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Dettaglio seduta n.17 del 13/07/10 - Legislatura n. IX - Sedute dal 28 marzo 2010 al 24 maggio 2014

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Argomento:


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CATTANEO



(La seduta ha inizio alle ore 10.55)


Argomento: Consiglio, organizzazione e funzioni

Consiglio regionale del Piemonte - Seduta aperta per il Quarantesimo dall'insediamento - Torino, Teatro Carignano, 13 luglio 2010


PRESIDENTE

Dichiaro aperti i lavori del Consiglio regionale in Assemblea aperta ai sensi dell'articolo 53 del Regolamento.
Autorità, Colleghi Consiglieri, Signore e Signori, desidero rivolgere anche a nome dell'Ufficio di Presidenza, un caloroso e speciale saluto alle molte e illustri personalità che hanno accolto il nostro invito, per essere con noi oggi a questa seduta solenne del Consiglio regionale, convocata per ricordare e celebrare i quarant'anni dall'insediamento della prima legislatura regionale, avvenuto nella sala del Consiglio provinciale di Torino, presso il Palazzo delle Segreterie, il 13 luglio 1970.
Il trascorrere del tempo ha inevitabilmente comportato che molte delle figure, dei volti che appaiono nella cronaca fotografica dell'evento, siano oggi scomparsi. Ma non è venuta meno l'attualità del discorso pronunciato in quella sede dal mio primo predecessore, Paolo Vittorelli, che in parte abbiamo voluto riportare anche nell'invito per questa celebrazione.
C'era nelle sue parole, dopo ventidue anni di attesa per l'attuazione della previsione costituzionale riguardante le Regioni a statuto ordinario l'orgoglio e la consapevolezza che i nascenti istituti regionali, pur tra le mille difficoltà e incertezze di ogni avvio, erano qualcosa di diverso dalle autonomie locali, Comuni e Province, se non altro perché, per la prima e unica volta, lo Stato concedeva la funzione legislativa ad un organo diverso dal Parlamento nazionale, riconoscendo una legittimazione del tutto particolare, nel legame tra Consiglio e cittadini elettori anche a livello regionale.
Un legame che nel primo Statuto, varato già nel novembre del 1970, e ancor più nel nuovo Statuto, approvato nel 2005, trovava modo di esplicitarsi compiutamente, laddove si afferma che il Consiglio rappresenta il Piemonte, inteso come unità storica, culturale, sociale ed economica una comunità di cui la Regione come istituzione e il Consiglio come organo legislativo vogliono essere i rappresentanti, nella tutela degli interessi e delle opportunità di sviluppo.
Non intendo qui ripercorrere le otto legislature che hanno contraddistinto l'evolversi dell'Istituto regionale in Piemonte, anche perché abbiamo previsto, nel corso dell'incontro, una diretta testimonianza di alcuni dei protagonisti di quelle vicende che hanno contraddistinto la vita regionale. Dalla loro voce, dalla loro esperienza, potrà venire un contributo molto più significativo, avendo vissuto direttamente questi passaggi politici e istituzionali.
In questo intervento introduttivo mi preme invece affrontare alcuni dei nodi che ci stanno davanti e a cui abbiamo il dovere, come classe politica regionale, di dare via via soluzione, partendo dalle esperienze di questi quarant'anni e cercando di trarre da esse un insegnamento.
Il tema politico-istituzionale che più ha determinato un cambiamento nella configurazione dell'Istituzione Regione, dei rapporti tra gli organismi regionali e della proiezione esterna dell'immagine dell'Ente nei confronti del sistema dei media e dell'opinione pubblica, è stato indubbiamente quello dell'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale, titolare del potere esecutivo e, non da questo momento, di una diretta investitura popolare, parallela e contemporanea a quella che legittima il Consiglio regionale.
Le conseguenze di questo nuovo assetto, sia sul piano effettivo dell'attività dell'Ente nel suo complesso, sia su quello mediatico, hanno comportato una maggiore diversificazione tra compiti, ruoli e immagine di Giunta e Consiglio.
Ma un'ulteriore cesura, nel percorso della Regione, è stata rappresentata dall'approvazione del nuovo Titolo V, con la legge costituzionale 3/2001 che, tra le molte innovazioni introdotte nell'ambito dell'assetto repubblicano, ha previsto, per quanto riguarda le Regioni, sia la competenza legislativa residuale, applicabile ad un comparto significativo di materie di rilievo sociale, economico, territoriale, sia una significativa revisione dell'articolo 119 della Costituzione, per quanto attiene una reale autonomia finanziaria dell'ente, con una capacità impositiva propria.
Quest'ultimo aspetto, in particolare, ha dato origine a quel filone che, coinvolgendo anche l'intero sistema delle autonomie locali, va sotto il nome di processo per il "federalismo fiscale" per il quale sono stati fatti dal Governo Berlusconi significativi passi avanti, anche se - come si dice - il cantiere è ancora aperto.
Ma tornando invece al tema delle legislazione residuale, è su questo terreno ancora ampiamente inesplorato che vedo la possibilità di sviluppare un'azione del Consiglio, titolare esclusivo della funzione legislativa regionale, che sia più forte e incisiva, sia nei rapporti con l'esecutivo ora dotato anche di una funzione regolamentare - sia per esplicare concretamente e sostanzialmente quel ruolo di rappresentanza del Piemonte che lo Statuto ha indicato come la caratteristica propria dell'organo consigliare.
Accanto alla funzione legislativa, che acquisirà più stabilità quando sarà completato il processo attuativo del nuovo Titolo V, prefigurato dalla legge La Loggia, con l'individuazione in norme positive dei principi fondamentali della materia, il nuovo Statuto ha voluto dare un significativo rilievo all'attività di valutazione delle politiche, che va oltre il tradizionale compito di controllo che compete all'assemblea legislativa sull'attività dell'Esecutivo. Infatti la valutazione dell'impatto della legislazione e delle politiche, conseguenti alle leggi emanate e all'azione amministrativa della Giunta, obbedisce a un'esigenza più complessa, che discende dalla consapevolezza del ruolo che il sistema pubblico riveste in ambito sociale, del modo in cui le scelte del pubblico influenzano e modificano taluni assetti, e della evoluzione delle tematiche sociali ed economiche.
un approccio che comporta, anche come mentalità nei decisori pubblici, una maggiore attenzione ai risultati dell'azione legislativa e amministrativa, dal momento che spesso le conseguenze non intenzionali come ci insegnano i pensatori di scuola liberale - superano quelle intenzionali, rendendo impossibile configurare una programmazione rigida e astratta, che quasi mai raggiunge i propri obiettivi dichiarati, poiché il risultato dell'azione politica è inevitabilmente frutto di una interazione con la società che deve accoglierla.
Per essere all'altezza di questi compiti, per essere attrezzati alla sfida di un ruolo così pienamente rappresentativo nei confronti della comunità piemontese, il Consiglio regionale ha oggi uno strumento come il nuovo Regolamento, che ritengo essere uno dei migliori risultati conseguiti, con ampio consenso e senso di responsabilità, nel corso della VIII legislatura.
Con il Regolamento, di cui stiamo tutti noi apprendendo l'applicazione il Consiglio ha gli strumenti più adatti ad assicurare quel pluralismo necessario agli organi rappresentativi, in grado di fornire tutele adeguate in particolare alle opposizioni, con l'insieme di regole significativamente raggruppate sotto il nome di "statuto delle opposizioni". Nello stesso tempo, il Regolamento offre l'opportunità al Consiglio di esercitare un ruolo attivo nel rapporto con la Giunta, confrontandosi con le proposte dell'esecutivo, con la possibilità di tempi certi e di decisioni tempestive soprattutto per i passaggi più rilevanti, quali le sessioni di bilancio, in cui si condensa l'essenza stessa del rapporto Consiglio-Giunta.
Ma per essere davvero la "casa dei piemontesi", la nostra Assemblea ha ancora da sviluppare altri due strumenti, indicati nello Statuto e la cui attuazione credo possa rappresentare un obiettivo strategico per la IX legislatura che si è appena aperta.
Mi riferisco, in particolare, al Consiglio delle autonomie locali organismo tutelato da una previsione costituzionale, che non può e non deve diventare una "seconda Camera" della Regione, ma la sede dove la governance locale si consolida, rafforzando l'integrazione tra tutte le istituzioni locali, o meglio del sistema delle autonomie, come venne per la prima volta definito dalla legge 142/90, che trova il suo pieno riferimento nell'istituzione regionale, la quale - per le sue competenze, per la rilevanza e articolazione delle funzioni - è effettivamente in grado di dare una compiuta rappresentanza territoriale.
Occorre dunque valutare modi e tempi, mi auguro brevi, per rendere operativo il Consiglio delle autonomie locali, già oggetto di una legge attuativa delle previsioni statutarie.
Ma la capacità di rappresentanza che il Consiglio può e deve avere verso la società piemontese si realizza anche con il Consiglio Regionale dell'Economia e del Lavoro, previsto dallo Statuto, non ancora oggetto di norme attuative, ma indubbiamente importante per rapportarsi con il mondo economico e le rappresentanze sociali.
L'obiettivo dovrebbe essere quello di uno strumento più snello e operativo che non l'omologo nazionale, il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL), ma su questo tema sono certo che il Consiglio saprà fare valutazioni in grado di raccogliere il massimo possibile di consenso dei Gruppi sia di maggioranza che di opposizione. Signore e Signori, credo che l'utilità dell'odierna giornata non sia soltanto la pur doverosa celebrazione del ruolo della Regione a distanza di quarant'anni dall'avvio e dell'azione svolta da coloro che ci hanno preceduto in questo ruolo, a cui va la nostra gratitudine per la dedizione, la competenza, il profondo senso delle istituzioni che hanno testimoniato.
Così come ritengo doveroso ringraziare tutti i dipendenti che hanno prestato la loro opera in Regione dal 1970 ad oggi, e gli attuali direttori, dirigenti, funzionari e addetti del Consiglio regionale, che l'Ufficio di Presidenza ha incontrato venerdì 9 luglio scorso, per uno speciale saluto.
Oggi credo che si debba cogliere questo momento per aprire una riflessione sul modo in cui, partendo dalla valutazione di quanto è stato fatto dal 1970 ad oggi, la Regione nel suo insieme - il Consiglio regionale in particolare - possa fare per essere sempre più quell'espressione politico-istituzionale in cui si identifica tutta la società piemontese e singolarmente ogni cittadino piemontese.
Non per soppiantare il ruolo di rappresentanza che storicamente è riconosciuto ai Comuni, per la loro vicinanza e per la più antica tradizione municipale che è presente in Italia, ma per rinnovare il senso di appartenenza di una comunità che - non possiamo non ricordarlo alla vigilia dei 150 dall'Unità - tanto ha fatto per la storia, per lo sviluppo civile, sociale ed economico del nostro Paese e che, non da oggi, guarda alla costruzione di una patria europea senza remore, ma con la consapevolezza che dalla propria storia saprà trarre i valori profondi per affrontare il proprio cammino futuro.



(Applausi)



