Per far crescere
la tutela dei bambini nel mondo dell’informazione è
necessaria la collaborazione tra giornalisti e le altre professionalità
che si occupano dei minori.
Da anni si è sviluppata nella nostra cultura giuridica
una particolare attenzione per le modalità attraverso le
quali attuare in concreto e difendere il diritto del minore di
età alla riservatezza.
La tutela della riservatezza o della "privatezza" si
pone in contrapposizione all'aggressività pubblicizzante
dei media; il diritto a essere lasciato solo (the right to be
alone), in cui si identifica il diritto di privacy, non può
e non deve però tradursi nell'isolamento del minore.
Si parla e si scrive molto dei bambini, degli adolescenti, però
il bambino della vita di tutti i giorni, autonomo soggetto di
diritti e non solo figlio e come tale oggetto di interessi emozionali,
è praticamente assente dalla divulgazione praticata dai
mezzi di comunicazione: la nostra società si dice evoluta,
ma oscilla ancora tra la negazione del fenomeno dell'abuso all'infanzia
e l'attenzione agli aspetti più sensazionali e gravi del
problema.Ai mass-media non sembra interessare il minore, l'adolescente
con le sue crisi, i suoi problemi se non quando il buio del suo
futuro diventa per lo stesso insostenibile, se non quando il bambino
è strappato alla sua famiglia, è sieropositivo,
è conteso dai suoi genitori.
Il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con
lo scritto, la parola ed ogni altro mezzo di diffusione, sancito
nell’art. 21 della Costituzione, opera come strumento di
formazione delle convinzioni collettive (Modello di sapere) e
quindi adempie ad una funzione sociale e culturale (Modello culturale
dominante).
Dipende quindi dall’uso che viene fatto di tale diritto
che tale funzione sia bene o male adempiuta, soprattutto in un’epoca,
quale quella che stiamo vivendo, caratterizzata da una massiccia
presenza dei mass-media, che vedono tra l'altro nei minori di
età una interessante area di mercato (basti pensare alla
pubblicità indirizzata direttamente ai bambini, come consumatori
di determinati prodotti).
E proprio in ragione di ciò un corretto esercizio del diritto
di informazione deve, alla pari di ogni altro diritto, avere una
precisa determinazione dei limiti e primo fra tutti deve porsi
come limite il rispetto della legge costituzionale, delle norme
dettate a tutela della personalità altrui dagli artt. 2,
3 c. 2 e art. 13 c. 1 della Costituzione, nonché negli
artt. 8 e 10 della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo.
Il bambino, il minore di età sono titolari di tali diritti;
il minore ha diritto a non vedere resi pubblici e divulgati il
proprio volto, il proprio nome, il proprio domicilio e tutti quegli
elementi che servano ad identificarlo. La pubblicazione dell’immagine
di un bambino, di un ragazzo, l’indicazione delle sue generalità,
non risponde ad alcuna esigenza socialmente rilevante, ma arreca
sicuramente un danno, grave e talvolta irreparabile non solo allo
stesso, ma anche alla famiglia in cui vive.
Il diritto all’immagine è una delle manifestazioni
positive del “diritto alla riservatezza” che “consiste,
precisamente, in un modo di essere negativo della persona rispetto
ad altri soggetti e precisamente rispetto alla conoscenza di questi.
Tale modo di essere non fa parte dell’essenza fisica della
persona: soddisfa quel bisogno di ordine spirituale, che consiste
nell’esigenza di isolamento morale, di non comunicazione
esterna di quanto attiene all’individuo persona: costituisce
quindi una qualità morale della persona stessa” (Novissimo
Digesto – De Cupis).
La tutela dell’immagine è sancita dall’art.
10 codice civile che recita: “Qualora la immagine di una
persona, o dei genitori, del coniuge o dei figli, sia esposta
o pubblicata fuori dai casi in cui l’esposizione ovvero
la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio
al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti
congiunti, l’autorità giudiziaria (civile), su richiesta
dell’interessato può disporre: 1) che cessi l’abuso;
2) salvo il riconoscimento dei danni”.
