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Dettaglio seduta n.246 del 02/07/12 - Legislatura n. IX - Sedute dal 28 marzo 2010 al 24 maggio 2014

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CATTANEO



(Alle ore 14.30 il Presidente Cattaneo comunica che la seduta avrà inizio alle ore 14.45)



(La seduta ha inizio alle ore 14.45)


Argomento: Rapporti delle Regioni con l'ordinamento comunitario

"Il Piemonte per la Federazione europea per un'Europa solidale, democratica e federale"


PRESIDENTE

La seduta è aperta.
La seduta odierna è convocata ai sensi dell'articolo 53 del Regolamento, che prevede che il Consiglio regionale in particolari circostanze possa riunirsi in Assemblea aperta, cui possono partecipare con diritto di parola rappresentanti degli Enti locali, dei sindacati, dei lavoratori, delle organizzazioni di categoria e delle formazioni sociali.
La convocazione è nata a seguito della riunione del direttivo regionale dell'AICCRE - permettetemi di ringraziare il dottor Alfonso Sabatino e tutta la struttura delle AICCRE e i suoi collaboratori - che aveva come proprio punto all'ordine del giorno la richiesta di un Consiglio regionale aperto sulla necessità di aprire una fase costituente europea.
Pertanto, il Consiglio regionale si è espresso favorevolmente convocando l'Assemblea odierna, anche se abbiamo spostato due-tre volte la data e scelto come data il 2 luglio, per la trattazione di un tema fortemente attuale: "Il Piemonte per la Federazione europea per un'Europa solidale, democratica e federale".
L'organizzazione dei lavori di oggi, individuata ai sensi del Regolamento dall'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, che ne ha definito i criteri e le modalità di svolgimento, prevede il saluto ed un intervento del Presidente della Regione Piemonte, Onorevole Roberto Cota che ringrazio; le relazioni del Presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo e Consigliere politico del Gruppo Spinelli, Pier Virgilio Dastoli, che ringrazio; della Presidente del Comitato delle Regioni Consigliera Mercedes Bresso, e gli interventi dei Consiglieri regionali che chiederanno di intervenire (dieci minuti per i Capigruppo ed eventuali ulteriori cinque minuti per interventi da parte dei colleghi) e ovviamente, anche dei soggetti individuati nell'elenco degli invitati.
Sono invitati il Segretario generale aggiunto dell'AICCRE dottor Emilio Verrengia, il Presidente del Consiglio delle Autonomie Locali Carlo Riva Vercellotti, il Segretario Generale di Unioncamere Piemonte Paolo Bertolino, il Segretario regionale CIGL Alberto Tomasso, il Segretario regionale CISL Giovanna Ventura, il Segretario regionale UIL Gianni Cortese, il Segretario regionale UGL Armando Murella, il professor Sergio Pistone dell'Università di Torino, membro del Bureau Exécutif dell'Union Européenne des Fédéralistes.
Alla fine di questo Consiglio, ci saranno le conclusioni del Presidente del Consiglio regionale.
Abbiamo presentato anche un ordine del giorno, che non sarà né discusso né votato nella seduta odierna, perché gli atti di indirizzo devono essere trattati ovviamente in seduta ordinaria. Quindi, lo faremo successivamente.
Erano stati invitati i parlamentari europei. Purtroppo, essendo stata convocata una riunione importante nella giornata di oggi ed essendo quindi già in corso già nella mattinata di domani la sessione al Parlamento a Strasburgo, non sono potuti intervenire. In particolare, hanno fatto pervenire le scuse della loro assenza l'Onorevole Mario Borghezio l'Onorevole Pier Antonio Panzeri, l'Onorevole Oreste Rossi, l'Onorevole Giancarlo Susta, l'Onorevole Gianni Vattimo, il Ministro Corrado Passera e il Presidente nazionale dell'AICCRE, il collega Michele Picciano, che sarà rappresentato dal dottor Emilio Verrengia, Segretario generale aggiunto dell'AICCRE.
Inoltre numerose autorità civili e militari hanno fatto pervenire le scuse di non poter intervenire. A tutti saranno inviati ovviamente gli atti.
Vi ringrazio.
La parola al Presidente della Regione Piemonte, onorevole Roberto Cota.



COTA Roberto, Presidente della Giunta regionale

Saluto tutti gli intervenuti e ringrazio anche il Presidente del Consiglio regionale per l'invito per avere organizzato questa seduta.
Devo dire che per merito delle opposizioni già la settimana scorsa si è svolta una seduta ordinaria del Consiglio regionale che ha affrontato in qualche modo una parte di questi temi, perché abbiamo parlato di montagna abbiamo parlato di rapporti con l'Unione Europea. Quindi, è stata anche l'occasione per parlare anche di strategie e di nuove strategie nell'ambito dei rapporti tra i territori e le istituzioni europee.
Nel dare questo breve indirizzo di saluto, vorrei semplicemente fare alcune osservazioni.
La prima è legata alla situazione che stiamo vivendo a livello di istituzioni comunitarie, che sicuramente è una situazione in evoluzione però è una situazione che, oggi più che mai, marca l'esistenza del cosiddetto deficit di democrazia: l'introduzione della moneta unica, cioè dell'euro, è avvenuta senza che vi fosse un quadro sostanzialmente definito a livello di istituzioni europee dal punto di vista politico, dal punto di vista fiscale, dal punto di vista economico e dal punto di vista della rappresentanza autentica e diretta dei territori.
Questo è un problema. Una moneta unica senza un sistema vero di integrazione politica e di rappresentanza vera dei territori è un problema che noi stiamo scontando nelle difficoltà che abbiamo anche a gestire questa situazione di crisi.
La seconda considerazione è legata alla oggettiva incapacità che gli Stati nazionali stanno manifestando nella gestione di questa crisi.
L'oggettiva incapacità che noi stiamo vivendo sulla nostra pelle, perch trovo che i difetti delle politiche del nostro Stato nazionale, in questo ultimo periodo, si sono addirittura accentuati.
Si sono accentuati dal punto di vista delle politiche centraliste che non sono mai state una risposta ai problemi dei territori, dal punto di vista delle spese dello Stato centrale, dal punto di vista del sistema di tassazione. Cioè noi stiamo attraversando un periodo nel quale la tassazione, invece di diminuire o quanto meno di orientarsi in base a quelle che sono le esigenze di sviluppo pregnanti di un territorio e di fronte ad una decrescita che questo territorio sta attraversando, sta crescendo. Anziché avere politiche fiscali mirate sul lavoro e sulla produzione, stiamo assistendo ad un aumento della pressione fiscale proprio in quei settori che invece dovrebbero essere incoraggiati.
Un altro aspetto che tocchiamo fortemente con mano è quello di fare spesso dei discorsi astratti senza poter fare poi dei discorsi concreti.
Mi riferisco a questo; se io sono un imprenditore piemontese, che cosa ho di diverso rispetto ad un imprenditore bavarese? Ho una diversità che è basata sulle capacità? Cioè: sono meno capace di un imprenditore bavarese? Un imprenditore piemontese vive in un sistema, che è il nostro, che non può essere competitivo rispetto al sistema bavarese? No. L'imprenditore piemontese vive in un sistema che non è competitivo, perché in questo territorio - per effetto delle decisioni dello Stato centrale e perché oggi la Regione non ha margini concreti e veri di autonomia e quelli che ha li ha esercitati - c'è un sistema fiscale che rende ovviamente meno competitivo o assolutamente non competitivo o assolutamente impossibile l'esercizio dell'attività d'impresa.
Allora mi chiedo: se siamo all'interno di una Unione Europea, dove esiste il libero mercato, dove parliamo della necessità di fare politiche economiche che devono essere politiche economiche comuni, è mai possibile che esista questo tipo di disparità? naturale che un territorio, se è all'interno di questo sistema, ha tutte le ragioni di pretendere che queste possibilità e facoltà siano riconosciute, e cioè che tutti i territori possano avere il massimo livello di autonomia fiscale.
Questa è una conseguenza logica del processo che da più parti s'invoca del processo che stiamo vivendo.
Nei giorni scorsi ho partecipato ad un incontro a San Gallo, che ha rappresentato il primo passo per l'istituzione e la costituzione della Macroregione Alpina Europea.
Conoscete la differenza tra la Macroregione e l'Euroregione: l'Euroregione si ha quando una serie di territori si uniscono per accedere attraverso un'istituzione riconosciuta, attraverso dei meccanismi giuridici riconosciuti dall'Unione Europea, ad una serie di possibilità finanziamenti e programmi previsti dall'Unione Europea; la Macroregione integra, invece, un processo diverso e si ha quando i territori chiedono di potersi, in qualche modo, riunire, innanzitutto per potersi confrontare chiedendo, però, che questo sia riconosciuto dagli Stati nazionali e dall'Unione Europea, per poter elaborare delle strategie comuni.
Pertanto, questo è autenticamente un movimento che parte dal basso.
Il fatto che ci sia stato un incontro, dove quaranta Regioni che insistono sull'arco alpino abbiano un riconoscimento da parte degli Stati nazionali e abbiano chiesto riconoscimento anche all'Unione Europea, per poter affrontare una serie di temi concreti, è molto importante e la dice lunga sul fatto che esiste un meccanismo che vuole liberarsi da certe camicie di forza (le politiche che gli Stati nazionali impongono) e che vuole arrivare, proprio perché si è all'interno di un sistema europeo, al cuore e alla soluzione comune dei problemi.
Sono stati indicati una serie di temi specifici: il tema della competitività delle nostre aziende (questo, dal mio punto di vista affronta il tema della fiscalità sui territori omogenei); il tema delle infrastrutture; il tema delle fonti di energia; il tema dell'ambiente.
Sono temi importantissimi per la vita delle nostre comunità ed il passaggio che è avvenuto a San Gallo, anche per ridefinire il futuro dei rapporti all'interno dell'Unione Europea, è stato molto importante. Io stesso l'ho vissuto sicuramente come un primo passo compiuto.
Come abbiamo detto anche nella scorsa riunione di Consiglio regionale a settembre ci sarà un'altra seduta di Consiglio dove porterò le idee e le proposte che avanzerò, come Presidente della Regione Piemonte, nel secondo incontro, fissato per il 12 ottobre, dove entreremo nel merito ed identificheremo un sistema di governance per la Macroregione Alpina Europea.
In ogni caso, sono stato partecipe di qualcosa di veramente nuovo.
molto importante che si ragioni su questi temi. Sempre nell'ambito delle istanze che partono dal basso e dai territori, ad esempio, ho ricevuto una richiesta d'incontro da parte delle organizzazioni sindacali di un territorio più vasto rispetto al Piemonte (il territorio dell'Euroregione Alpina Mediterranea). Ci vedremo tra qualche giorno ed anche questo è, dal mio punto di vista, un segnale molto importante di un qualcosa che sta cambiando, di una consapevolezza che si sta affermando: la consapevolezza dei territori omogenei, che vogliono affrontare e risolvere insieme problemi comuni.
Questo è l'inizio di un'Europa che parte dal basso, che non è calata dall'alto: tutte le cose che partono dal basso sono sempre meglio di quelle calate dall'alto.
Vi ringrazio e vi auguro buon lavoro.
(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Grazie, Presidente Cota.
Incominciamo la parte delle due relazioni principali.
Il primo relatore è il professor Pier Virgilio Dastoli, che ho già presentato e che ringrazio di essere presente. È Presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo (CIME) e Consigliere politico del Gruppo Spinelli.
Prego, professor Dastoli.



DASTOLI Pier Virgilio, Presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo (CIME) e Consigliere politico del Gruppo Spinelli

Grazie, Presidente.
Ringrazio per quest'invito, che mi consente di tornare fra voi in un'occasione importante.
Quest'incontro avviene a pochi giorni dalla conclusione del Consiglio europeo della scorsa settimana, quindi ci consente, non soltanto di fare il punto sulle sue conclusioni, ma anche di verificare in quale misura queste aiutino il processo che è stato discusso anche qui, quando il Presidente ha ricordato l'Europa federale, solidale e democratica.
Come avrete visto, i giornali si sono molto dilungati su alcuni aspetti delle conclusioni del Consiglio europeo, in particolare quelle relative alla decisione di procedere alla creazione di un'unica autorità di sorveglianza nel sistema delle banche, decidendo - come voi sapete - che questa responsabilità sia attribuita, su proposta della Commissione europea, alla Banca Centrale Europea.
Si tratta di un tema sollevato molti anni fa e che non ha ancora trovato una soluzione adeguata, naturalmente nell'ambito dell'Eurozona.
La creazione di un'unica autorità di sorveglianza delle banche consentirà di utilizzare lo strumento della ricapitalizzazione delle stesse, sottraendo questo aspetto agli Stati nazionali, quindi all'aumento del debito pubblico (le due cose sono strettamente collegate).
La terza misura di cui i giornali hanno parlato a lungo è il fatto di consentire al meccanismo europeo di stabilità di essere più flessibile ed efficiente, in modo da poter intervenire in funzione anti-spread.
Questi sono i tre temi sui quali si sono concentrati maggiormente i giornali e sui quali non mi dilungo, perché tutti voi avrete preso le adeguate informazioni dalla stampa, dai media, dalle conferenze stampa che sono seguite al Consiglio europeo ed alla riunione dei capi di Stato di governo dell'Eurozona.
Vorrei, invece, concentrarmi su due o tre aspetti del Consiglio Europeo di cui i giornali hanno parlato poco, che considero anch'essi importanti.
Ritengo che valga la pena di fare una riflessione al riguardo.
Il primo aspetto è relativo alla necessità di stimolare la crescita economica nei nostri paesi. Questo è avvenuto sulla base di un documento presentato dal nuovo Presidente francese, Hollande: un piano per la crescita, che si è concretizzato nell'adozione di quello che si chiama compact for growth.
Come sapete, il Consiglio europeo ha adottato il testo del fiscal compact, che adesso è sottoposto alle ratifiche nazionali (il Bundestag l'ha ratificato il 29 giugno).
Il neo Presidente della Repubblica francese, Hollande, ha affermato che bisogna accompagnare il fiscal compact con un impegno analogo sul piano della crescita. Questo è il piano i cui termini generali sono stati adottati dal Consiglio europeo della scorsa settimana.
Su questo punto, ritengo occorra esprimere almeno delle perplessità nel senso che i giornali ci hanno detto - e le conclusioni del Consiglio europeo indicano - che questo piano sarà dotato di 120 miliardi di euro.
Tuttavia, se li si va ad esaminare nel dettaglio, questi 120 miliardi si riducono a molto di meno, perché questi soldi sono in parte dedicati all'aumento del capitale della Banca europea per gli investimenti (BEI) per dieci miliardi, in parte ad un diverso uso dei fondi strutturali e in piccola parte all'uso di quelli che si chiamano project bonds, per quanto riguarda l'investimento nelle infrastrutture. Ed è abbastanza evidente che è difficile immaginare che la crescita delle nostre economie possa essere garantita da un Piano di questo genere, una tantum, anche se questo dovesse arrivare ai 120 miliardi di euro, e che comunque questo piano dovrà poi tradursi in decisioni, sia di carattere legislativo sia di carattere finanziario, in tempi che potrebbero essere relativamente lunghi.
Il secondo punto, su cui si è concentrato il Consiglio europeo nella discussione sulle prospettive finanziarie pluriennali - quelle dal 2014 al 2020 - che interessano particolarmente le Regioni, perché strettamente collegate alla politica di coesione, è collegato a questo. L'indicazione che ha dato il Consiglio europeo è che questo negoziato dovrebbe concludersi alla fine dell'anno. Purtroppo gli elementi che emergono dalle discussioni fra i Governi non ci danno molte speranze sulla disponibilità dei Paesi cosiddetti "ricchi" - o "contributori netti" - di volere essere disponibili ad avere la volontà di un bilancio in crescita, come sarebbe necessario per avere un'azione dell'Unione più forte dal punto di vista dello stimolo alla crescita economica.
Da federalista, il terzo punto su cui vorrei attirare la vostra attenzione è che il Consiglio europeo ha discusso di un documento elaborato dai cosiddetti quattro Presidenti - il Presidente del Consiglio europeo, il Presidente della Banca centrale, il Presidente dell'Eurogruppo e il Presidente della Commissione - su una maggiore integrazione economica e monetaria.
Ora, mi vorrei concentrare su un punto di questo documento, perch questo testo apre, dopo poco meno di tre anni dall'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, alla prospettiva di una modifica del Trattato stesso.
Il Consiglio europeo, nel prendere atto di questo documento, dice che bisogna esaminare che cosa si può fare nell'ambito dei Trattati esistenti e cosa invece richiede delle modifiche del Trattato. Quindi, entro la fine dell'anno il Consiglio europeo dovrà decidere, appunto, se aprire alla prospettiva di una nuova riforma del Trattato di Lisbona, tenendo conto dell'esperienza che è stata fatta in questi anni.
Il Movimento europeo che presiedo considera che su questo punto bisognerebbe riflettere attentamente su tre aspetti. Il primo aspetto è quello dei costi della nuova Europa.
Noi siamo convinti - del resto anche il Presidente Cota vi faceva riferimento, parlando del sistema delle imprese - che l'assenza dell'Europa in una serie di settori costi ai cittadini e ai nostri sistemi economici e varrebbe la pena - e credo che su questo la Commissione Europea abbia gli strumenti per fare questa ricerca - di riflettere attentamente sui costi della "non-Europa", cosa importante anche dal punto di vista pedagogico nei confronti delle nostre opinioni pubbliche, per far capire ai nostri cittadini quanto l'Europa rappresenti un valore aggiunto rispetto all'incapacità e all'impotenza degli Stati nazionali.
Il secondo punto su cui il Movimento europeo ha concentrato le sue riflessioni sono alcuni aspetti del Trattato di Lisbona che l'esperienza ha mostrato come assolutamente inadeguati per dare una risposta ai problemi dei nostri Paesi; ve li cito.
Il primo è quello relativo alla politica industriale: il Trattato di Lisbona ha mantenuto la politica industriale come tema di competenza degli Stati nazionali e l'Unione Europea, in materia di politica industriale, ha soltanto una funzione di supporto. Noi siamo convinti che, per garantire la competitività dei sistemi industriali dei nostri Paesi, l'Unione Europea debba assumersi delle responsabilità in settori importanti della nostra industria: penso in particolare alle industrie manifatturiere laddove appunto, l'intervento degli Stati nazionali è assolutamente inadeguato.
Il secondo settore è quello della politica energetica. Il Consiglio europeo ha sottolineato la necessità di garantire un mercato interno dell'energia. Però, per quanto riguarda l'energia, il problema non è soltanto il mercato: per quanto riguarda l'energia il problema è quello della sicurezza e dell'approvvigionamento energetico - perché noi, come europei, dipendiamo da Paesi terzi - ed è quello di sviluppare delle energie alternative e rinnovabili che ci consentano, appunto, di portare avanti e stimolare quella che si chiama la green economy. Allora, per far questo il Trattato di Lisbona purtroppo è inadeguato. Noi l'abbiamo visto: ciascuno continua a dipendere dalle fonti energetiche di altri Paesi e questo è il secondo settore per il quale, se noi dovessimo dare un suggerimento al Consiglio europeo, varrebbe la pena di mettere mano ad una revisione del Trattato.
Il terzo settore è quello relativo alla cooperazione giudiziaria in materia penale: siamo tutti coscienti che la criminalità organizzata non è più soltanto una sfida e un problema di alcuni Paesi membri, ma la criminalità organizzata è diventata un fenomeno europeo (ricorderete tutti la strage di Duisburg). Se vogliamo quindi combattere la criminalità organizzata - 'ndrangheta, mafia, sacra corona unita, camorra e le diverse forme di criminalità organizzata che esistono in altri Paesi - non basta quello che è stato scritto nel Trattato, che lascia alla semplice cooperazione intergovernativa, e quindi alla volontà degli Stati membri, la lotta contro questi fenomeni.
Il quarto settore su cui il Trattato appare assolutamente inadeguato è quello della dimensione sociale della lotta alla disoccupazione e alla povertà: la dimensione sociale è rimasta largamente di competenza degli Stati nazionali. Il metodo aperto di coordinamento non ha funzionato e quindi questo è il quarto settore per cui il Trattato dovrebbe essere adeguato ad una realtà che ha dimostrato che gli Stati membri sono appunto, incapaci di agire.
Il quinto settore è quello della politica estera e della sicurezza: l'Europa è stata totalmente assente sullo scenario europeo ed internazionale; pensate alla mancanza di risposte all'altezza che l'Unione Europea ha dato, per esempio, alle primavere arabe e ai rapporti con gli altri Paesi vicini. La politica estera, anch'essa, è rimasta largamente nelle mani degli Stati nazionali, che appaiono assolutamente incompetenti e incapaci di agire per dare la possibilità all'Unione Europea di parlare con una sola voce nel mondo.
Il sesto settore è quello della politica dell'immigrazione, perché la politica dell'immigrazione apparentemente è diventata di competenza dell'insieme degli Stati membri, però i flussi migratori sono rimasti competenza degli Stati nazionali. Qui si collocano, anche, tutto il tema del diritto di asilo e altri aspetti che riguardano la politica dell'immigrazione.
Last but not least, evidentemente, è il tema della governance economica in cui l'art. 5 del Trattato sul funzionamento dell'Unione dice che gli Stati membri "coordinano tra di loro le loro politiche economiche", il che evidentemente - è inadeguato.
Il terzo tema per cui bisogna mettere mano al Trattato di Lisbona - del resto lo ricordava anche il Presidente Cota - è quello della dimensione democratica e della legittimità democratica delle decisioni che debbono essere assunte a livello europeo: tutta l'esperienza di questi due anni ha mostrato come, nelle decisioni che sono state prese, la dimensione democratica sia stata largamente ignorata. Del resto, il Consiglio europeo quando l'altro giorno ha preso atto del rapporto dei quattro Presidenti ha detto che bisogna assicurare la ownership, cioè la proprietà degli Stati membri, per quanto riguarda la riflessione su come andare al di là del Trattato di Lisbona, e ha detto: sì, faremo delle consultazioni e, fra gli altri, consulteremo anche il Parlamento europeo.
Ora, è abbastanza evidente che se noi vogliamo riaprire il cantiere dell'integrazione europea dobbiamo riaprirlo garantendo la legittimità democratica: la rappresentanza dei cittadini - la democrazia partecipativa e la democrazia di prossimità, cioè il ruolo dei poteri locali e regionali. Questo è un punto su cui non soltanto dobbiamo attirare la nostra attenzione, ma sul quale dobbiamo in qualche modo lanciare la nostra protesta. Non è infatti immaginabile che una revisione delle condizioni e delle regole del Trattato venga fatta, appunto, escludendo o marginalizzando i rappresentanti dei cittadini a tutti i livelli.
Sono convinto, allora - e mi avvio alla conclusione - che le decisioni del Consiglio europeo dell'altro giorno abbiano messo alcune altre pedine e alcuni altri mattoncini alla costruzione dell'Europa federale. La supervisione bancaria attribuita alla Banca centrale - cosa che non era voluta dalla Francia, sempre molto reticente all'idea di una cessione di sovranità - è un pezzo di un sistema federale finanziario. Però questo non basta. Bisogna fare molto di più. Il Consiglio europeo ha aperto una finestra alla prospettiva di un'unione politica.
Il Primo ministro inglese, Cameron, se n'è accorto e ha annunciato che se la strada percorsa è quella verso l'Europa federale, è intenzionato a convocare un referendum per chiedere ai suoi cittadini se vogliono partecipare ad un'Europa che diventi più integrata, o se vogliono uscire dall'Unione Europea.
Questo vuol dire che una finestra si è aperta, ma all'interno della quale noi, come rappresentanti delle opinioni pubbliche e dei poteri locali e regionali, dobbiamo infilarci per agire in maniera determinata. La prospettiva di un'Europa più forte e capace di rispondere ai problemi dei cittadini deve andare nella direzione di un'Europa più democratica e solidale, non soltanto di un'Europa capace di imporre rigore e regole che qualche volta, è difficile accettare e introdurre nei vari Paesi.
Cogliamo questa occasione che sarà aperta dal Consiglio europeo e agiamo insieme, troviamo i meccanismi per far in modo di stimolare i nostri cittadini ad essere presenti in questo dibattito aperto. Se noi non saremo presenti, la soluzione non sarà quella, come ha detto il Presidente Cattaneo all'inizio, di un'Europa che sia nello stesso tempo federale solidale e democratica.
Il Consiglio europeo, da questo punto di vista, è stato un momento importante, ma sarà importante soltanto a condizione di agire tutti insieme per fare in modo che la prospettiva sia quella che voi avete indicato nei vostri dibattiti e che spero si diffonda anche in altre Regioni italiane.
Grazie.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Grazie, a lei, Professore, anche per i contributi apportati dalla sua relazione. Il suo impegno da protagonista credo sia utile al dibattito di oggi e del Consiglio regionale in cui si terrà la discussione e la votazione dell'ordine del giorno.
La seconda relazione è dell'onorevole Mercedes Bresso, Consigliere regionale, ma anche Presidente del Comitato delle Regioni



