fino al giorno prima non aveva fatto quel tipo di lavoro.
E' stato un boom che ci siamo trovati di fronte.
E' certo che, oltre all'irrobustimento e alla qualificazione della struttura interna, dovremmo mettere in atto anche a questo livello dei rapporti con strutture esterne che agevolino e contribuiscano a mettere a disposizione quelle professionalità che non sempre nella pubblica amministrazione sono reperibili.
Sulle deleghe. Perché si scelga la Provincia come soggetto di delega credo sia esplicitato con chiarezza nel documento. Concordo con coloro che hanno evidenziato la necessità di trovare il giusto equilibrio tra le due esigenze, intanto quella che la formazione professionale possa migliorare se si aggancia meglio sul territorio, quindi avendo dei momenti decentrati organizzati a livello territoriale, esigenza da contemperare con il rischio che un soggetto più esposto alle pressioni locali possa essere ancor più condizionato sul cambiamento di quanto non lo sia l'ente regionale.
Anche in questo senso il Piano che andremo a costruire e a prospettare sarà un Piano processo, un Piano ciò che dovrà prevedere degli obiettivi e dei momenti di verifica. Non tutte le Province sono organizzate allo stesso modo, non tutte conoscono il problema della formazione professionale allo stesso livello. Alcune l'hanno vissuto da anni anche per gestioni dirette altre non hanno nel loro territorio esperienze dirette di formazione professionale.
Per le Province non si pone solo il problema di un passaggio della gestione; non radicheremmo sul territorio la formazione professionale se pensassimo solo ad un ente che gestisce e tutto il momento di programmazione, di lettura dei bisogni lo assegnassimo invece ancora alla sede regionale. Vedo invece dei momenti di programmazione organizzati sul territorio e credo alla necessità che anche il territorio provinciale conosca delle sottoarticolazioni; se avessimo avuto approvata la nostra legge sul riordino delle funzioni amministrative, avremmo citato nel documento quella rete di aree programma come aree di riferimento su cui riflettere.
Spero che le parole servano a chiarire il problema. Ho sentito qualcuno chiedere perché solo la gestione diretta viene delegata alle Province. Se si parla di gestione, è chiaro che alle Province possono andare i centri gestiti dalla Regione. Non possiamo passare la gestione di centri gestiti da altri. Se per gestione non si intende la dipendenza degli operatori, ma il fenomeno della formazione professionale a livello di programmazione questa riguarda la formazione professionale inerente quel territorio.



AMERIO Mario

Assessore, lei sa che per Torino si è parlato di deleghe e subdeleghe.