Tali primi rilievi consentono di affermare che esiste il diritto
del minore a veder tutelata la sua riservatezza e che “il
diritto di cronaca” deve trovare un limite nel rispetto
di tale diritto.
Ma l’affermazione dei principi non è e non è
stata sufficiente a far sì che tale diritto sia concretamente
rispettato.
Il 4 ottobre 1990, la FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana)
e l’ordine dei Giornalisti, a conclusione dei lavori del
Convegno nazionale di studi organizzato a Treviso, in collaborazione
con telefono Azzurro sul tema “Da bambino a notizia: i giornali
per una cultura dell’infanzia” sono pervenuti alla
redazione di un protocollo d’intesa, meglio noto come la
“Carta di Treviso”.
In tale protocollo vengono stabiliti alcuni principi ai quali
si sono in seguito ispirati i Codici di autoregolamentazione dei
giornalisti:
a) il rispetto per la persona del minore, sia come soggetto agente
sia come vittima di un reato, richiede il mantenimento dell’anonimato
nei suoi confronti, il che implica la rinuncia a pubblicare elementi
che anche indirettamente possano comunque portare alla sua identificazione;
b) la tutela della personalità del minore si estende anche
– tenuta in prudente considerazione la qualità della
notizia e delle sue componenti – a fatti che non siano specificatamente
reati (suicidio di minori, questioni relative ad adozione ed affidamento,
figli di genitori carcerati, ecc.) in modo che sia tutelata la
specificità del minore come persona in divenire, prevalendo,
su tutto, il suo interesse ad un regolare processo di maturazione,
che potrebbe essere profondamente disturbato o deviato da spettacolarizzazioni
del suo caso di vita, da clamorosi protagonismi o da fittizie
identificazioni;
c) particolare attenzione andrà posta per evitare possibili
strumentalizzazioni da parte degli adulti portati a rappresentare
e a far prevalere esclusivamente il proprio interesse;
d) per i casi ove manchi una univoca disciplina giuridica, i mezzi
di informazione devono farsi carico della responsabilità
di valutare se quanto vanno proponendo sia davvero l’interesse
del minore;
e) se, nell’interesse del minore – esempi possibili
i casi di rapimento e di bambini scomparsi – si ritiene
opportuna la pubblicazione di dati personali e la divulgazione
di immagini, andrà comunque verificato il preventivo assenso
dei genitori e del giudice competente".
L'Ordine dei giornalisti e la FNSI raccomandavano ai direttori
e a tutti i redattori l’opportunità di aprire con
i lettori un dialogo capace di andare al di là della semplice
informazione; veniva altresì sottolineata l’opportunità
che in casi di soggetti deboli, l’informazione fosse il
più possibile approfondita con un controllo incrociato
delle fonti, con l’apporto di esperti, privilegiando, ove
possibile, servizi firmati e in ogni caso in modo da assicurare
un approccio al problema dell’infanzia che non si limiti
all’eccezionalità dei casi che fanno clamore, ma
che approfondisca – con inchieste, speciali, dibattiti –
la condizione del minore e le sue difficoltà nella quotidianità.
Su un piano di ulteriore concretezza l'Ordine dei Giornalisti
e la FNSI si impegnavano a:
- individuare strumenti e occasioni che consentano una migliore
cultura professionale;
- prevedere che nei testi di preparazione all’esame professionale
un apposito capitolo sia dedicato ai modi di rappresentazione
dell’infanzia;
- invitare i consigli regionali dell’Ordine dei Giornalisti
e le Associazioni regionali di stampa ad organizzare, assieme
all’Unione Nazionale dei cronisti italiani, seminari di
studio sulla rappresentazione dei soggetti deboli;
- attivare un filo diretto con le varie professionalità
impegnate per una tutela e uno sviluppo del bambino e dell’adolescente;
- coinvolgere i soggetti istituzionali chiamati alla tutela del
minore;
- instaurare un rapporto di collaborazione stabile con l’ufficio
del garante per la radiodiffusione e l’editoria, anche nel
quadro delle verifiche sui programmi attribuite al garante della
legge sul sistema radiotelevisivo;
- prevedere, attraverso l’auspicabile collaborazione della
Federazione italiana degli editori, una normativa specifica che
rifletta nel contratto nazionale di lavoro giornalistico l’impegno
comune a tutelare l’interesse dell’infanzia nel nostro
Paese;
- richiamare i responsabili delle reti nazionali televisive ad
una particolare attenzione ai diritti del minore anche nelle trasmissioni
di intrattenimento e pubblicitarie.
