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Dettaglio seduta n.11 del 10/10/85 - Legislatura n. IV - Sedute dal 12 maggio 1985 al 5 maggio 1990

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Argomento:


VIGLIONE ALDO


Argomento:

Approvazione verbali precedenti sedute


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Iniziamo con il punto 1) all'o.d.g.: "Approvazione verbali precedenti sedute".
I processi verbali delle adunanze consiliari del 3 ottobre 1985 sono stati distribuiti ai Consiglieri prima dell'inizio della seduta odierna e saranno portati all'approvazione nella prossima seduta. Sono invece da porre all'approvazione dei Consiglieri i processi verbali dell'adunanza consiliare del 26 settembre, distribuiti nella seduta del 3 ottobre 1985.
Non essendovi osservazioni si intendono approvati.


Argomento:

Interrogazioni ed interpellanze (rinvio)


PRESIDENTE

In merito al punto 2) all'o.d.g.: "Interrogazioni ed interpellanze" non essendo presente l'Assessore Maccari per le risposte, tale punto è momentaneamente rinviato.


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

a) Congedi


PRESIDENTE

In merito al punto 3) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico che hanno chiesto congedo i Consiglieri Benzi, Cernetti e Lombardi.


Argomento:

b) Presentazione progetti di legge


PRESIDENTE

Sono stati presentati i seguenti progetti di legge: n. 11: "Legge generale sui trasporti e sulla viabilità", presentato dalla Giunta regionale il 2 ottobre 1985 ed assegnato alla II Commissione in sede consultiva n. 12: "Norme per la tutela degli animali domestici", presentato dal Consigliere Pezzana in data, 8 ottobre 1985 ed assegnato alla V Commissione il 10 ottobre 1985.


Argomento:

c) Deliberazioni adottate dalla Giunta regionale


PRESIDENTE

Le deliberazioni adottate dalla Giunta regionale nella seduta del I ottobre 1985 - in attuazione dell'art. 7, secondo comma della legge regionale 6 novembre 1978, n. 65 - sono depositate e a disposizione presso il Servizio Aula.


Argomento:

d) Ritiro disegno di legge


PRESIDENTE

La Giunta regionale in data 8 ottobre 1985 ha comunicato di ritirare il disegno di legge dal titolo: "Normativa provvisoria d'attuazione dell'art.
7 - quarto comma- della L.R. 21.1.1980 n. 3 e successive modifiche" (Disciplina degli organi istituzionali del Servizio Sanitario Regionale e relative norme transitorie).
Le comunicazioni sono così terminate.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Convalida dei Consiglieri eletti (art. 15 del Regolamento)


PRESIDENTE

In merito al punto 4) all'o.d.g.: "Convalida dei Consiglieri eletti (art. 15 del Regolamento)", vi do lettura del verbale della Giunta delle Elezioni: "Resoconto sommario della riunione del 3 ottobre 1985 Sono presenti: Benzi (Presidente), Devecchi (Vice Presidente), Pezzana (Segretario), Ala, Carazzoni, Penasso, Sestero, Staglianò.
All'inizio della riunione la Giunta delle elezioni prende atto delle ulteriori lettere pervenute dai Consiglieri regionali in riferimento alla richiesta con lettera del 2 agosto 1985.
Poi la Giunta procede - ai sensi dell'art. 16 del Regolamento all'esame della condizione di ciascuno dei Consiglieri eletti, cominciando dai propri membri e ,dai componenti della Giunta regionale, per accertare se sussistano nei loro confronti cause di ineleggibilità o di incompatibilità.
L'esame pertanto inizia dallo stesso Presidente della Giunta delle Elezioni, Benzi, e, successivamente, dai Consiglieri Ala, Biazzi Carazzoni, Devecchi, Maccari, Penasso, Pezzana, Santoni, Sestero Staglianò, Vetrino. (Si dà atto che gli interessati, al momento dell'esame della loro condizione di ineleggibilità o di incompatibilità, escono dalla riunione e non partecipano alla votazione).
Vengono quindi esaminati i componenti la Giunta regionale: Beltrami Alberton, Carletto, Cerutti, Genovese, Lombardi, Moretti, Olivieri Sartoris, Turbiglio, per i quali la Giunta delle Elezioni accerta non sussistere cause di ineleggibilità o di incompatibilità.
La Giunta delle Elezioni accerta altresì non sussistere cause di ineleggibilità o di incompatibilità nei confronti dei rimanenti 38 Consiglieri: Acotto, Adduci, Amerio, Avondo, Bergoglio Cordaro, Bontempi Bosio, Bresso, Brizio, Bruciamacchie, Cerchio, Cernetti Bertozzi, Croso Dameri Todarello, Fassio, Ottaviano, Ferrara, Ferro, Fracchia, Fraire Guasso, Majorino, Manfredini, Marchiaro, Marchini, Mignone, Minervini Calandri, Nerviani, Paris, Petrini, Quaglia, Ratti, Reburdo, Rivalta Rossa, Tapparo, Valeri, Viglione, Villa.
La Giunta delle Elezioni, pertanto, decide di proporre al Consiglio la convalida dei sopra menzionati Consiglieri".
Pongo in votazione tale verbale.
Chi è favorevole è pregato di alzare la mano.
Il Consiglio prende atto all'unanimità dei 29 Consiglieri presenti (la votazione è valida in quanto non vengono computati i Consiglieri in congedo, ai sensi dell'art. 50, quarto comma, del Regolamento).


Argomento: Industria (anche piccola e media) - Problemi del lavoro e della occupazione

Esame mozione presentata dal Gruppo PCI sulla Fiat


PRESIDENTE

Passiamo ora al punto 5) all'O.d.g.: "Esame mozione presentata dal Gruppo PCI sulla Fiat".
La parola al Consigliere Manfredini.



MANFREDINI Viller

Il PCI con la mozione sulla Fiat vuole avviare un dibattito sulle politiche industriali e sull'ipotesi di politiche attive per il lavoro con la individuazione di strumenti straordinari e finanziamenti adeguati a sperimentare forme alternative di occupazione e attività produttive e, nel contempo, partendo da questa mozione vuole inoltre avviare in questo Consiglio, agli inizi della sua attività, una discussione più articolata e di merito sul programma presentatoci dalla stessa Giunta per tracciare quelli che possono essere gli scenari possibili di governo delle risorse presenti e future e quale sia il modello di sviluppo della società piemontese verso gli anni '90.
E' un momento di un confronto più generale che il nostro Partito vuole avere con tutte le forze politiche, sociali, imprenditoriali e sindacali della nostra Regione affinché possa essere attivata una iniziativa politica convergente per richiedere al Governo la predisposizione di politiche industriali e anche un governo complessivo della mano d'opera per ottimizzare e rendere rilevante l'uso di tutte le risorse disponibili.
Abbiamo considerato prioritario partire dal problema Fiat con tutte le sue articolazioni senza peraltro far venire meno l'attenzione agli altri comparti o aree sociali, che sono altrettanto significative, perch maggiore è la contraddizione fra lo stato di salute dell'impresa e le risultanti prodotte dal processo di riorganizzazione produttiva avviate anni or sono sulla società, sulla città, sulla regione in termini di benefici sociali, occupazionali linee di sviluppo economico.
Partire da queste contraddizioni e discutere della Fiat e degli sviluppi dei processi di ristrutturazione, riorganizzazione produttiva e societario dell'azienda, individuare gli scenari possibili da oggi ai prossimi anni e indicare soluzioni più adeguate attivando strumenti e risorse, mobilitazione e sensibilità politica adeguati a rispondere agli effetti prodotti o che si produrranno sui livelli occupazionali e sulle modificazioni negli strati sociali e produttive della città, ci pare possa partire a contribuire e a ragionare meglio anche sulle risposte da dare agli altri nodi presenti nel panorama della crisi che viviamo. Per questo la nostra mozione chiama in causa per sottolinearne ruoli e responsabilità l'azienda e la sua politica di sviluppo, il Governo e le sue scelte di politica industriale del lavoro, la Regione e il suo ruolo di governo dei processi sociali in quanto anello di collegamento con la società torinese e piemontese da un lato, e la politica economica e più generale dall'altra.
Sottolineiamo con soddisfazione lo stato di salute finanziario e produttivo dell'azienda che abbiamo potuto apprendere dalle relazioni agli azionisti alla CONSOB illustrato dall'Avv. Agnelli. Non vi è dubbio che queste condizioni consentono il consolidamento della sua presenza sul mercato italiano ed europeo e quindi una ricaduta importante sul commercio con l'estero, mentre la solidità della sua struttura finanziaria dovrebbe favorire il procedere di investimenti tecnologici e nel campo della ricerca sui prodotti per rendere sempre più affidabili, sicuri ed economicamente vantaggiosi i modelli costruiti.
La questione che poniamo con forza non riguarda lo stato di salute che rimane pur sempre decisivo per entità economiche ed occupazionali, ma uno stato di salute che noi vorremmo fosse goduto anche da altre importanti aziende pubbliche e private piemontesi e nazionali.
La questione che tentiamo di porre e che riteniamo essere politica, è se la strada seguita dalla Fiat, sostenuta anche con una iniziativa culturale, i risultati aziendali produttivi e positivi, che abbiamo avuto modo di leggere nelle relazioni presentate a luglio-settembre, stanno dentro ad una logica di sviluppo moderno della nostra economia e della nostra società, se cioè tutto il valore di questi risultati finanziari e produttivi avrà una ricaduta economica sulla società tale da garantire o contribuire a garantire all'interno di una linea di politica economica complessiva e di sviluppo una linea di avanzamento in senso moderno della nostra società e se la linea industriale, portata avanti dal gruppo dirigente della Fiat, completa fino in fondo quei caratteri considerati - e ne sono fermamente convinto - decisivi per stabilire la modernità o meno di uno sviluppo industriale, cioè la centralità della democrazia nelle decisioni e nella programmazione, la solidarietà del sistema sociale l'occupazione come effetto della ricaduta economica e produttiva di un complessivo processo di riorganizzazione strutturale della nostra economia industriale.
Poniamo in evidenza questi caratteri come punti di riferimento per una corretta analisi di un processo di modernizzazione che investe non solo la Fiat, ma tutto il sistema produttivo del nostro Paese. Li poniamo in evidenza in un momento dove sono molti quelli che vogliono accreditare l'idea chela modernità comporti fatalmente e ineluttabilmente l'accettazione di una base produttiva più ristretta, una disoccupazione più ampia, una forte emarginazione sociale nonché minor consenso democratico.
E' davvero così? Noi non ne siamo convinti perché anche la modernità non è neutra e i suoi caratteri dipendono da contenuti programmatici che assume dalla finalità che persegue, dai soggetti e dalle forze che la dirigono.' Non a caso abbiamo sottolineato nella mozione la verifica dei condizionamenti contenuti nel parere della deliberazione del Consiglio regionale del marzo scorso in quanto erano condizionamenti finalizzati ed espressi da uno strumento istituzionale dell'ordinamento democratico del nostro Paese quale il Consiglio regionale. Non a caso abbiamo posto il problema delle eccedenze attuali: i lavoratori in Cassa integrazione e quelli probabili ancora denunciati dall'azienda e degli strumenti per superare queste eccedenze come fattore decisivo per misurare la fattibilità di una linea di sviluppo. Non a caso abbiamo sottolineato gli interrogativi sia di una ipotesi di integrazione produttiva a livello internazionale sia l'ipotesi contraria - come si è rilevato dalle notizie di ieri - dal versante degli effetti e dei possibili scenari che si presentano alla società torinese e piemontese. Lo abbiamo fatto con questa mozione proprio perché intendiamo non solo entrare nel merito delle singole questioni aperte, ma perché vogliamo misurarci concretamente con i problemi più complessivi posti da uno sviluppo moderno della nostra economia. Nello stato di salute della Fiat non vi sono solo luci e le ombre non derivano solo dal persistere di elementi di incertezza del mercato automobilistico internazionale. Vale la pena di vedere meglio questo stato di salute in tutte le sue articolazioni, magari anche non concludere in questa sede la sua stessa analisi e analizzare quindi gli sviluppi degli avvenimenti di questi anni se vogliamo un quadro più completo. Le linee di intervento e le scelte che hanno permesso all'azienda di uscire dallo stato di crisi possono essere schematicamente riassunte: un decisivo e massiccio intervento finanziario dello Stato attraverso le leggi di politica industriale necessari alla introduzione di nuove tecnologie nei sistemi produttivi, peraltro iniziati tardivamente anche a fronte di iniziative sindacali che le ha permesso di eliminare consistenti strozzature produttive: aree di lavorazione altamente nocive, effettuare razionalizzazioni nel complesso sistema degli stoccaggi delle giacenze aumentare la flessibilità e l'adattabilità del ciclo di lavorazione ad una vasta gamma di modelli e alle oscillazioni del mercato delle vendite riduzione vistosa degli occupati sia attraverso le dimensioni incentivate, sia con la messa a Cassa integrazione zero ore accompagnata da un continuo e sistematico uso della mobilità tra i reparti e gli stabilimenti, combinato con un uso della Cassa integrazione-guadagni ordinaria allo scopo di meglio armonizzare la flessibilità degli orari di lavoro, della mano d'opera all'andamento del ciclo produttivo. Un processo ottenuto scavalcando qualsiasi governo della mobilità con il Sindacato attivando anche per questa strada un massiccio ricorso al contributo dello Stato per la Cassa integrazione e la fiscalizzazione degli oneri sociali aumento dei ritmi e dei carichi di lavoro e quindi lo sfruttamento utilizzando anche vere e proprie forme di pressione e di ricatti abolizione delle pause fisiologiche e compensative soprattutto nelle linee di montaggio elevamento della produttività a livelli oramai considerati giapponesi al punto che quotidianamente vi sono lavoratori che vengono mandati a casa perché trovati ammalati sul posto di lavoro utilizzo massiccio dello straordinario per centinaia di migliaia di ore all'anno allo scopo di sopperire affermate tecniche sempre più presenti in un sistema di lavorazione dove i ritmi impediscono interventi manutentivi e di sistemazione concreta negli apparati livelli salariali di gran lunga e mediamente più bassi di qualsiasi altra realtà lavorativa aumento dello sfruttamento quindi dell'orario di lavoro su una mano d'opera dove l'età media ha ormai raggiunto i 44-46 anni, creando evidenti segni di malessere che sfociano in continue manifestazioni di protesta che solo il silenzio stampa tiene nascosto; un malessere, mi pare, che occorre contribuire a rimuovere, attraverso il ricambio di nuova mano d'opera giovanile, favorendo politicamente - e questo può anche essere il compito di una istituzione come la nostra - accordi sindacali e nuove forme di democrazia industriale che affrontino positivamente il complesso delle questioni, delle condizioni di lavoro, dal salario all'orario di lavoro stesso, al governo democratico dell'introduzione di nuove tecnologie e i problemi ad essi connessi.
Crediamo che con questa mozione e con il dibattito che vogliamo aprire e articolare, un contributo per affrontare questi problemi è possibile se come noi auspichiamo - si costruirà la necessaria convergenza su alcuni indirizzi e strumenti che abbiamo messo in discussione e se, come riteniamo non più procrastinabile, il Governo utilizzerà la sua autorità e il peso politico che dispone, per ricondurre il confronto con l'impresa all'interno di esigenze più complessive proprie del momento di crisi che vive la nostra società, allo scopo di stabilire nuove e più rispondenti regole di democrazia industriale. In questo senso abbiamo posto al primo punto della mozione l'esigenza di una verifica delle condizioni espresse nella deliberazione di marzo, allo scopo di esaminare il rapporto di coerenza che deve esistere tra i principi enunciati nella legge 675 e la risultante occupazionale. L'abbiamo fatto per mettere in evidenza il pericolo che senza un riscontro e una ricaduta sul versante occupazionale non solo si ripercorre una strada diversa dallo spirito che contiene la legge richiamata, ma non si evidenziano in maniera adeguata il carattere di investimento che l'intervento finalizzato di ingenti quantità di risorse pubbliche, deve avere per lo sviluppo. Senza questo riscontro e senza questa ricaduta siamo in presenza di una pura e semplice assistenza che rimane tale con la limitatezza che possiamo ben comprendere anche quando riguarda assistenza all'impresa. Se si vuol lavorare per ridurre gli effetti assistenziali puri e semplici dello Stato e puntare e qualificare questi interventi, ottenendo dei benefici duraturi, dobbiamo rivendicare fino in fondo la coerenza nell'applicazione di queste leggi di intervento straordinario per la riqualificazione produttiva. L'aver ottenuto un risanamento finanziario e produttivo senza una risposta articolata pure sul versante dell'occupazione, credo sia un risultato a metà soprattutto per una azienda come la Fiat.
In tal senso chiediamo al Governo che venga contemporaneamente alla verifica sollecitamente ridefinito un più adeguato quadro legislativo in materia di politica industriale e di sviluppo inteso a raccordare il concorso pubblico alla riorganizzazione industriale con gli interessi nazionali sia in materia di quantità, qualità e dislocazione dell'attività produttiva che di politica per innovazione tecnologica, associando Regione ed Enti locali, promuovendo adeguate relazioni industriali come ricordavo.
Un primo banco di prova per il governo è rappresentato dagli sviluppi che hanno avuto i rapporti tra la Fiat e la Ford per la definizione di un accordo di integrazione produttiva.
Il fatto che noi ponemmo interrogativi rispetto a scenari futuri possibili dello sviluppo industriale, a seguito di un accordo fra le due case automobilistiche, ed essendo ora venuto meno tale accordo non attenua la nostra preoccupazione. Questi interrogativi credo ci siano tuttora. Non è un accordo per integrazioni produttive tra industrie italiane e straniere il punto di discussione, anzi noi la riteniamo ancora oggi una strada necessaria da percorrere per armonizzare meglio le economie di scala e ridurre i costi di produzione e di ricerche tecnologiche, per sostenere meglio la competitività internazionale, consen-tendo alla nostra industria il mantenimento di solide posizioni di mercato.
Il problema è che l'accordo Fiat-Ford non avveniva all'interno di una linea strategica di integrazione produttiva europea così come indicato nella risoluzione del Parlamento di Strasburgo. Ciò a dimostrazione dell'impotenza politica di questo organo e a sottolineare la crisi del processo di integrazione economica a livello europeo per il permanere di divisioni o nazionalismi oramai non più utili, radicati nei vari governi a cominciare anche dal nostro.
Il fallimento di questo accordo, tra l'altro, dimostra quanto sia difficile portare avanti un processo di collaborazione e integrazione produttiva a livello internazionale, salvaguardando nel contempo l'autonomia delle singole aziende e fondato sulla pari dignità, quindi a legittimare queste difficoltà e gli interrogativi che erano dietro all'ipotesi di accordo che avevamo avanzato prima. Dimostra anche quanto possa essere debole nel portare a compimento un processo di integrazione produttiva, per una azienda forte come la Fiat in assoluta assenza dell'iniziativa politica del Governo. Ciò a dimostrare come anche in casi come questo vi sia bisogno di una presenza autorevole e politica dello Stato e dei suoi strumenti. Ecco perché se può essere comprensibile lo scatto di orgoglio del gruppo dirigente Fiat che, facendo buon viso a cattiva sorte, ha dichiarato che aver detto di no alla Ford dimostra una ritrovata sicurezza da parte dell'azienda italiana, è invece necessario lavorare per favorire processi di integrazione produttiva.
In questo senso è importante il ruolo del governo, delle politiche industriali che sarà in grado di presentare per sviluppare questi processi puntando sulla ricerca tecnologica, promovendo iniziative per il superamento degli ostacoli esistenti a livello comunitario che ancora frenano queste possibilità.
Non essere spettatori quindi, come fino adesso è avvenuto. Se il gruppo dirigente Fiat ci fa capire che l'azienda può fare da sola la sua strada (intanto l'altro documento presentato ieri già si considera obbligato scenario industriale: coagulo di investimenti e armonizzazioni monetarie e fiscali a livello europeo), noi vogliamo invece sottolineare la gravità e l'illusione di una posizione come questa che si possa fare da soli, anche perché le relazioni che abbiamo letto alcuni mesi fa, tacciono sul risvolto della medaglia e non so quanto questo abbia o meno contribuito a far fallire anche l'ipotesi di accordo Fiat-Ford. Intanto per affermazione della stessa Fiat dichiara di essere ancora in presenza di nuove eccedenze occupazionali, soprattutto nei settori producenti i motopropulsori a fronte di un costante inserimento di nuove tecnologie nelle operazioni di montaggio e questa è la prova di un processo ancora lungo dall'essere concluso i cui effetti non sono ancora stati individuati a pieno.
Lo stabilimento di Rivalta mantiene ancora un'attività di assemblaggio vetture, mentre tutte o quasi le produzioni meccaniche sono state concentrate sulle linee di Mirafiori o trasferite altrove. Appare sempre più credibile la concentrazione nello stabilimento di Mirafiori di quasi o tutte le produzioni di autovetture oggi dislocate in diversi stabilimenti dell'area torinese, prova ne è la predisposizione di nuove strutture flessibili sui montaggi e il concentramento di attività di supporto logistico e tecnologico nello stabilimento di Corso Agnelli. Sono oggi più concreti che mai gli interrogativi sul destino degli stabilimenti di Rivalta e di Chivasso se, come appare, a Mirafiori si tenderà ad arrivare nel breve e medio periodo ad una concentrazione di mano d'opera attorno ai 55 mila dipendenti ruotanti sui tre turni di lavoro.
Sarebbe interessante avere un confronto di merito concreto e vero con l'azienda allo scopo di definire effetti e scenari possibili di questo processo che riteniamo ancora lungo. Infine, avviandomi alla conclusione, i problemi sul risvolto occupazionale e le risposte che avanziamo anche nella mozione. Se sono vere, come temiamo, le linee di tendenza dei processi di riorganizzazione produttiva, di introduzione di nuovi sistemi tecnologici nei cicli di lavorazione e di montaggio e la concentrazione delle produzioni agli attuali lavoratori in Cassa Integrazione Guadagni a zero ore da 5 anni, si aggiungeranno nuovi e consistenti eccedenti che gli attuali ammortizzatori sociali non saranno in grado di affrontare dal momento che risposte concrete non arrivano, nemmeno dal cosiddetto "libero mercato". Dobbiamo intervenire concretamente con strumenti straordinari anche di carattere eccezionale e transitorio, se non vogliamo drammaticamente registrare anche a Torino gli sviluppi amari di tensioni sociali devastanti che stanno interessando diverse città industriali europee. Bisogna pur riflettere perché Torino non è né Londra e n Birminghan. Sono tra breve scadenza, tra l'altro, gli accordi del 1983 lavoratori a zero ore della Fiat. Il loro numero è di poco inferiore alle 9000 unità. Ciò avviene in un momento di confronto politico sindacale dove al centro ci sono importanti questioni di politica del lavoro e di riforma della Cassa integrazione e della busta paga. E' sorprendente come a questo confronto così difficile tra le parti sociali, la fantasia del nostro Governo nazionale sia arrivata solo a pensare a reintrodurre la iniqua e vergognosa tassa dell'8,65% sulle indennità di integrazione. Forse dire sorprendente può essere un eufemismo, ma certamente questo non può essere un atto nella direzione di favorire o contribuire con proposte a dare un colpo decisivo in avanti ad una trattativa difficile ancora in corso. Come non capire che in presenza di forti concentrazioni di situazioni oramai storiche di lavoratori in Cassa integrazione e di disoccupazione giovanile come nella nostra area metropolitana, che arriva e supera livelli del 12/14%, ma questo vale anche per le altre aree di forte concentrazione dove per contro abbiamo un invecchiamento della mano d'opera occupata e questo invecchiamento non è solo alla Fiat. Occorrono scelte, strumenti nuovi per liberare il mercato del lavoro da situazioni che inevitabilmente fanno da tappo a processi combinati di mobilità, formazione, riconversione della forza-lavoro. Altro che una decurtazione alla indennità dei Cassa integrati o altri balzelli! Non è così che ritengo che si eliminano forme di assistenza oramai insostenibili. Ci vuole ben altro! Occorre governare e risolvere il problema delle eccedenze di mano d'opera perché questa è la sfida che abbiamo di fronte, se vogliamo essere coerenti con le affermazioni fatte sulla necessità di innovazione tecnologica nei sistemi produttivi e nei servizi.
Noi comunisti non solo non abbiamo mai messo in discussione la necessità di una forte introduzione di innovazione tecnologica nei sistemi produttivi, ma lo abbiamo ritenuto decisivo. A testimonianza di questo rimando i colleghi Consiglieri agli atti della nostra Conferenza di produzione Fiat fin dal 1979 dove denunciavamo i ritardi dell'azienda stessa verso l'ammodernamento tecnologico delle produzioni.
Noi però non consideriamo ineluttabile l'equazione che a più innovazione tecnologica debba corrispondere necessariamente più disoccupazione nel sistema produttivo complessivo. Ci sono, e vanno ricercate con forza strade alternative, possibili risposte concrete per i lavoratori in Cassa integrazione in una situazione oramai storica ma anche per le migliaia e migliaia di giovani che si apprestano ad entrare sul mercato del lavoro in questi anni. A questo scopo vogliamo che il Governo predisponga un nuovo quadro di strumenti per favorire e governare le politiche attive del lavoro che dovranno operare nell'ambito di una progressiva riduzione degli orari, di nuove forme di redistribuzione del lavoro e di solidarietà e, contemporaneamente, attivi in tempi brevi un provvedimento straordinario e temporaneo definito nel tempo di prepensionamento a 50 anni per lavoratori a Cassa integrazione a zero ore che non hanno nessuna possibilità di rientro o per quelle aziende a forte invecchiamento di mano d'opera con scambio anche parziale con lavoratori giovani e lavoratori in Cassa integrazione. Intendiamo questa come una delle soluzioni necessarie soprattutto per superare la Cassa integrazione a zero ore, per azzerare quindi le situazioni più compromesse socialmente dall'uso improprio di questo strumento così come si è affermato in questi ultimi anni e come uno dei presupposti fondamentali per la stessa riforma della Cassa integrazione e di snellimento del mercato del lavoro.
Credo che una convergenza sia stata anche registrata dalle dichiarazioni che l'Assessore Genovese ha fatto all'ultimo Convegno organizzato dai giovani operai cristiani.
Riteniamo inoltre che debba essere definito lo strumento di governo della mano d'opera del mercato del lavoro. A questo proposito noi individuiamo nelle agenzie pubbliche del lavoro, parallelamente all'attribuzione della Commissione regionale per l'impiego di poteri effettivi, per sperimentare riforme dello stesso mercato e di deroghe alle normative vigenti, perlomeno nelle Regioni maggiormente attraversate da processi di riorganizzazione e di innovazione industriale come il Piemonte.
Riteniamo che le agenzie pubbliche del lavoro siano lo strumento più idoneo a dare risposte concrete. Le agenzie dovranno essere dotate di propria autonomia finanziaria e operativa, di personale reperito anche stipulando contratti di lavoro di diritto privato al di fuori della Pubblica amministrazione. Dovranno essere ispirati a criteri di funzionamento snelli e manageriali, dovranno porsi come soggetti attivi e dinamici sul mercato nelle aree territoriali di competenza.
Nel quadro di questa impostazione importante e qualificante diventa il ruolo della Regione che dovrà impegnarsi a predisporre in tempi brevi una proposta funzionale ed operativa dell'Agenzia del lavoro da sottoporre al Governo, nel cui ambito si possono prevedere specifiche sezioni di attività finalizzate alla creazione di impresa, coinvolgendo con specifiche convenzioni enti strumentali e finanziari della stessa Regione, anche l'Università, Centri di ricerca, Progettazione pubblica e privata, le maggiori imprese, il sistema della Formazione professionale giovandosi delle leggi regionali come quelle esistenti o predisponendo nuovi strumenti.
I caratteri di tali servizi operativi di lavoro dell'Agenzia che dovranno con molta probabilità essere indicati dalla competente Commissione regionale, anche successivamente all'incontro con il Ministro del lavoro costituirà la linea-guida di un progetto operativo che può essere in grado di decollare entro il prossimo anno e se ritarda l'approvazione dell'Agenzia, da parte del Governo si dovrà pensare strumenti alternativi o soluzioni alternative, anche di questo elemento con carattere transitorio.
Ho concluso. Queste nostre proposte e le considerazioni che le hanno precedute vogliono contribuire a compiere un salto in avanti nel confronto sulla politica industriale e sul governo del mercato del lavoro. A noi interessa lavorare soprattutto attorno ad un quadro di proposte che raccolgano il massimo di convergenza possibile, per avere la forza necessaria per andare avanti.
La Fiat da cui siamo partiti e i suoi futuri sviluppi non sono solo un pezzo, seppure importante, decisivo di una situazione problematica e più generale per la nostra Regione.
Per questo la mozione ha l'ambizione di costruire iniziative politiche e risposte adeguate ai problemi dell'occupazione e dello sviluppo che vanno al di là della stessa importante e decisiva specificità della Fiat.