PRESIDENTE

La parola a Sante Bajardi, Presidente dell'Associazione ex Consiglieri della Regione Piemonte, che interverrà in rappresentanza degli oltre 380 Consiglieri che si sono succeduti in queste otto Legislature.
BAJARDI Sante, Presidente dell'Associazione ex Consiglieri della Regione Piemonte Grazie, Presidente, per il contributo che ha già inteso affermare con qualche suo atto sul ruolo e l'impegno a cui vengono chiamati i Consiglieri già facenti parte del nostro Consiglio.
Noi Consiglieri siamo stati eletti come rappresentanti di parte e non possiamo negare questa nostra origine, cresciuti - certo - in uno spirito anche di confronto-scontro.
Molti di noi, specialmente nelle prime Legislature, sono stati anche protagonisti di quel complesso processo che ci ha portati (si è portato) prima alla Repubblica e poi alla Costituzione. Molti di noi si sono trovati collocati dalla parte della Resistenza, e hanno considerato l'impegno di Chivasso sul regionalismo e sulle minoranze del CLN Alta Italia, come una strada da percorrere. E l'abbiamo percorsa.
Ancora oggi, quindi, aver fatto parte del nostro Consiglio regionale nello spirito che poco fa il Presidente Cattaneo ricordava, lo consideriamo un onore. Riconosciamo come nostro dovere - ci tengo ad affermarlo contribuire con la propria esperienza al sostegno della nostra Regione anche nel non semplice momento che sta attraversando.
Sono passati quarant'anni dalla prima Riunione del 1970. Il Presidente Cattaneo ha altresì ricordato che erano passati 22 anni dal 1948, quando nella Costituzione era stato affermato il ruolo delle Regioni.
Le Regioni sono state una conquista, arrivata solo 22 anni dopo: sono il risultato di un complesso processo politico che ha investito il nostro Paese. Per molti di noi è un processo irrevocabile. Penso, quindi, con disappunto a rigurgiti centralisti sempre più fuori dal tempo nell'attuale epoca europea e della globalizzazione.
Ciascuno di noi non può essere autosufficiente: chi crede in ci sbaglia. Discutere vuol dire capire gli altri, ed è un aiuto a decidere meglio. Però bisogna voler decidere con gli altri, nell'interesse di tutti.
Andare, quindi, oltre al proprio "io" di parte, di cui noi siamo sempre stati l'espressione. Per me questo è necessario, ed è possibile.
La politica è l'arte del possibile, non l'imposizione della maggioranza. E ciò dipende, in primo luogo, dalla maggioranza ma anche dalle minoranze.
In questo senso voglio ricordare che abbiamo compiuto, come Associazione, qualche passo nel passato. A tal riguardo, voglio ricordare il trentesimo anniversario, con Vittorelli, ancora in vita; o, ancora, la nostra recente iniziativa di quarant'anni di esperienza di attività della nostra Regione, che abbiamo voluto fare con l'IRES - il nostro Istituto Regionale di Ricerca - che ci ha permesso di dare uno sguardo complessivo su questi quarant'anni e intendiamo, come Associazione, procedere.
Con una parte dei presenti mi permetto di ricordare la sera dell'approvazione dello Statuto, quando era stato fermato l'orologio per non oltrepassare il limite che la legge ci imponeva.
Voglio ricordare, in questa sede, una serie di esponenti importanti di quella fase, da Calleri a Oberto, Berti, Sanlorenzo, Minucci, Zanone Paganelli, Bianchi, Benzi, Viglione, Gandolfi e altri ancora. Mi fermo perché sto commettendo un errore mescolando personaggi importanti della nostra Regione che non ci sono più con altri che continuano a svolgere il loro impegno.
Voglio tuttavia ricordare che quei documenti sono stati approvati all'unanimità, così come gli altri, che il Presidente ha poco fa ricordato che lo hanno aggiornato.
Allora - mi ricordo - si discuteva. Fu un compromesso l'unanimità? Io sono profondamente convinto che nella democrazia dell'alternanza le regole vanno scritte assieme. Perché tali regole potranno durare a lungo.
Sono stato anche amministratore e ci tengo a ricordare due momenti che gli attuali colleghi che interverranno successivamente non hanno vissuto.
Il primo riguarda la drammatica alluvione dell'Ossola, che il Presidente Cattaneo sicuramente ricorderà, a causa della quale abbiamo speso una montagna di soldi.
Vorrei tuttavia ricordare che quei progetti e quelle spese le hanno decise e gestite (sostenute) i Comuni e le Comunità montane: nessuna delibera regionale ha sancito l'esecuzione di quelle opere! Le risorse sono state messe a disposizione delle Comunità montane e dei Comuni. Credo che questo particolare ci possa insegnare come questa nuova struttura delle autonomie, che il Presidente Cattaneo ha ricordato, possa rappresentare una strada attraverso la quale gli enti locali - in primo luogo i Comuni possono recuperare un ruolo più ampio e più diretto in risposte competenti.
Proseguendo il discorso, voglio rammentare un'altra legge che non è stata menzionata, quella della costituzione dei Comprensori nella nostra Regione. Quello fu il primo tentativo di riforma dell'assetto istituzionale della nostra Regione; un primo tentativo, chiaramente individuato e gestito per una legislatura e mezza, attraverso il quale i Comuni, essenza dei comprensori, realizzavano la volontà della Regione.
un'esperienza che sappiamo essere decaduta per esigenze nazionali, ma che credo valga la pena ricordare, perché in una realtà come la nostra di 1.206 Comuni, una strada deve essere percorsa per permettere celerità e concretezza nelle decisioni. Ma credo che tale celerità e concretezza possa essere costruita con quel tessuto democratico di 18-20.000 Consiglieri comunali del Piemonte, che devono essere considerati una forza per realizzare le aspirazioni più generali della nostra società.
Grazie, Presidente Cattaneo, e grazie anche per l'ultima lettera che lei ha inviato a tutti gli ex Consiglieri regionali, invitandoci e fornendoci uno strumento - l'informatica - per poterci collegare, al fine di mantenere i legami e offrire un contributo allo sviluppo e alle iniziative della nostra Regione.
Grazie.
(Applausi)



PRESIDENTE

Presenteremo in autunno il volume "Quarant'anni di Regione", anche se quest'oggi abbiamo l'opportunità di avere tra noi il professor Jörg Luther che ne darà una presentazione in anteprima per questa autorevole Assemblea.
Prego, Professore.



LUTHER Jörg, Professore ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico Università del Piemonte Orientale, Alessandria

Signori Presidenti, Consiglieri e Assessori, Rappresentanti delle autorità locali e statali e cari concittadini, siamo uniti per rendere onore a un'istituzione che merita fedeltà perché è una parte della Repubblica e appartiene al popolo.
Da quando l'Italia è una Repubblica democratica, la sua Costituzione riconosce il Piemonte come una Regione autonoma che solo a seguito delle Regioni speciali si è costituita all'interno dell'unità e indivisibilità di questa Repubblica italiana.
La Costituzione e lo Statuto sono sintonizzati in perfetta armonia su questo comune principio dell'autonomia che presuppone anche quello della sussidiarietà. Il Piemonte non è una Repubblica federata, né l'Italia una Repubblica federale. Eppure, l'autonomia della Regione è un principio del diritto pubblico che legittima e premia quelle forme di federalismo politico che contribuiscono a mantenere, anche in modalità conflittuali unita e indivisibile una Repubblica democratica.
L'autonomia della Regione Piemonte non è il diritto soggettivo di una nazione o di un popolo piemontese, ma il diritto insieme soggettivo e oggettivo di una comunità politica che si è costituita per volontà della Costituzione.
La Repubblica si è fondata sui principi fondamentali della Costituzione che chiede di dare forme e limiti alla sovranità popolare (articolo 1) garantire i diritti dell'uomo (articolo 2), rimuovere gli ostacoli sociali alla libertà e all'eguaglianza dei cittadini (articolo 3), promuovere l'effettività del diritto al lavoro in tutte le sue forme (articolo 4) e "riconoscere e promuovere le autonomie locali" (articolo 5), tutto questo e soprattutto l'ultimo anche per il mezzo della Regione Piemonte.
Nella storia della Repubblica, l'autonomia è stata considerata a lungo solo una tecnica speciale di decentramento amministrativo, e le sue esigenze spesso a priori divergenti dall'interesse nazionale. In fondo così l'avevano pensato i primi fautori del regionalismo ai tempi dello Statuto sabaudo, specialmente coloro che vivevano con un passato austriaco alle spalle. Proprio la storia della democratizzazione dell'Italia e i successi e insuccessi delle Regioni hanno tuttavia insegnato che la Repubblica non si riparte in via amministrativa, ma deve costituirsi in via democratica da Comuni, Città metropolitane, Regioni e Stato. Il popolo inteso come la somma dei cittadini della Repubblica deve esercitare la propria sovranità direttamente o indirettamente su tutte le istituzioni della politica, senza negare la subordinazione degli enti minori a quello maggiore, restando allo Stato riservato sempre la funzione giurisdizionale a garanzia dello Stato di diritto.
In democrazia, il cittadino non è suddito degradato a oggetto della sovranità, ma deve esserne l'autore e il soggetto responsabile in quanto titolare esclusivo dei diritti politici, di voto, associazione, petizione e accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive. La democrazia del cittadino non è più un'utopia, anzi ha più di un luogo. Non è solo statale e locale, ma anche regionale e pretende di essere praticata perfino nell'Unione europea. Se si parla oggi di un "diritto dei cittadini di partecipare alla gestione degli affari pubblici a tutti i livelli di governo", è un'acquisizione culturale dell'ultima generazione che pretende dai cittadini forse più apprendimento e più lavoro politico di quanto molti non siano finora disposti a rendere.
Questo spiega forse anche perché nell'Europa allargata dei 47 stati del Consiglio d'Europa, il progetto di una dichiarazione della Carta della democrazia regionale che usa questo termine non è ancora condiviso da tutti, incontrando resistenze soprattutto nelle isole e nell'Europa orientale. Eppure da questa bozza di Carta apprendiamo che la democrazia regionale serve oramai a "compensare gli effetti della globalizzazione all'interno degli Stati, specialmente tramite politiche regionali di stimolazione economica, di solidarietà sociale, di sviluppo culturale e di protezione delle identità regionali". Esiste dunque non solo un'identità nazionale, ben protetta nel diritto dell'Unione Europea, ma anche un'identità regionale, ancora in via di sviluppo e mutabile nel tempo di un'Europa che stenta a crescere.
In che cosa consista questa identità regionale è una domanda difficile soprattutto in un momento in cui nell'arena politica e a scuola si preferisce parlare tuttora più delle "regioni" al plurale che non della propria Regione al singolare. Anche senza aver finora fatto uso delle nuove opzioni di autonomia rafforzata previste dalla Costituzione riformata (articolo 116 comma 3), la legislazione e le tradizioni amministrative autonome della Regione Piemonte offrono una prima risposta a questa domanda perché rivelano oggi una diversificazione culturale e politica non solo simbolica rispetto alle altre Regioni.
Questa diversità trova un timido eco anche nelle dichiarazioni di identità dello Statuto del 2005, a partire dal richiamo generico del preambolo a una "storia multiculturale e religiosa" e al compito della Regione di "riconoscere e valorizzare le identità culturali, le specificità linguistiche e le tradizioni storico-locali che caratterizzano il suo territorio".
La "storia multiculturale e religiosa" del Piemonte è segnata da un lato dalla posizione geografica di regione di confine, con legami sociali che si estendono almeno fino a Chambery e Nizza. Dall'altro lato è segnato da esperienze di fede che sono simbolizzate nella croce d'argento dello stemma e del gonfalone e unite al coraggio della tolleranza, dimostrata innanzitutto ma non solo verso i Valdesi. La comunità regionale pretende da se stessa di conservare non solo il folklore, i prodotti locali e la memoria del passato monarchico, ma anche i valori delle proprie tradizioni politiche repubblicane, a partire da quel rosso-blu-arancione della Repubblica di Alba che aveva partorito nel lontano 1796 il primo progetto di costituzione repubblicana per il Piemonte, un modello peraltro ereditato dalla resistenza.
Fanno poi parte dell'identità regionale piemontese anche i nomi e le circoscrizioni delle province comprese nel territorio della Regione, che sono appositamente elencati nel primo articolo dello Statuto e, in parte un'eredità dell'antica legislazione piemontese. Queste province antiche e nuove, che già negli anni settanta qualcuno propose di sostituire con i comprensori, dipendono da leggi sulle quali la Costituzione prescrive che la Regione sia sentita prima di ogni mutamento territoriale (articolo 33).
Questo varrebbe a maggiore ragione per l'istituzione di un nuovo ente di città metropolitana sul territorio regionale, che cambierebbe l'identità territoriale tanto del capoluogo della Regione quanto dell'attuale Provincia di Torino. Si tratta di una questione di identità territoriale sulla quale lo Statuto voleva assegnare anche al Consiglio regionale un ruolo politico attivo.
Fa parte invece delle "tradizioni storico-locali" la frammentazione dei Comuni che denota una specialità piemontese rispetto alle altre Regioni.
Nel piccolo Comune la partecipazione del cittadino può avere maggiori opportunità che in quello grande, mentre avrà minori opportunità l'attuazione dei suoi diritti fondamentali relativi ai servizi pubblici. Lo Statuto raccomanda non già una riforma territoriale degli Enti locali piemontesi, realizzabile peraltro solo con un'iniziativa regionale di legge statale. Tuttavia esige un'elezione di rappresentanti degli enti locali nel Consiglio delle autonomie locali e riconosce la specificità dei territori montani e collinari, promettendo peraltro "condizioni speciali di autonomia (...) alle Province con prevalenti caratteristiche montane" (articolo 8).
Ai piedi dei monti si rivendica una particolare responsabilità politica dei cittadini per le montagne e per le colline.
Lo Statuto assegna poi alla Regione il compito di tutelare e promuovere "l'originale patrimonio linguistico della comunità piemontese, nonch quello della minoranza occitana franco-provenzale e walzer" (articolo 7).
forse solo un'ironia della storia che una recente sentenza della Corte Costituzionale, motivata da un insigne storico fiorentino del diritto italiano, abbia dichiarato incostituzionale una legge regionale recente (l.r. n. 11 del 2009 recante "Tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio linguistico del Piemonte") perché equiparava la "lingua piemontese" alla lingua di una minoranza linguistica ai sensi dell'articolo 6 della Costituzione. L'Italia, a differenza perfino della Francia, infatti non ha ancora ratificato la Carta europea delle lingue regionali e minoritarie del 2000, ma alla Regione non è precluso prendere delle iniziative in tale direzione.
La Carta consentirebbe di equiparare alle lingue delle minoranze quelle regionali "praticate tradizionalmente sul territorio di uno Stato da parte di appartenenti che costituiscono un gruppo numericamente inferiore a quello del resto della popolazione dello Stato", ma non anche semplici dialetti. Ora, se si volesse difendere il "piemonteis" come una "lenga d'Pòpol" più che come un idioma o dialetto, si dovrebbero qualificare coloro che parlano il piemontese come una minoranza nello Stato, ma si rischierebbe anche di considerarli non più una maggioranza culturale nella propria Regione.
Un ulteriore cenno all'identità regionale si trova peraltro nel compito della Regione di valorizzare il legame con la "comunità dei piemontesi nel mondo" e di favorire "il più ampio processo di conservazione delle radici delle identità storico-piemontesi" (articolo 7 comma 5 dello Statuto). In mancanza di una cittadinanza regionale istituzionalizzata, sono piemontesi nel mondo forse non solo gli indigeni emigrati all'estero, ma anche quelli migrati in altre Regioni. Anche per questo, essi non possano partecipare alla democrazia regionale allo stesso modo in cui gli italiani nel mondo partecipano alla democrazia nazionale. La comunità regionale rivendica con questo richiamo tuttavia una propria identità culturale particolarmente aperta e "speciale". Si riconosce il coraggio di quanti sono stati capaci di aprirsi e di vivere altrove, senza pretese di egemonia colonizzatrice o di chiusura monoculturale, ma anche senza i risentimenti del tipo: "Io non ritorno perché ho tagliato i ponti." La Costituzione e lo Statuto definiscono solo in modo indiretto e informale una cittadinanza regionale. Quello che gli abitanti del Piemonte hanno in comune è innanzitutto questa amministrazione e il suo potere sul territorio. Questa identità regionale piemontese può dirsi certamente sviluppata negli ultimi quarant'anni della Regione, ma fino a che punto è diventata effettivamente democratica? Come si sono sviluppate le forme della democrazia regionale piemontese? Allo scienziato del diritto non spetta valutare, ma individuare elementi utili per un giudizio che in un'occasione come questa tendono a pesare più sul piattino delle speranze che su quello dei timori.
Sicuramente hanno pesato soprattutto le elezioni, che hanno dato alla Regione Piemonte una sorprendente storia di alternanza democratica, decisa sempre direttamente dagli elettori. Lo Statuto ha, sin dall'inizio enfatizzato la partecipazione dei cittadini alla vita politica anche nelle altre forme dirette dei referendum e delle petizioni, e in quelle indirette, tramite un'opinione pubblica libera capace di informarsi e fondata sulle opinioni dei cittadini individuali e delle loro associazioni.
A differenza della democrazia nazionale, quella piemontese tuttavia non ha vissuto alcun referendum regionale, né sullo Statuto né su un tema come la TAV, semmai qualche iniziativa popolare o degli Enti locali.
A differenza della Costituzione, lo Statuto tace poi sui partiti politici, la cui dialettica e le cui vicende regionali hanno non sempre solo riecheggiato, ma talvolta anche anticipato quelle dei partiti nazionali. I partiti politici che hanno formato i primi governi regionali non esistono più e quelli che hanno formato gli ultimi sono partiti nuovi non solo piemontesi, che restano debitori di una crescita della democrazia interna, anche a livello regionale. Qualcuno si lamenta a questo proposito che non si sia ancora formata una "classe politica" regionale adeguata, ma non va dimenticato che questo termine ha una tradizione pre-democratica e soprattutto non aiuta a sviluppare un dialogo fecondo tra i politici e i tecnici, inclusi gli scienziati del diritto e della politica, spesso convinti di verità piuttosto astratte e relative.
La democrazia regionale ha in ogni caso bisogno di governatori e consiglieri, di donne e uomini che siano legati a partiti politici senza un mandato imperativo e che si prendano cura del compito di sviluppare una cultura politica popolare dentro e fuori i partiti, senza delegarla a presunte élite culturali. Il finanziamento pubblico e trasparente dell'apporto dei partiti a questa cultura politica diffusa resta peraltro un problema aperto della democrazia regionale, come anche la garanzia dei diritti del singolo consigliere, che non può essere incentivato a costituire un "monogruppo" in Consiglio regionale.
La democrazia regionale, come quella nazionale ed europea, richiede una cultura civica particolarmente impegnativa, perché non è facile essere sovrani. Il primo Statuto aveva legittimato alcuni interventi regionali a favore del pluralismo delle fonti regionali di informazione. Il numero delle pubblicazioni ufficiali della Regione resterà indeterminabile. Non pochi diffidenti credono forse che sia più utile "conoscere qualcuno del giro" delle cariche e degli uffici che fidarsi dell'opinione pubblicata, ma la trasparenza offerta è superiore a quella percepita. La politica piemontese appassiona anche meno di quella nazionale, ma forse è stata anche un po' meno sofferta. Fa parte della cultura civica piemontese un buon senso della responsabilità, come dimostra anche il fatto che i delicati problemi dei rapporti tra politica e giustizia sono stati affrontati in Piemonte sin dai primi anni della Regione.
La democrazia regionale può crescere o perdere consistenza anche per effetto delle dinamiche della forma di governo regionale che va sempre letta come una mediazione tra quella locale e quella nazionale. Se si confrontano i due Statuti del 1970 e del 2005, sembrerebbe esagerato parlare del passaggio da una forma di governo "consiliare" a una forma di governo "presidenziale". Il Presidente della Regione Piemonte non è mai stato un prigioniero del Consiglio, né il Consiglio è mai stato un'assemblea di vassalli di un principe. L'elezione diretta e contestuale del Presidente della Giunta e del Consiglio e il nuovo principio costituzionale dell'interdipendenza reciproca (simul stabunt simul cadent) hanno da un lato solo eliminato la possibilità di una preminenza del Consiglio. Dall'altro lato non hanno precluso alla legge elettorale, ancora statale e solo in minima parte riformata dal legislatore piemontese, di premiare il "listino" del futuro presidente con fino a 12 seggi in modo da garantire alla sua coalizione una forte maggioranza consiliare, normalmente addirittura superiore a 33 su 60 consiglieri. Questo premio di maggioranza deroga come la clausola di sbarramento al principio secondo cui ogni cittadino deve contare in modo uguale e deve avere lo stesso peso nella legittimazione delle cariche elettive, deroga che può essere legittimata solo dalla presumibile volontà di tutti di avere un governo regionale stabile. Tale stabilità non può essere assicurata solo dalla legge elettorale regionale, ma la legge non deve nemmeno premiare la moltiplicazione delle liste se con il loro numero non cresce anche quella stabilità della maggioranza prospettata.
La democrazia maggioritaria regionale dipenderà in ultima analisi sempre dalla coesione politica dei partiti e delle coalizioni della maggioranza di governo, ma anche dalla capacità delle opposizioni di controllare le scelte di governo, anche in sede di Conferenza Stato Regioni, e di rappresentare delle alternative politiche. Il cosiddetto "statuto delle opposizioni" è stato completato solo nel 2009 con una riforma del Regolamento del Consiglio che ha ristretto le loro opportunità di ostruzionismo. Le opposizioni potranno determinare in futuro almeno un quinto dell'agenda politica, ma è stato delegato all'Ufficio di Presidenza l'ulteriore compito assegnato dallo Statuto al Regolamento, quello di definire i tempi di lavoro del Consiglio per lo svolgimento delle attività del sindacato di controllo e di garantire l'informazione sulle proposte e sulle attività delle opposizioni. Il futuro della democrazia "maggioritaria" regionale alimenta pertanto, come ogni futuro, speranze e timori che i suoi stessi attori sono chiamati a rappresentare adeguatamente.
In ultima analisi, la democrazia regionale è cresciuta anche perch sono aumentati i compiti e le competenze della Regione, peraltro più della sua responsabilità e capacità finanziaria. Le incertezze sulle competenze e sulle risorse, incertezze generate a tutti i livelli di governo, pesano purtroppo non poco anche sulla capacità del cittadino di far valere le responsabilità dei propri rappresentanti. Una conseguenza preoccupante è il proliferare di cooperazioni, convenzioni e forme di soft law che impongono al cittadino sempre maggiori costi di informazione, un'altra è la sempre minore partecipazione al voto. Queste e le altre criticità della democrazia regionale restano una sfida per il futuro, ma i cittadini del Piemonte possono essere fieri di non avere più bisogno di un Alfieri che spiega come si possa vivere sotto una tirannide. Grazie anche alla mitezza della memoria possono avere fiducia in se stessi e sviluppare anche un proprio senso di patriottismo istituzionale verso la Regione. Non ci resta che ringraziare coloro che l'hanno servita e chi ha avuto la pazienza dell'ascolto, farci gli auguri di buon compleanno e continuare il lavoro.