I principi che hanno ispirato le regole di autoregolamentazione,
che i diversi ordini professionali hanno adottato, sono contenuti
nella Convenzione Internazionale di New York del 20.11.1989, ratificata
con legge 27.05.1991 n. 176 “ Gli stati parti riconoscono
l’importanza della funzione esercitata dai mass media e
vigilano affinché il fanciullo possa accedere ad una informazione
e a materiali provenienti da fonti nazionali ed internazionali
varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere
sociale, spirituale e morale nonché la sua salute fisica
e mentale”
Dunque è chiaramente enunciato il principio che la funzione
dei mass-media, quando questi scelgono come interlocutore o come
soggetto-oggetto di fatti di cronaca il minore, deve porsi in
totale rispetto dei suoi diritti.
E' da chiedersi allora quali siano le cause del fallimento dei
processi di autoregolamentazione dei giornalisti, della invasività
dei mezzi di comunicazione che, insensibili a qualsiasi considerazione
superiore, utilizzano il diritto di cronaca violando altri superiori
interessi.
Il nostro ordinamento giuridico è caratterizzato dalla
previsione di sanzioni per chiunque violi o metta in pericolo
un altrui diritto, riconosciuto meritevole di tale particolare
tutela dal nostro legislatore.
Il diritto del bambino, dei soggetti deboli, alla riservatezza,
alla tutela della personalità, è riconosciuto ed
ampiamente recepito nel nostro ordinamento e tuttavia non è
adeguatamente sanzionato e quindi tutelato.
Attualmente nei confronti del Giornalista che violi le norme deontologiche
recepite nel proprio contratto di lavoro ed in altre sedi Consigliari,
esiste la possibilità di azionare un provvedimento di natura
disciplinare con risvolti amministrativi, a meno che la violazione
non integri una fattispecie di reato o sia causa di provato danno,
per cui può affermarsi che attualmente l’immagine
sociale e la vita privata del minore sono garantite esclusivamente
dal rispetto di norme di deontologia professionale da parte degli
operatori giuridici, sociali e dell’informazione.
Significativa è la portata dell’art. 13 del nuovo
codice di procedura penale minorile, nella parte in cui, con l’attribuzione
della natura giuridica di segreto a tutte le notizie ed immagini
idonee a consentire l’identificazione del minore( e ciò
non vuol dire che la giustizia penale minorile debba essere una
giustizia segreta ,ma che l'informazione deve essere sui fatti
e non sui protagonisti), ha reso sanzionabile, anche penalmente,
la condotta che viola quel segreto. La condotta oggetto del divieto
è individuata nell’atto di “pubblicare o divulgare
con qualsiasi mezzo” ;la disciplina è tuttavia imperfetta
per la mancanza di una espressa disposizione sanzionatoria.
Nonostante le leggi, la cronaca quotidiana è però
più attenta a particolari insignificanti del caso che alle
sue vere cause, brucia in tempi molto brevi il suo interesse per
i fatti, lasciando però profonde ferite, difficilmente
risanabili, nel bambino e nella sua famiglia.
Il ruolo dell’Avvocato, del Giudice e dei Servizi Sociali
nel rapporto con la stampa, acquista sempre più rilievo
ed è quindi necessario che sia sempre presente il rispetto
delle norme deontologiche e delle norme di diritto .Il nostro
Codice Deontologico all'art.18 "Rapporti con la stampa"
richiama in modo chiaro al rispetto dei diritti di discrezione
e riservatezza verso la parte assistita e al dovere di ispirarsi
a criteri di equilibrio e misura nel rilasciare dichiarazioni
e interviste.
Per sviluppare una maggiore attenzione ai tempi dell’infanzia
occorre potere collaborare con tutte le professionalità
coinvolte direttamente o indirettamente nella problematica, allo
scopo di fare maturare una solida responsabilità collettiva.
