II Codice Deontologico
degli psicologi italiani, il cui testo e stato approvato dal Consiglio
Nazionale dell’Ordine degli psicologi il 18 novembre 1995,
non contiene molti espliciti riferimenti alla tutela dei diritti
dei minori. Le regole vincolanti che stabilisce nell’ esercizio
della professione sono tuttavia valide anche nelle relazioni dirette
o indirette con l’ infanzia e la gioventù.
L’ art. 2 prevede sanzioni disciplinari
per ogni azione od omissione comunque contrarie al decoro, alla
dignità ed al corretto esercizio della professione. E nell’
art. 4 si afferma che nell’ esercizio della professione
lo psicologo rispetta la dignità e il diritto alla riservatezza,
all’ autodeterminazione ed all’ autonomia di coloro
che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e
credenze, astenendosi dall’ imporre il suo sistema di valori;
non opera discriminazioni in base all’ estrazione sociale,
al sesso di appartenenza, all’ orientamento sessuale, all’
etnia, alla religione, alla nazionalità, alla disabilità
ed allo stato socio-economico. Un rispetto che assume un carattere
particolarmente delicato e difficile quando nell’ esercizio
della sua professione lo psicologo si trova ad affrontare casi
che coinvolgono minori. Un più chiaro riferimento si trova
nell’ art. 10 che tratta dell’ attività di
ricerca dello psicologo nella quale è tenuto ad informare
adeguatamente i soggetti umani in essa coinvolti, al fine di ottenere
il previo consenso, e deve altresì garantire a tali soggetti
la piena libertà di concedere, di rifiutare ovvero di ritirare
il consenso stesso. Infatti si stabilisce che per quanto concerne
i soggetti che, per età o per altri motivi, non sono in
grado di esprimere validamente il loro consenso, questo deve essere
dato da chi ne ha la patria potestà o la tutela, ma altresì
dai soggetti stessi, ove siano in grado di comprendere la natura
della collaborazione richiesta. E deve essere tutelato il diritto
alla riservatezza, alla non riconoscibilità ed all’
anonimato, anche ove non vi sia la possibilità di entrare
in previo rapporto con i soggetti.
L’ art. 10 conclude che nelle ipotesi in cui la natura della
ricerca non consenta di informare preventivamente e correttamente
i soggetti su taluni aspetti della ricerca stessa, lo piscologo
ha I’ obbligo di fornire, alla fine della prova ovvero della
raccolta dei dati, ogni informazione sulla natura e sulla finalità
della ricerca e di ottenere I’ autorizzazione all’
uso dei dati raccolti. Anche il segreto professionale, al quale
lo psicologo è strettamente tenuto come stabilisce I’
art. 12 del Codice, può avere riferimenti alla tutela dei
diritti dei minori quando questi ultimi dovessero risultare coinvolti
in casi trattati dal professionista. Lo stesso articolo afferma
che lo piscologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti
di cui è venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto
professionale, a meno che non sussista il valido e dimostrabile
consenso da parte del cliente e/o paziente. Ma nell’ art.
14 si rileva che nel caso di obbligo di referto, lo piscologo
limita alla stretto necessario il riferimento di quanto appreso
in ragione del proprio rapporto professionale, al fine di non
recare danno al cliente e/o paziente, valutando con prudenza le
ipotesi nelle quali la propria doverosa riservatezza comporti
grave pericolo per la vita o per la salute psicofisica di terzi.
Poi I’ art. 22: Lo psicologo si vieta qualsiasi condotta
atta a nuocere alle persone di cui si occupa professionalmente.
Ed infine, di notevole importanza, I’ art. 31: L’
erogazione di prestazioni professionali a soggetti minorenni o
interdetti e subordinata al consenso di chi esercita sui medesimi
la patria potestà o la tutela, fatti salvi i casi in cui
tali prestazioni avvengano su ordine dell’ autorità
legalmente competente. Nell’ ipotesi che, in assenza del
consenso lo psicologo ravvisi come indispensabile un intervento
professionale in relazione a gravi rischi per la salute e lo sviluppo
piscofisico del minore o dell’ interdetto, è tenuto
a segnalare il caso all’ autorita tutoria competente.