PRESIDENTE

Come ricordavo in apertura dei lavori, questa è un'Assemblea aperta.
Volevo pertanto cogliere l'occasione di ringraziare i Consiglieri regionali perché, come Ufficio di Presidenza e come Conferenza dei Capigruppo, si è deciso di rinunciare agli interventi per lasciar spazio alla testimonianza storica dei Presidenti dei Consigli e di Giunta che si sono succeduti in questi quarant'anni, cominciando dalla II Legislatura, perché, purtroppo per questioni naturali, per la I Legislatura non sono presenti né il Presidente di Giunta né l'allora Presidente del Consiglio regionale.
Il primo Presidente che interviene sarà Dino Sanlorenzo, Presidente del Consiglio regionale durante la II Legislatura.



SANLORENZO Dino, Presidente del Consiglio regionale nella II Legislatura (1975-1980)

Celebrazione o commemorazione? Capisco che può sembrare brutale porre le questioni in tal modo, però dobbiamo anche richiamarci alla realtà del nostro Paese, dell'Europa e del momento che stiamo vivendo a livello mondiale. Noi non siamo fuori da questo contesto e non lo fummo nemmeno quando, ventidue anni dopo la Costituzione, nacquero le Regioni.
Nacquero in un momento drammatico: è di pochi mesi prima, infatti, la strage della Banca dell'Agricoltura di Milano, con feriti e vittime; o ancora, gli attentati sui treni.
La Regione nasce quasi contemporaneamente con la rivolta di Reggio Calabria, che non era soltanto una questione per decidere il capoluogo di provincia. Come ricordava ancora questa mattina in televisione Pino Rauti fondatore di Ordine Nuovo, loro si ponevano obiettivi ben maggiori: partire da Reggio Calabria per poi diffondere una necessità di rivoluzione che diede vita ad episodi e a tentativi di colpi di stato, e al "tintinnar di sciabole", che ricordò Nenni.
Lo Stato italiano nasce con un enorme ritardo rispetto agli Stati europei. Lo Statuto Albertino non raccoglie tutte le parti migliori delle democrazie più antiche della nostra.
Lo Statuto regionale non nasce nemmeno con la Costituzione (o, meglio nasce solo sovrastrutturalmente con la Costituzione), ma ventidue anni dopo. E non nasce con un grande movimento regionalista che spinge a "costruire" le Regioni. Nasce per una combinazione di situazioni politiche così complesse che potevano portare o ad elezioni anticipare oppure alle Regioni.
Le Regioni nascono così, nel 1970 (se no, potevano nascere nel 1968 nel 1969 o ancora nel 1972). Nascono senza soldi: Nesi ha ricordato che i primi due mesi non avevano neanche lo stipendio! Non c'erano soldi da nessun tipo di "donatore", perché lo Stato aveva dato il via alle Regioni ma aveva anche fatto dei modelli di Statuto pensando che sarebbe stato opportuno che tutti fossero uguali: altro che autonomia! La legge del 1953 e successivamente quella di Visentini descrivevano come il Governo voleva le Regioni (la prima, quella del 1953), mentre l'altra accentrò tutti i finanziamenti. Noi fummo, quindi, un ente strano che nacque con i finanziamenti "superiormente determinati" - (termine che cominciò ad aprire la strada all'incomprensibile linguaggio "politichese") e con dei poteri scritti sulla carta che non si potevano esercitare. In particolare le Giunte: senza soldi, come facevano a gestire quelle funzioni che arrivarono comunque in ritardo rispetto alla stessa costituzione degli Statuti? Sin dalla I Legislatura, a cui io partecipai come Vicepresidente, si aprì la strada dello Statuto e delle iniziative che si potevano prendere senza soldi e con molta fantasia, che allora non erano scritte né negli Statuti, né nella Costituzione, ma si avvertivano come esigenza della situazione politica generale. Cominciammo, ad esempio, a costituire una classe di dirigenti e di funzionari: convocavamo le assemblee mensili di tutti i funzionari per sentire come la pensavano loro (cosa andava bene cosa andava male, cosa bisognava cambiare). Perché per costruire la Regione dovevamo essere assieme! Qualcuno imparò così bene che poi divenne, più tardi, Presidente del Consiglio regionale (mi riferisco, se non erro, a Carla Spagnuolo, che già allora era con noi). Qualcun altro non arrivò ad essere Presidente, ma rappresentò comunque un asse portante per sette legislature su otto, come la dottoressa Rovero. Altri ancora sono ancora presenti adesso.
Al centro di tutto, nello Statuto ponemmo la questione della partecipazione, un tema che veniva dalle lotte operaie, che in quel momento riprendevano ad essere forti e avrebbero poi, nei cinque anni successivi conquistato tanti diritti per i lavoratori; diritti che oggi sono invece in discussione.
Ma "partecipazione" che cosa voleva dire? Non governare "per" il popolo, ma governare "con" il popolo, cosa ben diversa. Non ascoltare ci che dice la gente, e farlo.
Perché se nel 1975 avessimo ascoltato ciò che voleva la gente, ci sarebbe stata la pena di morte in 24 ore, sostenuta da Ugo La Malfa e Massimo Mila, due uomini della Resistenza.
Attenzione: bisogna sentire, avere occhi e avere la consapevolezza del primato della politica, che a sua volta significa ascoltare, elaborare tradurre in atti legislativi, in fatti.
Nella II Legislatura ci trovavamo più o meno nella stessa condizione: soldi non ce n'erano e in più c'era la nascita dello "stragismo nero", che precedette le Brigate Rosse. Talvolta ci si dimentica di questo fatto.
Quando ci fu la strage della Banca dell'Agricoltura di Milano non c'erano ancora le Brigate Rosse; queste arriveranno più tardi. Certo dal 1975 al 1980 il tema dominante non riguardava le competenze trasferite alle Regioni, ma la democrazia in quanto tale, la salvezza dello Stato democratico, la vita quotidiana dei cittadini. Nel 1977 c'era un attentato al giorno. Furono giornate intense, feroci. Avevamo vestiti neri pronti per andare a soccorrere o per far coraggio ai feriti negli ospedali o cordoglio ai parenti delle vittime. Vivevano in auto blindati (non tanti, ma alcuni).
La vita a Torino era quella.
Cosa bisognava fare, senza soldi e senza niente? Bisognava convincere una parte dell'opinione che seguiva con interesse l'attività delle Brigate Rosse (Rosse, non Nere) e convincerli che anche la Regione, questo ente strano nato con tanto ritardo, poteva contribuire a risolvere la situazione. Lì, allora facemmo di tutto: nacquero i comitati, come quello antifascista, tuttora in attività, nacque la Consulta europea, la Consulta femminile. Tra l'altro, con la Consulta europea organizzammo un convegno (l'unico in Italia) su "Le Regioni e l'Europa".
"Le Regioni e l'Europa", Presidente Cota! Tutto questo quando lei e l'onorevole Bossi non credo pensaste alle Regioni e all'Europa. Quello fu l'unico convegno che si fece in questi cinquant'anni, stampato da Guanda la casa editrice delle università. Ancora oggi, quello rimane l'unico tentativo di vedere lontano, vedere quello che sarebbe potuto accadere o che potrebbe ancora succedere se prevale l'ottimismo della volontà rispetto al pessimismo dell'intelligenza. Io credo che prevalga, e questa Assemblea credo che lo dimostri.
Parlano poi i dati e le cifre (sono stati pubblicate ancora ieri su La Stampa* per cui non intendo tediarvi oltre), ma certo vi fu progressivamente una mobilitazione popolare, che all'inizio era ovviamente bassa. Noi contavamo la partecipazione della gente alla lotta contro il terrorismo sulla base di quanti partecipavano ai funerali: al funerale di Casalegno, ad esempio, non ci furono molte persone. Ce ne furono molte di più a quello del giovane Iurilli, morto per sbaglio per essersi trovato in mezzo alle sparatorie. In quel caso, parteciparono molti studenti. Poi però, progressivamente la partecipazione crebbe e naturalmente rivestì un ruolo, io ritengo, decisivo per l'isolamento dei terroristi, che non trovarono più sedi. Un terrorista senza sede non vive, perché ha bisogno di un posto in cui rifugiarsi dopo le proprie azioni; un posto sicuro. Ma a quel punto, i portinai e i padroni di casa non concedevano più affitti se non c'erano tutti i documenti che ovviamente i terroristi non potevano fornire.
Vincemmo quella battaglia. Torino fu la prima città a liberarsi dal terrorismo, con la confessione di Peci, che parlò perché ad un certo punto si sentì isolato nell'azione che invece per loro doveva essere determinante: la conquista della classe operaia per la rivoluzione comunista.
Vincemmo quella battaglia, che peraltro continuò in altre forme, ma non più in quella.
Infine, vorrei rivolgere qualche pensiero di ricordo verso coloro con cui abbiamo lavorato. La I Legislatura fu eccezionale: alcune figure diventarono Segretari nazionali di partiti, come Zanone. C'erano figure come Nesi, che divenne un grande banchiere, come Giovana, grande storico Calleri, grande imprenditore, come Bianchi (DC) medaglia d'argento della Resitenza e molti altri che la Resistenza l'avevamo fatta davvero come Berti, Marchesotti, Rosario e altri ancora.
Aleggiava uno spirito in noi, consapevole che stavamo tentando una carta per rinnovare l'Italia, non soltanto "fare" la Regione! La Regione come strumento per rinnovare un'Italia che scricchiolava, che non andava avanti, che non faceva i progressi che doveva fare dopo il miracolo economico.
Adesso in che condizioni siamo? Siamo così. Io sono convinto che il federalismo fiscale ad un certo punto darà i mezzi per l'autonomia delle Regioni, sempre nel quadro che ricordava il Professore - il quadro di uno Stato unitario - ma è certo che se si tolgono i soldi alle Regioni o non gliene si concede di più, credo che il federalismo sia molto, molto difficile, perché deve essere equo e solidale, perché non può significare invece, la nascita di 18 o 20 repubbliche italiane. Questo oggi non si sa e non credo nemmeno che se si accoglie l'accomodamento di un miliardo in più alle Regioni la questione sia risolta.
quindi, una battaglia che abbiamo cominciato, che voi avete proseguito e che adesso è tutta aperta: si può andare avanti, ma si pu anche andare indietro.
*Negli anni dal '75 al 1980 l'iniziativa della Regione Piemonte, degli Enti locali, dei sindacati, delle organizzazioni democratiche contro il terrorismo è stata questa. Ecco in sintesi le cifre: 300 mila cittadini sottoscrissero la petizione lanciata da Regione Piemonte e da Cgil, Cisl e Uil perché si svolgesse regolarmente il processo alle Br e così fu; 700 iniziative promosse dai Comuni nei quartieri; 400 assemblee in fabbrica con la presenza delle forze politiche, sindacali e alcuni intellettuali; 80 assemblee nelle scuole medie superiori; 350 manifestazioni promosse da associazioni democratiche e organismi unitari; decine di migliaia di lavoratori e di cittadini parteciparono alle manifestazioni e alle iniziative promosse dal Comitato Regionale Antifascista; oltre 12 mila cittadini risposero al questionario sul terrorismo promosso dal Comitato Regionale Antifascista.
*da La Stampa del 16 luglio 2010



