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Dettaglio seduta n.89 del 16/03/11 - Legislatura n. IX - Sedute dal 28 marzo 2010 al 24 maggio 2014

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CATTANEO



(La seduta ha inizio alle ore 11.10)



PRESIDENTE

La seduta è aperta.
Procediamo con l'esecuzione dell'Inno Nazionale.



(In applicazione del dispositivo dell'ordine del giorno n. 9 "Unità d'Italia", approvato dall'Assemblea consiliare il 1° dicembre 2010 l'Assemblea, in piedi, ascolta l'Inno nazionale della Repubblica Italiana "Il canto degli italiani")


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Celebrazione del 150° Anniversario dell'Unità d'Italia - Lettura del messaggio del Presidente della Repubblica


PRESIDENTE

Colleghi, do lettura del messaggio pervenuto da parte del Presidente della Repubblica ai Presidenti dei Consigli e delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province Autonome: "Sono lieto di rivolgere a Voi il mio più cordiale saluto in occasione delle iniziative organizzate per celebrare il 150° Anniversario dell'Unità d'Italia, momento ideale per richiamare alla memoria dei cittadini, delle forze politiche e dei responsabili delle istituzioni regionali e locali gli eventi fondamentali che hanno condotto alla nascita del nostro Stato unitario, e per rafforzare la consapevolezza delle responsabilità nazionali che ci accomunano.
La nascita dello Stato unitario ha consentito al nostro Paese di compiere un decisivo avanzamento storico, di consolidare l'amore di Patria di porre fine a una fatale frammentazione, di riconoscerci in un ordinamento liberale e democratico, forte dell'esperienza della lotta antifascista. L'alto dibattito in seno all'Assemblea costituente ha portato ad identificare ideali e valori da porre a base dell'ordinamento repubblicano. Nella Costituzione l'identità storica e culturale della Nazione convive con il riconoscimento e lo sviluppo in senso federalistico delle autonomie che la fanno più ricca e più viva, riaffermando l'unità e l'indivisibilità della Repubblica.
Mettendo a frutto le risorse e le potenzialità dei territori che rappresentate e portando avanti la riflessione sul contributo delle comunità regionali e locali al moto unitario contribuirete ad ancorarle in modo profondo e irreversibile al patto che ci lega, ai valori e alle regole della Costituzione repubblicana.
Certo che le celebrazioni corrisponderanno validamente a questi fini vi ringrazio fin d'ora per la vostra partecipazione ai comuni festeggiamenti e per l'importante contributo delle Assemblee da voi presiedute".
Firmato: Giorgio Napolitano.



(Applausi in aula)


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale


PRESIDENTE

In merito al punto 1) all'o.d.g.: "Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale", comunico:


Argomento:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio regionale

Argomento:

Congedi


PRESIDENTE

Hanno chiesto congedo i Consiglieri Botta Marco, Costa Raffaele e Gariglio.


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Celebrazione del 150° Anniversario dell'Unità d'Italia - Discorso di apertura del Presidente Cattaneo


PRESIDENTE

Autorità, colleghe e colleghi Consiglieri, signore e signori, è mio gradito compito svolgere l'intervento di apertura di questa solenne seduta del Consiglio regionale del Piemonte, indetta in occasione dell'avvio delle celebrazioni per il centocinquantesimo dell'Unità d'Italia.
A nome dell'intero Consiglio desidero porgere agli illustri ospiti e alle autorità che ci onorano della loro presenza il più caloroso saluto.
L'iniziativa odierna è stata voluta con unanime consenso della Conferenza dei Presidenti dei Gruppi consiliari, affinché si tenesse nella sede propria del Consiglio - con la serietà e il rigore che contraddistingue la nostra sensibilità politica - a Palazzo Lascaris appunto, antica dimora nobiliare, partecipe di molte vicende storiche di Torino e del Piemonte, divenuta oggi la casa di tutti i piemontesi, che fra poche ore si aprirà, non solo simbolicamente, per ospitare cittadini e visitatori nella Notte Tricolore.
nostro intendimento che la discussione odierna non si risolva solamente in un momento formale, dovuto o imposto dalle pur elevate circostanze. È un'occasione di alto valore perché la nostra riflessione che ne sono certo - accoglierà le voci di tutte le componenti consiliari possa uscire dalle mere celebrazioni e giungere più precisamente alla definizione del ruolo dell'Istituto regionale nel contesto di uno Stato nazionale che, nell'arco di un secolo e mezzo di storia, ha compiuto un'evoluzione e una trasformazione profonda.
A queste riflessioni ci richiama anche l'alto messaggio che il Presidente della Repubblica on. Giorgio Napolitano ha inteso rivolgere ai Consigli regionali di tutt'Italia, impegnati in questi giorni in analoghi momenti di incontro.
Confido che proprio da queste parole possa giungere un ulteriore stimolo, affinché le celebrazioni per il Centocinquantesimo non si limitino solamente alla somma degli eventi che si affastellano in queste settimane e nei prossimi mesi, dovendo andare oltre e più in profondità nell'esame del cammino che qui ci ha portato, per individuare gli ulteriori passaggi che ci attendono.
Tra meno di due mesi, il prossimo 13 maggio, avremo modo di analizzare in un convegno di carattere storico-giuridico, insieme ai colleghi rappresentanti dei Consigli regionali d'Italia, la profondità del cammino unitario del nostro Paese - Paese in cui, oltre otto secoli fa, è nata la civiltà urbana intesa nel senso moderno.
Questo breve cenno serva solamente a collocare e inquadrare il periodo del nostro Risorgimento nazionale nell'arco di un più ampio cammino, che ha visto sviluppare il senso dell'autonomia municipale, dell'autogoverno insieme alle profonde diversità che hanno arricchito e reso l'Italia un protagonista del Rinascimento occidentale sotto molteplici punti di vista dall'arte alla letteratura, al commercio, al progresso scientifico ed economico-finanziario.
E insieme a questo sviluppo cresceva parallelamente il senso della nostra identità nazionale, in una situazione ancora politicamente frammentata, ma già in grado di ispirare, nel cerchio più ristretto degli intellettuali e degli uomini di cultura, quella profonda consapevolezza di un sentimento nazionale italiano.
Stiamo parlando di un processo che, oltre a essere sostenuto e spinto dalle idee nazionaliste sviluppatesi a livello europeo, nella prima metà del XVIII secolo, aveva anche delle reali motivazioni economiche, con l'esigenza di innescare l'industrializzazione del Paese, di favorire lo sviluppo dei commerci con il superamento delle divisioni doganali e monetarie, con la necessità di creare le infrastrutture ferroviarie che non a caso sarebbero state il primo e più rilevante impegno del nuovo Stato.
Questa consapevolezza era ben presente nella classe dirigente piemontese, e in particolare in Cavour, quando scriveva che "Il risorgimento politico di una nazione non va mai disgiunto dal suo risorgimento economico".
Problematiche che proiettavano la condizione italiana in una prospettiva europea, rendendo il nostro Paese parte di quel processo, lungo e articolato, di costruzione dello Stato nazionale, basato sulla tendenziale omogeneità etnica, linguistica, religiosa, culturale della Nazione, quale collettività sottesa allo Stato.
Nondimeno, proprio la condizione di diversità sociale e culturale di cui l'Italia era, a metà '800, un esempio evidente, comportava che proprio le forze più esposte sul fronte dell'unificazione dovessero considerare la realtà oggettiva e l'esigenza di un ordinamento del futuro Stato che non rispondesse pienamente ai canoni dell'accentramento amministrativo di stampo francese.
Sappiamo che questo dibattito fu forte e che vedeva schierati per un ordinamento più prossimo al modello federale numerosi e illustri esponenti sia studiosi delle dottrine politiche che impegnati più direttamente sul campo.
Persino in contesti, per così dire insospettabili, emergeva l'attenzione e la sensibilità verso una diversità e una varietà italiana non vissuta come ostacolo, ma come risorsa, se nel discorso della Corona pronunciato da Vittorio Emanuele II il 18 febbraio 1861 all'inaugurazione della legislatura, si rivolgeva un appello al Parlamento con queste parole: "Nell'attribuire le maggiori libertà amministrative a popoli che ebbero consuetudini e ordini diversi veglierete perché l'unita politica, sospiro di tanti secoli, non possa mai essere menomata".
Si ritrova in tali concetti, e nel costante dibattito politico, l'eco del pensiero espresso da molti studiosi, tra cui mi sia concesso citare Antonio Rosmini, che si spese per un ordinamento federale dell'Italia in grado di valorizzare le diversità che egli chiamava "naturali", cioè quelle differenze "buone" che, senza nulla togliere all'efficacia del governo della cosa pubblica, non avrebbero compresso oltre misura la libertà dei cittadini, conservando con sapienza quell'equilibrio che egli ritiene essere una delle maggiori difficoltà nella costruzione dell'ordinamento statuale.
Insomma, un'Italia - per usare le parole di Rosmini - "unita la più stretta possibile in una sua naturale varietà".
Sappiamo che per ragioni che possiamo definire in parte contingenti legate al rapido e, per certi versi, sviluppo degli eventi - questo disegno era destinato a non realizzarsi lasciando, per molto tempo, incompiuti alcuni nodi dell'unità italiana.
Ma è stata ancora una volta dall'Europa che, anche grazie all'apporto di politici e intellettuali italiani, è venuto lo stimolo per una nuova esperienza istituzionale, quella della Comunità Europea, che nell'arco di poco più di mezzo secolo condurrà ventisette Stati nazionali europei, fino a pochi decenni prima in guerra tra di loro, ad avere principi costituzionali comuni, discipline giuridiche comuni nei più importanti settori di vita associati, istituzioni politiche, amministrative e giudiziarie.
in Europa che la politica italiana ha imparato nuovamente a coniugare la parola "sussidiarietà", che oggi anima l'impegnativo sforzo di valorizzare e promuovere l'autogoverno delle comunità regionali e locali con il disegno federalista, che sarebbe opportuno sottrarre alle asperità del contrasto e della tattica politica, essendo un'iniziativa che, con toni e modalità diverse, appare oggi condivisa da gran parte dell'arco politico.
Infatti, si dovrà ricordare che la più ampia modificazione della Costituzione, la riforma del Titolo V, è da ascriversi all'iniziativa di una maggioranza di centrosinistra, mentre è l'attuale maggioranza di centrodestra particolarmente impegnata a dare corso alle previsioni dell'articolo 119 della Costituzione sull'autonomia fiscale e di bilancio del sistema costituito da Regioni e enti locali.
Autorità, Colleghi e Gentili ospiti.
Se vogliamo che la nostra riflessione odierna possa dare un fattivo contributo allo sviluppo della comunità piemontese il tema da affrontare è a mio avviso, quello dei modi in cui l'istituzione Regione - di cui abbiamo ricordato pochi mesi fa il quarantesimo anno di vita - possa continuare sempre più ad essere riconosciuta come un'interprete dei bisogni complessivi del Piemonte, così come, per più lunga tradizione, lo sono i Comuni nei confronti dei rispettivi cittadini.
Insomma, come si possa consolidare un senso di appartenenza e vorrei dire di cittadinanza piemontese che riconosca nella Regione l'ente esponenziale dei bisogni e degli interessi collettivi.
uno sforzo da porre in atto nel momento in cui il Piemonte vive nell'ambito della competizione ormai su scala mondiale, un passaggio particolarmente delicato, in cui il Piemonte deve mettere in gioco l'insieme delle sue competenze professionali, del capitale umano e di tutte le risorse disponibili per assicurare alle nuove generazioni che il livello di relativo benessere, oggi conseguito, possa essere quantomeno assicurato anche in futuro.
stato così anche in prossimità delle altre occasioni del centenario.
Nel 1911, quando a Torino e in Piemonte si affermava l'industria che avrebbe dato un contributo decisivo per la motorizzazione del Paese contribuendo a scriverne il profilo sociale e politico.
stato così anche nel 1961, quando il Piemonte, insieme a tutta l'Italia, si concentrava sullo sforzo di ricostruzione arrivando a conseguire quel "miracolo economico" che ci avrebbe proiettati nella modernità e legati, in modo definitivo, alle vicende europee e dell'Occidente democratico.
Se questi sono i precedenti, non è errato pensare che le sfide che ci attendono siano impegnative, e tuttavia stimolanti, pensando che ciò che ha fatto il successo del nostro Piemonte, in passato, è stata sempre la capacità di credere nella qualità e nell'impegno delle persone, delle donne e degli uomini che ci hanno preceduto e che, facendo semplicemente silenziosamente, umilmente il loro dovere, hanno creato le condizioni perché oggi noi possiamo, orgogliosamente e senza contraddizioni, dirci piemontesi, italiani ed europei!