CAPO I
PRINCIPI GENERALI
art. 1
Le regole del presente codice deontologico sono vincolanti per
tutti gli iscritti all’ Albo degli Psicologi. Lo psicologo
è tenuto alla loro conoscenza, e I’ ignoranza delle
medesime non esime dalla responsabilità disciplinare.
art. 2
L’ inosservanza dei precetti stabiliti nel presente codice
deontologico, ed ogni azione od omissione comunque contrarie al
decoro, alla dignità ed al corretto esercizio della professione,
sono puniti con le sanzioni disciplinari previste dall’
art. 26, comma 1 della Legge 18 febbraio 1989, n. 56.
art. 3
Lo psicologo considera suo compito accrescere le conoscenze sul
comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere
psicologico delI’ individuo, del gruppo e della comunità.
In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità
delle persone di comprendere se stesse e gli altri, e di comportarsi
in maniera consapevole, congrua ed efficace. Lo psicologo è
conscio della responsabilità sociale derivante dal fatto
che, nell’ esercizio professionale, può intervenire
significativamente nella vita degli altri; pertanto presta particolare
attenzione ai fattori personali, organizzativi, finanziari e politici,
al fine di evitare I’ uso non appropriato della sua influenza,
e non utilizza indebitamente Ia fiducia e le eventuali situazioni
di dipendenza dei clienti e/o pazienti. Lo psicologo accetta la
responsabilità dei propri atti professionali e delle loro
prevedibili dirette conseguenze.
art. 4
Nell’ esercizio della professione lo psicologo rispetta
la dignità e il diritto alla riservatezza, all’ autodeterminazione
ed all’ autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni;
ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’ imporre
il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base all’
estrazione sociale, al sesso di appartenenza, alI’ orientamento
sessuale, all’ etnia, alla religione, alla nazionalità,
alla disabilità ed allo stato socio-economico.
Pertanto utilizza metodi e tecniche che salvaguardino tali principi,
e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi.
Quando sorgono conflitti di interesse tra il cliente
e/o paziente e I’ istituzione presso cui lo psicologo opera,
quest’ ultimo deve esplicitare con chiarezza i termini delle
proprie responsabilità ed i vincoli cui si sente obbligato
per lealtà professionale, ed informa di ciò le parti
in causa. In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente
dell’ intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano,
lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’
intervento stesso.
art. 5
Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di
competenza professionale. Utilizza, pertanto, solo metodiche,
tecniche e strumenti psicologici ai quali è adeguatamente
addestrato, riconoscendo i limiti della propria competenza. Non
impiega metodologie senza fondamento scientifico, e non suscita
aspettative infondate. Lo psicologo presenta in modo corretto
ed accurato la propria formazione, esperienza e competenza. Nelle
dichiarazioni pubbliche evita di dar luogo a mistificazioni e
travisamenti attraverso il sensazionalismo, I’ esagerazione
e la superficialità. Riconosce quale suo obbligo primario
quello di aiu- tare il pubblico e gli utenti a sviluppare giudizi,
opinioni e scelte con cognizione di causa.
art. 6
Lo psicologo non accetta condizioni di lavoro che compremettano
la sua autonomia professionale ed il rispetto delle norme del
presente codice. Si adopera per il rispetto di tali norme qualunque
sia la sua posizione gerarchica in ambito lavorativo o la natura
del suo rapporto di lavoro.
art. 7
Lo psicologo salvaguarda la sua autonomia nella scelta dei metodi
e delle tecniche psicologiche nonchè della loro utilizzazione,
ed è perciò responsabile della loro applicazione
ed uso, e dei risultati e delle valutazioni ed interpretazioni
che ne ricava.
art. 8
Nel comunicare i risultati delle proprie valutazioni e delle proprie
ricerche lo psicologo si vieta di presentare dati inventati, falsificati
o distorti in tutto o in parte. Considera attentamente, anche
in relazione al contesto, il grado di validità e di attendibilita
di informazioni, dati e fonti su cui basa le conclusioni raggiunte;
espone, all’ occorrenza, le ipotesi interpretative alternative,
ed esplicita i limiti dei risultati, specialmente laddove il proprio
lavoro tocca aspetti socio- politici o può essere interpretato
a detrimento di persone o di gruppi.