(Applausi)



SANLORENZO Dino, Presidente del Consiglio regionale nella II Legislatura (1975-1980)

PRESIDENTE



SANLORENZO Dino, Presidente del Consiglio regionale nella II Legislatura (1975-1980)

Abbiamo concesso volentieri un po' più di tempo al Presidente Sanlorenzo perché credo sia stato molto interessante ascoltare la sua testimonianza, come sono certo anche quella degli altri Presidenti.
Il secondo intervento è quello di Ezio Enrietti, che è stato Presidente della Giunta regionale durante la III Legislatura, dal 1980 al 1983.



ENRIETTI Ezio, Presidente della Giunta regionale nella III Legislatura (1980-1983)

Presidente, Signori Consiglieri, Autorità, Signore e Signori, questa cerimonia assume un particolare rilievo per il momento in cui avviene: lo scontro fra Governo e Regioni sulla manovra finanziaria.
con la massima umiltà e rispetto che mi accingo a fare brevemente alcune considerazioni. Perché queste non siano parole retoriche e di circostanza, vorrei farmi e fare alcune domane che non richiedono risposta immediata, ma siano un richiamo alla riflessione.
Trent'anni fa fui promotore della Conferenza dei Presidenti delle Regioni di cui fui il secondo Presidente, dopo Guazzetti della Lombardia e prima di Turci dell'Emilia Romagna.
Allora parto da lì e mi chiedo: la Conferenza delle Regioni così come è formata, i suoi compiti, i suoi meccanismi è ancora uno strumento utile per lo sviluppo delle politiche Regionali? La stessa Conferenza, pur nella giusta presa di posizione contro la manovra finanziaria, ma l'aver posto come tema rivendicativo la rinuncia alla delega di cui è oggetto il taglio di spesa, non è forse un gravissimo errore concettuale e di strategia? Giusto rivendicare equità, ma non certamente restituire la delega. Anzi! Bisogna prepararsi alla madre di tutte e battaglie: il rafforzamento dell'autonomia tributaria.
Il coinvolgimento di tutti i Consigli regionali in una lotta che dovrebbe superare i confini stretti della direttiva dei partiti è un imperativo categorico per il raggiungimento del risultato.
Mi chiedo ancora: alcuni bilanci regionali rispettano la buona regola della corretta, oculata amministrazione della cosa pubblica? Il mancato impiego dei Fondi europei di molte Regioni non richiede risposte più precise, invece che rimbalzi di responsabilità, così come i tanti Uffici regionali all'estero, organici gonfiati in alcune regioni, il nodo delle invalidità? Ed infine, la denuncia del giornalista de La Stampa Ricolfi, nel suo libro "Il sacco del nord" non richiede un'approfondita analisi? Scrive Ricolfi: "Io non credo che in nome dell'eguaglianza sia lecito derogare al principio di responsabilità individuale e collettiva, il merito va riconosciuto e premiato sempre, sia esso quello dei gruppi o delle istituzioni".
Celebriamo il 40° anno della nascita della Regione! Un momento per riassumere quanto è stato fatto e quanto c'è ancora da fare. E appare chiaro che tanto, tantissimo ci sia ancora da fare.
Il Piemonte è stato, nelle sue varie maggioranze che l'hanno governato sicuramente anche l'ultima, una Regione virtuosa, dove si è lavorato bene.
Voglio citare, concludendo quanto Stella e Rizzo, nel loro libro "La deriva", hanno scritto dopo aver citato tantissimi dati negativi. "E Venaria Reale? Santa Politica, lì, ha fatto davvero un miracolo: in una manciata di anni, meno di quelli spesso insufficienti a costruire un cavalcavia, ha riscoperto, recuperato e regalato all'Italia e al mondo interno una delle più grandi, belle, sfarzose regge di caccia del pianeta.
Era un rudere la Venaria, alle porte di Torino, costruita dai Savoia a partire dalla metà del Seicento. Un rudere con gli alberi che crescevano sui tetti. E oggi è una meraviglia. Grazie a Romano Prodi e Silvio Berlusconi, Enzo Ghigo e Mercedes Bresso, Walter Veltroni, Giuliano Urbani e Carlo Azeglio Ciampi, Sergio Chiamparino e i Sindaci Giuseppe Catania e Nicola Pollari. Insomma: la destra e la sinistra".
Centrata descrizione. Voglio aggiungere di mio, per dare compiutezza alla citazione, un grazie a Piero Fassino, che ha dato il via al percorso della ricostruzione e un grazie a due Direttori regionali che hanno completato l'opera: Maria Grazia Ferreri e Alberto Vanelli.
La storia si ripete. Ancora una volta, se le forze migliori di questa Regione troveranno le ragioni per affrontare insieme queste questioni, il Piemonte potrà essere capofila di un nuovo risorgimento delle Regioni.
questo l'auspicio che rivolgo ai Presidenti Cota e Cattaneo.
Grazie.



(Applausi)



PRESIDENTE

Ringrazio il Presidente Enrietti.
Adesso invito Vittorio Beltrami, Presidente della Regione durante la IV Legislatura, dal 1985 al 1990.



BELTRAMI Vittorio, Presidente della Giunta regionale nella IV Legislatura (1985-1990)

Brevissimamente, ringrazio per questa grande e magnifica occasione d'incontro, largamente piacevole anche sul piano umano, arretriamo di quarant'anni, facciamo dei passi indietro evocando dei ricordi, che talvolta, sono di entusiasmo. È una riunione che ci restituisce giovinezza quarant'anni dopo, nel ricordo di tante giornate costruttive dell'esperienza regionale, rivolgendo un pensiero di vera riconoscenza a quanti abbiamo conosciuto sotto questo aspetto nel mondo politico e, poi nel volontariato, che è un'intelligente espressione di ente, cioè strutture del sociale che hanno ricercato, anche attraverso lo spazio e il confronto ampi spazi di umanizzazione del sistema, intelligenza programmatoria concordia sui fini e sulle opere.
Ormai, gli anni di vita hanno lasciato in Piemonte imponenti testimonianze di iniziative - è stato ricordato poco fa - di opere e di rettitudine popolare, che hanno assistito e, a volte, hanno permesso di scrivere un'impegnativa testimonianza di storia.
La nostra regione annovera nel passato - è vero - la gloria di una casa regnante, ma, soprattutto, vanta la nascita stessa dello Stato italiano dalle lotte risorgimentali alla Resistenza.
Per la ricchezza di vestigia nella memoria storica esistente è difficile fare oggi una selezione fotografica. Questo, però, ci consente quarant'anni dopo, di poter affermare che questa realtà sociale strutturale e operativa costituisce la vera storia di questo Piemonte attraverso la nascita della Regione.
La difesa del principio di fondo e la stessa anima regionale hanno consentito al Piemonte di essere richiamo e auspicio per la riscrittura di quei valori che attengono alla morale, alla giustizia e alla libertà, che risuonano vero auspicio e sollecitazione nell'avvenuto grande respiro di libertà trasmessoci dalla Resistenza. Allora, la nostra ribellione di appena diciottenni ha rappresentato un atto liberatorio dello spirito e della morale, quasi una "avventura epica", come ebbe a chiamarla più tardi Beppe Fenoglio.
In conclusione, perché ho detto queste cose? Perché le vado a cercare? Perché le ricordo? Lo faccio da pensionato che vive ancora giornate di servizio per la comunità presso la Casa della Resistenza di Fondotoce, nel Verbano Cusio Ossola. È la più grande Casa della Resistenza in Europa, nata attraverso una legge regionale, quale Parco della Memoria e della Pace, ed è visitata da migliaia di persone, da moltissimi giovani e quotidianamente dalle scuole: anche lì si rivive la storia e se ne traggono non trascurabili insegnamenti. La Regione costruendola alle porte della storica Repubblica dell'Ossola del 1944 - è stata ricordata dal Presidente Bajardi ancora richiama i valori che ci sono cari e che hanno ispirato molti dei Consiglieri regionali, le loro vite e loro opere.
Allora, abbiamo tentato di fare del Piemonte una regione a misura d'uomo, l'uomo con la "U" maiuscola, l'uomo cittadino, autore e protagonista, ma anche destinatario delle città organizzate. L'uomo è stato posto al centro del sistema regionale nella sua individualità, promosso e non emarginato, con la sua personalità, i suoi bisogni e le sue istanze che costruiscono con noi la Regione dentro la quale viviamo.
Ci siamo riusciti? Non lo so, non mi sentirei di dirlo; di certo lo abbiamo voluto, di certo abbiamo fatto un tentativo.



(Applausi)



PRESIDENTE

Ringrazio il Presidente Beltrami per la sua testimonianza.
La parola alla Presidente Spagnuolo, Presidente del Consiglio regionale durante la V Legislatura, tra il 1990 e il 1995, e, attualmente Consigliera regionale in carica.