BRESSO Mercedes, Presidente Comitato delle Regioni

Grazie, Presidente.
Dividerò il mio intervento in due parti. Credo che la prima sia interessante anche in rapporto all'impostazione che il Presidente Cota ha dato.
Come funziona, qual è il ruolo che in questo processo può svolgere il Comitato delle Regioni.
La seconda parte, quella che ci appassiona tutti: dove va l'Europa e come possiamo contribuire al dibattito sul futuro dell'Europa.
Il Comitato delle Regioni, nato con il Trattato di Maastricht rappresenta uno dei due organi consultivi dell'Unione Europea. Ci sono le tre istituzioni principali: il Parlamento, la Commissione, il Consiglio Europeo e dell'Unione Europea, cioè il Consiglio dei Ministri e il Consiglio dei Capi di Stato e di Governo. Una serie di organi tecnici (la BCE, la BEI, la Corte di Giustizia, l'OLAF) e due organi consultivi, ma di carattere politico, il Comitato delle Regioni e il Comitato Economico e Sociale.
Il Comitato delle Regioni rappresenta le 90 mila istituzioni locali europee, nonché le oltre 270 Regioni o Enti assimilati dell'Unione Europea.
Ha visto rafforzati i propri poteri con il Trattato di Lisbona, che ne ha definito il ruolo come tutore del principio di sussidiarietà, in violazione del quale noi possiamo anche ricorrere alla Corte di Giustizia europea (su questo dirò qualcosa in seguito perché c'è un ruolo che riguarda, in specifico, i Consigli regionali).
Abbiamo poteri consultivi, siamo consultati in tutte le materie che hanno attinenza con le Regioni e gli Enti locali, e poiché l'Unione Europea ha molti Paesi federali, di fatto, veniamo consultati su tutte le questioni principali.
Funzioniamo come un'assemblea politica, come un parlamento. I membri devono avere un mandato elettivo, quindi siamo uno dei pochi organi che contemporaneamente è a Bruxelles, ma anche nei propri livelli locali. I rapporti con il Parlamento sono molto buoni, proprio perché entrambe siamo assemblee politiche (anche se il Parlamento ha potere legislativo).
Con la Commissione, con la quale organizziamo iniziative di open day che, molto spesso, vedono la partecipazione di molte istituzioni piemontesi, abbiamo piattaforme informatiche che permettono a tutti gli Enti locali di partecipare al dibattito sulla sussidiarietà e di collegare le iniziative di cooperazione decentrata.
C'è una piattaforma della cooperazione decentrata.
Abbiamo piattaforme che coordinano le posizioni degli Enti locali e delle Regioni su Europa 2020, sulla comunicazione europea; deteniamo il registro dei gruppi europei di cooperazione territoriale, cioè le Euroregioni, non le Macroregioni di cui dirò qualcosa dopo.
Lavoriamo anche sull'allargamento. Abbiamo istituito, su indicazione della Commissione e del Parlamento, due assemblee che sono le gemelle di quelle a livello degli Stati sul Mediterraneo: l'Assemblea delle Regioni e degli Enti locali del mediterraneo, e quella che si chiama Eastern Partnership, rivolta ai sei Paesi del partenariato orientale che rappresentano la frontiera massima lontana dell'Unione Europea, ossia Moldavia, Ucraina, Bielorussia, Azerbaijan, Georgia e Armenia; Paesi, come dire, inquietanti, ma che tutti pongono domande all'Unione Europea.
Abbiamo lavorato molto sulle strategie macroregionali di cui parlava prima il Presidente Cota, che non sono istituzioni, ma sono un modo di trasferire dal trattato di Lisbona, che prevede il nuovo obiettivo della coesione territoriale, di definire delle grandi aree di progettualità europea. Due sono state approvate formalmente, quella del Baltico e quella del Danubio, ma è in dirittura d'arrivo una che riguarda l'Italia, la strategia macroregionale adriatico-jonica. Credo anch'io che sia di grande importanza costruire una strategia macroregionale alpina, ma anche sull'Atlantico si stanno costruendo delle strategie. L'area interessate dalle Alpi, di cui noi facciamo parte, fino ad ora non si era mossa, ed è molto importante che l'abbia fatto.
Come dicevo prima, abbiamo ottimi rapporti con il Consiglio dell'Unione Europea, che ci invita, regolarmente, ai Consigli informali; abbiamo quindi, la possibilità di portare la voce delle Regioni e degli Enti locali al Consiglio delle politiche regionali, che è quello che decide le politiche dei fondi strutturali, a quello dell'ambiente, a quello dell'occupazione e delle politiche sociali. Per la prima volta siamo stati invitati - io stessa andrò a Cipro fra qualche settimana - per affrontare le questioni legate alla nuova strategia definita a livello europeo.
Come con il Consiglio europeo, abbiamo stabilito un eccellente rapporto anche con il Consiglio dei Capi di Stato e di Governo. Il Presidente Van Rompuy ci incontra prima delle riunioni per tastare il polso delle Regioni e degli Enti locali in Europa.
Come vedete, abbiamo la possibilità di far sentire la voce. Ho voluto raccontarvelo perché spesso si dice che l'Unione Europea ha un'organizzazione poco democratica. Certamente è vero per alcuni aspetti ma non è vero per quanto riguarda il coinvolgimento delle Regioni e degli Enti locali europei, che è più forte di quanto sia, ad esempio, nei confronti della maggior parte degli Stati, compreso il nostro.
Con i Parlamenti regionali - questo lo dico perché è importante per noi, dopo Lisbona - abbiamo stabilito quella che si chiama la strategia dell'early warning, che permette ai Parlamenti nazionali e a quelli regionali, con potere legislativo, di sollevare l'eventuale violazione del principio della sussidiarietà prima che venga adottato - ci sono 60 giorni di tempo - un regolamento europeo.
Il che significa che noi ci dovremo - ne ho parlato più volte con il Presidente - organizzarci per svolgere appieno questa funzione. Se vogliamo che il principio di sussidiarietà sia applicato, e non sia solo una teoria dobbiamo essere noi attrezzati per attivarlo. Il Comitato delle Regioni è quello che può andare a ricorrere, a nome di tutti, fino alla Corte di Giustizia, se questa violazione, malgrado l'allerta precoce fatta, si concretizzasse.
Veniamo all'Unione europea, secondo punto che volevo trattare.
Credo che la crisi attuale, anche grazie all'importante ruolo svolto dall'Italia e dal nostro Presidente del Consiglio, possa trasformarsi in opportunità, come spesso capita per le crisi.
Molte cose le ha già dette il professor Dastoli, quindi mi soffermer sulle questioni politiche. Quali sono i principali problemi che oggi l'Unione europea deve affrontare? Il primo credo sia una carenza di progetto politico di lungo termine e una carenza democratica. Dobbiamo dire con chiarezza ai cittadini europei e al mondo dove vogliamo andare. Questo è quello che ci chiedono i cittadini e il resto del mondo. Con quali Istituzioni? Secondo me - naturalmente vi dico la mia, ma è anche l'opinione di molti miei colleghi del Comitato - la risposta non può che essere verso un modello federale originale che rispetti le storie e le diversità dei Paesi europei, altrimenti non potremmo mai farlo approvare.
Dobbiamo quindi discutere di un impianto che, ad esempio, veda al centro il Parlamento, che è l'unica Istituzione democraticamente eletta dal popolo dell'Unione europea, e che affronti il tema di una seconda Camera.
Potrebbe essere il Consiglio dell'Unione europea? Purché sia una formazione unica, non tante formazioni di tanti Ministri, ma una formazione unica perché siamo in un sistema dove la maggior parte dei grandi Stati ha un impianto federale, con eccezione della Francia - che definisca con chiarezza quale deve essere il ruolo delle Regioni dentro questo sistema e in particolare, delle Regioni a livello legislativo.
Potrebbe essere una terza Camera con alcuni poteri? Potrebbe essere una sorta di Bundesrat, nel quale sono rappresentati insieme gli Stati e le Regioni federali? un tema da discutere.
Qual è il ruolo della Commissione? Il Governo europeo? La Commissione si trasforma in Governo europeo? E qual è il ruolo del Consiglio europeo che ormai ha assunto ruoli molti importanti e quindi non tornerà indietro? In ogni caso, il ruolo legislativo, che dovrebbe essere proprio di un Senato federale, come ad esempio il Consiglio dell'Unione europea, va separato dal ruolo di indirizzo, che potrebbe essere ancora quello del Consiglio dei Capi di Stato e di Governo.
Ovviamente anche queste sono ipotesi e opzioni.
Credo anche, ed è stato posto per prima volta proprio dalla Germania che occorra una persona che rappresenti l'Unione europea, e questo dovrebbe essere un Presidente dell'Unione europea non eletto dagli Stati, ma dai cittadini europei.
Dobbiamo definire, essendo ormai entrati nella stanza dei bottoni (e non ne usciranno più), un ruolo dei Parlamenti nazionali: qualcosa in più del rafforzamento della pura allerta precoce.
Dobbiamo anche decidere il modo per dibatterne. Il Presidente Dastoli ha ricordato che il Trattato di Lisbona prevede la possibilità, per il Parlamento europeo, di convocare una nuova Convenzione.
Il prossimo Parlamento europeo potrebbe prendere in mano la questione federale, basandosi sul proprio mandato, democratico e popolare? Questa è un'ipotesi di cui i cittadini europei devono discutere, perché un mandato non può che venire da chi elegge il Parlamento europeo.
Secondo punto. Dobbiamo definire i confini dell'Unione europea. Ci sono più possibilità.
In primo luogo, poiché molti - questa è la posizione della Gran Bretagna, ma anche di altri Stati, attuali membri dell'Unione - non sono pronti ad un percorso federale, potremmo pensare ad un cerchio ristretto.
Accanto all'area Euro, che può avviare un percorso federale, vi può essere un mercato unico allargato, che potrebbe essere allargato non solo ai Paesi che non aderiranno al percorso federale, ma anche, ad esempio, a quelli dell'Eastern Partnership di cui vi parlavo, come ad alcuni Paesi che non ancora entrati nell'Unione Europea e ad altri che, probabilmente, non vi entreranno (parlo della Norvegia e della Svizzera), che però sono già integrati nell'economia europea.
Se parliamo di un mercato integrato e non di un'area politica unica, ci sono alcuni Paesi del Mediterraneo, come la Turchia, ma il discorso si pu allargare anche ad alcuni Paesi dell'area sud del Mediterraneo.
Che competenze dovrebbe avere il nucleo politico forte? Certamente un governo federale con competenze in materia di difesa, di politica estera, di politica economica, di giustizia (forse di sicurezza ma non è necessario) e, naturalmente, di moneta unica, quindi di una politica economica comune. Dovrebbe, però, essere un'area più ristretta, ma allargata a chiunque voglia entrarvi e sia disposto a rispettarne le regole democratiche, prima di tutto, ma anche economiche.
In questo caso, per l'area allargata dovremmo individuare quali organi comuni darci, sapendo che il nucleo centrale sarà tanto più solido quanto più la sua forza centripeta sarà grande, e quanto più sarà attraente la propria capacità di essere un vero Stato federale, pur con le originalità che non possono non esserci, dal momento che stiamo parlando di una grande Istituzione che nasce da Stati che hanno millenni di storia.
Ci serve una strategia di avvicinamento al progetto di lungo termine purché lo stesso sia credibile. Finalmente il Consiglio europeo ha cominciato a delineare alcuni elementi: il growth compact è uno strumento che comincia a significare qualcosa, cioè che non dobbiamo occuparci solo della moneta, ma anche della crescita e dello sviluppo.
Ovviamente questo significa politiche economiche comuni, ma soprattutto i cosiddetti quattro building blocks, che ha presentato Van Rompuy, a nome dei quattro Presidenti, che comprendono quattro cose: un quadro finanziario integrato che assicuri la stabilità finanziaria, la difenda da fallimenti bancari e difenda i cittadini dai fallimenti bancari; un quadro di bilancio integrato che assicuri le politiche fiscali sane, a livello europeo e a livello degli Stati (e qui, per la prima volta, è entrato il tema delle forme di solidarietà fiscale); un quadro di politica economica integrata per rilanciare lo sviluppo sostenibile, la crescita e l'occupazione; un quadro per assicurare la necessaria legittimità democratica e la fiducia basato sul comune esercizio - come dice il documento approvato - delle politiche della solidarietà.
Questi quattro blocchi sono un novità assoluta e, ancora di più delle decisioni di breve periodo, sono molto importanti per la nostra sopravvivenza, ma ciò che conta è garantire anche ai mercati un chiaro percorso politico futuro. Dovrebbero assicurare un'architettura coerente e completa, che secondo i quattro - ma anche secondo i Capi di Stato e di Governo - dovrebbe essere sviluppata nei prossimi dieci anni, anche con modifiche ai Trattati.
sicuramente un passo avanti che riconosce la necessità di un avanzamento sulla via di un'integrazione monetaria, economica, bancaria e democratica. Democratica, quindi, vuol dire politica.
In sostanza, man mano che avanza, l'Unione politica può crescere solo con la solidarietà economica e fiscale, quindi gli eurobond, l'unione bancaria, l'unione fiscale e l'unione monetaria, ma anche attraverso un percorso di integrazione politica.
Il Consiglio europeo, come è già stato ricordato, si è dato una road map per avanzare sui blocks e la dichiarazione del vertice dell'Eurogruppo ha aggiunto questioni più urgenti, che però permettono di superare questa fase difficilissima.
Sul processo di integrazione politica e federale c'è solo la parola "democratico", che non so se significhi esattamente quello che noi intendiamo.
Adesso che cosa capiterà? Intanto, credo che i Capi di Stato e di Governo si sono trovati di fronte all'abisso, perché quella era la situazione. Hanno deciso di fare un salto per superarlo, perché un altro passo e cadevano dentro. Quindi, non sono caduti dentro, ma non sono tornati indietro (questa era l'altra possibilità) grazie anche - io credo - ad una nuova e inedita alleanza dell'Europa del Sud, che ha visto Italia, Francia e Spagna lavorare insieme e a cui, peraltro, la Germania ha aderito e con lei anche i tradizionali Paesi, come il Belgio e il Lussemburgo. Tra i Paesi fondatori, solo l'Olanda ha esitato.
Si è rotto il blocco formato da Germania e alcuni Paesi del Nord profondamente antieuropei. Oggi tocca al Parlamento europeo e tocca ai popoli d'Europa. Credo che dobbiamo sollecitare il Parlamento europeo ad assumersi questi compiti. Come dicevo, la Convenzione abbia il coraggio di mettere in agenda tutti i principali problemi.
Esiste anche uno strumento per i popoli d'Europa, che noi possiamo sollecitare ed aiutare, che si chiama "iniziativa cittadina". Un milione di firme di cittadini europei possono chiedere un intervento legislativo forzando un po', si può chiedere anche una Convenzione.
Da ultimo, esiste la possibilità, quella da cui noi possiamo cominciare, di presentare mozioni e ordini del giorno che sollecitino i governi e l'Europarlamento a proseguire su una strada di integrazione democratica.
In conclusione, credo che il momento per agire sia adesso. Penso che anche se casualmente, abbiamo scelto bene la data dell'odierno Consiglio e credo che potremmo essere una delle prime Istituzioni a livello regionale e locale a pronunciarsi su questo tema proprio adesso. Credo che quel passo al di là dell'abisso diventi sempre più importante, se non vogliamo nuovamente correre il rischio di caderci dentro, ma anche di tornare indietro. L'abisso è sempre lì e in qualunque momento potremmo finirci dentro.
Grazie.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Grazie, Presidente Bresso, anche per la sua testimonianza da protagonista nell'ambito della questione europea.
Comincerei con interventi alternati degli ospiti con interventi dei Consiglieri regionali, in modo che si possa avere la posizione dei Gruppi dando, ovviamente, priorità agli ospiti.
Il primo intervento è del Presidente del Consiglio delle Autonomie locali, il dottor Riva Vercellotti. Prego.