Lo psicologo, su casi personali, non esprime valutazioni e giudizi
professionali che non siano fondati sulla conoscenza diretta ovvero
su una documentazione adeguata ed attendibile.
art. 9
Lo psicologo contrasta I’esercizio abusivo della professione
come stabilito dagli articoli 1 e 3 della Legge 18 febbraio 1989,
n. 56, e si obbliga a portare a conoscenza del Consiglio dell’Ordine
i casi di abusivismo dei quali viene a conoscenza. Parimenti,
non avalla con il proprio titolo attività ingannevoli.Nella
collaborazione con professionisti di altre discipline, esercita
la propria piena autonomia professionale nel rispetto dell’
altrui competenze.
art. 10
Nella sua attività di ricerca lo psicologo è tenuto
ad informare adeguatamente i soggetti umani in essa coinvolti,
al fine di ottenerne il previo consenso, e deve altresì
garantire a tali soggetti la piena libertà di concedere,
di rifiutare ovvero di ritirare il consenso stesso. Per quanto
concerne i soggetti che, per età o per altri motivi, non
sono in grado di esprimere valida- mente il loro consenso, questo
deve essere dato da chi ne ha la patria potestà o la tutela,
ma altresì dai soggetti stessi, ove siano in grado di comprendere
la natura della collaborazione richiesta. Deve essere tutelato
il diritto alla riservatezza, alla non riconoscibilita ed all’
anonimato, anche ove non vi sia la possibilità di entrare
in previo rapporto con i soggetti. Nelle ipotesi in cui la natura
della ricerca non consenta di informare preventivamente e correttamente
i soggetti su taluni aspetti della ricerca stessa, lo psicologo
ha I’ obbligo di fornire, alla fine della prova ovvero della
raccolta dei dati, ogni informazione sulla natura e sulla finalità
della ricerca, e di ottenere I’ autorizzazione all’
uso dei dati raccolti.
art. 11
Quando le attivita professionali hanno ad oggetto il comportamento
animale, lo psicologo si impegna ad assicurare il benessere e
la sopravvivenza degli animali stessi.
art. 12
Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale.
Pertanto, non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in
ragione del suo rapporto professionale, ne informa circa le prestazioni
professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano
le ipotesi previste dagli articoli seguenti. Lo psicologo si astiene
dal rendere testimonianza su fatti di cui è venuto a conoscenza
in ragione del suo rapporto professionale, a meno che non sussista
il valido e dimostrabile consenso da parte del cliente e/o paziente,
art. 13
Lo psicologo puo derogare dall’ obbligo di mantenere il
segreto professionale in presenza di valido e dimostrabile consenso
del cliente e/o paziente. Valuta, comunque, I’ opportunita
di fare uso di tale consenso, considerando preminentemente la
tutela psicologica del cliente e/o paziente.
art. 14
Nel caso di obbligo di referto, lo psicologo limita allo stretto
necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del proprio
rapporto professionale, al fine di non recare danno al cliente
e/o al paziente, valutando con prudenza le ipotesi nelle quali
la propria doverosa riservatezza comporti grave pericolo per la
vita o per la salute psicofisica di terzi.
art. 15
Nel caso di sedute psicoterapeutiche di gruppo, lo psicologo è
tenuto ad invitare con fermezza i propri clienti o pazienti ad
attenersi al segreto relativamente a quanto riguarda la composizione
del gruppo e a quanto avviene nelle sedute stesse.
art. 16
Nei casi di collaborazione con altri professionisti parimenti
tenuti al segreto professionale, lo psicologo può condividere
soltanto le informazioni strettamente necessarie in relazione
al tipo di collaborazione.
art. 17
Lo psicologo redige le comunicazioni scientifiche, ancorchè
indirizzate ad un pubblico di professionisti tenuti al segreto
professionale, in modo da salvaguardare in ogni caso l’
anonimato del paziente.
art. 18
La segretezza delle comunicazioni del cliente e/o del paziente
deve essere protetta anche attraverso la custodia ed il controllo
di appunti, note, scritti o registrazioni di qualsiasi genere
e sotto qualsiasi forma che riguardino il rapporto professionale.