PRESIDENTE

Ringraziamo il Consigliere Manfredini che ha illustrato la mozione del PCI su un problema così importante come quello della situazione Fiat. Dal momento in cui è stata presentata la mozione fino ad oggi la situazione è cambiata in vari aspetti.
Ha chiesto di parlare il Consigliere Minervini. Ne ha facoltà.



MINERVINI Marta

L'odierna mozione prende le mosse della deliberazione del 25 marzo 1985 del Consiglio, con la quale nell'approvarsi i piani di ristrutturazione degli stabilimenti Rivalta-Mirafiori e Verrene si invitava il Cipi ad una dettagliata verifica dei riflessi che il sostegno pubblico avrebbe provocato sull'occupazione.
Nel richiamare la menzionata deliberazione, la mozione odierna chiede innanzitutto di accertare presso l'autorità governativa a quali risultanze abbia portato tale verifica. La suddetta mozione sollecita anche il Governo a predisporre un nuovo quadro legislativo in materia di politica industriale oltre che nuovi strumenti di politica attiva unitamente a normative di riforma della Cassa integrazione speciale. Si involgono quindi grosse e gravi problematiche peraltro con richieste generiche in bianco dirette all'autorità.
In questa.situazione il Gruppo del MSI ritiene che tutte le gravi problematiche che si sollevano con la mozione in questione, vadano previamente istruite e approfondite in sede di IV Commissione previe le necessarie consultazioni con l'azienda Fiat, le OO.SS, maggiormente rappresentative sul piano nazionale e qui ricordo CISNAL compresa in quanto tale requisito compete anche alla CISNAL. Nella sede di IV Commissione si potranno quindi elaborare ai fini di un approfondito dibattito in Consiglio, concrete proposte dirette a predisporre un nuovo quadro legislativo in materia di politica industriale, di riassetto della Cassa Integrazione Guadagni e degli strumenti di politica attiva del lavoro.
Il dibattito che oggi certamente si svuota,di un suo principale contenuto in seguito alla non esistenza di un effettivo accordo Fiat-Ford potrà in tale maniera confluire nella predisposizione da parte del Consiglio regionale di una organica proposta di legge per il Parlamento nelle suddette materie sulle quali come forza politica potremo prendere le nostre posizioni e confrontarci.
In conclusione, riteniamo che allo stato delle cose, il dibattito odierno non possa portare ad alcun sostanziale risultato, mentre la riammissione in Commissione ai fini sovraillustrati, potrà condurre al risultato di rendere il Consiglio soggetto veramente propositore e interlocutore col Governo centrale.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Bontempi.



BONTEMPI Rinaldo

Signor Presidente, se è vero che questa mozione è importante deve corrispondere una adeguata presenza sui banchi del Consiglio e della Giunta.
La presenza dell'Assessore al lavoro in particolare, è cruciale abbiamo altrimenti l'impressione che parole e fatti non coincidono. E' noto che appena arriva una forma di mass-media importante, il livello del dibattito si abbassa notevolmente.



PRESIDENTE

Abbiamo già provveduto per quanto riguarda il richiamo delle responsabilità della presenza in aula.
La parola al Consigliere Tapparo.