RIVA VERCELLOTTI Carlo, Presidente Consiglio Autonomie locali

Grazie, Presidente.
Approfitto dell'occasione per salutare i membri del Consiglio regionale.
In realtà avrei preferito parlare di questi temi non oggi, ma almeno cinque o sei anni fa. Dico questo perché allora la situazione del sistema delle autonomie locali italiane era profondamente diversa rispetto a quella attuale.
Le Province arrivavano da un riassetto conseguente alla riforma del Titolo V della Costituzione e, a livello regionale, dalla messa a regime delle leggi delega 44/2000 e 5/2001; i bilanci di Province e Comuni non denunciavano la sofferenza che caratterizza oggi la maggior parte degli enti piemontesi. Erano momenti in cui le Comunità montane erano diventate luoghi di vera eccellenza, intorno ai quali nascevano progetti transnazionali, che generavano sviluppo, ricchezza e promozione della montagna. Erano tempi in cui nascevano le Comunità collinari, le Unioni dei Comuni e si rafforzava il legame tra i territori. Il Patto di stabilità iniziava il suo cammino, senza i limiti soffocanti dei quali oggi devono tenere conto gli amministratori locali.
Allora si poteva ancora "fare", allora si potevano ancora realizzare opere, si poteva generare sviluppo sul territorio e si potevano anche pagare tempestivamente le imprese, impegno certamente molto più complesso e difficile da rispettare in questi ultimi anni per via del "patto di stabilità". Vivevamo, quindi, una situazione profondamente diversa.
Il mio intervento verte sui problemi semplici e concreti che oggi tanti amministratori dei Comuni e delle Province piemontesi si trovano a dover affrontare.
A partire dal 2008, dunque, il panorama istituzionale è cambiato moltissimo. Lo scorso anno, la BCE ha invitato l'Italia a sopprimere le Province italiane; poi l'Europa ha spinto il Nostro Paese a riformare completamente il sistema delle autonomie locali. E' nato così un percorso che definirei vizioso e non certamente virtuoso, che nel 2011 ha portato all'applicazione dell'articolo n. 16 del D.Lgs 138/2011 e poi dell'articolo n. 23 inserito nel cosiddetto Decreto "Salva Italia", che ha sicuramente comportato una situazione di grave crisi per il sistema delle autonomie locali.
Viviamo con una grandissima preoccupazione per il nostro futuro gravato anche dalle indicazioni del "Fiscal Compact"; mentre uno spiraglio di speranza giunge dall'ultimo vertice europeo tenutosi in questi giorni da cui emerge la possibilità che l'Italia esca bene da questa crisi permane invece incertezza per gli Enti locali, perché per loro si prospettano scenari di una sempre maggiore rigidità.
Quello che devo testimoniare qui oggi è quindi una preoccupazione fortissima da parte degli Enti locali che comporta fin da ora la riduzione drastica dei lavori pubblici, che non sono soltanto la banale manutenzione di strade e aiuole, ma comprende la sicurezza nelle scuole, nei luoghi pubblici, a cui si aggiunge la grave perdita di occasioni di sviluppo sul territorio.
Oggi, rispetto a cinque o sei anni fa, il Patto di stabilità è visto in modo profondamente diverso: ha comportato una ripercussione drammatica certamente sugli Enti locali, ma di fatto anche sulle famiglie e sulle imprese. Questo perché dovendone forzatamente rispettare le condizioni Comuni e Province sono costretti a percorrere due sole strade: la prima è aumentare le tasse, la seconda è ritardare e/o rallentare i pagamenti. Non ci sono altre possibilità, oggi, per stare all'interno del Patto di stabilità.
In questo momento siamo tutti bravi a dire che i Comuni sono una risorsa per il territorio; siamo bravi a ricordare gli ultimi cinquanta sessanta anni di storia d'Italia che hanno portato ad un processo di decentramento molto importante anche all'interno della Regione Piemonte.
Però, tutto questo, oggi, non si combina con la realtà dei fatti.
Gli Enti locali vivono un momento certamente mortificante della loro storia. Lo dico non per creare allarmismo, ma perché sento quotidianamente tantissimi Comuni all'interno della mia Provincia e del Consiglio delle Autonomie Locali che esprimono il rischio, reale, che dal prossimo anno con le regole imposte a livello nazionale, non riusciranno più a rispettare il Patto di stabilità Come i Comuni, anche le Province si trovano in grosse difficoltà. Va certamente rivolto un ringraziamento al Consiglio Regionale per il ricorso costituzionale che ha presentato insieme ad altre otto Regioni italiane avverso il dettato dell'articolo 23. La situazione, come ben sapete, in questi giorni si ricollega alla cosiddetta "Spending Review", così solo nei prossimi mesi si saprà qualcosa di certo sul futuro delle Province Italiane.
Va ricordato al riguardo, come l'UPI, l'Unione Province Italiane, in questi mesi abbia dato un segnale coraggioso, che non si pone nell'ottica della difesa corporativa, ma persegue l'obiettivo di essere insieme al Governo nel tentativo di trovare delle soluzioni per ridurre la spesa pubblica. Anche il tema dell'accorpamento delle Province è stato parzialmente modificato in questi ultimi tempi, nella prospettiva di assumere decisioni non calate dall'alto ma condivise con i territori.
Proponiamo dunque il coinvolgimento delle Regioni e del Consiglio delle Autonomie locali, per cercare di gestire in modo collaborativo e condiviso questa fase importante di cambiamento.
Concludo con l'appello che mi sento in dovere di fare a nome degli Enti locali del Piemonte. Questo accanimento nei confronti degli Enti locali noi non lo abbiamo capito. Ormai sono anni che è in corso un processo di progressiva riduzione dei costi e delle spese: è stato ridotto drasticamente il numero di Consiglieri comunali e Consiglieri provinciali degli Assessori delle Giunte comunali e delle Giunte provinciali; sono state altresì ridotte in maniera significativa le spese di rappresentanza dell'80% rispetto alla spesa degli ultimi anni.
Quest'ultimo provvedimento poi rappresenta un segnale quantomeno inopportuno nei confronti di quegli Enti che hanno lavorato bene, perch tagliare in maniera lineare significa che chi prima sprecava, oggi continuerà a farlo. Mentre ci sono Comuni, soprattutto all'interno del nostro Piemonte, che a causa di questa manovra oggi non riescono nemmeno a comprare le corone per celebrare la memoria dei Caduti di tutte le Guerre o la Liberazione il XXV Aprile! Ecco cosa vuol dire, oggi, andare a tagliare indiscriminatamente sugli Enti locali.
Le richieste che avanzeremo con forza, come Consiglio delle Autonomie Locali, attraverso un ordine del giorno che porteremo in discussione a breve, riguardano il rispetto del Patto di stabilità.
CHIEDIAMO un allentamento del Patto di stabilità per liberare risorse da porre non su spese inutili ma su specifiche voci: pensate alle scuole alle strade, alla difesa del suolo, dove non si va a sprecare, ma ad investire nella sicurezza delle persone, dei giovani e degli studenti generando, al tempo stesso, ulteriori occasioni per rilanciare l'economia nella nostra Regione e nel nostro Paese.
CHIEDIAMO di liberare i residui passivi in conto capitale per pagare i fornitori: soltanto sulle Province, a livello nazionale, ci sono tre quattro miliardi di euro di residui passivi che non possono essere liquidati.
CHIEDIAMO di alleggerire, inoltre, il Patto di stabilità per quei Comuni al di sotto dei 5.000 abitanti che, dal prossimo anno, in forma associata o di unioni, si troveranno a fare i conti con gli obblighi del patto. Dico questo perché sia chiaro fin da oggi che nella nostra Regione gran parte dei Comuni, a partire dal 2013 non riuscirà a rispettare il Patto di stabilità.
Il CAL, da questo punto di vista, lavorerà assieme al suo esercito di volontari - io lo chiamo così, perché non si può definire un Assessore, un Sindaco o un Consigliere comunale di un paese di 500 o 1.000 abitanti un simbolo della "casta" italiana, sono persone che si impegnano quotidianamente per la gente e per i loro territori - per offrire piena disponibilità a ragionare non soltanto sulle questioni legate al Patto di stabilità, ma anche per promuovere una riforma organica del sistema delle Autonomie Locali all'interno della Regione Piemonte.
L'augurio e l'auspicio che Vi rivolgo oggi è che queste considerazioni possano essere prese in esame sia dal Consiglio Regionale, che da tutti gli autorevoli rappresentanti di Enti presenti in Aula, affinché anche l'Unione Europea possa capire che il "sistema Europa" è formato non soltanto da Stati e da Regioni, ma anche da tante piccole realtà che costituiscono l'anima e la forza del nostro Paese. Grazie.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

La ringrazio, Presidente Riva Vercellotti.
Ha chiesto la parola il Consigliere Negro, Presidente del Gruppo UDC ne ha facoltà.



NEGRO Giovanni

Grazie, Presidente.
Ho ascoltato con attenzione gli ultimi interventi e li trovo condivisibili. Non intendo rubare molto tempo all'Aula, posto che oggi abbiamo la fortuna di avere illustri personaggi in questa sede e dobbiamo concedere spazio a loro.
Ci tenevo, però, a precisare che questo Consiglio regionale non solo è utile, ma estremamente opportuno in una fase storica in cui così tanto si parla di Europa. Se ne parla per il precipitare della crisi economica e politica quando la nascita della moneta unica sembrava aver risolto d'incanto il processo di evoluzione e di integrazione europea.
La tradizione culturale di mio riferimento ha contribuito in modo determinante alla costruzione dell'Europa. Si è sempre spesa affinché i principi ispiratori da cui nacque l'idea dell'Europa portassero ad un vero processo di integrazione.
Per troppi anni abbiamo perso di vista le radici dell'identità europea perdendo via via il collegamento con i popoli. E quando si perde il collegamento con i popoli, avanza prepotentemente l'azione puramente burocratica.
Abbiamo delegato ad una burocrazia anonima azioni e decisioni che dovrebbero essere politiche. Il ruolo della Regione diventa, quindi fondamentale per riprendere e rinvigorire l'entusiasmo iniziale della costruzione europea e adeguare l'assetto istituzionale portando a compimento il processo costituente.
L'Europa ha dato impressione di essere il "vecchio continente", non per la propria storia, quanto per l'incapacità di credere nel futuro.
La Regione Piemonte, al contrario, anche in una situazione economica e sociale così difficile, vuole guardare avanti con fiducia, utilizzando la tecnica tipica del nostro carattere piemontese. Solo così facendo, anche noi saremo protagonisti di una stagione di nuovo entusiasmo per il completamento della costruzione politica di un'Europa più democratica, più solidale e più federale. Grazie.



PRESIDENTE

La parola l'Onorevole Piero Fassino, Sindaco della Città di Torino.



FASSINO Piero, Sindaco Città di Torino

Grazie, Presidente, e grazie a tutti voi per questa possibilità.
Molto brevemente, il tema, evidentemente, è di stringentissima attualità, per una ragione molto semplice: l'Europa è sempre di più il luogo, lo spazio e la dimensione della nostra vita. Già oggi oltre il 30 delle decisioni che incidono sulla vita dei cittadini europei non è preso né a Madrid, né a Parigi, né a Roma, né a Berlino, ma a Bruxelles.
Il processo di integrazione ha conosciuto negli ultimi anni una fortissima accelerazione in presenza di una globalizzazione che cambia le dimensioni degli attori e dei fenomeni dei processi.
Quando si ha a che fare con un Paese come la Cina - un miliardo e 300 milioni di persone e una crescita del PIL di nove punti all'anno nella crisi (prima della crisi 11 punti di crescita di PIL annuii) - o come l'India - un miliardo di persone e una crescita del PIL nella crisi dell'8 annuo - o, ancora, quando bisogna fare i conti con Paesi meno blasonati ma non meno significativi dal punto di vista della forza - Indonesia per dirne una, o Brasile, o Nigeria, o Sudafrica - che mettono in campo dimensioni demografiche e, ovviamente, economiche significative e ragguardevoli l'illusione che ci si possa confrontare con queste dimensioni soltanto sulla base delle sovranità di questo o di quello Stato è sotto gli occhi di tutti. Neanche la Germania da sola ce la fa: per fare i conti con la Cina non basta il potenziale demografico, economico, tecnologico e finanziario di un Paese come la Germania.
Quindi la necessità di costruire un soggetto aggregato che sia in grado, in termini di dimensione, di fare i conti con le nuove dimensioni della globalizzazione sta nelle cose. D'altra parte, la crisi dell'Europa di questi ultimi due anni questo ci dice.
La fatica con cui l'Unione Europea riesce a governare una crisi che la investe è, prima di tutto, una fatica politica. È una fatica che fa i conti con il gap che si manifesta ogni giorno tra la dimensione globale dei processi e l'assenza di una sovranità europea sufficientemente forte da governare i processi.
Tutti abbiamo salutato con favore gli esiti del Consiglio europeo di questi giorni, perché pare aver deciso - poi vedremo l'implementazione delle decisioni - delle iniziative che cercano che cercano di ridurre questo gap, perché il problema più grande che l'Europa ha è esattamente questo: l'Europa è un soggetto unico dal punto di vista del mercato, dal punto di vista della moneta, dal punto di vista della libera circolazione delle persone, dal punto di vista del trasferimento delle tecnologie, è sempre di più uno spazio comune in tanti campi (pensiamo a come si sta dilatando, per esempio, il riconoscimento dei titoli di studio su scala europea), ma non è un soggetto unico in un punto fondamentale: nella sovranità, o meglio, la Commissione europea ha una quantità di sovranità e di prerogative insufficiente per governare i processi che l'Europa ha di fronte, al punto che nella crisi la centralità della decisione politica si è spostata dalle istituzioni comunitarie alle istituzioni intergovernative.
Quello che pesa non è la Commissione, ma il Consiglio, cioè il luogo dove siedono i Presidenti di Governo, i Capi di Stato, i Presidenti del Consiglio, a seconda del potere della figura che ciascuna Costituzione riconosce, insomma i Capi degli esecutivi dei Paesi europei: lì si prendono le decisioni.
Da questo punto di vista, è storicamente datata una polemica contro la burocrazia di Bruxelles, perché a decidere non è la burocrazia: sono i Capi di Governo che si riuniscono ogni 15 giorni e decidono di tutto, e quelli non sono i burocrati, sono i Capi dei Governi che governano l'Europa.
Il punto è che non basta una dimensione intergovernativa per governare i processi che l'Europa ha di fronte, perché la dimensione intergovernativa è fondata sulla relazione tra sovranità, e questo mette a nudo la contraddizione principale che ha la globalizzazione, che è globale in tutto, ma non è globale nelle sovranità. E l'idea di governare fenomeni globali facendo leva solo sulle sovranità nazionali appare a chiunque (ma poi la realtà ce lo dimostra) una contraddizione in sé, perché anche il Paese più grande (prendiamo ad esempio gli Stati Uniti o, in Europa, la Germania) non può, sulla base della sola sua sovranità, governare fenomeni che tutti sono più larghi della sovranità che esercita.
Quindi il tema di come si fa un salto in termini politici in Europa è la questione fondamentale, perché la debolezza europea non sta oggi nei fondamentali economici o comunque non sta solo lì: la debolezza europea sta nella fragilità del comando politico e istituzionale, e la fragilità del comando politico e istituzionale determina una fragilità di decisioni che incide anche su un tasso di crescita più basso di quello di altre aree del mondo e ci espone quindi a un gap competitivo che poi si traduce in una crisi economica e finanziaria che viviamo tutti i giorni nei nostri Paesi con affanno e difficoltà.
Dico questo perché la questione fondamentale che l'Europa ha di fronte è come fare un salto di qualità, appunto, in termini di maggiore integrazione delle leve strategiche di comando e di decisione, diventando un soggetto politico e istituzionale più forte. Senza diventare un soggetto politico e istituzionale più forte, difficilmente riuscirà a esprimere quella capacità di decisione che nei tempi di oggi è necessaria per essere un attore attivo e non un attore che subisce i processi globali.
Secondo passaggio, che ci riguarda da vicino: ci riguarda come Stato e ci riguarda come poteri locali. Un punto che vedo emergere come un punto irrisolto nell'architettura istituzionale europea è esattamente il rapporto tra una sovranità europea che si debba irrobustire e rendere più forte attraverso una maggiore capacità dell'Unione Europea di essere sovrana su questioni strategiche (la politica monetaria, la politica fiscale, la politica estera, la politica di difesa, cioè le leve strategiche senza le quali non esiste un soggetto che è sovrano) e le sovranità sottostanti perché noi abbiamo sempre detto - ed è stata coniata questa formula - che l'Unione Europea è una federazione di Stati, e in questo sta l'originalità dell'Unione Europea, che si costituisce come un soggetto sovrano senza annullare le sovranità sottostanti.
Tuttavia, il rapporto tra sovranità europea (oggi debole) e sovranità statali più forti della sovranità europee, ma senza che nessuna di esse sia da sola in grado di affrontare problemi globali, è una contraddizione che abbiamo di fronte. È difficile pensare che sia possibile costruire una sovranità europea forte, se gli Stati continuano a essere così pervicacemente gelosi della propria sovranità, perché questa contraddizione ce l'abbiamo evidentemente già davanti oggi.
Il tema che per costruire una sovranità europea in grado di governare i processi è necessario che una quota di sovranità che oggi sta negli Stati passi a una dimensione europea è un tema che sta di fronte a noi. In genere, questo tema viene evocato come il rischio di perdita. Io non penso che sia così, perché nel momento in cui l'Italia, la Francia o la Germania decidono di trasferire un pezzo della loro sovranità a una sovranità europea di cui sono azioniste, trasferiscono una quota della loro sovranità a un soggetto di cui comunque continuano a essere partecipi azionisti, non trasferiscono questa sovranità a qualcuno di esterno.
Quindi, secondo me, è un'analisi ed è una prospezione miope e corporativa quella di dire: "Noi non possiamo rinunciare a niente altrimenti perdiamo qualcosa che attiene alla nostra sovranità". No: trasferiamo semplicemente un pezzo della nostra sovranità a una sovranità più larga di cui noi siamo attori e azionisti. In questo bisognerebbe essere consapevoli che occorre essere meno arroccati all'idea che qualsiasi trasferimento di sovranità all'Europa rappresenta una perdita, mentre rappresenta invece l'arricchimento di una sovranità comune.
Tuttavia, c'è un altro problema che mi pare non risolto nell'architettura istituzionale europea, ed è che sempre di più diventano decisivi in ogni Paese i poteri locali, perché risulta evidente che la necessità di governare fenomeni e processi economici, sociali e culturali che si manifestano nei territori richiede una flessibilità di gestione che esalta la funzione dei poteri locali, cioè di quei poteri che sono più vicini al territorio, sono più vicini all'emergere dei problemi e quindi sono in grado di governarli più flessibilmente.
Non è un caso, peraltro, che l'Unione Europea abbia già assunto principalmente le Regioni rispetto ad altri livelli istituzionali come livello istituzionale destinatario dei fondi e delle forme di finanziamento delle politiche di sviluppo e di coesione. Le politiche di sviluppo e di coesione non hanno come destinatario lo Stato: hanno come destinatario le Regioni.
Allora anche questo è un punto che richiama in causa l'architettura istituzionale europea e nazionale. Come ripensiamo l'articolazione dei poteri locali italiani, nel momento in cui è aperta una discussione, perch siamo alla vigilia di provvedimenti da parte del Governo che consolidano ulteriormente un cammino che è già stato aperto: ridisegno delle Autorità metropolitane, ridefinizione del ruolo delle Province (qualora debbano continuare a esistere), rapporto tra questi livelli e le Regioni? Queste non sono questioni che un Paese può risolvere soltanto al proprio interno prescindendo dalla dimensione europea. A me pare che oggi questo tassello manchi, perché non possiamo disegniamo un'architettura tenendo conto soltanto delle dinamiche nazionali, quando questi livelli istituzionali devono sempre di più essere pensati dentro una dinamica europea.
Si sta discutendo da mesi in Italia su cosa fare delle Province, su come riarticolare i Comuni, se costituire le Aree metropolitane, su come queste cose stanno in relazione alle Regioni, prescindendo da un quadro e da una dimensione europea: mi pare un approccio debole, mi pare molto debole. Nei prossimi anni l'articolazione istituzionale dovrà sempre di più essere organica e integrata a livello europeo, quindi penso che anche questa sia una questione che deve essere messa sul tappeto e noi, nel momento in cui ci accingiamo a ridefinire le funzione dell'articolazione istituzionale del nostro Paese, dovremmo farlo in un rapporto con l'Europa più organico di quanto non lo sia stato finora.
Infine, è evidente che questo ragionamento ha un senso se non attiene soltanto all'architettura istituzionale, ma anche alle politiche di sviluppo.
Ritengo meritoria l'iniziativa assunta dal Governo Monti volta a chiedere la flessibilizzazione del Patto di stabilità, in quanto quello che attualmente vige in Europa è cieco. Infatti, un Patto di stabilità che non distingue tra spesa per investimenti e spesa corrente, o tra spesa delle Amministrazioni statali e spesa delle Amministrazioni locali, diventa sempre più una camicia di forza, che, anziché favorire, inibisce le politiche di sviluppo.
Quindi, la flessibilizzazione del Patto è essenziale, soprattutto perché sta nelle scelte operate dall'Unione Europea. Assumere la Carta di Lisbona, che viene spesso invocata per evocare l'idea di un'Europa che investe sul sapere, sulla conoscenza, sulla tecnologia, sulle grandi rete infrastrutturali, come piattaforma che può rilanciare la competitività presuppone una mobilitazione di risorse che l'attuale Patto di stabilità impedisce. Senza revisione del Patto di stabilità, tutto ciò che dieci anni fa definimmo a Lisbona è impraticabile. Così come non è praticabile una politica capace di sostenere lo sviluppo senza aumentare le risorse proprie dell'Unione Europea.
In questi anni abbiamo assistito ad un dibattito surreale. Nel momento in cui tutti invocavano un'Europa capace di affrontare la crisi, aumentando la sua azione strategica per sostenere gli investimenti, in molti Paesi si evocava la possibilità di ridurre il contributo che ciascun Paese assegnava al bilancio comunitario. Siccome nemmeno a livello europeo si fanno le nozze con i fichi secchi, l'idea di non dotare l'Unione Europea delle risorse finanziarie minime necessarie a sostenere una politica di sviluppo è contraddittoria.
Tutti sappiamo che i bilanci pubblici di ogni Stato europeo, oggi, sono gravati da vincoli che difficilmente consentono l'aumento della contribuzione, quindi la prospettiva di individuare capitali sul mercato attraverso gli eurobond è ineludibile, altrimenti le nostre sono evocazioni puramente di principio senza una corrispondente attivazione della strumentazione necessaria.
Questi sono i temi che abbiamo di fronte. Da parte dell'Italia deve esserci un contributo attivo, così come dal sistema degli Enti locali, i quali sono sempre più protagonisti nella vita dell'Unione e delle sue scelte.
Mi auguro, sia sul piano dell'architettura istituzionale e sia sul fronte delle politiche di sviluppo e coesione, da parte dell'Italia un atteggiamento - con il Governo Monti mi pare certamente più forte e credibile, data la personalità del Presidente del Consiglio e la sua credibilità su scala europea - per sostenere queste scelte, affinché avere un quadro di riferimento più certo per l'attività degli Enti locali e più utile a promuovere quelle politiche di sviluppo che consentano all'Europa di riprendere a crescere. Però, se il tasso di crescita dell'Europa continua ad essere il più basso nella competizione globale, è evidente che il gap competitivo dell'Europa nei confronti degli altri continenti e delle altre aree di mercato tenderà ad aggravarsi a danno dell'Europa stessa.
Grazie.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Grazie a lei, signor Sindaco, per il suo importante contributo. Grazie anche per essersi liberato dall'impegno e di averci onorati della sua presenza.
Adesso, darò la parola alla Consigliera regionale, Monica Cerutti, del Gruppo Sinistra Ecologia Libertà con Vendola.