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Giunta, onorevole Roberto Cota.



COTA Roberto, Presidente della Giunta regionale

Vorrei rivolgere anch'io il mio saluto a tutti i Consiglieri regionali e alle Autorità presenti in questa seduta particolare e speciale di Consiglio.
Tuttavia, in apertura, pensando di rappresentare tutti i colleghi vorrei anche rivolgere un pensiero di vicinanza alle vittime della tragedia che ha colpito il Giappone. Un Paese molto distante da noi, ferito sicuramente da una tragedia che ha provocato molte vittime. Pertanto è giusto rivolgere, in questo momento, un pensiero di vicinanza a quel popolo.
Oggi celebriamo il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia ma per la verità celebriamo il centocinquantesimo della proclamazione del Regno d'Italia. Sappiamo che il processo di unificazione si è sviluppato anche negli anni successivi al 1861.
Centocinquant'anni fa, almeno così risulta dai resoconti dell'epoca (risulta più o meno da tutti i resoconti, quindi possiamo dire che la situazione obiettivamente era questa) Torino era una città "elettrica" dove arrivavano i vari parlamentari espressione dei più diversi territori dove c'era una grande curiosità da parte dei giornalisti presenti (allora la stampa iniziava a dare conto di quello che succedeva all'interno delle istituzioni e della politica). Insomma, l'atmosfera dei grandi eventi.
Negli anni che sono seguiti non sempre a Torino c'è stata questa atmosfera elettrica. La città ha vissuto diverse fasi, magari non ricordate dalla storia. Per esempio, nella notte tra il 21 e il 22 settembre 1864, ci fu l'eccidio di Piazza San Carlo che provocò tante vittime, che costrinse alle dimissioni il Ministro Minghetti dopo che si decise di trasferire la capitale da Torino a Firenze per un accordo stipulato con la Francia.
Da quel momento, Torino ha perso il ruolo di capitale, ma si è innescato anche un processo storico che ha sicuramente depauperato la nostra città e la nostra regione di un ruolo. Un processo che ha coinciso con il centralismo. Il centralismo che ha toccato il punto massimo con il regime fascista, ma che poi, anche dopo la proclamazione della Costituzione nel 1948, ha avuto una tendenza ad accentrare a Roma molte - troppe funzioni. Eppure, in quegli anni - ovviamente parlo degli anni che vanno dal 1848 in poi - l'opzione federalista non era sconosciuta, era un'opzione assolutamente sul tappeto.
Vorrei ricordare che il Risorgimento è iniziato nel 1848, il 18 marzo con le Cinque Giornate di Milano e il giorno prima con l'insurrezione di Venezia; i moti del 1848 erano guidati da due figure che incarnavano il pensiero federalista, cioè Carlo Cattaneo e Daniele Manin. Poi, questa opzione è stata discussa e si è sviluppata durante tutto il periodo del Risorgimento. Lo stesso Cavour ha più volte manifestato un disagio verso un'opzione centralista che non considerasse le identità e le autonomie dei territori. Per esempio, Cavour nel 1858, quindi non vent'anni prima del 1861, ma soltanto tre anni prima, aveva sottoscritto a Plombières i famosi accordi che ipotizzavano con la Francia la creazione di tre realtà federate all'interno del nostro territorio.
Ed ancora, successivamente alla proclamazione del Regno, negli ultimi mesi di vita di Cavour, il Ministro Marco Minghetti, che sicuramente possiamo considerare una persona a lui vicina, aveva presentato al Parlamento quattro interessantissime proposte di legge che prevedevano forme molto marcate di decentramento amministrativo e che garantivano ai territori pre-unitari la loro autonomia, la loro identità e anche la possibilità di mantenere regole e sistemi giuridici sicuramente collaudati.
Poi, è successo quello che è successo e l'opzione federalista è stata accantonata.
Il federalismo ha perso, questo lo possiamo dire, dal 1861 in poi.
Però, l'idea federalista, intesa come la necessità di valorizzare le identità e le autonomie dei territori è sempre rimasta lì e covava sotto la cenere. Tuttavia, quando una cosa esiste nella realtà non si pu cancellare, è incomprimibile. Infatti, è venuta fuori con prepotenza già durante il periodo fascista, che forse ha coinciso con l'apice del centralismo, quando si sviluppava il pensiero autonomista e identitario.
Ricordiamo, per esempio, la figura di Don Sturzo. Se andiamo a vedere il pensiero di Don Sturzo, la sua storia e il suo amore per l'amministrazione locale, cogliamo benissimo questo tratto, che si è sviluppato anche nella discussione durante i lavori dell'Assemblea Costituente.
Per esempio, Piero Calamandrei è stato un sostenitore del federalismo proprio nell'Assemblea Costituente e, fuori dal Parlamento, Norberto Bobbio, nel 1945, pubblicò "Gli Stati Uniti d'Italia" di Carlo Cattaneo: li ha proprio tirati fuori e divulgati facendo propri alcuni tratti del pensiero di Cattaneo.
Questo sommovimento confluisce nella redazione della Costituzione del '48. La Costituzione del '48 ha inglobato alcuni aspetti importanti del pensiero autonomista e di quello identitario, perché era una Costituzione che, come abbiamo anche più volte ricordato in quest'Aula, per esempio durante i lavori sullo Statuto, prevedeva, per quanto riguarda le Regioni competenze importanti, se pensiamo all'economia dell'epoca e al periodo in cui è stata scritta.
In seguito, anche in quel momento storico, ha prevalso l'opzione centralista, perché la Costituzione è rimasta inattuata per molti anni e le Regioni hanno cominciato a funzionare soltanto nel 1970. Quando le Regioni hanno cominciato a funzionare, la Corte Costituzione si pronunciò in termini restrittivi rispetto all'autonomia regionale, quindi, ancora una volta, si è vissuto un periodo travagliato e difficile per quanto riguarda le identità e le autonomie dei territori, fino ad arrivare alla riforma costituzionale del 2001, la famosa riforma del Titolo V.
una riforma che introduce e che ha introdotto novità importanti. Una riforma con luci e ombre, perché non ha chiarito le competenze dello Stato e delle Regioni su alcuni aspetti, generando anche un contenzioso presso la Corte Costituzionale. Però, grazie, devo dirlo, alla spinta del movimento al quale mi onoro di appartenere, un'idea che prima era stata completamente accantonata è diventata patrimonio del dibattito e della discussione politica.
Poi arriviamo ai giorni nostri, quando il Centocinquantesimo coincide non soltanto con la discussione, ma proprio con l'approvazione finale del federalismo fiscale.
Allora, se c'è una cosa assolutamente necessaria per realizzare il federalismo e, quindi, per dare spazio all'autonomia e all'identità dei territori è proprio la possibilità di avere un'autonomia fiscale, cioè la possibilità di mantenere le risorse sul territorio e di sviluppare politiche fiscali nell'interesse dei cittadini e dei rispettivi territori.
Questa è proprio la parte assolutamente mancante, che invece adesso si pu concretamente realizzare.
Allora io vedo - lo dico da Presidente della Regione che ha davanti a sé sfide importanti, perché oggi la nostra Regione vive un momento non facile - questo federalismo fiscale, con le riforme che si stanno realizzando, come una luce che può illuminare, che deve illuminare il futuro. Questa ricorrenza non riesco a viverla come una ricorrenza retorica, in modo retorico: voglio viverla, per la mia sensibilità, come una ricorrenza che ci spinge a guardare al futuro in prospettiva. E il futuro non può non essere che quello di uno Stato più moderno, di uno Stato più vicino ai cittadini, di uno Stato dove i territori possano avere la loro identità e la loro autonomia attraverso il federalismo fiscale e attraverso le riforme che dobbiamo assolutamente realizzare.
Diventa il modo per stringere un nuovo patto tra i territori e diventa anche il modo per valorizzare le peculiarità del nostro territorio.
Quali sono le peculiarità del nostro territorio? Il Piemonte è sicuramente una Regione che deve puntare molto sul lavoro, sulla produzione, sull'innovazione. La nostra storia ce l'abbiamo e ce la teniamo ben stretta, ma questa è sicuramente la via per affrontare il futuro e per dare una speranza anche alle nuove generazioni.
Ho apprezzato molto, lo dico qui davanti a voi, alcuni aspetti della visita del Presidente della Repubblica, e anche un certo taglio che il Presidente stesso ha dato alla sua visita, che leggo proprio in questa direzione. Per esempio, la visita di sabato prossimo allo stabilimento della Pirelli e, in generale, l'attenzione a questi temi, al tema del lavoro, al tema dell'occupazione e al tema dello sviluppo. Ovviamente ne sono molto contento e ringrazio il Presidente della Repubblica, che accoglieremo dopodomani a Torino.
Grazie anche a voi e buon lavoro.



(Applausi in aula)



COTA Roberto, Presidente della Giunta regionale

PRESIDENTE



COTA Roberto, Presidente della Giunta regionale

Grazie, Presidente.
Ha chiesto di intervenire il Presidente del Gruppo Il Popolo della Libertà, Luca Pedrale; ne ha facoltà.