ALBERTON Ezio, Assessore alla formazione professionale

Non a caso ho detto che se ci fosse stata l'identificazione di quelle aree programma sarebbe stato opportuno identificare in quelle aree i momenti di organizzazione sub-provinciale. Lo dico per un solo motivo e sono lieto di parlarne in questa occasione, come in altre che realizzeremo in sedi più ristrette e più operative per approfondire il discorso. Non credo che non ci sia il problema di organizzare la presenza della formazione professionale nella città di Torino con quella che si realizza nell'area metropolitana. Parlare di una formazione professionale insediata a Rivoli o a Orbassano o a San Mauro e pensare che questa non abbia interconnessioni con la formazione professionale insediata in Torino città quando poi gli utenti di quest'ultima sono in larga misura ragazzi provenienti da altre zone, per me è un problema. Si è sempre detto che la formazione professionale ha da essere organizzata in maniera decentrata, ma su area vasta, mi chiedo e pongo al Consiglio questo motivo di riflessione se si debba parlare di sub-delega diretta al Comune di Torino o se si debba invitare la Provincia ad organizzarsi per aree sub-provinciali, e lì certamente il Comune di Torino giocherà un suo ruolo rilevantissimo, ma garantendo un'area più vasta che non quella del singolo Comune.
C'è un altro punto che mi sembra abbia conosciuto delle risposte incoerenti nel corso del dibattito. Da un lato si dice che la linea di tendenza o le soluzioni presentanti migliori elementi positivi è quella di un sistema misto a guida pubblica, ciò con maggioranza pubblica. Sono convinto che sia così, tant'è vero che ho detto che i primi punti su cui insediare un processo di questo genere non possono essere che i centri a gestione diretta regionale o di enti locali. Poi però viene citato il tema dell'inquadramento del personale che fa formazione, problema non risolto sin dal 1978 che si vorrebbe ruolizzato a livello di Regione. E' un percorso corretto o un percorso incoerente? Vorrei saper cogliere la coerenza di questo percorso per poterlo oltretutto realizzare. Crediamo che l'obiettivo di realizzare i consorzi misti risponda anche a quelle che in altre forme sono state chiamate "isole di gestione a livello territoriale". Vuol dire organizzarsi sul territorio in maniera da avere presenti, se ci sono le disponibilità degli altri interlocutori, tutti i soggetti interessati anche per la gestione. Solo in questo modo, se mai riuscisse, si potrebbe prospettare di anticipare i bisogni di formazione professionale, sapendo che tante volte fanno fatica a leggerli perfino le imprese, quindi è difficile che sappia leggerli bene questi bisogni chi è fuori dalle imprese.
Qualche osservazione sulle risorse finanziarie. Ci sono dei passi poco conosciuti e poco reclamizzati che a me sembrano ugualmente significativi.
Nel Piano 1987/1988 abbiamo introdotto per la prima volta la norma per cui se una formazione veniva richiesta specificatamente da un'impresa o da un sistema di imprese, questo sistema di imprese contribuiva al costo dell'intervento formativo. Era anche uno strumento per verificare se c'era un rapporto di interesse da parte del sistema delle imprese verso i centri in modo da arrivare perfino a pagare una parte di questa formazione.
Ebbene, in parecchi centri si sono realizzati questi estremi mettendo a carico dell'utente, in questo caso l'impresa, non il singolo soggetto, una parte di quei costi. Questo in una realtà organizzata sul territorio pu avvenire certamente di più di quanto non possa avvenire da un pilotaggio esclusivamente regionale.
Il documento sottolinea più volte il grande bisogno di interazione con soggetti esterni. Per noi questa non è un'opzione, la intravediamo come una necessità; è certo che non sempre ci sono strumenti di imposizione.
Rendere l'amministrazione pubblica disponibile a questo confronto a questa collaborazione con l'esterno, vuol dire farle accettare delle sfide e vuol dire proporre delle sfide ad altri. Ma, proprio perché le sfide possono essere più facilmente accolte, bisogna prospettarsi ed essere disponibili ad operazioni di capacità, di flessibilità, di elasticità che sono richieste. I soggetti esterni sono la scuola, sono il sistema delle imprese. Noi siamo intenzionati a tentarle tutte, siamo però consapevoli di non avere strumenti di imposizione di queste regole nuove.
Colleghi, mi auguro che il dibattito e il confronto possano continuare eventualmente in una sede che consenta l'interlocuzione più diretta e quegli approfondimenti che in una sede come questa non sono tante volte possibili. Mi sia consentito respingere l'approccio di chi, di fronte a questo documento, che non è costato poca fatica anche in termini di tempo dopo aver sostenuto sotto molti aspetti tesi coerenti con quelle espresse nel documento, dica che la Giunta non ha sue linee e non è disponibile o capace di governare il problema. Credo che con questo documento la Giunta abbia dato un contributo significativo e dignitoso. Il dibattito sulla formazione professionale per il Piemonte si può presentare a tutti i soggetti esterni, locali o nazionali, con quella rigorosità e dignità che il problema contempla.