CERUTTI Monica

Grazie, Presidente.
Il nostro intervento è determinato dalla rilevanza di questo Consiglio che, come ha ricordato la Consigliera Bresso, avviene in un momento molto importante, in cui il destino dell'Europe è sotto i riflettori dei media.
sembrato che la crisi fosse ad un punto di svolta, ad un punto di non ritorno, ma occorre dire che questa crisi ha visto a Bruxelles un po' di ossigeno. Abbiamo sentito questa mattina lo stesso dottor Dastoli esprimere delle perplessità sugli esiti del vertice e l'esigenza di verificare quelle che potranno essere le misure di attuazione, anche perché noi riteniamo mi sembra che tutti gli interventi vadano in questa direzione - necessario un cambio radicale di rotta.
Ricordava adesso il Sindaco del Comune di Torino, Fassino, che gli Stati membri devono necessariamente cedere sovranità. Ciò non è da intendere in modo negativo, però, forse, occorrerebbe porre al centro del dibattito un altro elemento.
Certo, la disamina dei settori specifici su cui costruire l'Europa è stata formulata sempre nella relazione del dottor Dastoli, però al centro del dibattito sarebbe opportuno porre la questione della giustizia sociale come principio. Quindi, non solo l'economia, ma rilancio della democrazia e rilancio di quello che ritengo - anche qui non l'ho sentito - un elemento su cui riflettere e riprendere l'attenzione: il modello sociale europeo che non riteniamo sia defunto. Quest'ultimo deve essere riportato in auge e, come magari qualcuno insegnerebbe, tenendo conto dei tempi che man mano si sono modificati. Forse il modello sociale europeo dovrebbe essere quello che tiene insieme e rilancia gli Stati Uniti d'Europa come soggetto politico.
In questo senso, vorrei ricordare che un'altra Europa è stata discussa in quello che è stato considerato un controvertice, svoltosi a Bruxelles negli stessi giorni del vertice ufficiale, al quale hanno partecipato Gruppi della Sinistra Europea e dei Verdi, in particolare il Presidente del mio partito, Nichi Vendola, insieme, per esempio, a Stefano Fassina del Partito Democratico. Lì si è discusso anche di un'altra Europa.
Qui voglio ricordare le azioni concrete che hanno caratterizzato il documento finale di questa sorta di controvertice, anche perché, se si evocano i temi della giustizia sociale e del modello sociale europeo occorre mettere in campo proposte concrete e non semplicemente fermarsi a dichiarazioni di principio.
In questo senso, tra le azioni concrete, il primo punto prevede di affrontare la drammatica accelerazione della crisi finanziaria europea segnata dall'interazione tra crisi bancaria e crisi del debito pubblico per cui la Banca Centrale Europea deve agire immediatamente in qualità di prestatore di ultima istanza per i titoli di Stato. Il problema del debito pubblico va risolto con una responsabilità comune dell'Eurozona, attraverso meccanismi istituzionali che possano essere introdotti immediatamente; il debito va sottoposto ad una valutazione e a un audit pubblico.
Per quanto riguarda il secondo punto, che finora non è stato sollevato ma che ritengo importante, è necessario un radicale ridimensionamento della finanza, con l'introduzione della tassa sulle transazioni finanziarie questo argomento non è ancora stato toccato da nessuno - limiti alla finanza speculativa e ai movimenti di capitali e con un'estensione del controllo sociale, in particolare sulle banche che ricevono salvataggi pubblici. Il sistema finanziario dovrebbe essere trasformato in modo tale da sostenere investimenti produttivi sostenibili da un punto di vista sociale ed ambientale.
Relativamente al terzo punto, è chiaro che è necessario rovesciare le politiche di austerità in tutti i Paesi d'Europa e rivedere i termini del Memorandum imposti ai Paesi che hanno richiesto "aiuti d'emergenza" dall'Unione Europea, a cominciare dalla Grecia; i pericolosi vincoli, che noi vediamo, del Patto fiscale vanno eliminati in modo che i Governi possano tutelare la spesa pubblica, il welfare e i salari, mentre l'Europa deve assumere un ruolo maggiore per stimolare la domanda, promuovere la piena occupazione e avviare uno sviluppo equo e sostenibile.
Non sto parlando di un libro dei sogni, ma di proposte concrete.
Le politiche europee devono inoltre portare all'armonizzazione fiscale mettere fine alla concorrenza tra Stati e spostare l'imposizione fiscale dal lavoro ai profitti e alla ricchezza. Il lavoro e la contrattazione collettiva devono essere difesi; i diritti del lavoro sono parte essenziale dei diritti democratici in Europa.
Per quanto concerne il quarto punto, un "new deal verde" pu rappresentare la via d'uscita dalla recessione in Europa con grandi investimenti, per una transizione ecologica verso la sostenibilità.
Chiaramente, il quinto punto è la democrazia, che deve essere estesa a tutti i livelli in Europa. L'Unione Europea va riformata e mi sembra che in tutti gli interventi questo fosse il punto di contatto e la concentrazione dei poteri nelle mani degli Stati più potenti - così come si è realizzata con la crisi - va rovesciata. L'obiettivo - lo diceva anche il Presidente Cota all'inizio - è quello di un'Europa dal basso.
Le prossime elezioni europee del 2014 devono rappresentare un'opportunità per compiere scelte tra proposte alternative per l'Europa all'interno e trasversalmente agli Stati membri dell'Unione.
In questo senso noi pensiamo che sia ora che anche in un dibattito pubblico - che magari sia quello che può avvenire al di fuori di questo Consiglio proprio perché purtroppo troppo spesso, e anche qui purtroppo sta avvenendo, il tema europeo sembra essere un tema soltanto da addetti ai lavori e non invece tema di democrazia dei popoli come si dice in modo un po' enfatico - si veda un'Europa sociale che si faccia strada.
Sappiamo che il nostro Paese finora ha avuto con il nuovo Governo un'autorevolezza diversa, ha fatto quello che venivano definiti "i compiti a casa", però pensiamo che finalmente anche il nostro Paese debba guardare all'Europa su tutti gli aspetti. Basti ricordare che, sul tema dei diritti civili, l'Europa è ben più avanti rispetto a quella che è la situazione attuale.
Il recente dibattito sui matrimoni omosessuali lo dimostra e in questo senso, se noi vogliamo sempre rifarci all'Europa economica, varrebbe la pena che ci fosse anche la capacità di rifarsi ad un'Europa che è anche quella dei diritti.
Avviandomi alla conclusione, è importante alcuni aspetti vengano toccati. In particolare ricordo la questione della tassazione sulle transazioni finanziarie, nonché la questione di un'Europa che riscopra quella che è l'Europa sociale, il modello sociale europeo.
Crediamo che sia necessario questo cambiamento radicale e che veda effettivamente la politica impadronirsi di una questione che non deve essere soltanto evocata come elemento di rigore, ma che sia effettivamente evocata sul fronte politico.
Quindi, un'Europa che nasca, gli Stati d'Europa che siano finalmente soggetto politico: questo è il nostro auspicio. Può partire dalle Regioni così come veniva auspicato dalla Presidente Bresso un lavoro in questa direzione e ideale, perché pensiamo che finalmente la politica debba riscoprire anche delle idealità, perché altrimenti non avrebbe ragione di essere, ma lasciamo il campo soltanto ai tecnocrati.
A questo punto, l'Europa sia effettivamente un'Europa dei popoli. In questo senso, un'altra Europa è possibile, forse finalmente riusciamo a metterla in campo, seppure al momento sembrano essere più i problemi che le opportunità di azione per i politici e non.



(Applausi in aula)



NOVERO GIANFRANCO



PRESIDENTE

La parola a Paolo Bertolino, Segretario generale dell'Unioncamere Piemonte.



BERTOLINO PAOLO, Segretario generale Unioncamere Piemonte

Ringrazio il Presidente del Consiglio regionale e l'intero Consiglio regionale per questo invito.
Penso che sia un tema fondamentale parlare di nuovo dell'assetto istituzionale dell'Europa. È un tema fondamentale per le nostre imprese perché se la crisi che stiamo vivendo ci ha insegnato qualcosa è che i nostri mercati non sono solo più i mercati domestici o europei, ma sono i mercati al di là dell'Europa. E, quindi, la necessità per le imprese di affrontare nuove sfide in mercati che possono dare soddisfazione è una necessità impellente ed è uno dei problemi che i nostri imprenditori si trovano ad affrontare ogni giorno.
Penso che l'invito fatto al sistema camerale di partecipare a questa iniziativa è dovuto al fatto che, come molti relatori hanno detto, se il nuovo assetto istituzionale si costruisce dal basso, forse il sistema camerale piemontese dal basso sta lavorando in questa prospettiva.
Seguendo l'idea della politica regionale della creazione dell'Euroregione Alpi Mediterranee, anche le Camere di Commercio si sono dotate di un organismo per la creazione di questo gruppo europeo di cooperazione territoriale (ALPMED). Attualmente abbiamo una società belga con sede a Bruxelles che cerca di curare e portare avanti gli interessi dei nostri territori e delle nostre imprese.
Questo perché collaborare con i Paesi più vicini, con la Francia, con le altre Regioni italiane confinanti ci consente di ideare nuove politiche di sviluppo per le imprese, che si affacciano non in modo concorrenziale tra di loro, ma si affacciano a quei mercati che il Sindaco Fassino citava prima, cioè quel miliardo e 300 milioni di cinesi, quel miliardo di indiani.
Quindi, pensiamo che il fatto di rivedere l'Europa debba essere portato avanti nella quotidianità del lavoro che le istituzioni devono portare avanti giornalmente, nella creazione di quel dialogo necessario tra imprese per poter costruire ed utilizzare quei fondi europei che ad oggi sono gli unici fondi a disposizione dei nostri territori, che devono essere costruiti e utilizzati in maniera condivisa.
Riteniamo che abbia poco senso fermarsi soltanto a pensare ad una politica industriale della nostra Regione, ma abbia più senso confrontarsi con le Regioni limitrofe, per costruire insieme dei canali e dei filoni di sviluppo che possono dare sviluppo a tutti noi.
Basta solo ricordare che senza impresa lo sviluppo non esiste, quindi la tutela delle nostre imprese ormai sta diventando fondamentale. E l'utilizzo delle risorse europee è fondamentale per la continuità e per lo sviluppo e l'innovazione del tessuto imprenditoriale della nostra Regione.
Come sistema camerale ci stiamo impegnando a fondo per cercare di portare i nostri imprenditori al di là dei confini nazionali, ma in maniera costante e continua per cercare di pianificate insieme ad altri colleghi di altri territori l'apertura di nuovi mercati e di nuove sfide che oggi si fanno impellenti.
Sposiamo in pieno questa iniziativa e riteniamo che sia fondamentale anche rivedere l'assetto istituzionale dell'Europa, perché l'Europa ha bisogno di una politica industriale comune, una politica industriale pensata nel lungo tempo, non nel breve periodo o sotto scacco di qualche ostacolo nazionale, ma debba vedere la continuità del saper fare impresa e di fare impresa per potere garantire a tutti i cittadini uno sviluppo sostenibile.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Buquicchio; ne ha facoltà.



BUQUICCHIO Andrea

Grazie, Presidente.
L'ex Presidente Ciampi, qualche tempo fa in una lunga intervista su Il Sole 24 Ore, parlando delle origini dell'Europa disse testualmente: "Azioni di una classe di governo europea che sessant'anni or sono ritenne di inscrivere interessi nazionali all'interno di un più ampio e coraggioso disegno". E alla fine di tutto il suo discorso, concluse che questo avvenne "nella valutazione della posta in gioco che rendeva ineluttabile ragionare in termini "di noi".
Penso che sia questo il nocciolo della questione che dobbiamo affrontare. Non deve, neanche lontanamente, balenare il pensiero di liberarsi di un'Europa perché logora, stanca o fallimentare, ma dobbiamo contribuire tutti alla sua rinascita, ovviamente su basi rinnovate; ad esempio, a partire dall'appuntamento storico con il referendum sulla Costituzione.
Purtroppo dobbiamo ammetterlo: l'ambizioso obiettivo, quello della coesione sociale, economica e territoriale, oggi come oggi è sicuramente venuto meno. È stato tradito, in qualche modo, poiché in questo scenario drammaticamente improntato su rigide regole in materia di bilanci e di rigore finanziario e in assenza di un vero e proprio piano per il rilancio della crescita, si è ulteriormente, dolorosamente, allargato il solco tra Paesi e Regioni.
Ovviamente, la crisi economico-finanziaria la fa da padrona.
difficile, parlando oggi di Europa, dire qualcosa di veramente originale, per cui ci tocca confermare i nostri modesti pensieri. Uno di quelli che intendo affermare e riconfermare è che noi, da soli, come singoli Stati, non possiamo neanche lontanamente pensare di poter competere in un mercato globale.
Anche la Germania, la grande Germania, presa singolarmente non è in grado, non lo è stata e mai lo sarà, di competere con colossi come la Cina gli Stati Uniti e l'India.
L'unica possibilità che l'Europa ha di riacquistare un ruolo centrale nel mercato mondiale è quella di fare in modo che le nazioni che la compongono condividano, non solo le politiche monetarie, ma anche quelle economiche ed industriali. Il tutto, come sosteneva qualcuno prima, con un forte governo politico: importante, credibile ed autorevole.
Pertanto, non è solo una questione di semplice crescita economica, ma è in gioco il modello di sviluppo che si vuole portare avanti a livello globale.
L'Europa - non dimentichiamolo - è all'avanguardia, sia per le forme di welfare a vantaggio dei suoi cittadini sia per le politiche di sviluppo sostenibili, cui le industrie tutte, residenti nel nostro territorio devono sottostare.
A proposito della Cina, bisognerebbe fare un lungo discorso, perché si tratta veramente di concorrenza sleale! Non dobbiamo dimenticare - e io ritengo che non dovremmo mai stancarci di ripeterlo a gran voce - che lì i cittadini vivono in uno stato di semischiavitù.
Su questo elemento ci si dovrebbe ribellare, invece vedo che, da qualche parte, si tende ad assimilarlo, accettarlo e a dimenticarsene.
Se si potesse ridurre il dibattito di quest'importante giornata ad un concetto sintetico, sarebbe un urlo: subito l'Unione Federale Europea! Mi permetto di ricordarvi che, essendo una parola derivata dal latino federale significa unire attraverso un patto e un'alleanza, perciò un nuovo modello di Unione Europea non potrà che fondarsi su nuovi patti per la coesione sociale ed economica e per il varo di misure efficaci contro la crisi del mercato del lavoro e la disoccupazione.
Questi sono i veri obiettivi immediati, perché sicuramente gli obiettivi di medio e lungo termine sono necessari - ci mancherebbe altro questo è fuori discussione, in particolare gli obiettivi fissati per il 2020 - ma non si può non agire tempestivamente sull'emergenza socio economica e - ripeto - occupazionale dei nostri giovani.
Altiero Spinelli, uno dei padri fondatori dell'Europa unita, in un suo celebre ed acclamato discorso al Parlamento europeo del settembre 1983 citò il vecchio pescatore di un romanzo di Hemingway, il quale, cercando di trascinare a riva il pesce più grosso che avesse mai pescato nella vita sua, giunto al porto si accorse che, durante il lungo tragitto, i pescecani lo avevano poco a poco divorato, risparmiandone solo la lisca.
I più ambiziosi obiettivi e progetti possono, poco a poco, essere divorati dai processi in atto: l'Europa non può ridursi alla lisca di un progetto senza corpo.
Per tutti gli anni Novanta e del Duemila, i principali osservatori della politica continentale hanno descritto l'Unione Europea come un gigante economico e un nano politico. Purtroppo, oggi - come Europa - siamo rimasti un nano politico; non ci siamo trasformati migliorandoci a livello economico, ma forse, da giganti, ci stiamo avviando a diventare pigmei.
Alla cronica incapacità di assumere decisioni politiche unitarie ed irrilevanti (alludo, per esempio, all'ultimo conflitto in Libia) va sommata l'altrettanto palese inadeguatezza politica nelle scelte da adottare per fronteggiare la crisi economica e rilanciare l'occupazione, cui facevo riferimento prima.
A ciò va aggiunta la costante carenza democratica della struttura comunitaria, che viene sempre più percepita come un'unione fondata sugli interessi delle banche e non, al contrario, su quelli dei popoli, dove i burocrati di Bruxelles hanno sempre maggior peso politico rispetto alla volontà dei cittadini.
proprio dal deficit democratico che deve ripartire l'Europa ed è dalla partecipazione dei cittadini alle scelte che si può e si deve costruire una nuova Europa; a maggior ragione, da quando è entrato in vigore il Trattato di Lisbona, che, all'articolo 5, afferma: "Gli Stati membri coordinano le loro politiche economiche in seno all'Unione Europea".
Quello che la crisi fa emergere con forza è proprio l'assenza di adeguati strumenti di controllo politico e di partecipazione democratica nell'evoluzione dei meccanismi continentali d'integrazione economico finanziaria. Ed è proprio a questo livello che la politica ha il compito di operare per suscitare un rinnovato spirito di convinzioni e sentimenti europeistici.
La via maestra da seguire è, dunque, rappresentata dalla politica e dalla partecipazione democratica, nell'ottica della costruzione di uno spazio politico europeo saldamente ancorato alla nascente società civile continentale e ai suoi molteplici corpi intermedi.
Questa riforma dell'Unione Europea deve essere il cardine dell'assetto istituzionale designato a Lisbona, trasformandolo gradualmente all'interno fino a porre le basi per una riforma dei trattati che dovrà sancire la nascita di un'Europa federale.
Occorre progettare una vera unione fiscale, oltre che monetaria ed economica. Il tutto deve essere in grado di esprimere un effettivo governo dell'economia e non un semplice rispetto di rigidi parametri per le politiche di rilancio.
In tal senso, come giustamente evidenziato dall'ordine del giorno presentato all'Assemblea dal Movimento Federalista Europeo, i cosiddetti eurobond potrebbero rivelarsi un utile strumento per superare questo difficile momento, per la stabilità economica.
Si rende, dunque, necessario creare obbligazioni del debito pubblico dei Paesi facenti parte dell'Eurozona, da emettersi a cura di un'apposita agenzia dell'Unione Europea.
Com'è evidente, tali strumenti finanziari potrebbero essere ben più stabili e utili rispetto ai tradizionali bond, poiché dovrebbero garantire un intero continente e non un singolo Stato.
A tale proposito, risulta molto interessante la ricerca curata da Stéphanie Collet, storica della finanza e dell'Università libera di Bruxelles, che ha analizzato gli archivi delle borse di Parigi e Anversa per studiare l'unico precedente assimilabile agli eurobond: "L'unificazione del debito sovrano dei sette Stati che, 150 anni fa, su iniziativa del Piemonte, sotto tutela di Francia e Inghilterra, costituirono il Regno d'Italia" - questo è veramente un precedente interessante...



(Il Presidente ricorda al Consigliere che il tempo a disposizione è terminato)



BUQUICCHIO Andrea

Concludo, Presidente.
"Come l'Italia di allora, l'Europa oggi è fatta da Stati eterogenei con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano lingue diverse e hanno sistemi d'impostazione fiscale separati". Questo l'ha ricordato la studiosa, ed è importante il riferimento allo spread.
Grazie al fatto che anche dopo l'unificazione i titoli del Regno d'Italia conservarono fino al 1876 l'indicazione della loro origine, la studiosa è riuscita a ricostruire le serie storiche dei prezzi settimanali tra il '47 e il '73 (parliamo dell'800). Osservando i risultati ottenuti da tale studio, emerge come lo spread, anche in quel periodo, fosse piuttosto elevato; prima del 1861 le obbligazioni del Regno delle Due Sicilie pagavano i tassi più bassi: 4,3%, 140 punti base in meno delle emissioni papali e di quelle piemontesi e 160 in meno rispetto a quelle lombardo venete.
Insomma, volendo utilizzare le categorie attuali, economicamente il Regno di Napoli era per l'Italia quello che è oggi la Germania per l'Eurozona; e, come il Regno di Napoli prima dell'integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l'economia più forte dell'Eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto. L'integrazione dei debiti sovrani, quindi, era stato uno strumento per portare avanti l'integrazione politica, come sarebbe oggi per l'Europa.
Tuttavia - e finisco - non possiamo ridurre tutto alla ricetta dell'emissione di eurobond: come elencato nell'ordine del giorno del Movimento, si renderà necessario anche introdurre imposte europee, che a mio avviso dovrebbero andare a sostituire quelle nazionali per non gravare ulteriormente su una pressione fiscale già eccessivamente elevata.
Questi aspetti, associati ad un percorso maggiormente democratico nella revisione dei Trattati europei, rappresentano la strada principale da seguire per rafforzare l'unità dell'Eurozona ed uscire da questa stagnazione economica; tutti insieme, mi raccomando, ma senza lasciare indietro nessuno. Grazie.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Grazie a lei, Consigliere Buquicchio.
Adesso do la parola al dottor Alberto Tomasso, Segretario regionale della CGIL.