SPAGNUOLO Carla, Presidente del Consiglio regionale nella V Legislatura (1990-1995)

Grazie, Presidente Cattaneo, di questa bellissima iniziativa per i quarant'anni di Regione.
Quarant'anni per quello che riguarda un ente o un'istituzione sono pochissimi, è un soffio, se pensiamo ai nostri Comuni che hanno centinaia di anni; quarant'anni, invece, per una persona sono una vita.
Devo dire che la Regione è stata la mia vita, perché, di questi quarant'anni, trenta li ho vissuti ininterrottamente, con diverse esperienze e ruoli, nella Regione Piemonte.
Ho scelto la Regione Piemonte perché da giovane laureata in giurisprudenza all'Università di Torino decisi di non presentare domande n alla FIAT né da altre parti, cercando di vivere la mia esperienza lavorativa come funzionario alla Regione Piemonte, che nel frattempo si istituiva. Ho avuto una grande fortuna nel conoscere questo Ente in ruoli ed esperienze completamente diversi.
Come ricordava il Presidente Dino Sanlorenzo, che ringrazio, la Regione, negli anni '70, aveva magari poche donne elette, ma era uno straordinario gineceo di dirigenti donna. Avendo cominciato a lavorare presso il Consiglio regionale del Piemonte, voglio ricordare a tutti voi l'architrave del Consiglio regionale di tutti questi anni: la dottoressa Maria Rovero, che è qui presente. Richiamo solo lei per ricordare tantissime altre donne dirigenti che hanno dato vita, capacità, impulso e determinazione alla crescita di quest'Ente.
Gli anni nei quali ho partecipato, essendo poi stata eletta e diventando Presidente del Consiglio regionale del Piemonte, sono stati caratterizzati da alcuni elementi: prima di tutto, la battaglia contro il centralismo, proseguendo il percorso per rivendicare competenze, per assegnare alla Regione sempre più compiti, ma soprattutto per rivendicare quell'autonomia di ente legislativo, di Parlamento. Tale battaglia è andata avanti, sfociando oggi nella modificazione della Costituzione, come ci ha ricordato il professor Luther, e nel federalismo.
I miei anni sono stati caratterizzati da permanenti presenze a Roma per la trasformazione delle competenze.
Voglio ricordare qui una persona che mi è stata carissima, che ha ricoperto il ruolo di Presidente della Giunta regionale, che con me ha vissuto quegli anni: Gianpaolo Brizio, che non c'è, ma coraggiosamente condusse avanti questa battaglia per il rafforzamento delle competenze delle Regioni.
La mia Legislatura, negli anni dal 1990 al 1995, ha visto il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica. Sono stati anni difficilissimi vissuti con Brizio, i Vicepresidenti e i Capigruppo di allora, che ricorderanno la difficoltà in ordine a persone, situazioni ed eventi, che portarono a questa trasformazione.
Sono anni nei quali ponemmo al centro della nostra azione anche alcune iniziative specifiche. Accanto a me è seduto Rolando Picchioni e dietro di me è seduta Mercedes Bresso. Ebbene, voglio ricordare, per esempio, proprio in quegli anni, le battaglie per l'ACNA e quelle per la Valle Bormida. La nostra delegazione entrò all'ACNA e visitò i lagoons. Si trattò di una visione che ci sconvolse veramente e Rolando Picchioni, rientrando con me in macchina, telefonò a Brizio e gli disse che dovevano intervenire. Certo alle spalle avevamo una bandiera dell'ambientalismo, che è sempre stata Mercedes Bresso, che, evidentemente, con tanti altri, condusse questa battaglia.
Voglio ricordare le due popolazioni della Valle Bormida, che entrarono nel Consiglio regionale: allora non fu tumulto, ma un qualcosa che caratterizzava quel principio della partecipazione a cui faceva riferimento Dino Sanlorenzo.
Passaggio dalla prima alla seconda Repubblica: sono stata rieletta nel 1995, nel 2000 non mi sono ricandidata, ma ho avuto la fortuna di conoscere questo nuovo approccio alla politica, questa nuova politica, collaborando con il Presidente Enzo Ghigo, che fu il primo interprete di questa nuova politica, di questo nuovo approccio alle istituzioni e ai problemi. Quindi la mia è stata una esperienza lunga, che ho vissuto con grandissimo amore verso questo Ente, che sento essere la mia casa.
Oggi, ritengo di essere una persona privilegiata, perché in questa Legislatura ho avuto modo di sedere nuovamente in Consiglio regionale.
Ebbene, se qualcosa dobbiamo imparare da coloro che ci hanno preceduto nella mia primissima esperienza ricordo quella persona straordinaria che fu il Presidente Viglione, ma è stata ricordata la I Legislatura caratterizzata da personalità straordinarie, qui è presente il primo Capogruppo del Partito Socialista alla Regione Piemonte, Mario Nesi - dai padri costituenti - possiamo dire così - della Regione Piemonte, dobbiamo tenere in considerazione due elementi come opinione della realtà della Regione Piemonte. I nostri padri fondatori, da sempre, considerarono quella esperienza estremamente alta, considerarono il Consiglio regionale come un Parlamento - ricordo Viglione che diceva: "Noi siamo il Parlamento della Regione Piemonte" - ritenendo da sempre i rapporti con questa Regione non chiusi, ma aperti all'Europa e alle trasformazioni che la politica europea poi, ci ha prospettato.
Voglio ricordare una seconda questione: è vero che c'erano pochi soldi ma allora ci insegnarono che per essere buoni amministratori non basta stare dietro le scrivanie, occorre muoversi sul territorio, occorre vedere quello che succede, si deve parlare con la gente e fare sintesi delle esigenze della gente. Ebbene, credo che queste due caratteristiche possano e debbano segnare la politica regionale di oggi.
Relativamente al ruolo che spero di svolgere, essendo, in qualche modo una privilegiata, perché sono nella politica del presente, sono nella Regione di oggi, vorrei cercare di essere un punto di riferimento per una politica il più possibile di equilibrio. Si tratta di un punto di riferimento per far capire, sì, che noi siamo di parte, ma che il pluralismo è un valore, che il rispetto dell'altro, anche se avversario, è qualcosa che ci deve contraddistinguere sempre, perché dà civiltà alla politica, anche a questa nuova politica, che è fatta di giovani. Non è un caso che alla Presidenza siedano due giovani, il Presidente del Consiglio e il Presidente della Giunta, che sono due quarantenni, che voglio ringraziare. Non è un caso che questa nuova politica veda molte donne giovani, che fanno parte anche della Giunta regionale, che possono svolgere la loro funzione pur essendo giovani e pur avendo dei bambini piccoli: noi un poco abbiamo aperto questa strada e di questo possiamo essere orgogliosi.
questo lo spirito con il quale in questi anni si è lavorato, la vita della Regione è stata di crescita. Oggi, abbiamo una nuova sfida: quella del federalismo. Essendo una persona ottimista, penso che i prossimi cinque anni della mia esperienza politica saranno i più belli, insieme a voi saranno i migliori, me lo posso veramente augurare.



(Applausi)



PRESIDENTE

Ringrazio la Presidente Spagnuolo.
Adesso invito sul palco l'onorevole Rolando Picchioni, che è stato Presidente del Consiglio regionale durante la VI Legislatura, tra il 1995 e il 1998.



PICCHIONI Rolando, Presidente del Consiglio regionale nella VI Legislatura (1995-1998)

Signor Presidente, autorità cari amici : "Quando un popolo non ha più il senso del suo passato si spegne.
Si diventa solo creatori quando si ha un passato.
La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia".
Così scrive Cesare Pavese ne "Il mestiere di vivere". È per questo che oggi non si consuma una semplice celebrazione memoriale o il rituale di un passato che alcuni conoscono, pochi ricordano e altri dimenticano. Si partecipa invece, al vissuto personale di ciascuno di noi, che siamo stati per il tempo che ci è stato concesso, un po' protagonisti di questa lunga storia quarantennale della Regione Piemonte.
Voglio ringraziare Carla Spagnuolo per avermi accomunato ad alcune esperienze di vita, di lavoro e di impegno , con il quale abbiamo cercato di esprimere non solamente la forza, la robustezza di una istituzione, ma anche l'umanità quando le circostanze della vita - ahimè, molto dolorose in alcuni momenti - ci hanno chiamati ad testimoniarla sul campo.
Signor Presidente, la VI Legislatura, della quale fui Presidente del Consiglio per metà mandato, dal giugno 1995 alla primavera del 1998 - è stato già ricordato - segna lo spartiacque dalla prima Repubblica. Uno spartiacque che anche in Piemonte fu drammatico, per le vicende tempestose che scossero i punti di riferimento politici, gli assetti assessorili e le alleanze consolidate. Uno spartiacque che determinò l'arretramento complessivo della politica di fronte alle pressioni giudiziarie e al sogno di una palingenesi invocata attraverso scorciatoie non di rado giustizialiste.
Per contraddire quanto Michael Ende scriveva nel suo celebre libro "La storia infinita" - "Il nulla si mangia giorno per giorno il regno della fantasia" - fu allora che il Consiglio regionale del Piemonte fece una scommessa intellettuale di largo respiro.
Si avvertiva, già dal 1992, la necessità di un rito di passaggio che rappresentasse una discontinuità forte, rispetto ad anni caratterizzati da prassi stanche e ripetitive, come se ogni giorno si celebrasse la fine della storia, lo sciopero degli eventi o un'endemica carestia progettuale.
Si pensò allora di uscire allo scoperto, di parlare chiaramente di Stati Generali del Piemonte per incontrare e interrogare a livello delle istituzioni delle diverse organizzazioni, delle molteplici rappresentanze le comunità dei cittadini, senza la mediazione di quello che allora si diceva "palazzo". Un atto non demagogico e qualunquista o - peggio - di delegittimazione dell'istituzione, bensì un gesto per rafforzarla offrendole un contributo non filtrato e fecondo di nuove idee e stimoli sorgivi.
Così il Consiglio regionale commissionò agli esponenti del mondo scientifico e culturale piemontese una fotografia della nostra regione nel quadro nazionale, proprio nel momento in cui diventava sempre più evidente la grande contraddizione del nostro Paese, basato, da una parte, su una struttura urbana ed economica policentrica e, dall'altra, su un assetto sempre più centralizzato dello Stato.
Il Consiglio regionale avrebbe dovuto scoprire in tal modo la propria piemontesità, attraverso una identità creatrice di relazioni con la sua comunità, partendo dal basso, perché sono le molecole più piccole che, in qualche modo, hanno l'esigenza di diventare macromolecole e di creare così, un tessuto non solo sociale, ma anche istituzionale.
Venne redatto un documento programmato che fu articolato in quattro aree di ricerca: l'area delle Istituzioni; l'area dell'Impresa, lavoro e sviluppo; l'area Ambiente e l'area Identità. A questo documento collaborarono trasversalmente il Presidente Enzo Ghigo, l'Assessore Angelo Burzi, il Capogruppo del CDU Renato Montabone, il Capogruppo del Partito Democratico della Sinistra Luciano Marengo, il Capogruppo del Partito di Rifondazione Comunista Pino Chiezzi. La partenza degli Stati Generali fu entusiasmante. Si incontrarono, si conobbero e si evidenziarono i tanti Piemonti nei loro ritardi storici, ma anche nelle loro potenzialità. Quei Piemonti compresi sotto l'unica denominazione di una terra che si è diversificata nelle sue aree attraverso la dialettica, fisica e relativamente spontanea, di natura e cultura e che, mentre ieri significava lo stigma di una povertà secolare, rappresenta, ancora oggi, la cedola da spendere, ad esempio, su terreni non ancora interamente esplorati nelle diverse opportunità.
Non voglio dilungarmi sulla fine prematura degli Stati Generali, dopo il loro esaltante momento fondativo nella straordinaria seduta del Lingotto e le tappe sorprendentemente creative e reattive di Cuneo, Biella, Ivrea e Asti. Purtroppo, il progetto nel 1998 appassì progressivamente e si spense senza una parola che ne spiegasse la ragione di una fine così prematura.
Forse non tutti seppero riversare lo stesso entusiasmo iniziale nel dare gambe ad un cammino certo non comodo ed agevole. O forse i tempi non erano ancora maturi per declinare a pieno volume i temi della sussidiarietà perché gli Stati Generali del Piemonte volevano soprattutto ricercare una sussidiarietà non imposta, ma voluta dal basso.
Rimase pertanto una grande sinfonia popolare incompiuta. Signor Presidente, chissà se, oggi che i tempi sono molto cambiati, qualcuno avrà voglia di scrivere il finale di questa Turandot subalpina.
Permettetemi di dire che questa felice utopia fu portata avanti da un gruppo di lavoro, che ricordo nelle persone di Maria Rovero - alla quale rivolgo un particolare "grazie" - Luciano Conterno, Marcello La Rosa e Alberto Vanelli. Con loro il Comitato scientifico, fra cui voglio citare il compianto Giorgio Lombardi, Arnaldo Bagnasco, Enrico Colombatto, Giuseppe De Rita, Tullio Regge, Sergio Ricossa e Gianni Vattimo.
Di fronte a quest'impegno, che fu quasi totalizzante, le altre cose che facemmo in quegli anni sono poca cosa. Vorrei ricordare solamente l'approvazione della fondamentale legge n. 51/1997 sul personale, che fu gestita e varata in maniera assolutamente trasversale, non ammiccante, non corriva, non indulgente, attraverso l'Assessore Burzi e un grande Consigliere regionale, che voglio ricordare nella figura del compianto Rocco Papandrea. Scusate questo ricordo del passato, senza alcuna istanza pedagogica. Voglio semplicemente ricordare la frase finale di un intervento di Giuseppe De Rita nell'insediamento degli Stati Generali del Piemonte quando lui, ricordando le radici giudaico-cristiane, disse: "Un popolo che si vuole affermare nella sua natura, nella sua forza, nella sua capacità di proposizione cerca d'attraversarla, non si ferma sul territorio". Voglio ancora ricordare l'ultimo scampolo di Consiglio regionale al quale partecipa in cui venne redatto quel preambolo, che lei, professor Luther ha voluto ricordare. Quel preambolo porta in sé i segni, reali della convivenza civile, della complementarità ideologica e culturale di quel Consiglio Quando parliamo di radici giudaico-cristiane, quando parliamo dei valori della Resistenza, del valore della Costituzione, ma - vivaddio - chi ha licenziato questo preambolo se non il Consiglio nella sua interezza nella sua completezza, nella sua volontà di portare qualcosa di diverso rispetto al terreno sul quale, un momento fa, Giuseppe De Rita ci diceva di non sostare, ma di superarlo Ho finito; volevo solamente ricordare ancora una frase, di Bernardo di Chartres "Siamo come nani sulle spalle dei giganti". È un condizionamento, è un condizionamento negativo, se vogliamo però, è anche un'opportunità, perché si guarda avanti, si guarda all'oltre ed all'altro, si prendono le esperienze non per commemorarle una volta ogni quarant'anni, ma per far sì che esse siano effettivamente un nuovo frutto sorgivo di speranza e di lavoro. Grazie.