Lo psicologo deve provvedere perchè, in caso di sua morte
o di suo impedimento, tale protezione sia affidata ad un collega
ovvero ad un congiunto. Lo psicologo non collabora alla costituzione
ed all’uso di sistemi di documentazione se non esistono
garanzie assolute di tutela del cliente e/o del paziente.
art. 19
Lo psicologo che rivesta cariche pubbliche non deve avvalersene
a scopi di indebito vantaggio personale.
art. 20
In ogni contesto professionale lo psicologo deve adoperarsi affinchè
sia il più possibile rispettata la libertà di scelta,
da parte del cliente e/o del paziente, del professionista a cui
rivoIgersi.
art. 21
Lo psicologo che presta la sua opera professionale in contesti
di selezione e valutazione di colleghi, di altre figure professionali
o di studenti, è tenuto a rispettare esclusivamente i criteri
della specifica competenza, qualificazione o preparazione, e non
avalla decisioni contrarie a tali principi.
art. 22
Lo Psicologo si vieta qualsiasi condotta atta a nuocere alle persone
di cui si occupa professionalmente, e non utilizza il proprio
ruolo e i propri strumenti professionali per assicurare a se o
ad altri indebiti vantaggi personali.
art. 23
II compenso per le prestazioni professionali deve essere pattuito
nella fase iniziale del rapporto professionale. In nessun caso
tale compenso puo essere condizionato all’ esito o ai risultati
dell’intervento professionale dello psicologo.
art. 24
Lo psicologo fornisce, nella fase iniziale del rapporto professionale,
all’individuo, al gruppo, all’istituzione o alla comunità,
informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni,
le finalità e gli scopi delle stesse, nonchè circa
il grado e gli eventuali limiti di riservatezza. Se la prestazione
professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà
esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata.
art. 25
Lo psicologo si vieta I’ uso improprio degli strumenti di
diagnosi e di valutazione di cui dispone. Nel caso di interventi
commissionati da terzi, informa i soggetti circa la natura del
suo intervento professionale, e non utilizza le notizie apprese
in modo che possano recare ad essi pregiudizio, se non all’interno
del mandato ricevuto. Nella comunicazione dei risultati dei propri
interventi diagnostici e valutativi, lo psicologo è tenuto
a regolare tale comunicazione anche in relazione alla tutela psicologica
del soggetto.
art. 26
Lo psicologo riconosce che i problemi personali ed i conflitti
possono interferire con I’efficacia delle sue prestazioni
professionali, e si astiene pertanto dall’intraprendere
o dal proseguire qualsiasi attività nel caso in cui sia
consapevole di problemi o conflitti che possano rendere inadeguate
le prestazioni medesime, o arrecare danno alle persone interessate
alle stesse.
art. 27
Lo psicologo è tenuto a interrompere il rapporto terapeutico
quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla
cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà
dal proseguimento della cura stessa. Se richiesto, fornisce al
paziente le informazioni necessarie per ricercare altri e più
adatti interventi.
art. 28
Lo psicologo non effetua interventi valutativi, diagnostici, di
sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le
quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di
natura personale, e si astiene dall’ instaurarle nel corso
del rapporto professionale, pena I’immediata cessazione
del rapporto stesso. Lo psicologo non sfrutta in alcun modo la
posizione professionale che assume nei confronti di colleghi in
supervisione, di tirocinanti e di studenti, per fini estranei
al rapporto professionale.
Si astiene da qualsiasi attività, con i propri pazienti,
estranea alla specificità del rapporto professionale, che
possa in qualsiasi modo produrre per lui vantaggi diretti o indiretti
di carattere patrimoniale o non patrimoniale.
art. 29
Lo psicologo non deve subordinare il proprio intervento, senza
che ne ricorrano fondati e documentabili motivi di natura scientifico-professionale,
alla condizione che il paziente si serva di determinati presidi,
istituti o luoghi di cura dallo stesso psicologo indicati.
art. 30
E’ vietata qualsiasi forma di compenso, estranea alla prestazione
prefessionale, nei rapporti fra psicologi e strutture o istituzioni
sanitarie.
art. 31
L’erogazione di prestazioni professionali a soggetti minorenni
o interdetti è subordinata al consenso di chi esercita
sui medesimi la patria potestà o la tutela, fatti salvi
i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine dell’autorita
legalmente competente.