TOMASSO Alberto, Segretario regionale CGIL

Grazie, Presidente.
La nostra riflessione di oggi non può non soffermarsi sulle caratteristiche di crisi, particolarmente accentuate in Europa dal grande tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile, dalla situazione debitoria degli Stati, oggetto di pesanti speculazioni finanziarie, dalla contrazione del mercato interno e dalla difficoltà di esportazione verso i Paesi solo eufemisticamente ancora definiti "emergenti".
Si tratta di una crisi scatenata da un fenomeno cresciuto in maniera potente negli ultimi anni: l'incredibile ipertrofia della finanza mondiale carta con dentro carta - e il ricorso sistematico all'indebitamento futuro. In questo modo le crisi economiche hanno squassato il mercato producendo una continua corsa al riequilibrio e generando conseguenze inflazionistiche direttamente sul mercato finanziario, che per questo è imploso.
Non solo nessuno ci rassicura che la crescita finanziaria anomala non riprenda; in realtà, anzi, ne registriamo la costante espansione. Tutti sappiamo però che da ben prima del 2008 in Europa è evidente un inesorabile rallentamento dell'economia, quasi che la madre del capitalismo abbia per prima - anche se a geometria variabile tra i vari Paesi - mostrato i segni di una inevitabile stanchezza.
Il cambiamento del mercato mondiale e l'entrata in scena di soggetti a grande dimensione di popolazione ed ancora scarsi consumi interni hanno messo l'Europa e la sua industria nell'angolo. Eppure da anni, provenienti da oltre Oceano ma non solo, si sono affermati sistemi di innovazione di processo industriale che sembravano particolarmente adatti ad una divisione permanente del lavoro nel mondo e quindi sostenute da sovrastrutture culturali dal sapore coloniale, secondo le quali l'Occidente evoluto poteva liberarsi di macchine, capannoni e inutile sudore per concentrarsi su progetti e servizi avanzati, lasciando al Sud del mondo la produzione di basso valore aggiunto.
In questa direzione si è andati spezzando il ciclo della produzione di beni e servizi in settori meno protetti e meno costosi, affidandoli al lavoro immateriale o alla delocalizzazione, anche dall'altro capo del mondo. Così - senza fare esempi troppo esotici - i bonifici e le transazioni delle carte di credito di molte banche italiane sono trattati in Romania, l'ICT di grandi aziende manifatturiere e di servizi è in India e molte delle sub-forniture della nostra industria arrivano dall'Est.
Innovazione di processo produttivo introdotte per ridurre i costi hanno contribuito a far deragliare il treno che le ha messe in moto. L'ormai irreversibile ascesa delle economie considerate fino a solo un decennio fa la periferia del mondo avanzato non è superabile con barriere né fisiche n giuridiche: occorre favorire una reale innovazione competitiva che intercetti nuova domanda, nuovi bisogni e nuovi mercati.
E chi possono essere i protagonisti di questo processo? I proprietari sempre più indistinti in una marea di azionisti? I manager, spesso preoccupati del loro tornaconto immediato? Le istituzioni e la politica, a loro volta influenzate dal consenso? I protagonisti non possono che essere tutti gli attori, in una reale sinergia di intenti, senza illusioni di una politica industriale fatta con i piani degli anni '70, ma neppure con uno Stato che, che nelle sue varie articolazioni, è ridotto ad controllore dei conti. Un quadro generale pubblico che delinei priorità ed indirizzi avvicini ricerca ad innovazione produttiva, faccia da mediatore tra le esigenze di pubblica utilità e la convenienza del privato è una necessità da cui non si può prescindere per una ripresa duratura.
In Europa, però, non basta la politica del ristretto spazio dei confini nazionali. In questi anni gli Stati si sono rivelati un freno alla crescita, controllandosi a vicenda, facendo azione di lobby sui fondi europei, portando avanti una pericolosa politica muscolare che, invece di frenare la speculazione finanziaria internazionale, l'ha addirittura favorita. Per affrontare la crisi e il deterioramento grave delle condizioni di vita delle persone occorre pretendere un ruolo maggiore dell'Europa e non rassegnarsi ad un suo ridimensionamento a comunità economica, peraltro a diverse velocità e con l'esercizio del potere tra Stati dai tratti oligopolistici. L'Europa degli Stati non ha un futuro politico: abbiamo bisogno di un completamento culturale e politico, con piena funzionalità del Parlamento degli "Stati Uniti d'Europa".
Governare la crisi guardando al suo superamento con interventi di innovazione del sistema produttivo, che guardino alla crescita dello sviluppo, non può e non deve escludere strumenti difensivi. È una necessità per tutti, infatti, e non solo per noi garantire protezione dalle conseguenze sociali che si sono abbattute su interi strati della popolazione del nostro territorio: la coesione sociale, il benessere delle persone non sono in contrapposizione con il rinnovamento imposto dal nuovo equilibrio mondiale della produzione. Grave disoccupazione, riduzione delle protezione sociali, sistemi pensionistici insopportabili e poco remunerativi, tagli al sistema sanitario universale, aumento dei ritmi di lavoro e infine - ma ovviamente non ultima - la diffusa precarietà occupazionale non aumentano la produttività del lavoro né investono adeguatamente nel coinvolgimento dei lavoratori nella vita e nel destino delle imprese.
Certamente non si può sostenere che si finanzia lo stato sociale con debiti crescenti; ma non è neppure lontanamente logico che gli investimenti pubblici fatti per salvare il settore finanziario o, comunque, per immettere liquidità nel sistema diventino incompatibili con equilibri di bilancio, quando si tratta di esercitare stimolo all'innovazione e allo sviluppo, dalla green economy al rinnovamento delle infrastrutture. Al paradosso di un intervento pubblico che - dopo aver impiegato una mole immensa di risorse per salvare il sistema bancario e finanziario mondiale si sottrae alle proprie responsabilità si aggiunge il paradosso di un modello sociale europeo che, dopo aver dimostrato tutta la sua superiorità su quello anglosassone agli esordi della crisi e nella sua fase cruciale viene posto ora nuovamente in discussione: taglio sul sociale come una delle soluzioni del problema. Si tratta di una scelta sbagliata, che rischia di mettere in discussione in maniera grave la base solidale della cittadinanza europea e le stesse prospettive economiche e politiche del modello europeo, le cui linee di sviluppo decise a Lisbona mettono al centro il valore della conoscenza e del lavoro qualificato.
Affinché l'Europa non diventi per i suoi cittadini una realtà virtuale sormontata dalle ragioni macroeconomiche, è necessario ripensare alla centralità della comune percezione dell'identità europea: da Malta al nord Europa.
Generare un equilibrio dei valori e scongiurare una pericolosa concorrenza interna su costi e condizioni di lavoro consentendo, insieme ad una piena solidarietà tra gli Stati e all'interno di ciascuno di essi, pu favorire un nuovo sviluppo economico e produttivo.
Siamo a Torino, un caso unico in Europa, di una grande e bella città con una così alta concentrazione manifatturiera e che oggi conosce una difficoltà profonda della sua stessa tenuta sociale e fa i conti con una necessità forte di reinventarsi.



(Applausi in aula)



PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CATTANEO



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il Consigliere Pedrale, Presidente del Gruppo del Popolo della Libertà; ne ha facoltà.



PEDRALE Luca

Grazie, Presidente.
Un saluto agli autorevoli ospiti dell'Assemblea regionale del Piemonte.
Negli interventi che mi hanno preceduto devo dire che, raramente, si percepisce una condivisione molto larga su molti punti e argomenti, anche un desiderio che questa unità europea si concretizzi davvero in senso completo.
Il momento storico è particolare, ma è un momento in cu viene evidenziata, in maniera drammatica, la carenza, il deficit, l'incompiutezza dell'unità politica dell'Europa.
Un po' tutti, ormai, siamo consapevoli che l'unica strada è che l'Europa diventi davvero gli Stati Uniti d'Europa e che quindi vi sia quell'unità politica, e non solo monetaria o solo su alcuni settori economici.
I problemi, probabilmente, che stiamo vivendo con una gravità eccezionale, forse anche per il ritardo che il Governo europeo, la Commissione europea, l'Unione Europea ha adottato, è proprio per questa mancanza di unità politica e di governo politico europeo, democraticamente eletto. Noi dobbiamo arrivare, con lo sforzo di tutti, a superare gli egoismi nazionali; inevitabilmente il potere e il peso dei Governi dei paesi nazionali dovrà diminuire, se davvero vogliamo puntare agli Stati Uniti d'Europa. Bisognerà far sì che il Parlamento europeo sia veramente un parlamento che abbia potere decisionale sulle cose vere della società e che possa sostituirsi, sempre più, ai parlamenti nazionali. Questa è la direzione che vogliamo prendere, altrimenti rimarremo sempre a metà del guado, in un'ambiguità istituzionale politica ed economica, che è quella che viviamo nei giorni d'oggi e con l'incapacità dell'Europa di rispondere velocemente e prontamente a situazioni di crisi.
Non voglio approfondire il tema, ma sicuramente la crisi greca conseguenza di tanti aspetti negativi che sono ricaduti su altri Paesi europei, compreso il nostro - è stata affrontata con superficialità e con lentezza politica da parte dei Paesi europei proprio perché non vi era unità, non vi era un governo politico centrale.
Auspico, e auspichiamo, un'architettura costituzionale europea che davvero sia vicina a quella degli Stati Uniti d'America, traslata a livello europeo.
Non si può non fare una riflessione sui sistemi economici e sociali che l'Europa oggi ha. Non si può pensare di poter andare avanti avendo sistemi fiscali diversi, sistema di welfare diversi, anche - vedo in Aula la presenza di autorevoli rappresentanti del mondo sindacale - politiche sindacali diverse fra i Paesi europei, a volte anche molto differenti.
Questa serie di problemi fa sì che, in realtà, i cittadini vedano davvero lontane le istituzioni europee, che non abbiano una grande fiducia in esse e che le persone normali, quelle che non vivono dentro le istituzioni, dove magari possiamo meglio capire o approfondire le tematiche comincino, sempre di più, a diventare euroscettiche. Altre persone, che così devono vivere la quotidianità, sempre più, vedono con diffidenza le istituzioni europee che in questi anni, avrebbero dovuto, invece, sempre più, avvicinarsi ad esse.
Mi permetto di dire che la scarsa presenza di parlamentari nazionali ed europei a questa assemblea non è un buon segnale da questo punto di vista.
chiaro che bisogna ricostruire un rapporto democratico fra i cittadini e le istituzioni europee. Sarà molto difficile per chiunque governi questo Paese far capire ed accettare il fiscal compact, che determinerà una serie di sacrifici non indifferenti.
Parallelamente bisognerà che, davvero, vengano fatti gli eurobond, non leggeri come pretende la Presidente Merkel, ma eurobond dove davvero vengono condivisi debiti sovrani dei vari Paesi. Poi una Banca Centrale Europea che possa aiutare direttamente ad affrontare le situazioni di emergenza dei Paesi, con l'acquisto diretto dei titoli di stato. Tutti passaggi che necessitano di una democratizzazione delle forme istituzionali europee.
Accanto a questo, bisogna anche rendersi conto che nella logica di un minore potere dei governi nazionali, parallelamente bisogna che aumenti il potere delle Regioni, che diventeranno sempre più interlocutori diretti con le istituzioni europee, possibilmente delle Macroregioni. Regioni del Nord Ovest, anzitutto quelle italiane e poi, sicuramente, il passaggio successivo di coordinamento di politiche di proposte all'istituzione europea, attraverso le macro regioni del Nord Europa.
Noi ne abbiamo discusso la scorsa settimana in Aula e abbiamo dato un mandato bipartisan, di tutto il Consiglio regionale, al Presidente Cota affinché nella sede di San Gallo rappresentasse questi principi, questa speranza condivisa da tutto il Consiglio regionale.
Alla luce delle problematiche di questi giorni, ma anche alla luce degli interventi che ho sentito in Aula, devo dire che c'è ancora molto da fare per raggiungere davvero l'obiettivo di una concreta e forte Federazione Europea in senso politico, e non solo in senso monetario.
Certamente, il Consiglio tematico di oggi è propedeutico ad aumentare questa sensibilità e questa consapevolezza, anzitutto fra noi stessi. Anche noi, a volte, abbiamo dubbi condizionati dagli eventi che in queste settimane hanno travolto la politica europea. Queste occasioni aiutano a ravvicinare e ad avere fiducia verso la Federazione Europea, verso l'Europa, a condizione che non siano discorsi accademici e che, da questi appuntamenti, partano iniziative politiche concrete che, come ho detto portino sempre più ad una democratizzazione delle istituzioni europee affinché possano essere sentite dai popoli europei, dai popoli nazionali come dai popoli regionali.
Accanto, procedere sulla strada che abbiamo già avviato, di un forte e sempre maggiore ruolo della Regione e delle Regioni, unite fra loro, come interlocutrici dei governi europei e delle rappresentanze delle istituzioni europee.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

La parola al professor Sergio Pistone, dell'Università di Torino.



PISTONE Sergio, Università di Torino, Membro del Bureau Exécutif dell'Union Européenne des Fédéralistes

Grazie.
Noi, come espressione dei Movimenti per l'Unità europea, chiediamo al Consiglio regionale di aderire ad un appello/petizione al Parlamento europeo.
In sostanza, la bozza dell'ordine del giorno riprende questo appello di cui vorrei ricordare i punti essenziali, e poi cercare di chiarirne il senso, in questa fase di unificazione europea.
Fondamentalmente, l'appello richiede al Parlamento europeo due cose, di cui una seconda più articolata.
Primo, che il Parlamento europeo si faccia promotore dell'attivazione di un Piano europeo di sviluppo economico, ecologicamente e socialmente compatibile. In sostanza, è quanto già accennato dal dottor Dastoli, cioè un piano di sviluppo economico europeo, perché solo a livello europeo è possibile avere le risorse economiche e politiche per la crescita.
Il contenuto corrisponde alle sfide attuali del passaggio, da un modello di sviluppo consumistico, ad uno che tenga conto del fatto che occorra salvaguardare il territorio, le risorse del mondo che vanno ormai divise. Le cose sono cambiate: le risorse del mondo non sono più da dividere tra un miliardo di persone che mangiano tutti i giorni, ma sono da dividere tra miliardi di persone che vogliono vivere come noi.
Per questo motivo è oggettivo, e non di destra o di sinistra l'esigenza di un tipo di sviluppo, non fondato sui consumi e sul debito, ma che sia ecologicamente e socialmente sostenibile.
Il secondo punto di questo appello chiede che il Parlamento europeo elabori, prima delle prossime elezioni (quindi entro quest'anno o inizio del prossimo), quel progetto globale di cui hanno già parlato il dottor Dastoli e la Presidente Bresso. Un progetto globale di unificazione federale europea, unificazione fra coloro che ci stanno. Se si parla di unificazione europea, è chiaro che bisogna dire quali sono quelli che ci stanno, fondamentalmente i Paesi dell'Eurozona, o chi è disposto ad entrarci, come la Polonia, perché gli altri non sono né interessati n disponibili ad una scelta del genere.
La richiesta di questo progetto globale dovrebbe essere il tema delle prossime elezioni europee. Nelle prossime elezioni europee, che dovrebbero diventare elezioni costituenti, il tema centrale dovrebbe essere un grande progetto di unificazione federale europea, con i contenuti sociali ed economici che deve avere, in modo che, legittimata questa richiesta diventi la base della richiesta di una Convenzione costituzionale, perch la Convenzione deve essere convocata sapendo cosa si vuole chiedere, avendo un progetto che sia legittimo e forte. La legittimazione deriva dal Parlamento europeo, che dovrebbe poi concordare questo progetto con i Parlamenti nazionali dei Paesi disponibili ad andare su questa strada attraverso assise interparlamentari, per poi diventare oggetto delle elezioni europee, come tema centrale.
Questo, fondamentalmente, è quello che si chiede in questa petizione e in questo ordine del giorno.
Il senso della richiesta - sarò breve, perché molte cose sono già state dette al riguardo - si può chiarire se si ha presente cos'è necessario, in questa fase, fare per affrontare la crisi in cui l'Europa si trova, crisi esistenziale, e cosa è stato fatto a Bruxelles dal Consiglio europeo del 28 e 29 giugno scorsi.
Cosa bisogna fare? Ci devono essere due decisioni connesse e sostanzialmente simultanee. Primo: creare, per affrontare la crisi, un governo economico europeo. Fare quello che diceva il compianto Tommaso Padoa Schioppa: una moneta senza governo europeo non può alla lunga resistere. La moneta, quindi, deve essere accompagnata da un governo economico europeo, che vuol dire molte cose: vuol dire un bilancio adeguato capace di attivare un piano europeo di sviluppo; vuol dire unione bancaria vuol dire tasse europee. In una parola, nel nocciolo: governo economico europeo vuol dire che occorre unire il rigore alla solidarietà.
Il rigore ci deve essere perché bisogna superare l'economia e lo sviluppo fondati sul debito; ci vuole solidarietà, aiuto ai paesi più in difficoltà con varie forme, ma la solidarietà diventa possibile se c'è un governo. Se in Europa si vogliono realizzare dei trasferimenti dai più forti ai più deboli, ci deve essere il trasferimento di potere dalla periferia al centro, e il centro non è la Germania, ma Istituzioni democratiche europee, perché se non c'è questo trasferimento, non si fanno altri trasferimenti.
Qualche volta si ricorda che negli Stati Uniti si è attuata la messa insieme dei debiti e che bisogna farlo in Europa. Sì, ma si è fatto dopo la costituzione federale americana, non prima, quindi ci vuole il governo economico europeo, che vuol dire sostanzialmente questo, semplificando.
Simultaneamente, ci vuole l'avvio di una procedura costituente dell'unificazione politica europea, che richiede tempo, ma di cui bisogna indicare le tappe precise e il modo in cui si realizza, perché l'avvio di una procedura costituente dell'unificazione europea è quella che rende credibili le misure immediate.
Le misure immediate particolari non sono credibili e forti se non sono inserite in questa prospettiva sin dall'inizio.
Quindi, la simultaneità.
vero che quanto è stato deciso a Bruxelles è stato un interessante e importante passo avanti. Insomma, quello che si è deciso ci dà un altro anno di sicurezza, se vogliamo, non di più, però ci sono delle insufficienze.
L'insufficienza fondamentale è che il problema della procedura per creare l'unione fiscale, la stessa unione bancaria e l'unione politica non è chiarita, non si sono assunte decisioni chiare. Non è casuale, è un fatto strutturale. Cosa ha detto il Presidente francese Hollande? Ha detto: "Noi per adesso dobbiamo agire all'interno dei Trattati, quindi non fare dei cambiamenti sostanziali, non fare la federazione europea, perché non siamo pronti per il salto federale".
Questa non è una novità. La dinamica del processo di unificazione europea vede sempre i Governi che, di fronte all'alternativa di unirsi o perire, che ha messo in moto l'integrazione europea, fanno delle scelte scelte anche importanti, ma qualsiasi Governo manifesta la resistenza a fare fino in fondo queste scelte, perché farle fino in fondo, fino alla realizzazione della federazione europea, vuol dire trasferire poteri sovrani. Il che non vuol dire perdere, vuol dire creare una sovranità che funzioni per tutti, a livello sovranazionale.
I Governi sono tendenzialmente e strutturalmente resistenti di fronte a questa prospettiva. Spinelli era in effetti consapevole del fatto che i governi nazionali sono allo stesso tempo strumenti e ostacoli rispetto all'unificazione europea, nel senso che gli Stati devono decidere, però da parte loro c'è anche una resistenza. Come si fa a superare questa resistenza? In questa fase, se non c'è una mobilitazione dell'opinione pubblica e dei cittadini in generale, ma anche degli organi che rappresentano i cittadini, Enti locali, ed infine del Parlamento europeo massimo organo politico che rappresenta l'opinione pubblica, è difficile che si riesca a spingere i Governi a superare questa difficoltà.
"La proposta sì, ma non siamo pronti", quindi il rinvio l'indeterminatezza, ecc. Pertanto occorre che il Parlamento europeo, che rappresenta i cittadini, in particolare, faccia ciò che fece in passato.
Quando il Parlamento fu eletto direttamente per la prima volta (1979-1984) fu presentato il progetto Spinelli, un progetto di costituzione federale europea. Questo progetto non fu approvato, però mise in moto tutto il processo di cambiamenti, anche istituzionali, come l'Atto Unico e la moneta unica, che altrimenti non sarebbero mai stati messi in moto.
In questa fase più avanzata, più complessa e più delicata bisogna che il Parlamento europeo elabori un progetto "Spinelli n. 2", perché soltanto su questa base è possibile dare una spinta decisiva ai Governi e anche incoraggiarli in qualche modo; se non vedono che l'opinione pubblica nei suoi rappresentanti esprime una certa volontà, è oggettivamente difficile che portino avanti dei progetti risolutivi. Di qui appunto l'appello al Parlamento europeo, che deve diventare il soggetto fondamentale in questa fase e di qui appunto questa petizione; questo è importante.
Vorrei concludere col dire che, quando ci fu l'elezione diretta del Parlamento europeo, movimenti federalisti con i rappresentanti delle forze politiche in Piemonte hanno assunto un ruolo fondamentale, un ruolo che è stato riconosciuto in risoluzioni del Parlamento europeo, in dichiarazioni della Commissione: il Piemonte è stato sempre all'avanguardia su questo terreno e deve continuare ad esserlo.
In questa fase il Piemonte è la prima Regione in Italia e in Europa che si orienta su questa strada e, avendo un peso e un prestigio, può essere di indicazione per altre realtà. Pertanto, aderire a questo progetto non è un fatto formale e burocratico, ma politico, che si inserisce nella grande continuità dell'impegno del Piemonte e che ha, può avere e avrà un grande effetto rispetto a questa mobilitazione di opinione pubblica e, alla fine del Parlamento europeo per spingere i Governi a fare quello che non hanno ancora deciso, ma a cui ha aperto la strada il vertice di Bruxelles in questa fase decisiva in cui si gioca tutto.
Ricordiamoci che siamo in una fase in cui la crisi apre gli spazi, per se non c'è una risposta adeguata alla crisi ci giochiamo tutto, ci giochiamo sessant'anni di costruzione dell'Europa che ha garantito all'Europa sessant'anni di sviluppo e di progresso come in precedenza non è mai avvenuto in Europa.
Quindi, i Consiglieri regionali del Piemonte devono sentire questa responsabilità, devono sapere che interpretano un ruolo che è fondamentale.
Noi ce lo aspettiamo - io sono un umile rappresentante di forze a favore dell'unità europea - e siamo convinti che il Consiglio regionale del Piemonte aderirà a questa richiesta.
Grazie.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Grazie, professor Pistone.
La parola al Consigliere Lepri.