PEDRALE Luca

Grazie, Presidente.
Un saluto a tutti i colleghi, al Presidente del Consiglio, al Presidente della Giunta regionale e alle Autorità.
Ho dato fin da subito piena e convinta adesione all'iniziativa proposta dal Presidente Cattaneo di celebrare il 150° dell'Unità d'Italia con una seduta specifica del Consiglio regionale, perché questa opportunità non sia soltanto uno dei molteplici eventi che in queste settimane vengono organizzate. Credo che da parte dell'Assemblea rappresentativa dei cittadini piemontesi vi debba essere un momento di analisi, ampia e profonda, sia delle vicende dell'ultimo secolo e mezzo di vita italiana sia, maggiormente, delle prospettive che ora si aprono, con particolare riguardo al ruolo della nostra Istituzione regionale.
Si possono cogliere, infatti, momenti di singolare coincidenza tra le due date simbolo - 1861 e 2011 - che rappresentano, rispettivamente l'avvio della nostra storia politica unitaria e l'attualità.
Ho detto della storia politica perché, in realtà, la penisola arriva alla metà dell'800 con una situazione di frantumazione tra diverse realtà statuali, ma con una riconosciuta - anche all'estero - identità nazionale di lingua, di cultura, di costumi. Le differenze regionali, che pure esistono, non sono sufficienti a smentire la sostanziale unità che anima e ispira la nostra letteratura, l'esercizio delle arti, l'immagine che molti italiani, di un secolo e mezzo fa, hanno di loro stessi e che rappresentano verso l'esterno.
L'unità politica, raggiunta con il concorso delle potenze occidentali dell'epoca, segnatamente Francia e Inghilterra, addirittura con l'ammirazione degli ambienti tedeschi, che di lì a poco avrebbero anch'essi compiuto il loro cammino unitario (in senso più federalista del nostro) sostenuta dalle ragioni economiche e dalla volontà di creare un grande mercato nazionale, era destinata a imporsi come la naturale evoluzione di un percorso storico lineare, maturato con la crescita dello spirito nazionale in tutta l'Europa. A poco vale qualche tentativo di revisionismo che oggi vorrebbe riscrivere la storia mettendo in dubbio, ad esempio l'esito dei plebisciti negli Stati preunitari. Gli eventi erano trascinati verso l'esito unitario da una forza storica, da un lancio "rivoluzionario" anche nel senso etimologico del termine, che non lascia spazio ai cavilli né alle riscritture sul filo del diritto.
Punto provvisorio di arrivo di questa lunga ma ineluttabile evoluzione il 1861 è anche il momento di inizio di un nuovo percorso storico, che il giovane Stato unitario affronta fin da subito tra difficoltà di ogni genere, ma con la volontà e la determinazione di "compiere l'impresa", di creare cioè un'Italia che possa essere protagonista nell'orizzonte europeo ed internazionale.
Nel contempo, il processo di graduale democratizzazione del sistema politico si abbina al ruolo crescente delle autonomie locali. Non dimentichiamo che è il Piemonte sabaudo a concedere, già nel 1847 l'elettività dei Consigli comunali e provinciali, seppure con un ridotto corpo elettorale su base censuaria. In tal modo si stimola quello spirito di partecipazione che coinvolge, via via, strati sociali più ampi nella gestione della cosa pubblica, fino alla compiuta democrazia.
Così come si consolidano gli assetti autonomisti, sia con le tutele riconosciute dalla Carta Costituzionale sia come esigenza espressa dalla società civile e dalle molte forze politiche, fino a condurre, oggi all'avvio di un nuovo percorso "federalista", di cui si stanno finalmente mettendo a punto gli aspetti cruciali della fiscalità e della finanza.
In tale frangente, il Piemonte, regione all'avanguardia per molti aspetti della vita sociale ed economica nell'Italia unita, ha da svolgere un ruolo fondamentale, che può ancora una volta essere trainante, nel rafforzare quel senso delle istituzioni che sta alla base della rappresentanza democratica e che si alimenta della fiducia reciproca tra cittadini, singoli e associati, e sistema pubblico (il cosiddetto federalismo orizzontale, non solo verticale istituzionale).
In particolare, l'Istituzione Regione nel suo complesso - quindi sia Consiglio sia Giunta - debbono proseguire nel processo di "accreditamento" presso l'opinione pubblica piemontese, in quanto garanti e sostenitori degli interessi regionali, interpreti delle necessità espresse dai cittadini e dalle forme organizzate della società, promotori della crescita sociale ed economica, agendo in stretta sinergia con l'intero sistema delle autonomie locali e delle autonomie funzionali.
un obiettivo che, a oltre quarant'anni dalla nascita della Regione diventa fondamentale conseguire quanto prima, e per il quale sarà di estremo aiuto poter disporre, finalmente e pienamente, dei poteri riconosciuti dal titolo V della Costituzione, dell'autonomia statutaria della possibilità di autodeterminare la propria organizzazione, di acquisire le risorse per raggiungere gli obiettivi prefissati in un più ampio spettro di materie, che vanno dalla tutela del territorio alla promozione delle attività economiche, ai servizi alla persona, specialmente nei delicati settori della salute, dell'assistenza e della formazione.
Occorre, affinché questo ruolo possa giungere a compimento con successo, che la Regione si senta, in tutte le sue componenti responsabilizzata, al di là della naturale differenziazione di ruoli tra maggioranza e opposizione, ma con l'ambizione di voler giungere, nel momento in cui gli eventi del 150° inducono i cittadini ad interrogarsi sul passato e sul futuro del nostro Paese, ad un completamento dell'evoluzione regionalista del nostro ordinamento, come naturale prosecuzione di un disegno di costruzione dello Stato che ha avuto nel Risorgimento il suo punto di inizio e che ci vede ancora oggi fortemente impegnati, per trovare questi assetti più adatti a rappresentare compiutamente la complessità del mondo moderno.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Presidente del Gruppo consiliare del Partito Democratico, Aldo Reschigna; ne ha facoltà.



RESCHIGNA Aldo

Grazie, signor Presidente.
Ho la convinzione che la solennità del momento che stiamo cercando di vivere assieme impone a ciascuno di noi la capacità di andare oltre le proprie convinzioni e le proprie appartenenze, per cercare di raccogliere minimi comuni denominatori capaci di consentire a ciascuno di noi di rappresentare l'orgoglio di essere cittadino italiano. Il presente è il tempo nel quale si confrontano e si scontrano progetti diversi e alternativi, che guardano al futuro e cercano di rispondere ai problemi della nostra comunità nazionale e regionale.
Un Paese, però, non esiste se non conserva dentro di sé valori e riferimenti condivisi che sappiano andare oltre all'attualità. Tutto ciò lo possiamo cercare solo nel nostro passato.
la grande necessità di conservare e possedere una propria memoria che diventa il fondamento della nostra identità nazionale. È il significato più profondo di ogni ricorrenza, e questa del 150° anniversario dell'Unità d'Italia è un'occasione preziosa per fare memoria. Proprio per questo non possiamo vivere questa data come una ritualità formale.
Nella nostra identità vogliamo soprattutto riconoscere che per noi e per la nostra Italia molte persone hanno donato la propria vita: lo hanno fatto per costruire un'Italia unita; lo hanno fatto per istituire all'Italia pace, libertà e democrazia; lo hanno fatto per difendere l'Italia dal terrorismo, dalle mafie; lo stanno facendo per dare dell'Italia un'immagine di un Paese attento alle necessità di pace, libertà e democrazia in ogni parte del mondo.
A loro, il nostro ricordo e la nostra riconoscenza.
Nella nostra identità vogliamo riconoscere il ruolo degli italiani come protagonisti delle grandi trasformazioni che hanno attraversato il nostro Paese. Al nostro Paese nulla è stato donato: tutto è stato conquistato con il grande valore della partecipazione di cittadine e di cittadini e con pensieri che hanno assunto la forza di essere grandi ideali. Hanno costruito l'unità del nostro Paese, hanno partecipato alla Resistenza perché i valori di pace, libertà e democrazia non siano stati un dono, ma una riconquista degli italiani. Hanno creato una condizione di solitudine nella stagione del terrorismo, nei confronti di ideologie prive di speranza e dense di morte. Hanno costruito e costruiscono una coscienza civica che lotti contro le mafie.
Nella nostra identità di Paese vogliamo riconoscere il valore della solidarietà tra i territori, con chi è ai margini della vita economica e della protezione sociale, con chi bussa alle nostre porte. Una solidarietà dovuta, perché nella nostra storia non possiamo dimenticare che oggi nel mondo vivono oltre 70 milioni di persone che discendono dagli emigranti italiani, più della popolazione residente all'interno della nostra nazione.
Nella nostra identità vogliamo riconoscere che il nostro Paese, prima della sua nascita come Stato unitario, è nato nel pensiero e nel patrimonio culturale italiano che forma la coscienza degli individui e delle comunità.
Non ha un futuro un Paese che non riconosca la cultura - e alla nostra cultura - questo compito fondamentale. Nel nostro patrimonio vogliamo e dobbiamo saper conservare la nostra Costituzione repubblicana, sintesi tra pensieri politici diversi, e sintesi alta ed equilibrata tra diritti individuali e diritti collettivi, che non può essere piegata alla contingenza dei tempi, perché deve mantenere la sua forza di guida che va oltre le contrapposizioni che la qualità e il presente rappresentano.
Sono alcune riflessioni che dovrebbero indurci ad abbandonare ritualità e formalità e ad affrontare, durante tutto questo anno, un tempo di riflessioni sul nostro essere "comunità nazionale".
Signor Presidente, domani è un giorno di festa: noi vogliamo vivere questa giornata di festa all'interno delle nostre comunità locali.
Fare festa significa riconoscere che c'é qualcosa o qualcuno, a seconda delle circostanze, più importante delle nostre quotidianità.
Fare festa per un Paese significa, innanzitutto, riconoscere la nostra appartenenza ad una comunità nazionale. Quando ho ricoperto il ruolo di Sindaco nella mia città tutte le volte che partecipavo a ricorrenze ufficiali, in modo particolare quella del 2 giugno, avevo dentro di me un grande sogno: quello che un giorno il nostro Paese potesse vivere quella data come in Francia vivono la ricorrenza nazionale della "Presa della Bastiglia" o gli Stati Uniti il giorno del "Ringraziamento".
Spero, credo e sono convinto che domani sarà un grande giorno di festa.
Domani potremo gridare, con grande voglia e con grande orgoglio: "Viva l'Italia".



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

La parola al Consigliere regionale Mario Carossa, Presidente del Gruppo consiliare Lega Nord-Bossi.