(Applausi)



PRESIDENTE

Grazie, Presidente Picchioni.
Adesso invito sul palco Sergio Deorsola, Presidente del Consiglio regionale durante la VI Legislatura, dal 1998 al 2000. Prego.



DEORSOLA SERGIO, Presidente del Consiglio regionale nella VI legislatura (1998-2000)

Grazie e buongiorno a tutti.
Un particolare ringraziamento al Presidente del Consiglio regionale Cattaneo, che ha voluto celebrare - anche perché ha avuto la fortuna di essere Presidente del 40° anniversario - questa giornata e dare un rilievo significativo a questo momento.
Desidero richiamare come ci siano voluti oltre vent'anni per avere l'attuazione delle Regioni. Oggi siamo qui a dare una valutazione dopo un periodo doppio rispetto a quello inizialmente occorso per dare attuazione alle Regioni.
Oggi la sfida è quella del federalismo. Dare sempre più una dimensione vera, concreta, attuale con il problema della divisione delle risorse che in questo periodo, anche per contingenze internazionali sono difficili da reperire. È una sfida estremamente impegnativa.
Voglio ricordare che, nel periodo in cui sono stato chiamato a svolgere l'alto incarico di Presidente di Consiglio regionale, abbiamo, come Consiglio, dato attuazione ai provvedimenti Bassanini. Le previsioni Bassanini abbiamo dovute attuarle in quel determinato periodo.
Ricordo che in quel periodo i lavori del Consiglio furono un po' vivaci, e voglio, in questa occasione, anche se forse non è estremamente rituale, aprire uno scorcio.
Vi furono giornate molto vivaci, ma improduttive. All'epoca pensai di dare uno scossone inviando una lettera ai Consiglieri. La lettera - questo è l'outing irrituale - conteneva un colossale errore: una parola riportata al posto di un'altra.
Volevo sostenere che occorreva evitare di dare l'impressione di inutilità, ma per uno spiacevolissimo equivoco fu scritta la parola "inciviltà". A quel punto, ovviamente, la lettera era forte e con implicazioni al di là delle mie intenzioni. Ci furono alcuni momenti di tensione e all'epoca non ritenni di spiegare questa cosa, ma mi arzigogolai nella Conferenza dei Capigruppo sul fatto del civis, non civis.
In realtà avvenne qualcosa che non avevo voluto, quindi ritirai la lettera, anche su indicazione sia della maggioranza che della minoranza.
Prima di concludere chiederei ancora di poter ricordare come, in quei due anni intensissimi, abbiamo dato avvio alla Conferenza dei piemontesi nel mondo. Un evento al Lingotto molto partecipato, non una conferenza solo celebrativa come si potrebbe fare con i vecchi parenti quando si vanno a trovare, ma come momento di riscoperta di quei collegamenti nella prospettiva di avviare attività culturali ed economiche con quei Paesi che sono tantissimi - che hanno visto l'arrivo di molti piemontesi e di molti italiani.
Potremmo ricordare tante altre cose, anche riferendomi al periodo in cui fui componente dell'esecutivo. Io sono tra i pochi che hanno avuto lo straordinario privilegio di essere sia al vertice del Consiglio regionale sia componente dell'esecutivo.
Grazie a tutti, con l'augurio che questi anni possano vedere la realizzazione di un vero federalismo.



PRESIDENTE

La parola al Senatore Enzo Ghigo, Presidente della Giunta regionale durante la VI e la VII Legislatura, tra il 1995 e il 2005.



GHIGO Enzo, Presidente della Giunta regionale nella VI e nella VII Legislatura (1995-2005)

Grazie, Presidente.
Signor Presidente, signor Presidente della Giunta, colleghi Consiglieri, Autorità, nei giorni precedenti a questa solenne occasione mi sono interrogato su che cosa avrei dovuto mettere in particolare rilievo a proposito di questi dieci anni di storia durante i quali ho avuto modo di guidare come Presidente della Giunta la Regione Piemonte.
Voglio ricordare anzitutto che - è già stato detto, ma riprendo questo concetto - non ci fu soltanto il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, ma anche un percorso di riforma costituzionale che permise di realizzare, con la legislatura dell'anno 2000, l'elezione diretta del Presidente. Fu quello il vero cambiamento nel rapporto con il Consiglio regionale, rapporto non sempre compiuto (ma su questo tornerò).
Ricordo che invece la legislatura 1995/2000 fu una legislatura nella quale esisteva il meccanismo, un po' arcaico, del blocco della maggioranza per due anni e mezzo con una successiva possibilità di formare nuove maggioranze. Il Presidente era indicato, tanto è vero che io fui eletto nel 2005 Presidente della Giunta regionale in Consiglio regionale. Cosa che naturalmente a partire dal 2000 non è più avvenuta.
Questo è un pezzo della storia del percorso che le Regioni hanno fatto attraverso questa significativa e importante riforma costituzionale che permise l'elezione diretta del Presidente.
Noi, poi, eleggemmo il Consiglio con lo Statuto, che è stato sottoscritto alla fine della legislatura del 2005.
Fu indubbiamente un passaggio importante, ma credo che nelle valutazioni complessive, che anche il professor Luther ha fatto del percorso ancora da compiere, sia per quanto riguarda il federalismo fiscale, sia per quanto riguarda i nuovi assetti, i nuovi equilibri fra i vari livelli di governo del nostro Paese, il rapporto tra Presidente della Giunta e il Consiglio regionale, che stranamente non è più sotto le luci dei riflettori, debba richiedere qualche riflessione.
In effetti, il rapporto tra Giunta e Consiglio regionale è sempre un po' conflittuale. Il Consiglio si lamenta sempre che il Presidente della Giunta non è sufficientemente presente e il Presidente della Giunta (parlo per me, ma mi sembra di poter accomunare anche quelli che sono venuti dopo di me in questo tipo di atteggiamento) vive il Consiglio regionale come un passaggio obbligato, ma non proprio - diciamoci la verità - come una situazione di particolare felicità.
Questo rappresenta un elemento che deve far riflettere. È indubbio che nell'architettura costituzionale vanno probabilmente messi in atto alcuni elementi di riequilibrio e di definizione di competenze in modo più specifico rispetto all'elezione diretta del Presidente.
Non ho suggerimenti da dare perché mi occupo in questo momento di cose diverse, ma penso che il problema debba essere obiettivamente messo a fuoco e preso in considerazione.
Alla luce di queste due considerazioni, mi permetto di farne una terza quella legata alle risorse, e poi vorrei ricordare alcuni passaggi di dieci anni di governo.
Siamo in momento di criticità. Ricordo che le criticità di trasferimenti non sono una novità di oggi, ma negli anni si sono concretizzate in molte situazioni critiche. La protesta delle Regioni nei confronti della finanziaria era una costante. Tutti gli anni il mese di luglio era il mese votato a questo rapporto conflittuale con il Governo nel tentativo di ridurre i tagli di trasferimento delle risorse che in ogni occasione erano riproposte.
Oggi la situazione è leggermente diversa, nel senso che ci sono dei vincoli, ci sono delle situazioni da dover garantire nel rapporto con la Unione Europea, ma soprattutto c'è un'emergenza: quella di impedire al nostro Paese di essere aggredito dalla speculazione finanziaria internazionale, come è avvenuto nei confronti della Grecia, o di quei Paesi che, come il nostro, hanno un debito pubblico significativo e consistente.
Fatte queste considerazioni, se me lo permettete, molto brevemente rimarrò nei cinque minuti, anche se in teoria ne avrei diritto a dieci faccio una contrattazione, facciamo sette minuti.
Volevo ricordare, siccome è giusto che la memoria riporti anche a dei momenti difficili, che la nostra Regione, come comunità e collettività, ha vissuto, l'alluvione del 1994.
Iniziai a governare la Regione Piemonte nella primavera del 1995.
Bisognava affrontare questo gravissimo evento che aveva procurato, ahimè anche delle vittime; c'erano da istituire dei meccanismi per sollecitare i rimborsi da parte dello Stato, per quanto riguarda i danni ai privati, alle aziende e alle infrastrutture.
Ebbene, guardandomi indietro, posso dire che con il contributo dei comitati degli alluvionati e delle Prefetture, che furono un elemento fondamentale nel gestire in quel momento anche l'aspetto della prevenzione e della protezione civile, quell'esperienza ci fece crescere (ahimè purtroppo ogni tanto bisogna prendere atto che nelle situazioni drammatiche si fanno passi avanti e si cresce). Noi creammo una struttura di protezione civile all'interno della nostra regione che ci permise poi di affrontare di nuovo, un evento drammatico come quello dell'alluvione del 2000 con dei danni, ma senza vittime. Anche il meccanismo che mettemmo in atto per la gestione e la richiesta dei finanziamenti per contribuire al rilancio dell'economia delle zone colpite fu un modello di protezione civile che venne poi copiato da molte altre Regioni.
L'altro tema che voglio ricordare molto velocemente è quello dei Giochi invernali del 2006. Anche in occasione di questo evento, come molte persone che sono qui oggi presenti, siamo stati protagonisti nel cercare di conquistare questo momento eccezionale per la nostra regione. Amo sempre ricordare in modo particolare il compianto generale Romano, che ci convoc in Piazza Carlina nel tentativo di dare un seguito a quel successo dei mondiali di sci di Sestriere negli anni 1996/1997. Decidemmo di partire da soli, poiché avevamo coinvolto anche la Regione Valle d'Aosta, che però era reduce da un referendum il cui esito risultò contrario alla realizzazione dei Giochi olimpici. Ci fu poi, dal punto di vista della diplomazia internazionale, il sostanziale contributo del Senatore Giovanni Agnelli che ci permise di giungere inaspettatamente a Seoul, bisogna dirlo, perch Sion era sicuramente una città che aveva caratteristiche più qualificate rispetto alle nostre. Vincemmo l'assegnazione dei Giochi olimpici e poi tutto quello che è successo dopo è storia che tutti voi ricordate.
Quello che oggi possiamo dire è che Torino, dopo l'evento olimpico del 2006, non è più la Torino di prima. Quindi Torino è diversa. È una città e una Regione che vengono ricordate e riconosciute nel mondo in un modo completamente diverso.
L'altro aspetto che, secondo me, rappresenta un elemento qualificante nella nostra azione di governo è avere individuato nel settore della filiera agro-alimentare di qualità un filone nel quale identificare ancora una volta in modo positivo e caratteristico la nostra regione.
Così è avvenuto. Questo lo si deve a un'intuizione geniale di Carlin Petrini, che noi, come Amministrazione, abbiamo saputo incanalare e sostenere finanziariamente. Credo che sia stato un investimento che ha poi avuto una ricaduta significativa, un movimento culturale che oggi è movimento culturale a tutto tondo e non solo nella nostra regione, ma nel mondo intero, ed è nato chiaramente da noi.
Ultimo elemento, anche se è stato già ricordato dal Presidente Enrietti, è quella fantastica avventura del recupero della Reggia di Venaria. Anche questa è un'avventura che ha molti protagonisti che credo sia superfluo ringraziare tutti, poiché è stato già fatto. Quello che mi permetto di dire è che adesso, almeno come parte politica, abbiamo intenzione di proporre un elemento di novità che permetta a questa iniziativa di avere un ulteriore slancio, una modifica alla legge regionale sui parchi, per inserire a tutto tondo il Parco della Mandria nel contesto della gestione della Reggia di Venaria, in modo che le due cose diventino sinergiche e che non siano, come oggi purtroppo mi sembra avvenire, due entità separate.
La Reggia di Venaria deve essere resa parte integrante o, forse, è meglio dire che il Parco della Mandria dovrebbe diventare parte integrante della Reggia di Venaria.
Ringrazio tutti voi. Naturalmente, un augurio alla Regione perché nei prossimi anni possa ottenere risultati positivi, come quelli che ha ottenuto fino ad oggi.
Grazie.