LEPRI Stefano

Grazie, Presidente.
Potremmo dire "eppur si muove" dopo l'ultima riunione e dopo i risultati insperati di cui abbiamo avuto riscontro a seguito del Consiglio europeo che si è tenuto la scorsa settimana tra Capi di Stato e di Governo.
"Eppur si muove", perché c'era molto timore che quel summit potesse portare al disastro e al fallimento dell'Europa.
C'è stata effettivamente una scossa importante, e ha ragione la Presidente Bresso quando dice che abbiamo avuto un po' di fortuna scegliendo la data per discutere di questo tema così importante, proprio a seguito di queste decisioni così significative. Non solo e non tanto per il loro valore, quanto per il senso politico che hanno assunto, perch finalmente, dopo un lungo periodo di stasi e di mancata credibilità e fiducia nei confronti dell'Europa, forse è arrivato il momento di un cambio di orientamento politico.
C'è voluta una drammatica crisi che ha colpito molti Paesi europei e anche la nostra Italia per spingere a questa accelerazione, anche perch bisogna dire onestamente che, in questi ultimi anni e forse in questo ultimo decennio, è venuto meno progressivamente il sentimento europeista.
Dopo il grande segnale dell'euro, sono cresciuti in questi anni movimenti antieuropeisti, i partiti nazionalisti e, paradossalmente, si è individuata nell'Europa il colpevole delle fatiche e delle crisi che stiamo vivendo nei nostri Paesi.
facile, è sempre così, quando c'è una crisi bisogna additare qualcuno come responsabile. Allora, dichiarazioni un po' facili come quelle recenti di qualche ex leader: "L'euro non serve più o potremmo addirittura farne a meno". Oppure, ancora, la vulgata comune: "Era meglio quando c'era la lira". Insomma, sono solo banalità, ma che rappresentano il sentimento antieuropeista che si continua a cogliere anche nel nostro Parlamento nazionale.
Paradossalmente, il campionato europeo di calcio, che si è appena concluso, forse è stato per molti cittadini un elemento di coesione molto più di tanti argomenti politici che non sono stati rappresentati.
C'è voluta l'inedita volontà e l'inedita alleanza tra i Paesi mediterranei per piegare quelle che apparivano e appaiono ancora pretese egemoniche che alcuni Paesi - che hanno sicuramente avuto vantaggi dall'UE e dall'euro in particolare - continuano a esercitare. I primi risultati sono sicuramente molto confortanti: l'impegno per una copertura contro i rischi rispetto a un'eccessiva oscillazione dello spread; l'approvazione seppur per grandi linee, del compact per la crescita e il lavoro; l'avvio del percorso dell'emissione di project bond e di un ruolo importante in capo alla BEI per costituire appunto una leva finanziaria per nuovi investimenti; la conferma di fondi strutturali; l'avvio di un mercato digitale dell'energia.
Sono questi risultati di grande rilievo che, ripeto, danno il senso di una svolta che noi ci auguriamo ancora più marcata. Perché in effetti - lo si è ben rappresentato in tutti gli interventi che abbiamo ascoltato restano ancora aperte moltissime sfide, che anche l'ultimo autorevole intervento ha ben rappresentato.
Credo che per noi piemontesi, per esempio, sia molto importante la sfida dell'unione, della coesione e delle politiche economiche e industriali. Nei giorni scorsi, le dichiarazioni dell'Amministratore delegato di FIAT ci fanno ben comprendere come, al di là delle legittime o discutibili opinioni rappresentate, ci sia un fatto indiscutibile: gli Stati Uniti d'America hanno una politica industriale per quanto riguarda l'automotive, l'Europa non ce l'ha; ce l'hanno eventualmente i singoli Stati, non ce l'ha, com'è noto, l'Italia, e naturalmente questo non depone a favore dello sviluppo dell'industria automobilistica. Cito questa tra le tante questioni di politica industriale semplicemente perché ci tocca particolarmente da vicino, ma potrei ricordare il tema dell'energia rinnovabile, dove ci si muove in modo distinto, con paesi come la Germania che stanno facendo passi straordinari ed altri, come l'Italia, che arrancano.
C'è la sfida dell'unione bancaria che è tutta tracciata, ma va ancora percorsa; un fondo europeo per la garanzia sui depositi bancari, la sorveglianza centralizzata, il fondo salva Stati e le politiche per evitare questo è molto importante, potrebbe essere un argomento che magari convince i cittadini - le fughe di capitali da un paese all'altro.
C'è poi la sfida dell'unione fiscale, anch'essa straordinariamente affascinante e ancora largamente inesplorata, come il ruolo di un'autorità di controllo per quanto riguarda la tenuta dei conti pubblici, attraverso la possibilità di bloccare le leggi finanziarie che andassero oltre gli obiettivi di tenuta della spesa.
Così come la sfida della Tobin tax, che non mi pare sia stata ricordata da nessuno, immagino per dimenticanza, tra quanti mi hanno autorevolmente preceduto, che è, invece, una misura di significativa importanza, anche per mettere un po' di giustizia nell'anarchico o non sufficientemente regolato mondo delle transazioni finanziarie.
Resta ancora largamente da rilanciare tutto il tema delle politiche di coesione sociale e istituzionale, che sono l'altra gamba rispetto alle politiche economiche su cui prima mi sono concentrato; penso al fatto che nonostante molti annunci, ci sia una certa fatica nel delineare percorsi di maggior condivisione in politiche fondamentali quali quelle della formazione e del lavoro (pensiamo a come sia diversa la nostra realtà di tutela dei lavoratori rispetto a quella degli altri Paesi), o le politiche familiari e di contrasto alla povertà.
Molto importante è stato l'intervento del Sindaco Fassino in riferimento, per esempio, a questioni ricordate anche dalla Presidente Bresso, relative alla dimensione istituzionale e alla esigenza di: una maggiore omogeneità nelle forme di organizzazione delle Autonomie locali delle Regioni. Penso al tema delle Macroregioni tra le tante questioni che dovrebbero sfidarci guardando all'Europa; penso ai processi federali cui prima si faceva cenno e alle diverse velocità con cui, probabilmente, si potrà svolgere questo progetto; penso, ancora, al tema della ridefinizione dei compiti e delle responsabilità in capo ai tre livelli di Governo (Commissione, Consiglio e Parlamento) e ad eventuali nuovi ruoli che prima venivano configurati.
Questa ci pare essere la sfida che abbiamo di fronte e che bene abbiamo voluto, come Consiglio regionale, rappresentare, per fare in modo che i nostri concittadini piemontesi siano richiamati da queste questioni non solo di fronte all'emergenza o di fronte a vicende più leggere, come possono essere i Campionati di calcio.
Noi dobbiamo ricostituire e rilanciare l'idea di un'Europa dei popoli e non sarà facile piegare o convincere i Paesi che non sono disponibili (o che lo fanno con fatica) a trasferire pezzi di sovranità all'Europa.
Credo che questa sia la vera sfida: noi dobbiamo rintuzzare i movimenti e gli argomenti euroscettici e saremo lieti, come Gruppo e come partito nel vedere questo Parlamento esprimere, come ci pare di intuire, un largo consenso verso un compiuto, sia pure faticoso, disegno europeista.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola la dottoressa Giovanna Ventura, Segretario regionale CISL



VENTURA Giovanna, Segretario regionale CISL

Grazie, Presidente e grazie a tutto il Consiglio regionale per questa opportunità, oltre che per la sensibilità con cui questa sera approverà l'ordine del giorno. Credo che già questo rappresenti un esempio di come in effetti, anche attraverso un dibattito, come quello che è in corso in questo momento, e un confronto tra diversi soggetti sociali, si possa davvero creare una cultura che nasce dal basso, come veniva definita in primis dal Presidente Cota all'inizio di questa giornata.
Cercando ovviamente di non ripetere molte considerazioni che ho sentito e che condivido pienamente, vorrei soffermarmi solo su alcuni aspetti.
Il primo si riferisce al fiscal compact. Credo sia importante, in un contesto come questo, affermare che questo tipo di politica che è stata adottata e che è una strategia voluta soprattutto da alcuni paesi d'Europa è stata assolutamente penalizzante.
Dobbiamo aver presente ciò che ha comportato, anche per il nostro Stato, il fiscal compact: crescita della disoccupazione e drastiche misure che hanno colpito lavoratori e pensionati; come tutti ben sapete, è stata introdotta una riforma sulle pensioni grazie alla quale centinaia di migliaia di persone si trovano ancora adesso nel "guado", tra qua e là denominate "esodati". Inoltre, è stato introdotto il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego e il blocco della rivalutazione delle pensioni. Tutte queste misure sono figlie del fiscal compact.
Ben venga, dunque, l'accordo trovato qualche giorno fa dal Consiglio degli Stati europei, ma anch'io, come il professor Dastoli, penso che sia soltanto un inizio. Lo possiamo cogliere come elemento di controtendenza perché, in effetti, 120 miliardi, come veniva ben ricordato, sono poca cosa per pensare ad una politica di sviluppo e di rilancio dell'occupazione negli Stati europei.
Credo che sia importante riaffermare i principi che hanno reso possibile l'Unione Europea: non erano i principi che regolamentavano il mercato finanziario, ma erano dei principi che tendevano a pensare, com'è stato qui ribadito, ad un'Europa in grado di competere con un sistema di globalizzazione e con mercati internazionali con i quali i singoli Stati assolutamente non sarebbero nelle condizioni di poter competere.
evidente che quanto sta accadendo in questo momento in Europa è sicuramente molto importante per il nostro Paese. E facciamo bene, io dico ad occuparcene (anzi, dovremmo occuparcene di più rispetto a quanto già facciamo).
Quali sono le questioni più importanti? Tutte quelle già dette.
Partiamo, intanto, dalla fiscalizzazione. Il Consigliere Lepri ha test ribadito come fiscalizzare le transazioni finanziarie sia una delle questioni ancora sul tappato e che difficilmente si riuscirà a realizzare.
Ma noi dobbiamo insistere in questa direzione.
Così com'è assolutamente fondamentale pensare che anche un sistema fiscale possa essere più omogeneo di quanto sia oggi. Sappiamo tutti che l'Italia è uno dei Paesi dove il fisco ha un peso molto più forte rispetto ad altri Paesi europei. Credo, allora, che un'armonizzazione dei sistemi fiscali debba essere uno degli obiettivi da porsi all'interno di questa Europa.
L'altro obiettivo fondamentale lo ha spiegato molto bene la Presidente Bresso: quale tipo di Governo vogliamo dare a questa Europa? È un'Europa ovviamente federata, che deve strutturarsi politicamente. Ormai ne siamo tutti convinti: senza un governo politico quanto accaduto in questi mesi e in questi anni è soltanto l'inizio. Noi non possiamo pensare di andare oltre a questa crisi senza avere messo in campo le condizioni per un governo politico dell'Europa. Ed è vero che l'occasione può essere certamente, quella delle prossime elezioni europee, ma allora occorre iniziare a lavorare da subito, non è certo una questione che si possa discutere in poche settimane o in pochi mesi.
L'altro argomento inerente al sistema europeo, su cui è necessario insistere, è l'Europa sociale. Non è vero che c'è un'Europa sociale. C'è un'Europa sociale dei Paesi che fanno parte dell'Europa. L'inserimento degli ultimi Paesi che sono entrati a fare parte dell'Unione Europea effettivamente, i sistemi sociali di quei Paesi sono indietro anni luce rispetto ai nostri - hanno bisogno veramente di un ragionamento forte di armonizzazione. Pensate soltanto ai sistemi adottati nel nostro Paese per quanto riguarda la protezione del lavoro, la protezione sociale, il sistema di diritti sociali e chiediamoci se questi stessi diritti sociali sono esigibili in Paesi dell'Est Europa.
Credo che questo sia fondamentale, altrimenti continuiamo a dirci che esiste l'Europa sociale, mentre ritengo che, assolutamente, questa sia tutta da costruire, attraverso il dialogo.
Purtroppo, rilevo in Europa l'assenza di un confronto e di un dialogo anche sociale. È stato costituito un sindacato europeo (CES), che, però, ha pochissima incidenza per quanto riguardo il dialogo sociale tra l'Europa e i lavoratori.
Come Piemonte, noi abbiamo anche aderito al Consiglio sindacale interregionale Alpi Arco Lemano, di cui ha fatto cenno anche il Presidente Cota, che è un laboratorio interessantissimo: attraverso questo Consiglio interregionale monitoriamo quanto accadde ai lavoratori transfrontalieri alle loro famiglie e a tutto quello che ruota intorno alla mobilità tra le Regioni che lo costituiscono. Posso garantire che questa esperienza ci sta insegnando che, assolutamente, non è vero che tutti i lavoratori hanno gli stessi diritti, neppure tra noi e la Francia, neppure tra noi e la Svizzera; pertanto necessitiamo di un'armonizzazione in questa direzione.
In tale senso, da tempo chiediamo - lo richiederemo al Presidente Cota visto che adesso ha questo incarico di rappresentanza dell'Euroregione - di costituire un Osservatorio per comprendere le difficoltà del lavoro transfrontaliero e della mobilità; sono questioni molto pratiche sulle quali ci confrontiamo quotidianamente.
Infine, vorrei completare dicendo che, come sindacato, ci aspettiamo da parte del prossimo Consiglio un'azione forte e all'interno delle misure per la crescita un'attività volta ad arginare il dumping salariale, che non è una questione che riguarda altri. In Piemonte, quotidianamente, assistiamo ad aziende che utilizzano l'opera di lavoratori che provengono da altri Stati europei: gli imprenditori, in virtù delle loro possibilità, si avvalgono dei contratti degli Stati da cui provengono. Allora, se non è dumping salariare questo - lo abbiamo qui in casa nostra - non so bene di cosa si parli quando si cita il dumping salariare.
Non dobbiamo guardare fuori, è sufficiente rivolgere lo sguardo nella nostra regione, dove molte questioni emergono chiaramente.
Ultimissimo: come CISL, stiamo partecipando ad un progetto promosso dall'Università di Magdeburgo, che ha l'obiettivo di identificare i fattori di successo delle Regioni nel contesto europeo, e abbiamo deciso di parteciparvi come Regione Piemonte. Ovviamente abbiamo la necessità di chiedere la collaborazione, come partner, di istituzioni, ma anche di associazioni imprenditoriali, oltre che delle organizzazioni sindacali quindi chiederemo, con istanza ufficiale, una collaborazione per partecipare a questo progetto che riteniamo importante proprio per proseguire questo processo di conoscenza, per poi addivenire a delle proposte. Grazie.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Grazie a lei, dottoressa Ventura.
La parola al dottor Gianni Cortese, Segretario regionale UIL.



CORTESE Gianni, Segretario regionale UIL

Ringrazio per l'invito alla partecipazione a questo Consiglio regionale aperto su un tema molto importante, quale il percorso europeo. Sicuramente è un argomento che ha incontrato molte difficoltà sul piano della coesione e della solidarietà, soprattutto negli ultimi quattro anni. Non dimentichiamo che l'impatto all'interno di alcuni Paesi ha provocato e provoca ricadute che possiamo definire tranquillamente drammatiche.
Come ricordato da più voci, l'esito del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno presenta elementi di novità interessanti e fa sperare in una maggiore consapevolezza dei rischi enormi che attraversano il nostro continente, che non sono per nulla superati.
Peraltro, non dimentichiamo che in Europa abbiamo indici molto alti di disoccupazione (oltre il 10%) e abbiamo, tuttora, in ambito sociale, 72 milioni di persone che vivono in assoluta povertà o sono a rischio di esclusione.
La globalizzazione, inoltre, ha provocato un indebolimento dell'idea di cittadinanza; si è rotto l'equilibrio formatosi nel Novecento all'interno dei singoli Stati nazionali tra capitalismo e democrazia. Le vecchie istituzioni sono entrate in crisi, ma al loro posto, purtroppo, non sono ancora emerse le nuove.
Helmut Schmidt ha scritto su Il Sole 24 Ore del 5 giugno scorso un articolo lucidissimo nell'ambito di quell'iniziativa assunta dal giornale volta a perorare una sorta di manifesto per gli Stati Uniti d'Europa.
Egli spiega ciò che ci è stato detto sotto varie versioni, cioè come gli attori dei mercati finanziari globali si siano accaparrati un potere incontrollato: alcune migliaia di speculatori finanziari americani ed europei e qualche agenzia di rating tengono in ostaggio i Governi in Europa.
Tutti sappiamo che nel 2008 e nel 2009 i Governi di tutto il mondo hanno salvato le banche con le garanzie e il denaro di tutti i contribuenti, ma già dal 2010 questa schiera di manager finanziari super intelligenti ha ripreso a giocare al vecchio gioco dei profitti e dei bonus. Un gioco d'azzardo che va a scapito di tutti quelli che non partecipano.
Se nessun altro è disposto ad agire, scriveva Helmut Schmidt, devono scendere in campo i membri dell'Eurozona, seguendo la strada prevista dall'articolo 20 del Trattato di Lisbona, potenziando la loro collaborazione.
chiaro che gli Stati che adottano l'euro dovrebbero mettere in atto una serie di regole per i propri mercati finanziari che abbiano ripercussioni sull'intera Eurozona.
Se gli europei avranno la forza e il coraggio di portare a compimento una drastica regolamentazione del mercato finanziario, potremmo pensare nel tempo di diventare una zona di stabilità. Se falliremo, il peso dell'Europa continuerà a diminuire, mentre il mondo si avvierà verso una sorta di duumvirato costituito da Washington e da Pechino.
Per l'immediato futuro dell'Eurozona sono senza dubbio da compiere i patti fin qui annunciati, pur con i commenti che abbiamo fatto sul fiscal compact, sui controlli sulle riforme, ma per forza di cose diverrà inevitabile anche un indebitamento comune che, come dice nell'articolo citato Helmut Schmidt, i tedeschi non dovrebbero rifiutare per questioni di egoismo nazionale.
Insieme al risanamento dei bilanci, quindi, devono essere introdotti e finanziati anche progetti di crescita economica; senza crescita, senza nuovi posti di lavoro nessuno Stato potrà risanare le proprie casse. E fin qui ipse dixit.
Per la realizzazione di un percorso di integrazione sappiamo che è necessario che tutte le istituzioni europee, ma anche le organizzazioni sindacali, si confrontino e si attivino per fare maturare una visione politica, economica e sociale condivisa, che oggi è ancora molto lontana dalla percezione dei cittadini.
Non sono più rinviabili politiche di sviluppo credibili, che agiscano sulle due leve fondamentali rappresentate dagli investimenti e dalla ripresa dei consumi. Per quanto riguarda l'Italia, attraverso l'aumento delle detrazioni fiscali su chi le tasse le paga fino all'ultimo centesimo se non altro perché c'è una figura, che si chiama sostituto d'imposta, che preleva alla fonte, e quindi sul lavoro dipendente e sui pensionati.
Riforma da finanziare con il ricavato della lotta alla corruzione ancora largamente diffusa, all'evasione, erosione ed elusione fiscale e con la revisione intelligente della spesa pubblica realmente improduttiva, che non sia legata all'erogazione dei servizi essenziali per i cittadini.
E nei prossimi giorni credo che ne sapremo di più e ognuno farà la propria parte.
Nel contesto di grave crisi in atto, l'ultimo congresso delle Confederazioni Sindacali Europee, svolto ad Atene - emblematicamente, direi ha ribadito, tra l'altro, la necessità di sviluppare una risposta congiunta per la realizzazione di un mercato del lavoro europeo che fosse più integrato.
L'Unione Europea è la prima potenza economica del mondo, è il primo partner di gran parte dei Paesi industrializzati ed emergenti, di quasi tutti i Paesi africani e di molti Paesi dell'America Latina.
Più di metà delle decisioni che determinano la vita quotidiana di noi cittadini non sono più prese nello spazio nazionale, come ricordava anche Fassino nel suo intervento, ma in quello europeo.
L'Europa è determinante non solo su materie sulle quali c'è stato un trasferimento di sovranità (moneta, commercio, frontiere), ma anche in materie ancora di competenza degli Stati, quali il clima, l'energia l'immigrazione, la politica estera. L'Europa ha però bisogno di una dimensione politica.
Occorre però creare moderne e condivise istituzioni politiche europee.
L'euro è stato una grande e faticosa conquista, ma la moneta unica ed i vincoli del Patto di stabilità, senza un'unità e senza un governo politico ed economico, costituiscono una vera e propria anomalia, come la crisi sta evidenziando da mesi.
La partecipazione alla costruzione della dimensione politica dell'Europa deve essere la nuova frontiera del nostro impegno futuro.
L'istituzione delle Euroregioni e la strategia, che ultimamente viene avanti, delle Macroregioni possono, inoltre, rappresentare nuove e importanti opportunità per quanto concerne innovazione e competitività ambiente ed energia, accessibilità e trasporti.
Considerato che la competizione internazionale, ormai, si gioca tra territori e non solo tra imprese, per noi si tratta di un'importante occasione per incrementare non solo la competitività delle regioni coinvolte, ma anche tutti gli elementi di coesione sociale delle comunità che le compongono.
In questo processo c'è lo spazio per l'azione di un Sindacato Confederale Europeo forte ed autorevole, che sappia accettare le sfide di uno scenario in continua evoluzione.
Questo cambiamento necessario chiama l'Europa alla costruzione di una comune identità per la realizzazione di istituzioni comunitarie e di strategie che non si limitino ad essere soltanto emanazione dei Governi nazionali, ma che siano invece patrimonio comune di una cittadinanza europea, che metta al centro . com'è stato ricordato da molti - i bisogni dei popoli. Grazie.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

La parola al dottor Murella, Segretario regionale dell'UGL.