TAPPARO Giancarlo

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, credo sia estremamente opportuno trattare il problema di quella che è la più grande impresa della nostra Regione, i cui effetti e il cui destino hanno riflessi profondi nell'apparato economico e nel sistema sociale del Piemonte.
Nell'Ordine del giorno del PCI, ritroviamo alcuni contenuti che già il 27 marzo 1985, in un Ordine del giorno approvato all'unanimità del Consiglio, si erano espressi giudizi sui temi della politica del lavoro.
Tale ordine del giorno recuperava vari aspetti emersi nel dibattito dell' 11 gennaio durante la Conferenza regionale sull'occupazione: Va anche detto che nel documento oggetto di discussione, ritroviamo alcuni aspetti significativi del documento programmatico dell'attuale maggioranza in materia di politica industriale e politica del lavoro.
La questione dell'utilizzo da parte della Fiat della legge di riconversione e ristrutturazione industriale del 1977, la 675, dove a suo tempo la Regione aveva espresso il proprio parere, ci ha permesso, allora di fare una riflessione sui processi di ristrutturazione in corso nella importante azienda automobilistica italiana (l'aspetto rilevante nei giorni in cui si era dibattuto questo tema era riferito al problema del parere connesso ad uno scostamento fra previsioni e realizzazioni sull'occupazione del piano Fiat sottopostoci; uno scostamento che ci aveva allarmati perch parlava di un passaggio da una previsione di 30.983 occupati a fronte dell'utilizzo delle risorse finanziarie concesse dalla legge 675 ad un risultato che nella realtà vedeva 3700 posti in meno circa).
Nel caso in discussione l'impegno finanziario pubblico era di circa 550 miliardi, a fronte di una azione di investimento della Fiat dell'ordine di 1200 miliardi. Le motivazioni della Fiat le ricordiamo e vanno qui riprese perché ci aiuteranno a capire alcuni aspetti dei processi in corso all'interno delle grandi aziende. Esse sono una caduta dell'assenteismo al di là dei livelli normali, fisiologici, una riduzione (questo è un fatto positivo perché rappresenta una razionalizzazione del processo produttivo) delle anomalie di processo, una riduzione della cosiddetta microconflittualità, le tecniche di automazione che toccavano anche le aree impiegatizie (dall'office automation ad altre tecniche) e l'innovazione di prodotto.
La situazione brevemente espressa ci aveva permesso di fare un approfondimento sui processi di ristrutturazione in corso che hanno un aspetto rilevante per l'assetto economico piemontese e per i suoi riflessi sul mercato del lavoro.
Si tratta ormai di processi di ristrutturazione permanenti, vale a dire che non si tratta di operazioni una tantum o di tappe: è sostanzialmente un lento scorrimento che l'innovazione tecnologica e l'innovazione organizzativa danno a tutti i processi produttivi.
In questo senso nel dibattito passato era emersa la consapevolezza che ormai tra politica industriale e politica dell'occupazione esiste un nesso inscindibile; non si possono trattare a compartimenti stagni le due materie. Tuttavia non è possibile poter pretendere un rapporto automatico e necessario tra investimenti ed occupazione.
Purtroppo non è così. Anzi, di fronte a rilevanti processi di investimento non sempre il rapporto con l'occupazione è favorevole; in questi casi l'utilizzo di nuove tecnologie lo rende più sfavorevole (almeno a breve-medio termine). Occorre aprire un franco approfondimento per accertare sino dove è opportuno spingere certi livelli di automazione in rapporto con le risorse finanziarie utilizzate e tenendo conto dei livelli di disoccupazione che sono una diseconomia esterna per l'impresa italiana ovviamente non è la sede per trattare un tema di questa complessità, ma un accenno credo possa essere importante.
Siamo tutti consapevoli dei grandi mutamenti di mercato, di prodotto e di tecnologia, è una situazione che i tecnici definiscono "turbolenta", la quale fa sì che non possiamo dare nulla per scontato, non possiamo pensare che la situazione odierna sia stabilizzata, ma anzi è e sarà in continuo e rapido mutamento. Mi si permetta un accenno a una crisi profonda e improvvisa di ristrutturazione dell'industria informatica statunitense che fa apparire inaspettatamente prospettive all'industria europea di questo settore che solo un anno fa, probabilmente non erano chiaramente viste.
Fatti nuovi, rispetto al dibattito che avevamo sviluppato su questo argomento alla fine della scorsa legislatura, vi sono: l'ipotizzato accordo Fiat-Ford che in questi giorni pare sia venuto meno e la incerta scadenza dell'accordo Fiat-FLM firmato nel settembre dell'83. Ci sono poi dei fatti risaputi. Voglio qui dare delle cifre che è bene siano ricordate e che la stampa farebbe bene a riportare con chiarezza. La Fiat è passata nella nostra provincia nel settore auto da 100.000 occupati nel 1982 (perdendo una media di 10.000 posti di lavoro all'anno) a 65.000 nel 1984, a 60.000 nel 1985 e sta andando verso quel fatidico 50.000 di cui parlava negli anni '83-'84 come base di stabilizzazione della impresa torinese per produrre all'attuale livello di vetture. Vuol dire che sostanzialmente ci troviamo ancora dinnanzi a prospettive di eccedenza di mano d'opera, nell'ambito di una situazione con 8.900 Cassa integrati ancora presenti all'interno della Fiat. E' un problema che non si può affrontare con strumenti ordinari fisiologici: con un po' di deregulation e con qualche speranza nel mercato.
Credo occorrano degli interventi ben precisi e mirati. Un primo punto che voglio sottolineare è il ruolo della Regione su questa materia e in questa vicenda che non è marginale; non sono d'accordo che si tratti di un puro governo dei processi sociali. Dobbiamo anzi dire con chiarezza che l'operatore pubblico non può essere solamente l'ammortizzatore sociale di questi grandi processi economici e neppure può giocare la sua partita solo sul livello territoriale.
C'è anche un altro ruolo che prevede una conoscenza delle strategie di lungo periodo di una macroimpresa come la Fiat e questo comporta un rapporto organico tra Regione e Fiat non tanto per conoscere i "segreti" dell'azienda, ma per poter assumere delle decisioni in una serie di campi di cui dirò nel modo più corretto possibile. Oggi il cambiamento è così rapido che se non veniamo a conoscere in anticipo della direzione di marcia di certi processi, quando predisponiamo degli strumenti questi sono già di per sé invecchiati.
La Regione per le grandi imprese non è solo un interlocutore politico istituzionale, formale, ma anche un soggetto di politica del lavoro e di politica industriale. E' un po' forse demodé per qualcuno parlare di un ruolo di politica industriale a livello regionale. C'è tutto un dibattito "in dottrina", dove anche il mondo imprenditoriale oggi si invoca che ci sia unitarietà della politica industriale, come se la periferia fosse una periferia incapace o con spinte clientelari e campanilistiche a muoversi oppure, ancora, che appesantisca quelle che possono essere le scelte dell'operatore pubblico centrale.
Ritengo invece, e l'abbiamo anche indicato nel documento della maggioranza, che il ruolo del livello regionale può anche esserci, basti pensare all'utilizzo della domanda pubblica, nel settore dell'energia della sanità, dei trasporti , dell'informatica, dei trattamenti dei rifiuti, del disinquinamento. Sono settori in cui l'uso finalizzato della domanda pubblica può permettere alla Regione, senza esborso aggiuntivo di risorse ma a parità di spesa, di procedere a scelte di politica industriale.
Un altro campo è quello dei servizi reali alle imprese (piccole e all'artigianato). La Fiat produce solo una parte di quello che è il suo prodotto finale al suo interno. L'indotto diventa un elemento decisivo. Si è sempre detto che gli indotti giapponesi sono quelli che danno competitività all'impresa giapponese; la Regione può fare una politica appropriata per favorire quelli che sono i servizi reali alle imprese.
Alcuni li abbiamo tentati. Ne sono esempi il sistema cad-cam per aiutare la piccola impresa ad utilizzare il computer nel progettare, nel gestire la produzione, nel disegnare, nel dialogare con la grande azienda, così come la grande azienda richiede; il settore dell'intelligenza artificiale in modo da predisporre le basi culturali della nostra Regione per poter affrontare il salto tecnologico con i computer della quinta generazione, la Formazione professionale come strumento di accompagnamento nel cambiamento di qualifiche (si pensi ai profondi cambiamenti nelle figure professionali all'interno delle aziende di punta).
Abbiamo dunque una nostra parte da fare, ma per farla bene dobbiamo avere un grado di conoscenza adeguata di quelle che sono le strategie di medio e lungo termine delle imprese proprio per poter ottimizzare l'impiego delle nostre risorse, delle possibilità di intervento dell'Ente Regione.
C'è ovviamente un ruolo nazionale che in queste materie è rilevantissimo.
Ad esempio dal lato delle politiche del lavoro, dobbiamo lamentare come il disegno di legge n. 665 sulla riforma globale del mercato del lavoro non proceda nel suo iter, costringendo ad andare avanti a moduli. Tuttavia pare necessario che su questo intero disegno di legge, si faccia uno sforzo per portarlo a compimento.
La stessa legge 863, quella dei contratti di formazione lavoro, del part-time, dei contratti di solidarietà, della modifica nella chiamata al collocamento, è uno strumento importante che però non è nato isolato. E' una tessera di un disegno più complessivo nel quale entrano in gioco anche gli strumenti di politica industriale.
L'Agenzia del lavoro è una buona intenzione (forse lo era di più per gli anni settanta) va però tenuto presente che in una fase in cui le eccedenze disoccupazionali tendono a cre-scere, l'Agenzia può rischiare di essere uno strumento limitato, uno strumento non decisivo per quelli che sono i problemi che ci troviamo davanti, comprese le "jon-creation" di cui parla con speranza anche un po' esagerata, quasi miracolistica. Nella Regione Piemonte abbiamo uno strumento operante di job-creation: è la legge sulla cooperazione per disoccupati e cassa integrati (siamo l'unica Regione, altre la stanno copiando); è una "piccola" legge, ma non è assistenziale, ed ha permesso nei primi finanziamenti di dare un "premio" dove esiste una vera imprenditorialità collettiva o una forma autogestionaria matura per esprimersi.
Ovviamente strumenti straordinari come il prepensionamento, visti come una misura straordinaria raccordata al recupero di giovani cassintegrati e di giovani per poter far ricircolare le generazioni all'interno delle grandi aziende, riteniamo che siano strumenti utili.
La riforma della Cassa integrazione se avviene tenendo conto che ci troviamo a dover convivere in una situazione prolungata di eccedenze occupazionali, è anche una esigenza importante.
Vorrei qui accennare a un primo orientamento di deroga e norme arcaiche sulle assunzioni nella Pubblica amministrazione che è la legge 444, che permette di aprire la Pubblica amministrazione alla disoccupazione strutturale di età adulta, superando la barriera dei 35 anni. E' un principio che permette di farci capire che in una fase di grandi cambiamenti economici, nella Pubblica amministrazione si possono utilizzare alcuni spazi nelle fasce non di alta qualificazione, proprio perché è difficile riqualificare quarantenni, quarantacinquenni che sono stati alle linee di montaggio o ai forni per tutta la loro vita lavorativa. In questo contesto bisogna anche parlare del problema della redistribuzione del lavoro all'interno di una società in cui la disoccupazione assume dimensioni inquietanti. Il dibattito è in corso nell'Europa; il vincolo è ovviamente che questo processo deve essere attuato senza menomare i livelli di competitività del nostro sistema produttivo.
Infine, è importante il ruolo delle Partecipazioni statali nella nostra Regione, come ambiente, come creazione di compensazioni di difficoltà. Il Ministro Darida si era assunto alcuni impegni che vanno dalla Rai alla Sip ai centri di ricerche delle Partecipazioni statali, alla siderurgia pubblica nella nostra regione. Noi riteniamo che vada recuperato nel rapporto con il Governo questo aspetto.
E' essenziale che ci sia un nuovo quadro legislativo di politica industriale che raccordi e coordini quelle che sono le vecchie leggi di politica industriale nate negli anni '70, in una situazione di disoccupazione diversa dall'attuale, con quelli che sono i nuovi strumenti di politica attiva del lavoro.
Non possono viaggiare scissi, devono essere coordinati, non possono sostanzialmente non coesistere e sono dal legislatore stati visti cosa, ma è bene che il legislatore stesso gli dia un meccanismo di raccordo più vincolante e preciso.
A livello regionale, oltre al ruolo attivo che dovremmo avere nella Agenzia, oltre al ruolo dinamico che la Commissione regionale per l'impiego deve avere, oltre all'Osservatorio regionale del mercato del lavoro che è uno strumento che serve per darci visibilità di lungo periodo e non lavorare a vista, credo che alcune leggi regionali di intervento in materia di politica industriale possano essere previste e meglio utilizzate le esistenti: la legge sui consorzi, la stessa legge sulla cooperazione, sui cantieri di lavoro, pur essendo prevalentemente leggi di politica del lavoro possono anche avere dei riflessi di alleggerimento di certe situazioni di tensione nei processi di ristrutturazione industriale.
Di importanza non trascurabile è, come già detto, l'intervento sugli indotti: indotto Olivetti, indotto Fiat, indotto del tessile dell'abbigliamento; operare con strumenti per favorire la formazione di indotti non di lavoro nero, ma di alt à., qualificazione, molto flessibili capace di rispondere alle nuove esigenze.
In una fase dove c'è una cultura della deregulation che prevale, nuove regole devono essere elaborate, per una nuova situazione.
Questo nuovo tipo di approccio porta a regolare in modo nuovo il rapporto tra pubblico e privato: il pubblico non è l'ammortizzatore sociale, non è quello che pensa solo ai problemi infrastrutturali, il pubblico può anche utilmente intervenire nei processi economici dove il privato ha una posizione prevalente. Dall'altro lato vi è il rapporto tra mercato e programmazione. Non credo che i quarantacinquenni che sono oggi disoccupati possano avere speranza da "più mercato", per riavere un lavoro.
Credo che un rapporto equilibrato tra programmazione e mercato possa permettere in qualche modo di dare una speranza non assistenziale a questi sfortunati cittadini che certamente vogliono lavorare e non vogliono vivere in una situazione assistenziale.
Avere nella nostra regione 173.000 disoccupati è un costo, è una diseconomia esterna che nell'azienda Piemonte o nell'azienda Italia ha delle ripercussioni negative a livello di competitività generale di sistema economico. Dobbiamo quindi pensare che nessun imprenditore può ritenere che una eccedenza strutturale e di grande dimensione di mano d'opera non la riguardi. L'eccedenza lo riguarda non tanto sul piano sociale, della solidarietà, ma sotto l'aspetto economico. Non si chiede una "attenzione" sociale e morale all'eccedenza di mano d'opera. Chiediamo solo un'attenzione sul piano economico. In questo senso il ruolo della Fiat nella nostra Regione è molto importante. Partendo da tale principio si pu dire che se l'accordo Fiat-Ford si fosse concluso, non poteva essere positivo di per se', se non chiariva dove restavano allocati realmente i centri decisionali, dove erano le sedi della determinazione delle strategie, perché questo è un elemento portante, così come abbiamo ancora qualche dubbio sull'accordo Olivetti-ITT, vale a dire che nel lungo termine non possa in qualche modo disancorare dal nostro Paese alcuni elementi di forza sul piano della progettazione e della ingegnerizzazione dei prodotti delle decisioni delle grandi strategie di marketing. Anche qui diciamo che una visione europea è importante e per questo auspichiamo che il Parlamento europeo sappia darsi una dimensione maggiore, più concreta nelle politiche industriali e dell'innovazione.
La proposta del PCI credo possa trovare una sede di verifica con la Fiat e le Organizzazioni sindacali nella IV Commissione in modo da determinare una posizione "operativa" della Regione su questa materia.
Non vogliamo fare i notai di processi di cambiamento industriale perché ci toccano da vicino con i disoccupati a reddito zero, i cassintegrati che stanno terminando la Cassa integrazione. Non possiamo solo accollare le emergenze senza vedere quelli che sono i processi che li generano. Solo operando con maggiore coesione, mondo dell'impresa operatori sindacali e le assemblee elettive locali, possiamo minimizzare i danni sociali ed esaltare la competitività e lo sviluppo del sistema economico piemontese.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Staglianò.



STAGLIANO' Gregorio Igor

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, vorrei riferirmi a quanto lei diceva poco fa: da quando è stata consegnata ai Gruppi consiliari la mozione comunista sono intervenuti fatti nuovi di grande interesse. E' avvenuto che il matrimonio del secolo, come era stato annunciato in pompa magna, è finito in bianco. Non c'è stato lo sposalizio tra la Fiat e la Ford, su cui si erano concentrate moltissime aspettative da parte imprenditoriale e da parte sindacale: quest'ultima per manifestare molte legittime preoccupazioni.
Come istituzione si assiste passivamente alla introduzione selvaggia di nuove tecnologie. Sulla vicenda della Fiat-Ford si può fare oggi solo qualche cenno.
Cosa c'era dietro questo accordo? Certamente una ragione di prestigio internazionale, ma anche serie ragioni di politica industriale. I nuovi impianti robot sono costosi, vanno ammortizzati in tempi brevi. Il caso esemplare è quello del motore Fire costruito a Termoli, il quale ha una curiosa flessibilità; impone non meno di 1800 pezzi al giorno, il che significa che senza mettere in strada poco meno di mezzo milione di auto all'anno su cui montare quel motore, la Fiat ci perde; vendere però una simile quantità di auto di questo modello, certo è alla portata della Fiat ma questo può avvenire soltanto mangiandosi da sola. La Fiat dovrebbe ridurre, in sostanza, le quote di mercato di altri modelli propri. Qui viene al pettine un nodo grosso. La scelta di tagliare selvaggiamente produzioni e addetti, e di automatizzare al massimo le fabbriche, è stata fatta dalla Fiat negli ultimi anni disprezzando la condizione lavorativa e umiliando la parte sindacale. E' stata poi imitata dalla concorrenza. E forse anche in questo risiedeva parte dell'interesse del gruppo americano della Ford ad entrare in contatto con il gruppo dirigente Fiat, il quale si è fatto fama internazionale di essere duro, inflessibile, che va dritto al sodo, senza preoccuparsi troppo dei prezzi che tutto questo può comportare.
E' stata una scelta industriale vincente per l'azienda, ma solo all'apparenza lungimirante.
Una scelta industriale di cui hanno fatto le spese e dovranno continuare a, farlo in futuro, decine di migliaia di famiglie operaie prossimamente anche famiglie impiegatizie, facendo "giustizia" di una divisione di classe introdotta pesantissimamente nel 1980 con la famosa marcia dei 20.000 (che alla storia la si è voluta far passare, per dare maggiore peso ed urto antipopolare, come marcia dei 40.000). I costi sociali in conseguenza di questo falso rapporto investimenti-occupazione di cui il secondo termine è sempre il più debole, è stato già richiamato dal collega Tapparo. E' importante che su questo ci sia consapevolezza perché sino ad ora essa ci è parsa al di sotto del dovuto.
Parlavo di una scelta vincente poco lungimirante: una tale strategia politica industriale può mirare solo ad uno sviluppo intensivo delle tecnologie, senza misurarlo e raccordarlo al passo della società nei suoi vari aspetti: produttivi, perché di auto ve ne sono già a sufficienza sul nostro continente ed anche sociali coi bisogni di giustizia e di uguaglianza. Una scelta vincente che vale solo una volta: è qui la ragione per la quale la Fiat aveva bisogno di altri modelli, come la Ford Fiesta per equipaggiarli con il motore Fire. Il controllo sociale sull'introduzione delle nuove tecnologie, per graduarle, disegnarle al passo della società nel suo insieme, è assolutamente ineliminabile e dobbiamo affrontarlo di petto. Il parlamento regionale può svolgere un ruolo propositivo al riguardo, come proverò a dire.
Se le classi lavoratrici pagano le scelte padronali, Agnelli non appare per nulla depresso per il matrimonio fallito, come si è premurato a documentare il settimanale "L'Espresso" la scorsa settimana. L'Avvocato pare abbia più di un asso nella manica, e ritengo che anche di questo il movimento sindacale debba prendere coscienza e muoversi di conseguenza.
L'Avvocato - lo ha detto nell'intervista a Turani su "L'Espresso" - ha più di un asso nella manica: si chiama scudo stellare, si chiama pentagono, si chiama Nasa, si chiama in sostanza, produzione bellica che viene incentivata - e su questo non si può più continuare a tacere - con il sostegno del contribuente italiano.
Questo perché? Perché la Fiat e l'Olivetti sono le industrie più assistite. Prego prendere nota di questo. In Piemonte da sole rastrellano il 90% dei trasferimenti pubblici alle imprese, sotto la voce sostegno alla ricerca, fiscalizzazione degli oneri speciali, Cassa Integrazione Guadagni;. La sola Fiat ha intascato 3.000 miliardi nel 1984 sotto tutte queste voci. Questi soldi sono finalizzati ad una strategia industriale che punta a guadagni sulle tensioni internazionali che stanno mettendo a repentaglio la stessa sopravvivenza dell'umanità; questa strategia concentra i propri sforzi finanziari per la distribuzione, perché tale è da considerarsi l'industria bellica.
Poi ci sono gli utili e i dividendi. Conoscete il trend degli utili della Fiat degli ultimi 5 anni? Vanno esattamente di pari passo, oltre che con la riduzione degli addetti, con gli introiti crescenti sotto la voce assolutamente, truffaldina della Cassa Integrazione Guadagni, che consente alla Fiat di accrescere i propri utili scaricando sulla collettività una fetta consistente del proprio apparato occupazionale.
Che cosa possono fare gli Enti locali? Ci vogliamo decidere finalmente a controllare l'utilizzo del finanziamento pubblico? Mentre siamo sottoposti ad un bombardamento continuo, dal Parlamento fino all'ultimo Comune d'Italia, nei confronti dello stato sociale, dobbiamo chiederci quanto costa il capitale oggi. Si smantella il welfare state, costruito a grande fatica, negli ultimi 50 anni, e si profila il capitalismo sociale: di questo stiamo parlando, vista la consistenza enorme dei trasferimenti statali alle aziende private. Altro che libero mercato e iniziativa privata! La verità è che oggi, senza il sostegno del denaro pubblico nemmeno questi grandi strateghi antipopolari come Agnelli o De Benedetti saprebbero cavarsela davvero.
Se avvengono questi processi, e mi pare che siano assolutamente incontrovertibili, quali sono le ricadute sul piano della società rispetto a cui gli Enti locali non possono essere meri spettatori? Vediamo schematicamente.
Il problema dell'occupazione. Non si tratta solo di registrare i bisogni dell'impresa al riguardo, come ci si è limitati a fare sin qui a tutti i livelli. Nel 1986 si parla di nuove eccedenze, oltre 10.000 alla Fiat, soprattutto nelle fasce impiegatizie. La Fiat ha utilizzato gli introiti pubblici per farsi il belletto, per presentarsi in piena forma sul mercato internazionale e per mirare al cuore della strategia industriale futura che è costituita dal rapporto sempre più stretto con l'industria militare.
E allora. Quali devono essere i vincoli agli accordi internazionali? Non è proponibile una politica protezionistica che sarebbe antistorica sfumato l'accordo con la Ford, il problema del rapporto con partner stranieri si ripresenterà intatto tra non molto. In questo senso il nostro Paese - come ricordava il Consigliere Tapparo a proposito della AT&T - è fatto oggetto di un flusso di capitale americano, per esempio nel settore alimentare, paragonabile all'immediato dopoguerra, un vero e proprio nuovo piano Marshal che cerca di acquistare il cervello strategico delle nostre produzioni future.
Un vincolo imprescindibile deve essere la difesa dei livelli occupazionali. Era opportuno che si sollecitasse questo dibattito oggi, ed è necessario che da questo Consiglio escano degli orientamenti precisi per affrontare la drammatica situazione sociale che si presenterà, ormai a tempi ravvicinati, con scadenza dell'accordo ottobre '84 nel prossimo dicembre. Anche la presenza dei cassintegrati in quest'aula è un richiamo severo al dovere che tutti quanti abbiamo, perché si cerchi una risposta a questa domanda drammatica.
Per quanto riguarda l'occupazione, non ci sono alternative - su questo voglio essere molto netto - alla ripartizione del lavoro esistente.
Domando: perché alla Fiat non è possibile fare il contratto Ital-Tel di riduzione dell'orario a 35 ore settimanali? Perché c'è un gruppo dirigente intransigente, ma anche perché c'è un limite di strategia da parte dello stesso movimento sindacale.
Perché alla Fiat non si può fare una riduzione verticale dell'orario di lavoro per consentire quanto meno di frenare la caduta occupazionale con una forma di finanziamento pubblico? Perché tutto questo c'è già, ed è quello che viene dato per la Cassa Integrazione Guadagni.
Vorrei richiamare al riguardo, anche i compagni comunisti a ragionare se non è il caso di puntare oggi sulla riduzione dell'orario di lavoro, a cui far corrispondere i finanziamenti pubblici.
La mia parte politica vede una alternativa fra i prepensionamenti generalizzati a 50 anni e il finanziamento dei contratti di solidarietà: i soldi dei prepensionamenti possono essere spesi per pagare una riduzione dell'orario.di lavoro.
Il problema dei prepensionamenti esiste, ma è un diritto che deve essere esteso a tutti quanti i lavoratori, dando la facoltà a chi vuol farlo di pensionarsi a 55 anni. A questo proposito è stata presentata anche una proposta di legge alla Camera dei Deputati da parte del mio Partito.
Si tratta di contrastare duramente la tendenza ad allungare il periodo di permanenza sul lavoro.
C'è il problema della Formazione professionale e della riqualificazione degli eccedenti. Qui un ruolo precipuo può svolgerlo proprio la Regione Piemonte: riguarda la qualità dell'occupazione, anche alternativa o comunque collegata al settore dell'auto. Voglio spiegarmi, ricorrendo ad uno dei nodi che sta più a cuore a Democrazia Proletaria: quello del rapporto tra lavoro e ambiente, ovvero il rispetto dell'ambiente attraverso produzioni pulite. Basta solo un esempio per indicare come una volontà politica determinata e con idee chiare può raccogliere istanze ambientaliste e occupazionali. Perché, per produrre le marmitte catalitiche che trattengano gli scarichi da piombo, dobbiamo aspettare il 1995? Solo perché fino ad allora la Fiat non è pronta? Non è possibile che ci sia un sostegno pubblico per favorire l'applicazione delle Direttive CEE per fermare il nostro avvelenamento da piombo? Non ho fatto dei conti, ma non è difficile vedere le ricadute che ci potrebbe avere sull'occupazione. Sarebbe questo uno di quegli indirizzi di politica industriale che andrebbe percorso subito per dare un segnale preciso da parte del parlamento regionale per venire oggi da questo Consiglio un segnale che non si intende ridurre la più alta istituzione del Piemonte a mero passacarte volta ad attuare i voleri di Corso Marconi, per fare il materasso delle tensioni che l'azienda riversa sulla società? Questi a noi paiono essere i nodi che ci stanno davanti, rispetto ai quali è importante che da questo Consiglio scaturiscano delle linee di lavoro, da riportare anche nelle Commissioni competenti, che consentano di fronteggiare con un indirizzo politico preciso quelle che si annunciano come le scadenze più stringenti per tutti, rispetto alle quali ciascuno di noi ha il dovere di pronunciarsi.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Santoni.