CAROSSA Mario

Grazie Presidente e grazie a tutti voi di essere presenti in questa giornata.
Anche noi, come Lega Nord, abbiamo aderito, in sede di Conferenza dei Capigruppo, a questa iniziativa.
Non sono capace a fare discorsi, per cui parlo "come mi esce", ma ci tengo a precisare che non vogliamo assolutamente fare alcun tipo di polemica. Tutti gli esponenti della Lega Nord negli ultimi mesi (da circa un anno) vengono "tirati per la giacchetta", per indurli ad aprire polemiche riguardo a questo Centocinquantesimo.
Questa attenzione, che è data soprattutto dai mass media e dai giornalisti - anzi, direi quasi esclusivamente - interessa solo a loro.
Per i cittadini piemontesi del nostro Paese i problemi sono decisamente altri: com'è stato detto poc'anzi, i problemi sono quelli dell'occupazione i problemi sono di un Centocinquantesimo che viene festeggiato ma di un Paese che è assolutamente incompiuto; un Paese che ha delle criticità che sono sotto gli occhi di tutti.
Da questo giorno, forse, dovremo riuscire veramente a ripartire in maniera franca e leale fra tutti noi per fare in modo che questo Paese migliori. Noi riteniamo che il miglioramento di questo Paese possa passare per un'unica via, che è quella del federalismo. Lo ha detto - me ne compiaccio - anche il Presidente della Repubblica: il federalismo è una parte fondante di questo discorso di Paese e di Stato. Questo è molto importante, ma dobbiamo cercare di passare oltre e non limitarci a considerare questa giornata come un semplice festeggiamento. Lo dico chiaramente: noi siamo stati contro l'istituzionalizzazione di questo giorno di festa per diversi motivi, non ultimo il momento di grossa crisi economica in cui versa il nostro Paese. Dopodiché, proprio perché siamo assolutamente democratici, abbiamo accettato il parere e il verdetto della maggioranza. Questo significa essere "istituzionali": l'accettare sempre in qualsiasi momento e democraticamente, il parere della maggioranza.
Noi l'abbiamo accettato, ma mi permetto di dire, rivendicandone il diritto come Capogruppo della Lega Nord, di essere tiepidi verso questo modo di festeggiare. Ciò non vuol dire che noi non crediamo in determinati valori. Assolutamente. E lo dimostriamo tutti i giorni, così come lo dimostrano tutti i giorni i nostri Ministri o le decine di Sindaci; lo dimostrano tutti i giorni i Presidenti di due Regioni, il Piemonte e il Veneto, con il lavoro quotidiano; i nostri Assessori, tutti quanti.
Il discorso di migliorare questo Paese parte non da un giorno di festa, ma dal lavorare quotidianamente in maniera seria e onesta per migliorare questo Paese.
Termino - come ho detto, non sono capace a fare discorsi in questi momenti - ricordando, con un po' di tristezza (peraltro, è stato evidenziato oggi da alcuni giornali), il fatto che questa festa sia sentita molto qua a Torino. Lo dico con orgoglio perché sono torinese ma anche con un po' di rammarico, perché significa che qualcosa non funziona in questo Paese. Se guardiamo Roma, capitale d'Italia, Palermo o Napoli, città che ha dato i natali al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di Tricolori ne vediamo pochi, pochi, pochi.
Questo ci deve fare assolutamente riflettere: è da questo che dobbiamo partire per migliorare tutti assieme.
Vi ringrazio, comunque, per gli interventi che seguiranno, che ritengo siano doverosi in questo giorno. Ringrazio le autorità militari e civili che sono presenti e chiedo a tutti, anche alla carta stampata, un po' di aiuto per superare determinati titoli e concentrarci, tutti assieme, sui problemi enormi di cui risente il nostro Paese.
Grazie, Presidente.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

La parola al Consigliere regionale Andrea Buquicchio, Presidente del Gruppo consiliare Italia dei Valori-Lista Di Pietro.



BUQUICCHIO Andrea

Presidente, la ringrazio.
In questo giorno di festa sicuramente non ci deve essere spazio per le polemiche, ma non possiamo rinunciare a interloquire in maniera seria con chi la pensa in modo diverso da noi. E cercherò di farlo come mi è consono fare, senza polemiche e nel miglior modo possibile.
Esiste un filo rosso, che vorrei chiamare in questo giorno "tricolore" che lega la storia della nostra nazione a quella di Torino.
proprio dalla nostra città che è partito ed ha preso forma, sostanza e si è realizzato nella sua interezza il sogno di una "Italia unita"; unita per la pace, per la libertà, per la democrazia, per la solidarietà e per il benessere collettivo. Ideali tutti coltivati per decenni e pagati a caro prezzo, come qualcuno che mi ha preceduto ha ricordato, con il sangue.
Migliaia di giovani, donne e uomini, sono morti per questo. Giovani, donne e uomini che hanno sacrificato la vita per vedere il proprio Paese riunificato sotto un'unica bandiera, un unico Stato finalmente libero dal giogo delle potenze straniere.
La riscossa del Bel Paese dopo secoli di occupazione è iniziata proprio qui a Torino, grazie alla tenacia e alla caparbietà di giganti della politica: Cavour, Mazzini, D'Azeglio, Sella. Nel cuore di Torino, in Piazza Carignano, è nato il primo Parlamento unitario italiano e proprio questa Città ai piedi delle Alpi è stata la prima Capitale d'Italia: un filo rosso ma - come dicevo oggi - "tricolore" che non si è spezzato neanche negli anni bui del fascismo. È nella nostra città, infatti, che si sono sviluppati i primi scioperi contro la guerra e contro il regime mussoliniano, oltre che un fecondo movimento di Resistenza che si è battuto fieramente per liberare l'Italia dall'occupazione nazi-fascista.
Negli anni del dopoguerra, con il boom economico e lo sviluppo della Fiat, a Torino abbiamo assistito alla prima vera unificazione d'Italia dopo un secolo dal 1861 - dopo la proclamazione, appunto, del Regno unito - con la massiccia emigrazione - e lo sottolineo: e-mi-gra-zio-ne - proveniente dal Centro e soprattutto dal Sud della Penisola. Migliaia di contadini abbandonarono falci e aratri per raggiungere le catene di montaggio e nella nostra Città, nei quartieri di Mirafiori, Vallette, Lucento, Barriera di Milano, e nei Comuni della prima cintura è iniziata una pacifica convivenza pacifica convivenza! - tra gli italiani provenienti da ogni Regione.
Dal finire degli anni sessanta era già possibile trovare tutta l'Italia non in un palazzo: in una casa; magari in una casa popolare, con famiglie di origini piemontesi, siciliane, calabresi, pugliesi, lucane. Certo all'inizio non sono mancati episodi di intolleranza, forse di xenofobia, di razzismo e tante incomprensioni; ma a distanza di cinquant'anni non si pu dire che la Città non sia migliorata, sia dal punto di vista economico, sia sotto il profilo culturale.
Non deve essere inoltre dimenticato il ruolo fondamentale, per la promozione della nostra lingua e della nostra cultura, svolto dalla Rai che ha avuto, ancora una volta a Torino - qui, in Via Verdi -, la sua prima sede. La televisione per migliaia di persone ha assunto un ruolo pedagogico: un valido strumento per apprendere velocemente, quasi senza accorgersene, una lingua comune che unisce tutta l'Italia, da Aosta a Palermo. Le finalità educative della televisione, almeno in quegli anni non ricercavano il consenso dei telespettatori; non si trattava di una televisione commerciale: c'era solo Carosello. Essa perseguiva invece un'unità culturale, oltre che linguistica. D'altro canto la situazione italiana era molto arretrata e di conseguenza il ruolo della televisione non poteva che proporsi come ponte di unione. E non è solo un modo di dire almeno da questo punto di vista linguistico e culturale, che l'unità d'Italia - consentitemi di dirlo - non l'abbia fatta Garibaldi, ma la televisione.
Siamo ai giorni nostri, con una Città sempre più viva e ricca di iniziative, quali per esempio le Olimpiadi Invernali del 2006, e di respiro internazionale; una metropoli che si è preparata nel migliore dei modi al 150° Anniversario dell'Unità d'Italia: è sufficiente dare uno sguardo. Non sono d'accordo con qualcuno che mi ha preceduto: basta dare uno sguardo alle vie e ai corsi principali: ve ne sarà qualcuna senza - pazienza! -, ma vi sono tante abitazioni che espongono alla loro finestra e al balcone il Tricolore, simbolo di una rinnovata unità nazionale, segno tangibile che il 150° compleanno d'Italia nella nostra Città è particolarmente sentito, più che altrove, e assume molteplici significati.
Purtroppo però - lo devo dire - il dibattito politico sia locale sia nazionale rimane impantanato su posizioni anacronistiche che vorrebbero riscrivere la storia. Oggi la nostra Nazione si trova in una situazione economica e sociale del tutto simile alla stagnazione dei primi anni dell'Unità d'Italia e non possiamo perderci dietro queste discussioni.
Credo sia arrivato il momento, a mio avviso, di avere il coraggio di cambiare il paradigma che ha fatto da riferimento in questi ultimi anni.
Certamente va superato l'assistenzialismo clientelare, ma mai - dico mai dobbiamo pensare anche lontanamente di superare la solidarietà, che forse una certa forma di federalismo vorrebbe inficiare e indebolire.
Il nostro Bel Paese - Bel Paese, sì: sono convinto che abbiamo mille motivi per poterlo chiamare così, abbiamo addirittura 44 siti considerati Patrimonio dell'Umanità da parte dell'Unesco - abbia nuovamente bisogno di poter credere che si possa trovare una strada che porti ad una nuova forma di benessere, quello che mi piace definire benessere collettivo. Siamo consapevoli infatti che la soddisfazione di ognuno di noi non può essere ricercata solamente nel mero perseguimento del benessere economico egoistico - e concludo, Presidente - ed elitario: elitario dal punto di vista individuale ed elitario dal punto di vista territoriale. No al benessere di pochi e al malessere di molti! Parlo di un benessere collettivo differenziato, certamente, ma mai iniquo.
Il nostro Paese non può più permettersi di perdere importanti energie in moti di divisione o di revisionismo e bisogna che anche noi dirigenti politici, industriali, banchieri, sindacalisti, docenti diamo l'esempio mettendo in discussione innanzitutto noi stessi e mescolandoci alle nuove generazioni, alle nuove culture, alle nuove etnie, nel tentativo di amalgamare una miscela vincente di relazioni e valori che consentano all'Italia un futuro degno di una Nazione da sempre al centro del mondo per altri dieci, cento, mille di queste ricorrenze.
Rivolgo un augurio a tutti gli italiani di poter compiere il maggior numero possibile di compleanni di un Paese migliore sotto il profilo sociale, culturale, economico collettivo e in ultimo - ma non per ultimo politico. Grazie.



PRESIDENTE

La parola al collega Negro, Presidente del Gruppo consiliare Unione di Centro.