MURELLA Armando, Segretario regionale UGL

In qualità di Segretario Regionale UGL Piemonte sono grato a lei sig.
Presidente, all'intero Consiglio Regionale, per avermi offerto l'opportunità di dare il mio modesto contributo in direzione del qualificante ed attuale tema posto all'ordine del giorno di questa assise consigliare.
Intervenendo quasi per ultimo, dopo le brillanti esposizioni di quanti mi hanno preceduto, il mio compito è senza dubbio più agevole.
Un personaggio, statista illustre e storico dell'unità d'Italia afferm testualmente: "Abbiamo fatto l'Italia, ora bisogna fare gli italiani !".
Parafrasando quest'assunto possiamo affermare che la stessa cosa si pu dire per l'Europa, nella quale noi italiani prima di ogni cosa abbiamo creduto.
Noi italiani, cittadini, lavoratori e pensionati di questo Paese, ci abbiamo creduto con forza pagando un notevole tributo per la costruzione di una grande Europa Unita.
Però dall'Europa attuale, che non è un'istituzione politica, subiamo l'infausto fascino di accettare, quasi per amor di Patria, una moltitudine di direttive che certamente non vanno nella direzione auspicata da parte dei lavoratori e da parte di tutti i cittadini degli Stati Membri, che vedono quest'Europa nelle sembianze del "boia", che vuole cingerti il collo con un cappio.
Solo qualche tempo fa, come UGL organizzammo un pullman per andare a visitare il tempio delle Istituzioni europee.
Bene, sapete cosa mi è stato detto da tutti i dirigenti sindacali dopo che hanno preso parte a questa iniziativa? "Continuiamo a mantenere in vita un carrozzone simile a quello che abbiamo in tutte le nostre asfittiche istituzioni".
In un momento di terrificante recessione, non solo europea ma mondiale dove i cittadini subiscono l'aumento dell'età pensionabile, la decurtazione stessa della pensione, un carico fiscale (IMU compresa), oltremodo oneroso come si fa a spiegare ed essere convincenti dell'importanza di quest'Europa? Un'Europa fatta da "caste" e "tagliatori di teste" che abiurano persino la lingua italiana, non a caso, infatti, i brevetti che prima venivano tradotti in lingua italiana, oggi per effetto dell'europeismo di facciata la traduzione avviene il lingua Tedesca, Francese, Inglese, come se la nostra lingua madre fosse improvvisamente diventata desueta.
I cittadini, i lavoratori italiani, ma non solo, affrontano questo momento difficile di gravi e ripetuti disagi con grande dignità, nonostante una fase confusionaria che sta segmentando il paese per gli effetti di messaggi indotti da un esasperato clima di antipolitica.
Tutti siamo stanchi, i cittadini e la classe lavoratrice è esausta dalle incertezze e nebulosità persistenti.
Qualche giorno fa ho partecipato ad un convegno sulle aree metropolitane; credetemi: non è possibile descrivere il malcontento che serpeggiava tra la gente, drammaticamente preoccupata, per l'assenza totale di intelligenti iniziative che potessero rimettere sulla giusta rotta una navicella che imbarca acqua da tutte le parti, ciò nonostante si parlava a sproposito, di rimettere mano e ricostruire un pezzo della "cosa pubblica" dai costi sempre più elevati.
Come si fa a spiegare una cosa del genere ai cittadini e ai lavoratori del nostro martoriato paese, quando l'Europa stessa afferma e sancisce che per quanto riguarda i salari dei dipendenti e dei pensionati italiani, sono all'ultimo posto (maglia nera) di un'ipotetica classifica tra i diversi Stati Membri? E ancora, come si può spiegare all'Europa, ai nostri figli, ai nostri lavoratori che nell'opulenta Germania un lavoratore metalmeccanico della Volkswagen guadagna il triplo del salario di lavoratore che è parte integrante del sistema FIAT? Bisogna seriamente costruire un'Europa politica, che abbia un univoco sistema di politiche industriali e abbia la stessa convergenza ed equità politica sui temi dell'immigrazione e della sicurezza.
Gli ultimi avvenimenti in tema di sicurezza sono un chiaro esempio delle discrepanze esistenti su questo delicato segmento.
Infatti, da questa ottica non si possono tutelare soltanto gli interessi degli Stati singoli dove ognuno cerca di tutelare lo Stato di propria appartenenza, ma bisogna avere una visione globale del problema se vogliono evitare tutte le iatture che ci ha visti impotenti di fronte ad un problema di carattere mondiale.
Cosa ha fatto l'Europa dinanzi a questo macroscopico problema? Non ha fatto nulla, se non i soliti e retorici piagnistei di facciata! Abbiamo subito una violenza, per molti versi psicologica, quando si sono verificati una moltitudine di sbarchi dei poveri ed inermi clandestini che arrivavano ed arrivano ancora sulle nostre coste.
L'Europa su questo pezzo è stata assolutamente assente ed evanescente.
Stesso identico atteggiamento abbiamo riscontrato allorquando si è parlato della questione certamente scomoda e spinosa, degli interventi militari in paesi non allineati.
Guarda caso però, qualcuno è partito fregandosene della politica europea e delle decisioni europee assunte in nome della Comunità - per privilegiare e curare unicamente beceri interessi di parte.
Ma siamo sicuri che sia questa l'Europa che abbiamo da sempre agognato? Personalmente credo di no! Quindi, se l'Europa è soltanto proiettata su effimeri interessi "particolari" di stati e staterelli, purtroppo non si andrà da nessuna parte.
Dobbiamo costruire autenticamente l'Europa politica vera, che possa contrastare le politiche che provengono dai Paesi cosiddetti emergenti.
Non possiamo né dobbiamo prendere a modello Paesi come la Cina, il Brasile, o l'India.
Se siamo un'Europa forte, sana e solidale, dobbiamo esportare in questi Paesi e cercare di far capire che quello non è il modello da copiare.
Oggi le nostre Aziende e le nostre Imprese trasferiscono le loro risorse proprio in questi paesi.
Se avessimo una politica industriale vera, una civiltà del lavoro emancipata, a livello europeo, le anomalie appena accennate non si verificherebbero.
Debbo dire che la Regione Piemonte è all'avanguardia, purtroppo e soprattutto, sui "tagli", perché siamo stati l'unica Regione che ha tagliato ben dodici linee del trasporto pubblico locale, siamo primi nei tagli un primato di cui faremmo volentieri a meno.
A mio parere, il propositivo ed illuminato progetto della Regione Piemonte è valido sotto molteplici aspetti, però per essere vero e necessario che esso guardi ad una linea politica europea forte, equa democratica e solidale, che vada verso una più alta giustizia sociale in grado di garantire il suo spazio centrale nel mondo.
La sopravvivenza dell'Europa passa attraverso un governo economico europeo ed un bilancio europeo di crescita.
Solo il federalismo sarà capace di evitare il fallimento dell'Euro e le sue conseguenze disastrose sulla vita di tutta l'Unione Europea.



PRESIDENTE

Ha chiesto la parola il Consigliere Carossa, Presidente del Gruppo della Lega Nord; ne ha facoltà.



CAROSSA Mario

Grazie, Presidente.
Parto subito da un discorso: anche alla luce degli ultimi avvenimenti non si può essere così ottimisti - purtroppo - sul futuro dell'Europa. E non è questione di essere euroscettici, come è stato citato da qualcuno prima di me, perché ci sono dei fatti precisi e chiari che hanno scandito gli ultimi anni di questa Unione Europea. Unione Europea che, tra l'altro (vorrei ricordarlo, perché la storia è sempre da ricordare), non è sicuramente quella che i padri fondatori avevano in mente.
Sicuramente non è questo: appiattire il tutto esclusivamente ad un discorso economico-finanziario.
Mi ha fatto piacere che alcuni interventi abbiano citato anche questioni sociali, questioni d'interessi generali che dovrebbero appartenere all'Europa. L'ha ricordato l'ultimo intervento: affrontare in maniera comunitaria il fenomeno dell'immigrazione, affrontare veramente in maniera comunitaria la differenza di status tra i vari lavoratori dei diversi paesi europei. Questo è mancato.
Ma - come dicevo - i fatti sono chiari e non è questione di euroscetticismo; è questione che l'euro, che forse ha salvato determinate situazioni nell'economia italiana, da un giorno all'altro ha quasi dimezzato il valore di quello che le famiglie hanno in tasca tutti i giorni, perché gli stipendi non si sono adeguati al costo della vita.
Pertanto, attenzione, perché nulla nasce dal caso e quasi tutto - mi verrebbe da dire - nasce da quest'Europa.
Ritengo che, finora, il Patto di stabilità sia stato abbastanza fallimentare. Sento tutti attaccare e chiedere a gran voce una revisione totale del Patto di stabilità. Anche il Sindaco Fassino - io ritengo giustamente, anche se dovremmo andare a vedere perché si è arrivati in questa situazione nella città di Torino - ha detto, nel suo primo atto da Sindaco, che è necessario uscire dal Patto di stabilità.
Il Patto di stabilità nasce dal Trattato di Amsterdam del 1996; noi lo ritroviamo adesso e, adesso, tutti invochiamo che venga rivisto, cancellato o modificato.
Ho sentito oggi diversi interventi criticare il Trattato di Lisbona sostenere che è superato, da modificare e che bisogna prevedere altro.
In Italia, il Trattato di Lisbona è stato votato all'unanimità compresa - ahimè, lo dico personalmente - la Lega Nord, dalla Camera.
Cito solo due questioni sul Trattato di Lisbona. Quando è stato approvato, la Repubblica - non La Padania - ha scritto: "L'Italia ha ratificato il trattato di Lisbona. Un lungo applauso bipartisan ha accompagnato i sì della Camera, che, con il Senato, ha approvato all'unanimità il Trattato. Unica eccezione arriva dai banchi della Lega Nord. I deputati del Carroccio, al momento della proclamazione, sono rimasti seduti in silenzio, un atteggiamento che ha provocato la reazione di tale Emanuele Fiano, del PD, che si è alzato in piedi per urlare contro i leghisti".
Questi sono i fatti.
Ricordo, inoltre, poiché il Trattato di Lisbona è stato approvato, non un secolo fa, ma nel 2008, che l'attuale Presidente Napolitano in quell'occasione ha detto: "L'approvazione unanime della legge di ratifica del Trattato di Lisbona rappresenta un titolo d'onore per il Parlamento italiano e un fattore di rinnovato prestigio per il ruolo europeo del nostro Paese".
Tutti - noi per primi - dovremmo forse fare un piccolo esame di coscienza.
Vengo anche alla dotta dissertazione e richiesta (io, nella vita, cerco sempre di concludere qualcosa, anche in determinate sedute di Consiglio magari lunghe e noiose, ma importanti) del professor Pistone, il quale chiede di aderire al cosiddetto appello.
Lo dico chiaramente: l'aderire - l'ha citato lei - è un fatto assolutamente politico e mi fa piacere che lei, nel suo intervento, abbia citato questo fatto, che è strettamente politico.
L'adesione a qualsiasi atto che derivi dal Consiglio, per noi è un fatto assolutamente politico, che valuteremo con molta attenzione nei prossimi giorni. Auspico che si riesca a dare una risposta il più possibile o, ancora meglio, del tutto unitaria. Lo auspico, ma non lo so: su questo occorre aprire un dibattito. Non si può parlare di un'Europa federale quando oggi, in qualsiasi momento, si rifiuta un'Italia federale, quindi si guarda ad un'Europa federale, da una parte, ma ad un'Italia non federale dall'altra.
Sono d'accordo con quei sindacalisti che hanno parlato della differenza dei salari nei diversi paesi europei, della tutela dei lavoratori e altre questioni. Non si può pretendere, però, che la Germania, dove permettetemi, come dicevo nell'ultimo Consiglio - il rigore viene assunto da neonati, con il latte, attraverso il biberon, si accolli il debito pubblico di altri Paesi; magari lo farà anche, ma non dobbiamo dimenticare che, per esempio, in Italia siamo all'11% nel rapporto tra il PIL e il costo dell'apparato statale, della spesa pubblica, dei dipendenti pubblici mentre la Germania è circa all'8%. Un 3% in meno! Non pensiamo, cari signori, che la Germania si accolli il nostro debito pubblico permettendoci di continuare ad andare avanti su questa strada! E allora, occorre riflettere sul fatto - mi rivolgo anche ai sindacalisti - che non si può parlare in un certo modo e poi lamentarsi quando la Germania, che magari si sarà accollata il nostro debito c'imporrà di mandare a casa decine di migliaia di persone che lavorano nel pubblico! Sono queste le questioni concrete che dobbiamo affrontare, quando discutiamo di Europa! Ha ragione l'ultima persona che è intervenuta, quando afferma che il Piemonte è stata la prima Regione ad aver tagliato 12 linee ferroviarie.
Bene, qualsiasi dibattito riguardante questi tagli io lo affronto a testa alta, perché non si possono continuare ad utilizzare delle linee ferroviarie il cui ricavo non raggiunge nemmeno il 7% del costo totale quando la media richiesta a livello nazionale è di circa il 35%.
Questi fatti li dobbiamo affrontare, a maggior ragione se, come viene invocato - e oggi l'ho sentito chiedere da più parti - bisogna andare a "sciogliere" (uso un termine che non è corretto, abbiate la compiacenza di accettarlo) gli Stati nell'Europa.
Magari questo sarà un bene (non lo escludo), però, attenzione, perch questo porta a tanti confronti. Quello che si vuole evitare - e termino perché mi sono dilungato anche troppo - è il fatto di non affrontare mai con la scusa (scusate il termine) del discorso economico e finanziario, non prevedere (o provare a prevedere) mai quello che poi capita alle persone ai cittadini. Noi, infatti, non abbiamo preventivato questo - e lo dicevo all'inizio - quando, entrando nell'euro, abbiamo accettato la moneta unica e ci siamo ritrovati le famiglie che da lì hanno iniziato a tribolare: da lì hanno iniziato a non riuscire più a fare quadrare i conti a fine mese da lì, non dimentichiamoci queste cose.
Allora, ben vengano determinati Consigli come quello di oggi; ben venga un dibattito che spero il più possibile costruttivo nei prossimi giorni ben venga se si riesce a produrre un documento unico.
Lei ha ragione, infatti, professor Pistone, quando dice che una qualunque decisione presa da un'Assemblea come la nostra può essere importante, proprio per provare ad avviare o ad implementare determinati discorsi; questo è sicuramente vero, però mi permetto di dire che dobbiamo affrontare con molta cognizione di causa, non limitandoci - e termino - ad approvare solo dei documenti fine a se stessi.
Credo che noi dobbiamo affrontare sempre queste discussioni avendo ben di fronte i nostri cittadini e, soprattutto, i nostri cittadini più deboli.
Diventa difficile poi, infatti, riuscire a continuare a salvarli quando per rientrare dal debito come ci imporrà l'Unione Europea, noi dovremo fare manovre da 100 miliardi l'anno, ogni anno, per i prossimi quindici anni: forse rientreremo dal debito - forse - ma non so se esisterà più un Paese che tanti di voi, con tanto orgoglio, chiamano Italia.



PRESIDENTE

Grazie, Consigliere Carossa.
La parola al Consigliere Biolé.



BIOLE' Fabrizio

Grazie, Presidente.
Si è parlato oggi di euroscetticismo. Credo che, più comunemente, se ne parli con accezione preventiva e forse, da euroscettici, gran parte dei cittadini e alcune forze politico-sociali sono diventati euro-negativi in senso molto empirico.
Oggi è stato detto molto e mi limiterò a fare alcune considerazioni.
L'iter per la costituzione dell'Europa ha creato delle storture a livello di democrazia diretta da parte dei cittadini europei? Direi proprio di sì prova ne sia, per esempio, che anche il Trattato di Lisbona di cui si è parlato oggi nel nostro Paese non è stato sottoposto ad alcun tipo di consultazione diretta dei cittadini; ma ci sarebbero altri esempi.
Ci siamo accorti, per parlare d'altro, che cammin facendo molte politiche avrebbero dovuto essere affrontate a livello più integrato: per esempio la politica dell'immigrazione - se n'è parlato anche oggi - la politica estera, le politiche contro la criminalità e le mafie; e sono assolutamente d'accordo su questo, perché in modo unito, forse, alcune soluzioni potrebbero essere più a portata di mano. Certo, ci stiamo accorgendo di questo errore.
La cessione della sovranità monetaria è una delle cause della crisi strutturale che stiamo attraversando? Direi indubbiamente di sì, ma il problema è che noi crediamo che alcune delle soluzioni che i Governi stanno tentando di mettere in piedi hanno affrontato le questioni economico sociali globali ponendo correttivi formali e superficiali, senza di fatto proporre variazioni strutturali che, secondo noi, dovrebbe partire da un cambio di paradigma che tenga in considerazione la matematica e scientifica finitezza delle risorse. In questo discorso la decrescita ci viene in aiuto, solo se accompagnata e "morbida". Crediamo che i Governi europei stiano oltremodo attuando una doppia impostura, cercando di convincerci che ci vuole rigore e rilancio, austerità e crescita: probabilmente queste doppie prospettive non sono possibili nella crisi di civiltà che stiamo attraversando.
necessario forse uscire dall'euro e dall'Europa? Pongo questa domanda non per spirito antieuropeo ma perché, per alcune parti, quest'Europa è stata costruita in senso contrario al buonsenso. Qualcuno dice che "la moneta è un buon servitore ma un cattivo padrone" e credo che in questo contesto europeo la frase abbia molto senso. Il fatto di aver costruito tutta l'architettura istituzionale dell'unificazione attorno a trattati monetari ha di fatto contribuito a concentrare il potere in una Banca centrale, a nostro avviso molto poco democratica e pochissimo attenta agli interessi della società.
Bisogna dunque cercare una strada per ripudiare in qualche modo il debito, o una parte di esso. Ricordo che questa non è una questione inedita. Due Paesi l'hanno fatto, nel mondo - l'Argentina e l'Islanda - e altri tre lo stanno facendo: l'Ecuador, la Corea e l'Ungheria. Dobbiamo credere - e crearlo - in un Audit pubblico per capire com'è strutturato il debito e distinguerne la parte valida da quella cosiddetta abusiva. Bisogna forse uscire da quel capitalismo superfinanziario, in cui rientra il discorso della Tobin tax o, comunque, della tassazione delle transazioni finanziarie, che potrebbe essere un altro dei possibili interventi per riuscire ad avanzare e fare dei passi concreti verso l'Europa positiva che tutti vogliamo, creando una società dell'"abbondanza frugale"; sì, il termine è un po' strano, ma credo che dia molto l'idea.
Bisogna quindi, secondo noi, trovare il modo per creare occupazione senza distruggere il pianeta. Bisogna porre rimedio alle storture evidenti della globalizzazione, anche a livello europeo. Si pensi, per esempio, alle tonnellate e tonnellate di acqua italiana che transitano verso gli altri Paesi e alle tonnellate e tonnellate di acqua di altri Paesi che transita verso il nostro. Perché no? Questo è un esempio minimo, che però dà l'idea: perché non attuare una sorta di "protezionismo positivo" - anche se l'espressione suona male - verso le produzioni dei singoli Paesi? Per il bene delle persone e per creare occupazione noi crediamo che occorra anche ridurre il tempo del lavoro. Com'è possibile fare questo con i diktat della BCE? Ci sono stati alcuni tentativi. Per esempio, i francesi hanno recentemente provato a ridurre l'orario di lavoro, ma questo non ha funzionato. Infatti, in un sistema che ha base esclusivamente competitiva la riduzione dell'orario ha come conseguenza esclusivamente l'aumento del costo unitario e quindi è ovvio che si genera un vicolo cieco.
Accordi di cooperazione internazionale e politiche di difesa del lavoro e dell'ambiente sono impensabili in modo separato tra loro. Così si spiega il fallimento cui sono andate incontro le politiche occidentali di difesa del welfare e dell'ambiente. I Paesi non dispongono di margini economici per riforme strutturali e ogni riforma comporta costi che sono esclusi dall'imperativo della competitività. Senza una messa in discussione quindi, del principio di competitività e un passaggio a politiche di cooperazione - per esempio il Patto europeo per il lavoro potrebbe essere un'altra delle idee da elaborare ed approfondire - non si potrà mettere mano ad efficaci politiche di lotta alla disoccupazione e alla precarietà.
Un modo diverso di concepire i rapporti tra esseri umani e con la natura fondati per esempio - come si diceva - sulla cooperazione potrebbe dare un senso forte alla realizzazione dell'unità politica europea.
Infine, una civiltà fondata sull'espansione è assolutamente incompatibile con la conservazione della pace. La decrescita riorganizzazione del processo economico su modalità auto-sostenibili e non predatorie - è la premessa indispensabile per evitare le guerre i conflitti bellici come soluzione di quelli che sono conflitti d'altro tipo.
E quale miglior ruolo per le Regioni? Che siano Regioni, o Euroregioni o Macroregioni? Solidarietà, cooperazione, compensazione, sostegno reciproco possono nascere a questo livello, quello regionale, che riteniamo possa essere quello ottimale. Non ultima, la tutela dei beni comuni.
Riteniamo, dunque, che gli errori del passato siano superabili e non ripetibili. La mancanza di democrazia, come si è detto all'inizio, la carenza di importanti politiche comuni, come è stato già detto e, come soluzione, la riconquista graduale della sovranità. Solo per citare alcuni aspetti di cui occuparsi e di cui è urgente occuparsi.
Forse è l'ultima occasione, non perdiamola.