SANTONI Fernando

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, voglio esprimere subito la preoccupazione del nostro Gruppo per le notizie di questi ultimi giorni che darebbero per tramontato l'accordo tra Fiat e la Ford. Preoccupazione che deriva da un nostro giudizio che ritiene operazioni di questo tipo non fatti esclusivamente e strettamente aziendali, non variabili indipendenti nel quadro complessivo della economia nazionale e dei problemi della occupazione, ma scelte strategiche di politica industriale e come tali devono essere analizzati e non liquidate con poche battute.
Il problema oggi, se vogliamo porci in termini corretti a fronte dei problemi della occupazione e dell'economia nazionale, non possono essere semplicemente segmentati, quasi che fossero camere stagne, ma devono essere visti in termini concreti di espansione di potenzialità produttiva, di espansione di ricchezza.
Il problema ancora una volta non è quello di dividere la torta in fette sempre più piccole, perché tutti possano fruirne, ma è fare in modo e porre le condizioni perché la torta sia sempre 'più grande e perché le fette siano più grandi per tutti.
Tornando al nostro argomento dobbiamo dire che non si può dare una valutazione complessiva del problema specifico e dei problemi che attorno a questi ruotano, se non si cerca di comprendere qual è la situazione reale oggi della industria automobilistica in Italia e nel mondo.
Noi sappiamo come all'interno di questo settore produttivo la competizione tra le varie imprese avvenga sempre più per fette di mercato statiche, stabilizzate all'interno delle quali ogni azienda moltiplica gli investimenti per mantenere la concorrenza, ogni azienda moltiplica lo sforzo per l'affinamento della qualità tecnologica dei modi di produrre e all'in-terno dei quali, purtroppo, però lo spazio di espansione per ogni singola azienda rimane tutto sommato statico e stabilizzato.
Sappiamo altresì il rischio che tutto questo comporta, il rischio di chiudere all'interno di un mercato ormai soffocato le possibilità di una impresa e le possibilità di espansione della impresa in termini reali e non in termini esclusivamente interni di utilità di bilancio aziendale.
Sappiamo, ad esempio, come sia grandemente rischioso che una azienda automobilistica limiti i propri centri di produzione all'interno di un singolo paese esponendosi alle oscillazioni valutarie e quindi esponendo la capacità concorrenziale del proprio prodotto a fatti esterni e non interni allo specifico mercato a cui si riferisce.
Tutte queste considerazioni devono far valere quel giudizio che davamo all'inizio secondo cui l'unica via di uscita è quella di un allargamento delle possibilità aziendali in termini di internazionalizzazione della produzione ed in termini di internazionalizzazione della struttura societaria. L'accordo che era stato ventilato, e, su cui si discuteva a nostro avviso a - certe condizioni su cui tornerò, rispondeva ad esigenze di questo tipo. Avrebbe consentito alla azienda di poter allargare evidentemente in una struttura diversificata, i propri campi di mercato avrebbe consentito di ridurre i costi per quanto riguarda le spese di investimento nelle nuove tecnologie, avrebbe consentito di beneficiare di certe ricadute di ricerca tecnologica che il potenziale partner avrebbe potuto portare nel suo interno. E questa era la prospettiva che comunque dovrà essere perseguita. Se non lo si vuole considerare i benefici interni alla azienda solo alla luce di considerazioni strettamente aritmetiche con il rischio di recuperare profitti ma di non recuperare quote di mercato, ma non di recuperare ricchezza reale indotta anche all'esterno della azienda questa è la realtà, cari colleghi.
Ricordiamo tutti come alla fine degli anni '70 la crisi della Fiat occupazionale non sia derivata soltanto dalla introduzione delle nuove tecnologie, come qualcuno ancora questa mattina ricordava, che ha costretto o ha consentito la riduzione della occupazione all'interno di questa azienda, ma è derivata anche dal fatto che da un circa 1.600.000 veicoli prodotti all'anno si è dovuto ridurre perché il mercato non assorbiva più di tanto, la produzione a livelli di 1.100.000-1.200.000 veicoli prodotti perché questa era la possibilità e la potenzialità reale dei mercati di assorbire il prodotto. E allora vedete che il problema non è soltanto quello di un risanamento interno, quello di far quadrare il bilancio, ma è quello di trovare nuovi spazi perché il prodotto possa allargarsi, perch tutti gli effetti che questo comporta possano rimbalzare positivamente non solo, in termini aziendali, ma in termini indotti per la collettività.
Quali conseguenze - e certamente questo è l'aspetto altrettanto importante che un organismo come il nostro deve considerare- e accordi di questo tipo che io ritengo al di là del fatto concreto e specifico di questi giorni dovranno comunque essere perseguiti se si vuole perseguire la via dell'allargamento delle possibilità di ricchezza e dell'allargamento delle possibilità produttive avrebbero comportato? Da più parti si è ventilato il timore che questi fenomeni e questi tatti avrebbero potuto comportare trasferimento altrove di sedi produttive di unità produttive. Non credo sussistente questo tipo di pericolo.
Evidentemente l'esperienza e il modo di produrre odierno e le esigenze anche di natura finanziaria comportano la necessità di ridurre al minimo quelli che venivano definiti gli stoccaggi di produzione e quindi questo comporta per interfaccia la necessità di mantenere i luoghi di produzione vicini a tutti gli altri elementi necessari per arrivare al prodotto finito e quindi vicini alle sedi in cui gli altri elementi che concorrono a formare il prodotto vengono a loro volta prodotti (componentistica, ecc.).
Evidentemente la nostra Regione, la nostra città capoluogo, sotto questo profilo avrebbero e hanno un ruolo e un vantaggio non indifferente rispetto ad altre situazioni avendo tutto questo tessuto e questa maglia di indotto collaterale e potendo fruire all'interno e all'esterno di queste attività di personale qualificato e attrezzato. Il rischio più grosso - e questo lo diciamo molto chiaramente - sarà o sarebbe stato a seconda delle ipotesi attinente alla struttura direzionale che (anche in questo caso dobbiamo guardare un po' più in largo ed in alto) rappresenta l'elemento catalizzatore per tutte quelle attività indotte di servizi e di produzioni pregiate, che oggi dobbiamo vedere come la concreta possibilità per il domani di un allargamento delle possibilità occupazionali. Sede direzionale significa possibilità di allargamento degli interventi nei settori avanzati, quei settori che fanno crescere le nuove funzioni produttive e funzioni di servizio e che sono - diciamolo con molta chiarezza - la speranza per il domani per un allargamento reale delle possibilità occupazionali. Non lo diciamo noi e non lo inventiamo oggi il fatto che l'avanzare delle tecnologie, l'affinamento delle modalità di produzione porterà in certi tipi di attività produttive, se non la riduzione certamente non l'aumento delle possibilità lavorative. Indagini in questo senso sono state fatte all'estero dal M.I.T., e sono state fatte in Italia dall'Assolombarda, mentre parallelamente cresceranno e crescono le potenzialità di occupazione in tutti quei settori che a fianco delle attività tradizionali saranno necessari e sarà possibile sviluppare all'intorno.
Non è un mistero per nessuno, ritornando all'esempio che ci occupa quello della Fiat, che se nel 1980 la produttività era di 13 auto anno per addetto, oggi si aggira attorno alle 25 auto per addetto, mentre si stanno espandendo tutta una serie di attività di contorno, di servizio che consentono in parte di riassorbire quelle fasce di mano d'opera eccedenti dalle attività tradizionali. Questo è il punto centrale del problema, cioè praticare azienda ed enti locali, azienda e Stato una politica industriale complessiva che consenta di sviluppare tutte quelle funzioni della impresa collaterali e nuove rispetto a quelle tradizionali che siano vantaggiose in termini di profitto per l'impresa, di solidità economica per l'impresa, ma che siano vantaggiose per la città, per la Regione che le ospita,in termini di ricchezza generale, in termini di possibilità occupazionale.
Questo è il giudizio che noi diamo e credo che il nostro compito e il nostro ruolo sia proprio quello di favo-rire questo tipo di processo e questo tipo di politica industriale che consenta questi risultati e questi obiettivi. Come possiamo farlo? Certamente, e su questo sono d'accordo con chi prima di me l'ha detto, è indispensabile che si allarghino i canali di comunicazione e di informazione tra l'azienda e gli Enti locali, proprio perché non è un fatto e non sono fatti strettamente di tipo aziendali, ma sono fatti che richiedono interventi che sono anche di altri, in primo luogo per quanto ci riguarda la Regione Piemonte, che richiedono interventi di tipo normativo, non solo regionale, ma statuale per quanto riguarda il collocamento, per quanto riguarda la legislazione sul lavoro, che richiedono interventi coordinati per quanto riguarda la politica degli investimenti, non ultima, la politica delle infrastrutture tanto vituperata e oggi in parte finalmente recuperata, se è vero, come 'noi riteniamo sia vero, che l'importante in operazione di questo tipo è tenere il cuore della vicenda, il motore della vicenda (visto che parliamo di industria automobilistica) all'interno della nostra Regione e quindi creare le condizioni perché direzionalità, perché attività pregiate possano attraverso i servizi che l'area consente, trovare luogo in Regione e trovare sviluppo nella nostra Regione.
Questi sono gli elementi che dobbiamo tenere presenti nella nostra valutazione e anche nella valutazione dell'Ordine del giorno che è stato presentato e su cui credo potremo dar più compiuto giudizio al termine del dibattito.
Fin d'ora alla luce di quanto detto e alla luce degli avvenimenti di quest'ultimi giorni che allo stato ci sembra per parte insufficiente e per parte superato e che quindi necessiti di una revisione alla luce di un ragionamento più approfondito che sarà fatto in questa sede e alla luce dei nuovi eventi che sono accaduti in questi ultimi giorni.
Non commentiamo l'errore di considerare questi fatti come fatti isolati, come fatti assestanti, come variabili indipendenti: sono elementi a nostro giudizio obbligati, sono elementi che si devono inquadrare in una complessiva politica industriale che riteniamo correttamente debba andare in questa direzione per i motivi che ho detto; sono elementi che possono se positivamente sviluppati - migliorare, al di là dei provvedimenti tampone, al di là dei provvedimenti paracadute, la situazione economica ed occupazionale della nostra Regione.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Ferrara.



FERRARA Franco

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, la mozione presentata dal PCI relativamente alla situazione della Fiat, giunge a discussione in Consiglio regionale ed è bene forse che giunga in discussione oggi dopo l'annuncio della interruzione dei rapporti tra Fiat e Ford e non una settimana fa. E' un elemento di chiarezza che sgombra il campo da una discussione che non poteva che restare nel vago.
Questa nuova situazione non è tuttavia tale da far venire meno l'importanza della discussione; gli interventi ascoltati in quest'aula questa mattina e gli accenti usati in questo dibattito sono tali da giustificare l'importanza di numerosi problemi indicati dalla mozione che affrontano un insieme di problematiche molto importanti, di politica industriale piemontese e nazionale, problemi che meriterebbero più di un dibattito, di un confronto e di una mozione.
La vicenda della Fiat rientra a pieno titolo, nell'attuale difficile fase della transizione industriale che ha particolarmente investito la nostra Regione, culla industriale per eccellenza e terreno di sviluppo di nuove imprenditorialità. Nel corso di questi anni, le caratteristiche del nostro sistema industriale sono andate modificandosi e continueranno a modificarsi profondamente, così pure l'intero panorama industriale ribaltando completamente quelli che sono i termini del confronto, di gestione dei rapporti consueti o meno tra le parti sociali e la società nel suo complesso.
Un tempo la formazione di un operaio richiedeva circa un decennio; con l'avvento del tailorismo, la formazione e la capacità di un operaio usato in catena di montaggio si limitava a pochi minuti; oggi l'operaio specializzato di cui l'industria italiana più avanzata ha bisogno, deve possedere cognizioni elettroniche formative che comportano almeno un triennio per la formazione. Questi elementi mi pare siano emblematici, di un sistema industriale che è nuovo, si evolve e ci conduce verso quella che qualcuno chiama "società post- industriale".
Mi pare però più corretto definire "società post-operaia" dal momento che il sistema industriale della Nazione continuerà ad essere l'elemento forte del settore economico.
La stessa funzione dell'imprenditore va mutando in una ricerca di una nuova autonomia: autonomia da grandi gruppi, autonomia dell'ingerenza pubblica, autonomia imprenditoriale tout-court. Gli stessi strumenti sono cambiati e vanno cambiando: la Cassa integrazione, così come è stata ipotizzata quando è stata creata, era lo strumento che doveva permettere la ristrutturazione industriale con riduzione della mano d'opera in fase temporanea e con un riassorbimento congiunturale.
Oggi la Cassa integrazione è diventata un ammortizzatore sociale importante, traumatizzante per l'espulso, fuoriero di fenomeni sommersi non sempre positivi, molte volte negativi, costo per il sistema nel suo complesso non so fino a quando sostenibile.
La stessa ultima vicenda referendaria, mi pare abbia dimostrato che i tabù non possono più esistere. Le società organizzate non possono più permettersi battaglie di retroguardia; non possiamo cioè permetterci di lasciare ai soli meccanismi spontanei la risoluzione dei problemi che in questo caso sarebbero soltanto la gestione di equilibri, di sottoccupazione e di retroguardia. La riorganizzazione dei processi produttivi prima , e la introduzione di nuove tecnologie successivamente, hanno innescato questi mutamenti. Occorre confrontarci con questi mutamenti senza porci in una posizione , di opposizione preconcetta come qualcuno fa, perché soltanto confrontandoci seriamente con questi mutamenti è possibile mantenere il Piemonte e l'Italia in qualche alveo di sviluppo possibile.
Questi mutamenti li leggiamo anche nella storia e nello sviluppo della Fiat in questi ultimi anni; da industria primariamente meccanica ad industria meccatronica per la combinazione di tecnologie elettroniche. Non dobbiamo dimenticare che la Fiat è certamente la più alta concentrazione robotica in Italia e non solo in Italia. L'evoluzione della grande industria torinese ha stimolato e costretto all'innovazione le centinaia di aziende che costituiscono il suo indotto le quali hanno dovuto adeguarsi alle nuove metodologie produttive, hanno dovuto adeguarsi alla nuova situazione complessiva anche loro a pena di uscire dal sistema stesso.
La realtà imprenditoriale piemontese si sta rafforzando, sta crescendo con delle potenzialità che sono insieme sociali ma anche occupazionali e non sembra questa una affermazione contraddittoria con la tendenza attuale di riduzione dell'occupazione nella grande azienda. La tendenza nel breve e nel medio periodo è certamente di questo tipo, è una situazione molto preoccupante per quella che sarà l'occupazione. I posti di lavoro non si creano con le parole o sulla carta, con degli slogan o con delle manifestazioni, ma con l'avvio di un processo di ripresa globale del sistema industriale nel suo complesso.
Solo questa prospettiva rappresenta una speranza reale di ritorno al lavoro o di primo impiego. Si tratta in definitiva di una realtà di rinnovamento che va stimolata perché può favorire il processo occupazionale; credo anzi, si possa affermare che solo percorrendo questa strada il problema dell'occupazione può essere affrontato seriamente. La grande importanza che la parte pubblica in questo processo di transizione deve svolgere è fondamentale e decisiva al fine di contrastare e superare contraddizioni apparenti o reali che si determinano in un periodo di transizione.
La situazione della Fiat oggi vede ancora 7.000 dipendenti in Cassa integrazione a zero ore dei quali - credo sia bene dirlo con onestà e franchezza - non tutti potranno rientrare entro breve termine nel mondo del lavoro o entro il periodo fissato dagli accordi del 1985, cioè entro il 30 giugno 1986.
Per coloro i quali non esisterà una prospettiva in reimmissione nell'azienda, occorrerà fare pressioni perché vengano individuate in primo luogo da parte dell'azienda stessa quelle soluzioni capaci di attutire i grossi problemi sociali connessi.
Credo che ci sia anche un altro elemento che non deve essere usato in modo troppo eccessivamente liberistico, come forse da qualche parte della sinistra viene fatto. Certamente esiste una tendenza alla riduzione della forza occupazionale della Fiat; è una tendenza che andrà sviluppandosi nei prossimi anni, ma che deve essere considerata non dico quasi fisiologica ma comunque capace di essere affrontata dal sistema senza traumi particolari.
Credo che un impegno di questo genere, si possa fare carico alla società direttamente. Non credo che l'eccedenza dovuta ai miglioramenti tecnologici, ai metodi di lavoro, alle nuove tecnologie, possa determinare nuove tensioni sociali.
Sollecitazioni pure devono essere fatte sulla parte pubblica. Da parte del Governo sono allo studio alcuni strumenti di politica industriale che devono essere sollecitati e che devono costituire l'avvio di una revisione autentica di molti strumenti oramai obsoleti, una revisione complessiva in definitiva della legislazione industriale. E' giusto, come chiede in parte la mozione presentata dal PCI, che il Consiglio regionale si adoperi perch il Parlamento in primo luogo proceda tempestivamente a predisporre tutti gli strumenti di politica industriale che oggi si rendono necessari.
E' una sollecitazione necessaria, anche se non condividiamo tutti gli strumenti indicati nella mozione del Partito comunista che solo così enunciati, senza un approfondimento di merito e senza un riscontro dell'impatto sulla finanza pubblica, non possono essere accettati. Credo si debba dire molto onestamente che a fronte di questa esperienza di gestione della transizione che stiamo vivendo, per non usare termini troppo grossi dello sforzo che si sta compiendo per superare la crisi che la società piemontese e non soltanto, stanno affrontando, l'industria privata in qualche modo abbia saputo darsi complessivamente dal suo punto di vista dopo errori ed incertezze una prospettiva strategica.
Non possiamo non rilevare invece come la parte pubblica nel suo complesso abbia invece dato prova molte volte della incapacità o di inefficienza. A fronte della situazione specifica del Piemonte, che vedeva il sistema industriale impegnato nella ricerca di superamento della crisi in questi ultimi anni gli enti locali hanno saputo soltanto contrapporre lamentele, parole, programmi contradditori e comunque quasi mai realizzati.
Iniziative di respiro strategico che avrebbero potuto determinare condizioni migliori per la ripresa non solo non sono state realizzate, ma neppure progettate o individuate.
Ecco perché allora il nostro impegno non può limitarsi soltanto a chiedere ad altri dei provvedimenti, ma deve essere essenzialmente riferito a noi stessi, perché l'Ente di cui siamo parte, dia l'avvio di una politica capace di favorire concretamente il processo di transizione e più in generale di sviluppo dell'intero sistema industriale. Occorre rimuovere tutti i vincoli legislativi di carattere regionale che in questi anni hanno obiettivamente condizionato e fermato lo sviluppo. Occorre predisporre strumenti capaci di offrire servizi reali alla piccola impresa e all'artigianato, politica di servizi reali più di quella tradizionale erogatori di agevolazioni finanziarie o di tutela sociale. Occorre avviare quelle iniziative capaci nel breve periodo di creare alternative alla contrazione di lavoro che il sistema produttivo potrà determinare.
Solo queste scelte a nostro giudizio consentiranno uno sviluppo complessivo del sistema industriale. Mi pare, infine, sia cosa superata parlare oggi del problema sollevato dalla mozione del PCI relativamente all'accordo Fiat-Ford. L'accordo non c'è più e quindi si.potrebbe anche tacere rispetto a questo argomento. Ma riteniamo tuttavia che il problema di accordi internazionali, di integrazione nel settore dell'auto, e non solo (l'esempio dell'Olivetti ci insegna), costituisca un elemento decisivo di sviluppo nel nostro sistema industriale. Probabilmente il problema verrà ripreso nei prossimi mesi o anni e un qualche accordo verrà trovato perch tra 10 anni il panorama complessivo mondiale del mercato dell'auto certamente sarà diverso e sarà caratterizzato da questi accordi internazionali di integrazione.
Non si può infatti ignorare la situazione mondiale del settore che vede la Fiat industria importante, industria leader che va però ad occupare piccole fasce di certi mercati europei, come la Germania o la Francia. Oggi non è più consentito vivere in margini così ristretti soprattutto in una situazione come è quella del mercato dell'auto che vede le imprese mondiali comprensibilmente tutelate dalle strutture pubbliche, dai governi e dagli stati e che quindi non consentono un confronto vero capace di far uscire o di conquistare nuove fette di mercato. Gli accordi internazionali devono essere caratteristica della politica industriale dei primissimi anni; ogni azienda automobilistica ha motivi di prestigio da difendere, ed è proprio per questo motivo che crediamo che nostro compito sia creare quelle condizioni ideali perché un eventuale accordo della Fiat con qualche altra azienda, consenta alla stessa e al Piemonte di mantenere il cervello, il cuore con la direzionalità di quello che potrà essere un nuovo accordo.
Questo è il compito dei pubblici amministratori e non certamente degli amministratori di aziende private.
I problemi che tutti noi abbiamo esposto ed affrontato e che sono discussi nella mozione della Fiat, meritino un approfondimento più serio concreto e puntuale; meritano un confronto in una sede forse più appropriata, meno sensibile a motivazioni propagandistiche, una sede più raccolta dove serenamente e seriamente possano essere affrontati compiutamente questi problemi.
E' già stato detto da qualcun altro di non procedere ad una votazione della mozione, ma trasferire in una sede più idonea il problema perch venga affrontato, discusso ed individuate meglio le richieste che vengono fatte nella mozione.
Il dibattito di quest'oggi dovrebbe probabilmente concludersi senza una votazione finale, ma con l'impegno a continuare ad approfondire questi argomenti nella Commissione competente.