Argomento: Commemorazioni

Commemorazione dello scrittore Giovanni Arpino


PRESIDENTE

Signori Consiglieri, Giovanni Arpino è mancato questa mattina a Torino.
Il dolore che oggi ci prende deriva anche dal fatto che via via gli autori di quel grande rinnovamento, in quel momento grandissimo che nasce dall'antifascismo e dalla guerra di Liberazione, in questi anni stiano scomparendo: prima la morte di Pavese, poi di Calvino e ora di Arpino. Era un grandissimo filone qui a Torino e in Piemonte, con valenza non soltanto nostra ma nazionale ed internazionale, che ha perduto con Arpino un altro degli artefici del grande momento culturale degli anni a cavallo della Liberazione e post liberazione.
La notizia è pervenuta in modo violento. Arpino rappresentava un momento di vitalità, di forza, spesso anche di polemica, di scambi di opinioni non facili non soltanto nel campo della cultura. La sua formazione gli permetteva di cogliere molti aspetti della società, culturali sportivi, egli rappresentava agli occhi nostri un po' la nostra coscienza rappresentava un'immagine della Città di Torino e del Piemonte.
Questa notizia è giunta come un fulmine e ci ha lasciati in uno stato di profonda prostrazione, anche se la malattia era da tempo in corso.
Tutti noi ci siamo formati attorno a ciò che egli ha espresso in quegli anni e anche dopo. Ci siamo formati attorno a quei valori, tutti noi avidamente abbiamo letto e molte volte abbiamo passato giornate intere a discutere attorno ai maestri del passato che emersero sulla scena piemontese nel capo letterario e nel campo scientifico. Recentemente è uscito - e lo presenteremo domani sera in questa sede - il libro di Levi Montalcini in cui ripercorre nei decenni che stanno alle nostre spalle tutto questo cammino; per esempio, le figure del prof. Levi e altre figure di notissimi scienziati, scrittori, artisti che nell'insieme erano tali e non soltanto nella particolarità della loro scienza.
Così come Arpino era sì scrittore, ma egli passava dal giornalismo sportivo al giornalismo di notista allo scrittore di valore grandissimo.
Era, come si dice, un uomo composito proveniente soprattutto da quei grandi valori che sono stati la lotta per la libertà e la democrazia.
Desidero ricordarlo perché questo fatto ci lascia tutti in uno stato di grande prostrazione e di grande dolore e questo dolore lo voglio esprimere a nome di tutto il Consiglio regionale, alla sua famiglia e a tutti i suoi amici che per tanti anni lo hanno accompagnato.



(I presenti, in piedi, osservano un minuto di silenzio)


Argomento: Formazione professionale

Dibattito sulla formazione professionale (seguito)


PRESIDENTE

Ricordo che sul tema della formazione professionale sono stati presentati una mozione del Gruppo PCI e un ordine del giorno del Gruppo PRI.
Ha chiesto la parola il Consigliere Brizio. Ne ha facoltà.



BRIZIO Gian Paolo

E' stato presentato un documento unitario che nel corso dei lavori ha raccolto una serie di modifiche per cui saremmo dell'opinione, sentiti anche gli altri Gruppi, di procedere alla votazione di questo documento finale nel corso della prossima seduta senza ulteriore discussione.
Nel caso non ci fosse il consenso su questa proposta, procederemmo alla votazione dei vari documenti presentati. La mia proposta consegue ai colloqui avuti con il collega Amerio; l'altra ipotesi era di andare in Commissione, ma non ha avuto il consenso.



PRESIDENTE

Sulla presentazione di questi documenti chiede la parola il Consigliere Bontempi. Ne ha facoltà.