PRESIDENTE

Grazie, Presidente Ghigo.
Il Presidente Cota interverrà alla fine; durante la seconda parte della VII legislatura, è stato Presidente del Consiglio regionale il Consigliere Oreste Rossi, che ha fatto pervenire un messaggio, perché essendo europarlamentare in carica, era impegnato al Parlamento Europeo a Bruxelles.
la volta di Davide Gariglio, mio predecessore nella VIII legislatura di cui è stato Presidente del Consiglio ininterrottamente tra il 2005 e il 2010



GARIGLIO DAVIDE, Presidente del Consiglio regionale nella VIII Legislatura (2005-2010)

Grazie, Presidente Cattaneo, Autorità e colleghi Consiglieri, ex Consiglieri.
Quarant'anni di Regione sono un traguardo storico. Ho cercato di riflettere sui percorsi istituzionali di cui oggi qui troviamo gran parte di coloro che ne furono protagonisti.
stato già ricordato: le Regioni compaiono nel nostro ordinamento con la Costituzione del '48. Voglio citare di quella Costituzione, una norma l'articolo 57, laddove si legge: "Il Senato è eletto a base regionale".
una norma di grande potenzialità, che apriva le porte ad una partecipazione diretta delle Regioni dentro il Senato, apriva le porte anche a sviluppi come il modello del Bundesrat tedesco. Una norma che poi si decise di attuare in modo diverso, ma che rimane ancora lì ad espletare tutte le sue potenzialità.
Inoltre ricordo due articoli: l'articolo 5 ("La Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali", e l'articolo 114 dell'epoca ("La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni").
Li cito, perché queste due norme e la difficoltà di contemperarle ricorda come i padri costituenti dell'epoca non scelsero di dar vita ad uno Stato regionale, ma scelsero di dar vita ad uno Stato delle autonomie, cioè ad uno Stato che riconosceva e faceva entrare nell'ordinamento le Regioni ma dall'altro lato non poteva non prendere atto della pre-esistenza nel nostro ordinamento e del radicamento delle Province ancor più dei Comuni.
Ma tant'è; le norme del '48, come è stato detto, rimasero inattuate fino agli anni '70, venti anni di cosiddetto "gelo costituzionale", gelo che iniziò a sciogliersi solamente con la legge elettorale del '68 e successivamente con l'approvazione della legge n. 281/70 sulla finanza regionale. In quegli anni si voleva allargare la partecipazione.
Le Regioni nascono - è vero - sulla base di una spinta dal basso, dal territorio, ma nascono per una scelta della politica nazionale, dei Segretari dei partiti nazionali per allargare - come ha ricordato Dino Sanlorenzo - la partecipazione al governo di forze politiche escluse in quel momento storico dalla partecipazione al Governo nazionale.
Bisognava allargare la partecipazione democratica, ma non allargare troppo, in un periodo in cui il terrorismo creava delle difficoltà di tenuta della nostra comunità a livello nazionale.
Colloco dal 1970 alla fine degli anni '80 un primo ventennio delle Regioni, un ventennio caratterizzato dalle due tornate di decentramento regionale, il periodo "eroico" della costituzione delle Regioni.
Se devo guardare indietro, faccio partire dal 1987 al 2001 una seconda fase, la fase di assestamento. L'anno 1987 è importante, perché in quell'anno nasce la prima legge comunitaria che attribuisce competenza alle Regioni, le stesse competenze di partecipazione al procedimento legislativo di cui ora siamo investiti in maniera molto forte.
Nel 1988 nasce la Conferenza Stato-Regioni con la legge sull'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri; nel 1990, con la legge n. 158, viene modificata la finanza regionale. In quegli anni vengono approvati dai cittadini tre referendum che sopprimono tre Ministeri: l'Agricoltura, il Turismo e lo Spettacolo. Il Ministero dell'Agricoltura che, come direbbe il Presidente Picchioni, è l'araba fenice: muore e risorge. Però in quegli stessi anni, sempre sulla scia di un Paese che oscilla tra il valorizzare le Regioni e valorizzare gli Enti locali, viene approvata la legge n. 142/90, che davvero cambia il volto delle nostre autonomie locali.
Andando avanti, arriviamo alla XIII Legislatura, quella dal 1996 al 2001, la legislatura - e lo dico non per partigianeria, ma per convinzione che davvero segna il momento di svolta nel nostro sistema degli assetti di potere decentrati sul territorio: la legge Bassanini, la legge n. 59/97 con i decreti attuativi, in un processo di attribuzione di poteri dallo Stato alle Regioni non più come negli anni '70 teso a dare alle Regioni ci che è loro proprio, in virtù della Costituzione, ma che tende a riorganizzare globalmente lo Stato, secondo una logica anche di economicità e di efficienza, dando potere alle Regioni e dando potere alle autonomie locali.
Sono gli anni in cui nasce il meccanismo dell'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale - ricordato dal Presidente Ghigo - e sono gli anni in cui viene approvata la legge costituzionale, la n. 3/20001, che cambia - com'è stato ricordato dal Presidente Cattaneo - in maniera significativa il ruolo delle Regioni e degli stessi Consigli regionali.
Questo è il punto di massimo decentramento politico nella nostra esperienza unitaria di 150 anni di storia patria.
Credo che da quel momento in poi, dal 2001 ad oggi, si apra una nuova fase, la terza fase. Una fase che non si concluderà a breve, del cui proseguimento e della cui costruzione siamo responsabili tutti noi direttamente.
Una fase che nella nostra Regione ha significato il nuovo Statuto regionale approvato nel 2005, il nuovo Regolamento interno del Consiglio regionale approvato nel 2009, meno significativo dello Statuto dal punto di vista politico, ma molto significativo nell'ambito della governance effettiva delle nostre Regioni.
I dubbi che abbiamo di fronte però ci sono, e lo dico perché, come affermava Sanlorenzo prima, questa non è solo una commemorazione, una rievocazione del passato anche glorioso, ma deve essere un momento per guardare oltre.
Noi abbiamo una strada di fronte, abbiamo delle decisioni da prendere e non possiamo permetterci di non scegliere. Possiamo ancora continuare ad essere una Repubblica che sopporta contemporaneamente il peso e il costo di uno Stato con Ministeri tre volte soppressi e tre volte risorti? Di una Repubblica che si riparte in 20, ma poi sono 21, Regioni spesso troppo piccole e senza significato, e in una miriade di Enti locali, non tanto per il numero delle deleghe di governo quanto per l'estrema frammentarietà.
Penso alle nuove Province nate su tutto il territorio patrio in un delirio di proliferazione di organi amministrativi che, probabilmente, non possiamo più permetterci.
Questo Paese ha bisogno di scegliere, scegliere perché c'è un problema di efficienza, di economicità, un'esigenza reale, che è stata ricordata prima; l'Unione Europea lo chiede, la speculazione finanziaria internazionale lo impone. Per questo noi dobbiamo fare delle scelte, deve cessare il meccanismo per cui chi spreca, chi spende peggio e chi spende di più è premiato, un meccanismo che in questo Paese non si è, malgrado gli sforzi, ancora riusciti a frenare. E si deve riflettere anche sui costi del sistema che abbiamo creato.
Ricordate probabilmente lo scompiglio di quando nel 2004 il professor Sartori, uno dei massimi politologi di questo Paese, illustrò i dati dell'Istituto di Analisi Economica del Ministero del Tesoro dal 2004 laddove si andava a misurare che l'applicazione integrale del Titolo V avrebbe comportato un decentramento della spesa pubblica di 61 miliardi di euro. O quando questo stesso risultato o ad un risultato simile si arriv con gli studi del professor Bordignon e della professoressa Cerniglia dell'Università Cattolica di Milano.
vero che questi frammenti di spesa pubblica portano la spesa pubblica più vicina al territorio, più efficace, ma è anche vero che questo sistema non può non essere contemperato, con risparmi, con ristrutturazioni e con una riorganizzazione dei poteri pubblici.
Questa è, a parer mio, la missione che abbiamo di fronte: mettere mano al nostro ordinamento, ridefinire i livelli delle funzioni, non fare tutti le stesse cose, avere il coraggio di dirci che i livelli di governo si specializzano rispetto alle funzioni, realizzare davvero il federalismo fiscale, evitare quello che un illustre costituzionalista piemontese, il professor Franco Pizzetti, già nel 1997 indicava come rischio, il federalismo per abbandono. È un rischio che di questi tempi, al di là dell'implicazione politica, può diventare un rischio reale sulle nostre Amministrazioni.
Per fare questo dobbiamo scrivere le regole insieme, sia a Roma sia a Torino, e io credo per la mia esperienza passata che per fare questo serva un ruolo autorevole, importante ed autonomo dei Consigli regionali, capaci di essere davvero i portatori delle istanze di tutte le parti politiche, di tutti i territori, anche in un antagonismo e in una dialettica a volte spinta con le Amministrazioni regionali.
Pertanto penso che se sapremo affrontare questi temi e cercare di risolverli, avremo fatto un egregio lavoro.
Noi abbiamo ricevuto il testimone dai nostri predecessori, da una generazione di politici che ha saputo costruire dal nulla la Regione. Ora dobbiamo essere in grado di passare questo testimone alle nuove generazioni, sapendo che anche noi nel nostro piccolo, "nani sulle spalle dei giganti" - per ricordare parole dette dall'onorevole Picchioni dobbiamo compiere un passo concreto nella costruzione di qualcosa di più grande e, soprattutto, di migliore per il nostro Paese. Grazie.



PRESIDENTE

Ha ora la parola la Presidente della Giunta regionale dell'VIII Legislatura, Mercedes Bresso.



BRESSO Mercedes, Presidente della Giunta regionale nella VIII Legislatura (2005-2010)

Autorità, cari colleghi, gentili invitate e invitati con vero piacere che ritrovo tante facce amiche con le quali ho condiviso parte della mia attività in questa regione.
Permettetemi un piccolo excursus personale: anch'io come Carla Spagnuolo ho avuto tutta la vita caratterizzata dal regionalismo. Mi sono laureata alla fine del '69, proprio quando le Regioni stavano per nascere: non solo in Italia ma in tutta Europa era viva convinzione che il processo di integrazione europea si sarebbe potuto meglio realizzare se si fossero defunzionalizzate le frontiere degli Stati; ed è per questo che si voleva dare forza alle regioni. L'Europa delle Regioni - ve lo ricordate - era nelle speranze di molti cittadini.
Come ho detto, sono nata professionalmente con le regioni: la mia tesi era sugli strumenti econometrici per la programmazione. Appena laureata trovai lavoro in Lombardia e subito prima, attraverso un centro studi lavorai al CRPE lombardo (Comitato Regionale per la Programmazione Economica). I CRPE ovunque stavano preparando gli studi preliminari per le future istituzioni regionali, che furono elette nella primavera di quell'anno. Nel 1970 in Lombardia fu eletto presidente Piero Bassetti, che di quel fervore regionalistico era il padre riconosciuto, e io ebbi la fortuna di entrare a lavorare con lui e di partecipare alla redazione del primo "Piano socio-economico".
La mia carriera accademica mi riportò poi a Torino, la mia città, dove ebbi nuovamente l'opportunità di lavorare ai primi piani dei Comprensori (nei primi anni '80): partecipai alla creazione della Provincia del VCO allora ancora Provincia di Novara, proprio perché, venendo da Milano, ero considerata esperta di quella parte del territorio piemontese. In seguito vissi da ricercatrice il periodo della scelta drammatica della localizzazione nucleare, scelta che anni dopo, come Consigliere, avrei contribuito a modificare totalmente.
Mi avvicinai così alla Regione Piemonte, che veniva dai difficili anni di piombo - vissuti in prima persona da Sanlorenzo e da molti dei protagonisti di allora - ma che stava anche attraversando un processo di deindustrializzazione di tutta la manifattura pesante ed era alla ricerca di un nuovo percorso di sviluppo.
Entrai per la prima volta in Consiglio regionale nel 1985, eletta come indipendente nella lista del PCI. Non avevo mai pensato di fare politica attiva, ma fu proprio l'offerta regionale ad attrarmi e la consapevolezza che proprio in Regione avrei trovato un campo privilegiato per la mia disciplina di studio: l'economia dell'ambiente e del territorio. Fui poi rieletta nel 1990: fui prima presidente della Commissione territorio e poi nel 1994, divenni Assessore alla pianificazione territoriale, parchi e risorse idriche. Fu davvero una straordinaria opportunità di sperimentare nell'azione di governo le competenze tecniche che, anche grazie a quell'esperienza di opposizione, avevo maturato. Furono quindi anni in cui la passione per la politica si è alimentata dalle mie specifiche competenze tecniche.
Conoscete tutti la storia più recente. Dopo due mandati in "esilio" alla provincia di Torino e una brevissima parentesi al Parlamento europeo accettai con entusiasmo la candidatura a presidente della Regione diventando la prima donna eletta Presidente. Abbiamo avuto una donna Presidente del Consiglio regionale e una donna - siamo avanti anche da questo punto di vista - Presidente della Regione. Fu un momento esaltante della nostra storia recente. Ho avuto infatti il privilegio di presiedere il Piemonte nell'anno delle Olimpiadi - evento reso possibile e indimenticabile con il concorso di tutti e che ancora oggi ci viene riconosciuto come straordinario - ma anche quello di inaugurare la Reggia di Venaria Reale, opera ciclopica iniziata dal mio predecessore Enzo Ghigo e di portarla ad essere oggi uno dei monumenti più visitati d'Italia, cosa che nessuno avrebbe mai pensato. Ho avuto anche il privilegio di dare avvio all'Euroregione Alpi-Mediterraneo, la prima iscritta nel registro italiano dei Gruppi europei di cooperazione territoriale; di completare l'appalto per la nuova sede unica degli uffici regionali e di avviare le gare per i due collegamenti tanto attesi per la nostra Regione: la Biella-Santhià e la tangenziale est, che mi auguro verranno presto conclusi.
Come tutti i Presidenti, oltre ai momenti esaltanti ho conosciuto molti momenti difficili, prima di tutto la crisi terribile che ha colpito il mondo intero nell'autunno 2008 e che con coraggio abbiamo affrontato, credo con molti strumenti innovativi, nell'ambito del "tavolo di crisi". Oggi il nuovo Consiglio e la nuova Giunta si trovano davanti due compiti di grande difficoltà: rilanciare l'economia e riscrivere i rapporti con lo Stato.
Dobbiamo essere messi in grado di applicare pienamente la Costituzione e questo sarà possibile solo se lo Stato farà le leggi che incardinano le proprie funzioni nelle materie concorrenti e avvierà finalmente un reale federalismo fiscale, semplice e vero: non una nuova gabbia finanziaria. In un momento come questo - i nostri primi quarant'anni - si rifletta sulla storia passata perché sia utile per l'attività di oggi.
Vorrei concludere con una riflessione sul passaggio che in molte parti d'Europa sta modificando la nostra idea di regionalismo. Un tempo si vedeva nelle Regioni un modo per aumentare le potenzialità di sviluppo dei territori e per affievolire quei nazionalismi che, nel corso del secolo scorso, avevano prodotto guerra, morti, violenza e dittatura. Questo nostro sogno rischia di essere messo in discussione dal nascere, ovunque nel continente, di tanti piccoli nazionalismi regionali, di tante piccole patrie che riportano la storia d'Europa verso un passato di divisioni. In un momento in cui l'Europa cerca con difficoltà un percorso che consenta di reggere la sfida con le grandi economie emergenti, a me pare che l'aumento dei separatismi (in Europa come in Italia) sarebbe un ben modesto epilogo di quel regionalismo riformista e costruttore della speranza di un'Europa fondata sulla cooperazione e lo scambio di esperienze che ci proponevamo di costruire. È con questo spirito, tornare a quell'ideale Europa delle Regioni, coraggiosa e aperta al mondo, che ho accettato la mia sfida regionalista forse più impegnativa: presiedere il Comitato delle Regioni dell'UE, nel difficile momento in cui con il Trattato di Lisbona assume nuovi compiti e si avvia ad essere una piccola ma dinamica istituzione europea.
Ci apprestiamo in Piemonte a festeggiare i 150 anni dell'Unità del Paese. Credo dobbiamo tenere ferma l'idea di un forte Piemonte nel quadro di un'Italia e di un'Europa forti e unite. Spero che i miei successori non lo dimentichino.