Argomento:

Sull'ordine dei lavori


PRESIDENTE

E' stato distribuito un Ordine del giorno per quanto attiene alle dichiarazioni dell'Ing. Corbellini a firma dei Consiglieri Mignone, Rossa ed altri.
Ricordo che abbiamo da discutere l'Ordine del giorno conclusivo per quanto riguarda la seconda Centrale nucleare e resta da decidere in ordine al documento sulla situazione Medio-Oriente.
Ritengo pertanto che ora potremmo procedere fino alle ore 13 e riprendere i lavori alle ore 15 con la dichiarazione dell'Assessore Cerutti circa l'incontro da lui avuto con il Ministro dei trasporti, dichiarazione che è opportuna prima che i giornali ne diano notizia.



FERRO Primo

E' stato presentato un Ordine del giorno delle forze del pentapartito sulla questione della seconda Centrale nucleare. Se discutiamo tutti gli Ordini del giorno presentati andremmo certamente a tempi lunghi, pertanto sarebbe gradito al nostro Gruppo la richiesta dell'Ufficio di Presidenza a che si ricerchi una formulazione unitaria del documento prima che venga messo in discussione.
Una richiesta di questo genere noi l'accoglieremmo.



BRIZIO Gian Paolo

Il Gruppo DC è disponibilissimo a ricercare una convergenza fra i documenti.



PRESIDENTE

Indichiamo i membri del Consiglio che se ne occupino.



STAGLIANO' Gregorio Igor

Signor Presidente, sarebbe utile definire oggi la discussione sull'Ordine del giorno sul Medio-Oriente perché la questione è di evidente interesse politico ed attualità.



PRESIDENTE

Al termine della mattinata discutiamo tutto.


Argomento: Industria (anche piccola e media) - Problemi del lavoro e della occupazione

Esame mozione presentata dal Gruppo PCI sulla Fiat (seguito)


PRESIDENTE

Riprendiamo l'esame sulla mozione del Gruppo PCI.
La parola al Consigliere Ala.



ALA Nemesio

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, confesso la mia difficoltà ad intervenire sull'Ordine del giorno presentato dal PCI, Ordine del giorno che ho letto e riletto e che considero estremamente denso di implicazioni e di correlazioni con la politica industriale degli ultimi anni, considerata anche nelle sue integrazioni internazionali, nei rapporti tra l'innovazione tecnologica, l'occupazione e il ruolo che possono avere le forze politiche locali e nazionali.
Sentite le interessanti argomentazioni di chi mi ha preceduto: la relazioneintroduttiva di Manfredini, l'intervento del collega Tapparo - con i suoi accenni critici in merito alla "deregulation" che sembra andare oggi molti di moda in alcuni settori italiani ed internazionali, ed il suo sottolineare l'esigenza di una correlazione tra l'impresa e l'ambiente e l'elevato numero dei disoccupati esistenti sul territorio regionale - e del Consigliere Staglianò, sulle esigenze di ampliamento delle vendite che l'innovazione produce come sua necessità, cioè il mezzo milione quasi di vetture annue che deve essere equipaggiato con il nuovo modello prodotto negli stabilimenti di Termoli, svolgerò un intervento che risulterà purtroppo molto meno omogeneo e rigoroso di questi.
Oggi ho impiegato 45 minuti nell'ingorgo torinese per giungere qui in Consiglio. Nel frattempo, riflettevo sul fatto di possedere una delle 1.076.200 autovetture Fiat prodotte l'anno scorso. Mi sentivo un utente soddisfatto perché avevo l'automobile "UNO", l'automobile dell'anno e intanto ero bloccato nell'ingorgo di Corso Vittorio sotto il monumento.
Pensavo anche che di queste macchine ce ne sono moltissime, quando la lascio nel garage della Regione la mia "UNO" blu non riesco mai a trovarla smarrita tra altre auto uguali e dello stesso colore. All'addetto al garage che mi chiede: "quale 'UNO' blu"? Io rispondo: "quella sporca". Così in qualcosa è possibile distinguerla.
Scusate queste premesse che possono anche apparire divagatorie, quasi un tentativo di sfuggire alle difficoltà che comporta l'affrontare il tema in oggetto.
L'Ordine del giorno presentato è profondamente condivisibile se ci si ferma alla gestione immediata dei problemi. Così pure potrebbe essere razionale e ragionevole se, ponendoci dal punto di vista del management della Fiat, sottolineare l'importanza del creare correlazioni, strutture internazionali, del lottare per l'innovazione, ecc.. Però nello stesso tempo, tutto questo appare profondamente irrazionale se si cerca di estrapolare le linee di tendenza e di sviluppo del mercato dell'automobile e dell'occupazione, quella che qui è stata chiamata politica industriale.
Soprattutto, mi risulta difficile collegare sempre ed auspicare, così come si legge in una dichiarazione sulla "La Stampa" di oggi di Piero Fassino, l'innovazione tecnologica e la difesa dell'occupazione.
Lo stesso accordo Fiat-Ford avrebbe provocato nuove e drastiche riduzioni del numero degli addetti, in quanto sarebbe servito ad eliminare doppioni tra la Ford-Europa e la Fiat. Mi lascia quindi profondamente perplesso il tentativo, ormai di anni, di tenere insieme in un modo o nell'altro queste due politiche che vanno sempre più divaricandosi l'una dall'altra.
Ho portato oggi con me alcuni libri: "Riprendere tempo" di Piero Marcenaro, tutto incentrato sulla necessità per i lavoratori dipendenti (quelli che l'autore chiama "classe operaia") di trovare ed inventare delle forme per rallentare il ritmo e la velocità dell'innovazione, così da permettere a interi strati sociali (il Consigliere Tapparo parlava esattamente di 40-45enni, perché questa è l'età media dei lavoratori della Fiat) di non essere spazzati via, non solo come forza-lavoro ma anche come soggetti sociali, come individui e gruppi che possiedono cultura tradizioni, modelli di vita e di comportamento.
La cosa che più mi colpisce nella discussione odierna, è la sensazione del non rendersi conto di quella che, a mio avviso, sta sempre più rivelandosi una illusione a lungo coltivata, l'illusione di potere in qualche maniera intervenire in merito a processi che si svolgono totalmente al di fuori o totalmente al di sopra della nostra testa.
Quando sono stati firmati gli accordi sulla Cassa integrazione alla Fiat, forze e gruppi sociali già avevano espresso con chiarezza l'impossibilità che quegli stessi accordi venissero rispettati. Altre forze sindacali invece si erano - io mi auguro in buona fede - illuse in merito alla possibilità di mantenere fede a questi accordi. Se si esce dall'immediato e ci si proietta nei prossimi dieci anni, in quelli che Cesare Romiti chiama "i 10 anni di stagnazione del mercato europeo dell'auto", anche le decisioni che noi potremmo prendere paiono viziate da questa sensazione di impotenza. Questo controllo sfugge totalmente alle assemblee elettive a meno che dentro le stesse assemblee elettive non vi siano forze politiche, sociali ed economiche direttamente interpreti di queste precise esigenze.
Non è più pensabile che queste grandi scelte di politica internazionale siano alla portata di una assemblea come questa.
Leggendo l'Ordine del giorno e sentendo gli interventi mi pervade un senso di estraniazione, avevo l'impressione di non poter intervenire su queste cose. Collocandomi fuori da questo contesto, non riuscendo a farlo mio proprio, vi propongo una autonoma proiezione dei prossimi 10 anni.
Chiediamoci, per esempio, perché di fronte alla recente contrazione del mercato europeo dell'automobile (del -3,2% nel 1983) c'è stata una controtendenza italiana del +3,5%, chiediamoci come questa controtendenza italiana sia, sotto certi aspetti, indotta falsamente creando falsi bisogni di ricambio di automobili da parte degli utenti e come questa controtendenza possa essere sostenuta soltanto da nuove autostrade (progetto Nicolazzi) e dal taglio delle Ferrovie dello Stato (progetto Signorile).
Si usano poi tutti gli strumenti di una distorta politica economica industriale che vanno dall'aumento degli investimenti pubblicitari all'aumento del numero delle autostrade, alla riduzione dei trasporti ferroviari, per creare il falso bisogno di nuove automobili.
Il mercato europeo ed il mercato italiano possono per 10 anni ancora essere riempiti dal numero di automobili previsto dai progetti della Fiat e delle altre case automobilistiche europee. Dove riusciremo a metterle? Questo pensavo stamattina, imbottigliato nel traffico.
E' questa la proiezione strategica che forze politiche che tentino concretamente di organizzare il futuro dovrebbero porsi di fronte. E' ora di abbandonare la nostra ossessione per la crescita. E' un'ossessione che si leggeva nei commenti di ieri. L'accordo Fiat-Ford non parlava mai di quale sviluppo, di quale crescita. Era quasi un accordo mitico, per il fatto che comunque avrebbe garantito innovazione e progresso. A parer mio non avrebbe garantito assolutamente nulla e questo va detto anche a costo di essere impopolare. L'accordo Fiat-Ford sarebbe costato moltissimo al Piemonte e all'Italia, avrebbe creato forme di gigantismo ancora più grosse che avrebbero richiesto, tra pochi anni, delle ancor più drastiche e sconvolgenti trasformazioni del tessuto sociale locale e nazionale.
Meglio non fare le automobili, meglio non fare le strade. Mi pare ve ne siano a sufficienza. Non sto dicendo che dobbiamo prendere a modello la Germania o la Francia. Il discorso sullo sviluppo della Fiat è uguale al discorso sull'Enel. Anche sull'Enel si pensa che questa assemblea abbia un potere quando invece ha una parvenza, una illusione del potere.
L'Anas, l'Enel, la Fiat-Ford ci passano sopra, a meno che noi non si sia solidamente d'accordo con queste forze, con questi gruppi. Invito tutti a riflettere, ma soprattutto le forze della sinistra, sulla possibilità di incidere su queste grandi scelte. Hanno ragione certo, a cercare di incidere. L'unica soluzione è una vera e profonda trasformazione culturale.
Vorrei chiudere con alcune riflessioni di Ivan Illich, scusandomi preventivamente se finisco sempre col tornare a citare ambienti cattolici tratte dal suo opuscolo "Energia, velocità e giustizia sociale". Ivan I1lich riflette sul modo in cui la politica dei trasporti delle grandi industrie automobilistiche abbia profondamente modificato la configurazione del nostro spazio sociale, come abbia creato una crescente ineguaglianza e una reale mancanza di tempo.
Ivan Illich dimostra che più andiamo veloci, più perdiamo tempo.
Superata la velocità media di 20 km, orari, tutto il resto è tempo perso.
Non c'è più un reale aumento dei nostri risparmi di tempo, ma c'è un aumento dei nostri costi e della necessità di impiegare una parte crescente del nostro tempo e del nostro lavoro, per comprare la benzina, per pagare le tasse e il bollo di circolazione e per curare la nostra automobile.
Lo stesso vale per le Ferrovie. I dati pubblicati dal "Sole 24 Ore" ci dicono che, negli ultimi 10 anni, i tempi medi di percorrenza nonostante il nostro progresso tecnologico (o meglio, a causa dello stesso), sono aumentati di un'ora e mezza andando dal nord al sud dell'Italia.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Mignone.