NEGRO Giovanni

Illustre Presidente, gentili colleghi e stimati ospiti, la data di domani - 17 marzo - segna la ricorrenza della proclamazione di Vittorio Emanuele II a Re d'Italia. Si consacrò quel giorno del 1861 il processo di trasformazione della nostra penisola italiana da espressione puramente geografica, preda degli interessi imperiali del resto d'Europa, ad una Nazione unita e potente.
Lasciamo agli storici il compito di individuare ed analizzare gli eventuali vizi di origine del nostro Stato unitario: le debolezze e le dichiarazioni che hanno segnato ed ancora in parte segnano la nostra comunità nazionale. Lasciamo quindi da parte ogni cedimento retorico, così come ogni intenzione di revisionismo velleitario. Viceversa e con più forza dobbiamo cogliere anzitutto quegli elementi di ricchezza che - ben oltre le diversità dei protagonisti, delle posizioni culturali e politiche, delle differenti tradizioni locali - portarono ad un risultato che ci ha consentito di scrivere da italiani una storia comune.
Il moto patriottico percorse l'Italia divisa da nord a sud e crebbe a tal punto da divenire un diffuso sentimento di popolo in ogni strato della società. Monarchici e repubblicani, cattolici e liberali-rivoluzionari nobili e plebei, tutti appassionati dal sogno unitario che si stava avverando.
singolare pensare e trasportare la stessa tensione emotiva, morale e politica agli ultimi anni della dittatura fascista quando nel cuore degli Italiani cominciava a farsi strada la convinzione che si potesse raggiungere l'agognata libertà. Il sostegno degli Alleati rinvigorì e ampliò il coraggioso movimento degli uomini e delle donne della Resistenza.
Il tributo di sangue, persecuzioni e sofferenze pagate a caro prezzo esalta oltre ogni differenza e misura quanti combatterono per un solo scopo: la Liberazione del Paese.
Cattolici e comunisti, liberali monarchici e repubblicani, nobili borghesi, intellettuali e popolani si ritrovarono nel 1945 con lo stesso sentimento dei Patrioti del 1861, uniti dal valore supremo della riconquistata libertà. Il 25 aprile si associa, quindi, al 17 marzo.
Di lì a poco un'altra data consegnò all'Italia unita e libera il definitivo assetto repubblicano e costituzionale.
Ma non ci sarebbero stati né il 25 aprile e né il 2 giugno senza quel 17 marzo 1861, che ci ha consegnato lo Stato unitario, consentendoci, dal dopoguerra ad oggi, di essere tra i protagonisti del mondo libero e democratico, atlantico ed europeista.
La ricorrenza che oggi celebriamo serve, pertanto, a farci riflettere sulla straordinaria forza del nostro popolo quando viene chiamato a misurarsi per alti valori morali e civili.
Facciamo tesoro di questa data per cogliere l'occasione di portare a compimento il processo unitario allora compiutosi.
Abbiamo una pesante eredità e dobbiamo interrogarci sulla nostra capacità di restituire un futuro migliore alle giovani generazioni, un domani di speranza, pur in tempi così difficili per congiuntura economica e sfide mondiali. Ma questo non potrà succedere nella contrapposizione.
Recuperiamo, pertanto, lo spirito dei grandi momenti ideali della nostra Storia patria per rinnovare la coesione sociale. Dimostriamo, anche con rigorosi comportamenti di civiltà e moralità individuale e collettiva che siamo degni eredi dei nostri padri risorgimentali nel sapere rinnovare la Società e lo Stato senza strappi, né lacerazioni.
In questo percorso ci avvolga il Tricolore che sempre ha accompagnato le varie fasi della nostra storia: quelle esaltanti, quelle buie, quelle tristi, quelle gioiose. Quel Tricolore che è partito proprio "da questo piccolo lembo del territorio italiano", dal nostro Piemonte.
Dobbiamo essere tutti grati al Presidente Emerito Carlo Azeglio Ciampi che ha speso il suo mandato per rinnovare l'amor di Patria attraverso l'Inno di Mameli e la Bandiera tricolore iscritta all'articolo 12 della Costituzione tra i Principi fondamentali.
Come ci chiede il Presidente Napolitano, diamo, pertanto, una adesione attiva a questi festeggiamenti tralasciando la retorica sterile, così come ogni tentativo di distinzione.
Recuperiamo dalla Storia patria quella lezione che ci conduca al completamento dell'organizzazione dello Stato, che sarà più moderno, forte coeso e solidale quanto più preverrà il valore dell'Unità nazionale e del suo simbolo Tricolore.
Solo con questo spirito onoreremo i sentimenti che hanno animato gli uomini e le donne del Risorgimento, consegnando alla storia un futuro degno dell'eredità ricevuta.
A questo Consesso regionale arrivi pertanto il mio e il nostro più sentito e convinto inno: Viva il Piemonte e Viva l'Italia Unita!



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Grazie, Consigliere Negro.
La parola al collega Davide Bono, Presidente del Gruppo consiliare Movimento 5 Stelle.



BONO Davide

Grazie, Presidente.
Rivolgo un saluto a tutti i cittadini presenti, a tutti coloro che ci seguono e ci seguiranno anche on-line.
Come Presidente del Movimento 5 Stelle non farò polemiche, ma svolger una serie di critiche costruttive.
Il Movimento 5 Stelle ha aderito all'indizione di questa seduta straordinaria del Consiglio regionale per i festeggiamenti dell'Unità d'Italia, anche se siamo un po' scettici rispetto alla finalità e all'utilità degli stessi una tantum, cioè una volta ogni cinquant'anni.
Infatti, anche noi, come qualche collega che mi ha preceduto, pensiamo che se il popolo ritiene che questa è e deve essere una festa dell'intero Paese, debba essere festeggiata tutti gli anni.
vero, ci sono notevoli criticità nello Stato italiano, ovviamente non da oggi, non da pochi mesi. Proprio per questo riteniamo che si debbano studiare in modo serio, con fonti storiografiche - quindi, non propagandistiche - i centocinquant'anni che ci separano da quella data fatidica del 1861 che oggi siamo qui tenuti a ricordare.
Ritengo che le criticità, almeno sommariamente, siano di tre tipi: economiche, politiche e storico-culturali. Per quanto riguarda quelle economiche, lo sappiamo tutti. Quindi, relativamente alle criticità dobbiamo parlare, ovviamente, di corruzione, rispetto alla quale la Corte dei Conti, ultimamente, ha definito in circa 100 miliardi di euro il danno per lo Stato. In relazione ad evasione ed elusione fiscale siamo sempre nell'ordine di grandezza della stessa cifra di cui ho detto poc'anzi. Poi ricordo ancora la criminalità organizzata e lo spreco di soldi pubblici.
Ovviamente, mi tocca ricordare dati negativi.
Per quanto riguarda i festeggiamenti, abbiamo condotto un'analisi anche rispetto ai festeggiamenti svoltisi nel 1911 e nel 1961. Come ben sapete il Movimento 5 Stelle è sempre preoccupato e allarmato quando si parla di grandi eventi, di grandi opere e di grandi infrastrutture.
Quindi, se nel 1961 vennero realizzate situazioni positive, come, ad esempio, il quartiere costruito in un'area bonificata sulle sponde del fiume Po, nella zona sud, purtroppo, si verificarono sprechi di denaro pubblico. Ricordo, ad esempio, la monorotaia Alweg - chi è più vecchio di me sicuramente la ricorda - o la funivia che collegava il Parco del Valentino al Parco del Po, di cui non è rimasta traccia; poi, alcuni palazzi che adesso non hanno più un'utilità, come il Palazzo del lavoro, se non per un'eventuale trasformazione nell'ennesimo centro commerciale.
Sicuramente, da questo si evince un dato: la politica si è dimostrata nel complesso - ovviamente, non vogliamo generalizzare - costantemente fallimentare nel perseguire il bene collettivo, di cui parlava un mio collega precedentemente, e gli interessi dei - tanti - cittadini poveri oppressi e deboli rispetto, invece, ai - pochi - potenti e ricchi d'Italia.
Quindi, con una brevissima carrellata ricordo due episodi importanti che, ormai, essendo nel ventunesimo secolo, risalgono a due secoli fa.
Innanzitutto, nel 1892, lo scandalo della Banca Romana, che coinvolse buona parte - non me ne vogliano i colleghi del centrosinistra - della Sinistra storica di allora e venne coperto dall'allora Presidente del Consiglio Giolitti, essendo coinvolti molti deputati e senatori, anche il Re Umberto I. Praticamente, la Banca aveva stampato più soldi di quelli che avrebbe potuto stampare rispetto alla sua riserva aurea.
Ricordo anche il 1898 con le cannonate del generale Bava Beccaris sulla folla. Dopodiché l'anarchico Bresci, come tutti sapete, nel 1900 venne a rivendicare quei morti. Ne potrei citare tante di stagioni tristi ed addolorate dell'Italia, però il tempo stringe e quindi voglio correre agli ultimi cinquant'anni, quindi a partire dai momenti estremamente positivi della proclamazione della Repubblica: la nostra Costituzione, insanguinata già nel 1947 dalla strage di Portella della Ginestra; poi i diversi attentati negli anni '70, gli anni di piombo, le varie stragi in cui furono coinvolti Stato, servizi segreti, terrorismo rosso e nero, infiltrazioni di servizi segreti di altri Stati (ancora non si è chiarita la complessa posizione delle varie parti citate, compreso l'omicidio Moro). Per arrivare fino agli omicidi che purtroppo ci stanno molto a cuore, nel senso che ci insanguinano e feriscono il cuore, quelli dei magistrati Falcone e Borsellino, su cui ancora nessuno oggi conosce la verità. Qui probabilmente si è chiusa la Prima Repubblica, che ovviamente si basava sul finanziamento illecito ai partiti, cui tutti i partiti facevano ricorso. Con la fine di Craxi, il suo cosiddetto "esilio", in realtà fuga, nasce la Seconda Repubblica.
Non parlerò della Seconda Repubblica, altrimenti potrei scatenare delle reazioni da parte dei partiti che sono nati nella Seconda Repubblica.
Quindi, per fare una panoramica, cito solo gli scandali Parmalat Cirio, Alitalia, quelli relativi alla Salerno-Reggio Calabria, per cui pagano sempre i cittadini; cito anche le infiltrazioni della criminalità organizzata, della mafia, della camorra e della 'ndrangheta, delle quali si tende spesso a non parlare, nel tessuto civile, economico, politico e nella società di mezza Italia.
"Bisogna conoscere per deliberare", diceva Einaudi, e su questo non mi arrogo il diritto di essere l'unica fonte di informazione, ma penso che l'Unità d'Italia dovrebbe essere anche un momento per ricordare tutto quello che è stato e che va storto nel Paese.
Un dato ancora sulla criticità culturale storica. Vorrei aprire uno spiraglio di critica storica e storiografica, sapendo che non è la verità assoluta, sulla spiegazione della "questione meridionale". Sta rifiorendo tutta una letteratura che era stata sepolta dalla propaganda - se mi permettete - sull'Unità d'Italia, che ha seppellito tutto quel che di negativo c'è stato; quindi, fondamentalmente la propaganda ha descritto l'Unità come una guerra di liberazione, anche se qualcuno su certi libri scrive di "invasione" rispetto al Sud, da cui sarebbe nata l'arretratezza economica, politica e anche culturale del Sud stesso. Quindi, la questione meridionale non è nonostante l'Unità; la questione meridionale è per via dell'Unità, perché l'esercito sabaudo - sono piemontese e sono contento di esserlo, ma devo rammaricarmene per questo - si abbandonò a feroci repressioni nel Sud e alla spoliazione delle ricchezze del Meridione.
Ecco perché emigrarono in massa per primi - e qualcuno l'ha ricordato gli italiani del Sud, i meridionali, ed emigrarono in massa nelle Americhe per non ricordare quelli che vennero uccisi sia nei campi di battaglia sia nelle galere, come ad esempio nel forte di Fenestrelle.
Chiudo perché per il tempo non mi è concesso continuare. Dico solo che da queste analisi a tinte fosche vorrei che si traesse un punto di insegnamento costruttivo, ossia far sì che l'informazione - come noi diciamo, sempre - sia data a tutti, da una parte e dalla controparte e in modo non parziale, in modo che tutti possano, come diceva Einaudi, essere informati correttamente e deliberare di conseguenza.
Comunque anch'io dico: viva l'Italia e viva l'Unità d'Italia. Grazie.
(Applausi in aula)



PRESIDENTE

La parola all'Onorevole Mercedes Bresso, Presidente del Gruppo consiliare Uniti per Bresso.