Nell’ipotesi che, in assenza del consenso di cui al precedente
comma, lo psicologo ravvisi come indispensabile un intervento
professionale in relazione a gravi rischi per la salute e lo sviluppo
psicofisico del minore o dell’interdetto, è tenuto
a segnalare il caso all’autorità tutoria competente.
art. 32
Quando lo psicologo acconsente a fornire una prestazione professionale
su richiesta di un ente ovvero di una persona diversa dall’
ente o dalla persona oggetto della prestazione stessa, è
tenuto a chiarire con ogni parte la natura e gli scopi del suo
intervento, nonché l’ uso al quale tale intervento
è finalizzato.
art. 33
I rapporti fra gli psicologi devono ispirarsi al principio del
rispetto reciproco, della lealtà e della solidarietà.
L o psicologo si impegna a sostenere i propri colleghi nella difesa
dell’autonomia e dell’indipendenza professionale,
nonchè dei principi deontologici.
art. 34
Lo psicologo si impegna a favorire la formazione e l’ aggiornamento
dei propri colleghi. Si adopera affinché l’ insegnamento
di tecniche e di strumenti professionali sia svolto da chi abbia
acquisito una adeguata competenza e preparazione.
art. 35
Lo psicologo si ritiene impegnato a comunicare i progressi delle
sue conoscenze e delle sue tecniche alla comunità professionale.
Sente altresì come sua responsabilità primaria,
quella di favorire la diffusione delle proprie conoscenze per
scopi di benessere umano e sociale, e pertanto si adopera per
promuoverne la divulgazione nella società civile, qualora
tali conoscenze abbiano, a giudizio della comunità professionale,
significativa rilevanza sociale.
art. 36
Nel presentare i risultati delle proprie ricerche, lo psicologo
deve evitare di attribuire a sè contributi che provengano
da colleghi o comunque da altre fonti.
art. 37
Lo psicologo si astiene dal dare pubblicamente su colleghi giudizi
negativi relativi alla loro formazione, alla loro competenza ed
ai risultati conseguiti a seguito di interventi professionali,
o comunque lesivi del loro decoro e della loro reputazione professionale.
Costituisce colpa particolarmente grave se tali giudizi negativi
sono volti a sottrarre clientela ai colleghi. Qualora ravvisi
significative carenze nella competenza dei colleghi, ovvero casi
di scorretta condotta professionale che possano tradursi in danno
per i pazenti o per il decoro della professione, lo psicologo
è tenuto a darne tempestiva comunicazione al Consiglio
dell’ Ordine competente.
art. 38
Lo psicolgo invia clienti o pazienti a colleghi ovvero ad altri
professionisti tenendo conto della competenza di questi ad operare
nell’ambito professionale richiesto dalla domanda del cliente
e/o del paziente. Se I’ interesse del cliente e/o del paziente
richiede il ricorso ad altre specifiche competenze, lo psicologo
deve proporre la consulenza di altro collega o di altro professionista.
Non pretende né accetta compensi di qualsiasi natura per
tali invii né per le proposte consulenze.
art. 39
Nell’ esercizio della propria attività professionale
e nelle circostanze in cui rappresenta pubblicamente la professione
a qualsiasi titolo, lo psicologo è tenuto a uniformare
la propria condotta ai principi del decoro e della dignità
professionale.
art. 40
Lo psicologo si astiene dal rilasciare dichiarazioni false o ingannevoli
concernenti la propria formazione, la propria competenza, nonchè
i risultati conseguiti con i propri interventi professionali.
art. 41
Indipendentemente dai limiti posti dalla vigente legislazione
in materia di pubblicità, lo psicologo evita di assumere
pubblicamente comportamenti scorretti finalizzati al procacciamento
della clientela.