E’ necessario altresì che, per realizzare questo
percorso di crescita, i giornalisti in collaborazione con le altre
professioni che si occupano di minori, maturino soluzioni concrete
per far crescere la tutela dei bambini nel mondo dell’informazione.
Con la finalità di attuare in concreto questi obbiettivi
è stato costituito, oltre dieci anni fa, a Torino, il Gruppo
Interprofessionale Minori-Informazione che ha la sua sede presso
la Presidenza del Consiglio Regionale del Piemonte e che si propone
di promuovere una cultura dell'informazione che tuteli il diritto
del minore alla propria riservatezza, anche attraverso la mediazione
delle esigenze delle diverse professionalità.
Tutti noi percepiamo come sovente l'obbiettivo di fare notizia
a tutti i costi faccia leva sulle componenti più oscure
e primitive dell'emotività del lettore o dello spettatore,
e come al di là del clamore momentaneo, o talora purtroppo
prolungato, ben presto le storie reali di sofferenza dei bambini
si stemperano in quelle degli adulti, che rivendicano loro diritti;
ciò dà il senso di quanto una vera cultura di tutela
del diritto del minore alla sua riservatezza, per quanto esaurientemente
tratteggiata nei protocolli d'intesa, nei codici deontologici,
nelle convenzioni internazionali, non sia ancora pienamente attuato
e ciò in quanto la questione del rapporto tra bambini,
adolescenti e mezzi di comunicazione non attiene solo all’aspetto
giuridico e richiede uno spazio aperto di dibattito e confronto.
Antonina Scolaro
Avvocato familiarista
Con la nota del 25 marzo 2002, diffusa con il comunicato
stampa qui pubblicato, il Garante della privacy è intervenuto
sul caso del delitto di Cogne, per tutelare il fratello di
Samuele e prevenire una violazione della riservatezza ai danni
della personalità del bambino. L’appello è
stato rivolto ai mass-media, alle forze di polizia, alla magistratura
e ai professionisti coinvolti nella vicenda.
«Stampa, radio e tv si astengano dal divulgare
dettagli e informazioni sul fratello di Samuele, anche in
riferimento ad un possibile incontro con la madre arrestata.
Solo in questo modo si eviterà il rischio di una
clamorosa violazione della riservatezza ai danni ella personalità
del bambino. La protezione della sfera privata dei minori
e la salvaguardia della loro personalità devono essere
sempre considerati primari rispetto al diritto di cronaca».
Anche in casi di grande rilevanza pubblica, come è
la vicenda di Cogne, «il codice di deontologia
dei giornalisti - ricorda l’Autorità –
pone particolari vincoli per gli organi di informazione
relativamente alla pubblicazione di notizie riguardanti
i minori comunque coinvolti in fatti di cronaca. Anche nel
caso di specie, quindi, la pubblicazione di informazioni
sul minore può porsi in contrasto con la necessità
di garantire un armonico sviluppo della personalità
del bambino e di evitare influenze gravi sulla sua crescita.
Doveri che sono alla base di numerosi documenti sottoscritti
dall’Ordine dei giornalisti, prima fra tutte la Carta
di Treviso richiamata nello steso codice di deontologia
dei giornalisti».
A queste tutele si affianca anche quella specificatamente
prevista dalle norme che vietano la pubblicazione e la diffusione,
con qualsiasi mezzo, di notizie e immagini idonee ad acconsentire
l’identificazione del minorenne comunque coinvolto
in un procedimento penale (art. 114, comma 6, codice di
procedura penale; art, 13. D.P.R. 22/9/1988, n° 448).
Successivamente, a seguito della divulgazione di notizie
riguardanti il fratello di Samuele, l’autorità
ha reso noto, in data 29/03/02, di aver avviato accertamenti
sulla vicenda di Cogne per il modo in cui sono state divulgate
alcune notizie riguardante Davide Lorenzi, in particolare
nei confronti della trasmissione “Porta a Porta”
del 28/03 e del quotidiano “La Repubblica” del
29/03, anche in relazione all’incontro con la madre
arrestata, riservandosi di adottare i provvedimenti del
caso. |
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