Due esigenze da salvaguardare.
Un equilibrio difficile da realizzare.
Il diritto penale minorile comprende norme diverse: alcune attengono
alla difesa del minore imputato altre alla difesa dei diritti
del minore persona offesa, talvolta vittima.
Tutte hanno un identico presupposto: il minore come soggetto in
evoluzione.
“L’offesa” al minore, già in sé
rappresenta non un incidente di percorso ma “un fatto storico”
capace di condizionare lo sviluppo, il divenire, in sostanza più
banalmente la vita del minore.
Seppure il minore sia sovente destinatario di provvedimenti (del
Tribunale per i Minorenni) che incidono nella sfera dei suoi diritti
e delle sue relazioni familiari (dichiarazioni di decadenza, limitazione
della potestà, allontanamento dal nucleo familiare, dichiarazioni
di adottabilità) egli resta comunque sempre titolare di
diritti soggettivi pieni, e non attenuati.
Il procedimento giudiziario, penale, civile, amministrativo che
sia, rappresentando sempre un fatto traumatico rischia comunque
di provocare “fratture” sovente non recuperabili,
capaci di mettere in crisi modelli e valori di crescita della
persona e della personalità.
Il processo penale minorile ha come scopo primario quello di tutelare
il diritto evolutivo dell’adolescente (in un col diritto
della comunità) in una prospettiva di inserimento sociale
di recupero.
Il dibattimento del minore è segreto. E la riservatezza
è una conseguenza dei principi che hanno imposto il segreto
del procedimento minorile.
Per cui il diritto di cronaca che è valore irrinunciabile
per una democrazia, patisce un limite quando si tratta di devianza
giovanile e di infanzia violata.
La Convenzione dell’ONU del 1989, la “Carta di Treviso”,
la “Carta dei doveri del Giornalista”, il “Codice
di autoregolementazione del settore radio-televisivo pubblico
e privato” sanciscono il principio secondo il quale l’interesse
del minore è preminente rispetto a tutti gli altri interessi.
Per trovare un punto d’equilibrio è necessario mediare
le esigenze delle diverse professionalità: da un lato sottrarre
il minore alla “curiosità morbosa” del pubblico,
dall’altro una informazione che sia oltre che corretta anche
capace di non provocare collisione fra il diritto all’informazione,
“come diritto di conoscere tutte le notizie utili per capire
il mondo in cui viviamo” ed il diritto alla riservatezza,
diritto fondamentale riconosciuto dalla nostra Corte Costituzionale.
Dunque l’informazione non deve essere esasperata: il nodo
è come dare la notizia, come modularne le modalità.
Il diritto di cronaca non può essere censurato, pena un
“vulnus” irreparabile per una democrazia sostanziale.
Ma un codice deontologico sia pur aperto al dialogo, al confronto
sulle strategie di comunicazione, normativamente si impone a tutela
delle riservatezze del c.d. “penale minorile”. È
necessario da parte del giornalista una professionalità
responsabile connotata da una necessaria componente etica. E di
tutto questo l’Ordine professionale deve essere garante.
Antonio Rossomando
Presidente ordine avvocati piemonte
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