Gli art. 42 e 42 sono sulle ‘’norme di attuazione’’
(Testo approvato dal Consiglio Nazionale delI’Ordine
degli psicologi il 18 novembre 1995)
Il Codice Deontologico ha colto gli aspetti procedurali dell’iter
lavorativo dell’assistente Sociale. Se se ne vuole indicare
una traccia, questa può avere il seguente percorso: la
presa in carico avviene con riferimento ad un richiesta presentata
da una persona, una famiglia, o su segnalazione di altri servizi,
l’assistente sociale verifica se vi sia la competenza professionale;
informa l’utente su tutto l’iter procedurale, sulla
metodologia appliacata, sui suoi diritti, sulle risorse in capo
all’Ente di appartenenza, e/o sull’aiuto che gli può
venir proposto; con l’utente raccoglie ogni dato che riguarda
la persona, il contesto familiare e sociale; verifica con l’utente
che le sue richieste siano realizzabili; analizza con l’utente
il livello di coinvolgimento responsabile all’individuazione
dei suoi problemi, alla ricerca delle possibili soluzioni e delle
tappe da seguire; con lui ricerca le risorse della sua rete familiare,
sociale, relazionale; con lui predispone le tappe di verifica;
stila con l’utente il contratto operativo; collabora, se
necessario, con altre professioni, previo il consenso dell’utente
per il loro coinvolgimento; indica all’utente la strada
per accedere a risorse del territorio (sia servizi pubblici che
del privato e/o del volontariato); verifica con l’utente
il cammino; se necessario con lui riformula un nuovo piano e fissa
nuove tappe di verifica; aggiorna la cartella sulla quale sono
riportati tutti i dati, i colloqui, i piani d’intervento,
il contratto con l’utente, le verifiche, le riprogettazioni;
collabora alla promozione della rete sociale apportando il suo
bagaglio di conoscenza delle problematiche incontrate nell’esercizio
della professione; si attiva nel predisporre studi e progetti
da sottoporre all’amministrazione per la quale lavora, affinchè
essa possa meglio conoscere il contesto in cui operano i servizi
di sua competenza; assume funzioni di supervisore per gli allievi
delle scuole di servizio sociale.
Dall’elencazione emerge la specificità professionale
dell’assistente sociale. Il lavoro con il singolo è
deve essere anche lavoro con la collettività. Questa dimensione
realizza il principio della globalità.
La metodologia del lavoro sociale: Il percorso indicato non è
altro: che l’individuazione delle fasi del processo metodologico
del lavoro sociale. Queste fasi confermano un processo scientifico.
Ad esempio: la valutazione si può definire un procedimento
attraverso il quale la conoscenza e la cultura professionale trovano
concreta applicazione. Allo stesso modo è importante il
carattere intellettuale che contempla l’azione di aiuto.
Come emerge dai processi operativi e dalla metodologia, il Iavoro
sociale è improntato al rispetto del diritto all’
informazione e alla riservatezza dell’utente.
La professione di assistente sociale si fonda su principi intrinsecamente
rispettosi della dignità delle persone e dei loro diritti,
particolarmente al’informazione e alla riservatezza. Come
professione è impegnata a diffondere una cultura di rispetto
della dignità di tutti, della pluralità di espressioni
e dell’autonomia decisionale di ciascuno.
Il segreto professionale. E’ un dovere etico prima che giuridico
l’obbligo di non rivelare informazioni avute nel rapporto
di lavoro con l’utenza. Non solo per non recare danno (segreto
professionale giuridicamente sancito), ma anche come impegno ad
usare con discrezionalità le informazioni avute nell’esercizio
della professione, con capacità di distinguere ciò
che va tutelato con la riservatezza a differenza di quello che
è necessario trasmettere in un lavoro d’ équipe.
Diritto dell’utente ad essere informato. E’ basilare
per il lavoro del servizio sociale la partecipazione consapevole
dell’utente al processo d’aiuto. E’ necessario
ch’egli percepisca chiaramente il clima di riservatezza
. Questo facilita il rapporto con l’assistente sociale,
migliora l’autostima, pone le basi per il cambiamento. Anche
quando è necessario fornire informazioni ad altri servizi,è
indispensabile il ”consenso informato” dell’utente.
Anche quando non è possibile un accordo, vi è sempre
il dovere per l’assistente sociale di informare l’utente
prima di compiere passi che lo riguardano. Particolarmente difronte
a richieste specifiche di controllo da parte della Magistratura,
è indispensabile informare dettagliatamente l’utente
sulla prassi della trasmissione delle informazioni, sulle valutazioni
e proposte dell’assistente sociale.
Il segreto d’ ufficio ha lo scopo di tutelare la pubblica
amministrazione, il servizio pubblico, ed indirettamente la professionalith
degli operatori. Non va utilizzato per coprire disfunzioni ed
inadempienze. Il segreto d’ufficio copre certamente anche
l’operato dell’assistente sociale che lavora nell’ente
pubblico, ma da solo non tutela in modo adeguato il diritto alla
riservatezza delle persone che al servizio si rivolgono. Il segreto
d’ufficio non permette l’uscita all’esterno
delle informazioni, ma non tutela la riservatezza all’interno
dell’ente. Ecco riemergere l’importanza del segreto
professionale per quanto concerne gli strumenti propri del lavoro
sociale: colloqui, registrazioni, relazioni, ecc.