MIGNONE Andrea

Signor Presidente, colleghi Consiglieri, farò un breve intervento senza citazioni da libri, anche se auspicherei riferimenti più recenti e più aggiornati sui temi della politica industriale di quelle che abbiamo sentito: tra l'altro anche le cose dette da Aristotele due millenni fa nessun altro le ha più dette. In tema di politica industriale forse qualche cosa di più recente ed aggiornato esiste. L'iniziativa avviata dal PCI per richiamare l'attenzione del Consiglio con un proprio Ordine del giorno è stata una iniziativa condivisibile e positiva. Non condivido però alcune delle questioni contenute nel documento. Peraltro, mi corre l'obbligo di ricordare che già in alcune parti del programma presentato dalla maggioranza erano contenute indicazioni per ciò che attiene alla politica industriale di competenza della Regione. Si potrà aprire il dibattito, ad esempio, sulle posizioni del Consigliere Tapparo di un ruolo più incisivo delle Regioni in tema di politica industriale, o meno, a seconda dei punti di vista.
Questo è un tema che atterrà al Piano di sviluppo, documento fondamentale che deve nascere e svilupparsi all'interno della istituzione consiliare.
Fatta questa breve premessa, credo che il documento su cui si è sviluppato il dibattito attenga da un lato alla situazione del mercato dell'automobile (della Fiat in particolare) e dall'altro alle prospettive delle politiche industriali, delle politiche del lavoro, delle politiche territoriali.
Per quanto riguarda il primo aspetto siamo in presenza di un quadro della industria automobilistica mutevole e caratterizzato da forti tensioni e da forte ristrutturazione. Il quadro competitivo che sembra essere prefigurato dall'andamento degli anni più recenti si struttura attorno ad un mercato sostanzialmente maturo per quanto attiene ai tassi di crescita tendenziali della domanda, che, come ha rilevato l'Ires recentemente, sono prevedibili in Europa attorno all'1/2% annuo. D'altro canto la crescita tendenziale legata alla domanda di sostituzione si realizzerà con un andamento ciclico estremamente irregolare ed asincrono tra i vari mercati nazionali.
Credo debba essere dato atto e riconoscimento alla Fiat, al di là dei problemi che si sono rovesciati sul piano dell'impatto occupazionale e territoriale, di aver sviluppato una strategia che ha avuto attenzione ai mutamenti intervenuti nel mercato internazionale; perché, a fianco delle strategie della produttività e della politica dei modelli, è oramai all'Ordine del giorno della questione delle strutture proprietarie ed organizzative dell'intero sistema automobilistico europeo.
Si tratta cioè di configurare un nuovo equilibrio oligopolistico tale da permettere un miglior controllo del mercato europeo che sia in grado di aprire un confronto sui mercati terzi con i produttori americani e giapponesi in posizioni di non subalternità.
Credo che la Fiat si sia mossa avendo presente quest'ottica.
Queste politiche aziendali hanno degli impatti, dei riferimenti, delle ricadute sul piano occupazionale che non vanno sottovalutati; anzi, sono preoccupanti, e su essi il collega Tapparo si è ampiamente soffermato avendo presente che l'innovazione di per se nel breve periodo non promuove nuova occupazione. Su questo elemento dobbiamo riflettere per cercare di mettere in moto una serie di meccanismi, non soltanto degli ammortizzatori sociali, ma delle politiche attive per ciò che attiene la qualificazione e la formazione dei lavoratori, tali da rendere i giovani in grado di affrontare queste nuove sfide. Credo che non serva bloccare il sistema su modelli passati, il non prevedere delle aperture di mercato né credo che serva il ricorso continuo e perpetuo al semplice meccanismo della Cassa integrazione. Ci rendiamo conto che su questo terreno è semplice fare delle diagnosi, magari vi è anche una convergenza nell'individuare i nodi, ma diventa poi tutto, più difficile quando si tratta di prefigurare i sentieri per uscire dalla crisi e per riprendere una politica di sviluppo: come se il vissuto sia più ricco e più emergente rispetto al pensato, nel senso che diventa difficile andare a prefigurare dei correttivi e delle politiche attive in questa direzione.
Per quanto riguarda il mancato accordo Fiat-Ford, credo che nessuno di noi abbia tirato un sospiro di sollievo quando ne ha avuto notizia. Vi erano delle preoccupazioni che potevano anche essere condivisibili tuttavia la direzione che era stata intrapresa era una direzione per certi aspetti anche obbligata, nel senso che nel futuro più o meno prossimo non si può non prefigurare uno scenario in cui questo tipo di iniziative non sia uno scenario lontano e non ipotizzabile.
Credo che si debba comunque arrivare a formule di questa natura se si vuole rimanere nel mercato ed essere ancora competitivi.
Peraltro quello che non è stato fatto dalla Fiat-Ford, è invece stato realizzato dalla Chrysler assieme alla Mitsubishi seppur partendo da un livello basso di cooperazione per quanto riguarda la tecnologia e la produzione di alcune componenti.
Questo è un obiettivo che può essere perseguito dalla Fiat e dalla Ford. E' l'obiettivo di profilo più basso. Invece credo che la decisione sia definitiva per quanto riguarda l'obiettivo di più grande profilo e di più ampie dimensioni. Questo è comunque un problema che sarà riproposto perché è ineludibile per ciò che attiene alla internazionalizzazione dei mercati. Se alcune preoccupazioni sono giuste, credo si debba riconoscere alla Fiat di aver avuto attenzione a non privare l'Italia ed il Piemonte della parte che riguarda per esempio al management.
Credo che nella visione della Fiat vi siano state delle logiche aziendalistiche ed azionarie che hanno determinato questo atteggiamento. Ma voglio credere che vi sia stata anche una attenzione rispetto a quello che era rappresentato come pericolo di perdita da parte dell'Italia e di Torino del management. Questo è stato uno dei punti di scontro, perché pareva che il management dovesse emigrare dall'Italia e dal Piemonte e sarebbe stato un grave colpo non soltanto per l'economia piemontese. Questa preoccupazione è stata messa nella giusta evidenza.
Non si può sfuggire dalla vocazione internazionale della industria automobilistica né da quella che è la evoluzione del mercato. Questo dobbiamo aver presente quando diciamo essere il Piemonte una regione di frontiera, una regione che ha una vocazione europea ed internazionale. Se siamo convinti di queste affermazioni, non possiamo neanche vedere con timore o con eccessiva paura il fatto che le nostre industrie cerchino di rispondere a livello internazionale alla sfida, che non si gioca soltanto in Italia, ma che si gioca sui mercati mondiali. E' un discorso di internazionalizzazione del mercato e di risposta alla sfida tecnologica degli anni 2000.
Il nodo centrale della politica industriale oggi è che andiamo verso un mercato internazionale, con tutti i problemi che ciò comporta, non dobbiamo perciò, avere presente soltanto lo stivale, l'Italia, altrimenti non riusciremo mai ad uscire da una politica industriale di sovvenzioni, da una politica di difesa.
Il problema della internazionalizzazione della economia e della capacità della nostra industria di rispondere a questa sfida è il criterio centrale perché appunto l'economia moderna è caratterizzata da un grado crescente di integrazione dei mercati con relativo reciproco condizionamento. La proiezione esterna della industria non è più soltanto per quanto riguarda la esportazione, avviene anche addirittura per ciò che attiene alla struttura e gli assesti societari.
L'internazionalizzazione è un fatto di sviluppo e di miglior specializzazione produttiva.
Vi è un freno però, e qui mi limito soltanto a ricordarlo perché esula dal nostro dibattito, che attiene alla influenza nei rapporti di cambio tra le monete.
La Regione ed il Parlamento italiano devono fare uno sforzo perché la integrazione europea sia anche una integrazione monetaria. Occorre che il sistema monetario europeo decolli in modo incisivo e concreto perché molti problemi che hanno anche le nostre industrie nel momento in cui si affacciano ai mercati internazionali sono dovuti alla instabilità ed ai repentini mutamenti nel sistema dei cambi e di parità fra le monete.
Occorre avere come elemento centrale il sistema internazionale dei nostri commerci e capire che quando parliamo di politica industriale dobbiamo correggere 'il tiro rispetto ai nostri orientamenti e valutazioni precedenti.
Molte volte ci portiamo dietro il timore di andare in modo aperto sui mercati internazionali: anche il problema delle multinazionali è considerato da una certa ideologia come un mostro che nella realtà servirebbe per determinare gli assetti politici negli altri Paesi. Credo che questa sia una ideologia da combattere e da sconfiggere, perché intanto l'economia l'ha sconfitta.
Occorre rielaborare complessivamente una politica industriale a livello nazionale con il contributo anche delle Regioni. Mi pare peraltro che la risoluzione della Commissione Rebecchini vada in questa direzione.
Sostanzialmente denuncia come sia da rivedere complessivamente una vera e propria politica industriale che in questi anni è stata sostituita dalla politica del cambio stabile.
La Regione deve far sentire la sua voce sul livello nazionale affinch sia ripresa e riformata la nostra politica industriale. A differenza del collega Tapparo, credo che il tema della politica industriale debba rimanere ancorato al livello del Governo centrale e del Parlamento nazionale. Questo non vuol dire che le Regioni non debbano sviluppare interventi collaterali importanti che possono contribuire a realizzare e ad attuare la politica industriale, ma che questa, per la complessità dei suoi aspetti, debba rimanere al livello nazionale appunto perché si parla di politiche internazionali.
In questo quadro un richiamo forte deve essere fatto alla ripresa di una politica di programmazione a livello nazionale. Lo dice appunto il nostro Gruppo che partecipa al Governo, il cui Partito ha addirittura il Ministero della programmazione. Anche la politica industriale se non è collegata alla politica territoriale, alla politica del lavoro diventa difficile farla uscire dal fatto episodico.
Molte volte si dice che il pubblico non interviene molto e in modo adeguato a sostegno delle imprese. Leggevo proprio questa mattina che da una indagine del Censis risulterebbe che nel 1982 sono stati dati più di 20 mila miliardi di finanziamenti pubblici alle imprese.
E' una fetta non indifferente, rappresenta il 4,2 del P.I.L e quindi questo è un fatto importante. Vuol dire che probabilmente non basta fermarsi alla politica di finanziamento pubblico alle imprese, ma occorre anche qualche cosa di più. Lo stesso dicasi per quanto riguarda la politica della innovazione, certamente un fattore strategico di sviluppo. Fino a che punto è stata utilizzata per introdurre all'interno delle aziende nuovi elementi di produzione? E' veramente servita per cambiare il sistema di produzione e di organizzazione del lavoro all'interno delle imprese? Dai dati di una ricerca del CNR risulterebbe che il 70% dei risultati dei 4 mila miliardi assegnati per la ricerca e lo sviluppo resta inutilizzato da parte delle aziende. Credo che siano dati e percentuali eccessivi. Comunque questo elemento di denuncia deve essere preso in attenta e seria considerazione.
La Regione, attraverso questi dibattiti ed altre iniziative ha il dovere di dare un contributo a ridisegnare la politica industriale del nostro Paese. Intanto, per ciò che è di nostra stretta competenza dobbiamo lavorare per creare un sistema di infrastrutture e di armature di incentivi e agevolazioni che consenta alle industrie di uscire dall'attuale situazione di crisi, per la ripresa e lo sviluppo. Questo vuol dire collegare le politiche che attengono al settore industriale, con le politiche che attengono al territorio, al lavoro; vuol dire ripensare alla politica complessiva delle aree industriali attrezzate. Vuol dire vedere quali effettivi vantaggi hanno portato allo sviluppo delle aziende. Vuol dire valutare se non è invece più utile pensare ad una politica di parchi scientifici che assomigliano alle aree industriali attrezzate, ma sono anche un salto qualitativo ulteriore che può utilmente essere avviato nella nostra Regione.
Per quanto riguarda la politica della Formazione professionale occorre un salto di qualità ed un accordo molto forte con le politiche del lavoro una Formazione professionale che si svincoli dalla logica assistenziale o comunque dalla logica che occorre in ogni caso mantenere quello che fino a ieri c'era. Vi sono delle logiche che attengono al personale, ai centri che vanno salvaguardate, ma la Formazione professionale deve.essere più flessibile e più attenta a cogliere quelle che sono le nuove domande che emergono dal settore industriale produttivo, chiamando anche le aziende ad una maggiore corresponsabilizzazione su questo tema. Non è giusto che siano soltanto lo Stato, l'Ente pubblico o la Regione a farsi carico della formazione dei giovani che domani saranno chiamati a lavorare e produrre all'interno delle aziende.
Tra le iniziative che la Regione in tempi rapidi può porre in essere vi sono quelle di una Formazione professionale più attenta e più raccordata alle politiche del lavoro e quella di avviare una politica di parchi scientifici che gradualmente sostituisca la politica delle aree industriali attrezzate.
Questi ed altri elementi spunti possono utilmente essere raccordati all'interno della IV Commissione che su queste tematiche può aprire un confronto con le forze sociali. Quindi sono dell'avviso che questo dibattito si debba concludere sostanzialmente con un ordine del giorno che rimandi alla Commissione competente l'approfondimento degli argomenti poiché in un dibattito generale come quello del Consiglio sono stati affrontati per sommi capi, certo non in modo approfondito come l'importanza dei temi, uno per uno, avrebbe richiesto.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Brizio.



BRIZIO Gian Paolo

La mozione predisposta dal Gruppo comunista tocca la vertenza Fiat e i problemi connessi alla politica del lavoro, alla politica industriale e alla politica economica.
Per queste ragioni il dibattito di oggi non potrà concludersi con l'approvazione di un documento ma questo tema complesso ed importante dovrà andare all'esame della IV Commissione perché in sede di consultazione si possono trarre valutazioni attente e concrete.
Per quanto riguarda l'Ordine del giorno approvato dal Consiglio regionale il 25 marzo, voglio ricordare che il Gruppo DC non l'aveva votato, anche se ha concordato sulla necessità che venisse verificato il mantenimento degli impegni Fiat nella situazione complessa che si è andata creando con i piani di ristrutturazione e con l'evolversi della situazione economica. Non concordavamo sulle modifiche apportate in aula al documento perché ponevano i prepensionamenti come problema di carattere generale accoglievano nella sostanza la proposta Fiat-Benvenuta da un lato e dall'altro lato imponevano alla Fiat adempimenti che non avrebbe potuto assolvere mancando il relativo quadro legislativo. Oggi credo siamo tutti d'accordo che si prosegua sulla strada della verifica degli adempimenti della azienda la quale ha avuto il sostegno finanziario della legge 675.e quindi deve mantenere gli impegni, per quanto possibile, nella mutata situazione economica ed aziendale. Pensare che i piani si debbano applicare alla lettera, anche per gli aspetti occupazionali, vederli come elementi rigidi prefigurati, vuol dire non riconoscere l'importanza dell'evolversi continua della situazione economica, non riconoscere che le situazioni cambiano nel loro sviluppo.
La scadenza del 31 dicembre si risolverà con la verifica che potrà fare il Cipe, ma si risolverà realisticamente con una ricontrattazione del problema. Credo che noi dobbiamo porre come tema centrale una ricontrattazione tra le forze sociali e naturalmente, se necessario, con la presenza della Regione.
Pensare a cose diverse significa non essere realisti e ritornare ad una politica delle relazioni industriali che difendeva tutto anche l'indifendibile e che è stata elemento negativo per lo sviluppo economico della nostra Regione.
Chi ha commentato il documento ha detto che lo stato della Fiat oggi è buono. E' uno stato buono che conferma la solidità della azienda la quale in questi anni, ha risolto i suoi problemi, ha individuato una sua strategia, si è mossa con una indubbia puntualità e non è più nella situazione degli anni dal 1976 al 1979 quando il quadro politico era diverso, la solidarietà nazionale, la situazione economica si evolveva lentamente, le condizioni esterne erano sfavorevoli e le condizioni sindacali estremamente difficili.
Nel 1976 la Fiat, in condizioni di debolezza, ha dovuto cercare le risorse finanziarie dove c'erano. E' del 1976 l'accordo con Gheddafi, il finanziamento in petrodollari relativo e l'entrata nel consiglio di amministrazione, che tutt'ora permane, di esponenti esteri tunisini.
Il miglioramento della Fiat data dal 1980 e si concreta nel 1982. Non possiamo che compiacerci per i risultati di solidità della azienda. La Fiat ha fatto la sua parte e possiamo accettare questo moto di orgoglio della Direzione aziendale e dell'azionariato. Quello che non possiamo accettare è che si consideri questo risultato come qualche cosa di ottenuto contro le condizioni esterne pubbliche. Questo non corrisponde al vero. Una parte di merito va anche allo Stato che ha consentito e contribuito a questo rinsaldamento del sistema economico.
Le aziende sopravvissute alla crisi hanno oggi acquisito solidità e possibilità di manovra.
C'è stato il dato estremamente importante dell'ammortizzatore sociale della Cassa integrazione che ha consentito una razionalizzazione all'interno della struttura attraverso il sostegno pubblico. Non solo, ma c'è stata la progressiva azione del Governo per la riduzione del tasso di inflazione quindi del differenziale di inflazione che era elemento negativo in tema di competitività e della concorrenzialità.
C'è stata la stabilità politica. Occorre dire con chiarezza che la stabilità politica dal 1982 in poi è un elemento importante per l'attività economica in se' stessa oltre che per i provvedimenti derivanti. E' la stabilità politica che ha aperto l'estero al nostro mondo economico ed industriale con una fiducia diversa, con un ritorno di investimenti ed una nuova attenzione al problema Italia, con una nuova possibilità di azione del nostro Paese. La legge sui Fondi Investimenti concreta il ritorno lento del capitale alle industrie, cosa straordinariamente importante, perch tutto il sistema industriale, Fiat, compresa, era fortemente indebitato verso il sistema bancario attraverso una fase di scarsa liquidità. Il ritorno del capitale di rischio alle imprese è un dato essenziale di questi anni. Sono elementi di politica economica che hanno consentito il risanamento delle aziende, ed anche il rilancio della Fiat.
Oggi c'è una attenzione diversa al ritorno del capitale persino da parte dei comunisti. Per la prima volta, "L'Unità" ha pubblicato i listini di borsa, quindi ha compreso che il ritorno del capitale alle aziende è un dato centrale e vitale del sistema economico. Ma perché il capitale rientri nel rischio e perché ritorni il risparmio, occorrono delle condizioni diverse rispetto al passato: intanto la stabilità politica, prospettive diverse, l'accettazione delle regole del mercato che non significa abolizione dello stato sociale o superamento degli ammortizzatori. Questi ultimi devono essere modificati ma non certamente soppressi.
Nella modernizzazione del sistema rientra il problema fondamentale della internazionalizzazione e dell'europeizzazione delle imprese e dei sistemi economici. I problemi economici non possono più essere valutati a livello nazionale. La ripresa del nazionalismo economico sarebbe estremamente negativa. La internazionalizzazione è una strategia importante che la Fiat ha attuato in questi anni e credo che tutti la condividano.
L'accordo Fiat-Ford sembra essere saltato.
Si discute adesso perché è saltato. Si dice per ragioni fiscali, per difficoltà sul piano delle legislazioni fiscali differenziate, per difficoltà di conciliazione delle posizioni delle diverse direzioni. V'è anche la componente della caduta improvvisa del dollaro che ha cambiato i rapporti di cambio. Probabilmente, quello che ha deciso il non passaggio alla soluzione come la stampa economica sostiene, è il problema della direzione. In una fusione il 50% è qualche cosa di ingestibile ed allora sorge il problema di chi conduce nella realtà l'operazione.
Il no ad una situazione che poteva porre la Fiat in una posizione di inferiorità nella conduzione, è stato un atto di coraggio, un atto chiarificatore, un atto che la Fiat può fare oggi e che non avrebbe potuto fare probabilmente nel 1976. Questo è anche la conseguenza del mutato quadro politico economico.
La Fiat proseguirà su questa strada e non possiamo che augurare che si muova positivamente.
Per il Piemonte c'è il problema della Fiat-Auto, ma c'è anche il problema, dell'altra Fiat, di tutto quello che non è auto.
Ormai ci siamo fermati alla Fiat-Auto. In realtà se esaminiamo i bilanci della Holding, se guardiamo nella Fiat di oggi constatiamo che l'auto rappresenta ormai il 50% della attività di gruppi. Se per il Piemonte la presenza della Fiat-Auto è fondamentale, è altrettanto fondamentale una presenza di tutta la Fiat. La Regione deve ricercare il rapporto con la Fiat nella chiarezza assoluta, nell'indipendenza di giudizio che è caratteristica di un governo democratico e non può non tener conto che il rapporto si allarga, bisogna seguire con attenzione i problemi dell'auto, ma bisogna seguire con attenzione quello che può fare un gruppo finanziario come la Fiat a livello di altre iniziative economiche a sostegno della ripresa. A fianco del problema Fiat c'è il tema della politica attiva del lavoro.
L'Ordine del giorno tocca questo tema che il nostro programma ha evidenziato con puntualità. Alcuni degli impegni che vengono indicati nella parte finale dell'Ordine del giorno, ricalcano le dichiarazioni programmatiche delle forze del pentapartito.
L'Agenzia del lavoro, elemento nuovo, ma legato ad una iniziativa di carattere nazionale. V'era l'impegno del Ministro del lavoro di sperimentare in Piemonte questa iniziativa che peraltro non ha nulla di miracolistico e deve essere un organismo che non si sovrappone alla Commissione regionale dell'impiego, deve gestire le eccedenze che purtroppo l'innovazione tecnologica, l'evolversi della situazione economica fanno evidenziare con forza e che toccano in modo particolare il nostro Piemonte.
Per quel concerne il tema del collocamento, incluso nel nostro programma, anch'esso è legato alla legislazione nazionale. La legge 665 è stata approvata da uno dei due rami del Parlamento e, procede con grave lentezza. Sono già trascorsi dei anni dall' anno legislativo del problema perché è mancata la comprensione sulla necessità di modernizzare il collocamento e di abbandonare la chiamata numerica.
Il nostro è l'unico Paese del mondo dove chi trova lavoro non pu lavorare e dove la norma di legge costituisce un freno alla occupazione.
Comunque la nuova legge andrà avanti, noi ce lo auguriamo. Siamo disponibili ad un pungolo ben preciso in proposito.
La nostra posizione sui prepensionamenti è nota. Siamo contrari a prepensionamenti generalizzati e massicci. Siamo favorevoli al prepensionamento finalizzato, limitato, compensato con le assunzioni regolamentato in modo chiaro ed utilizzato non soltanto nella grande azienda, non soltanto dove c'è una forza contrattuale forte, ma anche là dove ci sono condizioni che possano consentire soluzioni anche limitate di questo genere.
Siamo da sempre favorevoli ad una redistribuzione del lavoro ragionata che non comporti dei carichi sulle aziende. Questo è il nocciolo di fondo.
Nel Convegno che ha tenuto la DC, a Torino nella primavera scorsa sul tema del lavoro, sono state avanzate proposte concrete in proposito dal prof. Cozzi e da altri. Sono proposte ad utilizzare la riduzione del salario differito come contropartita, come elemento di riduzione di costo per facilitare la redistribuzione del lavoro attraverso la riduzione dell'orario. E' una proposta realistica perché non si può pensare di avere la botte piena e la moglie ubriaca, il velleitarismo credo non abbia più ragioni e non abbia più alcuni significato.
Il tema della politica economica e della politica industriale pone anche il tema dei rapporti con il Governo come l'Ordine del giorno sottintende.
Il governo regionale del Piemonte è omogeneo con il Governo nazionale questo dato importante può consentire una collaborazione più stretta comunque non fa velo alla capacità di giudizio delle forze regionali, in autonomia rispetto a quelli che possono essere gli interventi legislativi e politici del Governo nazionale.
In primavera abbiamo votato l'Ordine del giorno che esprimeva avversione alla riduzione dell'8,65% della Cassa integrazione, siamo tutt'ora di questa opinione anche se questo provvedimento è compreso nella legge finanziaria. Noi cambiamo opinione perché riteniamo che il discorso possa essere rivalutato attentamente.
E' possibile richiedere al Governo un provvedimento rapido sulla Agenzia del lavoro. Valutiamo positivamente gli interventi che ci sono stati, la legge 444 citata dal Consigliere Tappano che può consentire un recupero dei Cassintegrati nel pubblico impiego seppure graduale e limitato.
I rapporti con il Governo quindi sono essenziali ed importanti. Questa Giunta e questa maggioranza avranno la possibilità di coltivarli puntualmente anche con quella dialettica necessaria a far valere le ragioni locali. Il nodo centrale è la situazione economica, è il problema della ripresa economica in Piemonte. Gli interventi di politica attiva del lavoro, tutte le Agenzie, l'accordo e la ricontrattazione con la Fiat sono elementi che servono a gestire questa fase difficile. Ma noi dobbiamo avere ben presente la assoluta necessità di riportare il Piemonte verso la ripresa economica. Questa maggioranza che è nata con il consenso degli elettori ha soprattutto l'obiettivo di creare le condizioni per una forte ripresa dello sviluppo. Mi spiace dirlo, Consigliere Ala. L'opzione culturale della nostra forza politica che abbiamo creduto di portare con il consenso delle altre forze nel programma complessivo di questa Giunta è proprio una opzione a favore dello sviluppo. Solo attraverso lo sviluppo c'è la possibilità, seppure contrastata, complessa e difficile, di riassicurare lavoro alle future generazioni, di portare avanti la nostra Regione. Su questo terreno si misurerà la capacità e l'azione del governo regionale che si è formato. Il Gruppo DC. è convinto che questo governo ha la forza politica per dare un contributo importante alla ripresa economica del Piemonte creandone le condizioni. Ciò significa creare le condizioni psicologiche, investire fortemente nelle infrastrutture, nelle grandi vie di comunicazione, nelle ferrovie, dove è necessario, significa creare un clima che rimetta il Piemonte nel circuito della vita nazionale, della vita economica europea. Creare un clima di sviluppo è la ragione di vita sulla quale si misura il lavoro della maggioranza, e non lo dubitiamo, è suo successo.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Amerio, l'ultimo Consigliere che ha chiesto di intervenire.