BRESSO Mercedes

Grazie, Presidente, Autorità, gentili ospiti e colleghi. Siamo arrivati alla vigilia delle celebrazioni per i Centocinquant'anni dell'Unità d'Italia fra entusiasmi, ma anche fra polemiche, com'era prevedibile e com'è al solito nel nostro Paese.
Eppure credo che noi dobbiamo partire da quel 1861, da quel grande progetto unitario che il 1861 portò a compimento, come dovere di riflessione, innanzitutto, sul nostro presente e sul nostro futuro.
L'Italia è diventata uno Stato, prima monarchia e poi repubblica, a partire da quello storico 17 marzo 1861, ma l'Italia come Nazione, cioè come identità di popolo, è nata in realtà molto prima. Con il termine "italici" o anche "italioti" si designavano le popolazioni indoeuropee stanziate nell'Italia antica, segno che l'espressione geografica Italia e l'identità con quella forma geografica e quelle popolazioni esistevano in tempi antichissimi, anche prima di Cristo.
Un regno italico - lo sappiamo - nasce nell'anno 1000, quando Arduino il 15 febbraio di quell'anno, molto vicino a questa data, fu incoronato re d'Italia, e ricorderete anche qual era l'antica capitale di quel regno.
Sia detto per inciso, visto che abbiamo sentito esaltare molto il federalismo, che di una nazione padana non si ha traccia nei libri di storia.
Invece l'identità italiana, da contrapporre ai tanti che nei secoli hanno voluto occuparla ed impadronirsene, esiste da molto tempo. Ricordo "Ahi, serva Italia, di dolore ostello" di Dante, o se preferiamo, "Le genti del bel paese là dove 'l sì suona".
Il "bel paese dove 'l sì suona" ci ricorda quelli che da sempre sono stati considerati i caratteri fondanti dell'identità italiana: il Bel Paese, la bellezza dei suoi paesaggi, la bellezza delle sue città, il "sì suona", cioè quella lingua dolce e musicale che diventerà la lingua del canto per eccellenza.
L'Italia quindi Nazione ben prima che Stato, l'Italia delle sue città Stato, l'Italia faro culturale d'Europa nel Rinascimento, meta ambita da allora in poi di ogni europeo colto, che attraverso il viaggio in Italia veniva alla fonte di quel Paese così amato e così riconosciuto, anche se non era ancora Stato.
L'Italia unita sognata da tutte le grandi menti, dalla caduta dell'impero romano in poi, fino a quando un piccolo Stato transalpino, un po' italiano e un po' francese, si assunse lo storico compito di realizzare quel sogno. Quel sogno che è ben precedente alla scelta dello Stato sabaudo di costruire l'unità di quel popolo.
Credo che questo nostro Parlamento regionale debba sentire l'orgoglio di essere l'erede di quel piccolo coraggioso Stato che realizzò l'Unità d'Italia.
Credo che dovremmo tutti rileggere le pagine della nostra storia patria, perché la grandezza del moto unitario in Italia sta precisamente nella ricchezza e nella molteplicità delle sue ispirazioni e delle sue componenti.
Molti lo hanno ricordato e io lo condivido assolutamente. La grandezza di Cavour è stata proprio nell'aver saputo governare quella dialettica di posizioni e di spinte, nell'aver saputo padroneggiare quel processo fino a condurlo al suo sbocco più avanzato.
Una storia, quindi, di cui essere orgogliosi, al punto che tante delle opere che nel Novecento hanno visto la luce meriterebbero di essere riproposte oggi all'attenzione di un largo pubblico, in special modo di un pubblico giovane.
In questo senso credo che sarebbe stato meglio uno slancio più convinto alla partecipazione al programma delle celebrazioni del Centocinquantenario.
Io ho vissuto, per ragioni di età istituzionali, con entusiasmo i primi passi di quell'organizzazione e posso dire senza polemica, ma con rammarico sincero, che il risultato è minore delle aspettative e delle ambizioni che allora ci ponemmo. È vero che la situazione generale non è delle migliori, però festeggiare l'unificazione del nostro Paese è qualcosa che va oltre e dovrebbe andare oltre l'organizzazione di eventi e di mostre.
L'occasione non voleva e non doveva essere soltanto commemorare il Risorgimento e i suoi eroi, quanto piuttosto i molti risorgimenti dell'Italia contemporanea, di una nazione che, nonostante le tante contraddizioni, rimane uno straordinario Paese, dalle enormi potenzialità.
In questi giorni, Torino - e non poteva essere diverso - è al centro di questa mobilitazione: una città e una regione che tentano una rappresentazione spettacolare dei propri caratteri, della propria identità e della propria storia, ma anche del proprio futuro.
Di questa partecipazione, l'aspetto più impressionante è la crescente adesione dei cittadini allo spirito della festa, attraverso l'esposizione del nostro tricolore.
un gesto apparentemente piccolo, ma che molto dice del carattere italiano: un simbolo di appartenenza, di adesione dei cittadini, compresi i tanti nuovi cittadini di origine lontana, che sono divenuti con orgoglio nostri compatrioti.
Impariamo da loro, riconosciamoci tutti nell'esito esaltante del movimento dell'Unità d'Italia.
Allora c'è stata la condizione e la premessa dell'ingresso del nostro Paese nell'Europa moderna e del suo successivo trasformarsi e svilupparsi in quel progetto di una grande unione politica europea - quella sì autenticamente federale - che rappresenta, per quanto mi riguarda, il vero progetto federale, quel che noi dobbiamo proporre ai nostri figli e nipoti a questo grande Paese.
Voglio concludere anch'io - vede Presidente, sono rimasta nei tempi dicendo che sono orgogliosa di avere partecipato a questa celebrazione.
Mi auguro che, con domani, finiscano le polemiche e che tutti ci riconosciamo nel grande progetto dell'Unità italiana.
Grazie.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Andrea Stara, Presidente del Gruppo consiliare Insieme per Bresso.



STARA Andrea

Grazie, Presidente.
Il 20 ottobre del 1856, una lunga scia di vapore nerastro si riversò su Porta Susa, mescolandosi alla nebbia e al grigiore autunnale. Si apriva il primo tratto di ferrovia tra Torino e Novara.
Due anni dopo, la strada ferrata raggiunse il Ticino, un confine vero che separava il Regno Sabaudo e l'Impero Austriaco.
Di lì a poco, quella barriera sarebbe crollata sotto i colpi irrefrenabili dello spirito risorgimentale e quel primo tratto di ferrovia avrebbe collegato con i territori dell'unità conquistata la città di Torino e il Piemonte, trasportando con sé lo sviluppo e la vocazione industriale e produttiva del nostro territorio; quella strada ferrata, attraverso valli e campagne, rompendo un isolamento secolare, congiungendo realtà lontane tra loro, ricchezza e complessità di una nazione che ha saputo costruire la sua unità molti secoli prima del 1861 e proprio a partire dall'espressione artistica e culturale, dal suo bagaglio di storie e di esperienze.
Celebrare l'Unità d'Italia non significa portare i fiori sulle lapidi né lucidare qualche statua, ma piuttosto raccogliere un'esperienza mettersi in ascolto di voci lontane, ma che ci parlano anche dell'oggi.
Sono voci di donne e di uomini lungimiranti, che videro dietro al puzzle dei dazi e delle divisioni politiche una nazione, un popolo, un futuro comune da costruire. Sono pagine scritte nella storia, che non possono essere cancellate, nonostante qualcuno voglia riportare indietro l'orologio della storia.
L'unità ha portato in primo luogo la scuola ovunque: la scuola pubblica, le stesse leggi da nord a sud della penisola e il Piemonte ha guidato questo processo con generosità.
Per la prima volta, conquistano, sulla scena della storia, un posto da protagoniste anche le donne: inviate di guerra, le eroine delle Cinque Giornate di Milano, che muoiono sulle barricate con i figli in braccio, o ancora le intellettuali, le donne di politica che seppero tradurre in percorsi concreti i loro progetti che parlavano già al futuro.
Un nome per tutti: Cristina di Belgiojoso, intellettuale, combattente artista e filosofa che realizzò testardamente nel Castello di Locate Triulzi un modello di welfare per i figli dei suoi dipendenti, che mirava a superare la mera carità in nome della cultura e della promozione sociale.
Purtroppo, questa, come altre figure, furono spesso ricondotte al più pacificante ruolo di aristocratiche libertine.
Le celebrazioni del Centocinquantesimo sono un'occasione anche per restituire dignità a quelle voci e a quelle lotte.
L'onda lunga che conduce dallo spirito risorgimentale all'antifascismo alla Resistenza e alla nostra Costituzione cammina su quei valori: la scuola e la cultura in prima linea, le pari opportunità per tutti, l'equità sociale, l'integrazione tra culture diverse.
Concludo con una constatazione sul presente molto amara: la nostra storia è una storia che risulta difficile leggere e ritrovare oggi nella realtà, con il sistema di istruzione pubblico destrutturato e umiliato, la cultura e l'espressione artistica in ginocchio, il welfare a pioggia, per tutti e per nessuno. Dalla promozione sociale stiamo tornando indietro di 150 anni, all'elemosina, come prima dell'unità, con una riforma federalista che umilia le Autonomie locali, che di federalista ha solo il nome; una facciata fatta di comunicazione, ma vuota di contenuti e soprattutto di risorse, come sanno bene tutti i Sindaci in tutta Italia, messi in ginocchio dal Patto di Stabilità.
Un Governo che dovrebbe essere portavoce di cultura federalista ed ha umiliato, ad esempio, il Centro di Produzione RAI di Torino, così come è successo con la radio; RAI che, come ha ricordato prima il collega Buquicchio, è stata vera protagonista del percorso di costruzione degli italiani.
Una riforma federalista che umilia i veri federalisti della nostra storia, a partire da Calamandrei, visto che è stato citato, a sproposito probabilmente perché chi lo ha citato non ha mai letto nulla di Calamandrei.
Per cortesia, non si ascriva impunemente Calamandrei alla causa leghista! Lo grida la nostra storia! Cogliamo l'occasione della celebrazione dei nostri 150 anni per comprendere e recuperare quei valori di civiltà, solidarietà e progresso sociale, economico, culturale, giuridico e di conquista di diritti che hanno caratterizzato la storia dell'Italia.
Sono stanco, siamo stanchi, e milioni di persone in piazza lo stanno dimostrando, che in tutto il mondo, dopo la nostra storia, ci si debba oggi vergognare del nostro Governo e del suo Presidente.
Recuperiamo quei valori! Tutti recuperino quei valori per traghettare nel futuro con orgoglio il Paese Italia.
Grazie.