PRESIDENTE

Ha chiesto di intervenire il dottor Emilio Verrengia, Segretario generale aggiunto dell'AICCRE nazionale. Lo ringrazio per la sua presenza in rappresentanza dell'AICCRE e del dottor Michele Picciano, che non ha potuto intervenire per impegni dell'ultimo momento.



VERRENGIA Emilio, Segretario generale aggiunto AICCRE

Partendo dall'attualità, l'AICCRE ha festeggiato i propri sessant'anni a Ventotene, l'isola laziale che vide la stesura del Manifesto; scelta, la nostra, non solo simbolica, ma da lì è partito con ancora più slancio l'impegno federalista europeo della nostra Associazione.
Come ho avuto modo di ribadire più volte a Ventotene, l'Europa federale è l'unica risposta alla crisi economica, morale e politica che sta attraversano drammaticamente il nostro continente. Ed è una esigenza urgente e non più rimandabile. Il metodo intergovernativo ha ancora una volta clamorosamente fallito, come dimostra il fatto che l'Unione non è riuscita a dare una risposta univoca alla crisi economica. Per uscire dalla crisi, non è sufficiente il risanamento dei bilanci dei paesi indebitati ma è necessario un piano europeo di sviluppo economico, ecologicamente e socialmente sostenibile, come abbiamo sostenuto nell'appello sottoscritto a Ventotene e sottoposto al vertice europeo tramite il Presidente del Consiglio Mario Monti.
Per uscire dalla crisi c'è bisogno dell'Europa federale basata sulla valorizzazione degli Enti locali e regionali. È la nostra mission, da sempre: quella di portare l'idea federalista europea tra i cittadini attraverso il coinvolgimento diretto degli Enti locali, nella logica di uno dei principi cardini intorno al quale l'AICCRE ha costruito le proprie numerose battaglie politiche: quello della prossimità.
L'Europa oggi attraversa una crisi dovuta anche ad una serpeggiante sfiducia alimentata da alcuni media e da politici in cerca di consensi "di pancia". L'AICCRE deve tornare tra la gente e far capire non solo il valore aggiunto dell'Europa, ma l'importanza di una maggiore integrazione. La storia ci insegna che nulla è scontato e che non bisogna abbassare la guardia: la democrazia in Europa è più che mai a rischio e ricordiamoci la crisi economica che fece precipitare nel caos l'Europa negli anni '30 dello scorso secolo.
Sono pienamente d'accordo con la proposta della Federazione piemontese dell'AICCRE, che qualche mese fa ha chiesto la convocazione di un'assemblea costituente composta dai rappresentanti eletti dai cittadini a livello nazionale ed europeo, nonché dai Governi e della Commissione europea, con il mandato di elaborare, superando i veti nazionali, una Costituzione federale che dovrà essere ratificata con un referendum, da tenersi nei paesi che avranno partecipato alla redazione della Costituzione, in modo da fondare sull'unità popolare l'unità politica degli europei.
Molto interessante, per i contenuti e per la metodologia, la costituzione a Torino nel marzo scorso da parte del Movimento federalista europeo del Comitato per la Federazione Europea e per un piano europeo di sviluppo sostenibile, sottoscritto con entusiasmo anche dall'AICCRE e che ha raccolto intorno a sé un ampio consenso di forze politiche, sindacali ed associative.
Questa è la via da percorrere: un movimento popolare federalista era nelle prospettive degli estensori del manifesto di Ventotene, del quale non mi stancherò mai di esaltare la straordinaria attualità. Attuale, come la battaglia per la Federazione Europea. Abbiamo la nostra energia e la nostra forza da mettere in campo, forza che ci viene da un passato ricco di battaglie politiche e dalla mobilitazione di migliaia di amministratori locali.
Se si leggessero i documenti e gli scritti degli anni '50 dello scorso secolo dei dirigenti dell'allora AICCRE, ci renderemmo conto della straordinaria lungimiranza della nostra Associazione: si chiedeva, sin da allora, l'istituzione del Comitato delle Regioni e dei poteri locali e l'elezione diretta del Parlamento europeo. Per non parlare della "Carta delle Libertà locali", adottata nel 1953, e che ha portato alla ratificazione della Carta dell'autonomia locale, adottata dal Consiglio d'Europa nel 1985; dell'affermazione del principio di sussidiarietà e la sua applicazione al livello locale e regionale; della creazione del Congresso dei poteri locali del Consiglio d'Europa.
Tutte battaglie vinte, grazie alla solidità morale delle idee e degli uomini che le sposarono e le seppero tradurre in pragmatismo politico.
Grazie al fatto che il federalismo dell'AICCRE è pienamente parte integrante del pensiero federalista europeo.
L'AICCRE, insomma, oggi deve rilanciare con forza le idee politiche che la fecero nascere, in stretto concerto con la forza federalista, termine tanto caro all'indimenticabile fondatore Umberto Serafini.
Senza federalismo e senza gli Enti locali sarebbe un'Europa con gravi limiti democratici. La lotta per la federazione europea, per noi dell'AICCRE, non può prescindere da quelle in difesa dell'Ente locale fortemente penalizzato per i tagli ai trasferimenti dello Stato e per la mancanza di legittimità democratica che si sta venendo a determinare. Non si tratta di salvaguardare questo o quell'altro livello di Ente locale (noi stiamo conducendo una battaglia anche in congressi sul ruolo dell'ente intermedio in Europa; domani saremmo anche al Comitato delle Regioni per illustrare la risoluzione che è stata approvata dai 47 Paesi membri del Consiglio d'Europa), ma di organizzare il discorso in un quadro più ampio di riforme strutturali che prevede finalmente anche nel nostro Paese un federalismo autentico, solidale e cooperativo, com'è nella tradizione della nostra Associazione, l'unica che rappresenta Comuni, Province e Regioni, in una prospettiva europea.
Si è perso l'ennesimo treno: era tempo infatti di mettere mano allo Stato centralista e di operare un decentramento amministrativo ed uno snellimento burocratico che permettesse a tutti i livelli di autonomie locale un rapporto ed una gestione più efficace e trasparente del proprio territorio ed una maggiore capacità di intervento verso i bisogni dei propri diretti interlocutori: i cittadini.
Il Senato federale va bene, ma a condizione che esso sia rappresentativo non solo delle Regioni, ma di tutti i livelli degli enti territoriali. Non possiamo correre il rischio, infatti, che ad un centralismo dello Stato si sostituisca quello regionale.
Occorre rafforzare l'autonomia fiscale e finanziaria degli Enti locali così come recita la Carta europea dell'autonomia locale, la più sottoscritta e disattesa carta del mondo. Così non è stato. Le proposte dell'AICCRE, lo ribadiamo, vanno nella direzione del federalismo, nel convincimento che esso si impone nelle relazioni fra diversi soggetti istituzionali riferiti ad ambiti territoriali più vasti, le Province, le Regioni, lo Stato nazionale e l'Unione Europea.
Concludo ringraziando il Consiglio regionale del Piemonte di aver condiviso questa nostra celebrazione; la Federazione regionale del Piemonte; il Presidente Cattaneo; il Segretario Sabatini e tutti quanti voi.
Un saluto al Presidente del Comitato delle Regioni, al dottor Pistone e a tutti gli altri relatori, perché davvero hanno dato un messaggio di attualità, nella celebrazione di questo 60° anniversario: non più un'Europa costruita soltanto attraverso i Trattati o i mercati finanziari, ma un'Europa costruita dal basso; un'Europa condivisa dai popoli.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie a lei, dottor Verreggia, per il contributo.
Se non ci sono altri colleghi che intendono intervenire, mi permetto una breve conclusione.
Credo, care colleghe, colleghi, autorità e gentili ospiti (molti relatori sono già dovuti andare via per questioni di aereo, arrivando anche da lontano) che il dibattito, nell'ambito di questo Consiglio aperto dedicato al tema dell'Europa, è caduto, come molti hanno già ricordato, in un momento particolarmente significativo delle vicende che toccano la nostra Europa, ma mi piace anche dire dei singoli Paesi che la compongono.
Nell'arco degli ultimi mesi, la situazione di difficoltà economica e la crisi finanziaria ha via via, dal livello globale, colpito le singole economie (come abbiamo potuto vivere insieme in questi mesi), in modo pesante in alcuni Paesi europei.
Si pensi alla questione che ha riguardato per mesi la Grecia: nel risultato delle elezioni di maggio c'era, sostanzialmente, un impasse generale, e questo Paese ha veramente rischiato di uscire dall'eurozona.
Fortunatamente, con le più recenti elezioni si è potuto avere un risultato elettorale che ha messo in condizioni questo Paese di dotarsi di un Governo e di evitare un default che inevitabilmente si sarebbe ripercorso su tutti i Paesi membri, in particolare su quei Paesi, come l'Italia, che detengono una serie significativa di titoli bancari dei debiti della Grecia stessa.
Con le nuove elezioni del 17 giugno, i cittadini greci hanno manifestato, in modo chiaro e ineludibile, la volontà di continuare ad essere europei e di rimanere nell'euro, quindi nella nostra esperienza comune in seno alla moneta unica. Come cittadini europei dobbiamo gratitudine a questo popolo, perché sicuramente sono consapevoli dei grandi sacrifici e delle gravi difficoltà cui andranno incontro su tematiche come quella del potere d'acquisto, dell'occupazione e così via.
Ci hanno dimostrato che bisogna credere nell'Europa; e forse questo è il Paese che era maggiormente in difficoltà.
Dobbiamo crederci, anche per le altre difficoltà.
Si pensi alle difficoltà delle banche spagnole, dove abbiamo vissuto settimane di grande difficoltà e di grande preoccupazione; si pensi ad economie che hanno veramente dei gap e dei deficit importanti, in materia di tasse e di crescita delle loro previsioni; si pensi anche al nostro Paese: meno 2,4 nel 2012, secondo gli ultimi dati preoccupanti messi a nostra disposizione da Confindustria.
Condizioni, quindi, che mettono in grave rischio un obiettivo che pensiamo si possa cogliere, e sul quale ci hanno chiesto anche grandi sacrifici i Governi che si sono succeduti, in particolare l'ultimo Governo relativo al pareggio del bilancio per il 2013.
A mio avviso, tutti questi fatti rafforzano - come mi pare sia emerso in modo molto chiaro dal dibattito - la convinzione tra le persone, quanto meno più responsabili e lungimiranti (e fortunatamente ce ne sono tante in Europa) che non vi è possibilità di conseguire una stabilità economica e assicurare che riprenda un periodo duraturo di crescita, se non in un'ottica continentale, affrontando e risolvendo non i problemi di un singolo Stato, ma quelli complessivi dell'intera area europea.
Così come è stato ricordato in più interventi, in particolare dal professor Dastoli e dalla collega Bresso, questo è stato l'oggetto del confronto, svoltosi il 28 e il 29 giugno scorsi, al Consiglio europeo, che ha permesso di varare questo nuovo programma per la crescita e il lavoro per complessivi circa 120 miliardi (quindi risorse molto consistenti) che ha sbloccato e sta sbloccando - speriamo sia così - un'impasse che durava da troppo tempo, riguardo ai meccanismi mutualistici di aiuto da mettere in atto a tutela degli Stati colpiti dalla speculazione e contro i loro titoli di debito.
A Bruxelles è stato assunto l'impegno ad assicurare la stabilità finanziaria della zona euro e, in particolare, di utilizzare i fondi EFSM (European Financial Stabilisation Mechanism) e i fondi ESM (European Stability Mechanism) già creati a livello europeo, in modo efficiente e flessibile, per stabilizzare i mercati dei Paesi membri che rispettano dovrebbero farlo tutti, noi italiani lo sappiamo, se non più di altri - le raccomandazioni della Commissione.
Purtroppo, finora, molti tentativi di giungere all'approvazione di una vera e propria Costituzione europea, con la devoluzione del potere sovrano dagli Stati nazionali ad una costituenda Federazione Europea, sono stati frustrati da calcoli e da convenienze ancora saldamente di matrice nazionale. Sarebbe interessante approfondire, con il professor Pistone, il tema del referendum europeo, e non della somma dei referendum nazionali anche su altre tematiche. Calcoli e convenienze che al momento della prova più difficile si sono però dimostrati fallaci, mettendo in grave difficoltà la prosecuzione dell'esperienza comunitaria. Quante volte abbiamo sentito dire, parlando non necessariamente con economisti o con banchieri, ma con persone fortemente preoccupate dei loro investimenti o, in modo più semplice, dei loro risparmi, quanto durerà ancora l'Europa e se fra due o tre mesi ci sarà ancora l'euro? Se da questi problemi si uscirà con una maggiore consapevolezza e una più diffusa coscienza europea, non solo nelle Istituzioni, in chi le rappresenta e le dirige, ma nella fascia più ampia dell'opinione pubblica allora il cruciale passaggio di questi mesi, per quanto doloroso difficoltoso e difficile (e lo sarà ancora a lungo), non sarà stato quanto meno inutile, ma propedeutico a sviluppi positivi.
La direzione non può essere che quella della costituzione di un'Europa a tutto tondo, un'Europa politica - ormai sembra del tutto evidente - il cui cemento unificatore non sia esclusivamente legato a temi economici come lo è stato per lustri, se non addirittura per decenni, ma trovi le più salde radici in un fatto culturale, in un'ampia condivisione della comune matrice europea, in un "nazionalismo europeo" - se mi è concessa questa espressione - che offre ai cittadini della nuova Europa di sentirsi parte di un unico grande Stato federale, in cui l'articolazione linguistica, la molteplicità dei costumi e delle tradizioni popolari, le letterature e le culture nazionali siano considerate un arricchimento indicativo del pluralismo democratico e sociale.
A conclusione di questo dibattito, ritenendo di interpretare un'ampia parte delle istanze provenienti dalla società, dall'economia e dalla cultura piemontese, il Consiglio regionale intende esprimere un atto formale, un appello al Parlamento di Strasburgo per richiedere l'attivazione di un Piano europeo di sviluppo ecologicamente e socialmente sostenibile - questo è del tutto evidente - basato su investimenti in infrastrutture, la riconversione in senso ecologico dell'economia, la ricerca e l'innovazione, ma anche e soprattutto l'elaborazione, prima delle elezioni europee del 2014 (come è stato più volte detto in questa giornata), di un progetto di revisione dei Trattati europei, per definire una nuova architettura delle istituzioni europee che preveda sostanzialmente, il rafforzamento dell'unità politica, la convocazione di un'Assemblea/Convenzione costituente, composta dai rappresentanti eletti dai cittadini a livello nazionale ed europeo, con il mandato di elaborare una Costituzione federale e la ratifica della Costituzione con un referendum, in modo da fondare sulla volontà popolare l'unione federale degli europei.
E qui - ne parlavo prima con il professor Pistone - si inserisce il referendum europeo, perché ci sarà la somma di referendum nazionali. Il rischio è che se il referendum lo promuove un governo in carica l'opposizione voti contro a prescindere dal merito, con il rischio di avere i risultati che abbiamo visto negli ultimi anni.
Il nostro ordine del giorno è un ordine del giorno aperto, che è stato consegnato ai Presidenti dei Gruppi in data 21 giugno. È un ordine del giorno sul quale si possono anche far pervenire - ne sono stati annunciati da alcuni Gruppi - contributi, a proposito di modifiche. La stessa Presidente Bresso ce li ha già fatti pervenire.
Credo che nella Conferenza dei Capigruppo di giovedì andremo a fissare la seduta nella quale, nel corso del mese di luglio, ne discuteremo e lo voteremo, con l'auspicio, ovviamente, di un atto di indirizzo con il contributo di tutti, ma che in questo senso che veda coeso e unanime per quanto possibile l'indirizzo del Consiglio regionale del Piemonte.
Nel contempo, come istituzione intermedia, rappresentativa dei cittadini piemontesi, come Consiglio regionale ci poniamo di dotarci di strumenti più efficaci - l'avevo detto un po' anche nel mio discorso in occasione dell'elezione del Presidente del Consiglio regionale il 3 maggio 2010 - per partecipare alla predisposizione e all'attuazione degli atti normativi europei per garantire l'adempimento degli obblighi comunitari e favorire una partecipazione attiva della Regione a tutte le iniziative europee, stimolando in tale direzione anche gli Enti locali (lo ricordava il Presidente del Consiglio delle Autonomie locali) e i soggetti della società civile. Ecco perché oggi abbiamo avuto tra i relatori anche gli attori della società civile.
In conformità alle prescrizioni del nostro Statuto, precisamente agli articoli 15 e 42, l'Ufficio di Presidenza sta valutando la presentazione di una proposta di legge per regolamentare la partecipazione della Regione Piemonte alla formazione e all'attuazione del diritto e delle politiche dell'Unione Europea.
Conformemente allo stesso Statuto, si prevede la convocazione di una sessione comunitaria, nei termini della famosa legge La Pergola (ne abbiamo parlato tante volte), entro il 31 maggio di ogni anno, per l'esame del disegno di legge comunitaria regionale, cioè dello strumento normativo, cui prima mi riferivo, che assicura l'adeguamento dell'ordinamento regionale a quello dell'Unione e dà attuazione alle politiche europee. Quindi, un ruolo attivo della Regione.
Tuttavia, occorre rilevare che la legge - in questo caso - nazionale la n. 11 del 2005, la cosiddetta legge Buttiglione, su cui si baserebbe inevitabilmente la legislazione regionale, è attualmente in corso di ampia e corposa revisione. Il nuovo testo, peraltro, concordato in sede di Conferenza Stato-Regioni, è già stato approvato dalla Camera dei Deputati nel marzo 2011. Nel frattempo, sono passati 15 mesi ed è attualmente giacente al Senato della Repubblica.
Conviene quindi attendere - ne discuteremo - il compimento dell'iter di modifica della normativa del quadro a livello nazionale, per poi procedere alla nostra normativa regionale, che inevitabilmente, proprio per la sua connotazione, non potrebbe che essere una legislazione concorrente. Lo vedremo. Ovviamente, ne ho già parlato con il Presidente della Regione perché ritengo che il coinvolgimento dell'esecutivo non possa che essere fondamentale e proficuo.
Confido quindi, e mi avvio alla conclusione, che unitamente all'ordine del giorno, che esprime la nostra adesione ai valori di un'Europa federale pienamente in tesa, anche la proposta di legge che regola la nostra più attiva partecipazione ai meccanismi di funzionamento dell'istituzione europea possa trovare un'ampia e unanime condivisione, costruendola insieme e con il coinvolgimento, ovviamente, del Governo regionale.
Mi verrebbe da dire, colleghi e gentili ospiti, ma è già stato detto che l'Europa o sarà politica o non sarà.



(Applausi in aula)



PRESIDENTE

Vi ringrazio per l'attenzione e ringrazio, in particolare, i relatori.
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 18.29)



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