AMERIO Mario

Inattesa di ascoltare l'Assessore riprenderò, il problema degli snodi operativi che avrà questo nostro dibattito.
Posso giovarmi dei contributi che sono venuti da una discussione come quella di questa mattina che ha avuto passi pregevoli (l'intervento del Consigliere Tapparo e di altri), ma anche qualche discorso evasivo un po' disinformato.
Mi sembra emerga la consapevolezza del passaggio difficile e pieno di implicazioni in cui si trova il Piemonte.
Noi abbiamo inteso sollevare due grandi Ordini di problemi attraverso la mozione, che non sono affatto svuotati, ma semmai confermati e rafforzati dal mancato accordo tra la Fiat e la Ford. Sono lieto che questa considerazione sia stata fatta anche da molti altri oratori. In primo luogo noi abbiamo inteso porre il problema del governo dei grandi processi di trasformazione che si stanno sviluppando e che sono ben lungi dall'essere sulla dirittura d'arrivo, nel Paese e nella nostra Regione. Vi è un grande problema di governo, nell'interesse nazionale e regionale, che va sotto il titolo di linee di politica economica e di politica industriale.
E' stata sottolineata da molti intervenuti l'importanza di restituire una guida a questi processi; il rilievo dell'operatore pubblico nazionale e regionale nell'ambito della definizione di linee moderne e adeguate di politica industriale è grande. Questo è un fatto importante. Dovremo ragionare sui contenuti (avremo le sedie il modo di farlo), ma è importante che si faccia giustizia, anche in una discussione come quella di questa mattina, delle molte sciocchezze intorno a parole d'ordine come "meno Stato e più mercato" che si ascoltano in giro. E' vero che la Fiat, la Olivetti e altri grandi gruppi piemontesi sono stati tra i motori principali del superamento di una crisi produttiva e progettuale grave, e oggi si ragiona su uno stato di salute diverso da quello di qualche anno fa di queste grandi imprese.
Ma attenzione, perché è altrettanto vero che l'assenza di un quadro di riferimento programmato, nazionale, di politica industriale ha fatto sì che il superamento delle difficoltà dei grandi gruppi (che si è prodotto in presenza di rilevantissimi trasferimenti pubblici alle imprese, a partire dalla Fiat), abbia anche determinato guasti sociali assai grandi, dei quali non si è stati in grado di programmare per tempo la soluzione.
Costi sociali altissimi: la disoccupazione, la Cassa integrazione. Non solo, ma anche problemi di fondo attinenti al futuro di queste imprese e per larga parte al futuro di grandi aree territoriali restano irrisolti per l'assenza di un quadro di riferimento programmatico nazionale. Lo dimostra proprio la vicenda Fiat-Ford. Sappiamo, grosso modo, perché si è rotto l'accordo, ma operazioni di questo tipo possono essere delegate alle scelte di una impresa? Su scelte di questo tipo si giocano in larga parte i destini, il futuro, lo sviluppo o meno di intere aree territoriali e di intere popolazioni. Anche per queste considerazioni va richiamata la necessità che si superi una fase caratterizzata da una mancata programmazione industriale.
La ripresa è avvenuta in larga parte a carico dei finanziamenti pubblici e ha creato guasti sociali rilevanti. Siamo lieti che è avvenuta ma occorre rapidamente recuperare questi ritardi e questi guasti.
E poi perché in tutto il resto del mondo avviene il contrario di quello che alcuni predicano attorno alla opportunità di lasciar fare alle imprese? Avviene il contrario in tutti gli altri paesi, nei quali è sempre più forte l'integrazione tra Stato e impresa con caratteri spesso inediti e cioè non solo di trasferimenti finanziari degli Stati nazionali alle imprese (pi rilevanti di quanto avvenga in Italia, tra l'altro), ma anche di politica "di sistema" e cioè di intreccio tra impresa, scienza, ricerca, messa a disposizione di servizi reali, incremento di produttività complessiva anche nel settore pubblico. Qui da noi questo non avviene e ogni impresa è lasciata sola a competere nei rapporti internazionali con altre grandi imprese soprattutto quelle nord-americane che, appunto,' possono vantare un ben diverso contesto nazionale e mettere in campo ben diverse risorse.
Altro che "meno Stato e più mercato"! Certo, ci possono essere segni diversi dell'intervento, maggiore che in passato, degli Stati nazionali nella economia.
Negli Stati Uniti, da quando vi è la Presidenza Reagan, l'intervento dello Stato nella economia è aumentato del 47%. Ma lo si è indirizzato in direzione del riarmo, come sostegno al sistema produttivo e alle imprese.
Ora lo si può e lo si deve indirizzare in altro modo, ma ovunque questa maggiore integrazione tra Stato, impresa e mercato è in atto.
Il problema di una moderna politica industriale è quindi il problema centrale che deve essere sollevato.
Sono d'accordo con il Consigliere Tapparo, quando, se ho inteso bene diceva "si tratta né di deregolare né di difendere tutte le regole esistenti, comprese quelle obsolete. Si tratta di riregolare, proprio in relazione a cambiamenti e modifiche tumultuose e ricorrenti, che richiedono una grande capacità di adeguamenti, di orientamento di governo della parte pubblica".
Da alcuni interventi sono stati richiamati gli indirizzi per le linee di politica industriale per le quali possiamo dare un contributo anche di elaborazione. Mi limito a citarne un paio.
La finalizzazione dei trasferimenti pubblici alle imprese. Leggevo in questi giorni che nel complesso, fra trasferimenti diretti alle imprese indiretti, sgravi, servizi e via dicendo, si trasferiscono in Italia al sistema economico 100 mila miliardi. La cifra è inferiore, per quanto possa sembrare grande, a quanto avviene in altri paesi e sta a fronte di un altro dato: vi è una massa di risorse non indirizzata agli investimenti, ma alla rendita finanziaria (BOT e CCT), che assomma tre volte tanto: 300 mila miliardi; tre volte tanto di quello che è destinato, a pioggia e senza controlli, all'ammodernamento del sistema produttivo. Quindi va chiesta la finalizzazione dei trasferimenti pubblici, in direzione degli incentivi alla ricerca, all'innovazione, alle ricadute occupazionali e sociali anche in settori non direttamente industriali (penso ai servizi alle imprese eco.). L'altra direttrice fondamentale di politica industriale, è in verifica di quale debba essere il ruolo dell'Europa rispetto ai processi di internazionalizzazione necessari e per molti aspetti urgenti, che le imprese intraprendono. Siamo già in ritardo.
Ho già detto e riconfermo, è davvero impensabile, sarebbe disastroso immaginare, che le imprese venissero lasciate sole, ancora a lungo nell'effettuare scelte decisive per la propria soppravvivenza, ma che hanno anche riflessi determinanti nel tessuto sociale, nei destini di grandi aree territoriali. Il ruolo della Europa non può essere saltato. E' una condizione indispensabile, niente affatto ideologica, molto concreta che noi dobbiamo essere in condizioni di affrontare nella elaborazione di una moderna politica industriale, che sa che si devono fare i conti con i gruppi nord-americani, ma che sa anche che questi conti possono essere fatti in modo assai diverso a seconda che vi sia un punto di riferimento di linee politiche convergenti a livello europeo e di primi processi di integrazione oppure, che ognuno vada per conto proprio.
L'ultimo elemento per una riflessione sulla politica industriale che voglio sottolineare, è che abbiamo bisogno di procedure capaci di associare davvero le Regioni, di trasferire competenze e risorse, per interventi nei settori decisivi per la conoscenza dei processi di innovazione, la valutazione della loro compatibilità con la programmazione e il sistema economico regionale, il rapporto con l'ambiente, la fornitura di servizi reali, il governo delle ricadute sull'indotto, il governo degli effetti occupazionali. Abbiamo bisogno di una politica industriale che associ davvero le Regioni, trasferendo risorse e competenze e che promuova un quadro più nuovo e moderno di relazioni industriali di quello che, a partire dalla Fiat, non sia oggi in atto.
Invece le leggi di politica industriale sono scadute o da rinnovare e abbiamo la vicenda, che ricordiamo nella mozione, della deliberazione del marzo scorso che è emblematica della grande distanza che separa ciò che avremmo bisogno di avere, in materia di politica industriale, dalle leve che invece oggi siamo concretamente in grado di "tirare" con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Da questo punto di vista ciò che noi chiediamo nella nostra mozione è chiaro: chiediamo che vi sia un ruolo attivo e protagonista della Regione nei confronti del Governo: questo significa rielaborare noi in Regione certo, alcune linee di fondo sulle quali andare ad un confronto con il Governo, intorno a che cosa sia una politica industriale moderna e quali strumenti debba mettere in campo e poi significa la capacità di questa Regione, così direttamente interessata, di avere un rapporto con i Ministeri interessati, con il Governo. Il Ministro del lavoro non molto tempo fa era venuto in Consiglio regionale; può ritornare, o possiamo noi andare a Roma.
E' essenziale che vi sia una voce ed un ruolo di questa Regione in rapporto a quanto a livello nazionale accade.
Il secondo versante sul quale si sofferma la nostra mozione e sul quale vorrei dare alcune risposte o precisazioni rispetto al dibattito che è intervenuto questa mattina, è quello relativo al governo del mercato del lavoro e degli effetti occupazionali di questi processi di riorganizzazione ed innovazione, che interessano tutti i settori a partire dalla grande impresa.
Anche qui si tratta di mettere in campo una politica che sia il preciso opposto del lasciar fare.
Prevenzione ideologica? Non credo possa esserne imputato anche il Ministro De Michelis che nella presentazione del piano decennale recentemente spiega che "se si lasciasse fare alla impresa, nell'arco di dieci anni, nella prima metà degli anni '90, questo Paese avrebbe da quattro milioni a quattro milioni e mezzo di disoccupati". Se facciamo il rapporto con la regione Piemonte vorrebbe dire averne da 320 a 350 mila, molti di più rispetto alla situazione attuale.
Anche in questo caso c'è bisogno di una mano dell'operatore pubblico che sappia intelligentemente governare e coordinare gli effetti occupazionali nei processi di riorganizzazione ed innovazione che stiamo attraversando.
Il nodo delle politiche per il lavoro è strategico e lo sarà - si badi per molti anni ancora.
Voglio fare ora una rapida riflessione. In Piemonte oltre il 40% della occupazione è ancora nel settore industriale. E' una percentuale maggiore a quella della media nazionale. Ma questo settore industriale piemontese nella riorganizzazione e nell'ammodernamento (particolarmente la grande impresa a partire dalla Fiat), perde ogni anno mediamente il doppio di occupati di quanto ne perda l'industria a livello nazionale: siamo tra il 9% e 10% (84 su 83), anche perché vi è ancora una struttura fortemente incorporata nel settore secondario, nella grande impresa più di quanto non sia la media nazionale.
Il terziario non cresce ad oggi a un ritmo adeguato. Il terziario cresce in Piemonte ad un ritmo dell'1% soltanto in più della media nazionale.
C'è bisogno anche qui di una politica non dirigistica ma capace di orientare lo sviluppo, di liberare nel terziario una molteplicità di potenzialità che oggi sono ancora incorporate nella industria (penso ai servizi per l'impresa, che se fossero sul mercato, potrebbero essere volano di un nuovo sviluppo e di nuova occupazione. C'è bisogno di una moderna politica del lavoro, che operi con fantasia e coraggio, anche su questo versante.
Sino ad oggi si sono "imbalsamati" i lavorati eccedentari: 400 mila lavoratori in Cassa integrazione straordinaria, 70 mila in Piemonte a zero ore, la grande parte nell'area torinese. Essi perdono, per ogni giorno che passa, professionalità, capacità di reinserimento, vengono sempre più emarginati in una condizione che, anche sul piano umano e sociale, provoca i disagi che tutti conosciamo.
E' una politica che non è più possibile proseguire. E' davvero indecoroso, mi si consenta, che in questa condizione l'unico provvedimento che il Governo è stato capace di proporre in questi giorni in direzione dei 400 mila lavoratori in Cassa integrazione nel nostro Paese e in larga parte in Piemonte, sia l'introduzione del contributo dell'8,65% sulla Cassa Integrazione Guadagni, mentre tutti gli altri sono oggetto di confronto e discussione nelle aule parlamentari a partire dalla riforma della Cassa integrazione. E' indecoroso, e per questo noi insisteremo una posizione del Consiglio regionale netta e chiara come lo fu l'anno scorso perché questo provvedimento venga intanto revocato.
Non sto a richiamare i temi centrali, le direttrici di una moderna politica del lavoro. Saranno oggetto di discussione nell'iter che avrà la nostra mozione dopo la discussione di questa mattina. Voglio solo, in riferimento ad una annotazione del Capogruppo democristiano che richiamava una presunta nostra fossilizzazione sui garantismi del collocamento (sul problema delle numeriche) come concausa dei ritardi nella approvazione del disegno di legge n. 665, ire con chiarezza a questo proposito che anche in questo caso non siamo ne per deregolare né per difendere vecchie regole che ormai, nel caso del collocamento, portano gli avviamenti numerici di fatto al 3% a livello nazionale.
Siamo per introdurre nuove regole: si tratta di passare da un sistema di collocamento sostanzialmente garantista fondato sulla tutela numerica dell'avviamento dei lavoratori, adatto ad una fase di crescita quantitativa della economia e della occupazione, ad un sistema che introduca nuovi riferimenti e nuove certezze in direzione della promozione dell'offerta, ed in particolare delle fasce più deboli del mercato del lavoro, quali il ruolo della formazione professionale, la promozione della domanda l'orientamento della domanda pubblica, la creazione di impresa, l'incontro tra domanda e offerta. Il ruolo della Agenzia, della attività di job creation, della Commissione regionale per l'impiego, risultano centrali al fine del perseguimento di una politica di questo tipo.
E infine, è indispensabile una riforma della Cassa Integrazione Guadagni, a proposito della Fiat è indispensabile ed urgente, che metta sul tavolo una rosa di strumenti alternativi all'uso distorto di questo strumento. Il fondo orari, l'incentivazione della mobilità, l'Agenzia, un nuovo ruolo dell'Osservatorio sul mercato del lavoro, un provvedimento straordinario come quello dei prepensionamenti a 50 anni, con scambio, con assunzioni di giovani, al rientro di lavoratori in Cassa integrazione straordinaria, sulle cui caratteristiche non ho da obiettare rispetto alle cose che ha detto poc'anzi il collega Brizio. Anche noi riteniamo che un provvedimento straordinario di prepensionamento a 50 anni debba essere urgente, debba essere fortemente selettivo e non a pioggia, non possa diventare il terreno principale di iniziativa sui temi della occupazione e del lavoro in sostituzione della leva dell'orario e della riduzione del tempo di lavoro e della redistribuzione del lavoro, che deve invece rimanere centrale, e tuttavia questo provvedimento di prepensionamento a 50 anni con queste caratteristiche, fortemente selettivo, straordinario, con scambio, con assunzione di giovani di cassaintegrati, è un provvedimento necessario ed urgente, se non vogliamo che l'auspicata riforma del mercato del lavoro e della Cassa integrazione, e la messa in campo di nuovi strumenti sperimentali, sia un treno perso, una opportunità bruciata per il peso e le conseguenze sociali che determinano, bloccando ogni nuova iniziativa, sacche di lavoratori così grandi e aree così acute di sofferenza sociale come si sono determinate, non certo per volontà di questi lavoratori, a partire dall'area metropolitana.
Infine, che cosa chiediamo concretamente alla Regione? Voglio richiamare in tre parole ciò che noi riteniamo essenziale nella conclusione di questo dibattito. Ho già detto della necessità che la Regione assuma un ruolo attivo, protagonista in tempi stretti nel confronto con il Governo e sui temi di politica industriale e sulla attivazione di nuovi strumenti di politica attiva del lavoro per i quali è competente il Governo, il livello nazionale.
Ma ci sono poi concrete questioni che noi abbiamo posto e che, per titoli, richiamo.
Una posizione della Regione, ed una proposta, sulla Agenzia, compresa una attività di creazione di impresa, e sui prepensionamenti. Sui prepensionamenti come ho già detto, e sulla Agenzia occorre capirci. Non proponiamo affatto di sostituirci al Governo, di fare noi autarchicamente una Agenzia del lavoro. Ma non siamo neanche disponibili a che si aspetti che il Ministero del lavoro si decida, cosa che dovrebbe aver fatto da anni, ad attivare le Agenzie sperimentali in alcune regioni, fra le quali il Piemonte. E' necessario avere un ruolo di stimolo nei confronti del Governo.
Il Governo deve attivare il provvedimento per la creazione della Agenzia, ma questa Regione deve saper dire di quale Agenzia il Piemonte ha bisogno. Un progetto non è uguale all'altro. C'è bisogno di una Agenzia che abbia precisi compiti e finalità, che abbia precisi trasferimenti di poteri e di autonomia operativa, trasferimenti finanziari, che abbia una configurazione snella, manageriale, non pesante e burocratizzata, che sappia stare in rapporto alle imprese e al mercato. Di questa Agenzia, e non di un'altra, c'è bisogno e questo possiamo e dobbiamo dirlo solo noi qui e prima che a livello nazionale si arrivi alla determinazione di progetti sperimentali che possono a quel punto ricadere sulla nostra Regione senza che essa abbia concorso a determinarne i caratteri di fondo.
Sulla Agenzia quindi, su una attività regionale per la creazione di impresa, su un nuovo ruolo dell'Osservatorio e in generale del sistema di monitoraggio e di Formazione professionale, noi abbiamo bisogno di definire precisi contenuti che in parte richiamiamo nella mozione, in modo che la Regione possa svolgere un ruolo moderno, di programmazione reale flessibile, per fattori e di sperimentazione coraggiosa di strumenti adeguati sul mercato del lavoro e insieme, non dimentichiamolo, di conferma e di difesa dei valori di solidarietà verso le fasce più deboli del mercato del lavoro che sono il contrario delle teorie correnti secondo le quali il lavoratore dovrebbe star solo di fronte all'impresa in una società in cui il ruolo di programmazione verrebbe svilito e persino il ruolo di mediazione sociale del movimento sindacale diventerebbe, come vuole Romiti inutile o superato. Anche la solidarietà verso ì più deboli a provvedimenti adeguati è compito essenziale ed irrinunciabile di una istituzione come questa.
Che fare dunque sul piano operativo questa mattina? Siamo d'accordo che si vada ad un proseguimento della discussione, ad un suo approfondimento nella sede opportuna della IV Commissione.
Manterremo in piedi la mozione, riteniamo che si debba poi ritornare rapidamente in aula in tempi certi, affinché la Regione possa svolgere il suo ruolo, come ho cercato di dire; ma c'è un problema che credo non possa essere eluso. Noi andiamo in Commissione a riprendere da capo la discussione, oppure, dopo i numerosi interventi di questa mattina siamo in grado di fissare in un Ordine del giorno che si può scrivere assieme oggi e assieme presentare (non le scelte operative, non le linee, ma almeno le grandi coordinate sulle quali si deve sviluppare in tempi certi la discussione nella IV Commissione, al fine di fare lì un confronto che possa essere produttivo per il rapido ritorno in aula e l'approvazione di dispositivo conclusivo di questo dibattito in una prossima occasione, che per essere incisivo in una realtà come la nostra, con interlocutori come la Fiat ed il Governo, ha bisogno - e noi per questo lavoreremo pur nella difesa delle nostre idee e dei nostri principi - di avere la massima unità possibile nel Consiglio regionale).
Chiedo che vi sia la possibilità di concludere questo dibattito con un Ordine del giorno che abbia le caratteristiche che ho richiamato, non vincolante e non risolutivo di un approfondimento che va fatto in IV Commissione, ma invece che indichi le coordinate, lungo le quali i vari Gruppi convengono sulla opportunità che questo approfondimento si definisca, per poi tornare in Consiglio approvare un dispositivo; noi chiediamo che si attuino a quel punto momenti di confronto con le parti sociali e soprattutto con il Governo per le ragioni che ho fin qui spiegato. Questo pare a noi essere il modo per fare svolgere alla Regione quel ruolo attivo di cui tutti gli intervenuti hanno parlato, che ci sarebbe anche nel programma presentato dalla maggioranza pentapartito (personalmente sarò stato distratto, mi era sfuggito), ma le cui tracce dovremmo vedere nelle concrete scelte e decisioni che a partire dalla discussione di questa mattina e su un tema così cruciale, saremo in condizione di prendere.