PRESIDENTE

La parola al Presidente della Regione, onorevole Roberto Cota, il quale, così come il Presidente Viglione, ha ricoperto entrambe le cariche di Presidente della Giunta e del Consiglio.
Penso di non rompere il protocollo rivolgendo gli auguri al Presidente Cota, poiché oggi è il suo compleanno.



COTA Roberto, Presidente della Giunta regionale

Ringrazio gli intervenuti e il Presidente Cattaneo per aver organizzato questo Consiglio regionale straordinario. Effettivamente oggi è un po' una ricorrenza, perché la Regione festeggia il suo 40° compleanno e io festeggio il mio 42° compleanno, quindi doppia festa.
Vorrei ringraziare anch'io i dipendenti della Regione Piemonte, che hanno lavorato in questi anni, che lavorano oggi, che lavoreranno in futuro per la nostra Regione; dipendenti del comparto regionale, dipendenti del comparto sanitario, ma anche dipendenti dei Comuni e delle Province del Piemonte, perché quando si parla di Regione, quando si parla di istituzioni regionali, io inserisco a pieno titolo anche i 1.206 Comuni, le Amministrazioni dei nostri Comuni, e penso che uno dei compiti fondamentali che ha la Regione sia proprio quello di fornire un supporto ai Comuni, un supporto di carattere amministrativo, un supporto anche di carattere pratico, soprattutto perché oggi - anche ieri - noi abbiamo tanti piccoli Comuni che hanno visto negli anni un appesantimento di quelle che sono le funzioni burocratiche ed evidentemente la Regione può e deve dare un sostegno proprio in questa direzione.
A questo proposito, annuncio che alla ripresa, cioè a settembre, noi organizzeremo una grande manifestazione dove inviteremo i Sindaci di tutti i 1.206 Comuni non solo per salutarli, non per dire "buongiorno Sindaci, io sono il Presidente della Regione", ma per offrire un pacchetto concreto di proposte e di sostegno che la Regione darà loro, a cominciare dalla parte informatica, visto che noi abbiamo una struttura molto grande e che ha queste competenze di carattere informatico. Ecco, questa struttura, dal mio punto di vista, ha tra i suoi compiti fondamentali quello di fornire proprio un supporto alle Amministrazioni comunali. E poi ancora un aiuto per quanto riguarda la realizzazione delle piccole opere. Le piccole opere sono quelle che nei piccoli centri, ma in tutti i centri, cambiano anche la qualità della vita, perché consentono di realizzare degli interventi mirati. Anche su questo noi faremo delle proposte concrete.
Il Piemonte. Il nostro Piemonte è stato uno Stato, oggi è una Regione importante in un sistema che sta diventando un sistema federale, che diventerà proprio in questa Legislatura, nella nostra Legislatura, un sistema federale. È la prima Regione, poi, indicata nell'elenco dell'articolo 131 della Costituzione. Se devo dirvi la verità, non è che abbia pensato tante volte a questo, però questa mattina sono andato a riguardarmi la Costituzione - anche perché lei, professor Luther, se non sbaglio, aveva evidenziato anche questo aspetto nella prefazione al nostro libro - ed è effettivamente così: noi siamo la prima Regione, il processo è partito da qui, ma anche nella Costituzione nel 1946, quando si parla della costituzione delle Regioni, si parla evidentemente del Piemonte.
Per questi motivi, il Piemonte deve essere il motore del rilancio e della crescita del Paese, anche per le sue vocazioni industriali, per le sue vocazioni produttive e oggi per le nuove vocazioni, anche legate al turismo e alla capacità di attrarre persone sul nostro territorio.
Farei alcune considerazioni, qualcuna legata al passato, ma soprattutto alcune legate al futuro; legate al passato perché negli interventi che ho ascoltato, anche negli scritti e nella prima parte dove sono stato presente mi scuso se sono dovuto andare via, ma avevo una tempistica con degli incontri fissati e un incontro in particolare per il Salone dell'Automobile con persone che arrivavano dall'estero, quindi non potevo far altro che incontrarle proprio questa mattina.
Per quanto riguarda il passato, la Regione è partita quarant'anni fa ha subito un processo di progressiva attribuzione di quelle che sono le funzioni originarie, poi funzioni successive, competenze successive con i decreti Bassanini, con la riforma del Titolo V della Costituzione. Oggi siamo pronti per realizzare il federalismo fiscale - vorrei ricordare che il federalismo fiscale è già previsto dal nostro Statuto della Regione Piemonte, perché quando scrivevamo la nuova Carta Costituzionale pensavamo appunto a come attuare l'articolo 119 della Costituzione, che è poi la parte legata al federalismo fiscale - federalismo fiscale ha subito anche un processo di riforma interna, che è stato giustamente ricordato dal Presidente Cattaneo nel suo intervento.
Vorrei ricordare il nuovo Statuto della Regione Piemonte, che è stato approvato nella VII Legislatura mentre ero Presidente del Consiglio regionale, e vorrei ricordarlo anche per il metodo che è stato seguito, che è un metodo giusto, che è quel metodo che si deve seguire quando si fanno le riforme, quando si costruisce la casa comune, quando si mettono in campo dei nuovi mattoni dal punto di vista istituzionale, e cioè quello Statuto non è stato approvato soltanto dalla maggioranza, ma ha avuto una maggioranza più ampia rispetto alla maggioranza che in allora governava la Regione Piemonte. Lo ricordo per questo come un momento costruttivo, lo stesso momento costruttivo che c'è stato a Roma, che ho vissuto nell'approvazione del federalismo fiscale. E nella passata legislatura c'è stata anche la riforma del Regolamento.
Insomma, abbiamo attuato un processo di riforma interna che ci mette in una buona posizione ai blocchi di partenza per attuare il federalismo e per realizzare anche qualcos'altro.
Questa è una Regione che ha delle istituzioni solide; sì, devono essere modernizzate, però solide, e questo l'abbiamo dimostrato in tutti questi anni.
Il presente e il futuro. Ebbene, il presente e il futuro li vedo caratterizzati da alcuni passaggi. Il primo l'ho già ricordato: il federalismo fiscale. Noi abbiamo bisogno di questo, perché altrimenti le competenze che la Regione ha o che avrà sono competenze che presuppongono sempre il fatto che vengano esercitate dopo essere andati a Roma con il cappello in mano a chiedere "quanto mi dai". Deve invece finire il meccanismo del "quanto mi dai", ma le risorse io le ho sul territorio e do a Roma o alle altre Regioni quella quota che evidentemente viene stabilita e, per quanto riguarda però le Regioni più in difficoltà, quella quota deve essere commisurata ai costi standard e non più alla spesa storica, e cioè alla spesa che si è stratificata anno dopo anno in base al meccanismo del "tanto paga Pantalone", perché tanto ripianavano tutti a piè di lista. E questo è l'obiettivo che noi ci poniamo con uno Statuto che è pronto a realizzarlo sul fronte regionale.
Un altro aspetto che vorrei mettere in luce è quello della richiesta di nuove competenze ai sensi dell'articolo 116, comma 3, della Costituzione.
Per questa ragione nei giorni scorsi, quando si discuteva di manovra, ho detto: "Non ci penso affatto a dare indietro le competenze che abbiamo anzi punto a richiedere nuove competenze allo Stato". Per richiedere nuove competenze noi abbiamo il meccanismo dell'articolo 116, comma 3, della Costituzione.
Non ho anticipato le materie che penso che il Piemonte debba chiedere.
Perché non le ho anticipate? Non perché non abbia delle idee - le ho - ma perché penso che questo progetto debba essere condiviso, almeno io ci credo e spero che sia condiviso, quindi vorrei portare in Consiglio regionale una proposta aperta, al netto di tutte le polemiche che purtroppo ci sono state dico purtroppo perché poi, alla fine, bisogna cercare di lavorare e andare al concreto, non fare tante parole - però nel dibattito di insediamento di questa legislatura ho colto un segnale anche da parte dell'opposizione, quindi l'ho subito registrato e, anche in segno di apertura, vorrei costruire questo percorso all'interno del Consiglio regionale.
Poi il futuro c'impone anche di fare una riforma della nostra macchina regionale, perché parlavo di istituzioni solide, ma un po' vecchie, che hanno bisogno di un tagliando.
Riforma della macchina regionale. Orbene, dobbiamo cominciare da una gestione diversa per quanto riguarda la sanità. Se vogliamo mantenere i servizi, dobbiamo fare un taglio degli sprechi, perché altrimenti il taglio andrà sui servizi, e questo non voglio assolutamente farlo, anzi penso che ci siano i margini per dare dei servizi migliori e anche qualche cosa in più. Allora, per fare questo, visto che la sanità rappresenta l'80% del bilancio della Regione (otto miliardi e 700 circa, anche di più, di spesa) dobbiamo anticipare il calcolo della spesa standard. Che cos'è? Vuol dire che noi dobbiamo sapere quanto costa un servizio a Torino, a Novara, a Cuneo e, in base a questo, cioè il calcolo di quanto costa un servizio e di quanto deve costare un servizio, rassegnare i budget ai vari Direttori delle ASL e delle Aziende ospedaliere. Questo vuol dire riuscire a riprogrammare e a impostare una nuova gestione della complessa macchina della sanità piemontese. Proprio per questo, sto lavorando con un gruppo di persone che, devo dire, non sono di parte, però hanno le idee e anche la conoscenza dei numeri per poter elaborare questo nuovo modello.
Poi l'altra grande riforma è quella relativa alla sburocratizzazione.
Noi l'abbiamo detto nel Piano lavoro - e adesso vi dirò due cose sul Piano lavoro - ma non è accettabile che i piani regolatori ritornino indietro dopo sei anni, cioè è inutile parlare di questo o di quello quando poi siamo ingessati in questo modo; e non tornano indietro dopo sei anni perché, diciamo, ci sono le cautele del caso, tornano indietro dopo sei anni perché qualcosa non funziona, perché uno i controlli li fa in un tempo minore (qualche giorno, 20 giorni, un mese, due mesi, tre mesi, non sei anni), ma qual è il motivo? Allora, o cambiamo questo o noi non saremo mai un Paese moderno, una Regione moderna che dà anche un sostegno e un incentivo alla ripresa. Io lo dico perché la legge urbanistica è assolutamente un obiettivo, ma è anche una richiesta da parte della gente da parte delle categorie produttive.
L'altro punto sul quale - lo dico in mezzo, ma è il primo punto guardate, è proprio la priorità massima - in Piemonte la gente vuole delle risposte è il lavoro. Questa è la grande incertezza per il presente e per il futuro; l'incertezza per i giovani, l'incertezza per quanto riguarda anche persone magari un po' meno giovani, che sono lì, che sono rimaste a casa, e si vedono proprio franare il terreno sotto i piedi. Ecco - ma lo dico perché voi lo fate - noi che siamo rappresentanti eletti, io che sono il Presidente della Regione eletto direttamente in maniera così chiara e netta, ho proprio questo tipo di responsabilità sulle spalle, cioè quello di mettermi nei panni dei piemontesi, non nei panni della politica che si fa nei discorsi. Allora dobbiamo proprio fare in modo che in questi cinque anni, invece di aumentare la disoccupazione, aumenti l'occupazione e diminuisca la disoccupazione: questo è quello che bisogna fare, e quindi concentrare tutte le risorse e le energie proprio in politiche di rilancio dell'occupazione.
Abbiamo fatto un Piano lavoro che è unico nel suo genere, unico, e siamo stati la prima Regione a predisporre un Piano di questo tipo. Anche qui il metodo è stato quello del coinvolgimento, cioè le cose concrete che coinvolgono tutti (le associazioni di categoria, gli operatori del settore i sindacati), però questo Piano deve essere inserito in un progetto organico di rilancio, un vero e proprio Piano industriale produttivo che si svilupperà nei prossimi cinque anni, e cioè nei cinque anni di legislatura che presenteremo proprio ai primi di settembre; ci stiamo già lavorando in questo periodo. Quindi la priorità è rilanciare il Piemonte, rilanciare l'occupazione ed occuparci dei problemi della gente che ha perso il lavoro e spera di trovare un lavoro: questo è il dovere primario di chi fa politica.
Io vi dico che, insomma, questa cerimonia è stata una cerimonia che ci fa riflettere: quarant'anni sono un appuntamento importante. E siamo penso, di fronte ad uno spartiacque, perché stanno cambiando tante cose perché è cambiato il modo di far politica, è cambiato il modo di rapportarsi. Oggi bisogna dare risposte concrete, perché è finito il tempo di intendere la politica in altro modo; però sono veramente ottimista. Sono ottimista e penso che il Piemonte e tutti noi abbiamo le carte in regola per potercela fare e ce la faremo.
Grazie per il vostro lavoro e per il vostro sostegno.



PRESIDENTE

Grazie a lei, Presidente Cota. Il suo è stato l'intervento conclusivo di questa cerimonia.
Concludendo i lavori dell'odierna seduta straordinaria del Consiglio regionale, preciso che, a tutti i Presidenti intervenuti, verrà consegnata a nome del Consiglio regionale e - mi permetto di aggiungere - dell'intera comunità piemontese, una medaglia ricordo a riconoscimento del servizio reso e a tutti i presenti, in anteprima, una copia del volume "Quarant'anni di Regione".
La seduta è tolta.



(La seduta ha termine alle ore 13.20)



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