PRESIDENTE

La parola alla Consigliera Eleonora Artesio, Presidente del Gruppo consiliare Per la Federazione-Sinistra Europea.



ARTESIO Eleonora

Grazie, Presidente.
vero, in alcuni momenti della nostra storia e ancora oggi, su alcune reti, la comunicazione pubblica televisiva riesce ad essere un grande strumento pedagogico.
Ho seguito con attenzione una rubrica condotta da Paolo Mieli purtroppo trasmessa in tarda serata, dal titolo "Sorelle d'Italia", e parto da qui. Parto dalla difficoltà che quello straordinario cronista ha incontrato nel provare a rappresentare la storia del nostro Paese, della nostra Unità d'Italia e il come siamo oggi, a partire dal ruolo e dal protagonismo delle donne.
Se molti commenti e libere interpretazioni possiamo fare delle ricostruzioni storiche - sono quelle degli Stati, sono quelle delle maggioranze, sono quelle dei vincitori - un'unica grande verità dovrebbe poter essere riconosciuta da tutti, e cioè che anche la nostra storia è la ricostruzione di una storia patriarcale, che ci sono soggetti che sono stati per lungo tempo esclusi, e non parlo delle singole donne illustri che nella loro solitudine hanno marcato passaggi della storia, ma parlo delle condizioni femminili e delle loro presenze collettive, cioè quella particolare capacità femminile troppo impegnata a fare la storia per preoccuparsi di trasmetterla e troppo a lungo ignorata in quella continua mistificazione della presunta domesticità delle donne dalla ricostruzione degli storici uomini.
E quindi, premetterò a qualunque giudizio politico questa mia appartenenza, per provare a rileggere i nostri 150 anni alla luce della condizione femminile, del protagonismo femminile e delle trasformazioni di diritto e di cultura, che questo protagonismo hanno introdotto nel nostro Paese.
evidente che il primo tema riguarda la tradizionale esclusione dalla polis da parte delle donne e che quindi la prima grande battaglia femminile, quella delle femministe dell'800, fu quella dell'accesso alla rappresentanza. Una rappresentanza che dopo non ci risultò sufficiente tant'è che l'associazionismo femminile ha tratteggiato la cultura di questo Paese più e prima che la presenza nelle istituzioni. Tuttavia, prima della partecipazione diretta, ci fu il comportamento e la mobilitazione per quell'elementare conquista del diritto di soggettività della partecipazione al voto e della rappresentanza nelle istituzioni. E quindi la presenza politica organizzata la iscriviamo esattamente nella fase repubblicana; la iscriviamo con quella ripresa di partecipazione politica nel Movimento della Resistenza, ma anche negli anni '50 da quella straordinaria funzione di aggregazione culturale, sociale e politica che furono i grandi partiti di massa, nei quali ricordo che nel 1950 le donne iscritte alla Democrazia Cristiana erano il 35% dei tesserati e al Partito Comunista il 24%. Nel 1954, le donne aderenti all'Azione Cattolica erano la metà dei 2,5 milioni di aderenti e nel 1964 le donne iscritte all'UDI erano 220.000 su circa 16 milioni di elettrici, ma vantavano un circolo ogni 6.000 abitanti: una capillarità che oggi le formazioni politiche, sociali e sindacali si sognano.
Ebbene, il protagonismo femminile in campo politico comincia quindi nella fase dell'organizzazione repubblicana e dell'affermazione piena della partecipazione alla democrazia. Non è un caso che nel 1961, quando a Torino si celebra la ricorrenza dell'Unità d'Italia, si celebrano anche, in occasione dei 100 anni, il primo convegno organizzato dal Comitato delle Associazioni Femminili - pensate - per la parità di retribuzioni. Parliamo del 1961 e oggi, nel 2011, stiamo discutendo quanto distante ancora sia la parità di riconoscimento economico a parità di svolgimento professionale e talvolta di superiorità femminile della competenza culturale.
Quindi, come si vede, la nostra storia è stata a lungo una storia di esclusioni, ma non di assenza, ed è stata una storia di esclusioni perch duro era il conflitto sul piano culturale. Voglio ricordare qui quella lunga marcia della cultura che ebbe - e torniamo alla televisione - un programma di Ugo Zatterin, lungamente contrastato dalle direzioni, ma che riuscì poi ad andare in onda nel 1958, dal titolo "Le donne che lavorano" un'inchiesta televisiva che per la prima volta sfatava l'idea domestica del ruolo femminile e presentava alla scena della pubblica opinione, con l'evidenza della concretezza quotidiana, questa competenza delle donne.
Fino al 1961, dove anche in Italia venne pubblicato il libro "Il secondo sesso" di Simone de Beauvoir, che cito non per il riferimento letterario, ma per sottolinearvi che era stato pubblicato in Francia nel 1949 e per dirvi quanto fu duro importare quei principi culturali d'identità di genere nel nostro Paese, quel principio culturale che riaffermo con lo slogan di Simone de Beauvoir: "Donne non si nasce, si diventa".
Fino al 1969, con la pubblicazione delle "Inumane vite" di Maria Luisa Zardini, che denunciavano le drammatiche condizioni delle troppe maternità e del ricorso drammatico all'interruzione volontaria di gravidanza.
Volontaria no, perché condotta in termini di clandestinità e condotta in termini di forte esposizione al rischio.
O ancora la prima critica tentata sul piano culturale di far riconoscere come la condizione sociale della donna non fosse naturale, ma fosse determinata da alcuni principi educativi di carattere maschile e patriarcale. E ricordo qui, anche per comune appartenenza professionale Elena Gianini Belotti "Dalla parte delle bambine".
Questo per dire che la marcia per il protagonismo femminile fu un lungo percorso culturale che ebbe importanti risvolti di carattere legislativo in cui le donne furono protagoniste prima dei parlamentari, anche perch anche in Parlamento erano scarsamente rappresentati.
Allora voglio ricordare - e concludo, Presidente - in modo particolare la questione delle riforme del diritto di famiglia. Possiamo ricordare, nel momento in cui celebriamo l'Unità d'Italia, che a lungo fu in vigore nel nostro Paese il diritto d'onore derivante dal Codice Penale del 1930 e che soltanto nel 1975 il diritto di famiglia riformulò questa superiorità del marito maschio rispetto al resto della famiglia (moglie e figli in particolare) o ricordare ancora quanto tardivo fu il riconoscimento del fatto che i delitti compiuti contro la donna non fossero delitti contro la morale, ma fossero delitti contro la persona.
Ebbene, tutto questo percorso è anche la nostra storia d'Italia. Una storia d'Italia in cui le donne sono dovute passare prima dal ricercare il posto delle donne in un mondo di uomini, poi ad affermare il proprio protagonismo con la propria differenza e la propria cultura. Credo che questo percorso lo abbiamo avanti a noi e come donne impegnate nella politica un parziale riconoscimento reciproco della nostra responsabilità in questa storia.



PRESIDENTE

La parola al Consigliere Giovine, Presidente del Gruppo Pensionati per Cota.



GIOVINE Michele

Presidente Cattaneo, gentili cittadini piemontesi, autorità convenute Presidente Cota, gentili colleghi, Assessori e Consiglieri tutti, 150 anni dall'Unità d'Italia: il compleanno della nazione. Una festa a tutti noi cara, sinceramente cara, che sentiamo nel nostro intimo, cui riconduciamo spontaneamente concetti non solo importanti, ma fondamentali, che hanno a che fare con la nostra storia, le nostre origini, la nostra stessa essenza.
Perché noi siamo questo: noi siamo italiani.
Mentre ponevo in essere questa banale riflessione, che appare banale ma banale non è, mi interrogavo sul significato che rivestono questi festeggiamenti per il 150° dell'Unità d'Italia e così mi sono imbattuto su idee e circostanze che spesso diamo per scontate, ma che poi così scontate non sono.
Oggi l'Italia è, esiste, è qualche cosa che si dà per assodato, tanto che il combinato di parole Unità d'Italia risuona quasi all'orecchio come rafforzativo, se non pleonastico, perché è per noi ovvio che l'Italia sia unita.
Se ci soffermiamo ad osservare, rimaniamo abbagliati da come nell'immaginario comune collettivo l'idea d'Italia sia idea imprescindibilmente unitaria, e non solo tra gli italiani: con un'angolazione differente, ci accorgiamo infatti facilmente che anche all'estero per i cittadini stranieri l'idea d'Italia si impernia su un'immagine neppure potenzialmente discutibile di un'Italia unita e tale idea si consolida su di un concetto che non richiama una semplice espressione geografica, ma si riferisce a molto di più: a un modo di essere che si traduce in una qualità che investe persone, gusti, atteggiamenti mentali.
Eppure solo 151 anni fa il sogno dell'Italia unita doveva sembrare, ad una mente lucida e sana, non solo ambizioso, ma visionario ed è incredibile come invece questo sogno si sia avverato, inaspettatamente sia divenuto realtà, colmando una base, un substrato fertile in cui pullulavano sentimenti che avevano solo bisogno di un primo impulso per garantire sostanza animata a un'idea insita nel cuore di una nazione, una nazione evidentemente già in essere e già viva, seppure storicamente non ancora riconosciuta. Per dare rappresentazione concreta ad un'idea identitaria che, in verità, già si manifestava straordinariamente palesandosi in una lingua, nella cultura, nelle arti e nell'ingegno che accomunavano quel "volgo disperso che repente si desta, percorso da nuovo crescente romor" per dirla con le parole di uno fra i nostri grandi antenati cui si deve anche l'unità d'Italia, Alessandro Manzoni tra gli altri doni che ci ha consegnato. Ed è incredibile dunque come un concetto, quello dell'unità d'Italia, così profondamente radicato, sia in verità realtà storica da appena soli 150 anni. A noi sembra antichissimo, assolutamente risalente eppure dobbiamo pensare che quattro, cinque generazioni fa, i nostri avi non poi così lontani, di fatto i nonni dei nostri nonni, combattevano e si sacrificavano per un'idea che, all'epoca, non aveva una prospettiva e una certezza di realizzazione.
Combattevano, e non solo metaforicamente, per un ideale, con un atteggiamento di generosità nella realtà della materialità odierna forse addirittura difficilmente comprensibile. E lo hanno fatto perché era giusto, semplicemente per questo, perché era giusto rendere libera la propria terra. Sono concetti questi, quelli di libertà, di terra, di patria, cui forse dovremmo ritornare a rapportarci con più rispetto, con maggiore attenzione.
Riflettevo, dunque, ripensando alla storia italiana, una storia straordinaria e millenaria, che però, paradossalmente, è anche la storia di uno stato giovane, che ha appena 150 anni di vita, su come i grandi sogni si realizzino molto spesso grazie alle capacità di accettare anche la possibilità del sacrificio, un sacrificio che trova una giustificazione salda nella forza di un'idea, sentita come intimamente giusta.
E radicavo questi miei pensieri, formando, quindi, in me la convinzione di come i grandi sogni non necessariamente per nascere debbano essere accompagnati da una aspettativa di possibile realizzazione, dalla certezza della vittoria, ma traggano origine da una grande volontà propositiva scevra della previsione di un ritorno diretto e conseguente.
Riflettevo su come chi storicamente ha partecipato alla costruzione di eventi grandiosi, lo ha fatto sulla base di categorie che svincolano da quella logica del do ut des, che spesso governa la nostra quotidianità spinto da una fiducia, che io personalmente chiamo fede. Lo ha fatto con coraggio, affrontando il futuro senza la necessità di certezze, forte della convinzione delle proprie scelte, con un atteggiamento di convinta speranza che oggi, nel difficile contesto nazionale e internazionale che siamo chiamati ad affrontare, abbiamo drammaticamente bisogno di recuperare.
Dimostrando anche a noi stessi - oggi, nel 2011 - che la capacità di credere non è andata smarrita.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire la Consigliera Cerutti Monica, Presidente del Gruppo consiliare Sinistra-Ecologia e Libertà con Vendola; ne ha facoltà.