BONTEMPI Rinaldo

Non siamo contrari a che si segua questa procedura, con alcune avvertenze però, tanto più necessarie dopo la replica dell'Assessore, che attengono alle regole e al rapporto parlamentare d'aula.
Il Gruppo PCI aveva presentato otto mesi fa una mozione, con molta fatica, dopo un numero imprecisato di mesi siamo arrivati a questa discussione. Pertanto se riusciremo ad ottenere una base unitaria soddisfacente almeno per le parti più rilevanti, noi di buon grado aderiremo e daremo un voto positivo. Se così non fosse, è chiaro che teniamo viva la nostra mozione e intenderemmo avere almeno in sede di discussione le risposte alle proposte in essa contenute. Non ne faccio una questione diplomatica, né di stile, ma faccio una questione di fondo sui rapporti istituzionali. Quando viene proposto un documento che contiene delle proposte, sarebbe corretto che la Giunta nelle conclusioni si pronunciasse in modo non vago e non elusivo su quelle proposte se non si vuole svuotare di contenuto una funzione essenziale del dibattito parlamentare. Aderiamo volentieri a questo tentativo unitario, ma è chiaro che il primo punto dell'o.d.g. per la prossima riunione del Consiglio sarà o il documento unitario, qualora si raggiunga un ragionevole accordo oppure la votazione per punti della nostra mozione. In questo dibattito è stata colpevolmente esclusa, soprattutto nella replica, una collocazione di accettazione o di ripulsa delle proposte del soggetto che lo aveva promosso.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Rossa.



ROSSA Angelo

Il Gruppo socialista, data la rilevanza del dibattito e delle proposte che emergono dalle varie posizioni, è favorevole a che si individui una sede che potrebbe essere la Commissione competente, oppure, giacché il documento avrà un profilo prevalentemente politico, la Conferenza dei Capigruppo. Si tratta di realizzare una sintesi delle conclusioni del dibattito e noi daremo il nostro contributo e di iscrivere l'argomento al primo punto dell'o.d.g. della prossima seduta.



PRESIDENTE

E' stato dunque richiesto che in sede di votazione del possibile ordine del giorno unitario vengano date delle risposte da parte della Giunta ai quesiti posti nei diversi documenti presentati. Ciò avverrà nella prossima seduta del Consiglio.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

In merito al punto 3) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico che hanno chiesto congedo i Consiglieri Bruciamacchie, Carazzoni, Cerchio, Fracchia, Majorino, Mignone, Minervini Moretti, Paris, Pezzana e Ratti.


Argomento:

a) Congedi

Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

L'elenco dei progetti di legge presentati sarà riportato nel processo verbale dell'adunanza in corso.


Argomento: Urbanistica (piani territoriali, piani di recupero, centri storici

Ordine del giorno sull'utilizzazione dell'area dismessa del Lingotto


PRESIDENTE

Sull'area del Lingotto ha chiesto la parola il Consigliere Bontempi. Ne ha facoltà.



BONTEMPI Rinaldo

Chiedo che sia messo in votazione il nostro ordine del giorno sull'utilizzazione dell'area dismessa del Lingotto che, visto che era stato smarrito, ripresentiamo in questo momento.



PRESIDENTE

Mi dicono che l'ordine del giorno in verità non era pervenuto agli uffici. I Capigruppo possono decidere se votare o meno un documento, ma non me è possibile in questo momento farlo distribuire a tutti i Consiglieri.
Potremmo stabilire, d'intesa con i Capigruppo, di affrontarlo nel corso della prossima seduta poiché, stante l'importanza dell'argomento, è difficile discuterne oggi, per cui suggerisco di rinviarlo alla prossima settimana insieme a quello sulla formazione professionale.



BONTEMPI Rinaldo

Il problema è più generale. A parte il fatto che l'Assessore non ha potuto leggere l'ordine del giorno per un disguido, però mi sarei augurato un atteggiamento di estrema sollecitudine e tempestività da parte della Giunta che dovrebbe dare una valutazione del documento o proporre qualche cambiamento oppure respingerlo. Spiace constatare che si lasciano continuamente delle pendenze tra ordini del giorno votati tempestivamente ma non attuati e ordini del giorno proposti ma non discussi. A volte è anche questione di contestualità. Questa mattina abbiamo discusso del Lingotto e ritenevamo di poter arrivare alla fine con una dichiarazione dell'Assessore e con un pronunciamento del Consiglio. Per facilitare i colleghi, saremmo anche disposti a tagliare la premessa e chiederne l'annullamento. Noi preferiamo chiudere questa sera l'argomento, per cui chiedo ai colleghi Capigruppo se, tagliando la premessa che potrebbe far nascere dubbi di interpretazione, sono d'accordo di votare quel punto. Se poi si conviene di votare, siamo contenti, se invece preferite batterci pazienza; almeno avremmo chiuso questa vicenda sapendo che noi volevamo l'annullamento dell'autorizzazione edilizia e voi no.
Sarebbe sensato se chiudessimo oggi su questo argomento, altrimenti sarà di nuovo iscritto al primo punto bis della prossima seduta, poi ci sarà il primo punto ter, poi arriva Natale.., e così via di seguito.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