L’ accesso dei cittadini all’informazione è
sancito dalla L.N.241/90. Ai cittadini viene garantita la trasparenza
degli atti della pubblica amministrazione. Occorre però
riflettere sull’istituzione dell’Albo dei beneficiari
di provvidenze economiche (art.22), che pare in netto contrasto
col diritto alla riservatezza.
Il richiamo al piano deontologico permette di affermare che si
devono trasmettere unicamente le informazioni utili, e fruibili.
Dove è possibile e opportuno stilare dei protocolli d’intesa:
essi hanno lo scopo di chiarire d’ambo le parti le informazioni
che si ritiene necessario scambiare. Stessa attenzione va posta
nei rapporti con affidatari, vicini, volontari singoli, gruppi
ed associazioni, non vincolati con chiarezza al dovere della riservatezza.
Emerge un compito dell’assistente sociale di contribuire
alla responsabilizzazione dei volontari su questa materia.
Per quanto riguarda il valore dell’informazione, è
senz’ altro condivisibile il principio che essa dà
un grande contributo alla crescita della società. L’assistente
sociale nell’esercizio della sua professione deve avvalersi
del diritto-dovere di sensibilizzare l’opinione pubblica
sui problemi sociali che incontra, e se il caso anche denunciare
le inadempienze. Però non deve scordare il diritto alla
riservatezza e il rispetto che è dovuto agli utenti. Proprio
il rispetto di questo diritto rende difficile il rapporto con
gli organi d’informazione. All’assistente sociale
non è permesso fornire informazioni sui singoli casi seguiti,
neppure quando essi lo acconsentano, e neppure per correggere
notizie inesatte o scorrette. Altrimenti si correrebbe il rischio
di ledere il diritto alla riservatezza che, nel clima attuale
di spettacolarizzazione della vita privata, viene già ripetutamente
offeso dai diretti interessati che non si rendono conto del danno
che arrecano a se stessi. Occorre precisare che, nel caso di notizie
errate che coinvolgano i servizi, è compito dei responsabili
degli stessi chiarire ai mezzi d’informazione, a seconda
delle situazioni, il termine del mandato degli operatori, gli
spazi della competenza, la legittima discrezionalità di
valutazione, il rispetto del segreto professionale che impedisce
pubbliche smentite, le prassi operative, e quant’altro sia
utile a tutelare l’immagine del servizio e della professionalità
dell’assistente sociale. A superamento delle situazioni
di conflitto, è utile invece avviare rapporti di collaborazione
e confronto, facendo riferimento anche alle carte deontologiche
degli operatori dell’informazione. Occorre, pertanto, una
formazione alla riservatezza. Nella direzione accennata sopra
devono impegnarsi le scuole di formazione per assistenti sociali,
l’Associazione, e l’Ordine professionale. E’
necessario che l’assistente sociale venga sempre piu formato
nella sensibilità, nell’impegno ad individuare condizioni
organizzative e procedurali adeguate a garantire all’utente
tutta l’informazione e tutta la riservatezza di cui ha diritto.
Particolare attenzione va posta nella formazione al lavoro con
le altre professioni, dove è particolarmente necessaria
una corretta gestione dei criteri di riservatezza nella comunicazione
delle informazioni sull’utente (va riferito solo quello
che serve per il lavoro d’ équipe). Parimenti va
data molta attenzione nella formazione a far comprendere l’importanza
di tenere sempre informato l’utente su ogni fase del lavoro,
come al coinvolgerlo nell’elaborazione del progetto.
Per quanto concerne la funzione di controllo, essa va collocata
solo all’interno dell’aiuto ed essa stessa è
una modalità di aiuto. Il controllo fa parte del percorso
di aiuto al cambiamento avviato con l’utente, sulla base
del contratto, con il quale egli s’impegna in prima persona
a recuperare gradualmente la propria autonomia. Il controllo nel
processo di aiuto ha la connotazione di verifica periodica dell’andamento
del progetto. Perchè la funzione di controllo possa avere
la valenza indicata, è fondamentale l’informazione
che di essa si da all’utente.
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