PRESIDENTE

La parola all'Assessore Genovese.



GENOVESE Piero, Assessore al lavoro

Signor. Presidente, colleghi Consiglieri, cercherò di rispondere nei termini di tempo più brevi possibili, tenuto conto della complessità dei problemi messi, in evidenza dalla mozione, presentata dai colleghi del Gruppo comunista e dal dibattito che si è svolto questa mattina.
Il confronto odierno significativamente ci ricollega e ci riporta ad alcuni dibattiti importanti della scorsa legislatura a cui non ha fatto seguito una risposta completa ed adeguata e che riguardavano il ruolo delle Regioni, con particolare riferimento alle condizioni di trasformazione della nostra società, e il ruolo della grande impresa all'interno di un processo di mutamento profondo delle tecnologie dei modi di produzione, con risvolti e le ricadute negative sul versante della occupazione che ben conosciamo.
La mozione, come il collega Manfredini ha richiamato, parte dalla Fiat elemento primario della presenza industriale e produttiva della nostra regione, per soffermarsi sui complessi problemi della politica industriale e della politica attiva del lavoro.
Partendo da questa premessa dobbiamo innanzitutto ricordare che questo dibattito avviene in una Regione che attraversa una fase particolare della propria evoluzione, diversa da quelle di altre aree territoriali ed economiche del nostro Paese.
Richiamerò solo alcuni dati già evidenziati in occasione della risposta alla interrogazione sull'Indesit.
Non dobbiamo infatti dimenticare che quando parliamo di questi problemi in Piemonte ne parliamo in una Regione che presenta all'incirca un terzo dei cassintegrati di tutto il Paese e che continua ad avere, secondo gli ultimi dati elaborati in questi giorni, circa 170 mila disoccupati dei quali 115 mila nella sola area metropolitana di Torino; in una Regione che all'interno di questo universo di disoccupati e di cassintegrati ha una fascia consistente, non facilmente quantificabile con precisione, ma certamente superiore alle 50 mila unità di cittadini che, in assenza di adeguati strumenti attivi e straordinari di intervento, non hanno possibilità di reingresso nel ciclo produttivo o di giovani che comunque per l'età hanno già raggiunto, trovano difficoltà crescenti ad inserirsi in un ciclo produttivo.
Per altro verso, invece, si è realizzato, negli ultimi anni, un processo intenso di innovazione tecnologica e produttiva. Concordo, quindi con la valutazione del collega Ferrara: nella nostra regione si è aperta una prospettiva non di carattere postindustriale, ma piuttosto è iniziato un futuro post-operario e di una industrializzazione nuova e diversa che pone alle istituzioni problemi di conoscenza delle strategie, di individuazione dei possibili scenari, di evoluzione e del ruolo che correttamente può e deve essere svolto in raccordo con la società regionale, in particolare con il sistema delle imprese e con i centri di ricerca.
Si pone poi un altro problema, che credo sia ben presente non solo alla Giunta ma anche a tutta l'assemblea ed è quello di una definizione non equivoca del ruolo della Regione nei confronti del Governo centrale.
Credo che per definire il ruolo della Regione e per non cadere in forme che possono apparire di mero rivendicazionismo nei confronti del potere centrale, dobbiamo far riferimento al modello di governo che si è sviluppato nel nostro Paese, magari in modo contradditorio, e non già in modo schematico alle competenze che al governo regionale sono assegnate o alle competenze che possono essere in alcuni casi anche giustamente richieste per ricomporre un quadro complessivo e corretto di funzioni che a livello regionale possono essere utilmente esercitate in aderenza alle esigenze reali del nostro Paese. Il ruolo a cui la Giunta guarda e il modello a cui quindi ci ispiriamo, è un modello di cooperazione di governo all'interno del quale i problemi delle competenze sono importanti ma non sono tutto.
La Giunta pertanto condivide le indicazioni del collega Tapparo ed è opportuno richiamare che già abbiamo avuto modo di far presente alle forze produttive il nostro indirizzo: se - è vero che la Regione deve attrezzarsi, come ci viene richiesto in questa fase di avvio della legislatura delle stesse forze produttive ed economiche, per riuscire ad esercitare in modo adeguato le proprie competenze e deve, attraverso una adeguata programmazione per progetti esprimere una reale capacità di intervento che agevoli il processo di trasformazione produttiva ed economica della Regione e garantisca un livello di domanda pubblica capace di indurre ricadute positive sull'operato produttivo e sull'occupazione, è anche vero che la Regione come livello di governo e per il ruolo che deve svolgere, non pu esercitare correttamente queste funzioni se non è a conoscenza delle strategie e degli obiettivi degli operatori economici.
Non è, cioè, immaginabile un ruolo della Regione volto a creare condizioni economiche esterne di sostegno alle imprese e allo sviluppo della produzione al di fuori di un processo di aperta e reale collaborazione con le forze economiche, produttive, sociali e culturali nel dovuto rispetto della autonomia di giudizio e di iniziativa e con l'intento di finalizzare l'iniziativa complessiva di governo a obiettivi noti e a obiettivi che devono essere costruiti su basi per quanto possibile certe e corrette.
E' allora evidente che il dibattito avviato è centrale, ma non pu concludersi oggi e piuttosto deve tradursi nell'indicazione dei problemi da approfondire per arrivare ad una definizione dell'intervento regionale e degli atteggiamenti, delle proposte e dei comportamenti che la Regione come livello di governo è chiamata ad assumere nei confronti del Parlamento e del Governo centrale.
Rispetto agli impegni e alla responsabilità non lieve che abbiamo di fronte all'inizio di questa legislatura, per ridare motivazione di presenza politico-istituzionale e di ruolo coerente alla istituzione regionale credo che non si possa sfuggire all'approfondimento dei problemi in materia di politica industriale e di politica del lavoro posti dalla mozione e dal conseguente dibattito e che non si possa neppure sfuggire all'approfondimento del problema specifico della Fiat, in particolare del settore auto.
La Giunta al di là delle differenziazioni del passato tra i Gruppi che la compongono, peraltro non di grande sostanza, come il collega Brizio ha richiamato e che avevano visto il Gruppo DC differenziarsi nel voto sull'Ordine del giorno discusso in Consiglio regionale il 25 marzo soprattutto in ordine alla configurazione del prepensionamento straordinario, deve ribadire la volontà di rispettare gli impegni e le indicazioni che sono contenute nella deliberazione del 25 marzo 1985 e rimane quindi ferma la richiesta rivolta al Governo perché attraverso il CIPE si arrivi ad una valutazione di coerenza fra il finanziamento pubblico ai piani di ristrutturazione presentati dalla Fiat e le risultanze occupazionali che i piani dovevano comportare.
I piani di ristrutturazione dovrebbero essere pressoché ultimati o largamente realizzati e dovrebbe esistere la possibilità di una verifica anche se non è semplice la valutazione dei processi e delle quantità in gioco in una grande impresa come la Fiat, segnata da processi intensi di cambiamento e di trasformazione.
In particolare sul versante occupazionale, sia per la continua diminuzione della mano d'opera impiegata, che probabilmente tenderà ad assestarsi per il settore auto sulle 50 mila unità, come il Consigliere Tapparo ha ricordato, sia per la mancata copertura del tourn-over ed a fronte del trasferimento di personale e di produzioni da uno stabilimento all'altro per la realizzazione dei piani di ristrutturazione, non è facile per nessuno un controllo reale della situazione e la valutazione del rapporto esistente fra il finanziamento pubblico e le risultanze occupazionali.
Di qui scaturisce la riconferma dell'impegno assunto nel marzo 1985 e la necessità di aprire una verifica in merito alla scadenza del 31 dicembre 1985 per accertare il grado di realizzazione degli impegni contenuti nell'accordo del 1983.
Secondo i dati e le informazioni che abbiamo raccolto dall'azienda che dal Sindacato, la FLM in particolare e che peraltro necessitano di ulteriori approfondimenti da parte della Giunta e della Commissione; parrebbe che rispetto al 1983 si siano realizzati all'incirca 4 mila reingressi all'interno della Fiat-Auto e altri 2 mila reingressi siano stati realizzati attraverso la mobilità interna al gruppo.
Attualmente per il settore auto della Fiat nell'area piemontese vi sono circa 6.800 lavoratori in Cassa integrazione speciale che costituiscono una fascia rigida di persone che non sono rientrate nel ciclo produttivo formata in larga misura da donne (circa 3.200), da persone anziane, da inabili e da invalidi; si tratta, quindi, di una eccedenza di personale che difficilmente potrà tornare all'interno del ciclo produttivo e che richiederebbe urgenti provvedimenti di carattere straordinario.
Rispetto agli accordi che erano intervenuti nel 1983, hanno funzionato al di là dei reingressi nella azienda o nel gruppo, unicamente gli incentivi economici all'uscita dalla impresa.
Non si è proceduto alla costituzione di cooperative (una sola è stata realizzata in questi anni), non ha dato risultati apprezzabili la formazione orientata, non ci sono stati i provvedimenti straordinari del Parlamento e del Governo in ordine ai problemi che al 1983 erano presenti e che tutt'ora permangono all'interno della realtà della Fiat-Auto nella nostra regione.
Ora c'è la scadenza del 31 dicembre 1985 che presenta problemi aperti non facilmente risolvibili, che non possono neppure essere affrontati solo in termini di prepensionamento "mirato" straordinario di cassintegrati Fiat. Il prepensionamento straordinario rappresenterebbe una misura importante, ma non sarebbe comunque risolutivo della situazione che abbiamo di fronte.
Tutti pensiamo a una regione non post-industriale, bensì industriale e moderna, in cui il ruolo della grande impresa è significativo ed importante, però dobbiamo dire che questa prospettiva rimane difficile poiché non è pensabile, come è confermato da tutti gli indicatori e dai processi in atto; che l'evoluzione futura consente un miglioramento delle capacità occupazionali all'interno della Fiat e particolarmente all'interno del settore auto: l'eccedenza di capacità produttiva oggi si può stimare attorno alle 250-300.000 macchine all'anno e con le eccedenze di mano d'opera, stimabili intorno alle 8-9 mila unità che si aggiungono ai cassintegrati a zero ore, si è avuto un aumento della produttività che è passata dalle 14 autovetture annue per ogni dipendente del 1980 alle attuali 25 autovetture annue per dipendente.
In generale, i processi di ammodernamento e di innovazione, che sono importanti per il futuro industriale e che non possono certamente essere osteggiati, tendono ad accrescere la situazione di difficoltà sul versante occupazionale che in qualche misura deve essere governata.
Nessun'altra Regione, tranne forse la Campania, ha oggi problemi così complessi e acuti da affrontare per svolgere un ruolo che non sia solo di contenimento sociale e per non isterilirsi in una rivendicazione sommaria di nuove competenze, che peraltro potrebbe portare ad una frantumazione della politica industriale e della politica del lavoro; occorre invece sviluppare la collaborazione e la cooperazione attiva con il Governo centrale per ottenere, nel breve periodo, strumenti eccezionali di intervento temporalmente limitati e diversificati territorialmente e rilanciare una organica politica industriale e del lavoro per affrontare e superare una fase difficile, che è particolarmente preoccupante nell'area torinese, nella Provincia di Alessandria e nel Verbano-Cusio-Ossola.
Appare quindi necessario un ulteriore approfondimento in Commissione dei problemi che sono stati richiamati.
La Commissione potrà avvalersi nei propri lavori delle ricerche che sono in fase di ultimazione e che sono state avviate in anni precedenti dall'Assessorato alla industria e al lavoro attraverso l'Osservatorio del Mercato del Lavoro; si tratta delle ricerche sulla Cassa integrazione speciale, sulle industrie manifatturiere, sul credito agevolato, almeno per quanto riguarda l'applicazione del DPR 902 e della ricerca (che ritengo fondamentale, anche rispetto alle indicazioni di miglior finalizzazione della Formazione professionale) sull'inserimento nel ciclo produttivo di coloro che hanno usufruito in questi anni della Formazione professionale regionale.
Questa ricerca, unitamente alle altre, potrebbe darci indicazioni utili anche al fine- della formulazione delle proposte che la Regione potrà avanzare nei confronti del Governo e del Parlamento centrale.
Ma ora mi limiterò ad avanzare alcune osservazioni senza entrare nel merito degli strumenti di politica attiva del lavoro e delle politiche di sostegno industriale, riservandomi di partecipare all'approfondimento in sede di Commissione.
Credo che si debba evitare in ogni caso una frammentazione della politica del lavoro e l'emanazione di provvedimenti scoordinati anche se c'è bisogno, ma all'interno di un contesto generale organico di intervento di misure eccezionali e straordinarie, magari limitate nel tempo indirizzate a specifiche imprese e territorialmente diversificate, come nel caso del prepensionamento straordinario a 50 anni per i dipendenti in Cassa integrazione, estensibile forse, secondo altre proposte, anche a coloro che non sono in Cassa integrazione.
Appare quindi prioritario richiedere nuovamente la riforma organica del collocamento, l'avvio in Piemonte dell'Agenzia del Lavoro, la riforma della CIG e il prepensionamento straordinario ed il collegamento degli strumenti di politica del lavoro alle politiche di sostegno industriale. Altrimenti assisteremo ad uno sviluppo contraddittorio della politica del lavoro.
Siamo già di fronte a tentazioni di privatizzazione strisciante del collocamento, che si manifesta attraverso una applicazione non corretta degli istituti della flessibilità e della formazione-lavoro.
Il collocamento deve rimanere una funzione pubblica statale, mentre è attraverso la Commissione regionale per l'impiego ed attraverso altri strumenti di politica del lavoro, come l'agenzia, che deve essere assicurato il concorso reale delle forze sociali, dei governi regionali e delle autonomie locali alle politiche per l'occupazione.
Credo che la nostra Regione debba chiedere con fermezza la creazione della Agenzia del Lavoro proponendone il collegamento con l'Osservatorio strumento importante di conoscenza e di orientamento per le politiche del lavoro, e debba favorire e promuovere strumenti e iniziative di job creation, cioè di sostegno all'imprenditorialità e di creazione di nuova occupazione.
Per quanto riguarda la vicenda Fiat-Ford, condivido le valutazioni che da molti colleghi sono state esposte.
La preoccupazione non è legata al manifestarsi di processi di internazionalizzazione e di accordi produttivi fra aziende di grandi dimensioni, soprattutto nel settore dell'auto dove la concorrenzialità esasperata pone problemi di integrazione per non compromettere nel futuro le sorti di imprese come la Fiat-Auto, che appaiono in stato di buona salute; il problema è invece quello di comprendere come questi processi di internazionalizzazione e di divisione del lavoro si collegano, ad una politica industriale nazionale e comunitaria e di capire quale significato hanno, come incideranno sulla proprietà, sul management, sulla ricerca e sull'occupazione.
Sono preoccupazioni reali che emergono e che permangono anche nel momento in cui apprendiamo che non si è concluso l'accordo di integrazione produttiva tra Fiat e Ford-Europa per il mercato europeo.
Sappiamo che la ricerca di accordi tra la Fiat e la Ford non era solo rivolta alla definizione di integrazioni produttive, ma poteva riguardare anche accordi più limitati sulle componenti, sulla produzione comune di un segmento del mercato dell'auto, o più semplicemente accordi di assistenza commerciale sui mercati. Non si può escludere che si riaffacci il problema come da molti è stato sottolineato e come si è richiesto dalla situazione internazionale del mercato dell'auto.
Le preoccupazioni della Giunta rimangono quelle già dette. Certamente non possiamo assumere posizioni velleitarie astraendo dalla evoluzione dei mercati, dalle esigenze produttive e commerciali che abbiamo di fronte, che sono reali e potrebbero provocare la riduzione della capacità complessiva di produzione e di occupazione nel nostro Paese.
A conclusione mi limito a richiamare quelle che sono ad avviso della Giunta alcune possibili linee di sviluppo del confronto odierno attorno ai problemi sollevati dalla mozione del Gruppo PCI.
Parrebbe corretto proseguire l'approfondimento in Commissione e ritornare in aula, dopo un lavoro più meditato, per avere indicazioni e proposte in ordine all'operatività della Regione, al rapporto tra pubblico e privato e ai rapporti con il Governo ed il Parlamento; ciò per cercare di incidere, se possibile, come ci auguriamo, in modo positivo sulla definizione di nuovi strumenti di politica del lavoro e di sostegno, della politica industriale organicamente coordinati e finalizzati.
Ribadisco, infine, che la Giunta non intende reclamare solo nuove competenze, che pur in qualche misura sarebbero necessarie ed opportune bensì sviluppare ed esercitare un ruolo di più intensa collaborazione con il Governo ed il Parlamento, con le forze sociali ed il sistema delle imprese.


Argomento:

Sull'ordine dei lavori (seguito)


PRESIDENTE

Debbo ora fare alcune comunicazioni.
E' iscritta una deliberazione per la nomina del Comitato previsto dalla legge per la soppressione dei Comprensori. Tale deliberazione deve essere esaminata dalla VIII Commissione che è convocata pertanto alle ore 15 nella sala attigua.
Alle ore 14,30 circa i Presidenti delle Commissioni verranno convocati per la questione dell'Alta Savoia.
Mi è giunto un Ordine del giorno unitario conclusivo sulle dichiarazioni del prof. Corbellini.
Ritengo pertanto che l'Ordine del giorno presentato dai Consiglieri Mignone e Rossa debba essere ritirato, perché sostituito, come quello presentato dal Consigliere Valeri a nome del gruppo PCI.
Il Consiglio convocato per oggi pomeriggio alle ore 15,30.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 14,15)



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