Questa mattina non siamo intervenuti perché si discutevano interpellanze ed interrogazioni. Sarei intervenuto volentieri, ma non ho potuto farlo perché l'interrogante era il collega Picco, che ha parlato probabilmente, così come sono intervenuti due Consiglieri del Gruppo PCI.
Sarebbero intervenuti anche più Consiglieri del Gruppo democristiano se si fosse discusso un problema di questo rilievo, e non soltanto una o più interpellanze sui problemi specifici.
Non abbiamo alcuna difficoltà ad esprimerci in un modo o nell'altro certo non siamo favorevoli a ritornare su un argomento che è stato discusso oggi in un'altra seduta. Nella prossima seduta di Consiglio dovremo chiudere l'argomento sulla formazione professionale, rinnovare l'Ufficio di Presidenza, affrontare leggi molto importanti, come la modifica della legge n. 20 e la legge sulle consulte, licenziate entrambe da tempo dalle Commissioni.
Non vedo quindi perché l'ordine del giorno, che non abbiamo neanche avuto il piacere di leggere, debba essere votato sic set simpliciter questa sera.
Se la Giunta accetta di votare soltanto la parte deliberante, è chiaro che noi, passando ai voti ci esprimeremo nel senso che emerge dalla risposta dell'Assessore e dalle dichiarazioni di chi stamani ha parlato a nome della maggioranza, i colleghi Picco e Marchini.
Poiché si vorrebbe impegnare la Giunta, quale organo in proposito titolato, ad assumere una posizione che è contraria a quella della Giunta stessa, il nostro voto è ovvio ed evidente. Non vedo perché si debba votare questa sera, ma neanche perché si debba accettare di discutere la prossima seduta quando ne abbiamo parlato stamani.



(Proteste dai banchi comunisti)



PRESIDENTE

Per conoscenza dei Consiglieri, informo che l'ordine del giorno riguarda la ormai famosa tettoia del Lingotto. Nella sostanza tale documento dice che l'opera non è assolutamente configurabile quale tettoia temporanea e quindi impegna la Giunta regionale, quale organo titolato del potere in materia di annullamento di concessione e di autorizzazione - ex art. 68 della legge n. 56 -, ad attivare la procedura di annullamento dell'autorizzazione edilizia n. 1597 del 1987.
Possiamo pensarci sopra, ma visto il dibattito di stamani, il risultato può essere facilmente intuibile. Se i Capigruppo sono d'accordo possiamo procedere al voto. Se non vi è tale accordo bisognerà rinviare l'argomento alla prossima seduta.
La parola al Consigliere Rossa.



ROSSA Angelo

Signor Presidente, siamo del parere di rinviare e di discutere tale problema per giungere alla conclusione con un voto.



(Commenti del Capogruppo comunista)



PRESIDENTE

La maggioranza è dell'avviso di rinviare questo argomento alla prossima seduta. Io ho dato lettura del documento, che mi pare molto chiaro. Quindi la questione è rinviata alla prossima seduta.


Argomento:

Interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno (annunzio)


PRESIDENTE

Le interrogazioni, interpellanze, mozioni e ordini del giorno pervenute all'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale verranno allegate al processo verbale dell'adunanza in corso.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 19,15)



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