CERUTTI Monica

Grazie, Presidente.
Un saluto ai colleghi e agli invitati.
Pensiamo sia corretto dare solennità a questo Consiglio, con più o meno calore o tepore a seconda degli interventi che si sono susseguiti.
Sarebbe interessante andare al di là della retorica e provare a capire come ci mettiamo in dialogo con l'esterno e come saldiamo quella frattura quella distanza che esiste fra le istituzioni e l'esterno, il Paese.
Vorrei citare un sondaggio - la politica, in generale, si nutre di questi sondaggi - a cura di Ipsos. Secondo un sondaggio Ipsos, il 73% delle persone si dichiara orgogliosa di essere italiana. Il 17% manifesta orgoglio, ma con qualche riserva. Credo che questa percentuale sia particolarmente significativa.
Tuttavia, la politica dovrebbe interrogarsi sull'altro dato, su quel 49% delle persone intervistate secondo cui sono più le cose che ci dividono, rispetto a quelle che ci uniscono. Soltanto il 44% - è chiaro che le proporzioni sono significative - degli italiani dice che sono più le cose che ci uniscono. Il 7% non sa.
In questo senso, si ha la fotografia di un Paese che, praticamente, è diviso a metà; un Paese bloccato in cui, forse, nel momento in cui ragioniamo sull'Unità d'Italia, dovremo ragionare effettivamente sul problema più grande, cioè le disuguaglianze. Le disuguaglianze che dobbiamo declinare secondo tanti criteri e tante dimensioni.
Sul fronte generazionale, abbiamo un Paese che sta diventando sempre più vecchio e in cui i giovani non hanno spazio, non hanno la possibilità di comprendere quale possa essere effettivamente il loro futuro.
Riferendosi alla popolazione femminile, la Consigliera Artesio ha sviluppato un discorso soprattutto in merito alla disuguaglianza femminile: in Italia più della metà della popolazione è fuori dai luoghi decisionali e mi riferisco soprattutto alla popolazione femminile. Non si tratta semplicemente di posti di potere. Ricordiamo che, per quanto riguarda l'occupazione femminile in Italia, siamo al 47% e che per le donne senza figli tra i 25 e 54 anni il tasso di occupazione è pari al 63,9%, contro il 75,8% della media dell'Unione Europea. Solo Malta registra una percentuale più bassa.
Questo è certamente un elemento che ci deve far pensare. Ci deve fare pensare sul fatto che, in realtà, il merito non venga riconosciuto. Il merito, per le donne, ma anche per gli uomini. Abbiamo differenze salariali ritorno al tema della disuguaglianza - che sono ormai diventate insostenibili. L'altro elemento sul quale emerge la disuguaglianza, è certamente il territorio. Sappiamo - questo è elemento di discussione nell'ambito politico - che alla questione meridionale si è ormai sostituita, da tempo, la questione settentrionale.
Per quanto riguarda questa Italia che risulta essere spaccata in due a livello politico e non solo, al problema della crisi economica la politica non sembra riuscire a dare risposte, se non provando a considerare il tema territorio che, guarda caso, nell'agenda politica, ha sostituito, in pratica, il termine lavoro. Ormai il territorio è diventato l'elemento di riferimento.
Mi fa piacere che il Presidente Cota abbia chiuso il suo intervento facendo riferimento, invece, alla questione lavoro. Pensiamo che questa sia la chiave di lettura da dare in una giornata come questa, non tanto un ragionamento sul federalismo, sul quale probabilmente abbiamo delle considerazioni e valutazioni diverse rispetto a quello che si sta prospettando come riforma. Abbiamo il federalismo demaniale - Roma capitale con bisogni standard, oltre al federalismo municipale, l'ultimo nato.
Abbiamo forti perplessità in questa direzione perché sappiamo che dovremmo coniugare molto precisamente responsabilità e solidarietà. Due elementi importanti da portare avanti per un'Italia che sia effettivamente unita quando sappiamo che su alcune questioni - non me ne voglia il Presidente per esempio sul fronte nucleare, portiamo avanti posizioni che sono esattamente l'opposto di quelle che si pensa poter praticare rispetto al federalismo, rispetto all'autonomia dei territori, rispetto al patto fra i territori.
Chiaramente in pochi minuti non ho tempo di esplicitare il riferimento ma è chiaro a cosa mi riferisco. Per esempio il Piemonte avrebbe bisogno di una solidarietà piena in Italia proprio perché - lo ricordiamo - più dell'80% delle scorie sono sul suo territorio. Il ragionamento su solidarietà e responsabilità ha chiavi di lettura e interpretazioni che non possono andare solo in un senso.
Altrettanto, sul fronte delle problematiche economiche, si pensa, con il federalismo, di far sì che i territori possano effettivamente usare le risorse che sono ivi prodotte con un principio di responsabilità rimandando ad una solidarietà successiva con la possibilità di condividere e provare a riequilibrare.
La politica, probabilmente, dovrebbe interrogarsi di più su altre questioni: l'evasione fiscale, la tassazione delle rendite finanziarie.
Forse, su questi fronti più che sul federalismo si dovrebbe provare a dare delle risposte per rendere l'Italia effettivamente unita. Unita, provando a riprendere quelle che sono le dimensioni a cui prima accennavo, perch nell'agenda politica al territorio venga unito il tema lavoro, affinché il lavoro possa essere prioritario e questo sia il filo rosso che provi a unificare l'Italia e quindi faccia dire agli italiano che sono più le cose che ci uniscono che quelle che ci dividono.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Procediamo con l'ultimo intervento.
La parola al Consigliere Dell'Utri, Presidente del Gruppo consiliare dei Moderati.



DELL'UTRI Michele

Grazie, Presidente.
L'intervenire per ultimo mi consente di creare una serie di ragionamenti.
Centocinquant'anni fa qui l'Italia è stata unita. Tuttavia quella era un'Italia molto diversa, perché, nell'Italia di allora, ogni italiano aveva un'aspettativa di vita di 38 anni, il reddito medio pro capite era di 32 euro al mese e la democrazia era una democrazia censuaria, basata sulla ricchezza. Vi faccio un esempio che è di attualità: in occasione dell'elezione del primo Consiglio comunale di Torino, eletto nel 1848, i votanti furono 3.150, quindi l'Italia di allora era un'Italia profondamente diversa.
Che cosa è oggi l'Italia? L'Italia è una nazione potente inserita pienamente nel mondo occidentale e nel suo benessere, nota e riconosciuta nel mondo.
Questo in virtù di che cosa? In virtù della frase di Rosmini, che prima ha riportato il Presidente Cattaneo: un'Italia unita, "la più stretta possibile, in una sua notevole varietà".
Quindi, in realtà, è la storia che ha voluto l'Italia centralista.
vero, in questo senso, il Presidente Cota ha richiamato alcuni episodi, per cui alcuni fondatori dell'Italia come Cavour volevano un'Italia federalista, tuttavia l'Italia federalista non ha visto i natali.
A Plombières l'ipotesi di divisioni in tre parti dell'Italia fu più che altro un obbligo da parte di Napoleone III nei confronti di un'Italia che non voleva assolutamente unita.
Questo per dire che cosa? Che in qualsiasi processo di evoluzione e di ampliamento i particolarismi si fanno sempre sentire e sono assolutamente inevitabili. Per le celebrazioni dei 700 anni dell'unità della Confederazione Elvetica le polemiche sono state in abbondanza, quindi una Nazione, che ha una storia infinitamente più lunga della nostra, ha vissuto gli stessi problemi. Ma in questo caso è la storia che cancella i particolarismi ed è la storia di oggi. Vi faccio un esempio concreto, il Giappone. Il Giappone ci insegna che i particolarismi non hanno senso. Se quella centrale esplodesse veramente, le conseguenze sarebbero mondiali.
Altro che guardare al nostro piccolo particolare.
L'esempio del Giappone non soltanto oggi influenza i nostri redditi a causa delle ripercussioni sulle borse, ma se veramente capita quel che tutti ci auguriamo non capiti, le conseguenze riguarderanno tutti noi.
Di conseguenza, credo in maniera fisiologica che ci sia un progressivo ampliamento di grandi strutture nazionali. Adesso celebriamo l'Italia; in passato abbiamo unificato l'Europa, soprattutto a livello economico, ma penso che andremo inevitabilmente verso un governo mondiale, perch fenomeni di questo tipo testimoniano come una piccola centrale di un chilometro quadrato dalla parte opposta del mondo influenza la nostra vita.
Quanto più si creano grandi strutture, tanto più fisiologicamente i particolarismi si fanno sentire. Ma è un fenomeno umano, perché l'individuo si tro-va perso nei grandi sistemi, ha necessità di un ancoraggio che va rispettata, che va alimentata. Di conseguenza, ben venga una giusta forma di federalismo.
Voglio concludere con una riflessione che si basa su una data. La data è il 17 marzo 2061.
Il 17 marzo 2061 pochi di noi saranno fisicamente qui, però qui ci saranno le conseguenze e gli effetti delle nostre azioni di oggi, dei nostri gesti e delle nostre volontà. Vi voglio ricordare la frase di un famoso imperatore filosofo, Marco Aurelio, che disse: "Quel che facciamo in vita riecheggia per l'eternità".
Viva Torino, viva il Piemonte, viva l'Italia e viva l'Europa.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Grazie, collega Dell'Utri.
Comunico che è stato depositato un ordine del giorno ad oggetto "Insegnamento dell'Inno nazionale nelle scuole del primo ciclo di istruzione" a firma dei Consiglieri Ponso, Buquicchio e Cursio del Gruppo dell'Italia dei Valori, che sarà discusso e votato in altra seduta.
La Conferenza dei Capigruppo è convocata per oggi alle ore 14.30 nella Sala Morando.
Al termine di questa seduta, i signori Consiglieri e Assessori sono attesi per un aperitivo in Sala dei Presidenti, insieme alle Autorità e ai gentili ospiti che ci hanno onorato con la loro presenza.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13.06)



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